Assaf Harel: State scherzando? Il Paese dell’apartheid ( Video)




Rapporto OCHA 21 febbraio – 6 marzo 2017 ( due settimane)

Il 24 febbraio, nella Striscia di Gaza, a causa del crollo di un tunnel per il contrabbando, scavato sotto il confine con l’Egitto, tre lavoratori palestinesi sono morti e undici sono rimasti feriti.

Dal 2013, la maggior parte dei tunnel per il contrabbando sono stati distrutti o bloccati dalle autorità egiziane, tuttavia è stato riferito che alcuni sono ancora operativi. In Cisgiordania, un 22enne palestinese, saltando dalla sommità della Barriera è caduto in una profonda buca di una cava nei pressi del villaggio di Azzun Atma (Qalqiliya) ed è morto; il giovane era inseguito dalle forze israeliane e, secondo quanto riferito, stava tentando di entrare illegalmente in Israele per cercare lavoro.

Il 1° marzo, un colono israeliano ha ucciso, con arma da fuoco, un 24enne palestinese che aveva fatto irruzione nella sua casa nell’insediamento avamposto Mor Farm (Hebron); secondo quanto riferito dai media israeliani, il colono era stato accoltellato e ferito dal palestinese.

Il 6 marzo, nella città di Al Bireh (Ramallah), nel corso di uno scontro a fuoco verificatosi nel contesto di un’operazione militare, un 33enne palestinese è stato ucciso dalle forze israeliane. L’incidente ha innescato scontri che hanno portato al ferimento, con arma da fuoco, di due palestinesi.

In Cisgiordania, complessivamente sono stati feriti dalle forze israeliane 57 palestinesi, tra cui nove minori e tre donne. La parte preponderante dei ferimenti sono stati registrati durante scontri verificatisi nel contesto di operazioni di ricerca-arresto; durante manifestazioni tenute in solidarietà con i prigionieri palestinesi detenuti nelle carceri israeliane e nelle manifestazioni settimanali nei villaggi di Kafr Qaddum (Qalqiliya) e Ni’lin (Ramallah). Inoltre, in due episodi distinti, due palestinesi, un uomo e una donna, sono stati feriti con arma da fuoco: al checkpoint di Qalandiya e ad un checkpoint “volante” all’entrata del villaggio di Hizma (entrambi a Gerusalemme), presumibilmente per non essersi fermati all’alt intimato loro dai soldati. Inoltre, un soldato israeliano è stato ferito, con arma da fuoco, durante un pattugliamento presso l’insediamento colonico di Efrat (Betlemme).

A Gaza, il 27 febbraio, quattro palestinesi, fra i quali un civile, sono rimasti feriti, ad est di Rafah, nel corso di molteplici attacchi israeliani, sia aerei che terrestri; secondo quanto riferito, gli attacchi costituivano una risposta al lancio di un razzo ad opera di un gruppo armato. Il razzo è caduto in uno spazio aperto nel sud di Israele, senza causare vittime o danni. A quanto riferito, un altro razzo lanciato contro Israele è ricaduto all’interno della Striscia di Gaza.

Sempre a Gaza, nelle Aree ad Accesso Riservato (ARA) di terra e di mare, in almeno 44 occasioni, le forze israeliane hanno aperto il fuoco, di avvertimento o diretto, ed hanno ferito, nei pressi della recinzione tra Israele e Gaza, due civili palestinesi che, a quanto riportato, tentavano di introdursi in Israele. In applicazione delle restrizione imposte da Israele per l’accesso al mare, cinque pescatori sono stati arrestati dalle forze navali israeliane, mentre le loro barche e le reti da pesca sono state sequestrate. In due casi, le forze israeliane sono entrate in Gaza ed hanno svolto operazioni di spianatura del terreno e scavi nei pressi della recinzione perimetrale.

Tra il 28 febbraio e il 1° marzo, nell’insediamento colonico di Ofra (Ramallah), le forze israeliane hanno evacuato e demolito, in base ad un sentenza della Corte Suprema israeliana, nove abitazioni [coloniche israeliane] che erano state edificate su terra privata palestinese. Secondo un rapporto dei media israeliani, gli scontri verificatisi nel corso dell’evacuazione hanno provocato il ferimento di 11 membri delle forze israeliane e di 17 giovani coloni.

In tre diversi contesti, sei palestinesi sono stati aggrediti fisicamente e feriti da coloni israeliani: quattro di loro, tra cui due minori, mentre pascolavano le pecore nei pressi dell’insediamento colonico di ‘Otniel (Hebron); uno mentre lavorava sul proprio terreno nei pressi dell’insediamento avamposto Gilad Farm (Nablus); e un altro nella città di Huwwara (Nablus), mentre camminava in strada. Sono stati segnalati almeno tre episodi di lancio di pietre da parte di coloni israeliani, con conseguenti danni per tre veicoli di proprietà palestinese.

Secondo i media israeliani, un colono israeliano è stato ferito e diversi veicoli sono stati danneggiati in almeno 18 episodi di lancio di pietre e bottiglie incendiarie da parte di palestinesi contro veicoli israeliani. Gli episodi hanno avuto luogo nei pressi di Gerusalemme, Ramallah e Betlemme.

Sempre in Cisgiordania, quattro palestinesi, due ragazzi e due uomini, sono rimasti feriti in tre diversi casi di esplosione di residuati bellici. I minori, di età compresa fra 14 e 15 anni, sono rimasti feriti mentre pascolavano le pecore vicino alle comunità Al Mughayyir (Ramallah) e Khashm ad Daraj (Hebron); i due uomini nei pressi del villaggio di Taffuh, (Hebron) mentre manomettevano gli ordigni inesplosi.

Per la mancanza di permessi di costruzione, le autorità israeliane hanno demolito due strutture di proprietà palestinese in Area C, nel governatorato di Hebron e due strutture a Gerusalemme Est, sfollando 23 palestinesi e coinvolgendone altri 50.

Nel corso di una esercitazione militare, le forze israeliane hanno sfollato, per due volte e per diverse ore ogni volta, 30 famiglie appartenenti a due comunità di pastori nel nord della Valle del Giordano (Khirbet Tana e Lifjim). In un’altra comunità della stessa area (Khirbet ar Ras al Ahmar), le autorità hanno sequestrato quattro veicoli agricoli, utilizzati per la coltivazione e per l’approvvigionamento idrico. Tutte queste comunità si trovano in un’area designata [da Israele] come una “zona militare per esercitazioni a fuoco”.

Il 5 marzo, le autorità israeliane hanno emesso ordini di demolizione definitiva contro quasi tutte le 140 strutture della comunità beduina palestinese di Khan al Ahmar-Abu Helu (governatorato di Gerusalemme), tra cui una scuola elementare, finanziata da donatori, frequentata da circa 170 bambini. Questa è una delle 46 comunità beduine della Cisgiordania centrale che Israele sta cercando di trasferire in tre siti designati. Inoltre, ordini di demolizione definitivi sono stati emessi nei confronti di 13 strutture, in quattro comunità della zona Massafer Yatta (Hebron), e contro una scuola finanziata da donatori nella comunità di Khirbet Tana (Nablus).

Il valico di Rafah, sotto controllo egiziano, è stato eccezionalmente aperto per un giorno in entrambe le direzioni: è stata consentita l’uscita dalla Striscia di Gaza a 581 persone e il rientro a 566. Secondo le autorità palestinesi di Gaza, circa 20.000 persone, tra cui casi umanitari, sono registrate e in attesa di uscire da Gaza attraverso Rafah.

nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati ogni due settimane in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informa-zioni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano (vedi di seguito) l’edizione inglese dei Rapporti.

la versione in italiano è scaricabile dal sito Web della Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, alla pagina:

https://sites.google.com/site/assopacerivoli/materiali/rapporti-onu/rapporti-settimanali-integrali

nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

Associazione per la pace – Via S. Allende, 5 – 10098 Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it




Obiettivi illegittimi su entrambi i lati del confine israeliano

Amira Hass, 2 marzo 2017,Haaretz

E’ proporzionato bombardare la città di Kochav Ya’ir, dove vivono comandanti in capo e dirigenti politici, mentre i residenti stanno dormendo o cenando con le loro famiglie? Questa è un’infame domanda che non ha diritto di essere posta. Ma Israele molto tempo fa ha dato una risposta affermativa alla domanda generale: è proporzionato distruggere quartieri e bombardare case con dentro famiglie intere – bambini, anziani, donne e neonati?

Sì, ha detto Israele con i suoi bombardamenti su Gaza e il Libano. E’ proporzionato perché abbiamo anche ucciso – o intendevamo uccidere – comandanti militari, militanti e alti dirigenti politici delle organizzazioni palestinesi e libanesi.

Ecco ciò che la procura militare ha scritto riguardo ad uno dei tanti attacchi che hanno ucciso civili durante l’offensiva a Gaza dell’estate 2014:

L’attacco era mirato a….un alto comandante, equivalente a vice comandante di brigata, nell’organizzazione terroristica palestinese Jihad Islamica…Durante la pianificazione dell’attacco è stato calcolato che molti civili si sarebbero potuti trovare nella struttura e che la dimensione del danno a civili non sarebbe stata eccessiva a fronte del significativo vantaggio militare che ci si attendeva di ottenere come risultato dell’attacco…A posteriori, l’obiettivo dell’attacco è stato gravemente ferito e (altri due membri attivi della Jihad Islamica) sono stati uccisi insieme a quattro civili.

L’attacco si è attenuto al principio di proporzionalità, poiché quando è stata presa la decisione di attaccare è stato valutato che il danno collaterale atteso non sarebbe stato eccessivo a fronte del vantaggio militare che ci si attendeva di conseguire…Uno specifico avvertimento prima dell’attacco nei confronti degli occupanti della struttura in cui si trovava l’obbiettivo, o degli occupanti delle strutture adiacenti, non era legalmente richiesto e avrebbe potuto compromettere lo scopo dell’attacco.”

Gli attacchi a Gaza hanno introdotto nel nostro mondo tre espressioni che non hanno diritto di esistere: “uccisioni proporzionate”, “danno collaterale” e “target bank”. Queste espressioni sono diventate assiomatiche al di là di ogni domanda o riflessione. Come funzionerebbero questi assiomi se pianificassimo l’obbiettivo nella direzione opposta?

Ogni casa dove si trova un soldato o un riservista israeliano sarebbe un legittimo obiettivo da bombardare; i civili colpiti sarebbero un danno collaterale. Ogni banca israeliana sarebbe un obbiettivo perché i ministri e i generali israeliani vi tengono i conti correnti.

Chi vive nelle vicinanze della stazione di polizia in Dizengoff Street a Tel Aviv dovrebbe trasferirsi perché gli ufficiali del servizio di sicurezza dello Shin Bet vi lavorano regolarmente e il missile potrebbe sbagliarsi e colpire la scuola adiacente. Le basi militari ed i centri dello Shin Bet nel cuore di quartieri civili – a Kirya (area centrale della città, dove si trova la principale base dell’esercito israeliano, ndtr.) a Tel Aviv, nei quartieri di Gilo e Neveh Yaakov a Gerusalemme, o al quartier generale della Divisione Binyamin vicino alla colonia di Beit El – condannano i loro vicini ad una morte proporzionata.

Tutti i degenti dell’ospedale di Sheba devono essere evacuati a causa del centro dell’esercito a Tel Hashomer; tutti i laboratori universitari e le imprese di alta tecnologia dovrebbero essere evacuati a causa dei loro legami con l’industria delle armi, mentre le vite dei figli dei dipendenti di Elbit e Rafael (imprese di alta tecnologia militare, ndtr.) sono anch’esse a rischio di danno collaterale perché i loro genitori collaborano a fabbricare armi che non ci possiamo immaginare.

Questo sembra terrificante, e giustamente. Ma poiché questa mostruosa sceneggiatura speculare appare del tutto immaginaria, l’orrore immediatamente svanisce. Sorprendentemente, il revisore dello Stato [incaricato del controllo delle finanze, della gestione finanziaria, del patrimonio e della gestione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici. Ndtr.] ha criticato il fatto che non è stato fatto alcun tentativo per trovare un’alternativa diplomatica alla guerra, ma la maggioranza degli israeliani ragiona solo all’interno di uno schema, uno schema cruento. Cercano delle vie per razionalizzare lo schema, non per romperlo e sostituirlo.

Le nostre guerre sono una continuazione della nostra politica di negazione agli altri dei loro diritti. Chi ha deriso la diplomazia palestinese che auspica uno Stato indipendente accanto ad Israele ha ottenuto boicottaggio, sanzioni e disinvestimento. Chi non ha ascoltato le ragioni di anni di resistenza popolare palestinese sta pagando il prezzo dei razzi Qassam, dei tunnel per gli attacchi e della paura degli attentati suicidi. Chi ha creato quella prigione che è Gaza ha avuto in cambio Yahya Sinwar, il nuovo capo di Hamas nell’enclave.

E’ vero, le nostre teorie di repressione funzionano – come formula collaudata per l’escalation. Hanno stabilito i criteri per definirci, noi israeliani, come “danno collaterale” agli occhi di coloro che vengono umiliati dalla nostra multiforme violenza.

(Traduzione di Cristiana Cavagna)

 




Israele adora le guerre e non fa nulla per scongiurarle

Gideon Levy | 2 marzo, 2017 Haaretz.

Non esiste un’ altra interpretazione dell’inchiesta del revisore dello Stato sulla guerra del 2014 contro Gaza e da questa non emerge nessun’altra importante conclusione.

Israele adora le guerre. Ne ha bisogno. Non fa nulla per scongiurarle e qualche volta le provoca. Non esiste un’altra interpretazione del rapporto del revisore dello Stato sulla guerra del 2014 contro Gaza e da questa non emerge nessun’altra importante conclusione.

Tutto il resto, i tunnel, il Consiglio nazionale di sicurezza, il consiglio dei ministri, e i servizi di sicurezza, sono bazzecole, nient’altro che sforzi per distrarci dalla cosa più importante. Cioè che Israele vuole la guerra. Ha respinto tutte le alternative, senza discuterle, senza interessarsene, per realizzare i propri desideri.

Anche nel passato Israele ha voluto le guerre. Fin dalla guerra del 1948, tutte le sue guerre potevano essere evitate. Chiaramente sono state guerre volute, sebbene la maggior parte di esse fossero inutili e poche abbiano provocato dei danni irreparabili. Generalmente Israele le ha iniziate, qualche volta vi è stato trascinato, ma anche allora le guerre potevano essere scongiurate, come nel 1973. Qualche guerra ha determinato la fine della carriera di chi le ha iniziate e ogni volta Israele sceglie la guerra come l’opzione principale e privilegiata. È difficile trovare una spiegazione razionale del fenomeno, ma è un fatto che ogni volta che Israele va in guerra riceve ampio, automatico e incondizionato sostegno da parte della pubblica opinione e dei media. Così non sono soltanto il governo e l’esercito ad amare la guerra, ma tutto Israele l’adora.

La prova consiste nel fatto che le commissioni d’inchiesta pubblicano rapporti quasi identici dopo ogni guerra – il rapporto sulla guerra contro Gaza ha quasi plagiato quello della commissione Winograd dopo la seconda guerra del Libano del 2006. ( “La guerra è iniziata frettolosamente e irresponsabilmente”). Dal momento che non si trae alcun insegnamento e ogni cosa viene dimenticata, è chiaro che qualcosa di impellente spinge Israele alla guerra.

Questa è anche stata la modalità nell’estate dell’operazione “Margine protettivo”, non essendoci stata assolutamente nessuna ragione per fare la guerra. E così sarà per la prossima guerra,che incombe nel futuro. Che peccato che martedì “l’allarme rosso” nel sud sia stato un falso allarme. Era quasi l’opportunità per sferrare un colpo sproporzionato su Gaza, il modo che il ministro della Difesa Avigdor Lieberman e Israele adorano, di quelli che trascinano Israele nella prossima guerra.

È già tutto scritto, i suoi sostenitori non perdono occasione per provocarla e la sua storia è come la storia delle guerre narrate dalle inchieste del revisore dello Stato.Anche il prossimo conflitto armato avrà un suo rapporto. Io e te, la prossima guerra e il prossimo rapporto.

È ragionevole ipotizzare che la prossima guerra esploderà a Gaza. Hanno già preparato la scusa. L’orrore dei tunnel, che è stato gonfiato grottescamente a livello di un conflitto nucleare mondiale, è stato creato per questo scopo. Armamenti primitivi sono sufficienti per creare una scusa perfetta per [intraprendere] un conflitto armato. E al pari di prima dell’operazione “Margine Protettivo” nessuno si ferma a chiedere: cosa ne è di Gaza, che fra altri tre anni non sarà adatta ad ospitare un insediamento umano? Come ci aspettiamo che risponda, dato che i suoi abitanti sono in pericolo di vita? Che fretta c’è? C’è tempo. Nel frattempo può essere distrutta un’altra volta o due.

Gaza vizia Israele con guerre di lusso. Non c’è niente che Israele ami di più di una guerra contro quello che non è un esercito, contro chi non possiede una copertura aerea, nessun armamento e nessuna artiglieria, proprio un’armata dai piedi scalzi e con tunnel, il che permette a Israele di narrare episodi di eroismo e di cordoglio. I bombardamenti israeliani contro persone indifese, per qualche ragione chiamati “guerra”, con minime perdite israeliane e il massimo di vittime palestinesi: è così che ci piacciono le nostre guerre.

Il revisore dello Stato ha stabilito che il governo non ha discusso soluzioni alternative alla guerra. Ciò avrebbe dovuto sollevare una protesta in tutto il Paese, ma è stata messa a tacere dal nonsense dei tunnel. Qualunque bambino a Gaza sa che vi è un’alternativa tale che se Gaza si aprisse al mondo, tutto sarebbe differente. Ma per ottenere ciò occorrono dirigenti israeliani coraggiosi e non ce n’è nessuno. C’è bisogno di una massa di israeliani che dica inequivocabilmente “no” alle guerre e non c’è nessuno neppure di questi. Come mai? Perché Israele adora le guerre.

(Traduzione di Carlo Tagliacozzo)




L’errore della guerra israeliana contro Gaza è stato in primo luogo diplomatico

Barak Ravid – 28 febbraio 2017 Haaretz

Il governo israeliano non fece praticamente niente per affrontare la crisi umanitaria a Gaza, che si era aggravata allora e si sta aggravando adesso. La prossima guerra è solo una questione di tempo.

Molti errori sono stati rivelati dal rapporto esauriente e professionale del Revisore dello Stato [incaricato del controllo delle finanze, della gestione finanziaria, del patrimonio e della gestione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici. Ndtr.] sulla guerra a Gaza del 2014, reso pubblico martedì. La lista è lunga: mancanza di preparazione operativa contro i tunnel di Hamas, gravi e persino fondamentali informazioni dello spionaggio nascoste al consiglio di sicurezza, piani operativi dell’esercito deficitari e carenze dell’allora capo di stato maggiore dell’esercito israeliano Benny Gantz e del capo del servizio di spionaggio militare Aviv Kochavi. Tutto questo è importante ed interessante, ma non è il problema principale.

La notizia più importante del rapporto del Revisore generale dello Stato Joseph Shapira riguarda quello che è stato o non è stato fatto dal primo ministro Benjamin Netanyahu, dai suoi ministri della Difesa e degli Esteri dell’epoca – Moshe Ya’alon e Avigdor Lieberman – e dal resto del governo per evitare la guerra. Con tatto ed intelligenza, Shapira e i suoi collaboratori disegnano un grande punto interrogativo sull’impegno dei politici nell’anno che ha portato alla guerra in un’area di loro esclusiva competenza – la politica e la strategia.

Secondo il rapporto, il maggior errore è stato di carattere politico. Queste parti del rapporto sono una lettura estremamente interessante. E’ qui dove la discussione pubblica nei prossimi giorni e settimane si dovrebbe concentrare.

La storia della guerra scoppiata nel luglio 2014 inizia un anno e tre mesi prima – in una riunione del governo dell’aprile 2013. L’allora Coordinatore delle Attività Governative nei Territori [COGAT, l’istituzione che governa nei territori palestinesi occupati. Ndtr.] Eitan Dangot mise in guarda i ministri sulle difficili condizioni umanitarie ed economiche di Gaza, che avrebbero potuto portare a un’esplosione entro i successivi due anni. La profezia di sventura di Dangot non è stata del tutto esatta – si è avverata in meno di un anno e mezzo.

Tra quella riunione di gabinetto e lo scoppio della guerra il governo non fece praticamente niente riguardo alla crisi umanitaria a Gaza, che non fece che peggiorare. Netanyahu, Ya’alon, Lieberman e gli altri ministri non tennero neanche una riunione approfondita sulla questione. Quando i ministri si riunirono per quella che venne erroneamente chiamata una “discussione strategica” sulla politica israeliana verso Gaza, la questione venne esclusivamente presentata come un problema la cui soluzione era esclusivamente militare.

Il ministro degli Esteri non prese parte a quella discussione, il Consiglio Nazionale di Sicurezza fece cattivo uso del suo ruolo e non presentò alternative politiche, Netanyahu e Ya’alon si opposero nettamente ad alternative diplomatiche che avrebbero potuto stabilizzare o migliorare la situazione a Gaza e i membri del governo, tranne Tzipi Livni, rimasero in silenzio, assentirono ed approvarono le indicazioni dell’esercito.

Se l’avvertimento di Dangot era un lato dell’incapacità politica descritta nel rapporto del Revisore dello Stato, l’altro è stata la dichiarazione di Ya’alon durante una discussione nel suo ufficio due giorni dopo che la guerra era scoppiata. Come disse Ya’alon: “Se le difficoltà di Hamas fossero state affrontate qualche mese fa, Hamas avrebbe evitato l’attuale escalation.” Il controllore generale dello Stato ha ripetuto tre volte questa citazione in cui Ya’alon ammise in tempo reale che la guerra avrebbe potuto essere evitata.

Eppure in tutti i mesi che precedettero la guerra non solo il governo non fece praticamente niente per affrontare la crisi umanitaria ed economica di Gaza, ma contribuì a peggiorarla. Fu così quando Netanyahu impose sanzioni contro il governo di unità tra Fatah e Hamas all’inizio del giugno 2014, e tre mesi dopo quando Lieberman decise di dichiarare persona non grata il coordinatore speciale dell’ONU per il processo di pace in Medio Oriente, Robert Serry, solo perché aveva tentato di contribuire a risolvere la crisi del pagamento degli stipendi ai dipendenti pubblici di Gaza. Quel problema era un vulcano pronto ad eruttare.

Nel recente libro di Serry “L’interminabile ricerca della pace israelo-palestinese”, egli descrive come nell’ottobre 2014, due mesi dopo la fine della guerra, quello stesso governo israeliano accettò e persino incoraggiò le Nazioni Unite ad aiutare a risolvere la crisi salariale.

“Del resto quattro mesi dopo che Lieberman mi aveva voluto espellere da Israele, l’ONU agevolò un pagamento umanitario eccezionale a Gaza con acquiescenza e incoraggiamento taciti di Israele,” scrive Serry. “Tra questi due eventi straordinari quell’estate era scoppiata una terribile guerra di 50 giorni senza vincitori e con un costo umano inaccettabile… Ci volle una guerra nella quale Gaza è stata ridotta in rovine perché Israele comprendesse che doveva cambiare rotta.”

Ma Israele non aveva realmente cambiato rotta. Cinquanta giorni di guerra non hanno prodotto il minimo cambiamento nella situazione di Gaza. Dopo 73 morti dal lato israeliano e più di 2.200 tra i palestinesi e gravi danni diplomatici ed economici, siamo tornati al punto di partenza. Nessuna autocelebrazione da parte di Netanyahu in merito ai successi dell’operazione cambierà questo fatto. Tutti i problemi di sicurezza, umanitari e politici a Gaza alla vigilia della guerra sono solo peggiorati nei due anni e mezzo trascorsi da allora.

Dalla fine della guerra Netanyahu, Ya’alon e Lieberman hanno parlato molto ma non hanno fatto praticamente niente per cambiare la politica riguardo a Gaza ed affrontarvi la crisi umanitaria. Il primo ministro ha mandato il viceministro degli Affari Diplomatici Michael Oren nelle capitali europee con una presentazione su possibili progetti per Gaza, ma non ci sono state decisioni strategiche. Nello scorso anno e mezzo il ministro dei Trasporti Yisrael Katz ha tentato di fare una discussione seria nel governo sul suo piano di costruire un’isola al largo di Gaza che possa essere utilizzata come porto marittimo ed aeroporto e aprire Gaza al mondo.

Il capo dell’esercito Gadi Eisenkot , come molti ministri, è favorevole a questo progetto, ma Netanyahu lo sta affossando. Nel frattempo la situazione a Gaza sta peggiorando, la ricostruzione non procede, Hamas si sta armando e il blocco si sta rafforzando. Il disinteresse e la mancanza di decisioni mettono semplicemente le basi della prossima guerra.

Esattamente un anno fa il capo dell’intelligence militare Herzl Halevi si è presentato davanti alla commissione Affari esteri e Difesa della Knesset e ha fatto affermazioni che hanno evocato sensazioni negative già note, come “il peggioramento della situazione economica nella Striscia di Gaza potrebbe portare a un’esplosione rivolta contro Israele.”

Nella situazione attuale, la prossima guerra a Gaza è solo una questione di tempo; i principali ministri del governo hanno già definito una data: la prossima primavera. Se Netanyahu, Lieberman e Naftali Bennett non vogliono che le parole di Halevi diventino un capitolo del prossimo rapporto del Revisore dello Stato, si dovrebbero riunire urgentemente e prendere decisioni politiche che evitino la prossima guerra.

(traduzione di Amedeo Rossi)




Guerra di Gaza: undici punti chiave dal rapporto molto critico che fa tremare i politici e l’esercito israeliani

Barak Ravid e Gili Cohen – 28 febbraio 2017,Haaretz

L’esercito ha mancato il principale obiettivo . Ministri tenuti all’oscuro . Gravi lacune dell’intelligence su Hamas . Il preoccupante rapporto sulla campagna militare di Israele contro la Striscia di Gaza del 2014.

Nel rapporto sulla guerra reso pubblico martedì il Revisore dello Stato [incaricato del controllo delle finanze, della gestione finanziaria, del patrimonio e della gestione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici. Ndtr.] Joseph Shapira ha scritto che nell’anno precedente lo scoppio della guerra del 2014 con Hamas ed i suoi alleati nella Striscia di Gaza il primo ministro Benjamin Netanyahu, l’allora ministro della Difesa Moshe Ya’alon ed i membri del consiglio per la sicurezza interna non presero in considerazione iniziative diplomatiche riguardo a Gaza per cercare di interrompere l’escalation. In tre diverse occasioni nel rapporto Shapira cita affermazioni, fatte da Ya’alon due giorni dopo lo scoppio della guerra, in cui si afferma che probabilmente si sarebbe potuto evitare la guerra se Israele avesse affrontato per tempo la disperazione nella Striscia.

Il rapporto di 200 pagine è stato reso pubblico circa un anno e mezzo dopo la fine della guerra nell’agosto 2014. Il rapporto si occupa sia del processo decisionale nel consiglio di sicurezza riguardo a Gaza prima dell’operazione “Margine protettivo”, come la guerra è ufficialmente nota in Israele, e il suo inizio, sia anche del problema riguardante il modo di affrontare i tunnel offensivi a Gaza durante l’operazione “Margine protettivo”, così come della preparazione della reazione di intelligence, tecnologica e operativa a questa minaccia negli anni precedenti le operazioni. Il rapporto di Shapira non si occupa direttamente della condotta della guerra in sé o dei suoi risultati.

Questi sono i punti salienti del rapporto:

 Netanyahu e Ya’alon hanno tenuto all’oscuro i ministri in merito all’attacco strategico di Hamas

Secondo il rapporto speciale sulla guerra del Revisore dello Stato Joseph Shapira reso noto martedì, per mesi prima dell’operazione dell’esercito israeliano del 2014 nella Striscia di Gaza i dirigenti al vertice della politica, dell’esercito e dell’intelligence nascosero informazioni al consiglio di sicurezza in merito a un possibile attacco strategico da parte di Hamas. Se l’attacco fosse stato messo in atto, afferma Shapira, avrebbe costituito un casus belli.

In particolare, sostiene il Revisore nel suo rapporto critico sull’operazione “Margine protettivo”, il primo ministro Benjamin Netanyahu, il ministro della Difesa Moshe Ya’alon, il capo di stato maggiore dell’IDF [l’esercito israeliano. Ndtr.] Benny Gantz e i capi dei servizi di sicurezza dello Shin Bet e del Mossad [rispettivamente servizio di intelligence interna ed esterna. Ndtr.]- omisero tutti informazioni su un attacco pianificato dal movimento islamico con base a Gaza. In realtà queste informazioni vennero fornite alla commissione solo all’inizio del luglio 2014, poche ore prima che venisse messa sul tavolo per l’approvazione un’operazione intesa a sventare l’attacco.

Shapira nota che, secondo documenti dello Shin Bet, c’erano già molte prove di un serio attacco di Hamas contro Israele nei mesi prima che l’operazione militare venisse lanciata – informazione che venne fornita al servizio di intelligence militare dell’esercito israeliano.

Netanyahu e Ya’alon non presero in considerazione iniziative diplomatiche per evitare la guerra

Il Revisore ha stabilito che il primo ministro Benjamin Netanyahu, l’allora ministro della Difesa Moshe Ya’alon e i membri del consiglio di sicurezza, negli anni che hanno preceduto lo scoppio della guerra, il 7 luglio, non verificarono la possibilità di fare passi diplomatici per porre fine all’escalation delle ostilità nella Striscia.

Il rapporto di Shapira cita tre affermazioni fatte da Ya’alon due giorni dopo lo scoppio delle ostilità, in cui egli disse che la guerra avrebbe potuto essere scongiurata se Israele avesse fornito una risposta tempestiva alla disperazione della popolazione di Gaza. In una riunione del consiglio dell’8 luglio, l’allora ministro dell’Intelligence e degli Affari Strategici Yuval Steinitz affermò che “ci siamo concentrati sulla tattica, ma ripetutamente – anno dopo anno per nove anni – abbiamo evitato di fare i conti con la situazione strategica che si delineava davanti ai nostri occhi.”

Non furono fissate chiare politiche e strategie del governo su Gaza

Persino quando ci furono discussioni intese a formulare una strategia riguardo alla Striscia, queste furono incomplete e non portarono a nessun risultato concreto. Il 10 ottobre 2013 ci fu un incontro con il capo del servizio di sicurezza dello Shin Bet dell’epoca, Yoram Cohen, che sottolineò che Hamas era in crisi strategica, e allora il primo ministro diede istruzioni al Consiglio Nazionale di Sicurezza di riunirsi per dare un indirizzo alla politica israeliana riguardo a Gaza. Passarono sei mesi prima che si tenesse una simile discussione. Il 13 marzo 2014 questo argomento venne di nuovo affrontato in un incontro del consiglio che si occupò dell’escalation di tensione. L’allora ministro dell’Economia Naftali Bennett affermò che Israele non aveva una strategia riguardo a Gaza; Gilad Erdan, ministro della Pubblica Sicurezza, era d’accordo. Solo il 23 marzo 2014, un anno dopo che il governo era stato formato, ci fu una riunione del consiglio che si occupò di definire obiettivi strategici riguardo alla Striscia. Tuttavia il Revisore ha scoperto che la riunione si occupò solo dell’intensificazione delle azioni dell’esercito israeliano contro Hamas – non di altre possibili forme di condotta, ad esempio in campo diplomatico.

Il consiglio non discusse della crisi umanitaria a Gaza

Nei sedici mesi tra la formazione del governo nel marzo 2013 e lo scoppio delle ostilità nel luglio 2014 il consiglio di sicurezza non tenne neppure un dibattito significativo sulla Striscia di Gaza. La grande maggioranza delle discussioni – anche quelle considerate di carattere “strategico” – riguardarono solo argomenti militari. Il rapporto del revisore sottolinea che l’assenza di un dibattito sui vari aspetti politici della situazione a Gaza fu particolarmente significativa nel contesto dei sempre più numerosi rapporti in merito al deterioramento delle condizioni umanitarie lì, alla crisi economica e al collasso di infrastrutture vitali, compresa la riduzione delle forniture idriche.

Nel dicembre 2013 il segretario militare del primo ministro, Eyal Zamir, scrisse all’allora consigliere per la sicurezza nazionale Yossi Cohen che Netanyahu voleva che organizzasse una discussione del consiglio riguardante la situazione dei civili a Gaza e le sue implicazioni per Israele. Una simile discussione non ebbe mai luogo e fino allo scoppio delle ostilità, sette mesi dopo, il consiglio non dedicò neppure una sessione alla crisi umanitaria nella Striscia. Il Revisore nota che Cohen avrebbe dovuto seguire l’indicazione del primo ministro e critica a questo proposito anche Ya’alon, dato che quest’ultimo era conscio della situazione civile ed umanitaria a Gaza e avrebbe dovuto comprendere il rischio di una escalation della tensione. Ciononostante neppure il ministro della Difesa avviò una discussione a questo proposito nel consiglio. Il rapporto evidenzia tuttavia che Ya’alon dopo lo scoppio della guerra espresse rammarico per non averlo fatto.

L’esercito israeliano fallì nel raggiungimento dell’obiettivo principale: solo metà dei tunnel di Hamas venne distrutta

Il Revisore afferma che la guerra del 2014 non ha messo in luce solo difetti e carenze nella preparazione dell’esercito israeliano per lottare contro i tunnel di attacco scavati da Hamas dalla Striscia di Gaza verso Israele. Sostiene che l’esercito non ha neppure ottenuto gli obiettivi che gli erano stati dati durante l’operazione “Margine protettivo”: distruggere o neutralizzare i cunicoli sotterranei. Infatti, nonostante questa fosse la sua principale missione, l’IDF ne distrusse solo la metà. L’esercito in seguito informò che aveva reso inutilizzabili 32 tunnel.

L’esercito era carente di metodi di combattimento adeguati per affrontare i tunnel

Il Revisore ha stabilito che nessuna dottrina militare, tecnica di combattimento né ordine specifico furono messi in campo per affrontare i tunnel di Hamas. Solo nel luglio 2014, mentre i combattimenti erano in corso, il corpo dei genieri dell’esercito israeliano emise linee guida per localizzare e distruggere le strutture.

Fino ad allora le forze militari improvvisarono o basarono il proprio modo di operare su metodi che erano stati utilizzati in precedenza per far fronte ai tunnel per il contrabbando sulla frontiera tra Gaza ed Egitto. Solo nel dicembre 2014, quattro mesi dopo che la guerra era finita, il quartier generale del comando della fanteria e dei paracadutisti emise ordini di combattimento che stabilivano i principi di azione in zone in cui si trovano molteplici tunnel.

L’esercitò non predispose piani con largo anticipo per una situazione in cui i combattenti avrebbero dovuto affrontare questi tunnel al momento dell’ingresso nella Striscia, come parte di un’operazione di terra – benché ci fosse un’alta probabilità di una simile battaglia. Oltretutto, secondo il Revisore, anche dopo che un simile piano fu predisposto, venne formulato poco prima dell’operazione “Margine protettivo”, per cui alcune delle brigate coinvolte nella battaglia ricevettero le linee guida dopo che la guerra era iniziata.

L’aviazione non era preparata a eliminare i tunnel di Hamas

L’IAF [l’aviazione militare israeliana. Ndtr.] aveva mezzi limitati e mancava delle competenze, delle informazioni e di linee guida operative adeguate – così come delle relative capacità e formazione – per affrontare la minaccia dei tunnel di Hamas. Il generale Amikam Norkin, che all’epoca dell’operazione a Gaza era il capo di stato maggiore dell’IAF (e che alla fine di quell’anno doveva diventare il nuovo comandante dell’aviazione israeliana), all’epoca della campagna militare disse che le forze aeree non avevano sufficienti informazioni che permettessero di formulare tattiche operative per affrontare i tunnel.

Ciononostante, durante una sessione tenuta durante la guerra, il consiglio raccomandò che fossero attaccati dall’aria, benché i comandi della difesa sapessero che ciò non avrebbe distrutto tutti i percorsi dei cunicoli sotterranei e avrebbe di fatto ostacolato future operazioni di terra contro di loro – che fu ciò che effettivamente successe. Tuttavia, secondo il Revisore, questa informazione non venne fornita ai membri del consiglio prima che raccomandassero attacchi aerei.

L’intelligence israeliana diede priorità alla minaccia dei tunnel solo dopo la guerra

La minaccia rappresentata dai tunnel di Hamas non fu considerata una priorità assoluta dall’intelligence di Israele fino all’inizio del 2015, mesi dopo la fine dell’operazione “Margine protettivo”.

Benché il primo ministro Netanyahu ed i responsabili del sistema di difesa avessero definito i tunnel una minaccia strategica contro il Paese, non vennero considerati come parte di importanti attività di intelligence. Ciò ebbe effetti sull’assegnazione di risorse alle agenzie di spionaggio con lo scopo di affrontare la minaccia.

Il Revisore nota che il capo dell’intelligence militare dell’IDF, generale Aviv Kochavi, e il capo dello Shin Bet Cohen avrebbero dovuto fare di questo problema una priorità assoluta per i servizi di intelligence, e aggiunge che i livelli politici – il primo ministro e il ministro della Difesa – avrebbero dovuto sovrintendere a questo processo.

Lo Shin Bet e l’intelligence militare iniziarono a incrementare le loro attività di raccolta di informazioni riguardo alle strutture sotterranee alla fine del 2013, dopo che in un anno furono scoperti tre tunnel scavati da Hamas che si estendevano all’interno del territorio israeliano. Il Revisore commenta che nonostante ciò l’informazione generale passata all’interno delle unità di combattimento dell’IDF durante la guerra del 2014, compresa quella sui tunnel, era un “importante risultato di intelligence”.

 Significative lacune dell’intelligence su Hamas a Gaza

Da metà 2013 fino allo scoppio delle ostilità nel luglio 2014 e durante la campagna stessa, lo Shin Bet e l’intelligence militare presentarono gravi e significative lacune riguardo alla raccolta di informazioni a Gaza. Queste lacune, secondo il rapporto del Revisore, riguardarono sia i tunnel sotterranei che l’identificazione dei bersagli per l’aviazione, come anche “un’altra area” – presumibilmente riguardante piani e attività dei capi dell’ala miliare di Hamas a Gaza.

Specificamente, ci furono carenze nei tentativi di raccogliere informazioni da parte dell’intelligence militare e dello Shin Bet concernenti i tunnel dal 2008 fino all’operazione “Margine protettivo”. In particolare, il Revisore ha identificato significative lacune nelle informazioni passate alle unità di combattimento riguardo ai tunnel difensivi a Gaza (per esempio, tunnel nella Striscia che non passavano sotto il confine fin dentro Israele). Ciò ebbe un effetto sul modo in cui ci si occupò dei tunnel prima e durante l’operazione. Oltretutto le informazioni riguardanti queste lacune non furono trasmesse ai membri del consiglio fino allo scoppio delle ostilità.

Lo sviluppo della tecnologia per trovare i tunnel fu ritardato; il ritardo continua tuttora

La ricerca di una soluzione tecnologica che potesse essere utilizzata per individuare i tunnel sotterranei continuò per anni e l’apparato della difesa era fiero di aver preso in considerazione praticamente tutte le possibilità. Anche quando venne trovato un simile sistema – e l’esercito ed il ministero della Difesa definirono la sua messa in pratica una questione urgente – l’esercito israeliano fu lento nell’impiegarlo.

Fin dalla fine del 2012 il ministero della Difesa commissionò ad un’impresa di impegnarsi in questo sforzo, stabilendo che la prima fase dovesse essere completata entro il febbraio 2014. Tuttavia, nel momento in cui scoppiò la guerra a Gaza questa fase non era ancora stata ultimata; oltretutto l’attrezzatura in questione venne utilizzata solo in zone limitate.

Persino dopo la conclusione dell’operazione ci furono ritardi nell’installazione del sistema. Solo alla fine del marzo 2015, un anno dopo la data stabilita, iniziò l’attività di installazione lungo il confine di Israele con Gaza – ma il ritardo continuò. A metà 2016 il sistema era ancora operativo solo in parte e il lavoro ora è in via di completamento.

Il consigliere per la sicurezza nazionale (oggi capo del Mossad) viene duramente criticato: non svolse la sua funzione

Uno dei principali destinatari delle frecciate del Revisore dello Stato è Yossi Cohen, consigliere per la sicurezza nazionale durante l’operazione “Margine protettivo” ed attuale capo del “Mossad”, il servizio di spionaggio. Almeno in cinque passaggi del suo rapporto il Revisore cita Cohen per problemi nel funzionamento del consiglio di sicurezza, dei quali fu personalmente responsabile, durante il corso della guerra.

In questo contesto, in tre diverse parti del suo rapporto il Revisore menziona i tunnel. Benché Cohen fosse al corrente della gravità della minaccia rappresentata dai cunicoli sotterranei, non avviò una discussione né suggerì che il primo ministro Netanyahu sollevasse questo argomento perché venisse seriamente preso in considerazione nelle riunioni del consiglio. Il rapporto aggiunge che, mentre preparava le discussioni del consiglio, Cohen non ritenne che l’esercito presentasse ai membri piani operativi per affrontare i tunnel.

Inoltre, ignorando una direttiva del primo ministro, Cohen non stabilì una data per una discussione sul deterioramento della situazione umanitaria a Gaza. Il Revisore ha scoperto che durante le riunioni del consiglio, soprattutto quelle dedicate a stabilire una politica nei confronti della Striscia di Gaza, il consiglio di sicurezza nazionale non propose alternative diplomatiche o di altro genere ai piani presentati dai militari. Nonostante il consiglio, sotto la direzione di Cohen, avesse aumentato il proprio potere, il Revisore ha individuato varie carenze che gli impedirono di funzionare in base al suo mandato.

Nel suo rapporto il Revisore afferma che le sessioni del consiglio relative all’operazione del 2014 furono quasi totalmente dominate da proposte presentate dall’esercito, e il consiglio per la sicurezza nazionale non svolse il suo ruolo come stabilito dalla legge: proporre alternative come contrappeso rispetto al sistema della difesa – proposte che avrebbero consentito ai membri del consiglio una comprensione più complessiva dei problemi e delle lacune in modo che fossero sufficientemente informati quando avessero disegnato e approvato un qualunque piano d’azione.

Martedì notte il deputato della Knesset Avi Dichter (del Likud), presidente della commissione della Knesset per gli Affari Esteri e la Difesa, ha affermato che la commissione controllerà questioni che sono già state affrontate o stanno per essere affrontate per migliorare le capacità operative nei sistemi politici, della sicurezza e militari citati nel rapporto.

Ha affermato che il monitoraggio della commissione si estenderà anche a problemi che non vengono citati nel rapporto, ma di cui il sistema di sicurezza si sta occupando.

Dichter ha detto che ciò verrà fatto per garantire che l’esercito, il sistema di sicurezza ed il governo siano preparati per future minacce che sono state sottoposte alla commissione. (Jonathan Lis)

L’opposizione israeliana convoca Netanyahu alla Knesset sul rapporto di Gaza

L’opposizione ha ottenuto le 40 firme di deputati necessarie secondo le regole della Knesset per convocare il primo ministro Benjamin Netanyahu ad una sessione della Knesset per discutere dei risultati del rapporto. La sessione è prevista entro circa tre settimane.

Chiedendo al presidente del parlamento, il deputato Yuli Edelstein (del Likud), di mettere in calendario la sessione, la deputata Merav Michaeli, capogruppo dell’Unione Sionista [coalizione tra il partito Laburista e Kadima. Ndtr.], ha affermato: “In base a quanto riferito finora, i gravi riscontri del rapporto attestano un fallimento del primo ministro e del governo da lui guidato, così come una mancanza di politiche riguardo a Gaza e carenze nella strategia relativa alla sicurezza ed alla diplomazia, che portarono all’errata gestione dell’operazione.

“Il primo ministro deve comparire in parlamento e rendere conto a tutta l’opinione pubblica israeliana dei risultati del rapporto e del fallimento nel garantire la sicurezza dei cittadini israeliani,” ha aggiunto. (Jonathan Lis)

 Il capo dell’IDF: l’esercito sta traendo insegnamento dal rapporto e agendo per migliorare la capacità operativa a Gaza

Il capo di stato maggiore dell’esercito israeliano, generale Gadi Eisenkot, durante una cerimonia per onorare i migliori impiegati civili dell’esercito, ha affermato che l’esercito “sta imparando dal rapporto del Revisore dello Stato, che ha ricevuto qualche tempo fa, sta formulando un piano di lavoro e agendo per migliorare costantemente le proprie capacità operative sul fronte della Striscia di Gaza.”

Eisenkot ha anche detto: “In quanto vicecapo dello stato maggiore e corresponsabile degli esiti della battaglia, ho visto di persona che i soldati dell’esercito israeliano e i loro comandanti, in terra, mare e cielo, in primo luogo e soprattutto il comandante di stato maggiore Benny Gantz, lavoravano giorno e notte per raggiungere gli obiettivi del combattimento e garantire la sicurezza del nostro Paese.”

Eisenkot ha detto che l’esercito non era immune da critiche sull’operazione. “Ma dobbiamo ricordare che questa è gente eccellente che ha dedicato la propria vita alla sicurezza di Israele e ha contribuito a un futuro migliore per il popolo di questo Paese.” (Jonathan Lis)

Ya’alon: il consiglio di sicurezza durante la guerra di Gaza fu il peggiore che io abbia visto

Martedì l’ex ministro della Difesa Moshe Ya’alon, in risposta al rapporto del Revisore dello Stato sull’operazione “Margine protettivo” a Gaza, ha affermato che la condotta del consiglio di sicurezza durante la guerra a Gaza nell’estate del 2014 fu scadente e irresponsabile.

Secondo Ya’alon lo stesso rapporto è “politicizzato” e durante la guerra le sue azioni come ministro della Difesa, come quelle del primo ministro Benjamin Netanyahu e del capo di stato maggiore dell’esercito Benny Gantz, evitarono un disastro.

“Questo è un rapporto che analizza aspetti parziali della complessa campagna. Ignora più ampie considerazioni perché è stato preso in ostaggio da politici con interessi (esterni), che hanno fornito all’ufficio del Revisore dello Stato informazioni di parte e inquinato il processo di analisi,” ha aggiunto.

Ya’alon ha definito il consiglio di sicurezza durante “Margine protettivo” il peggiore ed il più irresponsabile che abbia mai visto. “Lo dico in quanto ho partecipato al consiglio fin dal 1995. Era un consiglio superficiale, politicizzato e populista. Un consiglio di fuga di notizie, di gente che parlava con un doppio discorso – uno all’interno e l’altro per l’opinione pubblica. Questa situazione trasformò le discussioni in una grande farsa, che, se non fosse stato per il primo ministro, per il capo di stato maggiore e per me, avrebbe potuto benissimo terminare in un disastro,” ha affermato.

Ya’alon ha definito il consiglio di sicurezza un “asilo infantile” e ha detto che sarebbe stato possibile trovare una soluzione allora, “in tempo reale”.

“Oggi sono orgoglioso di essere stato insieme al primo ministro ed al capo di stato maggiore di fronte alle dure critiche dell’opinione pubblica e all’eversione politica e personale, mentre i nostri soldati erano sotto il fuoco nemico,” ha detto Ya’alon.

“Oggi stiamo ricevendo critiche per questo, all’epoca questo ha salvato la campagna. I campioni di giravolte non riuscirono a trascinarci in un’ (operazione) “Scudo di difesa 2″ [sanguinosa offensiva dell’esercito israeliano in Cisgiordania del 2002. Ndtr.] in Giudea e Samaria [denominazione israeliana della Cisgiordania. ndtr.], in una terza Intifada e neanche in un’occupazione della Striscia,” ha aggiunto. (Amos Harel)

 Netanyahu: il rapporto omette le vere lezioni che devono essere tratte dalla guerra

In risposta al rapporto, il primo ministro Benjamin Netanyahu ha detto: “La quiete senza precedenti che ha prevalso (sul lato israeliano della frontiera con Gaza) a partire dall’operazione “Margine protettivo” è una prova dei risultati.” Secondo Netanyahu le vere e significative lezioni che devono essere tratte dalla guerra non compaiono nel rapporto di Shapira.

“Le vere lezioni sono già state attentamente messe in pratica -in modo responsabile e in silenzio,” ha aggiunto il primo ministro. Egli ha sostenuto che la minaccia dei tunnel a Gaza fu esposta nel dettaglio ai membri del consiglio di sicurezza in 13 diversi incontri. “Se ne discusse in tutta la loro gravità, prendendo in considerazione tutta la gamma degli scenari strategici ed operativi.”

Il leader dell’opposizione chiede a Netanyahu di dimettersi

Il leader dell’opposizione Isaac Herzog (dell’ Unione Sionista) ha detto che il quadro presentato dal rapporto “dovrebbe provocare paura e preoccupazione nel cuore di ogni cittadino di Israele.” Ha chiesto a Netanyahu di trarne le conclusioni e di dimettersi.

Herzog ha descritto il rapporto come professionale, dettagliato e privo di tendenziosità politica. “Il rapporto rivela chiaramente come il primo ministro Netanyahu e il consiglio (di sicurezza) che guidava fallirono nel loro compito di comprendere le minacce, definire una strategia, comprendere la realtà (e) preparare in modo corretto soldati e civili, sopratutto i residenti del Sud. La dirigenza del Paese condusse una disputa politica sulle spalle di ognuno di loro per scopi personali, non sono stati all’altezza delle responsabilità a loro affidate,” ha detto il leader dell’Unione Sionista. “Il Revisore ha irrevocabilmente rilevato che quello non fu un incidente, un errore o un passo falso sporadico, ma piuttosto un modo di comportarsi e un errore durato anni.”

Herzog ha definito il rapporto “strategico” e “importante” ed ha affermato che dovrebbe essere letto come una critica e “non trasformare il Revisore in un nemico del popolo.” Ed ha aggiunto: “Diranno presto che Shapira dovrebbe essere stroncato invece di ascoltare le critiche e studiarle. Evidenzia errori sostanziali.”

Riguardo a Tzipi Livni, il suo numero due nell’Unione Sionista, che era membro del consiglio di sicurezza all’epoca della guerra, Herzog ha detto: “Appoggio le azioni di Tzipi Livni, che lavorò nel consiglio di sicurezza come ci si potrebbe aspettare da un dirigente della diplomazia e della difesa, e se ci fossero state altre due o tre persone come Tzipi, dovrebbe essere ragionevole (ammettere) che quel consiglio avrebbe funzionato in modo diverso, raggiungendo risultati molto migliori.”

Tzipi Livni: “E’ necessario un totale cambiamento nel modo di pensare”

Tzipi Livni, numero due dell’Unione Sionista, ha detto che, invece di attaccare il Revisore dello Stato Joseph Shapira, in risposta al suo rapporto il governo dovrebbe agire per metterlo in pratica: “Israele ora ha bisogno di una strategia riguardo a quali risultati militari e diplomatici sono necessari e quale sia il punto di uscita nelle future operazioni riguardo a Gaza ed in generale,” ha affermato.

“E’ così che mi sono comportata durante la (guerra) – in silenzio, senza far filtrare notizie e senza critiche dei media. E’ necessario un totale cambiamento nel modo di pensare. Invece di slogan che danneggiano solo l’esercito israeliano e le capacità di deterrenza, occorre definire obiettivi strategici e passi diplomatici.”

Il presidente Rivlin: correggere le lacune esposte dal rapporto

Il presidente [della repubblica israeliana] Reuven Rivlin ha chiesto che siano corrette le lacune esposte dal rapporto. Il presidente ha detto martedì in una conferenza dell’Istituto delle Politiche del Popolo Ebraico: “Non è tempo di scambiarsi accuse. E’ tempo di imparare le lezioni e rafforzare l’esercito israeliano in modo che possa continuare ad essere il nostro muro di difesa.”

Rivlin ha aggiunto che il rapporto del Revisore dello Stato dovrebbe essere studiato piuttosto che cercare di attaccarne i contenuti. “Siamo tutti bravi col senno di poi e sarebbe necessario investire le nostre energie per trarne conclusioni e metterle in pratica.”

(traduzione di Amedeo Rossi)

 




L’orrendo nuovo divieto di ingresso di Israele dice al mondo: state lontani se non siete d’accordo con noi

Allison Kaplan Sommer – 8 marzo 2017, Haaretz

La nuova legge contro il BDS segna un drastico cambiamento nelle relazioni di Israele con il resto del mondo, inviando il messaggio che molti di quelli che sono in profondo disaccordo con l’occupazione non sono più ospiti graditi.

A prima vista il radicale divieto di ingresso in Israele approvato lunedì notte dalla Knesset non cambia essenzialmente niente. Le autorità israeliane sui confini o negli aeroporti hanno già una totale discrezionalità nel tenere fuori chiunque e molti potenziali visitatori sono stati messi su una lista nera e rimandati indietro perché ritenuti ostili ad Israele.

Non c’era bisogno di questa legge, che definisce l’appoggio al boicottaggio di qualunque istituzione israeliana o di qualunque area sotto il suo controllo come criterio per impedire l’ingresso come visitatori.

Ma in realtà cambia tutto. La dichiarazione che fa e il messaggio che manda – che quelli che sono talmente contrari all’occupazione da scegliere di non comprare prodotti delle colonie non sono più visitatori graditi per vedere e conoscere il Paese – segnano un drastico cambiamento nei rapporti di Israele con il resto del mondo.

Storicamente quelli che credono nell’importanza di Israele per il mondo, nonostante i conflitti ed i problemi, hanno sempre sostenuto “vedere per credere”.

Mi includo in quel gruppo. Quando ho incontrato chiunque nel mondo che volesse discutere delle politiche di Israele, persino quelli che facevano obiezioni sulla stessa esistenza dello Stato come risultato dell’occupazione, la mia risposta è sempre stata la stessa: una sfida e un invito.

“Beh, sei stato in Israele?” chiedo loro nel momento opportuno di una conversazione, che la mia controparte sia di destra o di sinistra, appassionatamente a favore delle colonie o contro l’occupazione.

Il più delle volte la risposta è “no”: la persona in questione non è mai stata né in Israele né in Palestina e basa la sua posizione politica su quello che è stato visto da altri o gli è stato raccontato. Allora gli dico: “Bene, vieni e guarda con i tuoi occhi. Poi decidi.”

La mia convinzione è che finché uno non è stato qui, non ha visto e provato quello che succede in questa nazione disperatamente complessa e non arriva alle sue conclusioni in base a quello ha visto con i propri occhi e ascoltato da israeliani e palestinesi reali nel loro contesto domestico, il valore della sua opinione è limitato.

In più, il solo fatto che spenda tempo e denaro per fare il viaggio mi convince che gli importi veramente. In fin dei conti il contrario dell’amore non è l’odio – ma sono la presa di distanza e l’indifferenza.

Finora il governo israeliano e quelli che lo appoggiano hanno condiviso questo approccio. Il governo israeliano e le organizzazioni non governative che lo appoggiano hanno investito milioni – probabilmente miliardi – con l’assunto che il Paese ed i suoi cittadini raccontano la loro storia al meglio e quelli che vogliono convincere devono essere portati qui.

E’ la convinzione che sottolinea “Birthright Israel” [“Eredità Israele”, organizzazione no profit che propone 10 giorni gratis in Israele a giovani di origine ebraica] ed è la ragione per cui il governo finanzia viaggi per opinionisti, celebrità dello spettacolo e dello sport in visita.

Questa è la ragione per cui le organizzazioni di ebrei americani dell’AIPAC, le federazioni ebraiche e J Street [organizzazione di ebrei statunitensi moderatamente critica verso il governo israeliano. Ndtr.] portano mediatori politici da Washington per visitare il Paese e parlare con la gente, invitandoli a testimoniare e a partecipare ai liberi, aperti e dinamici dibattiti nella società israeliana.

Tutti questi programmi si basano sull’assunto che quello che sta succedendo sul terreno è molto più ricco di sfumature degli slogan urlati nelle manifestazioni nei campus americani o nelle riunioni delle organizzazioni.

Mentre la nuova legge colpisce tutti – ebrei e non ebrei – i suoi effetti sulla nuova generazione nella relazione Israele-Diaspora saranno di certo particolarmente profondi.

Riconoscendo che molti nella loro comunità sono in contrasto con le politiche del governo israeliano, molte delle principali organizzazioni ebraiche americane hanno spostato il proprio discorso dalla “difesa di Israele” all’ “impegno per Israele”, nel tentativo di avvicinare le persone di ogni tendenza ideologica al Paese.

Pochi anni fa, durante una sessione sull’ “Impegno per Israele” in una conferenza di un’organizzazione ebraica, ho parlato di questo con Akiva Tor, capo dell’ufficio di questioni ebraiche mondiali al ministero degli Esteri.

Mi ha detto che, anche se “impegnarsi” non è sempre un’esperienza armoniosa e piacevole, lui pensava che molti israeliani preferissero questo piuttosto che la distanza e la disaffezione.

“Ci è del tutto chiaro che questo è il significato della parola “relazione”. Non sempre è facile:”

Ora per la prima volta Israele sta rifiutando gli ebrei della Diaspora che sono impegnati, che hanno un rapporto con Israele, che si preoccupano del suo destino in modo così profondo che stanno cercando di fare qualcosa in proposito, nella forma della scelta attiva di non appoggiare le colonie.

Con questa nuova legge il messaggio ai giovani ebrei ed al resto del mondo non è più: “Venite, guardate con i vostri occhi, discutiamone – anche con una discussione in cui io cerco di cambiare il vostro punto di vista. Sappiamo che è complicato, ma non interrompiamo la nostra relazione.”

Invece è: “Statevene lontani. Se non siete d’accordo con noi, qui non c’è posto per voi.”

(traduzione di Amedeo Rossi)




Divieto di ingresso in Israele: come il bando contro chi boicotta le colonie mi sta portando nelle braccia del BDS

Mira Sucharov – 7 marzo 2017,Haaretz

Il divieto di ingresso in Israele per chi boicotta le colonie ha lasciato me, come molti altri ebrei della diaspora contrari all’occupazione con forti legami con lo Stato ebraico, disorientata, frustrata e senza certezze.

Ora che Israele ha approvato una legge che vieta l’ingresso persino a quelli che chiedono un boicottaggio dei prodotti delle colonie, mi sto chiedendo se, dopo tutto questo, schierarmi a favore del BDS (boicottaggio, disinvestimento e sanzioni) vero e proprio. Spingermi nelle braccia del BDS non è probabilmente quello che i redattori della legge avevano in mente, ma una norma mal concepita spesso ha conseguenze inattese.

Nel 2012 ho scritto su Haaretz che “boicottare le colonie può permettere a quelli come noi che si oppongono all’occupazione una nuova e ben studiata espressione della nostra identità ebraica.” E’ un argomento che ho ripetuto qui sei mesi dopo.

E lo scorso autunno mi sono unita a oltre 300 altre persone firmando un boicottaggio delle colonie promosso da “Partner per un Israele progressista” [associazione statunitense legata al sionismo di sinistra. Ndtr.]. Curiosamente l’opposizione più rumorosa che ho sentito a proposito di questa petizione non è stata da parte dei sostenitori di Israele, ma da quelli del BDS.

In una lettera alla New York Review of Books [prestigiosa rivista culturale statunitense di sinistra. Ndtr.], in cui la petizione originale era stata pubblicata, cento attivisti BDS, compresi Alice Walker [famosa filosofa e teorica gender di origine ebraica. Ndtr.] e Roger Waters [leader del gruppo rock Pink Floyd. Ndtr.], hanno criticato l’appello.

Hanno scritto: “Sfidando il senso comune, la dichiarazione chiede il boicottaggio delle colonie mentre non tocca Israele, lo Stato che ha costruito e mantenuto illegalmente queste colonie per decenni.”

Ci sono legittime ragioni politiche e di strategia politica a favore di un boicottaggio solo delle colonie piuttosto che di un BDS totale. Ciò riapre il dibattito sulla Linea Verde [il confine tra Israele e la Cisgiordania prima dell’occupazione nel 1967. Ndtr.] e quindi ricorda all’opinione pubblica l’importanza di una soluzione dei due Stati.

Solleva l’illegittimità dell’occupazione. In breve, per alcuni il boicottaggio delle colonie è stata la classica espressione del sionismo progressista, il che ha portato Peter Beinart [noto giornalista progressista statunitense. Ndtr.] a definire un boicottaggio delle colonie una forma di “BDS sionista”, quando per primo ha delineato la sua visione di questo tipo di iniziativa.

E ci sono ragioni di principio corrette per opporsi a un BDS totale – in parte a causa del fatto che potrebbe limitare l’importante lavoro da persona a persona necessario per cambiare menti e cuori degli israeliani, e in parte perché ci sono alcune componenti dell’appello al BDS, in particolare il boicottaggio accademico, che pongono una sfida ad altri principi cruciali, in particolare la libertà accademica.

Ma, poiché la prospettiva di una soluzione dei due Stati si allontana rapidamente e la promessa del sionismo progressista perde il suo smalto ad ogni iniziativa per rafforzare ulteriormente l’occupazione, e se quelli di noi che vogliono mantenere i propri legami con il tipo di lavoro verso le persone, che ritenevamo fondamentale, non potranno più avervi accesso perché saremo in ogni caso bloccati, l’appello per il BDS sembra più giustificato.

E se uno accoglie l’affermazione secondo cui il boicottaggio accademico intende colpire le istituzioni e non gli individui (un’affermazione a cui non credo totalmente, ma che potrebbe essere portata avanti, come io stessa recentemente mi sono trovata a fare intervenendo in qualche modo in questo dibattito), e se l’idea di uno Stato ebraico ora sembra sempre più problematica alla luce della democrazia messa a dura prova in Israele e delle misure che prende per escludere, e se l’idea di chiedere un ritorno dei rifugiati [palestinesi] non sembra tanto sconvolgente per le nostre sensibilità culturali quanto poteva essere una volta, potrebbe essere tempo di un appello più convinto per la giustizia, utilizzando tutti i mezzi non violenti a disposizione.

Quando si tratta di BDS comprendo che ci ho girato faticosamente attorno e l’ho tenuto accuratamente a distanza in parte per rimanere negli elenchi (sufficientemente) buoni degli agenti della dogana israeliana all’aeroporto Ben Gurion.

Continuare ad entrare in Israele ha messo in ombra ogni mia azione di attivista. Ci sono state petizioni che non ho firmato per paura di vedermi negare l’ingresso. Ma ora che la Knesset non ha fatto nessuna distinzione tra il boicottaggio mirato e il BDS integrale, forse non ci sono ragioni perché ci asteniamo da entrambi.

Sto immaginando cosa proverò se nella mia prossima visita mi verrà davvero negato l’ingresso, mentre insisterò perché il mio interrogatorio si svolga in ebraico – la mia lingua preferita al mondo. Probabilmente proverò un misto di rabbia, frustrazione e vergogna. Proverò una grande delusione per non poter visitare la gente -familiari e amici – e i luoghi – urbani e rurali – che amo.

Probabilmente rimpiangerò di non aver richiesto la cittadinanza durante uno dei tre anni che ho vissuto nel Paese quando ero ventenne. Sentirò probabilmente un senso di dissonanza cognitiva per il fatto che il Paese a cui sono rimasta legata e con cui sono ancora così sdegnata per la sua precoce cecità riguardo all’ingiustizia e per il suo continuo scivolare verso la mancanza di libertà abbia ora utilizzato la stessa mentalità da assedio che una volta ho studiato e su cui ho fatto ricerca spassionatamente – per escludermi dai suoi muri da fortezza. In breve, mi sentirò disorientata, scossa e senza certezze.

Ma so che alla fine ho il mio Paese che mi garantisce libertà di espressione, di movimento e dalla violenza di Stato. Ciò è incommensurabilmente più di quanto abbiano i palestinesi che vivono sotto occupazione.

Mira Sucharov è professore associato di scienze politiche all’università Carleton di Ottawa.

(traduzione di Amedeo Rossi)




Editoriale// Netanyahu, secondo le sue stesse parole

Haaretz 6 marzo 2017

Sarebbe opportuno che Netanyahu dichiarasse all’opinione pubblica che crede nella soluzione dei due Stati, che è disposto ad un compromesso sui territori e comprende che l’espansione delle colonie deve essere fermata.

Il documento redatto dal Primo Ministro Benjamin Netanyahu e pubblicato da Haaretz domenica (Netanyahu ha offerto al leader dell’opposizione Herzog di insistere insieme per un’iniziativa di pace regionale – e poi ha fatto marcia indietro”, di Barak Ravid), è una buona notizia per gli israeliani che credono nella soluzione dei due Stati.

Il documento aveva il fine di rendere possibile la formazione di un governo di unità con il partito Laburista per avviare un accordo di pace regionale. Dal documento emerge che Netanyahu sostiene una soluzione diplomatica che comprende un compromesso territoriale, riconosce il popolo palestinese ed il suo diritto all’autodeterminazione e accetta che Israele debba interrompere l’attività di espansione delle colonie. Inoltre segnala che Netanyahu assume una visione positiva dello spirito generale dell’iniziativa di pace araba.

La dichiarazione di Netanyahu rivela che il primo ministro e il suo principale e rumoroso alleato della coalizione, Habayit Hayehudi (Casa Ebraica), che sostiene l’annessione dei territori occupati, hanno un’ampia divergenza ideologica. I membri di Casa Ebraica stanno approfittando di questa divergenza per condurre un’ingannevole campagna pubblicitaria, sostenendo che l’opinione pubblica ha abbandonato la soluzione dei due Stati e sogna invece l’annessione ed una nazione unica con due sistemi giuridici.

Negli ultimi anni in Israele si è sviluppata una cultura politica di basso profilo, in base alla quale i partiti politici devono mentire sui loro veri punti di vista diplomatici, o almeno essere il più possibile vaghi riguardo alla propria volontà di accettare un compromesso territoriale. Il ricordo dell’assassinio del primo ministro Yitzhak Rabin è un valido deterrente per chiunque pensi di contestare questa posizione. Sembra che anche l’alleanza tra il Likud e Casa Ebraica sia basata su questo tipo di menzogna.

Il risultato è che si crea una dinamica distruttiva: il partito dei coloni trascina a destra il governo, mentre il partito al potere è costretto a dimostrare, attraverso leggi e dichiarazioni, di essere più di destra, più estremista, più aggressivo e addirittura più razzista. Questo significa che un partito con soli otto seggi alla Knesset, che rappresenta una popolazione che vive in gran parte, se non del tutto, in un territorio al di fuori della sovranità dello Stato di Israele, sta imponendo una tragica e storica direzione, in base ai suoi propri interessi, che sono contrari a quelli della popolazione che vive all’interno di Israele nella sua totalità.

E’ possibile che Netanyahu abbia scritto il documento per prendere tempo fino al termine della presidenza di Barak Obama, oppure che abbia incominciato a preoccuparsi delle ripercussioni politiche di un processo diplomatico di così ampia portata. Ma se non è così e il documento rappresenta davvero la sua intenzione, allora sarebbe opportuno che dichiarasse all’opinione pubblica che crede nella soluzione dei due Stati, che è disposto ad un compromesso sui territori e comprende che l’espansione delle colonie deve essere fermata. Ciò renderebbe più facile riportare Israele sulla via della normalità e tendere la mano in pace ai nostri vicini. La stessa mano potrebbe dare l’addio al partito dei coloni.

(Traduzione di Cristiana Cavagna)




Netanyahu ha offerto al leader dell’opposizione di insistere insieme per un’iniziativa di pace regionale – e poi ha fatto marcia indietro

Barak Ravid – 5 marzo 2017 Haaretz

Netanyahu ed Herzog avevano raggiunto una sensazionale intesa sei mesi fa; una dichiarazione congiunta al Cairo, compresa la disponibilità per un compromesso territoriale e una riduzione della costruzione di colonie, era pronta ad essere seguita dall’annuncio di un governo di unità. Ma la crisi di Amona ha interrotto le trattative.

Sei mesi fa il primo ministro Benjamin Netanyahu ha inviato al leader dell’opposizione Isaac Herzog un documento contenente una dichiarazione congiunta per sollecitare un’iniziativa di pace regionale e stringere un governo israeliano di unità – prima di fare marcia indietro qualche settimana dopo.

Netanyahu ha mandato il documento ad Herzog sette mesi dopo un incontro di pace segreto ad Aqaba, Giordania, riportato due settimane fa da Haaretz.

Il documento rifletteva la volontà di Netanyahu di arrivare ad un compromesso territoriale in una soluzione dei due Stati con i palestinesi e un freno alla costruzione delle colonie.

Tre settimane dopo aver inviato la proposta e dopo aver concluso un accordo di massima, Netanyahu ha iniziato a tirarsi indietro durante la crisi politica in merito all’avamposto non autorizzato di Amona, in Cisgiordania. In ottobre i contatti tra le due parti si sono interrotti e alla fine sono falliti.

Il documento, consegnato da Netanyahu a Herzog il 13 settembre dopo due giorni di colloqui, era una bozza che avrebbero dovuto sottoporre ad un summit al Cairo o a Sharm el-Sheikh insieme al presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi e forse al re di Giordania Abdullah II. Quell’incontro avrebbe dovuto aver luogo all’inizio di ottobre.

Era previsto che il summit avrebbe lanciato l’iniziativa di pace regionale e poco dopo che Netanyahu ed Herzog fossero tornati in Israele, avrebbero dovuto annunciare l’inizio di una maratona negoziale per un governo di unità.

Una serie di leader internazionali sarebbero stati coinvolti nel processo; figure di spicco in Giordania e in Egitto, così come l’ex primo ministro britannico Tony Blair – che era direttamente coinvolto nei contatti – e l’ex- segretario di Stato USA John Kerry ed alcuni dei suoi consiglieri, sarebbero state informate del documento.

Ben Caspit, del quotidiano “Maariv”, ha riportato qualche mese fa alcuni dettagli della proposta, ma questa è la prima volta che il documento viene interamente pubblicato.

In risposta a questo articolo, l’ufficio del primo ministro ha affermato: “La descrizione relativa ad un possibile processo regionale che non è stato realizzato è totalmente falsa. L’argomento non ha niente a che fare con Amona. Il primo ministro Netanyahu è interessato a procedere in un’iniziativa regionale. Chiunque le abbia fornito questa informazione non è a conoscenza dei dettagli, o li sta falsificando.”

L’ufficio di Herzog ha rifiutato di commentare il documento, che viene riportato integralmente qui di seguito:

“Desideriamo ringraziare il presidente al-Sisi per la sua volontà di svolgere un ruolo attivo per far progredire la pace la sicurezza nella regione e rilanciare il processo di pace.

“Riaffermiamo il nostro impegno per la soluzione dei due Stati per due popoli e il nostro desiderio di perseguire questa soluzione.

“Israele desidera la fine del conflitto e di ogni rivendicazione, il riconoscimento mutuo tra due Stati nazionali, il rafforzamento della sicurezza e una soluzione territoriale condivisa che, tra le altre cose, riconosca i centri abitati esistenti.

“Nella ricerca della pace, Israele tende la mano ai palestinesi per iniziare negoziati diretti e bilaterali senza condizioni.

“Israele vede in modo positivo lo spirito generale dell’ iniziativa di pace araba e gli elementi positivi in essa contenuti. Israele apprezza il dialogo con gli Stati arabi riguardo a questa iniziativa, in modo da riflettere sui drammatici cambiamenti degli ultimi anni nella regione e lavorare insieme per procedere verso la soluzione dei due Stati e una pace più complessiva nella regione.

“Nel contesto dei rinnovati tentativi di pace, le attività di colonizzazione di Israele in Giudea e Samaria (la Cisgiordania) saranno messe in atto in modo da facilitare il dialogo per la pace e l’obiettivo dei due Stati per due popoli.

“Israele lavorerà con l’Autorità Nazionale Palestinese per migliorare in modo significativo le condizioni economiche e la cooperazione economica, anche nell’Area C [sotto totale controllo di Israele in base agli accordi di Oslo. Ndtr.] e per potenziare il coordinamento per la sicurezza.

“Israele auspica una stabilità a lungo termine a Gaza, compresa la ricostruzione umanitaria e concreti accordi per la sicurezza.”

Kerry, Sisi e [il re della Giordania] Abdullah nel febbraio 2016 sono stati presenti al summit di Aqaba, che è stato la base dei contatti tra Netanyahu ed Herzog per formare un governo di unità tra marzo e maggio. I loro contatti sono naufragati alla fine di agosto prima di essere ripresi.

Netanyahu e Kerry si sono incontrati il 26 giugno per una cena di sei ore nel ristorante “Pierluigi” di Roma. Hanno mangiato e bevuto, e si dice che Netanyahu abbia fumato in continuazione sigari cubani. Un ex-funzionario di alto livello USA, parlando in incognito, ha fornito qualche dettaglio della conversazione.

“Qual è il tuo piano per i palestinesi, cosa vuoi che succeda ora?” ha riferito che Kerry ha chiesto a Netanyahu.

Il primo ministro ha detto di auspicare di procedere insieme ai Paesi arabi con un’iniziativa regionale, basata sul piano in cinque punti che aveva presentato ad Aqaba quattro mesi prima.

Kerry ha detto a Netanyahu che i passi che egli aveva intenzione di intraprendere non erano sufficienti per far unire al piano di pace regionale Paesi arabi come Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti.

“Una dichiarazione positiva ma vaga sull’iniziativa di pace araba e passi simbolici sul terreno non ti aiuteranno a portare gli arabi al tavolo delle trattative. Lo so perché gliel’ho chiesto,” ha detto Kerry secondo quanto citato dal funzionario USA. “Non hai un percorso per tornare a colloqui diretti con i palestinesi o un canale di dialogo con i Paesi arabi. Sei arrivato al limite. Qual è il tuo piano?”

Kerry ha presentato a Netanyahu una versione aggiornata dell’iniziativa regionale che ha presentato ad Aqaba. All’inizio di giugno, trenta ministri degli Esteri si sono incontrati a Parigi per partecipare all’iniziativa di pace francese, ma Netanyahu ha snobbato la mossa francese. Kerry ha detto a Netanyahu che il piano aggiornato che suggeriva avrebbe sostituito l’iniziativa francese e incluso l’elemento regionale a cui il primo ministro teneva tanto.

La proposta di Kerry includeva una conferenza di pace regionale comprendente Israele, i palestinesi, i Paesi arabi sunniti come Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, con cui Israele non ha relazioni diplomatiche, la Russia, la Cina e l’Unione Europea. Kerry ha suggerito che la conferenza fosse tenuta sulla base degli stessi sei principi di accordo permanente che aveva presentato al summit di Aqaba e che includevano il riconoscimento di Israele come Stato ebraico.

Kerry ha detto a Netanyahu che Israele ed i palestinesi non avrebbero dovuto adottare i principi e avrebbero anche potuto esprimere pubblicamente riserve su di essi. Ma il summit avrebbe rilanciato i colloqui diretti [tra Israele ed i palestinesi. Ndtr.] e stabilito un canale di negoziato con i Paesi arabi. Ciò avrebbe incluso discussioni su un accordo di sicurezza regionale che Israele desidera e il riconoscimento da parte degli arabi e di molti Paesi occidentali di Israele come Stato ebraico.

Visita a sorpresa di un ministro egiziano

Un ex- funzionario di alto livello americano ha notato che Netanyahu non ha accettato né rifiutato la proposta di Kerry; ha semplicemente detto che ci avrebbe pensato. Ma due giorni dopo l’incontro con Netanyahu a Roma, Kerry ha chiamato Herzog e l’altra leader dell’alleanza “Unione Sionista”, Tzipi Livni. Kerry li ha informati delle sue conversazioni con Netanyahu e dell’iniziativa che aveva proposto, e ha chiesto loro con discrezione se per loro fosse possibile unirsi alla coalizione di governo.

L’iniziativa francese, insieme alla revisione di Kerry della sua proposta, ha intensificato la pressione su Netanyahu e lo ha portato a riprendere i suoi contatti con Sisi e Blair. Ancora una volta egli ha anche proposto un processo di pace regionale che aggirasse l’amministrazione Obama e non richiedesse ad Israele di impegnarsi sui sei principi di Kerry.

Il 10 luglio, due settimane dopo l’incontro con Kerry a Roma, il Ministro degli Esteri egiziano Sameh Shoukry si è recato a sorpresa in visita a Gerusalemme. E’ stata la prima visita in Israele di un ministro degli Esteri egiziano in un decennio, ed è stata preceduta da visite al Cairo dell’inviato di Netanyahu per il processo di pace, Isaac Molho. Durante la visita Shoukri ha incontrato Herzog così come Netanyahu.

Un importante funzionario israeliano informato dei contatti ha affermato che Shoukry è arrivato per verificare se Netanyahu avrebbe confermato quello che aveva detto a Sisi dopo il loro colloquio di metà maggio – che voleva che l’Egitto cercasse di instaurare un dialogo tra Israele ed i palestinesi, con l’appoggio degli Stati arabi. Shoukry ha detto a Netanyahu che l’Egitto voleva sapere quali passi il primo ministro avesse intenzione di compiere per far progredire l’iniziativa di pace, sottolineando che Sisi pensava ancora che portare l’Unione Sionista nella coalizione avrebbe dimostrato la serietà di Netanyahu. Shoukry ha esposto lo stesso messaggio a Herzog.

I contatti internazionali si sono ridotti d’intensità nelle settimane seguenti, nel mezzo dell’estate. Ma Kerry ha continuato a tenere conversazioni settimanali con Netanyahu e con molti altri leader regionali. Un ex alto funzionario diplomatico USA ha detto che Kerry si è rifiutato di arrendersi, nonostante i suoi consiglieri e la Casa Bianca gli dicessero che Netanyahu non era serio e che Kerry stava facendo un errore.

“La Casa Bianca ha detto a Kerry che il presidente Obama voleva lasciare Netanyahu e (il presidente Mahmoud) Abbas cuocere nel loro brodo, ma Kerry ha insistito perché la questione era molto importante per lui,” ha detto l’ ex alto funzionario diplomatico USA.

Il 21 agosto Kerry ha chiamato Herzog e Livni ancora una volta. Ha detto loro che intendeva visitare Egitto e Arabia Saudita entro poche settimane in un ultimo tentativo di fare pressione per una conferenza di pace regionale basata sui principi che aveva presentato a Netanyahu ad Aqaba e a Roma. I principi sarebbero stati sottoposti alla conferenza a nome di tutti i partecipanti, ma Israele ed i palestinesi avrebbero potuto sollevare obiezioni.

Secondo l’ex alto funzionario diplomatico USA e una fonte israeliana al corrente dei contatti, Kerry ha detto ad Herzog e Livni di credere di poter portare Netanyahu, Abbas e gli Stati arabi, compresa l’Arabia Saudita, a una simile conferenza, che avrebbe segnato un cambiamento storico per la regione.

Allora Kerry è arrivato al punto principale della sua telefonata: “Non voglio interferire nella politica israeliana,” ha detto. “Ma alla luce di queste circostanze, prendereste in considerazione la possibilità di unirvi alla coalizione [di governo in Israele. Ndtr.]? Anche questo sarebbe un cambiamento molto importante.”

L’ ex alto funzionario diplomatico USA e la fonte israeliana hanno rilevato che Livni non ha rifiutato le notazioni di Kerry, ma è sembrata molto scettica sulle intenzioni di Netanyahu. Anche Herzog, che era rimasto scottato da Netanyahu pochi mesi prima, era molto scettico, ma ha espresso la volontà di esaminare la proposta se avesse ricevuto da Paesi della regione indicazioni che la conferenza sarebbe stata un’iniziativa seria.

Quella settimana Herzog ha parlato con importanti funzionari di Egitto, Giordania e Stati arabi che non hanno rapporti diplomatici con Israele, in un tentativo di stabilire se un processo di pace regionale avesse una possibilità. In alcune conversazioni ha sentito che i leader arabi avevano intenzione di cooperare con l’iniziativa di Kerry, ma in altre l’approccio era piuttosto “sì, ma..”

Herzog si è reso conto che c’erano fondamentalmente due percorsi in competizione: quello di Kerry, che includeva principi per raggiungere un accordo permanente e tenere una conferenza importante, e un secondo guidato da Blair e dall’Egitto, che riguardava misure più limitate e un summit più ridotto e modesto.

Nell’ultima settimana di agosto, quando i contatti internazionali erano al loro massimo, Herzog ha ricevuto una telefonata da Netanyahu. Il primo ministro ha detto di voler cercare ancora una volta di progredire in un processo regionale con Sisi, e di voler sapere se Herzog avrebbe ancora una volta preso in considerazione di partecipare a un governo di coalizione. Herzog, molto scettico e prudente, ha fatto due richieste: sentire direttamente Egitto e Giordania sull’argomento e ricevere le proposte di pace di Netanyahu per iscritto.

Nei giorni seguenti entrambe le richieste di Herzog sono state esaudite. Primo, un inviato egiziano che si è recato in Israele gli ha detto che Sisi era davvero interessato a un processo di pace regionale e importanti funzionari giordani gli hanno inviato lo stesso messaggio per telefono. Secondo, il 13 settembre Netanyahu ha spedito ad Herzog il documento dell’iniziativa di pace, con una bozza della dichiarazione congiunta.

Nelle due settimane successive Netanyahu ed Herzog hanno tenuto intensi contatti, segnati da frequenti discussioni. Secondo un collega di Herzog, il leader dell’opposizione ha chiesto una serie di modifiche del documento. Primo, Herzog ha rifiutato la richiesta di Netanyahu che il termine “costruzione governativa” fosse utilizzato nella dichiarazione in riferimento alle colonie e ha chiesto che ogni riferimento includesse ogni tipo di costruzioni.

In più, Herzog ha chiesto che la sospensione delle costruzioni nelle colonie isolate al di fuori dei blocchi delle colonie non dipendesse dal fatto che ci fossero in corso colloqui con i palestinesi. Piuttosto le politiche a questo proposito sarebbero state stabilite da lui e da Netanyahu come politiche del governo, anche se questo non è stato detto apertamente. Netanyahu ha accettato tutti i punti, e la dichiarazione è stata riscritta per riflettere questo accordo.

Il secondo punto riguardava un significativo cambiamento nella politica israeliana rispetto al territorio della Cisgiordania classificato come Area C in base agli accordi di Oslo, in cui Israele detiene il controllo esclusivo, sia militare che civile, per consentire un maggiore sviluppo edilizio ed economico palestinese. Netanyahu ha accettato di chiarire questa questione nella dichiarazione.

Inoltre Herzog ha chiesto l’aggiunta al documento della dizione “Stato palestinese con continuità territoriale.” Netanyahu non era d’accordo, e le parti hanno continuato i negoziati sulla questione.

Progetti per una conferenza stampa sensazionale

Poco prima che Netanyahu lasciasse il Paese per andare all’assemblea generale dell’ONU alla fine di settembre, era stato raggiunto un accordo quasi totale sul linguaggio della dichiarazione. Per Molho l’obiettivo era di andare al Cairo per siglare l’accordo con l’Egitto appena Netanyahu fosse tornato da New York.

Al contempo Netanyahu ed Herzog si sarebbero recati segretamente all’inizio di ottobre al Cairo, dove si sarebbe tenuta una conferenza stampa sensazionale con Sisi e possibilmente anche con re Abdullah. Avrebbero letto la dichiarazione congiunta che avrebbe stabilito un’iniziativa di pace regionale guidata da Egitto e Giordania, con la partecipazione di altri Stati arabi.

Secondo il piano, subito dopo il loro ritorno dal Cairo, Netanyahu ed Herzog avrebbero tenuto una conferenza stampa all’aeroporto Ben Gurion a cui sarebbero stati presenti il Ministro della Difesa Avigdor Lieberman [del partito di estrema destra “Israele casa nostra”. Ndtr.] e il Ministro delle Finanze Moshe Kahlon [del partito di centro Kulanu. Ndtr.]. Sarebbe stato annunciato un governo di unità, e la presenza di Kahlon e Lieberman avrebbe dimostrato il loro appoggio alla dichiarazione del Cairo.

Il 20 settembre Netanyahu è arrivato a New York per l’assemblea generale dell’ONU. Nel suo discorso ha accennato all’iniziativa di pace regionale che era stata discussa dietro le quinte.

“Non ho rinunciato alla pace. Rimango impegnato in una visione di pace basata sui due Stati per due popoli. Credo come mai prima d’ora che i cambiamenti che stanno avendo luogo adesso nel mondo arabo offrano un’opportunità unica per promuovere questa pace,” ha affermato Netanyahu.

“Mi congratulo con il Presidente egiziano al-Sisi per i suoi tentativi di far progredire la pace e la stabilità nella nostra regione. Israele accoglie favorevolmente lo spirito dell’iniziativa di pace araba e un dialogo con gli Stati arabi per raggiungere una pace complessiva. Credo che, affinché questa pace complessiva sia pienamente raggiunta, i palestinesi ne debbano fare parte. Sono pronto ad iniziare negoziati per ottenerla oggi – non domani, non la prossima settimana, oggi.”

Due giorni dopo Netanyahu si è incontrato con Kerry a New York. Kerry lo ha informato dell’incontro dei Ministri degli Esteri del Quartetto [composto da ONU, UE, Russia, USA e Regno Unito. ndtr.] di pochi giorni prima, a cui aveva partecipato anche il Ministro degli Esteri saudita Adel al-Jubeir. Secondo un ex diplomatico di alto livello USA, Kerry ha detto a Netanyahu che Jubeir aveva chiarito che, se israeliani e palestinesi si fossero accordati sui principi dei negoziati e fossero stati fatti progressi, l’Arabia Saudita e altri Stati arabi sunniti avrebbero iniziato a fare passi per normalizzare i rapporti con Israele.

“Jubeir ha chiarito che i sauditi non lo avrebbero fatto solo in cambio di qualche permesso di lavoro israeliano concesso ai palestinesi,” come avrebbe detto Kerry, citato dall’ex diplomatico USA, a Netanyahu. Kerry ha nuovamente sollecitato Netanyahu ad accettare la sua proposta di una conferenza internazionale per raggiungere un accordo permanente e ha detto che i sauditi vi avrebbero partecipato.

“Abbiamo spostato il consenso internazionale nella tua direzione,” ha detto Kerry. “Perché non sei disposto ad accettare la mia proposta?”

Un ex diplomatico USA di alto livello ha affermato che Netanyahu ha detto a Kerry che era più propenso al processo con l’Egitto e con Herzog. “Sarebbe più facile per me andare avanti con Herzog all’interno della coalizione,” ha detto Netanyahu.

L’ex-diplomatico ha detto che Kerry a quel punto era disperato. “Capisco quello che stai facendo,” avrebbe detto Kerry a Netanyahu. “Stai cercando di prendere tempo fino a quando sarà insediata la nuova amministrazione.”

Netanyahu non lo ha negato. Il diplomatico ha detto che Netanyahu ha preferito il canale separato che stava gestendo con Herzog e l’Egitto.

“Netanyahu voleva controllare il processo,” ha affermato il diplomatico. “Voleva allargare la coalizione, voleva una piccola conferenza senza un eccessivo coinvolgimento internazionale, e, cosa più importante, non voleva i principi stabiliti da Kerry per un accordo finale. Quindi ha annacquato la proposta in tutti i modi possibili.”

Netanyahu ha telefonato ad Herzog alcune volte da New York e si sono accordati per incontrarsi subito dopo il ritorno di Netanyahu per stendere una dichiarazione congiunta e i dettagli per la costituzione di un governo di unità. Pochi minuti prima della partenza da New York i collaboratori di Netanyahu hanno contattato quelli di Herzog. Netanyahu è in genere cauto con le sue conversazioni telefoniche, teme intercettazioni, ma sembra che in questo caso volesse e persino sperasse che gli americani lo ascoltassero.

I consiglieri del primo ministro hanno chiarito ai collaboratori di Herzog che volevano mandare Molho al Cairo, e hanno chiesto un accordo finale sulla formulazione della dichiarazione. Benché rimanessero alcuni punti critici, Herzog ha ritenuto che quei problemi non fossero fondamentali e ha detto a Netanyahu che non avrebbero bloccato un accordo. Netanyahu è partito per Israele e la sensazione era che entro pochi giorni lui ed Herzog sarebbero andati al Cairo e avrebbero pronunciato una dichiarazione sensazionale.

Ma 12 ore dopo, una volta che Netanyahu è atterrato, non ha dato istruzioni a Molho di andare al Cairo.

Due giorni dopo l’ex-presidente Shimon Peres è morto, e per parecchi giorni non ci sono stati contatti tra Netanyahu ed Herzog sulla questione. Dopo Rosh Hashanah [il capodanno ebraico. Ndtr.] sono stati ripresi i contatti ma da parte di Netanyahu si è iniziato a cambiare approccio.

Molho, il capo di gabinetto di Netanyahu e Netanyahu hanno detto ad Herzog di voler aspettare di fare il passo fino alla soluzione della crisi di Amona, la cui evacuazione all’epoca era prevista per la fine di dicembre.

Da allora è risultato chiaro ad Herzog e ai suoi consiglieri che Netanyahu aveva cambiato idea e che l’occasione per un’iniziativa regionale e un governo di unità stava sfumando.

“Netanyahu ha iniziato a ritirarsi progressivamente dalla sua dichiarazione politica,” ha detto una fonte del partito Laburista coinvolta nei colloqui. “Un po’ alla volta ha cercato di fare marcia indietro da quello che era già stato concordato e ha cercato di posticiparlo a causa di Amona e delle pressioni di ” Habayit Hayehudi” [“Casa Ebraica”, partito di estrema destra dei coloni. Ndtr.]- suo alleato di destra nella coalizione.

I colloqui sono continuati per qualche giorno, compreso un difficile incontro fallito tra Netanyahu ed Herzog la mattina prima dello Yom Kippur [festività ebraica. Ndtr.]. Passata l’urgenza, non è restato altro ad entrambe le parti che dichiarare finiti i negoziati.

(traduzione di Amedeo Rossi)