Nonostante lo stigma sociale, le donne di Gaza si danno alla boxe

Ruwaida Amer

4 dicembre 2020 – Al Monitor

Nella Striscia di Gaza, nonostante la condanna religiosa e patriarcale che colpisce le attività sportive al femminile, parecchie donne e ragazze sono entrate in una squadra di pugilato per amore di questo sport.

Nella Striscia di Gaza l’opinione pubblica pensa che praticare la boxe istighi poi le donne a essere violente con i mariti e le ha ripetutamente attaccate cercando di farle smettere.

Ma, nonostante gli ostacoli, le donne hanno lottato per il loro diritto a boxare in una società che continua a dar prova di essere prima di tutto patriarcale con i suoi continui veti alla femminile nello sport e in altri campi, cercando così di ridurre il loro ruolo al matrimonio e alla casa. 

Tuttavia ci sono quelli che sostengono le donne e il loro diritto a vivere come vogliono, ma senza intaccare tradizioni e norme.

Malak Mosleh, 15 anni, si è innamorata dello sport da piccola guardando parecchi allenamenti e vittorie di Muhammad Ali. Finalmente, dopo vari tentativi di trovare una squadra a Gaza, e con il sostegno della sua famiglia, ha avuto l’opportunità di realizzare il suo sogno.

Dice ad Al-Monitor: “Era da tanto che volevo boxare, ma qui non potevo. Lo sport era solo per maschi, cosa che mi faceva arrabbiare. Dopo tutto è una disciplina per il corpo e l’anima, quindi perché dovrebbe essere vietata alle donne? Mi sono stupita quando il capitano Osama ha annunciato un programma di allenamenti per ragazze. Ho cominciato sette mesi fa e deciso di andare fino in fondo (per partecipare ai campionati arabi di pugilato juniores in Kuwait), nonostante quello che la società ne avrebbe detto.”

Osama Ayob, 36 anni, l’allenatore del team femminile di Gaza, dopo un tour in vari Paesi europei e arabi, ha deciso di creare una squadra a proprie spese, senza il sostegno di nessuno.

Agli inizi del 2020, sulla sua pagina Facebook ha annunciato il lancio di un programma di allenamenti per donne. All’inizio erano in 10, ma adesso si è arrivati a 45 partecipanti fra i sette e i venticinque anni.

Ayob ha detto ad Al-Monitor: “Per me è stato difficile formare una squadra di ragazze perché è stata la prima a Gaza e ci è voluto uno sforzo personale, senza il sostegno di nessuno. C’è stata una forte affluenza di ragazze e veramente vorrei che l’atteggiamento ostile verso di loro cambiasse. Mi sono preso la responsabilità di proteggerle e temprarle contro i commenti offensivi che le demoralizzano e frenano il loro desiderio di praticare questo sport.”

Mosleh afferma: “Il pugilato non ha nulla a che vedere con la violenza. È uno strumento di autodifesa e serve per il corpo. Io non sto ad aspettare qualcun altro per proteggermi da un attacco in strada o da qualche altra parte perché so farlo da sola. I miei familiari mi danno il sostegno maggiore e mi hanno detto che l’Islam non vieta gli sport e mi hanno incoraggiata a non lasciare che quello che dice la gente ostacoli il mio sogno. Mi rassicurano che non sto facendo nulla di proibito dalla religione o di contrario alla decenza.”

Rima Abu Rahme, 22 anni, di Gaza City ha avuto molti problemi quando si è fatta delle foto con la sorella Rita, 20 anni, mentre boxavano con le loro amiche per poi postarle sui social. Per la prima volta si è resa conto di quanto la società sia severa e rancorosa verso le donne che fanno sport.

Dice ad Al-Monitor, “Seguo [sui social] Gigi Hadid (modella americana-palestinese) che pratica questo sport. Ho parlato con il capitano Osama e abbiamo effettivamente iniziato fino a quando le nostre foto durante gli allenamenti sono diventate virali. Eravamo spaventate dei commenti della gente e qualcuno ha minacciato di farci smettere e a questo fine ha fatto pressioni sull’allenatore.”

Questo duro attacco sui social riflette l’opinione di molti che questo è uno sport riservato ai maschi e che le ragazze non dovrebbero praticarlo. Molte hanno smesso dopo le minacce di alcuni utenti dei social a loro e all’allenatore, arrivando anche a bullizzarli e insultarli.

Abu Rahme descrive il pugilato dicendo: “All’inizio sentivamo fatica e dolori in tutto il corpo, ma poi ci siamo rese conto che dopo ogni esercizio diventavamo sempre più forti e che stavamo bene psicologicamente. Io sono laureata in lingue e devo fare degli stage in varie istituzioni. La fatica psicologica scompare dopo aver tirato pugni per un’ora.”

Ayob dice: “Molte ragazze si sentono psicologicamente oppresse e devono affrontare problemi nella società. Per loro la boxe è un modo per ridurre la pressione, ma la loro paura estrema della società le costringe ad allenarsi senza attirare troppo l’attenzione. È un loro diritto, con tutti i commenti negativi che minacciano di impedire alle ragazze di far pugilato a Gaza. Io lavoro assiduamente per superare tutti gli ostacoli e continuare ad allenarmi.”

Farah Abu Qomsan, 15 anni, di Gaza City, ha cominciato con il pugilato perché le piaceva tantissimo e per un forte desiderio di realizzare il suo sogno: vincere il primo campionato di boxe per ragazze a Gaza [il 20 novembre]. Fa parte del team di Ayob da sette mesi e si allena tre giorni la settimana per migliorare le sue prestazioni e raggiungere il livello che le consenta di partecipare a incontri internazionali.

Parla con Al-Monitor del suo amore per il pugilato: “La mia ammirazione per le performance di [Mike] Tyson, un pugile di fama mondiale, mi ha spinta a dedicarmi a questo sport che ho scoperto a Gaza. Mi alleno per proteggermi, nel caso mi trovassi in pericolo mentre cammino per strada e in previsione di qualsiasi situazione che mi si presentasse nella mia vita. Non ha niente a che fare con la violenza contro gli uomini.”

Ayob sta lavorando duro con la sua squadra per partecipare ai campionati arabi di pugilato juniores in Kuwait alla fine di febbraio 2021. Ha già selezionato sette ragazze, ma ha ancora bisogno del sostegno ufficiale per i biglietti aerei e altre spese di viaggio. Questa sarebbe la prima volta che delle ragazze di Gaza partecipano al campionato come squadra nazionale palestinese.

Nel frattempo, durante i primi mesi dopo la creazione del team, la pandemia ha intralciato gli allenamenti. Ayob afferma: “Non ho potuto finire di preparare ragazze a causa del coronavirus. Ma l’allenamento continua e mi concentro nel rendere più forti le ragazze e nell’adottare delle misure preventive per la loro sicurezza e quella delle loro famiglie.”

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)