Netanyahu scagionato per lo scandalo dei sottomarini

Ben Caspit

16 ottobre 2020 – Al Monitor

Adesso che il procuratore generale ha deciso di non indagare su di lui né per lo scandalo dei sottomarini né per quello della compravendita di azioni, il primo ministro Benjamin Netanyahu può tirare un sospiro di sollievo.

Il primo ministro Benjamin Netanyahu può star tranquillo, dato che il procuratore generale Avichai Mandelblit ha annunciato il 15 ottobre che non ordinerà un’indagine penale per la compravendita di azioni, spiegando ancora una volta il motivo per cui non lo incriminerà per il caso dei sottomarini.

Il primo episodio si riferisce all’acquisto di azioni che gli ha fruttato un considerevole guadagno in seguito alla loro vendita al miliardario americano Nathan Milikowsky, suo cugino. Il secondo riguarda l’acquisto di sottomarini e navi da guerra dall’acciaieria tedesca Thyssenkrupp.  

I due scandali continuano a perseguitare Netanyahu e hanno fatto emergere un movimento di protesta contro la sua condotta e la sua permanenza al potere. Una petizione presentata alla Corte Suprema include dichiarazioni da parte di ex ufficiali di alto grado della difesa. Il 15 ottobre, Benny Gantz, principale alleato di Netanyahu nel governo e ministro della Difesa, ha annunciato che stava prendendo in considerazione la nomina di una commissione di inchiesta all’interno del ministero della Difesa per andare a fondo sullo scandalo dei sottomarini acquistati per oltre un miliardo dall’azienda tedesca. Gantz, lui stesso un ex capo di stato maggiore dell’esercito, che nelle ultime tre campagne elettorali ha usato la vicenda per provocare Netanyahu adesso sta cercando di approfittarne per forzare il primo ministro a presentare e approvare il bilancio dello Stato e a nominare un procuratore generale e il capo della polizia.

La storia potrebbe rivelarsi la più rischiosa per Netanyahu, per cui le conseguenze politiche potrebbero essere enormi. I tre atti di accusa che il procuratore generale Mandelblit ha depositato contro Netanyahu nel gennaio 2020, incluso uno per corruzione, non hanno intaccato il sostegno fra i suoi seguaci, indifferenti alle accuse di regali illeciti e tentativi di controllare i media israeliani. Però quella dei sottomarini è tutta un’altra storia. Netanyahu sapeva che se lui o i suoi collaboratori fossero stati accusati di ricavare un guadagno personale da un appalto militare persino i suoi più ardenti sostenitori l’avrebbero abbandonato.

Per sua fortuna, Mandelblit l’ha scagionato, dicendo fin dall’inizio delle indagini che non era un sospettato, persino quando la polizia raccomandava di incriminare alcuni dei suoi collaboratori e parenti.

Netanyahu deve aver tirato un sospiro di sollievo, allora e di nuovo questa settimana, ma non può comunque rilassarsi. Molti israeliani si sentono traditi e l’ondata di proteste è culminata questa settimana quando dal nord e sud di Israele è arrivato a Gerusalemme un lungo corteo di auto e camion recanti modelli di sottomarini di cartone. Il Movimento per la Qualità al Governo in Israele ha presentato una petizione all’Alta Corte chiedendo che Netanyahu sia interrogato sul caso che coinvolge anche l’accordo israeliano con la Germania per vendere sottomarini all’Egitto. Sono state anche presentate decine di dichiarazioni scioccanti da parte di alti ufficiali dell’establishment della difesa. Generali della riserva, ufficiali di alto grado e tutti quelli che sono coinvolti nell’acquisto hanno descritto nei dettagli le pesanti pressioni esercitate dall’ufficio del primo ministro per acquistare direttamente dalla Thyssenkrupp anche grandi motovedette, senza fare una gara d’appalto internazionale.

La Corte Suprema deciderà questo mese. Il 15 ottobre Mandelblit ha presentato la sua risposta al ricorso spiegando perché Netanyahu non sia stato messo sotto accusa. Mandelblit ha anche annunciato che non indagherà sull’acquisto di 600.000 dollari di azioni della SeaDrift, un’azienda siderurgica controllata da Milikowsky (che sembra fornisca anche alcuni prodotti alla Thyssenkrupp). Netanyahu ha venduto le azioni con un guadagno enorme nonostante le performance in caduta dell’azienda.

Mandelblit ha ammesso che Netanyahu ha notevolmente beneficiato da questa transazione, ma ha anche dichiarato che non c’erano prove sufficienti per un’inchiesta penale. Ha concluso che Netanyahu non era a conoscenza del conflitto di interesse e che la vendita costituisse un vantaggio illecito.

Queste decisioni hanno suscitato le dure critiche degli oppositori di Netanyahu, ma anche enorme soddisfazione fra i suoi sostenitori. Mandelblit è anche lui al centro di un nuovo scandalo scoppiato questa settimana a causa di registrazioni segrete di sue conversazioni di alcuni anni fa con Efi Nave, il potente capo dell’Ordine degli avvocati israeliano, poi costretto a dimettersi e incriminato per frode e millantato credito.

Negli ultimi mesi i sostenitori di Netanyahu hanno condotto una campagna concertata contro la credibilità di Mandelblit per provare che le accuse avevano una motivazione politica o che era stato ricattato dall’ex pubblico ministero Shai Nitzan per incastrare Netanyahu. Anche se tutte queste teorie complottiste sono maldestre, destabilizzano ancor più Israele. Il pubblico ministero è al centro della tempesta perfetta, metà degli israeliani sono convinti che ha incastrato Netanyahu per farlo cadere e l’altra metà pensa che in realtà sia in combutta con Netanyahu e il suo seguito, come prova la sua decisione di questa settimana di non indagare e di far decadere le accuse perché non sufficienti per mandarlo in galera.

Molti degli accoliti di Netanyahu concordano che la sua era è più vicina alla fine che a un nuovo inizio. È già chiaro che quando lui uscirà dalla scena politica, lo Stato dovrà ricostruire le istituzioni che lui ha mandato in rovina.

Per ora sul fronte “sottomarini” Netanyahu può star tranquillo. Se fosse stato incriminato il suo nome sarebbe stato disonorato per sempre come traditore e la sua memoria infangata. Se riuscirà a prenderne le distanze potrà continuare a combattere per un posto nella storia e anche per la sua poltrona come primo ministro, a cui non ha intenzione di rinunciare.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)