B’Tselem gennaio 2021
Una breve spiegazione illustrata
Oltre 14 milioni di persone, di cui circa la metà ebrei e metà palestinesi, vivono tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. È opinione comune che l’area sia divisa in due regimi separati: all’interno dei confini sovrani di Israele, un regime democratico permanente che governa circa 9 milioni di persone, tutti cittadini israeliani; all’interno dei territori occupati da Israele nel 1967, un regime militare temporaneo che governa circa 5 milioni di sudditi palestinesi. È davvero così?
Questa distinzione comunemente accettata ignora fatti cruciali: che questa realtà “temporanea” persiste da più di 50 anni; che centinaia di migliaia di coloni ebrei vivono in più di 280 colonie permanenti in Cisgiordania; che Israele ha annesso de jure Gerusalemme Est, e de facto il resto della Cisgiordania.
Ma soprattutto, oscura il fatto che l’intera area è organizzata secondo un unico principio: far avanzare e perpetuare la supremazia di un gruppo, gli ebrei, su un altro, i palestinesi.
Questa politica è attuata progettando lo spazio. Per gli ebrei, l’intera area è aperta e contigua (eccetto Gaza).
Per i palestinesi, essa è divisa in enclaves separate:
1 | All’interno del territorio sovrano di Israele, i palestinesi costituiscono circa il 17% [NON È IL 20%?] dei cittadini dello Stato. In quanto cittadini israeliani, essi godono di alcuni diritti, che tuttavia non sono uguali a quelli dei loro
omologhi ebrei.
Per i palestinesi,[l’area] è divisa in enclaves separate:
2 | A Gerusalemme Est, che Israele ha annesso nel 1967, i circa 350.000 palestinesi che vi abitano sono de
finiti residenti permanenti di Israele – uno status revocabile che permette loro di vivere e lavorare in Israele, ricevere prestazioni sociali e assicurazione sanitaria, e votare alle elezioni amministrative, ma non a quelle politiche.
Per i palestinesi, [l’area] è divisa in enclaves separate:
3 | In Cisgiordania, vivono sotto un rigido regime militare in decine di enclave non collegate tra loro oltre 2,6 milioni di palestinesi a cui sono negati i diritti politici.
Per i palestinesi, [l’area] è divisa in enclaves separate:
4 | Anche nella Striscia di Gaza a circa 2 milioni di palestinesi
vengono negati i diritti politici. Nel 2005, Israele ha ritirato le sue forze e smantellato le sue colonie; nel 2007, Hamas ne ha preso il controllo. Da allora, Israele ha tenuto Gaza sotto assedio mentre controllava da fuori quasi ogni aspetto della vita.
In ognuna di queste unità territoriali, Israele decide quali diritti concedere ai palestinesi.
In nessuna di esse sono concessi gli stessi diritti degli ebrei.
Il regime impiega diversi metodi per promuovere la supremazia ebraica:
Terra
Israele lavora per “giudaizzare” l’intera area, trattando la terra
come una risorsa principalmente a beneficio della popolazione ebraica.
Le colonie ebraiche vengono fondate e sviluppate, mentre i palestinesi
vengono espropriati e rinchiusi in piccole e affollate enclave.
Dal 1948, Israele si è impadronito di oltre il 90% delle terre
all’interno del suo territorio sovrano e ha costruito centinaia di comuni per ebrei,
ma neppure una per i palestinesi (con l’eccezione di diverse comunità
costruite per concentrare la popolazione beduina,
dopo averla espropriata della maggior parte dei suoi diritti di proprietà).
Terra
Dal 1967, Israele ha messo in atto questa politica anche nei Territori Occupati,
espropriando con vari pretesti i palestinesi di oltre 2.000 km2.
In violazione del diritto internazionale, ha costruito oltre 280 colonie in Cisgiordania
(compresa Gerusalemme Est) per più di 600.000 cittadini ebrei.
Ha ideato un sistema di pianificazione separato per i palestinesi,
progettato principalmente per impedire la costruzione e lo sviluppo [di unità abitative],
e non ha creato una sola nuova comunità palestinese.
Cittadinanza e immigrazione
Gli ebrei, ovunque vivano, i loro figli e nipoti, e i
loro coniugi, hanno il diritto di immigrare in Israele
e di ottenere la cittadinanza, anche se scelgono di vivere nei Territori Occupati.
Cittadinanza e immigrazione
I palestinesi che vivono in altri Paesi non possono immigrare nelle zone controllate da Israele – anche se loro, i loro genitori o i loro nonni vi sono nati e vi hanno vissuto. La loro unica opzione è quella di sposare una persona che già sono residenti in queste zone.
I palestinesi che vivono in un’unità territoriale hanno difficoltà ad ottenere la residenza in un’altra. Secondo la legge israeliana, i palestinesi dei Territori Occupati non possono ricevere la residenza permanente in Israele o a Gerusalemme Est anche se sposano israeliani.
Libertà di movimento
Israele permette ai suoi cittadini e abitanti – ebrei e palestinesi –
il libero passaggio tra le varie zone, salvo andare a Gaza, definita
“territorio ostile”, e (formalmente) di entrare in aree della Cisgiordania
in apparenza sotto la responsabilità dell’ANP.
Libertà di movimento
I palestinesi in Cisgiordania o a Gaza hanno bisogno
di un permesso per viaggiare tra le enclave.
Israele tiene Gaza sotto assedio dal 2007, vietando la
circolazione in entrata e in uscita,
salvo rari casi che definisce come umanitari.
Libertà di movimento
Tutti i cittadini israeliani possono lasciare
e rientrare nel Paese in qualsiasi momento.
I palestinesi di solito non possono andare
all’estero dall’aeroporto internazionale di
Israele e hanno bisogno di un permesso
israeliano per raggiungere l’aeroporto in Giordania.
Partecipazione politica
I cittadini israeliani – ebrei o palestinesi – possono partecipare alla politica nazionale, compresi l’elettorato attivo e passivo. Tuttavia, i dirigenti politici minano sostematicamente la legittimità dei rappresentanti politici palestinesi.
Partecipazione politica
I circa 5 milioni di palestinesi che vivono nei Territori Occupati
(compresa Gerusalemme Est) non possono partecipare al sistema
politico che governa la loro vita e determina il loro futuro.
Benché la maggior parte possa teoricamente votare per l’ANP,
i poteri di quest’ultima sono simbolici e subordinati a Israele.
Partecipazione politica
Ai palestinesi viene negato non solo il diritto di voto,
ma anche altri diritti politici, come la libertà di parola
o di associazione, e viene loro proibito criticare il regime
o organizzare e operare per un cambiamento sociale e politico.
Questo è l’apartheid
Il territorio tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo
è governato da un unico regime che opera per mantenere la supremazia ebraica.
A tal fine, Israele ha diviso l’area e i palestinesi in diverse
enclave distinte. In ognuna di esse ai palestinesi viene concesso
diritti differenti, che non è mai uguale ai diritti concessi agli ebrei.
Questo è l’apartheid
Questa politica, che nega ai palestinesi una serie di diritti, tra cui il diritto all’autodeterminazione, si ottiene manipolando geograficamente, demograficamente e politicamente lo spazio. Questo implica: concedere la cittadinanza a qualsiasi ebreo nel mondo e ai loro parenti, e in generale negarla ai palestinesi; impadronirsi della terra e assegnarla agli ebrei, confinando i palestinesi in piccole e affollate enclave; limitare i movimenti dei palestinesi; escludere milioni di palestinesi da un’effettiva partecipazione politica.
Un regime che usa leggi, pratiche e violenza organizzata per
stabilire e mantenere la supremazia di un gruppo su un altro
è un regime di apartheid. Questo non è emerso da un giorno
all’altro, ma ha preso forma gradualmente, nel tempo.
L’accumularsi di misure, appoggiate dall’opinione pubblica
e dalla magistratura e sancite sia nella pratica che nella legge,
indica la conclusione che il limite per definire Israele
un regime di apartheid è stato superato.
Perché ora?
Negli ultimi anni, il regime israeliano è diventato sempre più
esplicito riguardo alla sua ideologia suprematista ebraica.
Questo processo è culminato con la promulgazione della
legge fondamentale “Israele: lo Stato nazionale del popolo ebraico”,
che dichiara fondamentale e legittima la distinzione tra ebrei e non ebrei,
e consente la discriminazione istituzionalizzata nella gestione
e nello sviluppo del territorio, nell’edilizia abitativa, nella cittadinanza, nella lingua e nella cultura.
E adesso?
Questa è una richiesta di cambiamento.
È impossibile combattere l’ingiustizia senza nominarla: apartheid.
È doloroso guardare la realtà negli occhi, ma più
doloroso vivere sotto uno stivale.
Ecco perché una lotta decisa per un futuro basato
sui diritti umani, sulla libertà e la giustizia è più
che mai essenziale. La realtà qui descritta è dura,
ma dobbiamo ricordare: la gente ha creato questo
regime, e la gente può sostituirlo.
Ci sono diverse strade politiche per un futuro giusto qui,
tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo,
ma tutti noi dobbiamo prima scegliere di dire:No all’apartheid.
Leggi il rapporto integrale nella versione italiana
( a cura di Carlo Tagliacozzo)