Apeirogon: un altro passo falso colonialista dell’editoria commerciale

Susan Abulhawa

11 marzo 2020 – Al Jazeera

L’ultimo romanzo di Colum McCann mistifica la situazione della colonizzazione della Palestina presentandola come un ‘conflitto complicato’ fra due parti eguali.

Il regista hollywoodiano Steven Spielberg ha recentemente acquistato i diritti cinematografici di un romanzo su ” Israele Palestina ” prima della sua pubblicazione, fatto che potrebbe riportarci a vivere un momento culturale di un deplorevole deja vu.

A metà degli anni ’50, i potenti produttori di Hollywood finanziarono la stesura di un romanzo di Leon Uris per vendere all’immaginazione popolare occidentale le tesi filo-israeliane.

Il resultato fu “Exodus”, un best seller che diventò un blockbuster nelle sale. Narra una storia vera (una nave che trasportava rifugiati ebrei diretta in Palestina) che fu all’origine di un mito costruito ad arte – una terra senza popolo per un popolo senza terra – che serviva a metter in ombra i custodi indigeni di quella terra.

Era il romantico lieto fine di cui l’Europa aveva bisogno dopo il genocidio della propria popolazione ebrea. Milioni di persone se lo sono bevuto e l’hanno accettato come verità assoluta, per giunta con l’autorità della Bibbia.

Ma era una bugia, come adesso tutti sanno.

La Palestina aveva un’antica e articolata organizzazione sociale e quando i sionisti europei calarono sul loro Paese, commettendo massacri e pogrom ben documentati per espellere i palestinesi, questi invocarono invano l’aiuto del resto del mondo. Solo quando ci siamo organizzati in una guerriglia armata e abbiamo dirottato degli aeroplani il mondo è stato finalmente costretto a fare i conti con la nostra esistenza.

Non potendo più sostenere la tesi che la Palestina fosse sempre stata disabitata, i sionisti hanno cambiato la narrativa tramite innumerevoli film, libri e annunci pubblicitari che caricaturizzavano i palestinesi appiattendoli nell’unica dimensione di terroristi arabi irrazionali, immagini che persistono ancora nei media popolari.

Poi è arrivato Internet e i social hanno reso il mondo più piccolo. Di colpo, le masse hanno avuto accesso a video, foto, resoconti di testimoni oculari, media indipendenti, certificazioni delle violazioni dei diritti umani e relazioni ONU che mettevano a nudo la sadica oppressione dei palestinesi.

‘È complicato’ e altri miti mutevoli

Negli ultimi vent’anni Israele si è trovato in difficoltà nel tentativo di approntare una strategia per affrontare questa scoperta nota a tutti del suo marciume coloniale. È diventato più difficile nascondere l’umanità dei palestinesi.

Israele ha siglato un accordo con Facebook e collaborato con altre grandi compagnie di social media per censurare le pagine palestinesi; ha bollato i critici di Israele come antisemiti, distruggendo carriere e anche peggio; ha messo in piedi un “Progetto di guerra giudiziaria” per trascinare studenti e attivisti in tribunale; e, con successo, ha promosso all’estero leggi che criminalizzano le critiche a Israele.

Sul fronte culturale, Israele ha utilizzato delle campagne di pubbliche relazioni con le quali i suoi sostenitori hanno impregnato il discorso pubblico con citazioni quali: “è complicato” – un “conflitto” che “va avanti da migliaia di anni “.

Purtroppo ci viene propinato il racconto delle “due parti” come se la distruzione di una società indigena indifesa sia una questione di due parti uguali che semplicemente non si capiscono, ma che avrebbero solo bisogno di una spintarella, forse un po’ più di dialogo, per amarsi, e voilà! Kumbaya [“Vieni qui”, titolo di uno spiritual degli anni ’30, ndtr.], mio Signore.

Però nessuno di questi grandi sforzi ha smorzato la crescita della campagna del BDS, Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni, un movimento globale di resistenza popolare che ha coinvolto, ovunque nel mondo, milioni di persone stanche della straordinaria impunità di Israele e della ininterrotta colonizzazione della Palestina.

In breve, nulla è riuscito a replicare lo spettacolare exploit pubblicitario di “Exodus”. Fino ad ora, forse.

Apeirogon

Entra Apeirogon.

Un apeirogon è un poligono con un numero infinito di lati. È anche il titolo dell’ultimo romanzo di Colum McCann, una specie di sostegno infinito al discorso di Israele dei “due lati”.

Il romanzo è più una biografia che un’opera di narrativa. È basato su una storia vera, quella di un’amicizia fra un palestinese e un israeliano. Bassam Aramin è un palestinese la cui figlia, Abir, fu uccisa con un colpo sparato alla testa da un soldato israeliano nel 2007 e Rami Elhanan è un israeliano la cui figlia, Smadar, fu uccisa in un attacco suicida nel 1997.

Il suo messaggio centrale è quello del potere dell’empatia ed entrambi i protagonisti hanno espresso un totale sostegno al libro. Io ho parlato con Bassam Aramin che mi ha informata che loro tre andranno insieme in tournée. Ma, come Exodus, racconta una storia vera per vendere una bugia molto più grande.

Colonizzatori e nativi

Immaginate questo, per prendere a prestito lo stile narrativo di McCann: da qualche parte nella Riserva di Pine Ridge, una ragazzina della Nazione Oglala Lakota, la cui testa viene fatta esplodere dal figlio irritabile di un colonizzatore bianco, muore dissanguata tra le braccia del padre che non può far nulla per lei. Un altro colonizzatore bianco fa amicizia con il padre della fanciulla nativa (deve essere su iniziativa dell’uomo bianco, perché il padre non può lasciare la riserva) e fra i due uomini sboccia un’amicizia basata sul dolore condiviso di aver perso una figlia. La figlia del bianco è stata uccisa da un gruppo di giovani guerrieri che avevano attaccato un insediamento che aveva invaso le loro terre. L’amicizia fra i due uomini è sincera. La perdita che ogni giorno li tormenta è la stessa.

Ed ecco che arriva uno scrittore che è così commosso dalla loro insolita amicizia, dalla storia che ci sta dietro e da quello che lui pensa rappresenti una speranza per il futuro della Nazione, da decidere di scrivere un libro su di loro. È una specie di tentativo di amplificare le voci di pace, nato dalla convinzione ostinata che si possa risolvere qualsiasi cosa tramite il benevolo entusiasmo di gente ben intenzionata.

Lo scrittore non cerca di nascondere gli orrori inflitti sui corpi dei nativi. Anzi, presenta la vera faccia della violenza e dei traumi inflitti dai colonizzatori. Ma qui sta il trucco: lui presenta la violenza di una ribellione dei nativi locali nello stesso modo e descrive l’insicurezza e la paura che i colonizzatori bianchi devono tragicamente subire quale conseguenza della resistenza indigena contro le loro colonie.

Vedete? C’è un’implicita equiparazione. Tutte le paure sono le stesse, tutta la violenza è la stessa, tutta l’insicurezza è la stessa. Il padre degli Oglala Sioux racconta allo scrittore di come, attraverso questa amicizia, sia riuscito a vedere, per la prima volta, l’umanità dei bianchi. L’uomo bianco gli dice lo stesso a proposito dell’umanità degli indigeni.

E così, il motore genocida del colonialismo americano che, insieme alla schiavitù, ne ha sostenuto l’intera economia, diventa semplicemente un grande malinteso, un problema da risolvere con il dialogo, l’empatia e la semplice comprensione che, come dice McCann, citando la rivelazione del suo protagonista palestinese: “Anche loro hanno delle famiglie.”

Sostituite i palestinesi con gli Oglala Lakota, la Palestina invece della Riserva di Pine Ridge e mettete gli israeliani al posto dei colonizzatori bianchi (anche se questi non hanno bisogno di essere sostituiti) e avrete, in poche parole, il romanzo di Colum McCann, molto pubblicizzato e molto atteso, che potrebbe diventare probabilmente un film di gran successo.

Voglio chiarire che non sto paragonando, o mettendo sullo stesso piano, forme o esempi di ingiustizia. Sto cercando di ribadire, usando un momento storico orrendo che è stato compreso solo retrospettivamente, che è il massimo della menzogna suggerire che le storie di relazioni individuali in circostanze in cui le differenze fra le forze sono enormi non sono altro che la normalizzazione di un evento secondario e certamente non una critica alle macchinazioni che sostengono un’oppressione strutturale.

Si può anche fare paragoni con l’apartheid in South Africa in un bantustan [territori semiautonomi in cui venivano relegati i nativi africani, ndtr.], o con il Belgio in Congo, o con la Germana nazista nel ghetto di Varsavia o con il Ku Klux Klan nel Mississippi. Dopotutto, anche i membri di quelle orribili istituzioni avevano delle famiglie, no?

Exodus 2.0

Apeirogon potenzialmente è un Exodus 2.0, una nuova versione, riorganizzata e adeguata alla crescente consapevolezza dell’opinione pubblica delle sofferenze palestinesi sotto il giogo di un inarrestabile orrore israeliano.

Ho chiesto a Bassam se l’avesse letto. “Ho provato, ma era troppo doloroso, ” ha detto. Riesco a capire perché, dato che McCann amplia i dettagli delle uccisioni delle due ragazzine, spargendone pezzetti qui e là in centinaia di pagine, aggiungendo un nuovo dettaglio ad ogni ripetizione, fino a che uno non è più così sorpreso da quello che era straziante da leggere molte volte nelle prime pagine. È un modo interessante per descrivere la normalizzazione della violenza, se questo è quello che McCann intendeva fare.

Intervallati nella storia, ci sono cuciti insieme pezzi diversi di informazioni, dai modelli di migrazione degli uccelli ai re antichi, dalla Cappella Sistina agli esplosivi, in una specie di profondità obbligata che mira a legare insieme tutte le cose, ovunque, in ogni tempo, tutto ciò che, in qualche modo, riguarda “Israele Palestina “.

In altre parole: “tutto è così tanto, tanto complicato.”

Prendete, per esempio, l’idea che il nucleo di ‘Fat Man’, la bomba atomica usata dagli USA per sterminare ogni cosa che si muovesse, ondeggiasse, saltasse, volasse o respirasse nella città di Nagasaki avesse “le dimensioni di un sasso che può essere lanciato ” (presumibilmente dalle mani di un ragazzino palestinese).

Il centro drammatico della peggiore paura di ogni genitore è intrecciato in questo vertiginoso caleidoscopio di banalità mondiali. Queste mi sarebbero piaciute se non agissero come uno specchietto per le allodole linguistico, offuscando quella che è veramente la più semplice, vecchia vicenda nella storia dell’umanità: un potente gruppo di persone ruba una terra, la colonizza e cerca di togliere di mezzo gli indigeni.

Le paludi di Hule

McCann dedica molto spazio del libro agli uccelli – le loro singole specie, i modelli delle migrazioni e le relazioni ornitologiche. Ma da nessuna parte cita che, all’incirca nel momento in cui Leon Uris stava scrivendo Exodus, Israele stava prosciugando le paludi di Hule, che chiamava una “palude malarica”. Il progetto era pubblicizzato come ingegnosità sionista. Gli ebrei europei dichiararono che stavano ” redimendo la terra ” che, dicevano loro, era stata lasciata andare in rovina dagli arabi arretrati.

In realtà, questi nuovi coloni europei distrussero un vasto tesoro della biodiversità regionale che era stato un grande luogo di sosta dove centinaia di milioni di uccelli migratori si rifocillano. Si stima che oltre 100 specie animali scomparvero dall’area o si estinsero.

Questo episodio della storia sionista è probabilmente l’analogia migliore con il libro di McCann: un progetto ambizioso per “redimere”, concepito da stranieri, che non sapevano niente del luogo, della sua storia ed ecologia; desiderosi di rimediare, civilizzare e avanzare delle pretese, ben intenzionati; fiduciosi della loro propria gloria, ma in realità profondamente pericolosi – in modo irreparabile per le vite dei più vulnerabili.

Rafforzando il concetto di “conflitto complicato” fra “due parti”, il libro racconta una scena in cui una soldatessa israeliana, brandendo una pistola, lega, insulta e picchia Bassam Aramin, disarmato, con le mani in alto in segno di resa con una macchia rosa sui palmi. Ore dopo, quando la soldatessa si rende conto che la macchia rosa veniva dai dolcetti della figlia di Bassam ammazzata e non da un esplosivo, è veramente dispiaciuta. Chi può biasimare la padrona della piantagione se, a ragione, è un po’ impaurita dei negri con palmi macchiati? Come se picchiare i palestinesi ai checkpoint non fosse abituale, o come se i cecchini israeliani non ci ammazzassero per sport, inneggiando quando fanno centro.”

Al lettore viene detto parecchie volte che Rami Elhanan Gold proviene da una famiglia “antica”, un abitante di Gerusalemme da “sette generazioni.” Ma non ci viene detto cosa ciò significhi.

Primo, Rami proviene da una piccola minoranza di ebrei israeliani che in realtà può far risalire la propria stirpe nel Paese a prima della Seconda Guerra Mondiale. Secondo, è parte di una minoranza persino più piccola, il cui lignaggio in Palestine risale a prima della Prima Guerra Mondiale. Terzo, gli antenati di Rami, come tutti i “popoli del libro” (quelli con religioni monoteiste) erano stati accolti e protetti in Palestina sotto il governo musulmano, durato oltre 1200 anni.

Quarto, nulla di tutto ciò impedì a Rami o ai suoi genitori di impugnare le armi contro i loro vicini non-ebrei quando il sionismo promise di dar loro potere e proprietà. Che slealtà.

Le storie che McCann sceglie di non rivelare sono, beh, rivelatrici.

Per la cronaca, io sono di Gerusalemme da almeno 22 generazioni. Israele mi ha buttata fuori dalla mia patria quando avevo 13 anni. Perché ero una “illegale”.

In nessun modo sapere che anche gli israeliani “hanno una famiglia ” mi costringerà mai ad accettare il mio esilio forzato.

Tali scomode verità, o persone scomode, non hanno un posto nelle narrazioni coloniali riduzioniste di empatia e dialogo.

Chi racconta la storia

Per anni, Spielberg e la sua famiglia hanno raccolto fondi e sostenuto Israele e la sua occupazione della Palestina. Che progetti di trasporre questo libro sul grande schermo è totalmente in linea con le sue dichiarazioni secondo cui darebbe la vita per Israele.

Io non capisco perché McCann gli abbia venduto i diritti. Temo che, proprio come gli uomini bianchi privilegiati hanno usato Exodus per vendere una montatura coloniale nel 1958, un nuovo gruppo di uomini bianchi privilegiati a Hollywood userà Apeirogon per vendere un nuovo capitolo culturale contemporaneo di menzogne colonialiste.

Io non conosco McCann, anche se sospetto che abbia scritto il suo libro con un senso di solidarietà e il desiderio di promuovere il “dialogo”. Ma è possibile fare grandi danni avendo le più nobili intenzioni. La retorica del dialogo può essere attraente, l’idea che parlare per trovare un’umanità comune sia tutto quello che ci vuole per smantellare il razzismo strutturale e le nozioni di supremazia etnocentrica. Può trasformare ogni tipo di persona, persino le vittime stesse, in persone che contribuiscono a diffondere l’ingiustizia.

Come ben sanno i palestinesi, avendo fatto proprio questo per quasi trent’anni, dialogo e negoziati hanno sempre favorito i potenti.

È chiaro che McCann abbia fatto lunghe ricerche, incluse lunghe conversazioni con i personaggi principali di questo libro e forse, presentando una storia vera, ha tentato di indicare la via in merito ai temi etici che riguardano l’appropriazione. Ma c’è un messaggio coloniale complessivo che si presta alla propaganda sionista. È come Jared Kushner che, dopo aver letto 25 libri, pensa che ciò lo qualifichi a fare l’“accordo del secolo”, una “soluzione” per accontentare “tutte le parti ” del “conflitto”.

Susan Abulhawa è una scrittrice palestinese

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autrice e non riflettono necessariamente la posizione editoriale di Al Jazeera.

(traduzione Mirella Alessio)