La Palestina dopo Abbas: possibili scenari e strategie per affrontarli

22 novembre 2016

Al-Shabaka

di  Hani al-Masri, Noura Erakat, Jamil Hilal, Sam Bahour, Jaber Suleiman, Diana Buttu, Wajjeh Abu Zarifa, Alaa Tartir 

Sintesi

Nei mesi che hanno preceduto le elezioni americane, le dispute tra le fazioni palestinesi sono andare infiammandosi in previsione del dopo-Abbas.

Si spera che il settimo congresso di Fatah, a lungo rimandato, previsto per il 29 novembre 2016, dia qualche indicazione su quale sarà la transizione dei poteri, rispondendo alla domanda su come e quando Mahmoud Abbas darà le dimissioni da uno o tutti gli incarichi che ricopre: presidente dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), capo dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) e di Fatah, la più grande fazione politica palestinese.

Con l’elezione di Donald Trump Israele crede di avere le mani libere per fare tutto quello che vuole nei Territori Palestinesi Occupati (TPO) e altrove, rendendo una transizione della dirigenza palestinese ancora più difficile. In questa tavola rotonda gli analisti politici di Al-Shabaka prendono in esame i diversi scenari di una Palestina del dopo-Abbas. Mentre alcuni, come Hani Masri, ritengono che i palestinesi abbiano molto da temere da un vuoto di potere in termini di ulteriore frammentazione e interferenze esterne, altri, come Noura Erakat sostengono che i palestinesi hanno molto da guadagnare, data l’opportunità per un cambiamento. Jamil Hilal mette in guardia contro i pericoli di uno scontro violento per il potere e invita ad un cambiamento in direzione di una lotta per i diritti collettivi del popolo palestinese nel suo complesso, piuttosto che sul destino di un singolo o del suo gruppo d’elite. Sam Bahour prende in esame i diversi precedenti ed attori e nota che le altre fazioni dell’OLP hanno perso ogni influenza che avrebbero potuto avere una volta perché la loro esistenza politica è garantita dall’autorità che essi potrebbero cercare di sfidare.

Jaber Suleiman, che scrive dal Libano, avverte che un collasso dell’ANP potrebbe provocare un’ondata di migrazioni o spostamenti verso la Giordania [ East Bank nell’originale] e una ripresa dei progetti israeliani che prevedono di governare in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza insieme alla Giordania e all’Egitto, con conseguenze per le comunità palestinesi in Libano e altrove. Diana Buttu spera che nuovi dirigenti annullino i disastrosi effetti degli accordi di Oslo, chiedano conto ad Israele delle sue azioni e costruiscano strategie dal basso per rafforzare, piuttosto che semplicemente “gestire”, l’ANP. Riconsiderando i vari esiti possibili Wajjeh Abu Zarifa invita i palestinesi a consolidare lo Stato di Palestina riconosciuto dall’ONU creando un’assemblea costituente. Il direttore del programma di Al-Shabaka ha fatto da moderatore alla tavola rotonda.

Hani Al-Masri

Non è scontato che Abbas lasci presto il suo incarico. Ci sono indizi che suggeriscono che egli probabilmente cercherà di prolungare il suo mandato spingendo per convocare il settimo congresso generale di Fatah. Ciò bloccherebbe anche il ritorno di Mohammed Dahlan [dirigente di Fatah espulso dal partito ed attualmente residente negli Emirati Arabi Uniti. Ndtr.] nel Comitato Centrale di Fatah come successore di Abbas o come un attore che potrebbe decidere in merito e controllare il suo successore. Il fatto che non esistano alternative nazionali, poiché la maggior parte di coloro che sono citati come possibili successori sono della stessa scuola di pensiero, conferma questo scenario.

Lo scenario del post-Abbas dipende dai tempi della sua uscita di scena, cioè se in seguito al congresso generale di Fatah, o della riunione del Consiglio Nazionale Palestinese, o della fine delle divisioni tra Fatah e Hamas o del ritorno di Dahlan in Fatah. Se Abbas dovesse andarsene prima che si tenga il congresso e si ripristini l’unità, la lotta per la successione sarà durissima e porterà probabilmente al caos ed a lotte intestine. Ciò potrebbe provocare il collasso dell’ANP, la frammentazione in molte autorità diverse, o diventare subordinata a Israele sulla falsariga dell’Armata del Sud del Libano [corpo militare cristiano a cui Israele ha affidato il controllo del Sud del Libano dal 1979 al 2000. Ndtr.]. Se Abbas abbandona i suoi incarichi dopo aver raggiunto un accordo su un vice presidente di Fatah, un vice presidente dell’OLP e un vice presidente dell’ANP – invece di assegnare i tre incarichi a una sola persona, come è avvenuto da quando è stata fondata l’ANP – allora è probabile che ciò ridurrà il caos.

Gli scenari del dopo-Abbas dipendono anche dal modo in cui se ne andrà, se dando le dimissioni, per malattia o perché assassinato. Quest’ultima ipotesi scatenerebbe la prospettiva peggiore, alla luce della minaccia di Dahlan secondo cui non permetterà ad Abbas di impadronirsi di Fatah impossessandosi del suo settimo congresso. Un altro scenario prevede un’alleanza tra Dahlan e Hamas, benché quest’ultima non dovrebbe concretizzarsi, in quanto Hamas potrebbe capire che la sua ostilità contro Dahlan e l’alleanza di Paesi arabi che lo appoggia (Egitto, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Bahrain) è maggiore di quella contro Abbas.

I palestinesi hanno molto da temere dal vuoto di potere, che potrebbe dare ad Israele, al Quartetto Arabo [composto dai 4 Stati arabi succitati. Ndtr.], ai takfiri1 e a gruppi estremisti, o ad Hamas e ad altre fazioni palestinesi di sinistra o islamiste, l’opportunità per impadronirsi del potere. I due scenari più probabili sarebbero il controllo da parte di Israele o il ritorno della tutela araba sui palestinesi. Nessuno di questi scenari è auspicabile, soprattutto da quando i Paesi arabi, come l’Arabia Saudita, che cercherebbero di esercitare il proprio controllo, hanno stretti rapporti con Israele ed hanno intensificato la collaborazione con esso per lottare contro il terrorismo, i movimenti takfiri, l’Iran e la Fratellanza Musulmana.

Per scongiurare questi scenari sfavorevoli, i gruppi di sinistra ed altre forze politiche palestinesi, così come la società civile e i gruppi nazionali del settore privato, devono recuperare il discorso sulla liberazione e sui diritti, ridefinire il progetto nazionale e ricostituire il movimento nazionale in modo che si basi su una vera partecipazione politica democratica, con l’obiettivo di tenere elezioni a tutti i livelli. Queste elezioni non dovrebbero essere intese come un mezzo per vincere il conflitto interno, ma piuttosto come una competizione in un contesto unitario.

Il dibattito su questi problemi dovrebbe trascendere quello dei circoli elitari in modo che diventi più accessibile all’opinione pubblica nel suo complesso. Può essere fatto attraverso i media tradizionali e sociali, conferenze popolari e nazionali a livello regionale e nazionale, e possibilmente con petizioni, sit-in e manifestazioni.

Noura Erakat

Mahmoud Abbas controlla un’istituzione – l’ANP – che si riproduce in ognuna delle sue varie parti a prescindere dal capo dello Stato. La sua funzione dipende da finanziatori e controllori esterni, compresi gli Stati Uniti ed Israele, che hanno interesse a lasciarla intatta, soprattutto per la sua funzione amministrativa che riduce il peso quotidiano dell’occupazione mentre contribuisce a contenere il conflitto. In più, il 40% della popolazione palestinese lavora nel settore pubblico e quindi ha interesse nella prosecuzione dello status quo che, benché dannoso per i suoi interessi fondamentali, è al contempo indispensabile per il suo livello di vita e la sua sopravvivenza.

Lo scenario più probabile del dopo-Abbas vedrà un leader ad interim in carica finché potranno essere fissate le elezioni. La maggior parte delle previsioni su un successivo capo di Stato comprende attori ben noti, come Mohammed Dahlan e Jibril Rajoub. Basata sull’appoggio esterno ed interno come sull’ampiezza della minaccia che ha portato contro Abbas e la vecchia guardia di Fatah, la candidatura di Dahlan è realistica quanto terrificante. I passati tentativi di escludere dalle votazioni la Striscia di Gaza e di emarginare le prospettive elettorali di Hamas indicano che una simile scelta si dimostrerebbe estremamente conflittuale.

Gli scenari peggiori riguardano un collasso dell’ANP e la presa del potere da parte di Israele o delle forze rivali di Hamas. Tuttavia é improbabile che Hamas rischi uno scontro diretto con Israele in Cisgiordania, a meno che sia preparata anche ad un’altra escalation nella Striscia di Gaza e una contemporanea offensiva israeliana in Cisgiordania. Ciò è improbabile, a meno che il risultato ridefinisca lo status quo in suo favore, il che è poco plausibile dato il minor appoggio dal basso ad Hamas in Cisgiordania ed il costo di un impegno su due fronti. I dirigenti di Hamas probabilmente insceneranno proteste durante le elezioni e le utilizzeranno per legittimare ulteriormente il loro controllo sulla Striscia di Gaza, piuttosto che fare uso della forza.

Il popolo palestinese ha più da guadagnare che da perdere dal vuoto di potere, in quanto crea l’opportunità per un cambiamento, e un cambiamento strutturale è necessario per ottenere la liberazione dei palestinesi. Una nuova leadership dovrebbe sconfessare le deleterie strutture dell’ANP, dichiarare nullo e vuoto il contesto di Oslo, cessare la cooperazione economica e nel campo della sicurezza con Israele e insistere nel proseguire una lotta di liberazione.

Una simile ridefinizione radicale dipende dalla mobilitazione popolare da parte di un movimento di massa critico. La meticolosa frammentazione legale, politica e sociale della popolazione palestinese operata da Israele ha ostacolato ha formazione di un simile movimento. E’ necessaria una concomitanza imponderabile e imprevedibile di fattori per superare questa frammentazione. La rinuncia di Abbas potrebbe essere uno tra questo insieme di fattori, ma non è sufficiente.

Il cambiamento più probabilmente verrà in ultima analisi da un gruppo di giovani della base che non sia legato all’attuale contesto istituzionale e sia più creativo e meno timoroso riguardo alle prospettive future. Questo gruppo attualmente non esiste, se non in nuce nel panorama palestinese a Iqrit, Haifa, Ramallah, Gerusalemme, Gaza City e Nablus.

Jamil Hilal

Istituzioni nazionali aperte e legittime non si otterranno grazie alle elezioni di un successore di Abbas perché queste istituzioni non stanno funzionando. Il Congresso Nazionale Palestinese (CNP) non è stato operativo dagli accordi di Oslo, e le istituzioni legislative, giudiziarie ed esecutive dell’ANP sono state spaccate politicamente, territorialmente e istituzionalmente dal giugno 2007, quando Hamas ha preso il controllo della Striscia di Gaza. Fatah, in quanto partito politico di governo, sta sperimentando i propri conflitti interni, con la fazione di Mohammed Dahlan opposta alla dirigenza di Abbas.

Di conseguenza, una piccola elite politica all’interno della dirigenza di Fatah, e non il popolo palestinese nel suo complesso, deciderà chi comanderà dopo Abbas. Senza istituzioni nazionali esistenti che rappresentino le varie comunità palestinesi nella Palestina storica e nella diaspora, la questione della dirigenza non può essere risolta in modo soddisfacente. Continueranno ad esserci conflitti finché non saranno costituite istituzioni nazionali rappresentative, ma, data la divisione tra Fatah e Hamas, la probabilità di una simile costituzione è remota.

Ogni lotta di potere violenta per la leadership all’interno di Fatah comporterà una maggiore frammentazione politica e geografica e una maggiore intromissione israeliana, regionale e internazionale nelle questioni politiche, economiche e sociali palestinesi.

Il gioco a indovinare chi probabilmente succederà ad Abbas non è giustificato da una preoccupazione per gli interessi nazionali palestinesi, ma dagli interessi israeliani e di quei poteri regionali ed internazionali che sono preoccupati per la propria posizione di potere.

L’attenzione dei palestinesi dovrebbe concentrarsi sulla ricostruzione della loro rappresentanza nazionale su basi democratiche ed inclusive, per includere tutte le comunità palestinesi all’interno e fuori dalla Palestina storica. La loro preoccupazione dovrebbe essere la lotta per i diritti collettivi del popolo palestinese nel suo complesso, piuttosto che il destino di un individuo o del suo gruppo dirigente. I palestinesi devono ricostituire l’influenza e la posizione palestinese sotto forma di istituzioni, associazioni, visioni e strategie che non scelgano solo i dirigenti politici ma anche quelli delle comunità. Questi dirigenti dovrebbero cercare di unificare tutti i palestinesi nella lotta per la libertà, la dignità, il diritto al ritorno e l’autodeterminazione. Qualunque altro sforzo è semplicemente un diversivo o un miraggio.

Sam Bahour

Quando nel 2004 è morto Arafat, la Legge Fondamentale Emendata della Palestina – l’equivalente di una costituzione – è stata rispettata: il Consiglio Legislativo Palestinese (CLP) e il suo presidente hanno assunto il potere per 60 giorni finché si sono tenute le elezioni. Oggi, dato che non c’è un CLP in funzione e il suo presunto presidente è di Hamas, è probabile che questa legge non verrà rispettata. Semmai verranno invocate “misure straordinarie” per mantenere il controllo. Ciò potrebbe significare che il Comitato Centrale di Fatah deciderà e ricorrerà al Comitato Esecutivo dell’OLP, controllato da Fatah, per mettere in atto la decisione. Le altre fazioni dell’OLP, avendo perso ogni influenza di secondo livello che una volta avevano, potrebbero opporsi a questa decisone, ma ciò determinerebbe uno scontro con i burocrati, che oggi ne certificano l’esistenza politica. Dato che Fatah è molto divisa, non è chiaro se sarà in grado di accordarsi su una singola personalità o su un meccanismo per svolgere il ruolo di comando. Per soddisfare progetti personali in conflitto, potrebbe verificarsi una divisione dei compiti tra i capi dell’Autorità Nazionale Palestinese e l’OLP.

I timori per il futuro sono molti. Il principale è il timore di ingerenze regionali o internazionali nelle decisioni nazionali. I palestinesi ne hanno già fatto esperienza negli anni scorsi e queste ingerenze potrebbero avere effetti devastanti se verrà loro permesso di aggravarsi o incrementarsi. Un altro timore è che la dirigenza dell’ANP possa tentare di impossessarsi del potere, date le sue risorse, il riconoscimento internazionale e le forze di sicurezza. Un’altra preoccupazione è che uno dei capi delle forze di sicurezza possa tentare di prendere il controllo politico; tuttavia ciò non è probabile poiché nessuna delle forze di sicurezza è autosufficiente. Per ultimo c’è il rischio che Israele piazzi uno dei suoi agenti nel ruolo di comando. Un’altra e più probabile azione di Israele potrebbe essere dichiarare Gaza come Stato palestinese e rafforzare ulteriormente la presenza israeliana in Cisgiordania, forse con una totale annessione. Se Israele scegliesse questo approccio e Hamas a Gaza fosse disponibile a questa iniziativa, l’attuale divisione sarebbe irrimediabile.

Per garantire quel poco di rappresentatività che rimane nel sistema politico palestinese e per contrastare le minacce succitate, i palestinesi devono chiedere due azioni immediate: 1) che Abbas convochi elezioni per reinsediare il CLP, con la consapevolezza che, pur solo i palestinesi della Cisgiordania, potrebbe rapidamente essere operativo ed avere una qualche legittimazione popolare2; 2) che il Comitato Direttivo provvisorio dell’OLP, che comprende tutta l’OLP come anche le fazioni nazionali, sia convocato con il mandato di consentire la formazione e il riconoscimento di nuovi partiti politici. Ciò potrebbe fissare un percorso per ridefinire il sistema politico palestinese attraverso una rappresentanza proporzionale per mezzo dell’organo più importante dell’OLP, il Consiglio Nazionale Palestinese (CNP).

Jaber Suleiman

Avremo probabilmente a che fare con due principali scenari del dopo-Abbas. Il primo è il caos. L’uscita di scena di un presidente che ha monopolizzato il processo decisionale, così come l’incapacità del sistema politico palestinese di rinnovare la propria legittimità scaduta, minaccia di rendere questa lotta per il potere non un disaccordo politico, ma uno scontro interno e un’ulteriore divisione. Tale situazione probabilmente provocherà una completa separazione delle due autorità a Gaza e a Ramallah, e divisioni ancora maggiori in Cisgiordania, con Hamas che controlla la sua parte meridionale. Le ingerenze arabe e regionali, soprattutto da parte del Quartetto Arabo, aggiungerebbero altra confusione. Anche Israele, che è interessato a confermare le sue asserzioni secondo cui i palestinesi sono incapaci di governarsi da soli e indegni di un’autorità autonoma, per non parlare di uno Stato, potrebbe avere un ruolo.

Questo scenario potrebbe culminare nel collasso dell’ANP e provocherebbe un’ondata di migrazioni o di spostamenti verso la Giordania [Easta Bank nel testo originale]. Questo spostamento di popolazione con ogni probabilità rilancerebbe progetti come lo schema di Shimon Peres di condivisione del governo della Cisgiordania e della Striscia di Gaza con Giordania ed Egitto, ma in una nuova forma in cui l’ANP/OLP sostituirebbe Giordania ed Egitto. Una simile prospettiva avrebbe un impatto disastroso sull’unità della collettività palestinese in Libano, soprattutto a causa del fatto che i palestinesi in quel Paese a stento sono riusciti a evitare le conseguenze della divisione tra palestinesi e ad appoggiare un progetto nazionale unitario che riguardi i diritti inalienabili dei palestinesi, oltre alla loro lotta per i diritti umani fondamentali in Libano.

Il secondo scenario sarebbe una transizione pacifica del potere attraverso una dirigenza nazionale ad interim, accettata in seguito ad un accordo di riconciliazione come quello del Cairo. Questa dirigenza dovrebbe modificare i rapporti tra l’OLP e l’ANP, dato che l’ANP è uno strumento dell’OLP e non viceversa. E avrebbe la necessità di realizzare una riforma realmente democratica delle strutture dell’OLP, soprattutto il Consiglio Nazionale Palestinese, così come riguardo ai rapporti dell’ANP con lo Stato e i meccanismi del processo decisionale dell’ANP.

Israele ed alcuni partiti arabi avverserebbero questa prospettiva perché vorrebbero piuttosto controllare la “carta” palestinese. Quindi ciò non solo richiede la volontà politica di tutte le fazioni nazionali, soprattutto Fatah e Hamas, ma anche la mobilitazione della “maggioranza silenziosa” palestinese, cioè di tutti gli ambiti nazionali popolari in Palestina e nella diaspora. L’obiettivo sarebbe di riunire un blocco sociale di questa maggioranza in grado di esercitare pressione sulle fazioni in modo che scelgano una transizione pacifica e ricostruiscano il sistema politico e le sue istituzioni nazionali su basi democratiche.

Diana Buttu

Dopo Abbas, sono possibili vari scenari: una transizione pacifica del potere attraverso il presidente del Consiglio Legislativo Palestinese (CLP); una lotta di potere tra singole personalità all’interno di Fatah o nell’OLP, che culmini in una molteplicità di “leader”; un vuoto di potere finché si organizzino e si tengano elezioni. Dato il caos che Abbas ha determinato, e la concomitante confusione nei partiti politici palestinesi, è improbabile che vengano organizzate elezioni in breve tempo.

I leader palestinesi dovrebbero attivarsi per una riconciliazione con Hamas e fare accordi per una ANP/OLP del dopo-Abbas che porti avanti una strategia per la liberazione della Palestina e inizi a rappresentare i palestinesi che vivono in Israele. Questa strategia vedrebbe nuovi dirigenti che annullino i disastrosi effetti degli accordi di Oslo, rendendo Israele responsabile delle sue azioni e costruendo strategie dal basso per rafforzare, piuttosto che semplicemente “gestire”, l’ANP.

Lo spettro politico e la società civile palestinese potrebbero anche utilizzare il cambiamento di leadership per ricostruire l’OLP in modo che sia rappresentativa della società palestinese ed anche del suo cambiamento generazionale. Tale strategia significherebbe anche capitalizzare la forza del popolo palestinese nel suo complesso e dei suoi movimenti e porre fine a inutili negoziati bilaterali. Come primo passo la Palestina deve rompere il giogo del ricatto finanziario che attualmente lega l’ANP/OLP a questi negoziati bilaterali. Oltre a ciò, coinvolgendo i palestinesi di Israele, l’OLP potrebbe finalmente iniziare a diventare rappresentativa di tutti i palestinesi, piuttosto che aderire solo formalmente a questa inclusione, mentre in realtà marginalizza i palestinesi che non vivono in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza.

Un vuoto di potere sarebbe un grave diversivo dal concentrarsi su questa strategia ed è certamente il sogno di Israele, permettendogli di dividere, conquistare ed usare il periodo di caos per costruire altre colonie.

Wajjeh Abu Zarifa

Se Abbas rimane al potere a breve termine, il primo scenario possibile è tenere elezioni presidenziali e legislative in Cisgiordania, nella Striscia di Gaza e a Gerusalemme come deciso nell’accordo del Cairo. Tuttavia questa eventualità è improbabile alla luce delle profonde divisioni e della diffidenza tra Fatah e Hamas. Il secondo scenario è tenere le elezioni presidenziali e legislative quando possibile, e se Gaza dovesse boicottarle, le elezioni sarebbero organizzate in Cisgiordania. Anche questa è un’ipotesi improbabile, in quanto approfondirebbe le divisioni e accentuerebbe le probabilità di una secessione. Oltretutto Israele non acconsentirebbe a tenere le elezioni a Gerusalemme, il che favorirebbe la separazione di Gerusalemme.

Se Abbas si dimettesse, ci sarebbe una serie di possibili scenari, compreso che il presidente della Corte Costituzionale diventi il presidente dell’ANP fino alle elezioni, o che la presidenza dell’ANP venga assegnata al Comitato Esecutivo dell’OLP, con il segretario dell’OLP come presidente interinale. C’è anche un’ipotesi che è più pratica e logica, benché non sia costituzionale o legale: il primo ministro, nelle sue funzioni di capo del potere esecutivo, assume i poteri del presidente dell’ANP. Le elezioni presidenziali e legislative si tengono entro 60 giorni e necessitano del consenso nazionale. Tuttavia, una simile prospettiva, benché sia la più logica, è praticamente impossibile date le attuali divisioni.

Quindi tutte le forze politiche devono essere invitate a un dialogo serio per mettere a punto i meccanismi necessari per superare le attuali divisioni, attuare l’accordo del Cairo e tenere elezioni presidenziali e legislative prima che Abbas dia le dimissioni. I palestinesi hanno anche bisogno di convocare la struttura della dirigenza provvisoria dell’OLP e il comitato incaricato di riformare l’OLP per ripristinare il Consiglio Nazionale Palestinese e tenere una seduta, riunendo tutti i partiti, comprese Hamas e la Jihad Islamica. Devono essere formati il Comitato Centrale dell’OLP e il Comitato Esecutivo e nominato un nuovo presidente. A più lungo termine i palestinesi devono consolidare lo Stato di Palestina riconosciuto dall’ONU creando un’assemblea costituente composta da membri del Comitato Centrale, del Consiglio Legislativo, del governo e del Comitato esecutivo per stilare una costituzione palestinese ed eleggere un presidente.

Note:

  1. Takfir è accusare una persona di essere un infedele ed è diventata un’ideologia fondamentale dei gruppi militanti (vedi ad esempio Oxford Islamic Studies e Le Monde Diplomatique)

  2. Haytham Al-Zubi ha proposto quest’ipotesi di accordo in un editoriale del 2013. Vedi “Calm Constitutional Advice to the Palestinian President,” Al-Quds, 20 luglio 2013.

(Traduzione di Amedeo Rossi)