Traumatiche esperienze dei bambini di Gaza

Infanzia perduta: a Gaza, la generazione dei più giovani cerca di affrontare i traumi a cinque anni dalla fine dell’ultima guerra

Sarah Algherbawi

11 settembre 2019 Mondoweiss

 

Ho visto di recente un documentario spagnolo di 45 minuti intitolato “Nacido en Gaza” (“Nato a Gaza”) che tratta l’impatto della guerra sui bambini e guardandolo la mia attenzione si è concentrata sul fatto che, anche molto tempo dopo che i carri armati se ne erano andati, i bambini provavano ancora lo stress e l’ansia della guerra. Un genitore non vorrebbe mai nemmeno immaginare che il proprio figlio o la propria figlia debbano provare dolori, perdite o paura, eppure a Gaza la generazione dei più piccoli deve affrontare il trauma dell’aver vissuto tre guerre negli ultimi dieci anni.

Negli anni 2008-09, 2012 e 2014, Gaza è stata in guerra contro Israele in un’escalation di violenza nella striscia costiera che ha raggiunto nuovi picchi dalla guerra del 1967 quando iniziò l’occupazione israeliana del territorio palestinese. Nell’ultima guerra del 2014 tra gli oltre 2200 civili palestinesi uccisi ci sono stati 551 bambini e oltre 3.000 sono stati i feriti. Sei civili israeliani sono stati uccisi e 270 bambini sono stati feriti.

Essere mamma di un piccolo di dieci mesi mi ha portato a riflettere sulle conseguenze della guerra per i bambini.

Nell’inchiesta pubblicata da Save the Children all’inizio di quest’anno, i ricercatori hanno rilevato che, nel 2018, il 62% dei bambini di Gaza riferisce sintomi di depressione e il 55% di angoscia. Oltre la metà dei bambini ha detto di sentirsi ansiosa e impaurita quando si trova lontano dai propri genitori. Molti hanno incubi notturni, il 53% bagna il letto. Sono stati intervistati anche i genitori e gli operatori sanitari che si occupano di loro e il 42% ha detto che i loro bambini hanno perso la capacità di parlare in seguito al trauma.

È allarmante che, nel 2010, uno studio condotto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e dal CDC [Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie, negli USA, ndtr.] abbia rilevato che a Gaza un quarto degli adolescenti fra i 13 e i 15 anni abbia detto di avere pensieri suicidi e di aver progettato di farlo nei 12 mesi precedenti. Nel Medio Oriente i giovani palestinesi hanno le percentuali più elevate di pensieri suicidi e, anche se i ricercatori non hanno analizzato il rapporto fra guerra e suicidio, i risultati riflettono il profondo senso di disperazione fra i bambini di Gaza.

Volevo intervistare dei bambini per avere un’idea più precisa di quello che ricordano della guerra e di come quei ricordi abbiano ancora un impatto sulla loro vita di oggi.

Sharif al-Namla, un bambino amputato

Un episodio della guerra del 2014 che gli abitanti di Gaza probabilmente non dimenticheranno mai è la storia della famiglia al-Namla, della cittadina di Rafah, nel sud di Gaza.

La mattina del primo agosto 2014, Israele avrebbe fatto ricorso alla direttiva Annibale, una procedura militare per rispondere con la forza alla cattura di un soldato [colpendo in modo indiscriminato il luogo in cui si presume sia presente il militare rapito, anche a rischio di ucciderlo, ndtr.]. All’epoca le forze israeliane stavano cercando Hadar Goldin, un soldato che si riteneva fosse stato fatto prigioniero da Hamas. Hadar e oltre 121 palestinesi, di cui almeno 72 civili [era in corso una tregua, ndtr.], furono uccisi durante i violenti scontri di quel giorno, il più sanguinoso della guerra, talvolta chiamato il “venerdì nero”.

Gruppi per i diritti umani hanno in seguito accusato Israele di aver commesso crimini di guerra, citando l’uso di cannoneggiamento con carri armati, sparatorie e attacchi aerei su civili.

Quel giorno Wael al-Namla, 27 anni, sua moglie Asraa e il piccolo Sharif di 3 anni stavano per lasciare la loro casa quando questa fu colpita da un missile. Nella distruzione tre parenti rimasero uccisi, Wael e il figlio persero una gamba, ad Asraa furono amputate entrambe le gambe e Sharif perse anche l’occhio destro.

Oggi Sharif ha otto anni.

“A Sharif non piace uscire di casa, si vergogna delle sue lesioni, a differenza dei suoi coetanei non parla molto e preferisce stare sempre da solo” mi ha detto il padre Wael.

Recentemente Wael ha convinto il figlio ad andare per un mese a un campo estivo a luglio. Il programma includeva 55 bambini che avevano perso gli arti a causa di malformazioni congenite o ferite.

Wael ha detto che il figlio ha bisogno di vari interventi chirurgici, sia all’occhio destro che alla gamba, per prepararla all’uso di un arto artificiale.

Wael ha detto che “Sharif era diventato più attivo dopo il campo, ma non è sufficiente perché avrebbe bisogno di molta assistenza e molto tempo per reinserirsi nella comunità.”

Zidan Qarmout

Il primo agosto 2014, il ventisettesimo giorno della guerra del 2014 fra Israele e Gaza, Zidan Qarmout aveva dieci anni e stava mangiando dei dolci, in piedi vicino a una finestra di casa. La guerra del 2014 durò 50 giorni ed è diventato comune riferirsi agli eventi aggiungendo anche il giorno in cui sono avvenuti, invece che solo con la data.

Durante la guerra, la mamma di Zidan, Monira, 50 anni, non permetteva ai suoi bambini di uscire di casa, neppure nelle lunghe ore di cessate il fuoco, quando gli altri bambini andavano fuori a giocare. Spiega che lo faceva per proteggerli dai proiettili vaganti nel loro quartiere. La famiglia vive nel campo profughi di Jabalia, a nord di Gaza, dove le forze israeliane attuarono un’invasione via terra.

Tre giorni prima, una scuola nel vicinato che fungeva da rifugio delle Nazioni Unite era stata colpita, gli abitanti della zona non si sentivano al sicuro. Improvvisamente fu sganciata una bomba vicino alla casa di Zidan mentre lui stava vicino alla finestra. Lo spostamento d’aria lo gettò a terra.

Si scoprì poi che l’esplosivo aveva colpito una casa che apparteneva alla famiglia Abu al-Qomsan, affittata alla famiglia Wahdan che era sfollata da Beit Hanoun dopo che dodici dei suoi membri erano stati uccisi in vari attacchi aerei israeliani. Questa esplosione uccise tre persone, fra cui due donne, e ne ferì dieci, incluso Zidan. In totale, 12.000 case furono distrutte durante la guerra del 2014.

Zidan fu ferito in modo lieve da schegge di proiettile che lo avevano colpito al volto e alle spalle. Fu portato in ospedale lo stesso giorno e rimandato a casa dopo essere stato medicato. Una vicina, un’infermiera, lo aiutava con le medicazioni a casa.

“Adesso sono passati cinque anni, ma non dimenticherò mai la palla di fuoco che è esplosa davanti ai miei occhi. Qualche volta, mentre dormo, mi sembra che mi stia inseguendo.” dice Zidan con voce esitante.

In seguito mi dice: “Da grande sarò un chirurgo o un dottore specializzato in trapianti del cuore. Guardo sempre documentari sui dottori e leggo molto, penso che ce la farò.”

Quella non era la prima guerra per Zidan. Quando aveva otto anni, nell’autunno del 2012, alle sei del mattino, lui e la sua famiglia si svegliarono, fra colonne di polvere, al suono di pietre che bersagliavano la loro casa appena costruita. La casa dei vicini, quella della famiglia Salah, era stata colpita da tre missili lanciati da un caccia F-16.

“Durante la seconda guerra avevo otto anni, ogni notte di solito andavo a letto accanto a mia mamma. Quella notte improvvisamente lei mi ha afferrato per la mano e trascinato fuori dalla stanza, io non vedevo niente per la polvere e la puzza di polvere da sparo che riempiva la casa”. Con difficoltà siamo riusciti a trovare la via d’uscita, siamo andati giù per le scale, quasi completamente distrutte, finché siamo arrivati a pianterreno. Ancora oggi non riesco a credere di essere vivo” mi ha detto Zidan.

Oggi Zidan ha quindici anni, è il più giovane di sei tra fratelli e sorelle. La mamma, Monira, lo descrive come “un bambino molto intelligente, prende sempre i voti più alti della classe. Ma ha un carattere nervoso che si aggrava con ogni escalation e ad ogni violenza israeliana.”

Ma l’evento più traumatico che Zidan abbia mai subito durante la sua giovane vita non è stato in tempo di guerra. Il 4 febbraio 2008 il padre fu ucciso in un raid aereo israeliano perché era un membro del braccio armato dei Comitati Popolari di Resistenza a Gaza, che gli Usa e Israele considerano un gruppo terroristico.

“Io non ricordo molte cose di me e papà, ero molto piccolo, ma lo ricordo quando mi portava sulle spalle e io gli tiravo i capelli e poi ci mettevamo tutti e due a ridere.” ha aggiunto Zidan.

Ahmad Abu Dahrouj e sua cugina, la piccola Jana

La storia di Zidan non è un caso unico. Molti bambini a Gaza sono sopravvissuti ai bombardamenti e sono stati costretti a lasciare le loro case durante le guerre. Nel 2014 oltre 500.000 palestinesi, circa un terzo della popolazione, sono sfollati.

Nello stesso studio di Save the Children si segnala che il 78% degli adulti che si prendono cura di loro hanno riportato che i bambini erano spaventati dai rumori di bombardamenti, aerei e droni, mentre il 60% di bambini e genitori ha detto che si sentono in uno stato di “insicurezza costante” in attesa di bombardamenti o della ripresa della guerra.

Durante la guerra del 2014, Ahmad Abu Dahrouj, di dieci anni, aveva lasciato casa sua con i genitori e gli altri due fratelli per rifugiarsi in quella del nonno, nel centro di Gaza City.

All’inizio della guerra tutte le zie di Ahmad con le loro famiglie si erano trasferite dal nonno. Ahmad era molto affezionato alla zia più giovane, Susan, che allora aveva ventidue anni ed era sfollata da casa sua nel campo di al-Buraij, specialmente perché sua figlia, la piccola Jana di un anno, era la compagna di giochi preferita da Ahmad.

“Ovunque andassi Jana mi seguiva, mia zia ci teneva insieme quasi tutto il tempo passato dal nonno, appena lasciavo Jana per pochi minuti si metteva subito a piangere.” dice Ahmad.

Il 29 luglio 2014, durante un cessate il fuoco temporaneo, Susan decise di tornare a casa sua ad al-Buraij, portando con sé Jana. Più tardi quella sera, lo zio di Ahmad, Ramadan, di 35 anni, decise di andare a trovare Susan per vedere come stava e portò con sé Ahmad in moto. Nell’istante in cui Ahmad e Ramdan arrivarono, un’enorme esplosione colpì il posto. “Io sono caduto a terra, ricordo solo il buio e le pietre che volavano in aria.” ricorda Ahmad.

Quando la polvere si diradò, Ahmad vide che il punto di impatto era la casa di Susan, da dietro la moto vide arrivare le ambulanze e i primi soccorritori con in braccio Susan che era viva, ma ferita. Trenta minuti dopo trovarono Jana senza vita, sotto le macerie.

“Ricordo ancora il corpo bruciato di Jana, rivedo il suo corpo ogni volta che vado a casa del nonno. In effetti, odio andarci dopo quello che è successo.”

Ahmad non ha detto molto altro su quel giorno, ma è sicuro che non ci sono parole per descrivere quello che ha visto. Spera un giorno di rendere onore alla memoria di Jana. Adesso si allena con una squadra di parkour, uno sport acrobatico urbano.

“Quando diventerò un allenatore di questo sport formerò una squadra e la chiamerò Jana, per rendere immortale la mia piccola amica di infanzia.” afferma.

Sarah Abu el-Tarabesh, un’attrice e una pittrice promettente

Fra i bambini che ho intervistato per questo articolo c’è Sarah, la sorella di mio marito, che adesso ha tredici anni. La sua storia è un po’ diversa da quella degli altri bambini.

Sarah aveva solo otto anni durante l’ultima guerra, non è stata ferita, non ha perso né la casa né qualche parente. Tuttavia aveva preso parte a una locale produzione televisiva, “Diari di un bambino innocente”, in cui c’era la scena della visita di una bambina ai siti bombardati durante la guerra del 2014.

Di questa esperienza Sarah dice: “Non mi aspettavo che la guerra potesse causare tutta questa distruzione, la prima volta che ho visto i posti distrutti sono rimasta sconvolta. Da allora, ogni volta che sapevo di dover girare un nuovo video, non potevo dormire la notte immaginando i posti che avrei visto il giorno dopo.”

“Quando hanno trasmesso i film non li ho guardati, non volevo rivedere la distruzione, continuavo a guardare solo l’episodio in cui io distribuisco dei fiori” aggiunge Sarah, descrivendo la scena dei fiori, un simbolo di rinascita. Oggi la mano sinistra di Sarah trema ogni volta che viene sorpresa da un forte rumore.

“Odio la nostra casa durante le guerre e le escalation” dice. Il tetto di asbesto, come molti a Gaza, “fa un rumore molto forte che mi terrorizza, mi sembra che ogni missile che cade piomberà sulla nostra casa.”

Anche se Sarah è ancora sconvolta dalla guerra, c’è stato un risvolto positivo, perché ha imparato a esprimere i suoi sentimenti dipingendo.

“Non mi aspettavo di diventare una pittrice, ho sempre sognato di essere una corrispondente per un giornale, ma sembra che le mie aspirazioni siano cambiate da quando ho cominciato a disegnare dopo la guerra del 2014” sostiene.

 

Sarah Algherbawi è una scrittrice e traduttrice freelance di Gaza.

 

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)