Soldati israeliani uccidono un giovane palestinese nei pressi del muro dell’apartheid a Jenin

Redazione di WAFA, PC, Social

9 novembre 2022 – The Palestine Chronicle

Il ministero palestinese della Sanità ha riferito che mercoledì soldati israeliani hanno ucciso un giovane palestinese vicino al muro dell’apartheid, ad ovest di Jenin.

In una breve dichiarazione il ministero ha affermato che il ventinovenne Rafat Ali Issa è stato ucciso dai soldati israeliani che hanno aperto il fuoco contro di lui.

Secondo il responsabile della Mezzaluna Rossa [il corrispettivo musulmano della Croce Rossa, ndt.] Mahmoud Saadi, Issa, proveniente dal villaggio di Sanur a sud di Jenin, è stato colpito ad una gamba da soldati israeliani vicino al muro dell’apartheid.

Saadi ha affermato che i soldati israeliani lo hanno prima arrestato e portato in un vicino campo militare prima di consegnarlo alla Mezzaluna Rossa.

Issa è stato trasferito a Jenin in condizioni critiche in un ospedale, dove è morto a causa delle ferite.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




L’organizzazione filoisraeliana AIPAC ha speso molto: importanti vittorie e sconfitte nelle elezioni di metà mandato negli USA.

Redazione di MEE

9 novembre 2022 – Middle East Eye

La democratica della Pennsylvania Summer Lee ha stravinto nelle elezioni di metà mandato negli USA, nonostante l’AIPAC abbia speso 4 milioni di dollari contro di lei.

Il filoisraeliano super PACS [comitato per la raccolta fondi a sostegno di candidati alle elezioni, ndt.] ha speso milioni di dollari nelle elezioni di metà mandato USA di quest’anno, sperando di contribuire a far pendere la bilancia a proprio favore nelle competizioni chiave. Tuttavia in molte elezioni in cui ha speso molto ha comunque perso.

Mercoledì mattina l’AIPAC [principale organizzazione della lobby filoisraeliana negli USA, ndt.] ha festeggiato i risultati delle elezioni, sostenendo di aver contribuito a portare alla vittoria molti dei candidati che ha sostenuto con finanziamenti o appoggiato.

Ci congratuliamo con i senatori e deputati di entrambi i partiti eletti e rieletti che si uniranno a un Congresso prevalentemente filoisraeliano,” ha detto mercoledì l’AIPAC in un comunicato.

Nonostante la feroce faziosità di questa tornata elettorale, rimane un deciso impegno di entrambi i partiti a favore dell’alleanza USA-Israele.”

L’AIPAC ha festeggiato un certo numero di nuovi democratici filoisraeliani, tra cui Don Davis, Jared Moskowitz, Robert Garcia, Valerie Foushee e Glenn Ivey, che hanno vinto martedì sera. Durante le primarie vinte da Ivey a luglio l’organizzazione filoisraeliana ha speso 6 milioni di dollari.

Anche Foushee ha ricevuto milioni di dollari dall’AIPAC e da altre associazioni filoisraeliane nelle elezioni primarie in cui ha sconfitto la candidata progressista Nida Allam che aveva criticato il modo in cui Israele tratta i palestinesi.

Middle East Eye ha analizzato le principali vittorie e sconfitte dell’AIPAC e altre organizzazioni filoisraeliane nelle elezioni di metà mandato di quest’anno.

Summer Lee ha sconfitto una campagna contro di lei da 4 milioni di dollari

La maggiore sconfitta di queste associazioni è stata nel 12° distretto congressuale della Pennsylvania, dove la progressista Summer Lee ha battuto il suo avversario repubblicano Mike Doyle.

Negli ultimi giorni l’AIPAC e altre associazioni filoisraeliane hanno speso più di 1 milione di dollari nell’ultimo disperato tentativo di sostenere Doyle contro Lee, dopo che in precedenza l’organizzazione aveva speso 3 milioni di dollari a favore dell’oppositore di Lee nelle primarie democratiche all’inizio dell’anno.

Lee, che era stata parlamentare statale in Pennsylvania, si era attirata le ire delle associazioni filoisraeliane dopo aver twittato un parallelo tra gli USA e Israele riguardo a come gli americani usino il termine “autodifesa” per giustificare “l’uso indiscriminato e sproporzionato della forza e della potenza contro (persone) deboli ed emarginate.”

Eppure, nonostante l’ultimo disperato tentativo di finanziamento contro di lei, Lee ha facilmente vinto la sua competizione elettorale sconfiggendo Doyle per più di 10 punti.

Lee, appoggiata anche dal gruppo sionista progressista J Street, ha ricevuto un sostengo importante anche dalla comunità ebraica in Pennsylvania.

La scorsa settimana più di 240 membri della comunità ebraico-americana di Pittsburgh hanno reso nota una lettera di appoggio alla candidatura di Lee per il Congresso e di condanna dell’AIPAC per aver attaccato la rappresentante designata.

Fetterman contro Oz

Una delle competizioni più attese è stata l’elezione della Pennsylvania per il senato tra il personaggio televisivo repubblicano di origine turca Mehmed Oz e il democratico John Fetterman.

Alla fine Fetterman ha vinto facilmente per più di 5 punti, nonostante un calo nei sondaggi dopo una infelice esibizione in un dibattito televisivo con Oz lo scorso mese, mentre soffriva ancora dei postumi di un ictus sofferto durante la campagna elettorale.

Oltre al fatto di aver ottenuto un’ampia attenzione nazionale, la competizione ha anche ricevuto un flusso di denaro da una serie di associazioni filoisraeliane a favore di entrambi i candidati.

Fetterman è stato appoggiato dal PAC di J Street e da quello del Jewish Democratic Council of America [Consiglio Democratico Ebraico d’America], che ha speso più di 500.000 dollari a sostegno del vicegovernatore.

Dalla parte di Oz, in settembre il Republican Jewish Coalition’s Victory Fund [il Fondo per la Vittoria della Coalizione Ebraica Repubblicana] ha speso 1,5 milioni di dollari per attacchi pubblicitari contro Fetterman. Gli annunci a pagamento sono stati il più grande stanziamento del fondo per una campagna per il Senato.

In Virginia perde un’importante democratica filoisraeliana

La congressista Eliane Luria, una dei democratici del Congresso più filoisraeliani, ha perso per circa 4 punti contro lo sfidante repubblicano Jen Kiggans, dando un significativo colpo alla branca filoisraeliana del partito Democratico.

Luria è stata un’ardente sostenitrice di Israele, come l’AIPAC, e nel 2020 ha condannato le critiche del senatore Bernie Sanders contro la lobby filoisraeliana. Secondo OpenSecrets [associazione che monitora i finanziamenti politici negli USA, ndt.] la senatrice ha ricevuto più di 700.000 dollari da donatori filoisraeliani.

L’AIPAC ha identificato la competizione tra Luria e Kiggans nel secondo distretto della Virginia come una delle più importanti in questa tornata elettorale.

Invece un’altra democratica filo-israeliana dello Stato, Abigail Spanberger, ha vinto di poco e si è assicurata la rielezione al Congresso.

Spanberger ha ricevuto circa 300.000 dollari da organizzazioni filoisraeliane nella tornata elettorale di quest’anno.

L’AIPAC appoggia negazionisti elettorali e repubblicani di estrema destra

Per decenni l’AIPAC ha goduto di un forte appoggio bipartisan a Washington.

Importanti repubblicani e democratici hanno preso parte alla sua conferenza annuale per offrire le proprie opinioni su come avrebbero mantenuto solidi rapporti tra gli USA e Israele.

Tuttavia negli ultimi anni ciò è cambiato, con i democratici e i progressisti che sono diventati più critici nei confronti dell’AIPAC e del governo israeliano.

Questo allontanamento è stato visibile anche nell’approccio dell’organizzazione filoisraeliana alle elezioni di metà mandato, dove ha creato il Super Pac per finanziare specifiche campagne.

Il Pac dell’AIPAC, questo comitato d’azione politica, ha iniziato a sostenere un certo numero di candidati, molti dei quali hanno negato la validità dei risultati delle elezioni presidenziali del 2020.

In questa tornata elettorale l’United Democracy Project [Progetto della Democrazia Unita] (UDP), un super Pac legato all’AIPAC, ha speso anche decine di milioni di dollari contro candidati considerati troppo critici con Israele.

Il sostegno e i finanziamenti che l’AIPAC ha speso quest’anno per candidati di destra ha suscitato dure critiche da parlamentari della sinistra, compreso il senatore Bernie Sanders, che in maggio ha descritto la lotta contro l’AIPAC come una “guerra”.

Mercoledì sera l’UDP, affiliata all’AIPAC, ha reso noto un comunicato riguardante i suoi finanziamenti nelle elezioni e ha inviato un avvertimento ai candidati critici con Israele.

Quanti intendono minacciare la collaborazione dell’America con Israele possono aspettarsi una forte e intransigente risposta politica,” ha affermato l’UDP.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




La “conferenza del popolo” palestinese chiede riforme e lancia iniziative per elezioni generali.

Qassam Muaddi

08 novembre 2022-The New Arab

Nella sua dichiarazione finale, la conferenza ha chiesto l’elezione di un nuovo Consiglio Nazionale Palestinese in elezioni generali, organizzate in tutti i luoghi in cui i palestinesi possono votare.

Una fonte vicina alla conferenza ha riportato lunedì al New Arab che la “conferenza del popolo palestinese”, una coalizione di attivisti politici e della società civile palestinesi, sta pianificando una serie di attività volte a chiedere elezioni generali palestinesi e riformare l’Organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP).

La fonte ha affermato che le attività includeranno incontri e discussioni, ma anche proteste nella Cisgiordania occupata e all’estero.

Secondo la fonte, è stato formato un comitato speciale per dirigere le azioni da annunciare in una speciale conferenza stampa a Ramallah oggi, martedì [8 novembre 2022, ndt.].

Sabato la conferenza ha concluso un ciclo di incontri pubblici organizzati nell’arco di due giorni in diverse città palestinesi e nei Paesi limitrofi. Gli incontri a Ramallah sono stati annullati in seguito alle pressioni dell’Autorità Nazionale Palestinese.

“In totale, più di 1500 palestinesi hanno partecipato alla conferenza in Palestina e all’estero”, ha detto domenica a TNA [The New Arab] Omar Assaf, un membro di spicco della conferenza.

Assaf è stato detenuto per diverse ore sabato in quello che ha definito “un tentativo di intimidazione”.

Assaf sostiene che il Comune di Ramallah ha subito pressioni perché non ci permettesse di tenere le riunioni nei suoi locali”.

“Più tardi, durante la giornata, la polizia mi ha arrestato e portato in una stazione di polizia a Ramallah, dove mi è stato chiesto di non partecipare alla conferenza, ma ho rifiutato. Alla fine sono stato rilasciato senza condizioni dopo quattro ore”, aggiunge.

Nella sua dichiarazione finale la conferenza ha chiesto l’elezione di un nuovo Consiglio nazionale palestinese con elezioni generali da organizzare in tutti i luoghi in cui i palestinesi possono votare

Il Consiglio Nazionale Palestinese è il più alto organo legislativo e costituente dell’OLP. I suoi membri includono rappresentanti della maggior parte delle fazioni palestinesi, dei sindacati professionali e delle organizzazioni della società civile e delle minoranze religiose.

Il consiglio non è stato eletto da più di trent’anni e il suo ruolo è stato notevolmente ridotto dalla creazione dell’Autorità Palestinese nel 1994.

“L’OLP è l’unica rappresentante legittima del popolo palestinese, ed è la cosa più sacra che abbiamo dopo la Palestina e Gerusalemme”, ha detto domenica Mowafaq Matar, un membro del Consiglio Nazionale Palestinese vicino all’ANP, in un commento alla stampa.

“La cosiddetta conferenza popolare è un tentativo di creare un’alternativa all’OLP, il che equivale ad alto tradimento”, ha aggiunto Matar.

“Pretendere una riforma è un diritto fondamentale dei palestinesi”, ha affermato in un commento alla stampa Salman Abu Sitta, storico palestinese e membro del comitato organizzatore della “conferenza popolare”.

“L’OLP deve essere riformata attraverso elezioni democratiche”, ha aggiunto Abu Sitta.

Le elezioni generali, anche per il Consiglio Nazionale Palestinese, sono state concordate dai leader di tutte le fazioni palestinesi nel settembre 2021 in Algeria. Secondo l'”accordo algerino”, le elezioni per il CNP e per la presidenza e il Consiglio Legislativo dell’ANP avrebbero dovuto svolgersi simultaneamente.

All’inizio del 2021 le fazioni palestinesi avevano deciso di tenere prima le elezioni per il Consiglio Legislativo dell’ANP seguite dalle elezioni presidenziali, e di posticipare le elezioni per il CNP. Le elezioni legislative erano previste per maggio 2021.

Ad aprile [2021] il presidente palestinese Mahmoud Abbas ha sospeso le elezioni, annunciando che si terranno solo quando Israele consentirà l’apertura dei seggi elettorali a Gerusalemme.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Israele: Ben-Gvir in trattative con la coalizione “per chiedere condizioni più dure per i palestinesi in carcere”

Redazione di MEE

7 novembre 2022 – Middle East Eye

Secondo i media locali il politico di estrema destra chiederà anche l’accesso senza restrizioni dei coloni alla moschea di Al-Aqsa

Secondo i media locali, durante le consultazioni informali previste per lunedì con Benjamin Netanyahu, leader del Likud, il politico israeliano di estrema destra Itamar Ben-Gvir è intenzionato a chiedere condizioni più dure per i prigionieri palestinesi per motivi di sicurezza, come anche l’accesso senza restrizioni dei coloni alla moschea di Al-Aqsa.

In seguito alle elezioni israeliane della scorsa settimana il blocco di Netanyahu ha ottenuto 64 seggi sul totale di 120 e si prevede che formi un governo con i partiti ultraortodossi Shas [partito degli ebrei praticanti originari dei Paesi arabi o musulmani, N.d.T.] e UTJ [United Torah Judaism, degli ebrei praticanti di origine europea N.d.T.] così come con l’alleanza di estrema destra di Ben-Gvir del Sionismo Religioso-Otzma Yehudit [Potere ebraico N.d.T.]

Durante il ciclo delle elezioni dell’anno scorso Netanyahu aveva detto che Ben-Gvir, che aveva messo in bella mostra una foto di Baruch Goldstein, massacratore di 29 palestinesi in una moschea nel 1994, non era adatto a fare il ministro.

Tuttavia, poiché la popolarità di Ben-Gvir è cresciuta, Netanyahu ha cambiato tattica e ammesso che potrebbe far parte di ogni potenziale governo. 

Ci si aspetta che Ben-Gvir chieda l’incarico di ministro della Pubblica Sicurezza in una eventuale coalizione con il Likud.

Secondo l’israeliano Channel 13, nel corso dei colloqui di coalizione di lunedì Ben-Gvir presenterà a Netanyahu un piano articolato imperniato sul modo in cui lIsrael Prison Service [il servizio carcerario israeliano, sotto la giurisdizione del Ministero della Pubblica Sicurezza, responsabile della supervisione delle carceri, N.d.T.] tratta i prigionieri palestinesi per motivi di sicurezza, inclusa l’imposizione di ulteriori restrizioni.

Channel 13 ha riportato che Ben-Gvir cercherà di limitare l’”indipendenza” dei prigionieri nelle carceri israeliane, impedendo l’organizzazione di prigionieri in gruppi che riflettono le fazioni palestinesi fuori dalla prigione.

Inoltre Channel 13 ha aggiunto che Ben-Gvir chiederà di smettere di trattare con i prigionieri tramite un portavoce o un rappresentante in loro nome, per invece “identificare un rappresentante provvisorio” in contatto con le autorità carcerarie solo su questioni di carattere generale e non sui problemi personali dei prigionieri.

La rete televisiva precisa inoltre che il piano di Ben-Gvir mira anche a impedire ai prigionieri di cucinare nelle loro sezioni, con cibo fornito solo dalle autorità carcerarie stesse, e anche a ridurre il consumo d’acqua.

Terroristi

Sempre secondo Channel 13 Ben-Gvir, che in precedenza ha guidato l’irruzione di gruppi di coloni nella moschea di Al-Aqsa e chiesto che vi vengano consentite le preghiere degli ebrei, è anche determinato a chiedere durante i suoi colloqui con Netanyahu un accesso senza precedenti alla moschea.

Secondo i pluridecennali accordi fra Giordania, custode dei siti islamici e cristiani a Gerusalemme, e Israele, all’interno del complesso della moschea di Al-Aqsa non è permesso ai non-musulmani compiere alcun rito religioso, né esporre simboli ebraici.

I non-musulmani possono visitarla sotto la supervisione del Waqf, un’istituzione islamica giordano-palestinese che gestisce la moschea.

Nel 2003 la gestione delle visite ad Al-Aqsa da parte del Waqf è stata revocata dalle autorità israeliane. Da allora la polizia israeliana ha permesso quasi quotidianamente a coloni e attivisti di estrema destra di fare irruzione nell’area. 

Agli inizi di quest’anno Ben-Gvir ha descritto i membri del Waqf come “terroristi”. 

Funzionari dei servizi di sicurezza israeliani hanno riferito a Channel 13 che le misure richieste da Ben-Gvir servirebbero solo a “infiammare la situazione sul campo”.

Gli attivisti israeliani di estrema destra hanno ripetutamente fatto pressioni per aumentare la presenza ebraica nell’area e alcuni hanno invocato la distruzione di Al-Aqsa per far posto al Terzo Tempio.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Perché i poliziotti israeliani sono un “partner strategico” per l’Unione Europea?

David Cronin

4 novembre 2022 – Electronic Intifada

I sostenitori di Israele, che ci crediate o no, fanno una o due cose giuste.

La ripetuta affermazione che il loro amato Stato abbia a cuore l’innovazione contiene un granello di verità. Quale altro oppressore considera Facebook e Twitter strumenti tanto essenziali da allertare il mondo sulla loro brutalità?

L’8 ottobre, le forze di polizia israeliane hanno effettivamente ammesso di soggiogare in massa i civili.

L’esercito ha pubblicato su Internet foto dei suoi agenti che contribuivano a isolare il campo profughi di Shuafat vicino a Gerusalemme.

La punizione collettiva è vietata dalle Convenzioni di Ginevra e da altre norme del diritto internazionale. Ogni volta che ricorre a punizioni collettive, Israele commette un crimine di guerra.

Eludendo un controllo democratico, l’Unione Europea ha stretto un’alleanza formale con la polizia israeliana.

L’UE ha addirittura firmato a settembre un accordo per approfondire i rapporti con la polizia israeliana, solo poche settimane prima che quelle forze di sicurezza si vantassero implicitamente di aver commesso un crimine di guerra nel campo di Shuafat.

Grazie a questo accordo, Israele può scambiare con Europol, l’agenzia di polizia dell’UE, dati personali sui palestinesi che vivono sotto occupazione.

L’accordo è stato stilato abbastanza rapidamente per quelli che sono gli standard dell’UE. I negoziati volti a siglarlo sono iniziati nel novembre 2021.

Più o meno nello stesso periodo dell’inizio dei colloqui, Israele ha inviato a Bruxelles una delegazione di 30 diplomatici di alto rango.

Cooperazione ancora più stretta”

Tra i tanti funzionari che hanno incontrato c’era Laurent Muschel, del dipartimento Migrazione e Affari Interni della Commissione europea (l’esecutivo dell’UE).

Una nota informativa preparata per le discussioni con Muschel – ottenuta grazie alle norme sulla libertà di informazione – afferma che “Israele è un Paese partner strategico per l’UE nella cooperazione in materia di sicurezza”.

L’accordo firmato a settembre di quest’anno fa seguito a un “accordo di lavoro” del 2018 tra Israele e l’Europol.

La nota informativa per Muschel sostiene che dovrebbe esserci “una cooperazione ancora più stretta” con Israele.

Sottolinea che l’Europol assiste le autorità nazionali dei governi dell’UE nell’identificazione dei “legami transfrontalieri” con la criminalità organizzata. Il “contributo israeliano in questi casi continua ad essere della massima importanza”, si aggiunge.

Dall’entrata in vigore dell’accordo del 2018 Israele ha istituito un ufficio di collegamento presso la sede dell’Europol all’Aia. Tali passi rappresentano “un notevole potenziale” per “promuovere il contributo operativo”, afferma la nota informativa.

L’accordo del 2018 fornisce un elenco di crimini su cui Israele e l’Europol potrebbero collaborare. Includono terrorismo e crimini di guerra.

Prevede, inoltre, che le informazioni scambiate tra le due parti non debbano essere raccolte in “palese violazione dei diritti umani.

Uno scherzo?

Qualcuno ha voluto scherzare?

Le forze di polizia israeliane – come già notato – commettono attivamente crimini di guerra, e servono uno Stato che etichetta come terrorismo ogni forma di resistenza alla sua sistematica violenza.

Israele usa sistematicamente la tortura contro i palestinesi nelle cosiddette indagini sul terrorismo, metodi che ufficialmente sono sanzionati e perseguiti ma questo nell’impunità.

Il fatto che le forze di polizia israeliane abbiano sede nella Gerusalemme Est occupata dovrebbe essere sufficiente per escludere che si possa trattare con loro.

Nonostante sulla carta si sia opposta alla colonizzazione israeliana di Gerusalemme Est, l’UE ha accolto come interlocutore una forza di polizia che svolge un ruolo fondamentale nella colonizzazione.

E cosa si intende in questo contesto per “palese violazione dei diritti umani”? L’UE vuole seriamente che Israele sia un po’ più discreto nel modo in cui sottomette i palestinesi?

Le forze di polizia israeliane non sono l’unica istituzione spregevole a godere ultimamente dell’abbraccio metaforico dei rappresentanti dell’UE.

L’ambasciata dell’UE a Tel Aviv ha appena stabilito una collaborazione – e non per la prima volta – con l’European Leadership Network, forse l’organizzazione dal nome più ingannevole dell’esercito di lobbisti professionisti israeliani.

Sia l’ambasciata che l’European Leadership Network hanno recentemente ospitato una conferenza per “diplomatici, funzionari ed esperti”. Tra i pochi dettagli pubblicati sull’evento è stato riferito che si è discusso dell’aggressione della Russia contro l’Ucraina.

È certo che i partecipanti erano troppo educati per denunciare l’aggressione di Israele contro i palestinesi. Figure di spicco dell’European Leadership Network hanno raccolto fondi per sostenere l’aggressione.

A un certo punto, il gruppo contava tra i suoi dirigenti persino Michael Herzog, ora ambasciatore di Israele negli Stati Uniti, che ha avuto un ruolo significativo nella pianificazione del bombardamento del 2002 su Gaza in cui sono stati uccisi otto bambini.

Non ci si può aspettare che l’UE ripudi i macellai di bambini palestinesi. Israele, dopo tutto, è un “partner strategico”.

David Cronin è redattore associato di The Electronic Intifada. I suoi libri includono Balfour’s Shadow: A Century of British Support for Sionism [L’ombra di Balfour: un secolo di sostegno britannico al sionismo ] e Israel e Europe’s Alliance with Israel: Aiding the Occupation [Israele e l’alleanza dell’Europa con Israele: aiutare l’occupazione].

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




128 studiosi avvertono: “Non incastrate le Nazioni Unite in una definizione di antisemitismo vaga e utilizzata come arma”

3 novembre 2022Euobserver

In qualità di studiosi specializzati in antisemitismo, studi sull’olocausto, storia ebraica moderna e campi correlati, assistiamo con crescente preoccupazione a sforzi motivati ​​politicamente per strumentalizzare la lotta contro l’antisemitismo all’interno e contro le Nazioni Unite.

L’ambasciatore israeliano alle Nazioni Unite Gilad Erdan ha guidato questi sforzi. Nei suoi persistenti tentativi di indebolire i palestinesi e di proteggere il governo israeliano dalle critiche internazionali Erdan è arrivato al punto di denunciare l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi (UNRWA) e la Corte penale internazionale (ICC) come “antisemite”.

Al di là di tale diffamazione, il Sig. Erdan ora cerca di cambiare radicalmente le regole del gioco spingendo l’ONU ad adottare la “Definizione operativa di antisemitismo” dell’International Holocaust Remembrance Alliance (IHRA WDA).

Troviamo questa definizione profondamente problematica. Vaga e incoerente, l’IHRA WDA non soddisfa i requisiti di base di una buona definizione.

Piuttosto che garantire una maggiore chiarezza, l’IHRA WDA ha generato confusione su ciò che costituisce antisemitismo.

Di conseguenza, l’IHRA WDA è diventata molto controversa e contestata, anche tra gli ebrei. Le sue debolezze hanno spinto 350 eminenti studiosi di antisemitismo, studi sull’Olocausto e campi correlati ad approvare un’altra definizione più solida, la Dichiarazione di Gerusalemme sull’antisemitismo.

L’effetto divisivo e polarizzante dell’IHRA WDA deriva da undici “esempi contemporanei di antisemitismo” ad essa allegati, sette dei quali riguardano Israele. Ampie prove mostrano che questi esempi vengono utilizzati come armi per screditare e mettere a tacere come antisemitismo le legittime critiche alle politiche di Israele.

Tra coloro che denunciano tale uso improprio c’è Kenneth Stern, l’autore principale dell’IHRA WDA. Più recentemente, Antony Lerman, ex capo dell’Institute of Jewish Affairs del World Jewish Congress, ha aspramente criticato l’IHRA WDA per diversi difetti, inclusa la sua attenzione nei riguardi del cosiddetto “nuovo antisemitismo” legato a Israele, a scapito dell’attenzione verso forme virulente di antisemitismo ora in aumento.

Uno degli esempi dell’IHRA WDA dice: “Applicare doppi standard richiedendo a [Israele] un comportamento non previsto o richiesto da parte di nessun’altra nazione democratica”. Questo esempio è particolarmente soggetto ad abusi politici in seno alle Nazioni Unite, poiché può essere facilmente invocato per etichettare come antisemita qualsiasi risoluzione delle Nazioni Unite che critichi Israele.

Cerchiamo di essere chiari: accogliamo con tutto il cuore l’impegno delle Nazioni Unite a combattere l’antisemitismo e lodiamo l’ONU per i suoi fondamentali sforzi in questa direzione. Ciò a cui ci opponiamo e contro cui mettiamo fortemente in guardia è che le Nazioni Unite possano mettere a repentaglio questa lotta essenziale e danneggiare la propria missione universale di promuovere i diritti umani approvando una definizione che costituisce uno strumento politico per scoraggiare la libertà di parola e per proteggere il governo israeliano dalla responsabilità delle sue azioni.

Sappiamo che l’IHRA WDA è stata adottata da più governi, principalmente in Europa e negli Stati Uniti. Questo è di per sé problematico. Tuttavia, se le Nazioni Unite approvassero l’IHRA WDA, il danno sarebbe esponenzialmente maggiore.

Il governo israeliano sarebbe incoraggiato e abilitato a intensificare la sua campagna contro gli organismi e gli esperti delle Nazioni Unite, usando come un’arma e sfruttando l’IHRA WDA come standard delle Nazioni Unite per “stabilire” che l’UNRWA, la CPI, il Consiglio per i diritti umani e organismi come la Commissione d’inchiesta sono antisemiti.

Inoltre i difensori dei diritti umani e le organizzazioni che contestano le violazioni israeliane sarebbero completamente esposti a campagne diffamatorie basate su accuse in malafede di antisemitismo, danneggiando la loro libertà di espressione e altri diritti fondamentali protetti e promossi dalle Nazioni Unite.

La missione e il mandato delle Nazioni Unite si basano su un serio dibattito sulle preoccupazioni relative ai diritti umani. L’adozione dell’IHRA WDA trasformerebbe qualsiasi discussione fattuale sulle violazioni e responsabilità israeliane in un aspro dibattito sulla presunzione di antisemitismo

Ciò potrebbe anche indebolire la capacità delle Nazioni Unite di agire come mediatore neutrale in Israele e Palestina. Le debolezze e la strumentalizzazione dell’IHRA WDA hanno implicazioni dirette per la capacità delle Nazioni Unite di combattere l’antisemitismo e tutte le altre forme di razzismo su basi universali. L’alto rappresentante delle Nazioni Unite Miguel Moratinos è stato incaricato dalle Nazioni Unite di sviluppare una “risposta rafforzata a livello di sistema [all’antisemitismo] basata su un approccio ai diritti umani”.

Oltre a contraddire un approccio basato sui diritti umani [universali, ndt], l’IHRA WDA inevitabilmente politicizzerebbe quella risposta e quindi comprometterebbe la capacità delle Nazioni Unite di combattere efficacemente l’antisemitismo.

Invece di identificarsi formalmente con una definizione vaga e divisiva che è stata distorta per proteggere il governo israeliano, l’ONU dovrebbe rafforzare la sua lotta contro l’antisemitismo basandosi sui suoi principi universali sui diritti umani, in conformità con la sua Carta.

Nella ricerca di un orientamento l’ONU dovrebbe essere libera diconsultare una varietà di risorse, inclusa la Dichiarazione di Gerusalemme sull’antisemitismo. Diamo il benvenuto al recente rapporto del Prof. E. Tendayi Achiume, relatore speciale delle Nazioni Unite sulle forme contemporanee di razzismo, in cui “mette in guardia contro la dipendenza dall’IHRA WDA come strumento guida per e presso l’ONU e le sue entità costituenti” e invita “gli Stati membri delle Nazioni Unite e i suoi funzionari [a] rifiutare fermamente e agire in modo responsabile per porre fine alla strumentalizzazione politica della lotta contro l’antisemitismo”.

Esortiamo gli Stati membri delle Nazioni Unite e i suoi funzionari ad agire in base all’avvertimento del Relatore speciale Achiume e a invitare e tenersi pronti a sostenere le Nazioni Unite nei loro passi avanti.

Elenco delle firme [Data la non perfetta corrispondenza tra i titoli accademici italiani e quelli anglosassoni si è preferito lasciare l’elenco in originale, ndt]

Meir Amor, Dr., Department of Sociology and Anthropology (retired), Concordia University, Montreal

Ofer Ashkenazi, Professor, Director The Richard Koebner Minerva Center for German History, The

Hebrew University of Jerusalem

Aleida Assmann, Professor of English Literature and Cultural Theory, Konstanz University

Jan Assmann, Professor, Egyptologist and Religious Studies, University of Heidelberg

Leora Auslander, Arthur and Joann Rasmussen Professor of Western Civilization in the College and

Professor of European Social History, Department of History, University of Chicago

Angelika Bammer, Professor of Comparative Literature, Affiliate Faculty of Jewish Studies, Emory

University

Omer Bartov, Samuel Pisar Professor of Holocaust and Genocide Studies, Department of History,

Faculty Fellow, Watson Institute for International & Public Affairs, Brown University

Moshe Behar, Dr., Arabic & Middle Eastern Studies, School of Arts, Languages & Cultures, The

University of Manchester

Peter Beinart, Professor of Journalism and Political Science, The City University of New York (CUNY);

Editor at large, Jewish Currents

Joel Beinin, Donald J. McLachlan Professor of History and Professor of Middle East History, Emeritus,

Stanford University

Elissa Bemporad, Jerry and William Ungar Chair in East European Jewish History and the Holocaust;

Professor of History, Queens College and The City University of New York (CUNY)

Doris Bergen, Chancellor Rose and Ray Wolfe Professor of Holocaust Studies, Department of History

and Anne Tanenbaum Centre for Jewish Studies, University of Toronto

Werner Bergmann, Professor Emeritus Dr., Sociologist, Center for Research on Antisemitism,

Technische Universität Berlin

Michael Berkowitz, Professor of Modern Jewish History, Department of Hebrew & Jewish Studies,

University College London

Lila Corwin Berman, Murray Friedman Chair of American Jewish History, Temple University

David Biale, Emanuel Ringelblum Distinguished Professor Emeritus, UC Davis

Frank Biess, Professor of Modern European History, University of California-San Diego

Daniel Blatman , Professor Emeritus, Department of Jewish History and Contemporary Jewry, The

Hebrew University of Jerusalem

Donald Bloxham, Richard Pares Professor of History, University of Edinburgh

Daniel Boyarin, Taubman Professor of Talmudic Culture Emeritus, UC Berkeley

Micha Brumlik, Professor Dr., fmr. Director of Fritz Bauer Institut-Geschichte und Wirkung des

Holocaust, Frankfurt am Main

Jose Brunner, Professor Emeritus, Buchmann Faculty of Law and Cohn Institute for the History and

Philosophy of Science, Tel Aviv University

Bryan Cheyette, Professor and Chair in Modern Literature and Culture, University of Reading

Geoffrey Claussen, Associate Professor of Religious Studies, Lori and Eric Sklut Scholar in Jewish

Studies and Chair of the Department of Religious Studies, Elon University

Stephen Clingman, Distinguished University Professor, Department of English, University of

Massachusetts, Amherst

Raya Cohen, Dr., fmr. lecturer Department of Jewish History, Tel Aviv University and Department of

Sociology, University of Naples Federico II

Alon Confino, Pen Tishkach Chair of Holocaust Studies, Professor of History and Jewish Studies,

Director Institute for Holocaust, Genocide, and Memory Studies, University of Massachusetts,

Amherst

Sebastian Conrad, Professor of Global and Postcolonial History, Freie Universität Berlin

Frank Dabba Smith, Rabbi Dr., Leo Baeck College

Sidra DeKoven Ezrahi, Professor Emerita of Comparative Literature, The Hebrew University of

Jerusalem

Hasia R. Diner, Professor Emerita, New York University

Monique Eckmann, Professor Emerita, University of Applied Sciences and Arts, Western Switzerland

(HES-SO), Geneva; fmr. member Swiss delegation to the IHRA (2004-2018)

Vincent Engel, Professor, University of Louvain, UCLouvain

Jennifer Evans, Professor, Department of History, Carleton University; Member College of New

Scholars, Royal Society of Canada

David Feldman, Professor of History, Director of the Birkbeck Institute for the Study of Antisemitism,

University of London

Anna Foa, fmr. Associate Professor, Department of History, Cultures, Religions, Sapienza University

of Rome

Ute Frevert, Director of the Max Planck Institute for Human Development, Berlin

Efrat Gal-Ed, Professor Dr., Institute of Jewish Studies, Heinrich Heine University Düsseldorf

Katharina Galor, Hirschfeld Senior Lecturer in Judaic Studies, Brown University

Alexandra Garbarini, Charles R. Keller Professor of History, Faculty Affiliate in Jewish Studies,

Williams College

Sander Gilman, Distinguished Professor of the Liberal Arts and Sciences Emeritus, Emory University

Shai Ginsburg, Associate Professor, Chair of the Department of Asian and Middle Eastern Studies and

Faculty Member of the Center for Jewish Studies, Duke University

Amos Goldberg, Professor, The Jonah M. Machover Chair in Holocaust Studies, Head of the Avraham

Harman Research Institute of Contemporary Jewry, The Hebrew University of Jerusalem

Harvey Goldberg, Professor Emeritus, Department of Sociology and Anthropology, The Hebrew

University of Jerusalem

Sylvie-Anne Goldberg, Professor, Jewish Culture and History, Head of Jewish Studies at the Advanced

School of Social Sciences (EHESS), Paris

Svenja Goltermann, Professor Dr., Historisches Seminar, University of Zurich

Dorota Glowacka, Professor, Humanities, University of King’s College, Halifax

Leonard Grob, Professor Emeritus of Philosophy, Fairleigh Dickinson University

Jeffrey Grossman, Associate Professor and Chair Germanic Languages and Literatures, Member

Program in Jewish Studies, University of Virginia

Atina Grossmann, Professor of History, Faculty of Humanities and Social Sciences, The Cooper Union,

New York

Wolf Gruner, Shapell-Guerin Chair in Jewish Studies, Professor of History and Founding Director of

the USC Dornsife Center for Advanced Genocide Research, University of Southern California

Ruth HaCohen, Artur Rubinstein Professor Emerita of Musicology, The Hebrew University of

Jerusalem

Aaron J. Hahn Tapper, Professor, Mae and Benjamin Swig Chair in Jewish Studies, Director of the

Swig Program in Jewish Studies and Social Justice, University of San Francisco

Anna Hajkova, Associate Professor of Modern Continental European History, Warwick University

Rachel Havrelock, Professor of English and Jewish Studies, University of Illinois, Chicago

Elizabeth Heineman, Professor of History and of Gender, Women’s and Sexuality Studies, University

of Iowa

Deborah Hertz, Wouk Chair in Modern Jewish Studies, University of California, San Diego

Dagmar Herzog, Distinguished Professor of History and Daniel Rose Faculty Scholar Graduate Center,

The City University of New York (CUNY)

Dafna Hirsch, Dr., Department of Sociology, Political Science and Communication, The Open

University of Israel

Marianne Hirschberg, Professor, Faculty of Human Sciences, University of Kassel

Jill Jacobs, Rabbi, Executive Director, T’ruah: The Rabbinic Call for Human Rights, New York

Uffa Jensen, Professor Dr., Center for Research on Antisemitism, Technische Universität, Berlin

Jonathan Judaken, Professor, Spence L. Wilson Chair in the Humanities, Rhodes College

Irene Kacandes, The Dartmouth Professor of German Studies and Comparative Literature,

Dartmouth University

Marion Kaplan, Professor Emerita of Hebrew and Judaic Studies, New York University

Brian Klug, Hon. Fellow in Social Philosophy, Campion Hall, University of Oxford; Emeritus Fellow,

Faculty of Philosophy, University of Oxford; Hon. Fellow, Parkes Institute for the Study of Jewish/nonJewish Relations, University of Southampton

Thomas A. Kohut, Sue and Edgar Wachenheim III Professor of History, Williams College

Alexander Korb, Dr., Associate Professor in Modern European History, Stanley Burton Centre for

Holocaust and Genocide Studies, University of Leicester

Tony Kushner, Professor, Parkes Institute for the Study of Jewish/non-Jewish Relations, University of

Southampton

Dominick LaCapra, Professor Emeritus of History, Cornell University

Ferenc Laczó, Assistant Professor in European History, Maastricht University

Ben Lapp, Associate Professor of History, Montclair State University, New Jersey

Nitzan Lebovic, Professor, Department of History, Chair of Holocaust Studies and Ethical Values,

Lehigh University

Claudia Lenz, Professor of Social Science, Chair for prevention of racism and antisemitism, MF

Norwegian School of Theology, Religion and Society, Oslo

Mark Levene, Dr., Emeritus Fellow, University of Southampton and Parkes Centre for Jewish/nonJewish Relations

Giovanni Levi, Professor Emeritus of Modern History, Ca’ Foscari University of Venice

Simon Levis Sullam, Associate Professor of Modern History, Ca’ Foscari University of Venice

Hanno Loewy, Director of the Jewish Museum Hohenems, Austria

Ian S. Lustick, Bess W. Heyman Chair Emeritus, Department of Political Science, University of

Pennsylvania

Sergio Luzzatto, Emiliana Pasca Noether Chair in Modern Italian History, Department of History,

University of Connecticut

Shaul Magid, Professor of Jewish Studies, Dartmouth College

Avishai Margalit, Professor Emeritus in Philosophy, The Hebrew University of Jerusalem

Jessica Marglin, Associate Professor of Religion, Law and History, Ruth Ziegler Early Career Chair in

Jewish Studies, University of Southern California

David Mednicoff, Associate Professor of Middle Eastern Studies and Public Policy and Chair

Department of Judaic and Near Eastern Studies, University of Massachusetts, Amherst

Eva Menasse, Novelist, Berlin

Paul Mendes-Flohr, Professor Emeritus of History and Religious Thought, University of Chicago;

Professor Emeritus at the Divinity School, The Hebrew University of Jerusalem

Leslie Morris, Professor of German and Jewish Studies, Chair Department of German, Nordic, Slavic &

Dutch, University of Minnesota

Dirk Moses, Professor, Anne & Bernard Spitzer Chair in International Relations, The City College of

New York (CCNY)

Samuel Moyn, Henry R. Luce Professor of Jurisprudence and Professor of History, Yale University

Harriet L. Murav, Professor, Center for Advanced Study, Catherine and Bruce Bastian Professor of

Global and Transnational Studies, Department of Slavic Languages and Literatures, Comparative and

World Literature, University of Illinois

Susan Neiman, Professor Dr., Philosopher, Director of the Einstein Forum, Potsdam

Adi Ophir, Professor Emeritus, Tel Aviv University; Visiting Professor, Brown University, the Cogut

Institute for the Humanities and the Center for Middle East Studies

Atalia Omer, Professor of Religion, Conflict and Peace Studies at the University of Notre Dame and

the Dunphy Visiting Professor of Religion, Violence, and Peacebuilding at Harvard Divinity School

Thomas Pegelow Kaplan, Professor of History, Louis P. Singer Endowed Chair in Jewish History,

University of Colorado Boulder

Robert Jan van Pelt, University Professor, School of Architecture, University of Waterloo

Derek Penslar, William Lee Frost Professor of Jewish History, Harvard University

Andrea Pető, Professor, Central European University (CEU), Vienna; CEU Democracy Institute,

Budapest

Alessandro Portelli, fmr. Professor of Anglo-American Literature, Sapienza University of Rome

David Ranan, Dr., Political Scientist and Writer, London/Berlin

James Renton, Professor of History, Co-Director, International Centre on Racism, Edge Hill University

Na’ama Rokem, Associate Professor, Director Joyce Z. And Jacob Greenberg Center for Jewish

Studies, University of Chicago

Mark Roseman, Distinguished Professor in History, Pat M. Glazer Chair in Jewish Studies, Indiana

University

Göran Rosenberg, Writer and Journalist, Sweden

Ishay Rosen-Zvi, Professor of Talmud and Jewish Philosophy, Department of Jewish Philosophy, Tel

Aviv University

Michael Rothberg, 1939 Society Samuel Goetz Chair in Holocaust Studies, UCLA

Raz Segal, Associate Professor of Holocaust and Genocide Studies and Endowed Professor in the

Study of Modern Genocide, Stockton

Joshua Shanes, Professor and Director of the Arnold Center for Israel Studies, College of Charleston

David Shulman, Professor Emeritus, Department of Asian Studies, The Hebrew University of

Jerusalem

Dmitry Shumsky, Professor, Israel Goldstein Chair in the History of Zionism and the New Yishuv,

Head of the Institute of History, Department of Jewish History and Contemporary Jewry, The Hebrew

University of Jerusalem

Tamir Sorek, Liberal Arts Professor of Middle East History and Jewish Studies, Penn State University

David Sorkin, Lucy G. Moses Professor of Modern Jewish History, Department of History, Yale

University

Stefanie Schüler-Springorum, Professor Dr., Director of the Center for Research on Antisemitism,

Technische Universität Berlin

Michael Stanislawski, Nathan J. Miller Professor of Jewish History, Department of History, Columbia

University

Michael P. Steinberg, Barnaby Conrad and Mary Critchfield Keeney Professor of History; Professor of

Music and German Studies, Brown University

Lior Sternfeld, Associate Professor of History and Jewish Studies, Penn State University

Mira Sucharov, Professor and Associate Chair, Department of Political Science, Carleton University

Kylie Thomas, Dr., Senior Researcher, NIOD Institute for War, Holocaust and Genocide Studies,

Amsterdam

Anya Topolski, Associate Professor of Ethics and Political Philosophy, Radboud University, Nijmegen

Barry Trachtenberg, Associate Professor, Rubin Presidential Chair of Jewish History, Wake Forest

University

Enzo Traverso, Susan and Barton Winokur Professor in the Humanities, Department of History,

Cornell University, Ithaca, New York

Peter Ullrich, Dr. Dr., Senior Researcher, Fellow at the Center for Research on Antisemitism,

Technische Universität Berlin

Alana M. Vincent, Associate Professor, Religious Studies, Department of Historical, Philosophical and

Religious Studies, Umeå University

Anika Walke, Georgie W. Lewis Career Development Professor and Associate Professor of History,

Washington University in St. Louis

Dov Waxman, The Rosalinde and Arthur Gilbert Foundation Chair in Israel Studies, University of

California Los Angeles (UCLA)

Sebastian Wogenstein, Associate Professor of German, Hebrew and Judaic Studies, University of

Connecticut

Moshe Zimmermann, Professor Emeritus, The Richard Koebner Minerva Center for German History,

The Hebrew University of Jerusalem

Steven J. Zipperstein, Daniel E. Koshland Professor in Jewish Culture and History, Stanford University

Moshe Zuckermann, Professor Emeritus of History and Philosophy, Tel Aviv University

(traduzione dall’inglese di Giuseppe Ponsetti)




Una commissione delle Nazioni Unite dichiara che indagherà sulle accuse di “apartheid” contro Israele

Luke Tress

28 ottobre 2022 – The Times of Israel

Il rappresentante di Israele afferma che i membri della commissione “detestano” lo Stato ebraico.

I componenti della commissione d’inchiesta definiscono il termine “un paradigma appropriato“, respingono le accuse di antisemitismo come una “manovra diversiva” e le preoccupazioni sulla sicurezza come una “finzione” e sostengono che Gerusalemme potrebbe essere colpevole di crimini di guerra

NAZIONI UNITE – Giovedì la Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite sulle violazioni dei diritti da parte di Israele e dei palestinesi ha dichiarato che indagherà sulle accuse di apartheid contro Israele, confermando i timori di Gerusalemme [Tel Aviv, capitale di Israele per il diritto internazionale, ndt.] che la controversa indagine conduca ad etichettarla con il termine infamante.

L’indagine delle Nazioni Unite in corso è stata avviata dal Consiglio per i diritti umani dopo gli 11 giorni di battaglia lo scorso anno tra Israele e i terroristi di Gaza, allo scopo di indagare le violazioni dei diritti in Israele, in Cisgiordania e a Gaza, ma si è concentrata quasi esclusivamente su Israele.

La Commissione ha pubblicato il suo secondo rapporto la scorsa settimana, chiedendo al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite di porre fine all'”occupazione permanente” da parte di Israele e esortando gli Stati membri delle Nazioni Unite a perseguire i responsabili israeliani.

Giovedì, durante un briefing alle Nazioni Unite a New York, i tre membri della commissione hanno dichiarato che i prossimi rapporti riguarderanno le indagini sull’apartheid da parte di Israele. Hanno affermato che finora la ricerca si è concentrata sulle “cause profonde” del conflitto, da loro imputato alla presenza di Israele in Cisgiordania.

Navi Pillay, un’ex responsabile delle Nazioni Unite per i diritti umani che presiede la commissione, ha definito l’apartheid “una manifestazione dell’occupazione”.

“Ci stiamo concentrando sulla causa principale, rappresentata dall’occupazione, mentre l’apartheid fa parte dei suoi effetti”, dice Pillay. Ci arriveremo. Questo è il vantaggio del nostro mandato a tempo indefinito, ci consente una vasta libertà di indagine”.

Il membro della Commissione Miloon Kothari ha affermato inoltre che la natura a tempo indefinito dell’indagine permette di approfondire l’accusa di apartheid.

“Ci arriveremo perché abbiamo a disposizione molti anni e molti aspetti da approfondire”, dice.

“Pensiamo che sia necessario un approccio globale, quindi dobbiamo esaminare le questioni del colonialismo d’insediamento”, aggiunge Kothari. “L’apartheid è in sé un paradigma molto appropriato, quindi avremo un approccio leggermente diverso, ma ci arriveremo sicuramente”.

Israele ha rifiutato di collaborare con la commissione e non le ha concesso l’ingresso in Israele o nelle aree sotto controllo palestinese in Cisgiordania e Gaza. Ha respinto il rapporto della scorsa settimana, definendo la commissione non credibile né legittima. Giovedì, l’ambasciatore di Israele presso le Nazioni Unite ha affermato che i membri della commissione sono stati scelti in quanto “detestano” Israele.

I resoconti dell’inizio di quest’anno affermavano che il ministero degli Esteri stesse pianificando una campagna per sventare le accuse di apartheid da parte della commissione. Secondo quanto riferito, un cablogramma trapelato ha rivelato che i funzionari israeliani erano preoccupati per il danno che il primo rapporto della commissione avrebbe potuto causare se avesse fatto riferimento ad Israele come uno “Stato di apartheid”.

Il primo ministro Yair Lapid, che all’inizio dell‘anno ricopriva il ruolo di ministro degli Esteri, ha avvertito che quest’anno Israele avrebbe dovuto affrontare intense campagne rivolte ad etichettarlo come uno Stato di apartheid.

Nel corso degli ultimi due anni il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, Human Rights Watch, Amnesty International e altre [organizzazioni per i diritti umani] hanno accusato Israele di apartheid, prendendo in prestito il termine dal sistema sudafricano di discriminazione su base razziale.

Israele ha negato categoricamente le accuse di apartheid, affermando che la sua minoranza araba gode di pieni diritti civili, mentre la maggior parte dei palestinesi, che vivono al di fuori del territorio sovrano di Israele, sono soggetti al governo dell’Autorità Nazionale Palestinese sulla base degli accordi di Oslo.

Ha inoltre reagito con irritazione al termine “occupazione”, usato per descrivere le sue attività in Cisgiordania e a Gaza. Considera Gaza, dalla quale ha ritirato soldati e coloni nel 2005, come un’entità ostile governata dal gruppo terroristico islamico Hamas, e ritiene la Cisgiordania un territorio conteso soggetto a negoziati di pace interrotti da quasi dieci anni. I palestinesi rivendicano come futuro Stato indipendente la Cisgiordania, Gerusalemme Est e Gaza, territori conquistati da Israele nella guerra del 1967.

Giovedì la commissione ha presentato all’Assemblea generale delle Nazioni Unite il suo ultimo rapporto.

Il rapporto di 28 pagine accusa Israele di violare il diritto internazionale rendendo permanente il suo controllo sulla Cisgiordania e annettendo a Gerusalemme e in Cisgiordania territori rivendicati dai palestinesi e terra siriana sulle alture del Golan. Accusa inoltre Israele di politiche discriminatorie nei confronti dei cittadini arabi, di furto di risorse naturali e di violenza di genere contro le donne palestinesi.

Non menziona affatto Hamas, razzi o terrorismo, sebbene la commissione abbia ripetutamente precisato che presunti crimini palestinesi rientrano nell’ambito dell’indagine.

In passato i tre componenti della commissione sono stati aspramente critici nei confronti di Israele e Israele ha affermato che l’indagine è viziata da pregiudizi e antisemitismo.

Lapid ha definito il rapporto antisemita, “di parte, falso, istigatore e palesemente sbilanciato”.

Giovedì Pillay ha negato le accuse di aver definito in passato Israele uno Stato di apartheid. Il gruppo di monitoraggio di UN Watch [ONG internazionale la cui missione dichiarata è “monitorare le prestazioni delle Nazioni Unite sulla base della propria Carta”, ndt.] ha affermato di aver documentato più casi in cui fino al 2020 ella avrebbe accusato Israele di apartheid.

La Pillay ha anche affrontato critiche per la sua difesa di Kothari, che ha suscitato un putiferio all’inizio di quest’anno, quando ha affermato che i social media sarebbero “controllati in gran parte dalla lobby ebraica”, invocando tropi antisemiti sul potere ebraico. Ha anche chiesto perché Israele facesse parte delle Nazioni Unite.

Giovedì l’inviato israeliano alle Nazioni Unite, Gilad Erdan, ha condannato il rapporto insieme ai genitori di Ido Avigal, un bambino ucciso da Hamas durante il conflitto del 2021.

“[I commissari] sono stati scelti proprio in quanto detestano lo Stato ebraico”, ha detto Erdan.

I membri della commissione hanno affermato che le critiche di Israele non “smentiscono i risultati” del rapporto.

Anche gli Stati Uniti hanno ripetutamente condannato la commissione. Mercoledì durante un incontro con il presidente israeliano Isaac Herzog il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha denunciato l’indagine come di parte.

L’indagine “segue uno schema di vecchia data prendendo di mira Israele e non fa nulla per realizzare i presupposti per una pace”, ha affermato la Casa Bianca.

Giovedì Pillay ha respinto le accuse di antisemitismo, definendo le affermazioni “offensive” e “una manovra diversiva”.

Non siamo tutti e tre degli antisemiti. Consentitemi di chiarirlo e poi, come se non bastasse, hanno affermato che anche la relazione sarebbe antisemita. Non c’è una parola in questo rapporto che possa essere interpretata come antisemita”, ha detto. “Questa [accusa] viene sempre sollevata come diversivo.”

Siamo fortemente impegnati per la giustizia, lo stato di diritto e i diritti umani e non dovremmo essere costretti a subire tali insulti. Sono totalmente falsi, tutte falsità e bugie”, afferma.

Dice che Israele potrebbe essere colpevole di crimini internazionali, inclusi crimini di guerra, per il trasferimento di civili nei “territori occupati”, riferendosi agli insediamenti coloniali in Cisgiordania, dove vivono quasi 500.000 israeliani.

Kothari ha definito i coloni un “corpo paramilitare”.

“Possono fare quello che diavolo vogliono, possono fare irruzione nelle case, possono distruggere gli ulivi”, ha detto.

Pillay ha respinto, definendole “una finzione” dietro cui il Paese cerca di “nascondersi”, le preoccupazioni sulla sicurezza citate da Israele come giustificazione per il mantenimento di una presenza in Cisgiordania.

“Alcune delle politiche israeliane in Cisgiordania hanno solo lo scopo di giustificare in modo apparente problemi di sicurezza”, ha affermato.

La commissione ha chiesto a Israele di ritirarsi immediatamente dalla Cisgiordania, senza fare nessuna richiesta ai palestinesi.

Kothari respinge l’idea di un ritiro israeliano come parte di colloqui di pace verso una soluzione a due Stati, un processo sostenuto da gran parte della comunità internazionale.

“Come possiamo parlare di pace o negoziati senza che prima vengano prese delle misure da parte israeliana?” afferma Kotari.

Mentre la maggior parte degli israeliani sostiene una soluzione a due Stati, Israele ritiene che un ritiro unilaterale dalla Cisgiordania senza garanzie di sicurezza creerebbe uno Stato terroristico alle sue porte, indicando come esempio Gaza, dove ha condotto guerre ripetute per ostacolare gli attacchi missilistici di Hamas contro i civili. Israele giustifica anche il suo blocco sulla Striscia di Gaza, mantenuto insieme all’Egitto, come misura di sicurezza necessaria per fermare il terrorismo.

Il primo rapporto, pubblicato a maggio, faceva una breve menzione degli attacchi missilistici e del terrorismo palestinese, ma condannava la “persistente discriminazione contro i palestinesi” da parte di Israele come causa della violenza tra le due parti.

Giovedì la commissione ha affermato che “condanna qualsiasi forma di violenza”.

Il commissario Chris Sidoti ha detto che i rapporti futuri avranno “una copertura più completa” e che i dati su Israele sono limitati perché Israele non ha consentito l’ingresso ai commissari.

“Se ci sarà dato il permesso di entrare in Israele faremo queste domande ai funzionari competenti”, afferma Kothari. “Dateci la vostra versione delle cose perché vogliamo riportare i fatti con equità“.

I commissari non hanno accesso neppure a Gaza o in Cisgiordania.

La commissione è stata istituita l’anno scorso durante una sessione speciale del Consiglio per i diritti umani nel maggio 2021 a seguito dei combattimenti tra Israele e terroristi palestinesi nella Striscia di Gaza. L’UNHRC ha incaricato l’organismo di condurre un’indagine su “tutte le presunte violazioni del diritto umanitario internazionale e tutte le presunte violazioni e abusi delle leggi internazionali sui diritti umani” in Israele, Gerusalemme est, Cisgiordania e Gaza.

La commissione è stata la prima ad ottenere dall’organismo per i diritti umani delle Nazioni Unite un mandato a tempo indefinito – piuttosto che avere il compito di indagare su un crimine specifico – e i critici affermano che delle indagini così prolungate mostrino la presenza di pregiudizi anti-israeliani all’interno del consiglio dei 47 Stati membri. I fautori sostengono la commissione come una modalità per tenere gli occhi aperti sulle ingiustizie affrontate dai palestinesi durante decenni di dominio israeliano.

Sembrano accettare un’occupazione senza fine, ma si lamentano di questa commissione. Il mandato a tempo indeterminato ci consente di affrontare in profondità alcuni di questi problemi”, sostiene Pillay.

La commissione ha anche dichiarato di non aver avviato l’indagine – l’hanno fatto gli Stati membri – e ha detto di ritenere che le Nazioni Unite dovrebbero istituire più indagini a tempo indefinito.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Israele diventerà una teocrazia? I partiti religiosi sono i principali vincitori delle elezioni

Judy Maltz

3 novembre 2022 – Haaretz

Israele si appresta ad avere il governo più clericale di sempre, per cui le richieste di haredi e ortodossi probabilmente saranno una priorità della nuova coalizione di Netanyahu, minacciando le precedenti riforme

Salvo eventuali sorprese dell’ultimo minuto, il prossimo governo israeliano sarà di gran lunga il più confessionale della sua storia.

Dei quattro partiti che si prevede faranno parte della nuova coalizione, tre sono religiosi. Due di questi, United Torah Judaism [Ebraismo Unito per la Torah], i cui elettori sono principalmente ashkenaziti [ebrei di origine europea, ndt.] e lo Shas, il cui elettorato è prevalentemente sefardita [ebrei originari dei Paesi musulmani, ndt.], sono partiti ultra-ortodossi che escludono le donne dalle loro liste elettorali. Il terzo, Religious Zionism [Sionismo religioso], l’unione di tre partiti di estrema destra tra i cui dirigenti c’è un discepolo del defunto rabbino suprematista ebraico Meir Kahane, si colloca sul versante tradizionalista dello spettro religioso, tendenzialmente ultra-ortodosso.

Insieme questi tre partiti rappresenteranno più di metà dei seggi della coalizione guidata da Benjamin Netanyahu, che dovrebbe andare al potere nelle prossime settimane.

Aggiungendo ad essi sette parlamentari dello stesso partito di Netanyahu, il Likud, risulta che 40 dei 65 membri previsti della prossima coalizione di governo israeliana saranno ebrei ortodossi, il 61%, molto oltre il loro 17% della popolazione totale. Circa 2/3 di questo contingente ortodosso è composto da haredi [ebrei ultra-ortodossi e molto tradizionalisti, ndt.].

Per questa ragione mercoledì mattina [il giorno dopo le elezioni, ndt.] molti israeliani si sono svegliati chiedendosi se il loro Paese stia per diventare una teocrazia.

“Non vedo Israele diventare un vero e proprio Stato della Torah [insieme di insegnamenti e precetti biblici, ndt.],” afferma il rabbino Uri Regev, presidente e amministratore delegato di Hiddush, organizzazione che promuove la libertà religiosa in Israele. “Ma stiamo per arrivarci molto più vicino che mai prima d’ora.”

Tani Frank, direttore del Judaism and State Policy Center [Centro per l’Ebraismo e la Politica dello Stato] presso l’istituto Shalom Hartman di Gerusalemme, concorda: “Vedremo sicuramente i partiti haredi spingere in quella direzione,” dice. “Ma ciò non avverrà tutto d’un tratto, perché sono sufficientemente furbi da sapere che ci sarebbe una grande reazione se cercassero di ottenere tutto quello che possono ci sarebbe una fortissima reazione.”

A dire il vero in Israele non c’è mai stata una separazione tra religione e Stato. Questioni relative a matrimonio e divorzio, per esempio, rientrano sotto la competenza delle autorità religiose, nel caso degli ebrei il Gran Rabbinato controllato dagli ortodossi. Con poche eccezioni il trasporto pubblico non circola durante il sabato, e quel giorno la maggior parte dei negozi al dettaglio è chiusa. Dato che in Israele è riconosciuto solo l’ebraismo ortodosso, i movimenti riformatori e conservatori non hanno accesso ai finanziamenti del ministero dei Servizi Religiosi.

Qualunque progresso fatto negli ultimi anni per promuovere la libertà e il pluralismo religiosi è stato per lo più imposto dai tribunali.

Tra gli esempi più significativi c’è stata la fondamentale sentenza dell’Alta Corte di Giustizia del marzo 2021, che ha riconosciuto le conversioni non ortodosse per ottenere la cittadinanza. E grazie a precedenti decisioni della corte in Israele rabbini non ortodossi, come quelli ortodossi, possono essere stipendiati dallo Stato ed è vietata la discriminazione di genere nella sfera pubblica.

Il grande timore è che i partiti religiosi della nuova coalizione di Netanyahu cerchino di indebolire il potere giudiziario attraverso una “clausola escludente” che consentirebbe alla Knesset di ribaltare decisioni della corte come queste. Ciò potrebbe cancellare molti dei progressi fatti negli ultimi anni per promuovere la libertà religiosa in Israele.

“Finora i tribunali sono stati un attore principale nella promozione di questioni come i diritti degli omosessuali e delle donne, ma se questa coalizione porterà avanti i suoi progetti di istituire la clausola escludente, saranno fondamentalmente in grado di fare quello che vogliono,” afferma Shuki Friedman, vice presidente del Jewish People Policy Institute [Istituto di Politica del Popolo Ebraico] con sede a Gerusalemme.

Friedman crede che, oltre che promuovere la clausola escludente, il nuovo governo cercherà di ribaltare immediatamente le riforme religiose approvate dal governo uscente, soprattutto una revisione molto importante del sistema della certificazione casherut [cibi che rispondono ai precetti religiosi, ndt.], che ha attirato la fiera opposizione del rabbinato.

Se il governo uscente avesse tenuto fede alla sua promessa di rilanciare l’accordo sul Muro del Pianto, che intendeva facilitare la preghiera egualitaria nel luogo santo ebraico, questa nuova coalizione avrebbe probabilmente dato priorità al suo annullamento. Ma, dato che negli ultimi 16 mesi non è stato fatto alcun progresso nel rilancio dell’accordo, almeno su questo problema c’è poco da annullare.

“Diciamo pure che questo nuovo governo rappresenta il chiodo definitivo sulla bara dell’accordo riguardante il Kotel [il Muro del Pianto in ebraico, ndt.],” afferma Uri Keidar, direttore esecutivo di Israel Hofsheet, una ong attiva nella promozione della libertà religiosa e del pluralismo ebraico.

Le promesse di Netanyahu

Allora, dove il nuovo governo israeliano dirigerà probabilmente i suoi sforzi in materia di rapporti tra la religione e lo Stato nei prossimi anni (ammesso che duri così a lungo)?

Frank crede che si concentrerà inizialmente su politiche che riguardino e beneficino direttamente la comunità ultra-ortodossa. “Ci sarà molto più denaro per le scuole haredi, comprese quelle che non insegnano materie fondamentali come inglese e matematica,” prevede. In effetti Netanyahu ha già promesso ai dirigenti haredi che non subordinerà i finanziamenti statali per le loro scuole al fatto che insegnino queste materie fondamentali.

Frank pensa anche che i partiti haredi faranno pressione su Netanyahu perché revochi una riforma iniziata dal governo uscente che minaccia il controllo rabbinico sui servizi di telefonia mobile nella comunità ultra-ortodossa.

Ecco alcuni degli altri possibili cambiamenti dello status quo religioso da parte di questo nuovo governo:

Legge del Ritorno: i partiti religiosi hanno a lungo fatto pressione per un cambiamento che limiterebbe notevolmente l’idoneità per l’aliyah [l’immigrazione ebraica in Israele, ndt.] e la cittadinanza in base alla Legge del Ritorno. Secondo l’attuale versione qualunque individuo con almeno un nonno/a o il coniuge di questa persona ebreo/a è idoneo all’immigrazione in Israele.

I partiti religiosi credono che nella sua forma attuale questa legge incoraggi troppi “non ebrei” a immigrare. In base alla loro proposta, la cosiddetta clausola del/della nipote verrebbe eliminata e al suo posto verrebbero autorizzate a fare l’aliyah solo persone con almeno un genitore ebreo.

“Penso persino che essi andranno oltre nella modifica della Legge del Ritorno,” prevede Keidar. Frank ritiene tuttavia che Netanyahu potrebbe respingere simili modifiche. “Conservare la clausola del/la nipote è di estrema importanza per gli immigrati russofoni,” dice, evidenziando che questa comunità rappresenta la grande maggioranza degli immigrati in Israele. “E i russofoni garantiscono ancora al Likud circa 4 o 5 seggi a ogni elezione, perciò egli non può ignorarli.”

Conversione: cinque anni fa lo Shas presentò una proposta di legge che avrebbe dato al rabbinato il controllo esclusivo sulle conversioni in Israele e avrebbe messo fuorilegge le conversioni non-ortodosse. Questa legge non è mai andata avanti nell’iter legislativo, ma, dato il potere che i partiti ultra-ortodossi avranno nella nuova coalizione, Regev sostiene che essi cercheranno di riattivarla. E una volta approvata la clausola escludente, ammesso che lo facciano, potrebbero allora revocare la sentenza dell’Alta Corte che riconosce le conversioni non-ortodosse.

Questa sentenza riguarda solo un piccolo numero di persone che si convertono ogni anno in Israele attraverso i movimenti riformato e conservatore. Ciononostante è stata considerata epocale per il riconoscimento implicito della legittimità delle denominazioni non-ortodosse. Frank pensa che Netanyahu ci penserà due volte prima di appoggiare leggi che cancellino questo riconoscimento, a causa delle tensioni che provocherebbero nei rapporti di Israele con la diaspora ebraica, i cui dirigenti hanno accolto con grande favore la sentenza dell’Alta Corte.

Il trasporto pubblico di sabato: il governo israeliano uscente ha fatto poco per promuovere il trasporto pubblico di sabato, anche se nelle ultime settimane la ministra dei Trasporti Merav Michaeli [segretaria del partito laburista israeliano, ndt.] aveva promesso che la metropolitana leggera ancora in costruzione a Tel Aviv avrebbe circolato nel giorno festivo ebraico. Negli ultimi anni vari Comuni israeliani, insieme a organizzazioni di base, hanno inaugurato linee di autobus che circolano di sabato.

Keidar pensa che il nuovo governo darà la priorità alla lotta contro queste iniziative. In effetti i partiti haredi hanno già manifestato l’interesse a ottenere il ministero dei trasporti nel prossimo governo.

Vari sondaggi d’opinione realizzati da Hiddush hanno rilevato che una vasta maggioranza di israeliani, compresi elettori del Likud, è a favore in vario modo del trasporto pubblico di sabato. “Chiaramente concessioni di questa sorte che Netanyahu verrà sollecitato a fare dai suoi partner di coalizione ultra-ortodossi non solo saranno a dispetto della maggioranza della popolazione, ma anche contrarie alla volontà dei suoi stessi elettori, e questa è una cosa di cui egli dovrà tener conto,” dice Regev, che è un rabbino riformato.

Matrimonio: solo un mese fa un tribunale israeliano ha riconosciuto la validità dei “matrimoni dell’ Utah” [dal gennaio del 2020, nello Stato dello Utah è possibile sposarsi online, ndt.]. La sentenza ha fornito un modo economico alle coppie israeliane per evitare la proibizione del matrimonio civile nel Paese. Finora il matrimonio civile era riconosciuto solo se celebrato fuori dal territorio israeliano. Keidar pensa che la nuova coalizione agirà per ribaltare questa sentenza, ripristinando in tal modo il controllo del rabbinato sui matrimoni.

Diritti LGBTQ: non si prevede che il nuovo governo arrivi fino al punto da mettere fuorilegge l’omosessualità, ma potrebbe cercare di annullare alcuni dei progressi fatti nella promozione dei diritti degli omosessuali da parte del governo uscente e di quelli che l’hanno preceduto, afferma Keidar.

Ciò potrebbe includere l’annullamento del divieto alla terapia della conversione [terapia pseudoscientifica intesa a modificare l’orientamento sessuale delle persone omosessuali per farle diventare eterosessuali, ndt.], tagliando il finanziamento pubblico delle terapie ormonali per persone transgender e il ripristino del divieto alla donazione del sangue per le persone omosessuali. “Non immagino che Netanyahu prenda iniziative drastiche contro le persone LGBTQ perché molte votano Likud,” afferma Frank. “Ma non vedremo assolutamente continuare i rapporti cordiali che sono esistiti tra la comunità LGBTQ e il governo uscente.”

Aborto: non si prevede che il nuovo governo segua la linea degli Stati Uniti e istituisca il divieto assoluto dell’aborto, ma Keidar crede probabile che diventi più attivo nel scoraggiarlo. “Probabilmente vedremo molti più finanziamenti pubblici andare alle organizzazioni che assistono le giovani donne con gravidanze indesiderate perché le portino a termine,” sostiene.

Keidar dice che, anche se il nuovo governo riuscisse a indebolire il potere giudiziario, non avrà carta bianca nell’imporre restrizioni di carattere religioso sulla popolazione laica. “Ci sarà una reazione e lo abbiamo già visto accadere quando hanno cercato di chiudere attività commerciali di sabato nei quartieri laici. La gente è scesa in strada a protestare.”

Nonostante la crescente influenza delle comunità ortodosse e ultra-ortodosse, Keidar nota che gli ebrei laici continuano ad essere la comunità più grande in Israele, rappresentando (secondo i dati pubblicati lo scorso mese dall’Ufficio Centrale di Statistica) il 36% della popolazione. Le comunità ortodosse e ultra-ortodosse rappresentano ognuna circa un altro 8,5% della popolazione.

Tra le iniziative più importanti introdotte dalla coalizione uscente per promuovere il pluralismo religioso in Israele c’è stata la creazione di una nuova “Amministrazione per il Rinnovamento Ebraico” nel ministero per gli Affari della Diaspora. Il suo bilancio di 60 milioni di shekel (circa 17 milioni di euro) intendeva appoggiare, tra le altre cause, le attività dei movimenti riformati e conservatori nel Paese. Il nuovo governo probabilmente troverà altri utilizzi, più in linea con il suo programma ortodosso, per questi fondi, il che sarebbe una grave battuta d’arresto per il pluralismo ebraico.

Tuttavia Rakefet Ginsberg, direttrice esecutiva del movimento conservatore in Israele, rifiuta di credere che il nuovo governo cercherà di chiudere le sue attività: “Voglio sperare che ci sia la comprensione del fatto che i nostri movimenti non pregiudicano l’ebraicità dello Stato, ma al contrario l’arricchiscono.”

Anna Kislanski, direttrice esecutiva del movimento riformato in Israele, sembra meno fiduciosa: “I risultati di queste elezioni sono molto inquietanti per quanti di noi non vengono dal movimento ortodosso,” afferma. “Siamo preoccupati della mancanza di accettazione che questo governo potrebbe dimostrare verso gli arabi, le donne, gli omosessuali e in effetti chiunque non la pensi come il movimento ortodosso.”

Avverte che la frattura tra Israele e l’ebraismo della diaspora potrebbe approfondirsi ulteriormente, considerando il grande seguito del movimento riformato fuori da Israele.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




È ufficiale: il fascismo siamo noi

Yossi Klein

4 novembre 2022 – Haaretz

La vittoria della coalizione di Netanyahu e la sconfitta della sinistra non sono né sorprendenti né l’aspetto più significativo delle elezioni. C’è stato un vincitore in queste elezioni: il nazionalismo sionista religioso. Netanyahu se ne andrà, e anche Ben-Gvir. Il fascismo è destinato a rimanere. Non è più uno degli attori politici in campo: è una visione del mondo.

Si tratta di un cambiamento drammatico e storico. Il fascismo si è affermato. Il quadro generale è che si è manifestato con il punteggio di 14 a 0: 14 seggi per il fascismo, 0 per la sinistra. È una sconfitta cocente. Israele ha adottato la visione del mondo del peggiore dei suoi nemici. Chiamiamola con il suo nome: Ben-Gvir [leader della coalizione di estrema destra Sionismo Religioso, ndt.] il Ben-gvirismo è kahanismo [ideologia suprematista e razzista del defunto rabbino Meri Kahane, ndt.] ed è fascismo.

Non siamo rimasti sorpresi. Siamo rimasti indifferenti. Abbiamo chiamato l’emergente fascismo “un processo”, nella speranza che sarebbe stato contenuto a lungo, o almeno non sarebbe fiorito finché ci fossimo stati noi in giro. Ma il 14 a 0 non è solo una fase, l’ha già superato. I processi sono dinamici, si sviluppano e avanzano, prima alla Knesset, poi al governo, e poi a casa tua.

Il fascismo è una vecchia conoscenza. È qui fin dal 1967, forse da prima. La gente si vergognava di chiamarlo così, ma era qui ad ogni passo, anche se lo abbiamo accettato in silenzio. Oggi non c’è più vergogna. Il fascismo non è più una parolaccia. Oggi puoi chiamare qualcuno fascista e non si sente insultato. Chiamaci fascisti se ne hai voglia, a Otzma Yehudit [Potere Ebraico, il partito di Ben-Gvir, ndt.] non ci importa, nelle prossime elezioni Ygal Amir [kahanista e uccisore del primo ministro Yitzhak Rabin, ndt.] avrà un posto di rilievo nelle liste elettorali.

Nello stesso modo in cui legittimiamo Ben-Gvir legittimiamo il fascismo. Lo trasformeremo. Prenderemo l’estrema destra, gli metteremo una kippah [copricapo degli ebrei religiosi, ndt.] e le frange rituali e avremo il fascismo sionista religioso. Umberto Eco ha definito il fascismo anche come una profonda passione per la tradizione, la concezione del dissenso come tradimento, un’ossessione per il complotto e la venerazione dell’eroe e della morte. Il fascista ebreo sionista religioso ha tutto questo.

Quando l’estrema destra è arrivata al potere in Italia non siamo stati presi dal panico e non abbiamo chiesto agli ebrei di venire a vivere in Israele. Che importa se 80 anni fa gli ebrei furono uccisi in suo nome? Direte che non si può fare un parallelo e che il fascismo ha anche i suoi aspetti bellissimi. Apprezzerà il patriottismo, elogerà la disciplina.

Di chi è la colpa della vittoria del fascismo qui? A breve termine, la televisione commerciale, e a lungo termine il sistema educativo. La televisione ha costruito Ben-Gvir come un ridicolo pagliaccio, una macchietta innocua, e gli ha fornito una piattaforma che nessun politico si era mai sognato. Ora, quando il genio è uscito dalla bottiglia si rifiuta di tornarci dentro. Non c’è da preoccuparsi della televisione, è già pronta per i nuovi padroni, a prostrarsi e a leccargli i piedi.

Che la televisione commerciale adulasse il fascismo non ci ha sorpresi. Eravamo preparati. Per 75 anni nelle scuole hanno evitato di chiamare il fascismo con il suo nome. “Amore per la patria”, “insediamenti”, “estrema destra”. Ci hanno insegnato che siamo migliori del resto del mondo, ma anche le sue vittime. Grazie al rapporto tra autocommiserazione e arroganza, abbiamo fatto quello che la democrazia rifiuta e il fascismo accetta. Ogni ministro dell’educazione ha contribuito all’avanzata del fascismo. Ogni programma scolastico lo ha rafforzato. Lo hanno diluito con ingredienti intesi a offuscarne l’essenza: “il nostro diritto alla terra” ci ha dato il diritto di espellere rifugiati e tormentare gli occupati. I genitori hanno sgranato gli occhi increduli: sono andati a dormire con bravi bambini e si sono svegliati con truppe d’assalto. Se davvero vogliono sapere da dove i loro figli hanno ricevuto questa malvagità, dovrebbero andare nelle loro scuole e leggere i programmi, controllare cosa imparano e soprattutto ciò che non gli viene consentito di imparare.

Capiranno che puoi insegnare ai diciassettenni i diritti umani, la giustizia e l’uguaglianza di fronte alla legge, mentre come soldati gli verrà chiesto di calpestarli. Non puoi insegnare l’uguaglianza in un Paese conquistatore e spiegare cos’è un confine quando non ti viene permesso di citare la Linea Verde [che separa Israele dalla Cisgiordania, ndt.]. Forse è già troppo tardi. Forse abbiamo perso l’occasione e il fascismo non può più essere sradicato.

Come ogni movimento fascista, userà strumenti democratici per vincere, rifletterà la visione del mondo della maggioranza dell’opinione pubblica. È legittimo? Ma può il fascismo essere legittimo in un Paese democratico? L’ingresso ufficiale del fascismo nelle nostre vite è il vero messaggio delle elezioni. Si parla del processo a Netanyahu, del servizio militare di Lapid [polemica contro l’ex-primo ministro che avrebbe fatto il militare come giornalista e non in unità operative, ndt.] e non dell’elefante nella stanza. Lo si è evitato, ignorato. Dopo queste elezioni chiunque deve chiedersi se è ancora orgoglioso di essere israeliano.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Israele uccide 4 palestinesi in Cisgiordania e a Gerusalemme est occupate

Redazione di Al Jazeera

3 novembre 2022 – Al Jazeera

Un uomo, Daoud Rayan, è stato ucciso a Beit Dukku un giorno dopo che un altro abitante della città è stato ucciso vicino a un posto di blocco.

Le forze israeliane hanno ucciso quattro palestinesi in differenti incidenti in Cisgiordania e a Gerusalemme est occupate.

Giovedì la violenza è scoppiata mentre Israele conteggiava i voti definitivi nelle elezioni nazionali svoltesi questa settimana, e si prevede che l’ex Primo Ministro Benjamin Netanyahu sarà alla guida di un’ampia maggioranza sostenuta da alleati di estrema destra.

Il Ministero della Salute palestinese ha detto che un palestinese è stato ucciso dal fuoco israeliano in Cisgiordania. È stato identificato come il quarantaduenne Daoud Mahmoud Khalil Rayan di Beit Duqqu, in Cisgiordania.

La polizia israeliana ha dichiarato che le guardie di frontiera paramilitari hanno fatto irruzione in casa di un palestinese che sostenevano avesse lanciato la propria auto mercoledì contro un soldato israeliano. La polizia ha detto che lì gli agenti hanno affrontato una protesta durante la quale i dimostranti hanno lanciato pietre e ordigni incendiari contro i poliziotti. Allora questi hanno aperto il fuoco contro chi aveva scagliato l’ordigno.

In un altro incidente occorso giovedì, secondo la polizia un palestinese avrebbe accoltellato un agente di polizia nella Città Vecchia di Gerusalemme e gli agenti hanno aperto il fuoco, uccidendolo. L’agente è rimasto lievemente ferito.

Nel frattempo due palestinesi, compreso un combattente della Jihad islamica, sono stati uccisi nel corso di incursioni dell’esercito a Jenin.

Le violenze si sono verificate mentre in Israele sta avvenendo un cambiamento politico dopo le elezioni nazionali, con l’ex Primo Ministro Benjamin Netanyahu che probabilmente tornerà al potere con un governo di coalizione composto da alleati di estrema destra, incluso il parlamentare di estrema destra Itamar Ben-Gvir, che in risposta agli incidenti ha detto che Israele presto userà un approccio più duro nei confronti degli aggressori.

È arrivato il momento di riportare la sicurezza nelle strade”, ha twittato. “È arrivato il momento che un terrorista che sta per compiere un attacco venga eliminato!”

Gli incidenti sono stati gli ultimi di un’ondata di violenze in Cisgiordania e a Gerusalemme est che quest’anno ha ucciso più di 130 palestinesi, facendo del 2022 l’anno con il maggior numero di vittime dal 2015.

Le forze israeliane hanno compiuto incursioni quasi quotidiane in Cisgiordania e i combattenti palestinesi hanno risposto attaccando soldati israeliani.

Le incursioni sono state parte dell’operazione israeliana “Spezzare l’onda”, che è un tentativo di porre fine all’emergere di nuovi gruppi di resistenza palestinesi in Cisgiordania.

Nelle ultime settimane le incursioni sono state accompagnate da un aumento degli attacchi contro israeliani, che hanno fatto almeno tre morti.

Sempre giovedì Israele ha rimosso alcuni posti di blocco in entrata e uscita da Nablus. Israele ha imposto le restrizioni settimane fa, attuando un giro di vite sulla città in risposta ad un nuovo gruppo militante noto come “La fossa dei leoni”. Nelle settimane scorse l’esercito ha condotto ripetute operazioni in città, uccidendo o arrestando i comandanti al vertice del gruppo.

Israele ha conquistato la Cisgiordania nella guerra del 1967 e da allora ha mantenuto un’occupazione militare illegale sul territorio e vi ha insediato più di 500.000 persone. I palestinesi vogliono il territorio, insieme alla Cisgiordania e Gerusalemme est per il loro auspicato Stato indipendente.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)