Amnesty denuncia il divieto ‘repressivo’ israeliano nei confronti della bandiera palestinese

Redazione di MEMO

11 gennaio 2023 – Middle East Monitor

Amnesty International ha criticato il divieto “repressivo” da parte del ministro israeliano della Sicurezza Nazionale Itamar Ben-Gvir di esibire la bandiera palestinese in luoghi pubblici nello Stato di Israele come “un tentativo codardo e prevedibile di cancellare l’identità del popolo palestinese e una violazione spudorata della carta dell’Organizzazione delle Nazioni Unite e dei diritti umani”

L’organizzazione per la difesa dei diritti ha aggiunto in una dichiarazione pubblicata ieri che i risultati di una inchiesta che ha condotto rivelano che “l’istigazione contro la bandiera palestinese da parte di politici e organizzazioni israeliane durante gli anni passati ha avuto un grande successo nell’instillare la paura nelle menti di molti ebrei quando la vedono”.

Amnesty sollecita le autorità israeliane a ritirare le direttive emanate da Ben-Gvir, avvisando che esse “costituiscono una chiara violazione della dichiarazione universale dei diritti umani e della carta dell’Organizzazione delle Nazioni Unite che costituiscono la pietra miliare del diritto internazionale”.

Il portavoce dell’organizzazione, Rami Haidar, ha affermato che “la direttiva per la messa in pratica del divieto di esibire la bandiera palestinese rientra nell’ambito delle punizioni collettive su base razzista”, notando che la soppressione della bandiera costituisce la base per violare i diritti umani e può condurre ad altre proibizioni o restrizioni.

Domenica Ben-Givr ha ordinato alla polizia di vietare l’esibizione di bandiere palestinesi in luoghi pubblici.

La decisione è arrivata dopo i festeggiamenti organizzati nella citta di Ara in Israele, in seguito al rilascio di Karim Younes, che ha passato 40 anni in prigione, durante i quali cono comparse bandiere palestinesi.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Cosa succederà in Cisgiordania col proseguire dei raid israeliani?

Zena Al Tahhan .

10 gennaio 2023, Al Jazeera

Gli analisti affermano che la Cisgiordania palestinese si sta avvicinando a un bivio nella lotta contro l’occupazione.

 

Ramallah, Cisgiordania occupata – L’incertezza incombe sulla vita dei palestinesi nella Cisgiordania occupata da Israele.

Ci si aspetta che nel prossimo futuro a un certo punto la situazione sul campo imploderà.

Non è possibile prevedere quando e come ciò succederà, o quale sarà il fattore scatenante, ma diversi sviluppi sul campo nell’ultimo anno indicano che la Cisgiordania occupata si sta avvicinando a un serio cambiamento del suo status quo – politico e della sicurezza – attualmente insostenibile.

“Un conflitto palestinese e una ripresa della lotta contro l’occupazione [israeliana] sono inevitabili”, ha detto ad Al Jazeera Belal Shobaki, capo del Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Hebron. “Credo sia verosimile che nel 2023 la situazione possa esplodere”.

Secondo le stime dell’apparato militare e di sicurezza israeliano, è inevitabile che la Cisgiordania vada alla fine verso la mobilitazione. Israele sta cercando di rimandare questo scenario il più a lungo possibile impiegando una strategia di contenimento e assorbimento”, prosegue.

Per ora dice: “Israele non sta concedendo una completa calma e non sta permettendo che le cose esplodano”.

Per quasi un anno la Cisgiordania occupata ha assistito a un aumento della violenza da parte dell’esercito israeliano con almeno 170 palestinesi, tra cui 30 bambini, uccisi nel 2022 durante i raid quasi quotidiani – il numero di vittime più alto in 16 anni secondo le Nazioni Unite. Anche gli attacchi sferrati contro i palestinesi da coloni ebrei nella Cisgiordania occupata sono notevolmente aumentati.

Le morti sono continuate nel 2023, con quattro palestinesi, tra cui tre bambini, uccisi nei primi cinque giorni durante i raid israeliani.

Molti degli uccisi nell’ultimo anno erano civili, mentre i raid e le uccisioni dell’esercito israeliano vengono ora condotti sotto la bandiera della repressione alla resistenza armata palestinese nella Cisgiordania settentrionale occupata.

Il nuovo governo israeliano di estrema destra insediatosi il mese scorso ha adottato misure punitive contro l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) e collocato figure controverse in posizioni chiave del controllo sui palestinesi, aumentando ulteriormente la prospettiva di un’esplosione sul campo.

Una nuova operazione militare?

Dal settembre 2021 si sono formati numerosi gruppi palestinesi armati relativamente piccoli e trasversali alle fazioni, principalmente nelle città di Jenin e Nablus. I gruppi sono limitati in termini di capacità e si concentrano sulla difesa delle aree in cui operano durante i raid militari israeliani, e compiono anche sparatorie ai posti di blocco militari israeliani.

Secondo il Ministero degli Esteri israeliano soltanto nel 2022 gli attacchi commessi dai palestinesi in Israele e nella Cisgiordania occupata hanno ucciso 29 persone.

Nell’ultimo anno è stata ripetutamente avanzata dagli osservatori la prospettiva che Israele lanci un’invasione su vasta scala delle città palestinesi come ha fatto nel 2002, o di una nuova Intifada (rivolta) palestinese.

Tuttavia, Abdeljawad Hamayel, accademico della Birzeit University, ha affermato di ritenere improbabile che Israele invada con tutta la sua forza a meno che non vi sia un cambiamento nella natura degli attacchi effettuati dai gruppi palestinesi.

La strategia [di Israele] è ora un misto di negoziazione e omicidi. I gruppi armati per parte loro non stanno effettuando attacchi in profondità in Israele. Ad esempio, se ci fossero attacchi nella zona costiera [dove sono città come Tel Aviv o Haifa, ndt.] allora potrebbero riconsiderare la cosa, perché allora avrebbero sufficiente volontà politica per eliminare questi gruppi”, ha detto Hamayel ad Al Jazeera.

I gruppi [armati] hanno creato zone di relativa libertà, ma non sono separati dal potere israeliano. Israele entra, arresta, compie omicidi e operazioni speciali in queste aree con la relativa immunità dei suoi soldati”, prosegue.

“Sì, stanno affrontando una potenza di fuoco e non possono arrestare le persone così facilmente come prima, ma queste zone sono comunque accessibili all’esercito israeliano che quindi non sente il bisogno di operare un’invasione su vasta scala”.

Per Shobaki, l’assenza di un reale coordinamento tra i gruppi armati e la violenza [israeliana] ancora in gran parte limitata alla Cisgiordania occupata significa che Israele è soddisfatto della sua attuale strategia.

La maggior parte dei punti di scontro sono stati nell’arena palestinese – all’interno dei villaggi e delle città, nei campi profughi, ai posti di blocco. Tutto questo sta accadendo in modo tale da non influire nella vita quotidiana dei coloni, e non è così costoso per l’occupazione israeliana quanto lo è per la vita dei palestinesi”, spiega.

Gaza e l’Autorità Nazionale Palestinese

Non è solo Israele che cerca di fermare qualsiasi sollevazione significativa nella Cisgiordania occupata.

Anche l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP), controllata dal partito Fatah, svolge un ruolo che la separa dagli altri gruppi palestinesi.

“Se guardiamo alla realtà della Cisgiordania occupata, abbiamo un gruppo di partiti che stanno cercando di cambiare la realtà anche se ciò significa un’esplosione nella Cisgiordania”, dice Shobaki. “Sono Hamas, la Jihad islamica e il Fronte popolare per la liberazione della Palestina (FPLP)”.

Sebbene molti membri dei nuovi gruppi armati siano affiliati a Fatah, rappresentano una forma di opposizione alla leadership dell’Autorità Nazionale Palestinese, che collabora con l’esercito israeliano nel coordinamento della sicurezza per contrastare gli attacchi e condanna pubblicamente gli attacchi armati.

“Potremmo vedere sacche del movimento Fatah disertare e entrare a far parte della lotta armata contro l’occupazione israeliana, [lasciando spazio a] Hamas, Jihad islamica e FPLP perché si inseriscano“, afferma Shobaki.

Invece, molti dei nuovi gruppi armati sono affiliati al braccio armato della Jihad Islamica Palestinese (PIJ) con sede a Gaza – le Brigate al-Quds.

Israele ha preso di mira il PIJ ad agosto con un bombardamento di tre giorni sulla Striscia di Gaza assediata, uccidendo almeno 49 palestinesi, la maggior parte dei quali civili di cui 17 bambini.

Ma la natura di breve durata di quel conflitto, e l’assenza di un reale seguito, hanno portato gli osservatori a credere che nel prossimo periodo sia improbabile un’altra guerra israeliana su Gaza.

Invece gruppi come il PIJ, che ha stretti legami con l’Iran, hanno puntato sulla Cisgiordania occupata e l’ondata di disordini per fronteggiare Israele.

Parlando con Al Jazeera, il portavoce del PIJ a Gaza Tareq Silmi ha affermato che nell’ultimo anno il suo gruppo ha svolto “un ruolo speciale” nell’emergere dei nuovi gruppi armati in Cisgiordania.

“Non è un segreto che le Brigate Jenin [uno dei nuovi gruppi] siano affiliate alle Brigate al-Quds, l’ala armata della Jihad islamica”, ha detto Silmi, che ha aggiunto che il PIJ sta lavorando “24 ore su 24… per sostenere il fenomeno della resistenza armata in Cisgiordania”.

Cambierà il ruolo dell’ANP?

A parte la prospettiva di grandi defezioni dal movimento Fatah, gli analisti dicono che un altro scenario possibile è che Israele cambi proprio il ruolo della ANP.

Figure di estrema destra nel governo israeliano come Itamar Ben-Gvir o Bezalel Smotrich hanno espresso il loro disinteresse al fatto che l’ANP continui ad esistere.

Il 28 dicembre l’allora governo israeliano entrante dichiarò che la sua massima priorità era quella di “promuovere e sviluppare insediamenti in tutte le parti della terra di Israele”, inclusa la Cisgiordania occupata, ammettendo nascostamente di non aver intenzione di consentire la creazione di uno Stato palestinese.

“L’ANP dovrebbe prendere sul serio questo governo”, dice Hamayel. “Vogliono una ANP che non abbia rivendicazioni nazionali e che faccia il suo lavoro di gestione delle questioni civili nell’area”.

Vogliono un’ANP senza la ‘P’”, ha spiegato, aggiungendo che il governo israeliano vuole che “i palestinesi accettino la sovranità israeliana in Cisgiordania e in tutto il Paese, o se ne vadano – ciò che rappresenta il nucleo del movimento sionista stesso”.

Tutto ciò getta incertezza sul prossimo anno.

Anche se ci si aspetta che la Cisgiordania occupata sia il centro di qualsiasi imminente confronto palestinese con Israele, potrebbe non essere necessariamente questo il fattore scatenante.

La scorsa settimana, quando è giunta notizia che Ben-Gvir aveva in programma di entrare nel complesso della moschea di Al-Aqsa, ci sono stati reali timori che la situazione esplodesse.

Alla fine, ciò non è accaduto e l’evento si è svolto senza alcuno scontro. Potrebbe non accadere lo stesso durante il prossimo incidente.

“La piazza si muove per ragioni emotive”, dice Shobaki. “Un singolo evento può spingerli [i palestinesi] a scendere in strada”.

Maram Humaid ha contribuito a questo articolo dalla Striscia di Gaza occupata.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Un altro eminente sionista ammette che il progetto è fallito

Philip Weiss

9 gennaio 2023 – Mondoweiss

Hillel Halkin si è trasferito in Israele dagli Stati Uniti 50 anni fa come sionista convinto. Ora lo scrittore confessa che il progetto è fallito perché non poteva far fronte alle richieste palestinesi, e che è stato ingenuo.

Abbiamo seguito con attenzione indizi sul fatto che la comunità ebraica si stia rivoltando contro Israele in seguito allo shock per il nuovo governo fascista, e questa è un altra testimonianza.

Hillel Halkin, un sionista convinto di 83 anni trasferitosi dagli Stati Uniti in Israele nel 1970, scrive su Jewish Review of Books che Israele è condannato. “Siamo sull’orlo di un baratro e stiamo precipitando.” E nulla salverà Israele dall’abissodella politica messianica di destra.

I leader israeliani hanno evitato la questione centrale dei diritti dei palestinesi, spiega Halkin, scrittore e traduttore. Quindi il problema è cresciuto e Israele è diventato sempre più di destra. E non solo di destra, ma di un estremismo religioso. Quando l’intero scopo del sionismo era quello di svezzare il popolo ebraico dalla religione e produrre una democrazia laica.

Così Jeremy Pressman [docente in Scienze Politiche presso l’Università del Connecticut ed esperto della questione israelo-palestinese, ndt.] si prende gioco su Twitter della rivelazione di Halkin: “‘Non avrei mai pensato che i leopardi mi avrebbero divorato la faccia’, singhiozza la donna che ha votato per il Leopards Eating People’s Faces Party [partito dei leopardi divoratori di facce umane]”. Molto arguto. Ma io faccio i complimenti ad Halkin. Ci sono molti sionisti che sono stati attratti dall’ideologia per un senso di idealismo/liberazione ebraica/chiusura mentale; e sebbene quasi tutti per decenni non si siano curati delle notizie dalla Palestina, almeno Halkin ammette umilmente di aver sbagliato.

Halkin inizia il suo racconto descrivendo un amico israeliano che dopo l’elezione di Begin nel 1977 percepì dei segnali di pericolo e iniziò a votare per i partiti palestinesi prima di trasferirsi in Portogallo 10 anni fa: “un antisionista dichiarato le cui terribili previsioni per il futuro di Israele ci hanno portato ad accese discussioni”. Quell’amico ha recentemente scritto ad Halkin per dirgli: te l’avevo detto. Halkin ha risposto:

Hai vinto. Da anni ormai Israele mi sembra un sonnambulo che cammina verso un baratro. In quel baratro ora stiamo precipitando.

Halkin nutre la speranza che Israele possa riprendersi, ma afferma che il nuovo governo radicale fa presagire “un caos politico”. E quando “i consolatori” dicono: “Questa è solo un’elezione, tra due anni tornerà il blocco centrista”, dice che è un pio desiderio. , ci saranno altre elezioni. E i mascalzoni probabilmente le vinceranno con margini maggiori di quelli con cui hanno vinto queste.

I dati demografici mostrano che Israele sta solo peggiorando. Ci sono sempre più giovani elettori ultraortodossi. “La politica israeliana è ora talmente consolidata intorno a linee identitarie di gruppo che i blocchi elettorali sono estremamente stabili… le correnti che spingono Israele costantemente verso destra persisteranno”.

La confisca senza fine della terra palestinese e l’espansione degli insediamenti coloniali spinge l’opinione pubblica israeliana sempre più a destra. Più questo conflitto diventa senza speranza, più guadagna la destra e i suoi alleati religiosi e perde il centro-sinistra”.

Il razzismo domina la cultura politica israeliana:

Secondo un sondaggio dello scorso anno un quarto di tutti gli israeliani non religiosi di età compresa tra i diciotto e i ventiquattro anni e la metà di tutti i credenti pensano che i cittadini arabi di Israele debbano essere privati del diritto di voto!

Questa è la popolazione votante nel futuro di Israele – ed è un futuro in cui è esclusa qualsiasi alleanza tra il centrosinistra e i partiti arabi di Israele che possa bilanciare il blocco religioso di destra. Lo stato di cronica esacerbazione delle relazioni arabo-ebraiche lo garantisce, dal momento che nessun partito ebraico può permettersi di essere visto come “amante degli arabi”…

La soluzione dei due Stati è fallita nel 2009, ma su questo tutti mentono. “Sebbene le sue virtù continuino a essere decantate da tutti, tale soluzione è irrealizzabile, resa tale dall’attuale presenza di centinaia di migliaia di coloni israeliani in Giudea e Samaria”. Tutti i principali partiti in Israele hanno adottato la politica di “gestione del conflitto”. Come se ciò fosse realizzabile, tanto meno auspicabile.

E ora Israele “va verso un disastro… un Israele bi-nazionale che inevitabilmente imploderebbe dall’interno o un Israele moralmente ripugnante ostracizzato dal mondo e abbandonato da molti dei suoi stessi cittadini”. Sì, ben un milione di laici vivono già all’estero. Altri se ne andranno.

Halkin dice che Israele sparirà entro 30 anni, se annetterà la terra – qualcosa che il Ministro delle Finanze Bezalel Smotrich vuole fare “con l’aiuto di Dio”. Sia i palestinesi che gli israeliani sono diventati più religiosi e il conflitto distrugge ogni speranza. “La costante deriva verso la religione nella vita israeliana degli ultimi decenni, così opposta alla tendenza nei paesi occidentali, è direttamente correlata all’impasse israelo-palestinese”.

Halkin spiega che il sionismo doveva essere antimessianico:

Il sionismo aspirava a svezzare il popolo ebraico dalla convinzione che Dio fosse dalla sua parte e che a lui si potesse affidare per essere salvato dalle situazioni difficili, che avrebbe dovuto fare affidamento su Dio piuttosto che su se stesso perché ciò era stato stabilito da Dio. Fu proprio per questo che la maggior parte dei rabbini d’Europa, dove sorse il sionismo, e specialmente dell’Europa orientale, dove trovò le sue radici più profonde, lo combatterono con le unghie e con i denti. La maggior parte dell’ultra-ortodossia è rimasta aspramente antisionista fino alla dichiarazione dello Stato di Israele…

E ora, con il traino di Benjamin Netanyahu, queste sono le forze che ci trascinano nell’abisso. [Gli antisionisti] hanno dato la colpa al sionismo, e io l’ho data all’ebraismo, delle cui fantasie e delusioni il sionismo ha cercato di curarci solo per esserne esso stesso infettato. Il sionismo voleva renderci un popolo normale. Ha fallito e si è snaturato nel processo.

Halkin ha la bontà di ammettere che altri lo avevano già previsto molto tempo fa.

Non ho mai creduto agli avvertimenti, lanciati da molti nel corso degli anni, che l’espansione delle colonie avrebbe portato Israele al punto di non ritorno. Credevo che alla fine, prima o poi, per quanto tempo ci fosse voluto, l’unica soluzione praticabile, l’unica soluzione ancora da provare, sarebbe stata colta [la soluzione dei due Stati]…

Sono stato (come spesso mi è stato detto) ingenuo. Siamo oltre il dirupo e stiamo precipitando, e nessuno sa quanto il baratro sia profondo.

Halkin ha 83 anni e devo credere che sia un esponente rappresentativo dei sionisti laici che cominciano ad avere terribili dubbi su una filosofia che hanno abbracciato. Il governo Netanyahu-Ben-Gvir-Smotrich offre loro l’opportunità di distaccarsene.

Non analizzerò qui l’argomentazione di Halkin (le sue giustificazioni per la Giudea e la Samaria, il suo biasimare i palestinesi, la sua incapacità nell’attribuire da subito ai palestinesi una comprensione del sionismo). Penso che abbiamo bisogno che più ebrei sionisti divengano ex sionisti e decolonizzino la mente ebraica e l’establishment statunitense, per aprire la strada alla democrazia. Quindi plaudo al coraggio e onestà di Halkin e al suo cambiamento.

(Traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Chiese di Gerusalemme nel mirino di un’escalation di attacchi estremisti: Consiglio delle Chiese

Agenzia Anadolu

7 gennaio 2023 – Middle East Monitor

Le chiese di Gerusalemme est sono sempre più preoccupate per l’aumento degli attacchi di estremisti israeliani contro le proprietà cristiane nella città.

Ex funzionari ecclesiastici e in carica hanno detto all’agenzia Anadolu che i frequenti attacchi alle proprietà cristiane si sono conclusi nella maggior parte dei casi senza una punizione dei colpevoli.

Domenica scorsa estremisti israeliani hanno distrutto e rovesciato le lapidi con croci di 30 tombe in un cimitero cristiano appartenente alla Chiesa episcopale evangelica a Gerusalemme est.

“Il Ministero degli Affari Esteri israeliano condanna l’atto di vandalismo al cimitero protestante del Monte Sion a Gerusalemme”, ha dichiarato mercoledì il Ministero degli Affari Esteri israeliano in un tweet.

Storia di un’aggressione

Il 27 dicembre 2022, dozzine di coloni hanno preso d’assalto il terreno di 5.000 m2 a Silwan, a sud della Città Vecchia di Gerusalemme, sotto la protezione della polizia israeliana.

Il Patriarcato greco-ortodosso ha denunciato il raid dei coloni come una “chiara violazione” delle sue proprietà a Gerusalemme.

“Questo gruppo radicale non ha alcun diritto o appiglio giuridico a suo favore che consenta loro di entrare o occupare la terra”, si legge in una nota.

Il Patriarcato ha fatto riferimento al fatto che, due anni fa, un’associazione di coloni ha tentato di impossessarsi degli hotel Imperial e Little Petra situati in piazza Omar Ibn Al Khattab nella Città Vecchia di Gerusalemme.

Condanna in attesa di punizione

L’ex vescovo della Chiesa evangelica luterana in Terra Santa, Munib Younan, ha dichiarato: “L’attacco a un cimitero che racconta la storia dei luterani dal XIX secolo è la prova dell’odio degli aggressori”.

Durante la sua intervista con l’agenzia Anadolu, Younan ha affermato che l’attacco al cimitero “è inaccettabile e non solo dovrebbe essere condannato, ma i responsabili devono essere anche puniti”.

Ha sottolineato che gli aggressori “miravano a impadronirsi della Porta di Hebron impossessandosi degli hotel Imperial e Petra, il che avrebbe portato al controllo del pellegrinaggio cristiano locale e internazionale alla Chiesa del Santo Sepolcro nella Città Vecchia”.

Restrizione deliberata

I recenti attacchi non si sono limitati ai beni della Chiesa luterana, ma hanno incluso anche quelli di altre denominazioni cristiane, comprese quelle di proprietà della Chiesa greco-ortodossa.

Il portavoce del Patriarcato greco-ortodosso, padre Issa Musleh, ha dichiarato: “Gli estremisti attaccano chiese e monasteri, così come la sacra moschea di Al-Aqsa”.

Musleh ha affermato che “la presenza di un governo di estrema destra in Israele non spaventa solo noi ma il mondo intero”.

Contro ignoti

Nel corso degli anni, Wadih Abu Nassar, portavoce del Consiglio dei responsabili delle Chiese cattoliche di Gerusalemme, ha seguito [le indagini su, ndt.] numerosi attentati insieme alle autorità israeliane.

“Non stiamo parlando di singoli attacchi ma piuttosto di decine di attacchi negli ultimi anni, la maggior parte dei quali”, ha osservato, “sono stati archiviati come contro ignoti”.

“Questa situazione non può essere accettata”, ha aggiunto Abu Nassar. “I migliori servizi di sicurezza devono essere utilizzati per fermare i crimini d’odio e consegnare i colpevoli alla giustizia”.

Ha messo in guardia contro lo sviluppo futuri attacchi e la loro violazione dei cimiteri.

“La continuazione degli attacchi porterà i loro autori a credere di essere intoccabili, i loro attacchi non si fermeranno ai cimiteri”, ha osservato Abu Nassar.

Ha anche sottolineato che “i crimini d’odio derivano da un problema educativo”, aggiungendo: “È necessaria una soluzione radicale”.

Attacchi con aggravanti di odio.

Abu Nassar racconta esempi di come le autorità israeliane affrontano con leggerezza i crimini di odio.

“Nel caso dell’attacco alla Chiesa della Grotta del Getsemani a Gerusalemme l’aggressore è stato arrestato, poi dichiarato infermo di mente”, sottolinea e spiega: “Le autorità israeliane si comportano in modo strano con tali crimini da parte di simili infermi di mente. Se l’aggressione è documentata attraverso le telecamere, le autorità dicono che i volti sono sfocati e quando gli aggressori vengono arrestati, sono sempre malati di mente”.

Aggiunge: “Non escludo che nel mirino ci sia la presenza cristiana, secondo alcuni fondamentalisti ebrei il cristiano è un nemico. Ci sono dimensioni ideologiche, non solo politiche, così come non escludo che per alcuni si tratti di odio”

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




La legge israeliana pensata per escludere gli arabi da certe comunità adesso è usata contro gli ebrei

Meirav Arlosoroff

7 gennaio 2023 – Haaretz

Potrebbe sembrare che il nuovo governo stia espandendo il numero di comitati di ammissione in piccole comunità per escludere gli arabi. In realtà si vuole evitare che altri ebrei competano con i locali per terreni a basso costo

Nell’ultimo rapporto biennale pubblicato due mesi fa dall’Ufficio Centrale di Statistica in Israele solo cinque autorità locali si collocano nel Gruppo 10, più alto dal punto di vista socio-economico. Omer, un consiglio comunale con una popolazione di 8.000 abitanti situato appena a nord di Be’er Sheva, è uno di questi cinque posti privilegiati. 

Pini Badash è stato sindaco di Omer per 32 anni ed è certamente un amministratore esperto e di successo. La scorsa settimana, in un’intervista a Makor Rishon [giornale di destra e vicino al movimento dei coloni, N.d.T.], ha detto: “Adesso c’è una nuova area destinata all’edilizia residenziale a Omer e ho deciso di destinarne una parte al personale di carriera dell’esercito che opera nella zona e un’altra parte ad abitanti che vivono già a Omer. Sono stati immessi sul mercato libero sei lotti [per una casa], ma se un beduino ne comprasse uno, io bloccherò la vendita.” 

Badash ha continuato dicendo che “ci sono cittadini israeliani qui, nostri vicini, con carte di identità come le nostre che, alla resa dei conti e in un momento di crisi, sono il nemico. Io ero a una riunione sulla sicurezza con un militare che ha descritto così la situazione: ‘Immagina di costruire una casa, una casa magnifica, di installarci videocamere e una recinzione, così nessuno può entrarci. Ma cosa succede? Le termiti della casa hanno divorato te.’ Questa è la nostra situazione. C’è un esercito forte, ci sono i servizi segreti, ma alla fine siamo annientati dall’interno.” 

The Marker [quotidiano economico in ebraico pubblicato in Israele dal gruppo Haaretz, N.d.T.] ha chiesto a Badash se volesse scusarsi per aver paragonato i beduini alle termiti e di ritrattare la sua dichiarazione in cui dice che intende impedire ai cittadini beduini di comprare terreni a Omer. Badash ha rifiutato di commentare.

Badash ha un problema. Ai sensi della legislazione attuale è vietato negare a chiunque il diritto di acquistare una casa nella comunità che governa o persino di mostrare preferenze sulla vendita di una casa a una persona più che a un’altra, eccetto in casi in cui si applichi una di queste due condizioni. 

La prima condizione è che l’acquirente sia un “nativo.” In altre parole, è una preferenza che consente ai membri della seconda generazione di vivere vicino ai propri genitori, sebbene anche questa sia parziale. Questa eccezione si applica ad alcuni, ma non a tutti i lotti che sono sul mercato a Omer e certamente non impedisce ai beduini di acquistare case per sé. La seconda condizione si applica solo a piccole comunità fino a un massimo di 400 famiglie che vogliono mantenere la propria individualità tramite i comitati di ammissione. 

Queste due eccezioni sono più o meno simili e sono intese a garantire che solo io e quelli come me hanno il diritto di vivere in certe zone. In pratica mi danno il diritto di discriminare gli altri unicamente perché non mi assomigliano. 

Ci sono molti “altri” che non riusciranno a superare gli ostacoli dei comitati di ammissione: mizrahi [ebrei originari di Paesi arabi o musulmani che vivono in Israele, N.d.T.] in una comunità ashkenazita [ebrei di origine europea, N.d.T.], persone religiosamente osservanti in un ambiente laico, laici in un contesto osservante, comunità che accettano solo vegani e, ovviamente, arabi. Del resto i comitati di ammissione sono sorti come risposta alla sentenza dell’Alta Corte di Giustizia nel 1995 sul caso Kaadan, quando la causa relativa a una famiglia araba di Baka al-Garbiyeh che aveva cercato di comprare una casa nella vicina comunità di Katzir e si era vista opporre un rifiuto si rivolse alla Corte Suprema che giudicò illegale la discriminazione. In seguito si trovò un modo per aggirare quella sentenza tramite la legge dei Comitati di Ammissione del 2011: la concessione a piccole comunità del diritto di esaminare le persone che vogliano trasferirvisi. 

Non è un caso che gli accordi della coalizione firmati dal Likud con Sionismo Religioso e Otzma Yehudit [entrambi partiti di estrema destra, N.d.T.], lo scellerato trio Smotrich, Ben-Gvir e Netanyahu, riguardino i comitati di ammissione. I due accordi con i due partner di coalizione includono una clausola che autorizza le comunità fino a 1000 famiglie (due volte e mezza il limite precedente di 400) a creare tali comitati. Il diritto di selezionare i candidati e limitare l’ammissione delle famiglie sta quindi per essere applicato come minimo a decine di altre comunità, colonie incluse. 

E come se questo non fosse abbastanza, l’accordo di coalizione Likud-Sionismo Religioso contiene anche un’altra clausola speciale che permette di insediare un comitato di ammissione in una cittadina che conti fino a 2000 famiglie, in questo caso Kasif, la città progettata nel Negev per gli haredi [ebrei ortodossi ed ultra-ortodossi, N.d.T.]. La clausola è pensata per garantire che tutte le prime 2000 famiglie di Kasif siano ebree (e fra loro neppure una beduina), come parte del fine dichiarato che Kasif, che si intende far sorgere nel cuore della zona in cui vivono i beduini e che alla fine offrirà una soluzione abitativa per 25.000 famiglie, sia una città esclusivamente ebraica. 

Comunque concentrarsi sull’odio contro gli arabi e sul desiderio di impedire loro di comprare case in insediamenti ebraici, un obiettivo che Badash ammette apertamente, fa perdere di vista il punto principale. Gli arabi raramente acquistano case in comunità ebraiche. Badash ammette che anche a Omer non ci sono che poche famiglie beduine benestanti. (“Al momento ci sono 25 famiglie beduine che vivono qui: giudici, medici, ingegneri e due ‘collaboratori’ [membri delle forze di sicurezza palestinesi] stipendiati dallo stato.”) 

Gli arabi preferiscono stare vicini alle proprie comunità anche solo per poter mandare i figli alle scuole arabe. Inoltre giustamente non vogliono vivere dove non sono graditi. Al contrario quelli che vogliono abitare in queste comunità ebraiche sono altri ebrei, meno abbienti di quelli che ambiscono alla qualità di vita dei quartieri residenziali. Il vero motivo dei comitati di ammissione è quello di tenere a debita distanza questi ebrei. 

Preservare i privilegi economici

A causa dei seri danni che possono causare, al momento la legge autorizza i comitati di ammissione solo in zone rurali di aree periferiche. Inevitabilmente finiscono per creare comunità omogenee, in cui solo io e quelli come me possono vivere, offrendo di fatto un permesso per discriminare. Costituiscono un grave colpo alla possibilità di alleviare la crisi degli alloggi, rendendo impossibile rimpolpare tali comunità (la maggioranza bloccata a 400 famiglie) e continuare a crescere. Hanno anche un basso tasso di utilizzo, dato che fungono da licenza per alcuni di arricchirsi a spese dei terreni demaniali.

L’ultimo punto è il più importante. I comitati di ammissione, come i diritti della “seconda generazione” o di un “nativo,” sono strumenti per arricchirsi. In fin dei conti sono formati da privati cittadini incaricati di distribuire le terre nelle loro comunità e di decidere chi, e se, le comprerà. È la loro occasione per speculare sul prezzo dei terreni nella comunità e anche un segnale di via libera a corruzione e abusi. 

Inoltre questo è uno stratagemma inteso a garantire che l’assegnazione dei lotti nella comunità sia esente da gare pubbliche aperte a tutti: verrà invece fatta una scelta personale tra chi avrà diritto alle proprietà e chi no. In tal modo si raggiungeranno due obiettivi fondamentali. Il primo è che saranno i compari dei membri del comitato che acquisteranno i lotti nella comunità (in pratica è anche possibile fare in modo che l’assegnazione agli abitanti locali ecceda il tetto stabilito per legge). Il secondo, il loro prezzo sarà inferiore in assenza della concorrenza per l’acquisto dei lotti. Così i membri della famiglia potranno acquistare case nella comunità a prezzi convenienti. 

Analogamente questo spiega perché è importante per Otzma Yehudit e Sionismo Religioso estendere il fenomeno dei comitati di ammissione anche alle colonie. Non perché i palestinesi cercheranno di comprare terreni nelle colonie, non lo faranno, ma perché i figli dei coloni potranno comprare lotti a prezzi bassi. Quindi, sia i coloni che molte decine di comunità che contino fino a 1000 famiglie, che non avranno più il loro status precedente, condizioneranno il costo dei terreni per ottenere per i propri figli un prezzo conveniente. 

Nonostante le urla e lo strepito di Badash, 25 famiglie beduine benestanti e istruite che possono permettersi i costi delle case a Omer non distruggeranno il carattere agiato della prestigiosa comunità. Badash, e come lui le piccole comunità facoltose del Consiglio Regionale di Misgav, a nord, che si sono aggregate ai kibbutz della Galilea, e il forum di estrema destra che sostiene le colonie ebraiche al grido di “salviamo la Galilea”, vogliono proteggere i loro privilegi economici. Vogliono creare una situazione in cui solo loro e i loro colleghi e amici avranno l’opportunità di acquistare proprietà nelle loro comunità e se è necessario usare razzismo e odio contro gli arabi per raggiungere l’obiettivo – allora tutto è lecito.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Ilan Pappe sulle formazioni socio-politiche dietro il governo neo-sionista di Israele

Ilan Pappe

6 gennaio 2023 – Palestine Chronicle

Due mesi dopo l’elezione del nuovo governo israeliano il quadro offuscato sta diventando più chiaro e sembra che si possano offrire alcuni spunti più informati riguardo alla sua composizione, alle personalità che ne fanno parte e alle possibili politiche e reazioni ad esse nel futuro.

Non sarebbe esagerato definire Benjamin Netanyahu il meno estremista di questo governo, il che la dice lunga sulle personalità e politiche di tutti gli altri.

Ci sono tre schieramenti principali nel governo, e qui non faccio riferimento ai vari partiti politici, ma piuttosto alle formazioni socio-politiche.

Sionizzazione degli ebrei ultraortodossi

Nel primo schieramento ci sono gli ebrei ultra-ortodossi, sia dell’ortodossia europea che di quella degli ebrei arabi. Ciò che li caratterizza è il processo di sionizzazione che hanno subito dal 1948.

Da un ruolo marginale in politica solo a favore delle loro comunità, ora fanno parte dei dirigenti di questo nuovo Stato. Da moderati e sostenitori dei sacri precetti ebraici che non riconoscevano la sovranità ebraica sulla Terra Santa, ora emulano la destra israeliana laica: appoggiano la colonizzazione della Cisgiordania, l’assedio contro la Striscia di Gaza, fanno discorsi razzisti nei confronti dei palestinesi ovunque essi siano, invocano politiche dure e aggressive e nel contempo cercano di occupare lo spazio pubblico e di giudaizzarlo in base alla loro versione rigida del giudaismo.

L’unica eccezione sono i Neturei Karata, fedeli al loro tradizionale antisionismo e alla solidarietà con i palestinesi.

Gli ebrei nazional-religiosi

Del secondo schieramento fanno parte gli ebrei nazional-religiosi, che vivono in maggioranza in Cisgiordania nelle colonie costruite su terre palestinesi espropriate e recentemente hanno creato dei “centri di formazione” di coloni nelle città miste arabo-ebraiche in Israele.

Essi appoggiano sia le politiche criminali dell’esercito israeliano che le azioni di gruppi di coloni vigilantes che vessano i palestinesi, sradicano le loro coltivazioni, sparano contro di loro e mettono in discussione il loro modo di vivere.

L’intento è di dare sia all’esercito che a questi vigilantes mano libera per opprimere la Cisgiordania occupata, nella speranza di spingere più palestinese ad andarsene. Questo gruppo è anche la spina dorsale dei centri di comando del servizio segreto israeliano e domina i ranghi degli alti ufficiali dell’esercito.

I due succitati schieramenti condividono la volontà di imporre un apartheid più stretto all’interno di Israele contro gli arabi del ’48 [i palestinesi rimasti durante e dopo la guerra del 1947-49 in quello che era diventato Israele, ndt.] e nel contempo iniziare una crociata contro la comunità LGBT chiedendo anche una più rigida marginalizzazione delle donne nello spazio pubblico.

Essi condividono anche una visione messianica e credono di essere ora nelle condizioni di metterla in pratica. Al centro di questo progetto c’è la giudaizzazione dei luoghi sacri che ora sono “ancora” islamici o cristiani. Quello più ambito è l’Haram al-Sharif [la Spianata delle Moschee, per gli ebrei il Monte del Tempio, ndt.].

Il prodromo è stato la provocatoria visita del ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben-Gvir sull’Haram. Il prossimo passo sarà a Pasqua, con un tentativo di invadere in massa l’Haram con preghiere e ministri ebrei. Azioni simili verranno attuate a Nablus, Hebron e Betlemme. È difficile prevedere fin dove arriveranno.

L’emarginazione degli ebrei laici del Likud

Il secondo gruppo è rappresentato anche nel partito di maggioranza del governo, il Likud. Ma la maggioranza dei suoi membri fa parte di una terza componente socio-politica: gli ebrei laici che aderiscono nel contempo alle tradizionali pratiche ebraiche.

Essi cercano di distinguersi sostenendo che il liberalismo economico e politico è ancora un importante pilastro del programma politico del Likud. Netanyahu soleva essere uno di loro, ma ora sembra averli abbandonati quando si è trattato di spartirsi il bottino, cioè nel governo li ha emarginati. Ha bisogno degli altri più che del suo stesso partito per evitare di essere processato e per rimanere al potere.

Il progetto sionista

I membri di spicco di tutti questi gruppi sono arrivati con iniziative legislative e politiche già pronte, tutte intese senza eccezioni, a consentire a un governo di estrema destra di annullare qualunque cosa sia rimasta della parodia chiamata democrazia israeliana.

La prima iniziativa è già iniziata, sterilizzando il sistema giudiziario in modo tale che non possa, se mai lo ha voluto, difendere i diritti delle minoranze in generale e quelli dei palestinesi in particolare.

Per la verità, tutti i precedenti governi israeliani sono stati caratterizzati dal complessivo disprezzo riguardo ai diritti civili e umani dei palestinesi. Questa è solo una fase in cui ciò viene reso più costituzionale, più generalmente accettato e più evidente, senza alcun tentativo di nascondere lo scopo che gli sta dietro: impossessarsi della maggior parte possibile della Palestina storica con il minor numero possibile di palestinesi.

Tuttavia, se si concretizzerà in futuro, ciò avvicinerà ulteriormente Israele al suo futuro neo-sionista, cioè il vero raggiungimento e la maturazione del progetto sionista: uno spietato progetto di colonialismo d’insediamento costruito su apartheid, pulizia etnica, occupazione, colonizzazione e politiche genocidarie.

Un progetto che finora è sfuggito a qualunque significativa opposizione da parte del mondo occidentale e che viene tollerato dal resto del mondo, anche se è censurato e respinto da molti nella società civile internazionale. Finora non è riuscito a trionfare solo per la resistenza e resilienza palestinese.

Fine dell’“Israele immaginario”

Questa nuova situazione evidenzia una serie di domande che ci si deve porre, anche se per il momento non possiamo dare una risposta.

I governi arabi e musulmani, che solo di recente si sono uniti alla legittimazione di questa farsa, si renderanno conto che non è troppo tardi per cambiare strada?

I nuovi governi di sinistra, come quello eletto in Brasile, saranno in grado di aprire la via, portare a un cambiamento di atteggiamento dall’alto, che rifletterebbe democraticamente quanto richiesto dal basso?

E le comunità ebraiche saranno sufficientemente scioccate da svegliarsi dal sogno dell’“Israele immaginario” e si renderanno conto del pericolo rappresentato dall’Israele di oggi, non solo per i palestinesi ma anche per gli ebrei e il giudaismo?

Sono domande a cui non è facile rispondere. Quello che possiamo sottolineare è, ancora una volta, l’appello all’unità palestinese in modo da estendere la lotta contro questo governo e l’ideologia che esso rappresenta. Tale unità diventerà una bussola per il poderoso fronte internazionale che già esiste, grazie al movimento BDS e che è intenzionato a continuare il suo lavoro di solidarietà e ad allargarlo ulteriormente e più ampiamente: mobilitare i governi, così come le società, e riportare la Palestina al centro dell’attenzione internazionale.

Le tre componenti del nuovo governo israeliano non hanno sempre convissuto facilmente, quindi c’è anche la possibilità di un precoce collasso politico, dato che in definitiva stiamo parlando di un gruppo di politici incompetenti quando si tratta di far funzionare un’economia così complicata come quella israeliana. Probabilmente non saranno in grado di bloccare l’alta inflazione, l’aumento dei prezzi e la crescente disoccupazione.

Tuttavia, anche se ciò avvenisse, non c’è una quarta componente socio-politica alternativa che possa guidare Israele. Quindi un nuovo governo sarebbe formato da un’altra combinazione delle stesse forze, con le stesse intenzioni e politiche.

Dovremmo trattarla come una sfida strutturale, non episodica, e prepararci a una lunga lotta, basata su una solidarietà internazionale ancora più ampia e una più stretta unità dei palestinesi.

Questo governo canaglia, e quello che rappresenta, non dureranno in eterno. Dobbiamo fare tutto il possibile per ridurre l’attesa per la sua sostituzione con un’alternativa molto migliore non solo per i palestinesi, ma anche per gli ebrei e per chiunque altro viva nella Palestina storica.

Ilan Pappé è docente all’università di Exeter. È stato in precedenza professore associato all’università di Haifa. È autore di La pulizia etnica della Palestina [Fazi, 2008], The Modern Middle East [Il moderno Medio Oriente], Storia della Palestina moderna. Una terra, due popoli [Einaudi, 2014] e Ten Myths about Israel [Dieci miti su Israele]. Pappé è considerato uno dei “nuovi storici” israeliani che, da quando all’inizio degli anni ’80 sono stati resi pubblici documenti ufficiali britannici e israeliani sull’argomento, hanno riscritto la storia della creazione di Israele nel 1948. Ha concesso questo articolo a The Palestine Chronicle.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




I soldati israeliani uccidono un ragazzo palestinese a Nablus

Redazione di IMEMC News

5 gennaio 2023 – International Middle East Media Center

Giovedì all’alba soldati israeliani hanno invaso il campo profughi di Balata a Nablus, nella parte nord della Cisgiordania occupata, hanno colpito a morte un ragazzo e ferito tre palestinesi, di cui uno gravemente.

Il ministero dalla sanità palestinese ha confermato che i soldati hanno ucciso Amer Abu Zeitoun di 16 anni sparandogli alla testa.

Fonti d’informazione affermano che soldati in incognito si sono infiltrati nel campo profughi e hanno colto di sorpresa i palestinesi prima che molti veicoli dell’esercito che circondavano il campo vi facessero incursione.

Amer è stato colpito subito dopo essersi accorto che soldati in incognito si stavano nascondendo in un vicolo ed essersi messo a correre per avvisare gli abitanti della presenza dei soldati.

Molti palestinesi hanno protestato contro l’irruzione prima che i soldati sparassero una raffica di proiettili veri, proiettili rivestiti di gomma e lacrimogeni verso i palestinesi, ferendone tre con i proiettili veri, incluso uno ferito gravemente.

Durante l’irruzione l’esercito ha anche chiuso e isolato molte aree e strade.

Inoltre l’esercito ha invaso e perquisito molti edifici e ha posizionato i suoi cecchini sui tetti prima che i soldati circondassero e facessero irruzione nella casa di un ex prigioniero politico, Hasan Al-Araishi, lo sequestrassero dopo aver aggredito e ferito lui e molti membri della sua famiglia.

Fonti d’informazione affermano che i soldati hanno anche sequestrato un giovane palestinese dopo avergli sparato con proiettili veri.

Inoltre i soldati hanno fermato le ambulanze palestinesi mentre andavano verso Balata per fornire il necessario soccorso medico ai feriti.

Da parte sua, il gruppo unificato di resistenza la Fossa dei Leoni ha affermato che i suoi combattenti hanno avuto uno scontro a fuoco con i soldati che hanno invaso la città di Nablus e Balata.

Uno dei mezzi israeliani è stato danneggiato dopo essere stato colpito con una carica esplosiva prima che l’esercito facesse entrare altri carri armati nel campo profughi dopo averlo circondato e isolato.

Il ragazzo ucciso è il quarto palestinese ad essere ammazzato dei soldati israeliani nella Cisgiordania occupata nei primi quattro giorni del 2023.

Martedì 3 gennaio i soldati hanno ucciso un ragazzo Adam Essam Ayyad di 15 anni, dopo che l’esercito ha fatto irruzione nel campo profughi Deheishe a sud di Betlemme, nella Cisgiordania occupata.

Lunedì 2 gennaio all’alba decine di veicoli blindati militari, inclusi bulldozer, hanno invaso la città di Kafr Dan, ad ovest della città di Jenin nella zona settentrionale della Cisgiordania, hanno demolito le case di due palestinesi uccisi, hanno ucciso Mohammad Samer Houshiyya, di 22 anni, and Fuad Mohammad ‘Aabed, di 17 anni e hanno ferito almeno altre otto persone, di cui una gravemente.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Il poliziotto israeliano che ha ucciso un palestinese autistico disarmato ‘è stato promosso’

Redazione MEE

3 gennaio 2023 – MiddleEastEye

L’agente della polizia di frontiera che ha ucciso Iyad al-Halak sta affrontando un processo relativo all’incidente.

Si è saputo che un poliziotto israeliano che a maggio 2020 ha colpito a morte Iyad al-Halak, un palestinese affetto da autismo, nella Gerusalemme est occupata, questa settimana è stato promosso nonostante sia sottoposto a processo per l’uccisione.

Il poliziotto, che fa parte della polizia di frontiera e la cui identità è riservata, ha sparato al 32enne Halak, sostenendo che sospettava che il palestinese avesse un’arma. Invece Halak era disarmato e il Primo Ministro Benjamin Netanyahu ha subito chiesto scusa alla sua famiglia, con una rara iniziativa da parte di un dirigente israeliano.

Lunedì i media israeliani hanno riferito che il poliziotto che ha ucciso Halak è stato promosso e recentemente ha agito come sergente operativo in una base della polizia di frontiera israeliana nell’area metropolitana di Tel Aviv.

Il poliziotto è attualmente sotto processo presso la corte distrettuale di Gerusalemme con l’accusa di aver sconsideratamente ucciso Halak e, se condannato, potrebbe trascorrere 12 anni in prigione.

La famiglia di Halak aveva in precedenza criticato l’indagine delle autorità israeliane sull’assassinio e aveva chiesto accuse molto più severe.

Halak indossava una mascherina mentre si recava in una scuola per disabili nella Città Vecchia della Gerusalemme est occupata, quando ha iniziato ad essere inseguito da poliziotti israeliani che gli hanno sparato.

A novembre il commissario di polizia ha affermato di appoggiare il poliziotto che ha ucciso Halak.

E’ importante per me affermare che siamo stati noi a mandarlo in missione ed abbiamo la responsabilità di stare dalla sua parte anche in queste circostanze”, ha detto Kobi Shabtai.

Itamar Ben Gvir, il parlamentare ebreo suprematista recentemente nominato ministro della sicurezza nazionale, che soprassiede alla polizia e alla polizia di frontiera, ha anch’egli precedentemente espresso il suo appoggio al poliziotto.

Nell’agosto 2021 la famiglia di Halak ha accusato la polizia di aver deliberatamente “distrutto le telecamere” che contenevano la prova dell’uccisione. L’indagine sulla sua uccisione è stata ostacolata dalla mancanza di prove video, nonostante testimonianze che nella zona dove è stato ucciso ci fossero almeno 10 telecamere CCTV.

L’uccisione di Halak nel 2020 ha anche suscitato la solidarietà internazionale, essendo coincisa con le proteste seguite all’uccisione da parte della polizia di George Floyd e le marce del movimento Black Lives Matter.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Ben Gvir entra ad Al-Aqsa: perché è considerata una provocazione?

Redazione

3 gennaio 2023 – Al Jazeera

Il ministro della sicurezza nazionale israeliano di estrema destra era stato avvertito dall’ex primo ministro israeliano che la sua mossa avrebbe scatenato la violenza

Il ministro della Sicurezza Nazionale israeliano di estrema destra, Itamar Ben-Gvir, è entrato nel complesso della moschea di Al-Aqsa nella Gerusalemme est occupata con una mossa che i palestinesi hanno definito una “provocazione deliberata”, ignorando gli avvertimenti dei politici israeliani che la sua apparizione nel luogo sacro avrebbe infiammato le tensioni.

Ben-Gvir ha detto che non “si sarebbe arreso alle minacce di Hamas” dopo che il gruppo palestinese ha avvertito che il suo ingresso nel sito martedì avrebbe oltrepassato una “linea rossa”.

Il ministro, ampiamente considerato un provocatore, ha già chiesto l’espulsione dei palestinesi .

Vediamo perché il suo ingresso nel complesso della moschea di Al-Aqsa è così controverso:

Qual è lo status di Al-Aqsa?

  • Il complesso della Moschea Al-Aqsa (noto anche come al-Haram al-Sharif per i musulmani e Monte del Tempio per gli ebrei) è un’ampia piazza cinta da mura nel cuore della Città Vecchia nella Gerusalemme Est occupata. Include la Moschea Al-Aqsa e la Cupola della Roccia.

  • È considerato sacro sia dai musulmani che dagli ebrei ed è un simbolo nazionale palestinese.

  • Una delle mura del complesso, il Muro Occidentale, chiamato anche Muro del Pianto o Muro di Buraq [dal nome del cavallo che avrebbe portato in volo il profesta, ndt.], è un luogo sacro per la preghiera ebraica. Gli ebrei pregano indisturbati sul lato del muro che si trova all’esterno del recinto.

  • Israele occupa Gerusalemme Est dal 1967. L’occupazione è illegale secondo il diritto internazionale.

  • Il complesso è stato gestito ininterrottamente da musulmani, sotto un waqf (fondazione religiosa) da centinaia di anni.

  • Il waqf, finanziato dalla Giordania, ha continuato a gestire il sito dal 1967, mentre Israele ha il controllo della sicurezza. In base a un accordo di lunga data lo status quo del sito consente solo la preghiera musulmana e le visite di non musulmani sono consentite solo in orari specifici.

Perché il sito è così importante per i palestinesi?

  • I palestinesi sono attenti a qualsiasi tentativo di cambiare lo status quo di Al-Aqsa in quanto sito dal significato sia religioso che nazionale.

  • L’aumento del numero di ebrei ultranazionalisti che entrano nel complesso e i frequenti assalti al sito da parte delle forze di sicurezza israeliane, anche all’interno della sala di preghiera della moschea di Al-Aqsa, hanno aumentato la rabbia palestinese.

  • Scontri tra le forze di sicurezza israeliane e gruppi di coloni da una parte e palestinesi dall’altra si sono verificati numerose volte negli ultimi due anni, in particolare a seguito delle incursioni [dei coloni e dell’esercito, ndt.] ad Al-Aqsa.

  • I palestinesi vedono Al-Aqsa come uno dei pochi simboli nazionali su cui conservano un certo controllo. Ma temono una lenta invasione da parte di gruppi ebraici simile a quanto accaduto alla Moschea Ibrahimi [Abramo, ndt.] (Grotta dei Patriarchi) a Hebron, dove dopo il 1967 metà della moschea è stata trasformata in una sinagoga che è stata progressivamente ingrandita.

  • I palestinesi sono anche preoccupati perché i movimenti israeliani di estrema destra cercano di demolire le strutture islamiche nel complesso della moschea di Al-Aqsa e costruire un tempio ebraico al loro posto.

Gli ebrei pregano ad Al-Aqsa?

  • Tradizionalmente, gli ebrei ultraortodossi, comprese le autorità religiose di alto livello, hanno considerato inammissibile per ragioni religiose entrare nel complesso della moschea di Al-Aqsa, tanto meno pregarvi. Questo perché considerano il sito troppo sacro perché le persone possano calpestarlo.

  • Gli ebrei ultranazionalisti hanno cercato di pregare nel complesso con sempre maggiore insistenza, nonostante sia proibito dalle autorità israeliane.

  • Lo scorso maggio, un tribunale israeliano ha confermato il divieto dopo che era stato contestato da tre giovani ebrei che avevano ricevuto un’ordinanza restrittiva dopo aver pregato sul posto.

  • Tuttavia le forze di sicurezza israeliane hanno spesso chiuso un occhio davanti alla preghiera “silenziosa” degli ebrei scortati dalla polizia ad Al-Aqsa.

Cosa vuole Ben-Gvir?

  • Ben-Gvir fa parte del movimento ideologico israeliano del “sionismo religioso” nato per cercare di riconciliare gli ebrei religiosi e il sionismo. Molti ebrei religiosi erano sospettosi delle influenze secolari del sionismo.

  • Fa anche parte di un movimento in crescita in Israele, che ha sfidato le tradizionali restrizioni ebraiche sulla preghiera ad Al-Aqsa e invece vuole incoraggiarle.

  • In quanto membro dell’estrema destra israeliana, Ben-Gvir era visto da molti politici israeliani come troppo estremista per collaborare con lui, ma il primo ministro Benjamin Netanyahu è stato costretto a cercare alleati dell’estrema destra, tra cui Ben-Gvir, quando le forze più “rispettabili” della politica israeliana gli si sono opposte.

  • La posizione di Ben-Gvir nel governo, che include il controllo sulla polizia [di frontiera, che pattuglia i territori occupati, ndt.] israeliana, evidenzia la forza del movimento “religioso sionista” che vuole mantenere ed espandere il controllo israeliano sul territorio palestinese occupato.

  • Ben-Gvir è stato condannato per istigazione razzista contro gli arabi e sostegno al “terrorismo”. Ha anche manifestato favore nei confronti di Baruch Goldstein, un israeliano americano che ha ucciso 29 palestinesi nella moschea di Ibrahimi nel 1994.

Quale sarà la reazione palestinese?

  • Il portavoce di Hamas, Hazem Qassem, ha dichiarato ad Al Jazeera che l'”assalto” di Ben-Gvir ad Al-Aqsa è stato “una continuazione dell’aggressione dell’occupazione sionista contro i nostri luoghi santi e della sua guerra alla loro identità araba”.

  • Mentre sono stati fatti appelli generici per una risposta palestinese, nessun gruppo ha ancora chiesto specificamente attacchi contro obiettivi israeliani.

  • Gli analisti ritengono che, con Netanyahu in una posizione simile, Hamas e Fatah siano interessati ad evitare uno scontro armato con Israele.

  • Tuttavia, le tensioni, nella Cisgiordania occupata in particolare, potrebbero intensificarsi, tra i continui rastrellamenti israeliani, che hanno reso il 2022 l’anno più letale per i palestinesi nel territorio dal 2006, e la crescita di nuovi gruppi armati palestinesi.

  • Lunedì il leader dell’opposizione israeliana ed ex primo ministro Yair Lapid aveva avvertito che l’ingresso programmato di Ben-Gvir nel complesso avrebbe portato a violenze, definendola una “provocazione deliberata che metterà in pericolo vite”.

(traduzione dall’inglese di Giuseppe Ponsetti)




Le forze israeliane uccidono un adolescente palestinese a Betlemme

Redazione

3 gennaio 2023- Al Jazeera

Adam Ayyad, 15 anni, è stato ucciso durante un rastrellamento dell’esercito israeliano nel campo profughi di Dheisheh a Betlemme, nella Cisgiordania occupata.

Ramallah, Cisgiordania occupata – L’esercito israeliano ha sparato e ucciso un adolescente palestinese durante un rastrellamento nella città di Betlemme, nel sud della Cisgiordania occupata.

Adam Issam Shaker Ayyad, 15 anni, è stato ucciso dopo essere stato colpito al petto martedì mattina, ha riferito il ministero della Salute palestinese.

L’uccisione è avvenuta durante un rastrellamento dell’esercito israeliano nel campo profughi di Dheisheh, iniziato prima dell’alba con decine di veicoli blindati dopo il quale sono scoppiati scontri con i giovani palestinesi. Secondo i media locali, le forze israeliane hanno arrestato diversi residenti durante il rastrellamento.

In una dichiarazione il Ministero degli Esteri palestinese ha descritto l’omicidio come un “odioso crimine di esecuzione” e ha affermato che “la continua impunità di Israele lo incoraggia a commettere crimini contro i nostri figli”.

“Si tratta di un’estensione della serie di esecuzioni extragiudiziali e di una parte degli attacchi israeliani ai minori palestinesi in generale”, continua la dichiarazione.

Secondo i media israeliani l’esercito sostiene che le sue forze hanno “aperto il fuoco contro un certo numero di palestinesi che hanno lanciato loro bombe molotov durante gli scontri e aggiunge che i sospetti sono stati colpiti”,

Ayyad è il terzo palestinese ad essere ucciso da Israele dall’inizio del nuovo anno come risultato di una continua campagna militare israeliana di rastrellamenti e uccisioni ripetuti che dura da quasi un anno.

Lunedì le forze israeliane hanno ucciso due uomini durante un rastrellamento nel villaggio di Kufr Dan a Jenin, nel nord della Cisgiordania occupata.

Le Nazioni Unite affermano che il 2022 è stato l’anno più letale per i palestinesi nella Cisgiordania occupata in 16 anni: dalla fine della seconda Intifada o rivolta palestinese nel 2005.

Un nuovo governo israeliano, il più a destra nei 74 anni di storia dello Stato, ha prestato giuramento il 29 dicembre.

Il governo, guidato dal primo ministro Benjamin Netanyahu, comprende figure controverse la cui presenza in posizioni di controllo sui palestinesi sta sollevando timori di ulteriori tensioni sul terreno nella Cisgiordania e a Gerusalemme est occupate.

Il Primo Ministro dell’Autorità Nazionale Palestinese, Mohammad Shtayyeh, ha affermato martedì in una dichiarazione che il governo israeliano ha “la piena responsabilità di tutte le conseguenze della sua aggressione contro le nostre città, paesi, villaggi e campi, e le conseguenti uccisioni, demolizioni e arresti”, compreso quello di Ayyad.

Secondo il Ministero dell’Istruzione palestinese Ayyad studiava in una scuola finanziata dalle Nazioni Unite nel campo di Dheisheh,.

Nel 2022 Le forze israeliane hanno ucciso almeno 171 palestinesi in Cisgiordania e Gerusalemme est occupate, tra cui più di 30 minori. Almeno altri 9.000 sono rimasti feriti.

Sono stati uccisi civili che si sono scontrati con l’esercito israeliano durante i rastrellamenti e passanti non coinvolti così come combattenti palestinesi in omicidi mirati e durante scontri armati.

Martedì mattina il Ministro della Sicurezza Nazionale israeliano di estrema destra, Itamar Ben-Gvir, è entrato nel complesso della moschea di Al-Aqsa nella Gerusalemme est occupata, nonostante le minacce di reazione dei gruppi armati palestinesi nella Striscia di Gaza assediata e dei residenti palestinesi di Gerusalemme.

La visita, tuttavia, si è svolta entro 15 minuti e nelle prime ore del mattino, quando sul posto c’erano pochi palestinesi e l’atmosfera è rimasta calma dopo la partenza di Ben-Gvir.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)