I racconti delle torture in Israele confermano la necessità di una profonda revisione della legislazione sullo Shin Bet

Redazione di Haaretz

24 maggio 2022, Haaretz

La testimonianza di due giovani palestinesi di Gerusalemme est su ciò che accade nelle stanze degli interrogatori dello Shin Bet [l’agenzia di intelligence per gli affari interni dello Stato di Israele, ndtr.] dimostra che l’agenzia di sicurezza continua a utilizzare pratiche proibite, inclusa la tortura. I due, Yazan al-Rajbi di 21 anni e suo cugino Mohammed al-Rajbi di 19, sono stati arrestati con l’accusa di aver lanciato pietre contro la polizia e sono stati interrogati dallo Shin Bet per più di un mese fino a che non hanno confessato le accuse. Sono stati giudicati colpevoli e condannati a otto mesi di carcere. Ciò che li ha persuasi a confessare, hanno detto, è stata una serie di pratiche vietate, inaccettabili in un paese democratico.

“Gli investigatori mi hanno tenuto legato a una sedia con le mani ammanettate dietro la schiena e le gambe legate davanti”, ha detto. “Sono rimasto così per due giorni, senza andare in bagno, senza bere e senza mangiare”, ha detto Yazan al-Rajbi. Dopo alcuni giorni di interrogatorio, gli inquirenti hanno ricevuto dei filmati della sicurezza che mostravano come Yazan si trovasse altrove mentre venivano lanciate le pietre, come aveva detto lui. “Invece di rilasciarmi, hanno iniziato a interrogarmi su un altro caso di lancio di pietre avvenuto cinque giorni dopo il primo”, dice. “Ho chiesto di darmi il mio telefono per poter provare che non ero lì in quel momento, ma l’investigatore ha rifiutato e mi ha dato del bugiardo. Mi hanno interrogato per diversi giorni, ogni volta per 17 o 19 ore di fila”.

Tra una sessione e l’altra, Yazan veniva messo in isolamento in una stanza che lui e altri hanno stimato di circa un metro per due, aggiungendo che il soffitto basso rendeva impossibile stare in piedi. Yazan ha detto che durante un altro interrogatorio gli investigatori lo hanno messo in un armadietto basso di legno. “Avevo la testa fra le gambe, legate”, ha detto, “e le mani ammanettate dietro la schiena.” Le torture e gli abusi sono continuati. Alla fine è crollato e ha “confessato”, un’ulteriore prova che la tortura porta spesso a false confessioni (Nir Hasson, Haaretz 23 maggio). Il cugino di Yazan, Mohammed, ha parlato di torture simili.

Già nel 1999 l’Alta Corte di Giustizia aveva stabilito che lo Shin Bet non è autorizzato a usare mezzi fisici di coercizione durante gli interrogatori, tra cui lasciare nella posizione “Shabach” (cioè “l’ammanettamento del sospettato, fatto sedere su una sedia bassa con la testa coperta da un sacco, suonando musica ad alto volume nella stanza”), o “rana accovacciata” (“accovacciamenti consecutivi e periodici sulla punta dei piedi, ciascuno della durata di cinque minuti a intervalli di cinque minuti”) e privazione del sonno. L’Alta Corte ha lasciato una minima apertura nei casi di “bomba a orologeria”, ma ha chiarito che anche in tali casi la “necessità” non è fonte di autorità per utilizzare quei metodi di interrogatorio – potrebbe servire solo a difendere un inquisitore se quest’ultimo è portato in giudizio. Ma questo non era un caso di “bomba a orologeria”. Il crimine di uno dei giovani era di lanciare alcune pietre, e dell’altro di lanciare una pietra, e lo Shin Bet li avrebbe torturati per ottenere la confessione di un crimine già commesso.

L’ufficio che indaga sulle denunce dei sospetti interrogati deve esaminare questo caso, ma non basta. Questo caso è un’ulteriore prova della necessità di ampliare la documentazione video anche degli interrogatori Shin Bet. Ed è infine giunto il momento di approvare una legge contro la tortura che copra ogni evenienza, perché finché c’è uno spiraglio per interpretare la legge che consenta la tortura, la tortura continuerà.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)