L’approvazione da parte della corte suprema israeliana dell’accordo Netanyahu-Gantz scredita la democrazia

Richard Silverstein

9 maggio 2020, MiddleEastEye

La sentenza ratifica, per la prima volta nella storia del Paese, che un primo ministro sotto accusa penale può guidare un governo

Questa settimana, la Corte Suprema di Israele ha preso in esame le petizioni delle ONG del buon governo che cercano di squalificare il proposto governo di unità messo insieme dal partito Likud di Benjamin Netanyahu con l’alleanza del partito di opposizione Blu e Bianco [partito di Benny Gantz, ndtr.].

La questione principale era che Netanyahu dovesse essere rifiutato come primo ministro a causa delle tre accuse di corruzione presentate contro di lui dal procuratore generale Avichai Mandelblit. La legge israeliana non si esprime sull’esclusione dalla carica di capo di governo per chi sia stato incriminato.

I giudici si sono trovati in una imbarazzante situazione senza uscita: se avessero deciso a favore dei firmatari, ciò avrebbe inevitabilmente portato a una quarta elezione.

Dopo lo stress delle votazioni per gli elettori israeliani, quasi nessuno voleva questa opzione.

Ma se la Corte avesse approvato l’accordo di coalizione e Netanyahu tornasse a essere primo ministro, questo costituirebbe un precedente allarmante e pericoloso.

Ratificherebbe per la prima volta nella storia israeliana che un primo ministro iscritto nel registro penale possa guidare un governo.

Una tale sentenza non solo legittimerebbe la condotta illegale in un caso particolare, ma costituirebbe un precedente per i futuri leader che violino la legge, che saprebbero di poter mantenere il potere nonostante un comportamento immorale.

Governo ipertrofico

La Corte Suprema ha scelto l’ultima soluzione. Nonostante il discredito per la democrazia che questo comporta, ha approvato l’accordo di coalizione e il nuovo governo presterà giuramento la prossima settimana.

E produrrà un gabinetto ipertrofico con non meno di 52 membri tra ministri e vice ministri, la più ampia coalizione ministeriale nella storia della nazione. C’è qualcosa per tutti.

Il Movimento per la Qualità del Governo in Israele [associazione no-profit, ndtr.] che ha presentato la petizione, ha annunciato che pur avendo perso in tribunale avrebbe portato la lotta nelle piazze, organizzando una grande protesta per chiedere la rimozione di Netanyahu da primo ministro.

Ma sembra che le forze che invocano un’amministrazione etica e trasparente abbiano perso questo round. Il risultato è un sistema politico ancora più screditato e un elettorato più cinico che mai.

È passato un anno dalle prime elezioni di questa serie.

Ogni voto è finito in un vicolo cieco, senza che alcun partito avesse abbastanza voti per formare un governo stabile. Di conseguenza, né il parlamento né i vari ministeri hanno funzionato normalmente. In sostanza, il primo ministro ha governato a forza di decreti esecutivi.

Questo ha causato il caos, poiché la società ha affrontato questioni cruciali che richiedono il consenso nazionale, come la pandemia da Covid-19.

Il Ministro della Sanità che avrebbe dovuto guidare la lotta contro il contagio è stato contagiato lui stesso dopo aver violato le norme del suo stesso ministero e pregato in gruppo.

Verso l’annessione

Si potrebbe pensare che questo nuovo governo porrà fine all’impasse, ma è un’impressione sbagliata.

L’accordo firmato dalle parti specifica che lo scopo principale della coalizione è contrastare il coronavirus.

Tutte le altre questioni, compresi importanti affari esteri e questioni militari, saranno subordinate; l’unica eccezione è la proposta di annessione della Valle del Giordano, che è in fase di accelerazione per l’approvazione.

Questa misura è stata ampiamente condannata da importanti organi internazionali, ad eccezione dell’amministrazione Trump. Il segretario di Stato americano Mike Pompeo ha dichiarato che la decisione dipende solo da Israele.

D’altra parte, circa 130 fra attuali ed ex deputati britannici hanno firmato una dichiarazione chiedendo sanzioni contro Israele se procederà con l’annessione.

L’annessione della Valle del Giordano, che comprende quasi un terzo del territorio palestinese, sembra inevitabile da parte di Israele.

Il fatto rafforzerà il movimento di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni (BDS) come una delle forme più forti di resistenza popolare alle politiche espansionistiche coloniali israeliane.

Chiamerà inoltre in campo organismi internazionali come le Nazioni Unite e l’Unione Europea. L’espressione delle usuali inefficaci dichiarazioni di condanna metterà in evidenza l’impotenza di queste istituzioni nell’imbastire una reazione alle violazioni del diritto internazionale da parte di Israele.

Smantellare la soluzione dei due Stati

Uno degli esiti più rilevanti sarà il crollo definitivo della soluzione dei due Stati come possibile piano per risolvere il conflitto.

Perfino Dennis Ross, figura pro-Israele di spicco in quattro amministrazioni presidenziali statunitensi, ha twittato che impedendo l’ingerenza di palestinesi o altri leader arabi, l’annessione lascia sul tavolo solo un’opzione: la soluzione di un singolo Stato.

Questo, ovviamente, sarebbe un amaro risultato per uno dei principali attori filo-israeliani della politica americana in Medio Oriente.

Una volta che avremo rinunciato al miraggio dei due Stati, il prossimo scontro essenziale sarà su che tipo di Stato sarà quella struttura unitaria. Sarà basato sull’apartheid a consacrazione della supremazia ebraica, la visione del Likud, o uno stato democratico per tutti i cittadini?

Il vantaggio di un singolo Stato, anche gestito da un sistema di apartheid, è che il mondo non sarà più ingannato e indotto a credere che esista un’alternativa.

Dovrà decidere se sia accettabile un singolo Stato che offre maggiori diritti agli ebrei e ai palestinesi le briciole del tavolo ebraico.

Alla fine, il mondo arriverà a capire che questo sistema non è più sostenibile dell’apartheid sudafricano.

Sfortunatamente, lo sconsiderato comportamento di Israele non impedirà ai ranghi politici americani di aggrapparsi disperatamente alla soluzione dei due Stati.

Anche se è uno scheletro perfettamente scarnificato, i candidati presidenziali come Joe Biden si aggrappano ad esso come a un salvagente sul Titanic. Il risultato di sposare una tale illusione è che consente a Israele di procedere con tutti i suoi piani espansionistici, riducendo gli Stati Uniti all’impotenza.

Amministrazione instabile

Non preoccupiamoci, tuttavia; il governo israeliano recentemente approvato sarà estremamente debole e instabile.

Secondo l’accordo, nessuno dei due partiti (Likud e Blu e Bianco) può avanzare proposte legislative a meno che l’altro non approvi. Questa è la ricetta per uno stallo continuo.

Inevitabilmente, una parte o l’altra provocherà o sarà provocata sino a minacciare di rovesciare l’accordo. Questo governo è un perfetto esempio di ciò che diceva Yeats: “Il centro non può tenere”.

Se le uniche cose certe nella vita sono la morte e le tasse, in Israele c’è una terza certezza: l’ennesima elezione nei prossimi mesi.

Perché in scena c’è anche un King Kong che rimesterà le cose a piacere: il processo di Netanyahu.

Il cui risultato potrebbe far deragliare completamente il governo, dal momento che la legge israeliana proibisce a un primo ministro condannato di mantenere la carica.

Quindi o il Parlamento dovrà cambiare la legge – il che è improbabile, dato che Likud da solo non ha abbastanza voti per farlo – o Netanyahu potrebbe cadere.

Questo risultato potrebbe mandarlo in prigione, porre fine alla sua carriera e portare a una quarta elezione.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

Richard Silverstein tiene un blog, Tikun Olam, che denuncia gli eccessi dello stato di sicurezza nazionale israeliano. I suoi articoli sono apparsi su Haaretz, Forward, Seattle Times e Los Angeles Times. Ha contribuito con un saggio al libro dedicato alla guerra del Libano del 2006, A Time to Speak Out (Verso) e con un altro saggio a Israel and Palestine: Alternate Perspectives on Statehood (Rowman & Littlefield)

(tradotto dall’inglese da Luciana Galliano)