La famiglia di un bambino ucciso dai coloni teme nuove aggressioni
Jaclynn Ashly
30 dicembre 2022 – The Electronic Intifada
Ahmad Dawabsheh non ama guardare al passato.
Ha delle buone ragioni. Il dodicenne è sopravvissuto a una delle peggiori aggressioni dei coloni degli ultimi anni, quando nel 2015 alla casa della sua famiglia nel villaggio di Duma nel distretto di Nablus della Cisgiordania occupata venne dato fuoco con bombe incendiarie da coloni israeliani.
Alì, fratellino di 18 mesi di Ahmad, morì in seguito alle ustioni, suo padre Saad una settimana dopo per le ferite e Riham, madre di Ahmed, un mese dopo.
All’epoca Ahmad aveva 4 anni. Riportò gravissime ustioni su tutto il corpo.
L’attacco getta ancora un’ombra oscura sulla vita del villaggio.
Secondo Nasser Dawabsheh, 48 anni, lo zio che ora si occupa di Ahmad, i rapporti tra gli abitanti del villaggio di Duma e i coloni che li circondano non hanno fatto che peggiorare, e dal 2015 il villaggio è stato attaccato almeno una decina di volte.
Quanto ad Ahmad, sta cercando di lasciarsi tutto alle spalle.
“L’aggressione non mi ferisce più perché mi vieto di pensarci,” dice a The Electronic Intifada Ahmad, seduto in poltrona nella casa dello zio. Cerca di far roteare un pallone tra le dita prendendolo al volo prima che cada a terra.
Ahmad ha ancora cicatrici da ustioni sulla parte destra del volto e sul corpo. Ha subito anni di chirurgia ricostruttiva e trapianti di pelle e la sua terapia è tutt’altro che terminata.
Ogni sei mesi deve subire cure per la pelle con il laser a causa delle ustioni, trapianti di capelli e di cute. Alla famiglia vengono concessi permessi militari speciali per avere accesso alle cure in un ospedale israeliano.
“Non siamo contenti di andarci (in Israele),” afferma Nasser. “Ma sono solo gli ospedali israeliani che hanno le apparecchiature mediche, quindi non abbiamo alternative.”
Dato che le tensioni crescono in tutta la Cisgiordania occupata – secondo le Nazioni Unite il 2022 è stato l’“anno più letale” per i palestinesi in Cisgiordania da quando ha iniziato a contare le vittime nel 2005 – la famiglia Dawabsheh è stata abbandonata a sé stessa.
“Siamo terrorizzati all’idea che qualcosa del genere possa succedere di nuovo,” dice Nasser a The Electronic Intifada. “Qui non c’è nessuna autorità che ci protegga da loro. Abbiamo solo dio.”
“Testimonianza di violenza”
La casa della famiglia Dawabsheh è rimasta tale e quale, coperta di cenere e costellata di coperte e oggetti dei genitori di Ahmad nella stanza dove hanno subito le ustioni che li hanno uccisi. Su uno dei muri qualcuno ha scritto: “Non perdoneremo mai.”
“Abbiamo deciso di lasciare la casa in queste condizioni come prova e testimonianza della violenza che questi coloni ci hanno inflitto,” sostiene Nasser.
Il responsabile dell’attacco fu l’allora ventunenne Amiram Ben-Uliel, che all’epoca viveva in un autobus ad Adei Ad, un avamposto dei coloni che domina Duma.
Avrebbe fatto parte della “hilltop youth,” [gioventù della cima delle colline], un gruppo estremista e religioso-nazionalista di coloni israeliani che rivendica una teocrazia ebraica da cui i gentili, i non ebrei, siano espulsi.
Mentre in base alle leggi internazionali tutte le colonie israeliane in territorio palestinese sono considerate illegali, il governo israeliano considera illegali solo gli avamposti. Tuttavia fornisce loro protezione finanziata dallo Stato e collegamenti alla rete idrica e a quella elettrica.
Spesso li ha anche legalizzati retroattivamente e la nuova coalizione di governo israeliana si sarebbe impegnata a conferire status legale a tutti gli avamposti rimanenti entro i suoi primi 60 giorni al potere.
L’“hilltop youth” è accanitamente anti-palestinese. È accusato di essere autore dei cosiddetti attacchi ‘price tag’ [prezzo da pagare], in cui i coloni prendono di mira i palestinesi e le loro proprietà come ritorsione per la demolizione di avamposti da parte dell’esercito israeliano.
Ben-Uliel è stato difeso dall’avvocato Itamar Ben-Gvir, ora leader del partito di ultradestra Otzma Yehudit (Potere Ebraico) e destinato a diventare nell’ultima e più estremista coalizione di governo di Benjamin Netanyahu ministro della Sicurezza Nazionale, una carica creata ex novo.
Secondo i pubblici ministeri quella notte Ben-Uliel partì da Yishuv Hadaat, un vicino avamposto coloniale.
Si appostò fuori da alcune case a Duma per attaccarle, lanciando prima una bottiglia molotov in una casa vuota, poi si diresse verso la casa della famiglia Dawabsheh.
Una molotov venne lanciata attraverso la finestra della camera da letto dei Dawabsheh mentre la famiglia stava dormendo. Prima dell’attacco Ben-Uliel scrisse anche fuori dalla casa con la vernice spray “Vendetta” e “Viva il re Messiah”.
Il capo d’accusa afferma che Ben-Uliel agì da solo e un sospetto non identificato che all’epoca era minorenne patteggiò una pena e così venne condannato solo come complice. Tuttavia testimoni oculari affermano di aver visto quella notte due uomini mascherati scappare dalla scena del delitto.
Nel 2020 un tribunale israeliano condannò a tre ergastoli Ben-Uliel, imputato per triplice omicidio e due tentati omicidi. All’epoca lo Shin Bet, una agenzia di spionaggio israeliana, affermò che la sentenza era “un’importante pietra miliare nella lotta contro il terrorismo ebraico.”
Aggrediscono ancora
Ma la inusuale condanna di un colono ebreo per reati commessi contro palestinesi non ha consolato molto la famiglia Dawabsheh.
“Non è stato sufficiente,” dice Nasser, davanti ai resti carbonizzati della casa di famiglia. “Non ci riporterà mai i defunti e non è stata l’azione di una singola persona. Se non fosse stato per il sostegno del governo e dell’esercito quei coloni non sarebbero mai arrivati al punto di bruciare viva la nostra famiglia.
Sono il governo israeliano e l’occupazione in sé, non solo un colono, che dovrebbero essere processati,” afferma Nasser.
Il tribunale ha condannato Ben-Uliel anche al pagamento di 75.000 dollari [circa lo stesso importo in euro, ndt.], che avrebbe dovuto essere versato come indennizzo ad Ahmad. Nasser afferma che la famiglia non ha ancora ricevuto neppure un soldo.
“Quei coloni continuano ad aggredirci,” dice Nasser a The Electronic Intifada. “E continuano a prendersi la nostra terra. Non è cambiato niente.”
Solo una settimana dopo che la famiglia di Ahmad era stata presa di mira in un attacco incendiario, anche la casa di un’altra famiglia palestinese nei pressi di Duma venne attaccata con bottiglie molotov. Non si ebbe notizia di feriti in quell’aggressione.
Negli scorsi mesi Nablus in particolare ha visto un netto incremento di attacchi armati coordinati da parte di coloni sotto la protezione dell’esercito. Ciò in parte è dovuto a operazioni della resistenza armata palestinese contro soldati e coloni israeliani a Nablus e in altre città della Cisgiordania, così come all’avvio dell’annuale stagione della raccolta delle olive, in cui a molti palestinesi viene dato il permesso di accedere alla propria terra nei pressi di colonie e avamposti israeliani e spesso è accompagnata da un picco di aggressioni dei coloni.
Secondo l’ONU finora quest’anno [il 2022, ndt.] ci sono stati quasi 800 attacchi dei coloni contro i palestinesi e le loro proprietà. Nel 2022 almeno 175 palestinesi sono stati uccisi dall’esercito israeliano in Cisgiordania e a Gaza.
Duma ha subito la sua parte di questo incremento della violenza dei coloni. Il 16 giugno nei pressi di Duma un’auto è stata attaccata da coloni armati di sbarre di ferro. Hanno rotto il parabrezza e i finestrini della macchina e spruzzato liquido urticante contro i due uomini che erano a bordo.
Lo stesso giorno anche una coppia con una figlia di 3 anni e un neonato di un mese è stata attaccata da coloni che si trovavano vicino a una jeep dell’esercito israeliano. I coloni hanno colpito l’auto, rotto uno dei finestrini e un fanale anteriore con un bastone e spruzzato un liquido urticante contro la coppia e il loro bimbo.
Diritto alla terra
Indipendentemente dal recente incremento, gli attacchi dei coloni sono normali nei villaggi attorno a Nablus, plasmando la vita di tutti. Ma non è sempre stato così.
Satira, la sessantunenne nonna di Ahmad, è nata e cresciuta a Duma.
“Quando ero più giovane c’erano libertà e sicurezza,” dice a The Electronic Intifada. “Potevamo lasciare le porte di casa aperte e andarcene sulle colline senza paura.”
Tuttavia ora la maggior parte delle case ha spesse sbarre di metallo alle finestre, mentre qualcuno le ha completamente coperte con lamiere nel timore di futuri attacchi incendiari.
“L’aggressione del 2015 ci ha dimostrato fino che punto questi coloni fossero intenzionati ad arrivare per cancellarci da questa terra,” afferma Satira. “Vogliono ucciderci e persino bruciarci vivi.”
Ma il giovane Ahmad non ha permesso che questa tragedia lo condizionasse. Dice a The Electronic Intifada di avere il grande sogno di diventare un calciatore professionista.
E se non ci dovesse riuscire allora “diventerò un medico,” dice.
Nel corso dell’intervista ogni tanto Ahmad si alza e si mette a palleggiare e a prendere a calci un pallone.
È un tifoso sfegatato del Real Madrid, la ex-squadra di Cristiano Ronaldo, considerato uno dei più grandi calciatori di sempre. Ahmad ha incontrato Ronaldo in Spagna nel 2016, parecchi mesi dopo la devastante aggressione.
Quando arriva un ospite Ahmad gli chiede immediatamente per quale squadra di calcio tifa. “Barcellona,” risponde l’ospite. Ahmad alza gli occhi al cielo.
Poi, quando l’adhan, cioè l’invito musulmano alla preghiera, risuona dagli altoparlanti della moschea del villaggio, l’ospite chiede ad Ahmad di portargli un tappeto da preghiera.
Ahmad subito risponde, provocando le risate di Nasser e Satira: “Non ho un tappeto da preghiera per i tifosi del Barcellona,”
Secondo suo zio il ragazzino è ancora traumatizzato. Nasser dice a The Electronic Intifada che Ahmad è ancora nervoso e ansioso quando la tensione con i coloni aumenta.
“Dopotutto è ancora un bambino,” afferma Nasser.
Ma Ahmad lo interrompe prontamente.
“Non sono un bambino!” sostiene. “E non ho paura di loro (i coloni). Hanno le armi ma siamo noi ad avere diritto su questa terra. Quindi di cosa c’è da aver paura?”
Jaclynn Ashly è una giornalista freelance
(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)