L’ambasciatore degli Stati Uniti Tom Nides afferma che i palestinesi non hanno bisogno di diritti, hanno solo bisogno di “soldi”

Philip Weiss

23 febbraio 2023 – Mondoweiss

La scorsa settimana l’ambasciatore degli Stati Uniti in Israele Tom Nides ha tenuto un’intervista con David Axelrod ed è stato quanto mai sincero – e il risultato è sorprendente: Israele ora è “in fiamme” e i palestinesi non hanno pari diritti. Ma i palestinesi non hanno bisogno di diritti, hanno solo bisogno di “soldi”.

E cosa tiene Nides sveglio la notte? Qual è la sua “più grande paura”? Israele ha “perso l’efficacia di una propria narrazione” nei campus universitari negli Stati Uniti, anche tra i giovani ebrei!

Quindi i palestinesi vengono uccisi in ogni dove perché resistono all’occupazione e la preoccupazione e il timore dell’ambasciatore è che nelle università non venga più diffusa la versione filo-israeliana. Che le persone che sostengono Israele abbiano paura di farsi avanti!

Non penso che si possa ottenere una dimostrazione migliore del ruolo narcisistico della lobby israeliana dello scambio Axelrod-Nides del 16 febbraio. Nides è un tipo simpatico, un affabile uomo d’affari di Duluth i cui legami familiari nella comunità ebraica ufficiale hanno spinto la sua carriera nel Partito Democratico, fino a un incarico di grande fiducia da parte di Joe Biden. E cosa gli interessa davvero? Promuovere Israele nelle università.

In realtà è solo un galoppino filo-israeliano, ma lo è anche Axelrod: entrambi questi potenti accoliti sessantenni si scavalcano a vicenda per mostrare il loro attaccamento emotivo a Israele in quanto presunta democrazia, tralasciando del tutto le uccisioni dei palestinesi. Forse la fase più sconvolgente di questa performance è il momento in cui Nides si vanta di andare a ogni shiva [rituale religioso ebraico in occasione di un lutto, ndt.] per ogni israeliano ucciso da “terroristi” e poi si lamenta che vengano uccisi anche dei palestinesi innocenti – senza alcun accenno ai loro funerali, perché non ci va.

Questo razzismo anti-palestinese è profondamente radicato nella nostra politica, ma il fatto che Nides se ne vanti dovrebbe essere imbarazzante. Ed è un liberal” [progressista, ndt.] ! Il quale ci dice che i palestinesi vogliono “denaro” non diritti.

Sentiamo cosa hanno da dire Nides e Axelrod.

Nides critica il governo Netanyahu per aver portato avanti i piani per privare la magistratura dei poteri e legalizzare gli insediamenti. “Stiamo dicendo al Primo Ministro, come dico ai miei figli, tira i freni, rallenta… Stai andando troppo veloce”. Questo era il titolo della notizia.

Axelrod afferma che le critiche di un ambasciatore e anche del presidente Biden sono “molto insolite”.

Nides si dice entusiasta della democrazia israeliana e spiega quanto sia importante questa percezione per il settore commerciale e per gli Stati Uniti che difendono Israele.

Prima di tutto, questa è una democrazia piena di vita, come dimostrano le decine di migliaia di persone che protestano ogni sabato… La realtà è che il 72% di questo Paese ha votato per la quinta volta in due anni. È incredibile. In America possiamo solo sognarlo…

Alla fine dei conti gli Stati Uniti non si trovano nella posizione di dire e dettare a Israele come scegliere la loro Corte Suprema. Per essere chiari, l’unica cosa che lega i nostri Paesi è un sentimento di democrazia, un senso delle istituzioni democratiche.

È così che difendiamo Israele alle Nazioni Unite, è così che difendiamo i valori che condividiamo.

E gli Stati Uniti non rinunceranno mai a difendere Israele. Lo dice Biden. Nides:

Senti, la cosa più importante è che questa relazione tra Stati Uniti e Israele sia indissolubile, che è l’indicazione che ho ricevuto dal presidente quando ho accettato questo lavoro. Come tu sai, David… Joe Biden si preoccupa davvero per Israele. Crede nel suo cuore e nella sua anima, nelle sue kishke [viscere in ebraico, ndt.], come diremmo noi ebrei…. Ha detto: non è necessario essere ebreo per essere sionista».

Noi ebrei” è un segnale; entrambi i personaggi si lasciano andare. Axelrod e Nides si scambiano la loro buona fede sionista e il reciproco “orgoglio per Israele”. Axelrod, 68 anni, ex braccio destro di Barack Obama, dice di essere cresciuto a New York in una famiglia di immigrati, che hanno messo insieme i soldi per mandare i loro nonni in Israele. “Qualcosa di cui io e la mia famiglia siamo sempre stati orgogliosi è questa democrazia piena di vita… una democrazia che prospera in una parte del mondo che in realtà non ha mai visto una democrazia”. E non danneggerebbe “l’anima di Israele” la perdita di indipendenza della magistratura?

“Ci tengo molto a Israele”, dice Nides. Ha visitato il Paese per la prima volta a 15 anni, alla fine degli anni ’70. E in questo momento gli ebrei americani sono preoccupati che i cambiamenti di Netanyahu possano minare la “democrazia” israeliana: “Gli ebrei americani e non solo gli ebrei liberal riformatori come me, ma anche gli ebrei moderati e conservatori sono piuttosto preoccupati”. (Per la cronaca, questa settimana sul New York Times Peter Beinart ha demolito il concetto di democrazia ebraica. “Non puoi salvare la democrazia in uno Stato ebraico”. Non tutti gli ebrei americani sono stupidi e venduti.)

Axelrod chiede se Nides si preoccupi della “sfilacciatura” di quel sostegno ebraico americano nel caso Israele prendesse una svolta antidemocratica e le politiche espansionistiche di Israele venissero proseguite (come è stato per 56 anni)? Questo è ciò che tiene Nides sveglio la notte:

“Quello che veramente mi preoccupa, David, che mi tiene sveglio la notte, è quanto succede nei campus universitari. Questo mi fa preoccupare davvero… E’ molto difficile per un ragazzo ebreo o non ebreo intervenire e parlare di Israele. Abbiamo perso l’efficacia della nostra narrazione nei campus universitari e dobbiamo concentrarci su questo… Ho fatto una registrazione su Hillel [antico rabbino ebreo, ndt.]… Ho detto: ascoltate ragazzi, abbiamo perso questa efficacia della nostra narrazione, potete essere a favore sia di Israele che del popolo palestinese! In qualche modo abbiamo perso questa efficacia di una nostra narrazione nei campus universitari. Si può sostenere la discussione dicendo di avere a cuore sia il popolo palestinese che Israele. Va bene, non c’è niente di sbagliato in questo!”

Axelrod interviene dicendo che si può essere “contrari al terrorismo e alla brutalità che gli israeliani hanno conosciuto ed essere critici quando vengono limitati i diritti umani dei palestinesi”. Limitati: bell’eufemismo!

Nides confessa la sua più grande paura:

“Ciò che mi preoccupa più di ogni altra cosa è la prossima generazione, ok? La prossima generazione di ragazzi che frequentano i campus universitari e i dottorati. Questa è la mia più grande paura. Sì, Israele deve realizzare un maggiore impegno nella comunicazione. Devono comunicare in modo che i giovani credano che Israele sia un Paese democratico, in cui i diritti delle persone sono protetti.”

I due esperti discutono della soluzione dei due Stati. “A questo punto sembra una tipologia di espressione vuota”, sostiene Axelrod; e Nides dice che si tratta di una “visione”, ma il denaro è più importante per i palestinesi.

“Ascolta, non sto sognando. Non sono un sognatore. Ecco perché mi concentro sulle cose che fanno la differenza, ragazzi. Mi sveglio ogni giorno e cerco di fare qualcosa che aiuti il popolo palestinese. E queste cose sono i soldi. Come ricorderai, sotto l’amministrazione Trump hanno tagliato tutti i fondi per i palestinesi, tutto. Sotto l’amministrazione Biden negli ultimi due anni abbiamo fornito loro circa 750 milioni di dollari di assistenza diretta al popolo palestinese. Questo è reale, è concreto. E’ qualcosa che fa davvero la differenza…”

Alla gente non interessa la politica ma i soldi: La persona media non si sveglia… e dice: oh dov’è la mia soluzione a due Stati? No, si sveglia e dice: dove trovo lavoro? posso guadagnarmi da vivere? posso comprare un’auto? Queste sono cose concrete.” Proprio come la convinzione di Trump/Kushner nella “pace economica”, non nei diritti.

Nides afferma in tono difensivo di trascorrere la maggior parte del suo tempo a cercare di portare cose concrete ai palestinesi.

“Mentre inseguiamo questo tipo di idea di una soluzione a due Stati . Io passo il 60% del mio tempo cercando di aiutare il popolo palestinese. OK? Trascorro il mio tempo cercando di far aprire il ponte Allenby [varco di confine tra Giordania e Territori Palestinesi Occupati, ndt.] 24 ore su 24, 7 giorni su 7… Spingo in modo aggressivo per ottenere un accordo sul 4g, in modo che i palestinesi abbiano 4g e non 2g sui loro telefoni… Si tratta di fare cose per il popolo palestinese. Dicono: ‘Oh Tom, sono piccole cose…’ Non mi interessa. Istruzione, assistenza sanitaria… Il palestinese medio si sveglia ogni giorno, proprio come l’israeliano medio, e tutto quello che vuole è sicurezza, lavoro, libertà e opportunità, niente di più…”

Nides pensa che Netanyahu si ritirerà a causa dell’economia: L’unica cosa che sta attirando l’attenzione del primo ministro, come dovrebbe essere, è l’impatto economico che questo può avere. Credo, forse sto sognando, forse, ma credo che prevarranno le menti più assennate.” (Proprio quello che fa il BDS quando prende di mira l’apartheid.)

Nides ripete che Israele è in fiamme. “Come ho detto 100 volte al primo ministro non possiamo dedicare tempo alle cose a cui insieme teniamo se il giardino è in fiamme”. E quando il ministro della polizia Itamar Ben-Gvir è salito al Nobile Santuario [la moschea di Al Aqsa di Gerusalemme, la seconda più antica moschea dell’Islam, ndt.] – “per creare problemi, a mio avviso … .. questo è il tipo di assurdità che a mio avviso infiamma le cose”.

Non preoccuparti, qualunque cosa faccia Israele, gli Stati Uniti lo difenderanno:

“Proprio su questo non esistono dubbi. Copriamo saldamente le spalle a Israele, sia per quanto riguarda la sua sicuerezza che alle Nazioni Unite.”

Nides poi si vanta:Mi sono recato allo shiva [servizio funebre, ndt.] di ogni famiglia di ogni israeliano ucciso da un terrorista nell’ultimo anno e mezzoCapisco la minaccia a cui si trova esposto Israele.”

E che dire di tutti i palestinesi uccisi? Axelrod fa riferimento all'”uso eccessivo della forza in Cisgiordania”.

“Mi si spezza il cuore, ok, mi si spezza il cuore quando un palestinese innocente viene ucciso, ma certamente mi si spezza il cuore quando un ebreo innocente esce da una sinagoga e viene falciato da un terrorista… È terribile.”

Quei palestinesi non hanno diritti, ma guai parlare di dar loro diritti perché questo metterebbe fine al sogno sionista. Nides:

“In definitiva, il motivo per cui sostengo una soluzione a due Stati è che salvaguarderebbe Israele come Stato democratico ebraico. Fino a quando qualcuno viene da me e dice: “Hey Tom, ho questa nuova idea che potresti avere uno Stato unico e salvaguardare uno Stato democratico ebraico – è fantastico, mostramelo. Non è possibile, e quando qualcuno mi esporrà un modo in cui far sì che 3 milioni di persone che vivono in Cisgiordania ottengano gli stessi diritti dei 9 milioni di persone che vivono in Israele, dimostrando che sia possibile, allora ne potremo discutere. Ma purtroppo non è così. Ed è per questo che è importante mantenere in vita la visione di una soluzione a due Stati.”

In conclusione: sono contro la parità di diritti. E 2 milioni di persone a Gaza sono al di là delle mie preoccupazioni. E io sono un liberal. E Joe Biden ha bisogno della lobby israeliana.

(traduzione dall’inglese di Aldo lotta)




Coloni israeliani inferociti bruciano case e auto palestinesi a Nablus

Redazione di Al Jazeera

27 febbraio 2023 – Al Jazeera

Tra crescenti tensioni decine di coloni israeliani incendiano case e auto palestinesi nella città settentrionale di Huwara

Coloni israeliani hanno dato fuoco a decine di abitazioni e automobile palestinesi a Huwara, cittadina a Nablus, nella Cisgiordania occupata, in quello che sembra essere il peggiore scoppio di violenza dei coloni da decenni.

I media palestinesi affermano che circa 30 case e auto sono state incendiate a tarda notte da parte dei coloni durante l’aggressione, avvenuta un giorno dopo che due coloni sono stati uccisi. In precedenza questo mese 11 palestinesi sono stati uccisi in un’incursione militare israeliana a Nablus.

Il ministero della Sanità palestinese ha affermato che domenica un trentasettenne è stato colpito e ucciso da fuoco israeliano. La Mezzaluna rossa palestinese ha detto che altri due sono stati feriti da colpi di arma da fuoco, mentre una terza persona è stata accoltellata e una quarta picchiata con una sbarra di ferro.

Altre 95 persone sono state curate per aver inalato gas lacrimogeni.

Ghassan Douglas, un funzionario palestinese che monitora le colonie israeliane nella regione di Nablus, stima che circa 400 coloni ebrei hanno preso parte all’aggressione, che avviene dopo che secondo il governo Giordano ha informato che l’Autorità Palestinese (PA) e politici israeliani si sono accordati su iniziative per calmare la situazione.

La tensione tra palestinesi e israeliani è aumentata in seguito all’intensificazione di incursioni letali nei territori occupati.

Il presidente palestinese Mahmoud Abbas ha condannato quelle che ha definite “le azioni terroristiche condotte stanotte da coloni sotto la protezione delle forze di occupazione.”

Noi consideriamo che il governo israeliano ne è totalmente responsabile,” ha aggiunto.

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha invitato alla calma e ha esortato contro la violenza dei giustizieri.

In una dichiarazione video Netanyahu ha affermato: “Chiedo che quando ribolle il sangue e gli spiriti sono infiammati non vi facciate giustizia da soli.”

L’Unione Europea ha affermato di essere “allarmata” dalla violenza a Huwara e che “le autorità di entrambe le parti devono intervenire subito per porre fine a questo infinito ciclo di violenze.”

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)

L’ incendio di una casa attaccata dai coloni Foto:[Hisham K. K. Abu Shaqra/Anadolu]

Un’altra casa in fiamme Foto:Hisham K. K. Abu Shaqra/Anadolu

Il mobilio di una casa attaccata con il fuoco Foto:[Ronaldo Schemidt/AFP

L’interno di una casa bruciata dai coloni protetti dall’esercito israeliano. Foto:[Ronaldo Schemidt/AFP]




Rapporto OCHA del periodo 31 gennaio – 13 febbraio 2023

1). Forze israeliane hanno ucciso sei palestinesi e ne hanno ferito undici con proiettili veri in due operazioni (una condotta a Gerico e un’altra a Nablus) che hanno dato luogo a uno scontro a fuoco con palestinesi (seguono dettagli). Il 6 febbraio, forze israeliane hanno fatto irruzione nel Campo profughi di Aqbat Jaber (Gerico), dove hanno circondato un edificio; ne è seguito uno scontro a fuoco con palestinesi. Secondo i media israeliani, almeno cinque palestinesi sono stati uccisi e i loro corpi sono stati trattenuti; altri quattro sono stati feriti e arrestati. Secondo fonti mediche, le forze israeliane hanno aperto il fuoco, danneggiando almeno due ambulanze ed impedendo loro di operare all’interno del Campo. Secondo l’esercito israeliano, citato dai media israeliani, l’operazione è stata effettuata per arrestare palestinesi sospettati di aver effettuato, il 28 gennaio, un attacco con armi da fuoco nei pressi di un insediamento israeliano, in seguito al quale le forze israeliane avevano limitato, per dieci giorni, il movimento dei palestinesi dentro e fuori la città di Gerico.

Nello stesso luogo, il 4 febbraio, durante un’altra operazione di ricerca-arresto, forze israeliane hanno distrutto due strutture, di cui una costituita da due unità abitative; inoltre è stata danneggiata una struttura adiacente ed è stato provocato lo sfollamento di sei persone, tra cui due minori. Durante la stessa operazione quattordici palestinesi sono rimasti feriti, di cui due colpiti da proiettili veri; altri tredici sono stati arrestati.

Il 13 febbraio, forze israeliane hanno fatto irruzione nella città di Nablus, dove hanno circondato un edificio, all’interno del quale hanno avuto uno scontro a fuoco con palestinesi. Due degli occupanti sono stati feriti e successivamente arrestati dalle forze israeliane. L’operazione è durata più di quattro ore, durante le quali le forze israeliane hanno sparato proiettili veri, proiettili di gomma e lacrimogeni contro palestinesi che si erano radunati, lanciando pietre contro di loro. Un passante palestinese è stato ucciso e altri 80 sono rimasti feriti, di cui cinque colpiti da proiettili veri; gli altri sono stati curati per inalazione di gas lacrimogeni. Secondo fonti mediche, le forze israeliane hanno impedito alle ambulanze di accedere all’area e, per tre ore, hanno tenuto bloccati tre medici volontari.

2). A Nablus e Jenin forze israeliane hanno ucciso due minori palestinesi durante due operazioni di ricerca-arresto che hanno comportato uno scontro a fuoco con palestinesi (seguono dettagli). Il 6 febbraio, forze israeliane hanno fatto irruzione nella città di Nablus, dove hanno avuto uno scontro a fuoco con palestinesi; un ragazzo di 17 anni che, secondo l’esercito israeliano aveva sparato contro di loro, è rimasto ucciso; un’accusa contestata da testimoni oculari e da Organizzazioni per i diritti umani.

Il 12 febbraio, forze israeliane hanno condotto un’operazione di ricerca-arresto nella città di Jenin, dove hanno avuto uno scontro a fuoco con palestinesi, uccidendo un ragazzo palestinese di 14 anni; secondo l’Organizzazione per i diritti umani le circostanze dell’accaduto non sono ancora chiare. Durante lo stesso episodio altri due palestinesi sono stati feriti con proiettili veri e tre sono stati arrestati. Ad oggi, in Cisgiordania, sale a nove il numero totale di minori palestinesi uccisi nel 2023 da forze israeliane. Nel 2022, nello stesso periodo, risultavano pari a zero.

3). Un automobilista palestinese ha ucciso tre israeliani, tra cui due minori, e ne ha feriti altri quattro, investendoli con la propria auto (seguono dettagli). Il 10 febbraio, nell’insediamento israeliano di Ramot a Gerusalemme est, due israeliani, tra cui un bambino di sei anni, sono stati uccisi e altri cinque sono rimasti feriti da un palestinese che li ha investiti con la propria auto mentre si trovavano alla fermata dell’autobus. Uno dei feriti, un bambino di otto anni, è morto il giorno successivo per le ferite riportate. L’aggressore è stato successivamente ucciso dalla polizia israeliana.

Il 13 febbraio, nella città vecchia di Gerusalemme, secondo i media israeliani, un ragazzo palestinese di 14 anni ha accoltellato e ferito un ragazzo israeliano di 17 anni, dandosi quindi alla fuga.

4). Ai checkpoint israeliani, o nei loro pressi, forze israeliane hanno ucciso due palestinesi, ferendone altri due (seguono dettagli). Il 3 febbraio, al checkpoint di Huwwara (Nablus), forze israeliane hanno sparato, uccidendo un palestinese che, secondo le stesse forze, avrebbe tentato di aggredire un soldato israeliano.

Il 9 febbraio, forze israeliane hanno sparato, uccidendo un palestinese che, secondo le autorità israeliane, avrebbe cercato di accoltellare soldati israeliani in servizio presso un punto di osservazione militare prossimo al Campo profughi di Al Fuwwar (Hebron). In entrambe le circostanze non sono stati segnalati ferimenti di israeliani. Alla chiusura del presente rapporto, i corpi di entrambi i palestinesi risultavano ancora trattenuti dalle autorità israeliane.

5). A Gerusalemme est, presso un checkpoint israeliano, durante un tentativo di aggressione con coltello da parte di un palestinese, un agente di polizia israeliano è stato colpito per errore, e ucciso, da un altro membro delle forze israeliane (seguono dettagli). Il 13 febbraio, al checkpoint del Campo profughi di Shu’fat a Gerusalemme est, secondo quanto riferito, un ragazzo palestinese di 13 anni ha accoltellato un ufficiale di polizia di frontiera israeliano; dopodiché un altro membro delle forze israeliane ha cercato di sparare al ragazzo, ma ha colpito per errore l’ufficiale, che in seguito è morto per le ferite. Successivamente, le forze israeliane hanno arrestato il ragazzo.

6). A Salfit un colono israeliano ha sparato con munizioni vere, uccidendo un palestinese (seguono dettagli). L’11 febbraio, un gruppo di coloni israeliani, secondo quanto riferito, provenienti dall’insediamento di Yair Farm, è entrato nel villaggio di Qarawat Bani Hassan dove ha affrontato operai palestinesi al lavoro presso una costruzione. Secondo testimoni oculari, sia i coloni israeliani che i palestinesi hanno iniziato a lanciare pietre; uno dei coloni ha sparato da distanza ravvicinata, uccidendo un palestinese. Forze israeliane sono intervenute, sparando lacrimogeni e proiettili di gomma contro i palestinesi: non sono stati riportati feriti. Durante lo stesso episodio, secondo i media israeliani, un colono israeliano è stato ferito da una pietra lanciata da palestinesi.

7). In Israele, un anziano israeliano è morto per le ferite riportate durante una aggressione palestinese (seguono dettagli). Nel maggio 2022, due palestinesi aggredirono degli israeliani con asce, uccidendo tre persone e ferendone quattro. Uno dei quattro feriti è morto il 2 febbraio, portando a quattro il numero delle vittime di quell’aggressione.

8). In Cisgiordania, durante il periodo di riferimento, sono stati feriti dalle forze israeliane 373 palestinesi, tra cui almeno 58 minori, di cui 18 colpiti da proiettili veri (seguono dettagli). Dei feriti, 131 (35 %) si sono verificati durante manifestazioni contro l’espansione degli insediamenti e le restrizioni di accesso legate agli insediamenti vicino a Kafr Qaddum (Qalqilya), Beit Dajan e Beita (entrambe a Nablus). In altri quattro episodi, registrati a Qaryut e Asira al Qibliya (entrambi a Nablus), 33 palestinesi sono stati feriti da forze israeliane, in seguito all’ingresso di coloni israeliani, accompagnati da forze israeliane, all’interno delle stesse Comunità palestinesi. Altri 177 feriti si sono verificati durante operazioni di ricerca-arresto e altre operazioni condotte da forze israeliane. Inoltre, forze israeliane hanno ferito 30 palestinesi, durante una demolizione, nell’area di Jabal al Mukabbir a Gerusalemme est. Il 31 gennaio, i residenti palestinesi di Jabal al Mukabbir avevano dichiarato un giorno di sciopero per protestare contro l’attuale tendenza, da parte delle autorità israeliane, all’incremento delle demolizione di strutture in quell’area. Gli altri due feriti si sono verificati ai checkpoints. Complessivamente, 313 palestinesi sono stati curati per inalazione di gas lacrimogeno, 18 sono stati colpiti da proiettili veri, 24 sono stati feriti con proiettili di gomma, sei sono stati aggrediti fisicamente, due sono stati spruzzati con liquido al peperoncino, cinque sono stati colpiti da granate assordanti e cinque sono stati colpiti da bombolette di gas.

9). Coloni israeliani hanno ferito, in quattro episodi, sei palestinesi tra cui almeno un minore, e persone conosciute come coloni, o ritenute tali, hanno danneggiato proprietà palestinesi in altri 16 casi; a questi sono da aggiungere il palestinese ucciso da un colono e i 33 palestinesi feriti da forze israeliane, episodi, relativi a coloni, riportati nei precedenti paragrafi (seguono dettagli). Il 2 e il 10 febbraio, a Huwwara e Jalud (Nablus), due palestinesi, tra cui un ragazzo di 14 anni, sono stati feriti da coloni israeliani che li hanno spruzzati con liquido al peperoncino.

Il 10 febbraio, a Qarawat Bani Hassan (Salfit), coloni israeliani hanno lanciato pietre contro palestinesi e il loro bestiame ferendo due palestinesi.

L’11 febbraio, coloni israeliani hanno lanciato pietre contro palestinesi che viaggiavano sulle strade prossime a Deir Sharaf (Nablus), ferendo un uomo e danneggiandone il veicolo.

In altre due circostanze, registrate a Marda e Yasuf (entrambi a Salfit), circa 50 alberi sono stati vandalizzati su terre palestinesi, comprese quelle vicine a insediamenti israeliani, in aree in cui l’accesso palestinese richiede l’approvazione dell’esercito israeliano (comunemente indicato come “previo coordinamento”).

In altre sette occasioni, persone conosciute come coloni, o ritenute tali, hanno lanciato pietre contro veicoli palestinesi, danneggiandone almeno 35. Altre proprietà palestinesi sono state danneggiate e il bestiame è stato ferito in dodici episodi registrati a Jenin, Ramallah, Salfit, Tubas, Hebron e Qalqiliya o nelle vicinanze; secondo testimoni oculari e fonti della Comunità locale, le proprietà includevano strutture residenziali e agricole, trattori, raccolti e una rete idrica.

10). Tre coloni israeliani sono rimasti feriti e sono stati segnalati danni ad almeno sei veicoli israeliani ad opera di persone conosciute come palestinesi, o ritenute tali, che hanno lanciato pietre contro veicoli israeliani che viaggiavano sulle strade della Cisgiordania. In un caso, secondo fonti israeliane, palestinesi hanno dato fuoco a un’auto a Kafr Ein (Ramallah). In un episodio separato, un veicolo israeliano è stato danneggiato con colpi di arma da fuoco sulla strada 465 vicino a Ramallah, senza che siano stati riportati feriti.

11). A Gerusalemme Est e nell’Area C della Cisgiordania, adducendo la mancanza di permessi di costruzione rilasciati da Israele che sono quasi impossibili da ottenere, le autorità israeliane hanno demolito, confiscato o costretto persone a demolire 30 strutture, comprese nove case. Due delle strutture erano state fornite da donatori come assistenza umanitaria. Di conseguenza, 55 palestinesi, tra cui 31 minori, sono stati sfollati e i mezzi di sussistenza di oltre 100 altri ne sono stati colpiti. Diciassette (17) delle strutture si trovavano in Area C, comprese due strutture demolite nella Comunità beduina di Zatara al Kurshan (Betlemme) situate in aree che Israele ha designato come “zone di tiro”, chiuse perché destinate alle esercitazioni militari e dove le Comunità palestinesi sono a rischio di trasferimento forzato a causa di un ambiente coercitivo generato dalle politiche e dalle pratiche israeliane. Le restanti tredici strutture sono state demolite a Gerusalemme Est, di cui quattro demolite dai proprietari, per evitare il pagamento di multe alle autorità israeliane. Gennaio 2023 ha registrato il maggior numero di strutture demolite a Gerusalemme est, in un solo mese, dall’aprile 2019; con un totale di 32 strutture demolite, a fronte di una media mensile di undici demolizioni registrate nel 2022.

12). Forze israeliane hanno limitato il movimento dei palestinesi in diverse località della Cisgiordania, interrompendo l’accesso di migliaia di palestinesi ai mezzi di sussistenza e ai servizi (seguono dettagli). Tra il 28 gennaio e il 6 febbraio, l’esercito israeliano ha dispiegato posti di blocco volanti a tutte le entrate/uscite della città di Gerico, inclusi blocchi di cemento, ostacolando il movimento di almeno 50.000 palestinesi per dieci giorni; ciò in risposta a un attacco palestinese contro un insediamento israeliano a sud di Gerico, dove non erano stati segnalati feriti. Il 6 febbraio, l’esercito israeliano ha limitato il movimento di oltre 7.000 palestinesi collocando cumuli di terra in una strada secondaria della città di Huwwara (Nablus), secondo quanto riferito, in risposta al lancio di pietre palestinesi contro veicoli di coloni israeliani. Lo stesso giorno, l’esercito israeliano ha chiuso il cancello di una strada agricola nel villaggio di Immatin (Qalqilya), ostacolando il movimento di almeno 50 agricoltori verso i loro terreni.

13). Nella Striscia di Gaza, vicino alla recinzione perimetrale israeliana o al largo della costa, in almeno 34 occasioni, forze israeliane hanno aperto il fuoco di avvertimento, presumibilmente per far rispettare le restrizioni all’accesso; due pescatori sono stati arrestati e un peschereccio è stato sequestrato; non sono stati riportati feriti o danni. Separatamente, due palestinesi sono stati arrestati da forze israeliane mentre cercavano di entrare in Israele attraverso la recinzione perimetrale.

14). In tre occasioni, gruppi armati palestinesi hanno lanciato razzi e altri proiettili contro Israele. I lanci palestinesi sono stati registrati l’1, l’11 e il 13 febbraio. I razzi sono stati intercettati o sono caduti in aree aperte a Gaza e in Israele; una israeliana è rimasta ferita mentre correva verso un rifugio. Il 2 e il 13 febbraio, forze israeliane hanno effettuato attacchi aerei nella Striscia di Gaza, contro siti militari appartenenti a gruppi armati. Non sono stati segnalati feriti.

Questo rapporto riflette le informazioni disponibili al momento della pubblicazione. I dati più aggiornati e ulteriori analisi sono disponibili su ochaopt.org/data

Questa sezione si basa su informazioni iniziali provenienti da diverse fonti. Nel prossimo rapporto saranno forniti ulteriori dettagli accertati.

Il 14 febbraio, un palestinese è deceduto per le ferite riportate nel gennaio 2021, quando un soldato israeliano gli sparò al collo nella Comunità Ar Rakeez di Masafer Yatta (Hebron), mentre cercava di impedire la confisca di un generatore elettrico.

Il 14 febbraio, un minore palestinese è stato ucciso da forze israeliane in un’operazione di ricerca- arresto condotta nel Campo profughi di Al Far’a (Tubas) e dove è stato segnalato uno scontro a fuoco con palestinesi.

Note a piè di pagina

1. Vengono conteggiati separatamente i palestinesi uccisi o feriti da persone che non fanno parte delle forze israeliane, ad esempio da civili israeliani o colpiti da razzi palestinesi che ricadono su territori palestinesi; così come quelli la cui causa immediata di morte o l’identità dell’autore rimangono controverse, poco chiare o sconosciute.

2. In queste rilevazioni, le vittime israeliane includono persone che sono state ferite mentre correvano ai rifugi durante gli attacchi missilistici palestinesi. I cittadini stranieri uccisi in attacchi palestinesi e le persone la cui causa immediata di morte o l’identità dell’autore rimangono controverse, poco chiare o sconosciute, vengono conteggiate separatamente. Durante questo periodo di riferimento, un membro delle forze israeliane che è stato ucciso in un attacco palestinese viene conteggiato separatamente poiché la causa della sua morte rimane poco chiara al momento della stesura.

nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati ogni due settimane in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informa-zioni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano (vedi di seguito) l’edizione inglese dei Rapporti.

nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

Associazione per la pace – Via S. Allende, 5 – 10098 Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it




“Catastrofe”: i palestinesi raccontano la mortale incursione israeliana a Nablus

Zena Al Tahhan

23 febbraio 2023 – Al Jazeera

Le forze israeliane hanno ucciso 11 palestinesi a Nablus in una delle incursioni più letali dalla rivolta del 2000-05

Ramallah, Cisgiordania occupata – Almeno 150 soldati israeliani su decine di mezzi blindati hanno attaccato Nablus mercoledì in quello che è diventato uno dei più letali raid militari nella Cisgiordania occupata dalla rivolta di massa palestinese, o Intifada, del 2000-05.

In quattro ore l’esercito israeliano ha ucciso 11 palestinesi e ferito più di 80 persone, alcune gravemente, con munizioni vere. Il raid avviene quasi un mese dopo che 10 palestinesi sono stati uccisi in un raid simile nel campo profughi di Jenin, a circa 41 km di distanza.

Jenin e Nablus, diventate i centri di una moderata resistenza palestinese, sono lo scenario di sempre più numerosi attacchi mortali israeliani.

Tra le vittime dei raid di mercoledì vi sono tre anziani – di 72, 66 e 61 anni – e un ragazzo di 16 anni, e centinaia di altre persone hanno inalato gas lacrimogeni.

Sparavano a destra e sinistra, a chiunque, chi aveva e chi non aveva armi. Io ero a due metri da un ragazzo, assistevo agli eventi, e lui è stato colpito e ferito proprio davanti a me”, dice a Al Jazeera Khaled Jamal, un abitante di 25 anni.

È stata una catastrofe. Tutti dentro e fuori dall’ospedale piangevano per la scena che si svolgeva davanti ai nostri occhi – uomini, donne, bambini. Anche le persone che erano in ospedale per dei controlli piangevano”, continua.

Forze israeliane sotto copertura sono entrate a piedi nella Città Vecchia di Nablus all’alba di mercoledì, vestite da religiosi musulmani e da donne velate e si sono nascoste dentro una moschea nel quartiere di al-Halabeh vicino ad una casa dove si rifugiavano due combattenti palestinesi.

I soldati israeliani sono rimasti nascosti nella moschea fino al mattino, quando decine di altri soldati si sono posizionati dentro e intorno alla casa e al quartiere – compresi cecchini sui tetti, a quanto affermano gli abitanti del luogo.

I due combattenti, Hossam Isleem di 24 anni e Mohammad Abdulghani di 23 (conosciuto anche come Mohammad Jneidi), appartenenti al gruppo armato Fossa dei Leoni di Nablus, si sono rifiutati di arrendersi. Pochi minuti dopo, secondo gli abitanti, le forze israeliane hanno attaccato la casa con granate lanciarazzi e droni armati, uccidendoli.

L’esercito israeliano sostiene che Isleem, con Osama Taweel e Kamal Joury, altri due combattenti in detenzione amministrativa, fosse coinvolto nella sparatoria che in ottobre ha ucciso un soldato israeliano vicino alla colonia illegale di Shavei Shomron.

“Inconcepibile”

Akram Saeed Antar, che abita nella zona di al-Halabeh dove si trovava la casa presa di mira, ha detto che i soldati israeliani sparavano indiscriminatamente.

Sono state almeno 3 ore di distruzione, esplosioni e proiettili veri che hanno preso di mira tutti gli abitanti della zona”, dice Antar. “Uccidevano persone anziane e bambini per strada”.

I combattenti della resistenza avevano semplici fucili, non potevano resistere a granate, missili e droni”, continua Antar.

Durante l’operazione intorno alla casa le forze israeliane hanno attaccato larghe folle di palestinesi in tutta Nablus in diversi luoghi accalcati usando proiettili veri e candelotti lacrimogeni che contenevano spray al peperoncino, e sparato anche da droni quando si sono estesi gli scontri con gli abitanti.

Inconcepibile! Lanciavano gas lacrimogeni contro donne, uomini, anziani, in ogni zona affollata di Nablus dove c’era tanta gente. Sono andato con un gruppo di giovani a instradare le persone con bambini, le famiglie, verso il principale centro commerciale in città – era il posto più sicuro”, dice Jamal, che ha anche sofferto per l’inalazione di gas lacrimogeno.

Non era normale gas lacrimogeno. Era mescolato con spray al peperoncino, per cui non solo soffochi, ma non puoi neanche aprire gli occhi. C’erano molte persone che camminavano cieche”.

Un altro testimone, che ha preferito restare anonimo per paura di rappresaglie, ha detto: “È stato un massacro.”

Tutti correvano per le strade gridando. L’esercito trattava le persone barbaramente – sparava alla gente nelle strade, nei negozi, ai carrelli della spesa nel mercato, distruggeva la merce”, dice ad Al Jazeera.

Serie di incursioni mortali

Il micidiale raid su Nablus è la terza grande operazione israeliana in Cisgiordania dall’inizio dell’anno e sotto il nuovo governo israeliano di estrema destra che ha giurato alla fine di dicembre.

Il 26 gennaio le forze israeliane hanno ucciso nove palestinesi, tra cui due bambini e una donna, nel campo profughi di Jenin, in quello che è stato anche descritto come un “massacro”. Il 6 febbraio l’esercito ha ucciso cinque uomini e ferito gravemente altri due nel campo profughi di Aqabet Jaber nella città di Gerico.

Le operazioni su larga scala arrivano a seguito del 2022, dichiarato dalle Nazioni Unite come l’anno più letale per i palestinesi dalla fine della seconda Intifada nel 2005.

Israele afferma di prendere di mira la limitata resistenza armata palestinese nel nord della Cisgiordania, ma molti civili, compresi i bambini, vengono spesso uccisi e feriti durante tali raid e le loro proprietà vengono distrutte.

Con 62 palestinesi, tra cui 13 bambini, finora uccisi quest’anno, e centinaia di altri feriti, i primi due mesi del 2023 sono stati i più letali dal 2000 rispetto allo stesso periodo.

Mercoledì il Ministero della Salute palestinese ha affermato in una dichiarazione che “l’inizio di quest’anno è il più sanguinoso nella Cisgiordania occupata almeno dall’anno 2000. Negli ultimi 22 anni non abbiamo mai registrato un tale numero di martiri [61] nei primi due mesi di un anno”.

I quasi giornalieri omicidi in Cisgiordania che continuano da più di un anno, così come altre politiche oppressive israeliane tra cui l’aumento delle demolizioni di case palestinesi e le misure punitive sui prigionieri, stanno ulteriormente rendendo esplosiva la situazione sul campo.

In migliaia hanno partecipato mercoledì pomeriggio ai funerali delle 11 persone uccise, con canti appassionati contro l’occupazione israeliana e in onore dei combattenti e dei civili uccisi. Erano presenti centinaia di combattenti con i fucili in mano.

Mercoledì notte gruppi di resistenza armata nella Striscia di Gaza assediata hanno lanciato razzi su Israele in risposta al raid di Nablus, cui Israele ha sollecitamente risposto lanciando raid aerei su Gaza.

La resistenza a Gaza è commisurata all’escalation dei crimini del nemico nella Cisgiordania occupata contro il nostro popolo, la cui pazienza si sta esaurendo”, ha detto Abu Obeida portavoce del movimento Hamas.

L’escalation della violenza fa temere un conflitto più ampio, e alcuni affermano che una terza Intifada sia inevitabile.

Tornando a Nablus, i residenti continueranno a lungo a subire lo choc per le conseguenze del micidiale attacco israeliano.

“È stato orribile. Ero seduto lì alla fine del giorno sul pavimento dell’ospedale con il sangue addosso, piangendo con un gruppo di giovani”, ha detto Jamal.

(traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Uno sponsor del Festival di Adelaide ritira l’appoggio alla settimana degli scrittori a causa degli autori palestinesi

Daniel Keane

21 febbraio 2023 – ABCnews

Un importante sponsor del Festival di Adelaide ha ritirato il suo pubblico sostegno all’evento di quest’anno in segno di protesta, affermando di essere preoccupato per la possibilità di “osservazioni razziste o antisemite” nella Settimana degli Scrittori.

Lo studio legale MinterEllison ha detto di aver “vivamente espresso” agli organizzatori dell’evento le proprie riserve riguardo alla presenza della scrittrice e studiosa Susan Abulhawa e del poeta Mohammed El-Kurd.

Gli organizzatori del festival hanno replicato dicendo che, pur rispettando la decisione dello studio, sono determinati a garantire che la Settimana degli Scrittori del mese prossimo resti un palcoscenico per “il dialogo civile e il confronto delle idee.”

La prevista partecipazione della signora Abulhawa è stata oggetto di polemiche la settimana scorsa quando l’Associazione degli Ucraini dell’Australia del Sud ha manifestato la propria contrarietà alla palestinese-americana, le cui dichiarazioni pubbliche hanno incluso reiterate critiche al presidente ucraino Volodymyr Zelenskyy.

El-Kurd è un critico del sionismo e ha descritto Israele come una “nazione terrorista e genocida” caratterizzata da una “sete inestinguibile di sangue e terra palestinese.”

In una dichiarazione lo studio legale MinterEllison ha affermato di essere un convinto sostenitore delle arti e di aver sponsorizzato il Festival di Adelaide per cinque anni, ma che ora stava riconsiderando la sua collaborazione.

Siamo venuti recentemente a conoscenza della partecipazione della signora Abulhawa e del signor El-Kurd al Festival degli Scrittori di Adelaide e, in particolare, di alcune dichiarazioni pubbliche fatte dalla signora Abulhawa e dal signor El-Kurd”, hanno detto.

Non siamo d’accordo con quelle opinioni. Abbiamo vivamente espresso le nostre riserve al Festival.

Abbiamo chiesto garanzie da parte del Festival che non saranno tollerate posizioni razziste o antisemite durante gli incontri con il signor El-Kurd o con la signora Abulhawa o in ogni altro incontro del Festival.”

Lo studio ha detto di aver preso la decisione, in vista dell’inizio del Festival il 3 marzo, di “ritirare la nostra presenza e coinvolgimento dal programma di quest’anno del Festival degli Scrittori.”

Inoltre, poiché quei relatori sono legati al Festival, ritireremo il nostro sostegno al programma generale del Festival (per quanto possibile). Stiamo valutando di riconsiderare la collaborazione futura.”

Lo studio legale pagherà comunque la sponsorizzazione, anche se il suo logo non comparirà più pubblicamente tranne che sul materiale già stampato.

Il Festival difende le decisioni della Settimana degli Scrittori

In risposta la direttrice generale del Festival Kath Mainland ha espresso disappunto per l’iniziativa di MinterEllison, ma ha difeso la Settimana degli Scrittori come palcoscenico per una pacifica discussione.

Pur se dispiaciuti per la loro decisione di rimuovere il logo dalla Settimana degli Scrittori di Adelaide e dagli eventi del Festival di Adelaide, rispettiamo comunque la loro scelta”, ha dichiarato la signora Mainland.

Il Festival di Adelaide ha come obiettivo di fornire un’opportunità di dialogo civile e confronto di idee.

Crediamo fermamente nell’importanza di consentire e agevolare la libertà di espressione delle idee, che potrebbero anche essere provocatorie o conflittuali, ma restano sempre degne di rispetto.”

La direttrice della Settimana degli Scrittori Louise Adler ha affermato che il principio della libertà di espressione è più importante della sponsorizzazione.

Possiamo solo sperare che i nostri sponsor condividano con noi le vicissitudini, ma a volte possono, a volte no”, ha detto a ABC Radio Adelaide.

Immagino che lo studio Minters ritenga di dover proteggere un marchio, ma certamente anche noi abbiamo un marchio da proteggere, che poggia sul principio di invitare gli scrittori per ciò che scrivono e non per i loro tweet, e perché crediamo che il loro lavoro di scrittori sia importante e interessante per le migliaia di persone che vengono nei nostri parchi.”

La signora Adler, che è ebrea, ha detto che le critiche allo Stato di Israele non corrispondono ad antisemitismo.

Ciò che qui è in gioco è la confusione tra le due cose”, ha detto.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Perché l’opposizione israeliana non vuole parlare del vero obiettivo della riforma giudiziaria

Michael Schaeffer Omer-Man

21 febbraio 2023 – +972 Magazine

Politici del governo hanno esplicitamente affermato che la riforma giudiziaria riguarda l’annessione. Gli oppositori non vogliono ammetterlo perché condividono lo stesso progetto.

Quasi esattamente 10 anni fa il ministro della Giustizia israeliano Yariv Levin, allora giovane stella nascente nel partito di Netanyahu, il Likud, parlò a una conferenza organizzata dal Movimento Israeliano per la Sovranità, sostenitore della totale annessione da parte di Israele dei territori palestinesi occupati. Prima di esporre un piano di quattro fasi per quello che molti hanno definito una “annessione strisciante” attraverso piccoli passi successivi nell’applicare la legge israeliana alla Cisgiordania, Levin mise in guardia il suo pubblico di ideologi.

Non ho dubbi che tra non molto riusciremo ad estendere la sovranità su tutta la Terra di Israele,” rassicurò i presenti. “È importante avere questo progetto perché a volte esso contrasta con le tattiche e i compromessi che devono essere fatti lungo il percorso. Dobbiamo attenerci a questo obiettivo in modo intelligente giorno dopo giorno, potrei persino dire talvolta con raffinatezza, per raggiungere alla fine il nostro obiettivo.”

Un anno dopo Levin parlò di nuovo alla conferenza. Oltre ai passi discreti e implacabili che aveva presentato nella sua precedente apparizione, il politico del Likud aggiunse due importanti prerequisiti per una totale annessione. Il primo, ammonì, era una lenta e paziente campagna per cambiare il modo in cui l’opinione pubblica israeliana, compresa la destra annessionista, pensava e parlava della questione palestinese dopo decenni in cui gli Accordi di Oslo e la soluzione a due Stati avevano caratterizzato il discorso.

La seconda condizione imprescindibile per l’annessione di cui parlò fu molto più audace: una totale riforma del sistema legislativo e giudiziario israeliano. “Non possiamo accettare l’attuale situazione in cui il sistema giudiziario è controllato da estremisti di sinistra, una minoranza post-sionista che si auto-nomina a porte chiuse, imponendoci i suoi valori, non solo sull’(annessione), ma anche su altre questioni,” spiegò Levin. “Un cambiamento del sistema giudiziario è essenziale perché ci consentirà e ci faciliterà il fatto di intraprendere passi concreti sul terreno che rafforzino il processo di promozione della sovranità.”

Molti nella destra israeliana vedono il sistema giudiziario del Paese, che in realtà ha appoggiato e consentito l’esistenza stessa e l’espansione delle colonie israeliane nei territori occupati, come ostile al movimento dei coloni. Vedono gli occasionali vincoli che la Corte ha introdotto, in particolare il fatto che essa abbia bocciato una legge che avrebbe legalizzato colonie costruite su proprietà privata palestinese rubata, come il principale impedimento alla possibilità di realizzare i sogni annessionisti, che per loro sono una combinazione di imperativi messianici e ideologici.

Passano 10 anni e Levin diventa il nuovo ministro della Giustizia di Israele, accelerando una totale riforma del sistema legislativo e giudiziario del Paese, in un processo che molti all’interno di Israele definiscono un tentativo di colpo di stato. La proposta di legge ha scatenato in Israele un massiccio movimento di protesta che ha visto manifestazioni settimanali, scioperi generali, minacce di fuga di capitali e importanti personalità che invocano la disobbedienza civile.

Nonostante la crescente rivolta, lunedì notte la Knesset [il parlamento israeliano, ndt.] ha approvato in prima lettura una legge che darebbe al governo un notevole controllo sulla commissione per la selezione dei giudici israeliani e impedirebbe alla Corte Suprema di esercitare il controllo giudiziario sulle Leggi Fondamentali del Paese. La proposta richiede altre due letture perché venga convertita in legge.

In un Paese con un ordine costituzionale caratterizzato dalle innumerevoli decisioni dei suoi leader di non prendere decisioni, la prospettiva di un risoluto governo di estrema destra che consolidi il potere e sovverta l’unico controllo istituzionale sulle sue pretese è indubbiamente terrificante. Quindi molti israeliani pensano di lottare per salvare la democrazia, le libertà e i diritti che hanno sperimentato nel loro Paese per più di 70 anni.

Ma ciò sollecita una domanda cruciale: perché il latente obiettivo ideologico e politico che promuove questa riforma dell’intero sistema di governo israeliano da parte dell’estrema destra, cioè l’annessione unilaterale dei territori occupati, è così assente dal discorso pubblico e dalle proteste nelle piazze?

Non è un progetto degli estremisti

Non c’è bisogno di vedere i video di 10 anni fa su YouTube per capire l’ossessione fanatica che la destra israeliana ha riguardo all’annessione. Solo qualche anno fa, in un governo non diverso da quello di oggi, Netanyahu disse che entro breve avrebbe ufficialmente annesso vaste aree della Cisgiordania occupata, un piano poi congelato in cambio della normalizzazione dei rapporti diplomatici con gli Emirati Arabi Uniti, seguiti dal Bahrein, dal Marocco e dal Sudan.

In seguito a quel disastro per la destra annessionista, nel 2020 l’allora presidente della Knesset Yariv Levin, insieme all’attuale ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, fondò il “Comitato per la Terra di Israele”. Pur mettendo in guardia i suoi sodali ideologici che come presidente della Knesset avrebbe dovuto parlare in “termini istituzionali”, durante il primo incontro Levin rassicurò i suoi alleati del comitato che avrebbe comunque lavorato per procedere verso l’annessione. “La sovranità su tutta la terra di Israele,” affermò, “è l’irrevocabile diritto del popolo ebraico. È nostro dovere, e non una questione di scelta, realizzarlo.”

È importante analizzare la leadership di Levin a favore dell’annessione per due ragioni. La prima è che egli si trova ora nella posizione di mettere le basi giuridiche per la sua realizzazione. La seconda è che i progetti annessionisti di questo governo, sia all’interno di Israele che a livello internazionale, tendono ad essere liquidati come un progetto di politici e partiti dei coloni estremisti che sono arrivati al governo e grazie ai quali Netanyahu è stato in grado di riprendere il potere dopo quattro elezioni inconcludenti e un breve periodo all’opposizione.

Il Comitato per la Terra di Israele, che Levin ha co-fondato per portare avanti strategie legislative e alleanze trasversali tra i partiti finalizzate all’annessione, è sempre stato dominato dal Likud. Nella 23esima Knesset, quando il comitato è stato fondato, i parlamentari del Likud rappresentavano il 44% dei membri, più di metà degli eletti del partito. Da allora nella 24esima Knesset, sciolta lo scorso novembre, l’87% dei deputati del Likud faceva parte del comitato ed essi rappresentavano il 57% di esso. Pochi anni prima il comitato centrale del Likud aveva votato per sostenere l’annessione come parte del proprio programma.

Nonostante la loro esplicita agenda, nel più vasto dibattito pubblico Netanyahu e il Likud sono percepiti come intenzionati a riformare il sistema di governo israeliano per ragioni diverse, di megalomania e corruzione. Il primo ministro, si afferma, attualmente è sotto processo per corruzione, la principale ragione citata dai suoi alleati storici per abbandonarlo, e l’unico modo per lui di garantirsi di non finire in galera è attraverso il controllo del potere giudiziario. All’interno di questa narrazione la riforma governativa è stata definita semplicemente come un abuso di potere, benché con conseguenze di vasta portata per l’economia, la posizione diplomatica, i diritti civili e per una delle linee di faglia più spinose di Israele: i rapporti tra Stato e religione.

Generalmente si attribuisce ai partiti più piccoli e radicali dell’ultimo governo Netanyahu, guidati da Itamar Ben Gvir e Bezalel Smotrich, l’uso della riforma giudiziaria per raggiungere finalmente il loro sogno di annessione, sfrenata espansione delle colonie ed espulsione del maggior numero possibile di palestinesi. Per gran parte dell’opposizione essi sono tutt’al più degli opportunisti che hanno individuato il momento in cui le loro fantasie messianiche convergono con gli interessi personali di Netanyahu e in cui finalmente hanno influenza perché senza di loro il governo crollerebbe.

Di conseguenza la lotta per salvare la democrazia israeliana dipinge la propria distopia in parallelo con la caduta nell’autoritarismo vista in Ungheria e in Polonia nello scorso decennio. Quindi bloccare l’“orbanizzazione” di Israele è diventata una sorta di parola d’ordine dell’opposizione.

Un ethos colonialista unificante

La ragione di questa dissonanza tra la narrazione dell’opposizione e il vero progetto del Likud è duplice. Primo, perché in parte è vera: in effetti Netanyahu ha bisogno di questi alleati di coalizione proprio per la sua stessa sopravvivenza politica e la sua libertà personale. La seconda ragione si riduce al fatto che l’opposizione israeliana e Netanyahu condividono la stessa ideologia, il sionismo, il cui fondamento è la convinzione che dio abbia dato la Terra di Israele al popolo ebraico, che gli ebrei abbiano il diritto di stanziarsi su ogni parte di quella terra e che la sopravvivenza del popolo ebraico dipenda dalla estrinsecazione fisica e politica di tale dottrina.

L’unica seria sfida a questo progetto, il fallito processo di Oslo che prevedeva la partizione e diversi livelli di limitata autonomia palestinese, non ha mai contrastato la fondamentale convinzione sionista che tutta la Terra di Israele sia del popolo ebraico. Quello su cui leader come Yitzhak Rabin e Ariel Sharon dissentivano riguardava il compromesso strategico, non l’ideologia. Loro e gli israeliani che ne seguivano i rispettivi percorsi non hanno mai visto la rinuncia alla piena applicazione di quello che è noto come sionismo massimalista o espansionista come una sua negazione.

Questo caposaldo del sionismo è la ragione per cui Rabin, Sharon, Shimon Peres, Ehud Olmert, Tzipi Livni e qualunque altro importante politico israeliano che ha proposto o inteso fare concessioni territoriali non si è mai sognato di rinunciare a tutte le colonie israeliane al di là della Linea Verde. A un decennio dall’ultimo processo di pace credibile, in Israele il sostegno persino a una limitata concessione territoriale è praticamente sparito.

A prescindere dalla sua veridicità storica, l’idea della sinistra israeliana di terra in cambio di pace è stata screditata dalla maggioranza degli israeliani sionisti come un errore comprovato. Persino quei partiti politici che ancora sostengono una soluzione a due Stati, anche solo in teoria, hanno interiorizzato da molto tempo l’inutilità di perseguirla. Un recente sondaggio ha rilevato che il sostegno degli ebrei israeliani a un regime di apartheid permanente, in cui Israele controlli tutto il territorio dal fiume Giordano al Mediterraneo ma non conceda pari diritti ai palestinesi, è raddoppiato negli ultimi due anni dal 15 al 29%. Nello stesso periodo il numero di ebrei israeliani che appoggiano i due Stati è sceso dal 43 al 34 %.

Cosa ancora più grave, una significativa sezione trasversale di quanti protestano contro il piano Netanyahu-Levin-Smotrich-Ben Gvir, e stanno anche avvertendo di un possibile spargimento di sangue nelle piazze, condivide il latente insieme di principi ideologici e obiettivi politici che il quel progetto intende raggiungere.

Per alcuni israeliani l’opposizione è personale: aborrono l’idea che governi il loro Paese qualcuno sotto processo per corruzione. Per altri, come Avigdor Lieberman [leader di un partito ultranazionalista laico, ndt.] e molti israeliani laici preoccupati dalle imposizioni religiose, si tratta dell’alleanza di Netanyahu con partiti religiosi ebraici. Per quanti sono più vicini al centro-sinistra, le differenze riguardano il prezzo per il vissuto ebraico democratico e quasi liberale di Israele.

Molti economisti e importanti uomini d’affari sono semplicemente terrorizzati dai previsti danni per l’economia israeliana derivanti dall’erosione dello stato di diritto e dell’indipendenza della magistratura.

Il problema con la “democrazia israeliana”

Dato che queste differenze non sono ideologiche, praticamente nessuno sta facendo i conti con la dissonanza tra la propria concezione della democrazia israeliana che starebbe cercando di salvare e l’intrinsecamente antidemocratico e illiberale regime di apartheid su cui la “sovranità ebraica” si è sempre fondata.

Il centro e buona parte della destra israeliani si oppongono all’annessione a breve termine della Cisgiordania perché pensano che in base alle attuali circostanze lo status quo di una “temporanea” occupazione militare di più di 55 anni sia più prudente dal punto di vista strategico. Secondo loro cancellare formalmente la distinzione tra i territori occupati e il vero e proprio territorio riconosciuto di Israele renderebbe troppo difficile convincere il mondo che Israele non è un regime di apartheid in cui a metà della popolazione, palestinese, vengono negati fondamentali diritti democratici, civili e umani.

Tale dissonanza risulta evidente se si considera che l’opposizione al piano di Netanyahu non sta offrendo un progetto alternativo. Non stanno suggerendo che Israele adotti una costituzione con garanzie formali di uguaglianza, diritti civili, democrazia o chiarezza sulla questione dei rapporti tra Stato e religione. Non hanno intenzione di denunciare le mire espansionistiche di Levin, Smotrich e Ben Gvir perché tali mire e la convinzione che la Terra di Israele sia del popolo ebraico è intrinseca all’ethos sionista. Non sono in grado di definire cosa effettivamente ne sia della democrazia israeliana se continua a governare in modo antidemocratico milioni di palestinesi senza concedere loro pari diritti.

Tuttavia il baratro che, come avvertono alcuni, potrebbe portare Israele a una guerra civile non riguarda visioni contrapposte del Paese. Il fatto è che un gruppo non si accontenta più di aspettare le “giuste condizioni” per realizzare il sogno sionista della sovranità ebraica su tutta la Terra di Israele, mentre l’altro preferisce attenersi alla tradizione politica di guadagnare tempo decidendo di non decidere.

Per Netanyahu, Levin, Smotrich e Ben Gvir le conseguenze della formalizzazione di un regime di apartheid che mini la nozione di Israele come una democrazia, e alcuni dei privilegi e vantaggi che questa definizione offre loro, valgono il costo, se pure il mondo è intenzionato a imporne uno. E proporre una vera visione alternativa richiederebbe all’opposizione un livello di riflessione su se stessa e una sfida a convinzioni fondamentali che praticamente nessuno intraprenderebbe volontariamente.

Michael Schaeffer Omer-Man è direttore di ricerca per Israele-Palestina al DAWN [Democracy for the Arab World Now, istituto di ricerca statunitense, ndt.]. Fino al 2019 è stato direttore di +972 Magazine. Ha lavorato anche con agenzie internazionali umanitarie e per i rifugiati nel contesto Israele/Palestina.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite esprime “sconcerto” per le colonie israeliane

Redazione Al Jazeera

20 febbraio 2023-Al Jazeera

La dichiarazione annacquata sostituisce la bozza di risoluzione che avrebbe condannato esplicitamente l’insediamento di colonie di Israele.

Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (UNSC) ha espresso “profonda preoccupazione e sconcerto” per l’insediamento di colonie di Israele in una dichiarazione annacquata che sostituisce una bozza di risoluzione che avrebbe condannato esplicitamente le politiche israeliane.

La dichiarazione presidenziale del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite – approvata lunedì da tutti i 15 membri del consiglio, compresi gli Stati Uniti – ha anche sottolineato quello che ha definito “l’obbligo dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) di rinunciare al terrorismo e combatterlo”.

“Il Consiglio di sicurezza ribadisce che le continue attività di insediamento israeliano stanno pericolosamente mettendo a rischio la fattibilità della soluzione dei due stati basata sui confini del 1967”, ha affermato il consiglio.

Il provvedimento simbolico è arrivato in risposta a una decisione del governo israeliano all’inizio di questo mese di autorizzare migliaia di unità abitative nella Cisgiordania occupata e di legalizzare retroattivamente gli avamposti delle colonie costruiti illegalmente [anche secondo la legge israeliana, ndt.].

L’inviato palestinese alle Nazioni Unite, Riyad Mansour, ha dichiarato lunedì ai giornalisti: “Siamo molto felici che ci sia stato un messaggio unitario molto forte da parte del Consiglio di sicurezza contro la decisione [di Israele] illegale e unilaterale”.

Ma secondo diversi organi di stampa statunitensi e israeliani, che citano fonti diplomatiche, l’ANP avrebbe accettato di abbandonare la sua ricerca del voto [su una vera e propria risoluzione dell’UNSC] per le pressioni del governo degli Stati Uniti, compresa la promessa di un pacchetto di aiuti finanziari.

Come parte dell’accordo le fonti hanno affermato che Israele sospenderà temporaneamente gli annunci di nuove unità di colonie e demolizioni di case palestinesi.

L’agenzia di stampa Reuters ha dichiarato lunedì che gli Emirati Arabi Uniti (EAU), che avevano redatto la risoluzione insieme ai funzionari dell’ANP, avrebbero informato il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che la risoluzione e il voto sarebbero stati ritirati.

La risoluzione avrebbe chiesto a Israele di “cessare immediatamente e completamente tutte le attività di insediamento nei territori palestinesi occupati”.

Israele ha conquistato la Cisgiordania, comprese Gerusalemme Est e Gaza, nel 1967. Da allora ha costruito insediamenti che ospitano centinaia di migliaia di israeliani nelle terre occupate che i palestinesi rivendicano come parte del loro futuro stato.

Il diritto internazionale vieta esplicitamente alle potenze occupanti di trasferire la loro popolazione civile nei territori occupati. Un esperto delle Nazioni Unite ha in passato definito le colonie israeliane un “crimine di guerra”.

La dichiarazione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite di lunedì ha invitato tutte le parti a “osservare la calma e la moderazione e ad astenersi da azioni provocatorie, incitamento e retorica incendiari”.

Ha inoltre sollecitato “il pieno rispetto del diritto umanitario internazionale, compresa la protezione della popolazione civile”.

“Il Consiglio di sicurezza riafferma il diritto di tutti gli Stati a vivere in pace all’interno di confini sicuri e riconosciuti a livello internazionale e sottolinea che sia il popolo israeliano che quello palestinese hanno diritto in egual misura a libertà, sicurezza, prosperità, giustizia e dignità”, continua la dicharazione, facendo eco al linguaggio che il presidente degli Stati Uniti Joe Biden e i suoi principali collaboratori utilizzano regolarmente.

Israele ha respinto la dichiarazione come “unilaterale”, criticando specificamente Washington per averla appoggiata.

L’ufficio del primo ministro Benjamin Netanyahu ha affermato: “La dichiarazione non avrebbe mai dovuto essere fatta e gli Stati Uniti non avrebbero mai dovuto aderirvi”.

Louis Charbonneau, direttore della delegazione presso le Nazioni Unite di Human Rights Watch, ha affermato che il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite dovrebbe condannare chiaramente le colonie.

Ha scritto Charbonneau in un tweet: “Sebbene sia utile che il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite critichi le violazioni dei diritti umani di Israele contro i palestinesi, la dichiarazione di oggi, attenuata sotto pressione degli Stati Uniti e di Israele, è ben lontana dalla condanna a tutto campo che la grave situazione merita”.

Lunedì, al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, l’inviata statunitense Linda Thomas-Greenfield ha espresso senza ambiguità l’opposizione degli Stati Uniti all’attività di colonie di Israele, ma non ha condannato la politica israeliana.

Rispetto all’annuncio di Israele sulle colonie ha affermato: “Queste misure unilaterali esasperano le tensioni e danneggiano la fiducia tra le parti”. “Essi minano le prospettive di una soluzione negoziata a due Stati. Gli Stati Uniti non sostengono queste azioni, punto e basta”.

Nella sua dichiarazione al Consiglio lunedì, Mansour, l’inviato palestinese, ha avvertito che la situazione potrebbe presto “raggiungere un punto di non ritorno”.

Ha affermato “Ogni azione che intraprendiamo ora conta. Ogni parola che pronunciamo conta. Ogni decisione che rimandiamo conta”.

Israele, accusato di imporre un sistema di apartheid dalle principali organizzazioni per i diritti umani come Amnesty International, riceve annualmente almeno 3,8 miliardi di dollari di aiuti statunitensi.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Facciamo chiarezza: Israele estende la facoltà di privare i palestinesi di cittadinanza e residenza

Adalah

 20 febbraio 2023 – +972 Magazine

Una nuova legge, approvata da una schiacciante maggioranza della Knesset, fa parte di un processo in corso di consolidamento di sistemi giuridici diversi per ebrei e palestinesi.

Il 15 febbraio la Knesset ha approvato un nuovo disegno di legge intitolato “Legge per la revoca della cittadinanza o dello stato di residenza a un terrorista che riceva fondi per aver commesso un atto di terrorismo, 2023”.

Secondo la legge, approvata con una netta maggioranza di 94 membri della Knesset sia della coalizione di governo che del blocco di opposizione e solo 10 voti contrari, il ministero dell’Interno israeliano sarà autorizzato a revocare la cittadinanza o la residenza a una persona se condannata o detenuta per aver commesso un’ ” azione terroristica”, a condizione che abbia percepito fondi, o che qualcun altro li abbia percepiti per suo conto, dall’Autorità Palestinese (AP). La legge consente inoltre l’espulsione di queste persone nella Cisgiordania occupata o nella Striscia di Gaza se soddisfano i criteri di cui sopra.

Nello stesso giorno il plenum della Knesset ha approvato in lettura preliminare un altro disegno di legge volto a deportare le famiglie dei “terroristi”, che il Comitato giuridico ministeriale aveva promosso all’inizio di quella settimana. È difficile stabilire se questo disegno di legge, a cui il procuratore generale si è opposto, possa andare avanti o meno; tuttavia, proprio come per l’altra legge, hanno votato a favore parlamentari sia della coalizione di governo che dell’opposizione.

È impossibile negare la portata delle violazioni di diritti fondamentali contenuti nella nuova legge, in particolare quelli dei cittadini palestinesi di Israele e dei residenti palestinesi di Gerusalemme est. Il diritto alla cittadinanza è noto come “diritto ad avere diritti”, da cui derivano i diritti civili più basilari.

La negazione di questo diritto fondamentale è una misura gravissima e renderà apolidi le persone, in violazione della Convenzione delle Nazioni Unite del 1961 sulla riduzione dell’apolidia. La revoca della residenza dei palestinesi a Gerusalemme Est contravviene anche alla Quarta Convenzione di Ginevra in quanto, secondo il diritto internazionale, Gerusalemme Est è un territorio occupato che è stato annesso illegalmente da Israele.

Oltre a queste violazioni la nuova legge amplia enormemente i motivi in base ai quali si potrà usare la misura. Ciò costituirà una punizione addizionale oltre a ogni condanna che un individuo riceverà dal sistema legale penale israeliano, costituendo quindi una doppia punizione che contravviene ai principi più basilari dello stato di diritto, inclusa la finalità dei procedimenti giudiziari.

Israele ha già un meccanismo legale che in sé è problematico e che è stato recentemente confermato dalla Corte Suprema, per cui lo Stato può revocare la cittadinanza dei palestinesi in Israele così come meccanismi legali aggiuntivi per revocare la residenza dei palestinesi di Gerusalemme est. Ma si pensa che la nuova legge approvata la scorsa settimana amplierà in modo significativo l’ambito di tali meccanismi e nel far ciò consoliderà ulteriormente due sistemi legali separati per ebrei e palestinesi su entrambi i lati della Linea Verde  [il confine tra Israele e Cisgiordania prima dell’occupazione nel 1967, ndtr.] .

Qual è stato finora il metodo di revoca della cittadinanza e residenza secondo la legge israeliana?

Secondo l’emendamento alla legge sulla cittadinanza del 2008 il ministero degli Interni israeliano è autorizzato, su raccomandazione del Procuratore Generale e con l’approvazione di un tribunale distrettuale, a revocare la cittadinanza a individui che abbiano commesso un atto che costituisce “una violazione della lealtà verso lo Stato di Israele.”

Questo emendamento era stato esaminato dalla Corte Suprema per la prima volta con una sentenza emanata nel luglio 2022 nel caso di Alaa Zayoud, in cui si concludeva che l’emendamento soddisfa i principi costituzionali israeliani anche se la revoca comporta apolidia di qualcuno, sempre che il ministero degli Interni gli conceda la residenza permanente in Israele. Sebbene lo Stato alla fine di quel caso non abbia privato Zayoud della cittadinanza, la sentenza della corte ha affermato e legittimato la disposizione razzista della legge che viola gravemente i diritti umani e contravviene al diritto internazionale, basandosi solo su norme giuridiche israeliane.

Un emendamento del 2018 alla Legge sull’ingresso in Israele ha portato a una disposizione simile riguardo alla revoca della residenza ai palestinesi di Gerusalemme est, dopo che la Corte Suprema aveva accettato un ricorso da parte di membri del Consiglio Legislativo palestinese, il parlamento dell’Autorità Palestinese a cui i permessi di residenza erano stati negati; piuttosto che emanare una decisione finale sul caso, la corte diede alla Knesset l’opportunità di creare una nuova legislazione che avrebbe soddisfatto i criteri costituzionali. La Knesset ha quindi approvato una legge che deve essere ancora rivista dalla Corte Suprema, ma che è già in vigore e che permette al ministero degli Interni di revocare la residenza di una persona dopo essersi consultato con un comitato creato dal ministero.

Ci sono ulteriori strade che consentono a Israele di revocare la residenza ai palestinesi di Gerusalemme est. Nel 1988 una commissione di giudici della Corte Suprema, presieduta da Aharon Barak, confermò la revoca della residenza di Mubarak Awad, un accademico e fondatore del Centro Palestinese per lo Studio della Nonviolenza, sulla base del fatto che aveva spostato il “centro della sua vita” lontano da Gerusalemme. Sulla scia di questa sentenza seguirono molte centinaia di casi simili.

Cosa costituisce “terrorismo” o altri reati che potrebbero essere motivo di revoca? 

Sia la Legge sulla Cittadinanza che la Legge sull’ingresso in Israele contengono tipologie di reati che costituiscono una “violazione della lealtà,” e una condanna per queste tipologie offre al ministero degli Interni la possibilità di approvare la revoca di cittadinanza o residenza. La prima è commettere un “atto di terrorismo,” come definito dalla Legge sul Controterrorismo del 2016; istigare o aiutare un tale atto; avere un ruolo attivo in un’organizzazione “terroristica” o in una organizzazione definita “terroristica”. La seconda categoria si riferisce ad atti che costituiscano “tradimento” o “spionaggio grave” ai sensi del codice penale. In casi di revoca della cittadinanza c’è anche una terza categoria: acquisire la cittadinanza di uno “Stato nemico” (la lista degli “Stati nemici” è la stessa usata per proibire la riunificazione familiare per i palestinesi).

L’uso frequente del termine “terrorista” nel contesto israeliano, sia nella revoca di cittadinanza e residenza che nel contesto di misure punitive aggiuntive contro i palestinesi, richiede ulteriori spiegazioni di come la legge israeliana definisca un “atto di terrorismo.” Non c’è una lista precisa di reati che sono definiti come inclusi nell’ambito della Legge sul controterrorismo, ma piuttosto una sorta di filtro che etichetta certi reati come “terrorismo” se soddisfano una combinazione di criteri: avere un motivo e commettere o minacciare di commettere un atto. Secondo questi criteri molto ampi un atto come lanciare pietre a una manifestazione può essere considerato “terrorismo.”

Considerare “atto terroristico” un reato, espone le persone accusate a trattamenti più severi nel processo giudiziario e nella pena e può anche essere applicato retroattivamente a precedenti condanne penali. Dopo l’emanazione della Legge sul controterrorismo Adalah [ong israeliana che difende i diritti dei palestinesi con cittadinanza israeliana, ndt.] ha messo in guardia che la definizione di “atto di terrorismo” previsto dalla legge era troppo ampia e vaga. Il documento sostiene che in base a questa definizione la Legge sul controterrorismo potrebbe includere atti commessi da palestinesi durante proteste politiche legittime, contro l’occupazione, la discriminazione, il razzismo, lo spossessamento e l’oppressione che affrontano.

Ci sono parecchi segnali che questa definizione è stata ideata per applicare sanzioni discriminatorie contro i palestinesi. Per esempio dati ufficiali del pubblico ministero relativi agli eventi del maggio 2021 confermano che la proporzione di imputati palestinesi accusati di aver commesso un “atto di terrorismo” era significativamente più elevata di quella degli imputati ebrei in circostanze simili.

Inoltre la clausola di revoca nella Legge sulla Cittadinanza chiaramente prende di mira i palestinesi. Come parte del procedimento nel caso di Zayoud il ministero dell’interno aveva passato dati alla Corte Suprema che mostravano che, dei 31 casi in cui lo Stato aveva preso in considerazione la revoca della cittadinanza, nessuno di essi riguardava un cittadino ebreo. Nonostante ciò, il presidente della Corte Suprema, Esther Hayut, dichiarò nella sentenza che, dato che solo tre richieste di revoca della cittadinanza erano state sottoposte dal ministero degli Interni all’approvazione della corte, non c’erano motivi sufficienti per provare la discriminazione.

Come la nuova legge cambia l’attuale quadro giuridico?

La legge approvata la scorsa settimana aggiungerà un ulteriore meccanismo per la revoca della cittadinanza e della residenza oltre a consentire l’espulsione in Cisgiordania o a Gaza. Con il nuovo meccanismo le persone che potranno essere soggette alla revoca includeranno individui condannati e incarcerati per aver commesso un atto di “terrorismo” o un atto di “tradimento,” e, ove sia “comprovato in modo soddisfacente per il ministero dell’Interno”, quanti vengano accusati di aver ricevuto fondi dall’Autorità Palestinese “per violare la lealtà [allo Stato di Israele, ndt.]”.

La legge include anche il presupopsto che chiunque riceva pagamenti dall’ANP non sia da considerare apolide perché avrebbe uno status nell’ANP. Questo è un chiaro tentativo di aggirare gli obblighi imposti dalla Corte Suprema sul ministero degli Interni nella sentenza Zayoud per assicurare che la persona la cui cittadinanza sia revocata mantenga uno status permanente in modo da non renderla apolide.

La legge inoltre non prevederà l’approvazione del procuratore generale, ma piuttosto quella del ministero della Giustizia e richiederà che la corte risponda entro 30 giorni alla richiesta del ministero dell’Interno per la revoca, a meno che la corte sia convinta che la richiesta sia ingiustificata. Nei casi in cui la residenza permanente sia revocata, l’individuo avrà solo sette giorni di tempo per opporsi alla condanna. Secondo la legge coloro che hanno seguito la procedura descritta saranno deportati quando la loro condanna al carcere sarà scontata.

Perché questa legge è razzista?

Questi reati di “violazione della lealtà” sono basati sulla definizione di un “atto di terrorismo” che in se stesso è un modo di prendere di mira in modo differenziato i palestinesi. Le condizioni che devono essere soddisfatte per dare come risultato l’espulsione sono dirette in modo evidente contro i palestinesi in virtù del requisito che abbiano ricevuto fondi specificatamente dall’AP.

I sostenitori della legge hanno dichiarato che essa intende impedire ai palestinesi condannati di un atto di terrorismo o ai membri delle loro famiglie di essere “ricompensati” per il loro atto. Tuttavia, ai sensi della legge esistente, il ministero della Difesa ha già la possibilità, che è frequentemente utilizzata, di confiscare tali fondi trasferiti dall’ANP, quindi è difficile non concludere che le disposizioni di questa legge vogliono ottenere uno scopo diverso.

Solo recentemente un’inchiesta ha rivelato la rete di raccolta fondi di un’organizzazione israeliana che sostiene finanziariamente gli assassini dell’ex primo ministro Yitzhak Rabin, della famiglia Dawabshe, di Shira Banki e altri ebrei condannati per crimini nazionalisti (l’organizzazione, inizialmente registrata con il nome Hanamel Dorfman, attuale capo del personale del ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben Gvir,). Questi prigionieri ebrei-israeliani e altri come loro non saranno colpiti dalle condanne imposte dalla nuova legge.

Distinzioni razziste di questo tipo sono già state sostenute in una sentenza del giudice Noam Sohlberg in risposta a un ricorso riguardante la demolizione della casa di cinque palestinesi. Sohlberg ha respinto le affermazioni secondo cui sarebbe stata applicata una politica discriminatoria e ha sostenuto che le ragioni per cui le case degli ebrei che hanno ucciso palestinesi non sarebbero state distrutte “è perché nel settore ebraico non c’è la stessa necessità di deterrenza generale che è la base delle demolizioni delle case.” Circa le uccisioni della famiglia Dawabshe e di Muhammed Abu Khdeir il giudice ha sostenuto che quando esse sono avvenute c’è stata una “potente e decisiva condanna da parte degli ebrei che non c’è dalla parte opposta (palestinese).”

Nelle prime discussioni dei comitati della Knesset lo scopo della legge appena approvata è stato apertamente dichiarato. Per esempio, il parlamentare del Likud Hanoch Milwidsky ha detto: “Non penso di dovermi giustificare sul fatto di essere nello Stato degli ebrei che preferiscono gli ebrei” e ha ulteriormente chiarito cosa intendesse dire nella risposta ad Ahmad Tibi, parlamentare di Ta’al [“Movimento arabo per il rinnovamento”, uno dei componenti della Lista Unita, ndtr.]: “Io preferisco i killer ebrei ai killer arabi.”

Durante la stessa discussione, Limor Son Har-Melech, parlamentare di Otzma Yehudit [Potere Ebraico, partito di estrema destra, N.d.T.] che era fra i promotori della legge, ha criticato persino l’idea che ricevere denaro dall’ANP sarebbe una condizione per l’espulsione. Secondo lei la cittadinanza dovrebbe essere revocata “a ogni terrorista che uccide un ebreo perché è un ebreo,” aggiungendo che la condanna appropriata per un tale delitto dovrebbe essere la condanna a morte.

L’accordo di coalizione di Otzma Yehudit con il Likud include una legge per la pena di morte ai “terroristi,” anch’essa intesa a colpire esclusivamente i palestinesi: l’accordo chiarisce che sarà applicata solo agli “atti di terrorismo mirati a danneggiare lo Stato di Israele come Stato del popolo ebraico.”

Conclusioni

La nuova legge dovrebbe essere vista come nient’altro che parte di un processo in corso per rafforzare sistemi legali separati per ebrei e palestinesi sotto il controllo israeliano. Questa tendenza è stata ulteriormente evidenziata dai principi guida dell’attuale governo e dall’accordo di coalizione firmato in occasione del suo insediamento, che include una lunga lista di misure aggiuntive per espandere ulteriormente sistemi separati di applicazione delle leggi ed esecuzione delle pene.

In uno studio pubblicato da Adalah che analizza i documenti fondanti della coalizione è chiaro che questi documenti vedono la supremazia ebraica e la separazione razziale come principi fondamentali del regime israeliano. Queste caratteristiche dell’apartheid sono chiaramene visibili nella nuova legge sulla revoca [della cittadinanza o della residenza, ndt.].

Uno degli iniziatori della legge, Yinon Azoulai, parlamentare di Shas [partito politico di ebrei ortodossi ashkenaziti, ndt.] spiegando il suo scopo ha detto alla Knesset: “Che tutti quelli che si ribellano contro di noi capiscano questo: in questo Stato noi, gli ebrei, siamo i signori della terra.” E, come ha detto il primo ministro Benjamin Netanyahu all’inizio di un incontro governativo la scorsa settimana, la nuova legge serve “ad affondare più profondamente le nostre radici nella nostra terra.” Ma è importante ricordare che il sostegno a questa legge, come a molte altre leggi razziste, in Israele arriva da ogni fazione sionista della Knesset, sia dalla coalizione di governo che dall’opposizione.

Adalah – Il centro legale per i diritti della minoranza araba in Israele è un’organizzazione indipendente per i diritti umani e un centro legale. Adalah lavora nei tribunali israeliani e presso gli organi decisionali internazionali per promuovere e difendere i diritti umani di tutti i palestinesi sottoposti alla giurisdizione dello Stato di Israele.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




La Palestina accoglie positivamente il supporto dell’Unione Africana ai diritti palestinesi

Redazione di MEMO

21 febbraio 2023 – Middle East Monitor

Il ministero palestinese degli affairi esteri e dei cittadini residenti all’estero ha accolto positivamente le decisioni che sono state prese nella dichiarazione finale della trentaseiesima sessione del vertice dell’Unione Africana (UA), tenutosi nella capitale etiope Addis Abeba, e in particolare il paragrafo relativo alla questione palestinese.

Il ministero ha ringraziato la UA e le Nazioni africane che hanno sostenuto la Palestina e hanno rifiutato la richiesta dello Stato di Israele di avere lo Stato di osservatore nell’organizzazione.

Nella sua dichiarazione di chiusura, l’UA ha confermato il pieno supporto delle Nazioni africane al popolo palestinese, guidato dal presidente Mahmoud Abbas, nella sua legittima lotta contro l’occupazione israeliana al fine di ristabilire i propri diritti inalienabili, incluso il diritto di autodeterminazione, il ritorno dei profughi e la costituzione di uno Stato indipendente e sovrano sui confini del 4 giugno 1967 con Gerusalemme Est come capitale.

I leader africani hanno anche rinnovato la loro richiesta di avviare un credibile processo politico per porre fine all’occupazione israeliana e per smantellare il suo regime di apartheid al fine di ottenere una pace giusta, complessiva e duratura in Medioriente per supportare gli sforzi dello Stato di Palestina per ottenere lo status di membro a pieno titolo delle Nazioni Unite e perché lo Stato di Israele venga ritenuto responsabile per i suoi crimini contro il popolo palestinese.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




È iniziata la guerra di Ben-Gvir a Gerusalemme

MARIAM BARGHOUTI e YUMNA PATEL

18 febbraio 2023 Mondoweiss   

Gli eventi degli ultimi giorni a Gerusalemme dimostrano che la guerra dichiarata da Ben Gvir a Gerusalemme Est [sezione palestinese della città, ndt.] è già iniziata, con le autorità israeliane che inaspriscono il controllo sui palestinesi in tutta la città.

La scorsa settimana tre israeliani sono stati uccisi quando un palestinese di Gerusalemme est ha diretto la sua auto contro una fermata dell’autobus nell’insediamento illegale di Ramot Alon.

L’irruzione in auto a Gerusalemme è stata l’ultima di una serie di attacchi di “lupi solitari” da parte di palestinesi nella città occupata, inclusa una sparatoria nell’insediamento di Neve Yaacov che ha ucciso sette israeliani il 27 gennaio, il giorno dopo che le forze israeliane avevano sparato e ucciso 9 palestinesi nel campo profughi di Jenin.

Dopo ogni incidente la risposta del governo israeliano è stata quasi identica: immediati appelli alla punizione collettiva della famiglia del palestinese autore dell’attacco, con arresti di massa e demolizioni punitive di case. Il governo ha anche chiesto l’espulsione delle famiglie dei palestinesi accusati di aver compiuto attacchi contro israeliani e l’allentamento delle norme sulle armi per rendere più facile portare armi agli israeliani.

In seguito all’irruzione di Ramot Alon, l’ultranazionalista israeliano e parlamentare di estrema destra Itamar Ben-Gvir ha chiesto alla polizia israeliana, sulla quale ha il controllo in qualità di Ministro della Sicurezza nazionale, di “riportare l’ordine a Gerusalemme est.”

La repressione proposta da Ben-Gvir a Gerusalemme Est include la richiesta di chiudere interi quartieri, erigere posti di blocco volanti, istituire blocchi e perquisizioni per tutti i palestinesi che entrano ed escono da determinati quartieri e accelerare la demolizione di case a Gerusalemme Est.

Sebbene si sia parlato di dissidi tra Ben-Gvir e il capo della polizia israeliana Kobi Shabtai su quando e come la polizia dovrebbe agire in base ai radicali ordini di Ben-Gvir, gli eventi degli ultimi giorni a Gerusalemme hanno segnalato che, indipendentemente dal fatto se ci sia o meno un accordo a livello governativo, la guerra dichiarata da Ben-Gvir a Gerusalemme est è già in corso.

È documentato che nei quartieri cittadini la polizia israeliana e le forze di polizia di frontiera molestano e attaccano i palestinesi senza essere provocati. Sono stati documentati diversi casi di minori fermati e perquisiti mentre andavano a scuola, passanti e negozianti palestinesi attaccati da agenti di polizia e, in un caso, un palestinese a cui le forze israeliane hanno sparato arbitrariamente e indiscriminatamente mentre guidava.

Nel frattempo le forze israeliane hanno intensificato la demolizione di case palestinesi a Gerusalemme est, con il pretesto che sono prive dei permessi di costruzione rilasciati da Israele.

Persecuzione e aggressioni ai civili

Negli ultimi giorni sono apparsi numerosi rapporti che documentano le punizioni e le vessazioni collettive sulla popolazione palestinese a Gerusalemme est.

Molti degli incidenti sono avvenuti dentro e intorno all’area di Shu’fat, dopo che nel campo profughi di Shu’fat le forze israeliane hanno sparato e ferito un adolescente palestinese che avrebbe tentato di accoltellare un soldato al posto di blocco fuori dal campo. Durante il presunto tentativo di accoltellamento un ufficiale della polizia di frontiera israeliana ha sparato e ucciso un collega.

Nei giorni e ore successive all’uccisione del soldato ad opera del collega, le forze israeliane hanno imposto la chiusura totale del posto di blocco, effettuato arresti e perquisizioni casuali dei residenti e hanno fatto irruzione nel campo profughi vessando e aggredendo i palestinesi nell’area.

In un video che è diventato virale sui social media, un ragazzo palestinese viene picchiato dalla polizia di frontiera israeliana a un posto di blocco fuori dal posto di blocco militare di Shu’fat dopo che gli agenti gli avevano ordinato di spogliarsi durante una perquisizione casuale.

In altri casi documentati sui social media si vedono le forze di polizia di frontiera israeliane aggredire una donna che passa nel campo profughi di Shu’fat, aggredire minori e impedire loro di attraversare un posto di blocco militare per recarsi a scuola, e fermare e perquisire bambini e i loro zaini nella Città Vecchia di Gerusalemme Est.

In un altro caso, un palestinese è stato ferito da proiettili veri quando agenti israeliani hanno crivellato la sua auto di proiettili affermando che aveva tentato di speronarli con il suo veicolo. I media palestinesi e i testimoni oculari hanno riferito che l’uomo stava semplicemente attraversando un’area in cui i soldati stavano conducendo un raid e che gli hanno sparato senza motivo.

L’anno scorso, prima di assumere l’incarico di ministro, Ben-Gvir aveva chiesto di allentare le regole di ingaggio contro coloro che “odiano Israele”.

Aumentano le demolizioni di case e le famiglie dei detenuti sono prese di mira

Venerdì 17 febbraio sei proprietari di case palestinesi sono stati informati dei piani del comune di Gerusalemme di distruggere le loro case nel quartiere di Issawiya a Gerusalemme Est, dove risiedeva Hussein Qaraqe, il palestinese che ha effettuato l’attacco con l’auto a Ramot Alon. 

Secondo Wafa News Agency, gli edifici non erano di nuova costruzione, alcuni hanno 25 anni. All’inizio della settimana un altro palestinese di Issawiya è stato costretto a demolire un ampliamento di due stanze della sua casa, e altre due case sono state demolite nel quartiere di Jabal al-Mukaber.

Al Jazeera ha riferito che dall’inizio dell’anno le forze israeliane hanno demolito almeno 47 strutture palestinesi a Gerusalemme Est e che al 7 febbraio almeno 60 palestinesi sono rimasti senza casa a causa delle demolizioni.

Secondo l’analisi di Mondoweiss sui dati OCHA delle demolizioni, tra il 2018 e il 2021 c’è stato un aumento del 156% delle espulsioni di palestinesi dalle loro case in Cisgiordania e a Gerusalemme. Nello stesso periodo, c’è stato un aumento del 99% delle espulsioni dei palestinesi dalle loro case nella sola Gerusalemme Est.

In aggiunta, giovedì a Gerusalemme le forze israeliane hanno saccheggiato le case di detenuti ed ex detenuti palestinesi, sequestrando alle famiglie denaro, oro e beni personali di valore.

Le forze israeliane hanno in passato preso di mira ex detenuti a Gerusalemme, dove le forze armate hanno fatto irruzione nelle case e preso con la forza tutto il denaro trovato. La casa della famiglia di Ahmad Manasra, processato come un adulto all’età di 13 anni, era una di quelle case.

Secondo Amjad Abu Asab, capo del Comitato per le famiglie dei prigionieri a Gerusalemme, prendere di mira i detenuti palestinesi e le loro famiglie serve a cacciare i palestinesi da Gerusalemme, come la demolizione delle case. “L’occupazione mira a compiacere i coloni e l’estrema destra razzista premendo per ulteriori politiche discriminatorie contro i detenuti”, ha detto Abu Asab in un’intervista ad Al-Qastal.

“Una nuova Nakba”

“Il governo israeliano fascista di destra sta lanciando un attacco senza precedenti contro il nostro popolo a Gerusalemme”, ha dichiarato giovedì 17 febbraio Qadura Faris, direttore dell’Associazione dei Prigionieri Palestinesi.

In un’escalation di campagne di perquisizioni e arresti, le forze israeliane continuano a detenere in massa palestinesi in Cisgiordania e a Gerusalemme. Il più alto tasso di arresti si concentra a Gerusalemme.

Secondo il dipartimento di monitoraggio dell’Associazione dei Prigionieri Palestinesi, a gennaio più di 255 palestinesi sono stati arrestati a Gerusalemme, facendo di Gerusalemme il luogo con il tasso più alto di arresti di palestinesi per mano delle autorità israeliane.

Nelle ultime settimane, le autorità israeliane hanno sequestrato il denaro fornito dall’Autorità Nazionale Palestinese alle famiglie dei detenuti politici palestinesi a Gerusalemme, che considerano pagamento da “entità ostili”.

L’ANP è incaricata della fornitura di stipendi e sostegno monetario ai detenuti palestinesi e alle loro famiglie in caso di detenzione da parte di Israele. Ciò è in gran parte dovuto alla considerazione che molti dei detenuti sono spesso il principale sostegno delle loro famiglie.

“Quello che sta accadendo nel prendere di mira le famiglie dei prigionieri e gli ex detenuti politici”, ha detto Faris, “è una nuova Nakba, che l’occupazione sta sviluppando con l’uso di nuovi mezzi tecnologici”.

Questo concentrarsi su Gerusalemme fa molto aumentare le preoccupazioni palestinesi che Gerusalemme venga espropriata alla comunità palestinese.

Dal 2021, i responsabili politici e il personale militare israeliani chiedono la revoca della residenza a Gerusalemme ai palestinesi come misura punitiva contro coloro che hanno partecipato alle proteste della Rivolta dell’Unità nel 2021 [contro lo sgombero di residenti palestinesi a Sheikh Jarrah, quartiere di Gerusalemme Est, ndt.].

Nel 2018 questo potere è stato affidato al Ministro degli Interni ad interim, che ha il potere di revocare la residenza permanente dei gerosolimitani, una politica che è stata applicata solo contro i palestinesi.

Proteste israeliane contro il governo mentre aumentano gli insediamenti

Il 13 febbraio decine di migliaia di ebrei israeliani si sono riuniti a Gerusalemme per protestare contro le nuove misure del Parlamento che cercano di indebolire la Corte Suprema israeliana, consolidando ulteriormente il potere delle forze armate israeliane.

Ciò è avvenuto il giorno dopo che il nuovo governo israeliano ha approvato e legalizzato nove avamposti in Cisgiordania. “È ora che il mondo punisca Israele per aver sfidato le risoluzioni delle Nazioni Unite e le politiche americane ed europee che chiedono di fermare gli insediamenti”, ha detto in una dichiarazione il primo ministro palestinese Mohammad Shtayyeh.

L’anno scorso l’esercito israeliano ha dotato gli avamposti e le colonie israeliane in Cisgiordania di tecnologia e supporto.

Questa ribellione contro il diritto internazionale e la legittimità internazionale deve essere perseguita con gravi ripercussioni”, ha proseguito Shtayyeh, chiedendo il boicottaggio di Israele “in quanto Stato al di fuori della legalità”.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)