Su un punto il diritto internazionale è chiaro: le colonie israeliane sono illegali

Richard Falk

22 novembre 2019 Middle East Eye

Nonostante l’affermazione contraria dell’amministrazione americana, non vi è alcun dubbio sull’illegalità dell’invasione coloniale di Israele

Questa settimana il Segretario di Stato americano Mike Pompeo ha riempito le prime pagine dei giornali di tutto il mondo annunciando che gli Stati Uniti hanno rivisto la propria posizione e non considerano più le colonie israeliane come una violazione del diritto internazionale.

In una delle dichiarazioni pubbliche più stupide della nostra epoca, Pompeo ha spiegato che “le discussioni su chi ha ragione e chi ha torto riguardo al diritto internazionale non condurranno alla pace”. Anzitutto è una cosa stupida perché non c’è un vero dibattito sull’illegalità delle colonie: fino a quando gli Stati Uniti non si sono espressi a loro volta in questo senso, Israele era il solo a difendere la loro legalità. . 

Inoltre il ruolo del diritto internazionale è di regolamentare il comportamento appropriato degli Stati sovrani –non di fare la pace negando la pertinenza della legge, cosa che assomiglia molto ad un incoraggiamento alla legge della giungla.

« Realtà sul terreno »

Pompeo ha tolto ogni dubbio sulla questione quando ha giustificato questo cambiamento nella posizione degli Stati Uniti ammettendo che essi “riconoscono la realtà sul terreno”. In altri termini, i comportamenti fuori dalle regole possono diventare leciti se vengono mantenuti abbastanza a lungo con la forza – una logica che non solo sfida il diritto internazionale, ma è anche contraria agli obblighi giuridici fondamentali sanciti dalla Carta delle Nazioni Unite.

Soprattutto nell’ambito della pace e della sicurezza, il diritto internazionale può essere in qualche misura ambiguo. Possono essere ragionevolmente sostenute posizioni opposte, che vengono risolte o da un tribunale riconosciuto o da una prassi prolungata nel tempo.

Tuttavia l’insediamento di colonie sul territorio palestinese occupato è un esempio di questione sulla quale non è possibile presentare argomentazioni responsabili a favore della loro legalità.

L’illegalità dell’insediamento dei coloni è stata evidenziata più volte da osservatori informati come il più grande ostacolo alla pace e la dimostrazione più forte ed impudente del disprezzo israeliano nei confronti del diritto internazionale.

Dunque, Washington ha dato la sua benedizione ad Israele, permettendogli di fare in futuro ciò che vuole riguardo alle colonie – e peraltro nell’insieme della Cisgiordania occupata? Dopo tutto, se la Casa Bianca approva d’ora in poi l’annessione delle alture del Golan nel territorio sovrano siriano, la Cisgiordania potrebbe essere considerata insignificante.

La chiarezza del diritto internazionale sulla questione delle colonie israeliane deriva in parte dal fatto inusuale che esse sono state dichiarate ufficialmente illegali dalle principali fonti autorevoli di supervisione internazionale. Molti esempi emblematici dimostrano questo consenso.

Il diritto internazionale unanime

In primo luogo, l’art. 49 della Quarta Convenzione di Ginevra stabilisce che “una potenza occupante non potrà procedere alla deportazione o al trasferimento di parte della propria popolazione civile nel territorio da essa occupato.” Questa importante disposizione del diritto internazionale umanitario è universalmente intesa come divieto di insediare colonie israeliane in qualunque parte dei territori palestinesi occupati.

Se Israele rispettasse il diritto internazionale avrebbe dovuto interrompere le proprie attività di colonizzazione e smantellare ciò che è stato costruito negli anni successivi alla guerra del 1967. Al contrario Israele ha continuato a costruire colonie, a ritmo accelerato, accampando la pretestuosa giustificazione secondo cui gli israeliani devono poter vivere dove vogliono in Palestina.

Israele non considera nemmeno le zone di Gerusalemme e della Cisgiordania dove ci sono le colonie come “occupate” in senso giuridico, ma come facenti parte della “terra promessa”.

In secondo luogo, la Corte Internazionale di Giustizia nel 2004 ha ribadito con forza l’illegalità della costruzione di colonie israeliane in territorio occupato – e con una decisione approvata con 14 voti contro 1, ha dato prova di un livello di unità molto raro.

La Corte ha sottolineato che il muro di separazione era stato costruito in modo da lasciare dal lato israeliano l’80% della popolazione dei coloni, notando di passaggio che le colonie erano state insediate in violazione della legge in vigore. Israele ha rifiutato di conformarsi a questa sentenza definitiva, sottolineando il suo carattere “consultivo”.

In terzo luogo, nel dicembre 2016 il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha adottato la Risoluzione 2334, stabilendo con votazione di 14 a 0 che le colonie non avevano alcuna validità giuridica. Gli Stati Uniti si sono astenuti al momento del voto. Questa Risoluzione afferma che le colonie costituiscono “una violazione flagrante del diritto internazionale ed un grave ostacolo alla realizzazione della soluzione di due Stati e ad una pace giusta, duratura e globale.” Sottolineava così esattamente l’opposto di ciò che ha sostenuto Pompeo.

Importanza geopolitica

Nessun Paese può, per decreto, influenzare lo statuto giuridico dell’attività di colonizzazione israeliana. Ciò che Pompeo ha dichiarato è un’evoluzione della posizione politica del governo americano. Essa è insignificante sul piano giuridico, ma significativa su quello geopolitico.

I portavoce di Trump hanno cercato di minimizzare questa evoluzione ricordando che Ronald Reagan, quando era presidente, una volta aveva detto in modo informale di non pensare che le colonie fossero illegali – ma, e questo spesso non viene preso in considerazione, aveva proseguito suggerendo che l’espansione della colonizzazione era d’altro canto “una inutile provocazione”.

Più pertinente era la corrispondenza tra l’ex presidente americano George W. Bush e l’ex Primo Ministro israeliano Ariel Sharon nel 2004, in cui convenivano che qualunque accordo possibile di pace con i palestinesi avrebbe consentito alle colonie lungo la frontiera di essere incorporate ad Israele.

Ancora una volta un tale accordo parallelo era privo di basi giuridiche, non rappresentando nulla più che una pacca sulle spalle geopolitica ad Israele – ma era un efficace segnale di ciò che Israele e gli Stati Uniti avrebbero preteso nei futuri negoziati di pace.

Ciò che rende diversa la dichiarazione di Pompeo è la sua posizione riguardo ad altre controverse decisioni di Trump e il suo linguaggio assolutorio, che incita Israele a procedere con l’annessione. É un altro esempio dell’eccessiva ambizione degli Stati Uniti.

Ultimo chiodo sulla bara

La resistenza palestinese resta forte, come dimostra la Grande Marcia del Ritorno lungo la barriera tra Gaza e Israele, e le iniziative di solidarietà internazionale si rafforzano – una realtà che Israele sembra ammettere, diffamando i suoi oppositori non violenti con le accuse di antisemitismo.

La nuova retorica sulle colonie segue lo schema stabilito dall’amministrazione Trump: disconoscere il consenso internazionale sulle questioni chiave riguardanti i diritti e i doveri degli Stati.

Le mosse salienti di questa tendenza nel contesto palestinese comprendono il trasferimento dell’ambasciata degli Stati Uniti a Gerusalemme, l’approvazione dell’annessione israeliana delle alture del Golan ed ora l’eliminazione come non pertinente dell’illegalità delle colonie israeliane.

Questa iniziativa è stata condannata negli ambienti diplomatici come l’ultimo chiodo sulla bara della soluzione di due Stati. Essa sposta la bussola politica verso una soluzione con un solo Stato, con la probabilità del dominio ebraico e dell’assoggettamento dei palestinesi entro una struttura statale che assomiglia e si comporta sempre più come un regime di apartheid.

E’ dunque la fine della lotta palestinese? Non credo. La resistenza palestinese e il movimento mondiale di solidarietà racconteranno al mondo un’altra storia.

Richard Falk è un esperto di diritto internazionale e relazioni internazionali, che ha insegnato all’università di Princeton per 40 anni. Nel 2008 è stato anche nominato dall’ONU con un incarico di sei anni come relatore speciale sui diritti umani nei territori palestinesi.

Le opinioni espresse in questo articolo impegnano solo l’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye

(Traduzione dal francese di Cristiana Cavagna)