La visita di Herzog negli Stati Uniti nasconde i crimini israeliani, ma emergono motivi di speranza.

Majdi Khaldi

29 luglio 2023 – Middle East Eye

Il discorso del presidente israeliano al Congresso è stato un mero esercizio di pubbliche relazioni mentre l’appoggio statunitense ai diritti dei palestinesi sembrerebbe il più alto da sempre.

Proprio mentre il governo israeliano promuove un numero senza precedenti di unità abitative nelle colonie e adotta decine di leggi discriminatorie, i politici occidentali continuano a lodare i valori “democratici” e “liberali” di Israele.

È come se si affannassero a trovare ogni scusa per proteggere Israele qualunque cosa faccia.

Questo atteggiamento è stato il presupposto del recente discorso del presidente israeliano Isaac Herzog al Congresso USA, in cui ancora una volta il messaggio di impunità per le violazioni e i crimini israeliani è stato sostenuto oltre ogni considerazione per le leggi internazionali, i diritti umani o persino gli stessi principi del Processo di Pace per il Medio Oriente sponsorizzato a suo tempo dagli USA.

Il discorso di Herzog ha difeso adeguatamente gli interessi del primo ministro Benjamin Netanyahu. Ha glorificato un Israele mitico come faro di democrazia e uguaglianza, come se decine di leggi israeliane che negano ai palestinesi i loro diritti non esistessero, mentre gli ebrei israeliani godono dei pieni diritti dello Stato. Sono in vigore più di 70 leggi discriminatorie contro i palestinesi che secondo diverse organizzazioni per i diritti umani come Amnesty International, Human Rights Watch e persino l’israeliana B’Tselem configurano il crimine di apartheid.

Tra gli esempi ci sono la legge dello Stato-Nazione del popolo ebraico, secondo cui l’autodeterminazione è riservata solo agli ebrei la legge del Ritorno, che consente solo agli ebrei di entrare e ottenere la cittadinanza dello Stato; la legge sulla Proprietà degli Assenti, che codifica il furto di proprietà dei rifugiati palestinesi da parte dello Stato; infine il divieto di riunificazione delle famiglie palestinesi, che nega alle famiglie palestinesi cristiane e musulmane di Gerusalemme o di Israele il diritto di vivere insieme se un coniuge ha la carta d’identità palestinese.

Nessun interesse per la pace

Herzog non ha parlato della soluzione a due Stati, ma dei “vicini palestinesi” di Israele come se non fossero sottoposti all’occupazione israeliana, giocando il classico gioco di incolpare gli altri. Ciò che Herzog ha anche dimenticato di citare è che i “vicini” includono più del 50% della popolazione dei territori controllati da Israele, che consegna alla sua minoranza demografica pieni diritti negando nel contempo i diritti civili e umani al popolo palestinese.

Inoltre non ha menzionato il fatto che il territorio occupato nel 1967, compresa Gerusalemme est, in base al diritto internazionale è della Palestina. È semplicemente vergognoso, anche per centinaia di migliaia di cittadini palestinesi-americani, che i politici statunitensi abbiano ospitato al Congresso la negazione della Nakba e l’occultamento dell’occupazione da parte di Herzog.
Si è trattato di un puro esercizio di pubbliche relazioni piuttosto che di un tentativo di fare la pace. Al massimo è stato un tentativo personale da parte del presidente israeliano di presentare le sue credenziali a Washington in un momento in cui i rapporti tra l’amministrazione Biden e Netanyahu sembrano essere tesi.

Tuttavia i loro problemi non riguardano il popolo palestinese, la cui negazione dei diritti a Washington sembra essere stata normalizzata, ma piuttosto le dispute interne a Israele riguardo alle riforme giudiziarie di Netanyahu.

In effetti lo stesso Congresso USA che sostiene le politiche israeliane contro il popolo palestinese non molto tempo fa appoggiava l’apartheid in Sud Africa. La vasta maggioranza delle iniziative prese dall’amministrazione Trump a sostegno all’annessione israeliana e alla negazione dei diritti dei palestinesi non è stata revocata dall’attuale governo, mentre il Congresso considera ancora l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina un gruppo terroristico proprio come fece con l’African National Congress [il partito di Mandela, ndt.]. Herzog rappresenta la tradizionale diplomazia israeliana che nasconde crimini di guerra con un sorriso e una stretta di mano. La sua descrizione del governo israeliano è stata raffinata e fatta su misura per un pubblico di persone già desiderose di concedergli il podio. Ovviamente non ha citato i sionisti religiosi radicali del suo governo perché sono una pubblicità negativa. Nel contempo sono stati attuati sul terreno i disastrosi progetti del colono di estrema destra e ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, che chiaramente invocano una seconda Nakba [la pulizia etnica di cui furono vittime i palestinesi nel 1947-49, ndt.] senza uno Stato palestinese, con l’espulsione forzata e l’apartheid.

Ragioni di Speranza

Ma ci sono ancora ragioni di ottimismo. Il boicottaggio che alcuni membri del Congresso hanno messo in atto contro il discorso del presidente israeliano è più significativo di quanto alcuni credono, in quanto rappresenta la crescente percentuale di americani che appoggiano i diritti dei palestinesi.

Nella comunità statunitense per i diritti umani c’è un crescente riconoscimento dell’apartheid israeliana e più comunità religiose ed altre organizzazioni della società civile stanno chiedendo di prendere misure concrete contro l’occupazione israeliana, anche attraverso il boicottaggio e il disinvestimento.

Quanti sostengono l’impunità di Israele sembrano essere sovrarappresentati rispetto all’opinione pubblica USA. Questi segnali potrebbero essere un punto di svolta nella lotta per la libertà, la giustizia, l’uguaglianza e la pace. Il popolo palestinese e i suoi alleati continueranno la lotta, ovunque siano, per la libertà e rinnovano appelli agli USA e ai Paesi europei perché prendano misure di responsabilizzazione per mettere in pratica, con molto ritardo, i diritti inalienabili del popolo palestinese. Ciò dovrebbe includere azioni contro il terrorismo dei coloni. Inoltre è adesso chiaro che il riconoscimento dello Stato di Palestina è un passo urgente che gli USA e l’UE dovrebbero prendere per confermare il loro sostegno a una soluzione politica piuttosto che rimanere in silenzio riguardo alle azioni di un governo di coloni e altri estremisti che dettano i termini dell’impegno.

I tentativi di sdoganare le politiche israeliane non faranno sparire il popolo palestinese. Nel momento in cui il governo israeliano sta mettendo in atto iniziative intese a consolidare l’annessione di tutta la Palestina storica, la risposta di quanti hanno a cuore la pace fondata su un ordine mondiale basato sulle leggi dovrebbe essere di prendere iniziative per la libertà dei palestinesi piuttosto che rafforzare l’occupazione israeliana.

Il discorso di Herzog al Congresso rappresenta la perpetuazione dello status quo, in cui i diritti dei palestinesi sono negati. Ma lo spostamento dell’opinione pubblica statunitense a favore dei palestinesi e i parlamentari che hanno boicottato la sessione con il presidente [israeliano] sono una fonte di speranza lungo il cammino per raggiungere la libertà e l’indipendenza dei palestinesi.

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

L’ambasciatore Majdi Khaldi è membro del Consiglio Nazionale Palestinese e consigliere diplomatico esperto del presidente palestinese Mahmoud Abbas.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Rapporto OCHA del periodo 5 – 24 luglio 2023

1). Un palestinese ha ucciso un soldato israeliano ed ha ferito una guardia di sicurezza di un insediamento colonico israeliano; successivamente è stato ucciso in uno scontro a fuoco (seguono dettagli).

Il 6 luglio, un palestinese ha sparato, uccidendo un soldato israeliano; è quindi fuggito, ma è stato ucciso in un successivo scontro a fuoco con le forze israeliane. L’episodio è avvenuto vicino all’incrocio di Jit, prossimo all’insediamento israeliano di Kedumim (Qalqilya), quando forze israeliane hanno fermato e perquisito un veicolo palestinese. Nello stesso episodio è rimasta ferita una guardia di sicurezza israeliana. Più tardi, lo stesso giorno, forze israeliane hanno fatto irruzione a Qibya (Ramallah), da dove proveniva l’autore dell’aggressione, ed hanno fatto un sopralluogo nella sua casa di famiglia; secondo quanto riferito, in preparazione della sua demolizione punitiva. Durante il sopralluogo, le forze israeliane hanno sparato proiettili veri e lacrimogeni contro palestinesi residenti che lanciavano pietre. Tre palestinesi, tra cui due minori, sono stati feriti con proiettili veri e altri 20 hanno ricevuto cure mediche per aver inalato gas lacrimogeni. Altri tre palestinesi sono stati arrestati. Secondo fonti israeliane un soldato israeliano è stato ferito da pietre.

2). Nella città di Nablus, nel corso di un’operazione che ha comportato scontri a fuoco, le forze israeliane hanno ucciso due palestinesi (seguono dettagli).

Il 7 luglio, forze israeliane hanno fatto irruzione nella Città Vecchia di Nablus, hanno circondato una casa ed hanno avuto uno scontro a fuoco con palestinesi all’interno della stessa. Due palestinesi sono stati uccisi. Secondo fonti israeliane, gli uomini erano sospettati di aver sparato a forze israeliane.

Altri 23 palestinesi sono rimasti feriti mentre lanciavano pietre contro forze israeliane; queste hanno sparato proiettili veri, proiettili di metallo rivestiti di gomma e lacrimogeni. Tre uomini sono stati arrestati. Secondo fonti mediche, durante l’operazione, le forze israeliane avrebbero ostacolato l’accesso delle squadre mediche.

3). Il 7 luglio, nel Campo profughi di Nur Shams (Tulkarm), un palestinese è morto per le ferite riportate dall’esplosione di un ordigno che stava preparando.

4). Durante due episodi registrati a Nablus e Ramallah, forze israeliane hanno ucciso due palestinesi e ne hanno ferito un altro (seguono dettagli).

Il 10 luglio, ad un checkpoint situato sulla strada 450 vicino al villaggio di Deir Nidham (Ramallah), forze israeliane hanno sparato, uccidendo un palestinese che, secondo la loro versione, aveva lanciato una granata e aveva sparato contro di loro. Non sono stati segnalati ferimenti di israeliani. Secondo fonti mediche, per circa quattro ore, le forze israeliane hanno impedito alle squadre mediche di raggiungere l’uomo ferito. Il corpo dell’uomo è stato trattenuto dalle autorità israeliane.

Il 21 luglio, nel villaggio di Sabastiya a nord-ovest di Nablus, un palestinese è stato ucciso e un altro è stato ferito e arrestato dalle forze israeliane. L’esercito israeliano ha riferito di un tentativo di speronamento con veicolo. Secondo testimoni oculari, le forze israeliane che pattugliavano la zona hanno aperto il fuoco contro il veicolo senza preavviso. Le Organizzazioni per i diritti umani hanno riferito di aver trovato nel veicolo più di 40 fori di proiettile. In seguito all’accaduto, residenti palestinesi hanno lanciato pietre contro le forze israeliane che hanno sparato lacrimogeni, costringendo 15 palestinesi a richiedere cure mediche per inalazione di gas lacrimogeno.

5). Nell’area di Ramallah, in due distinte manifestazioni contro l’espansione degli insediamenti colonici, forze israeliane hanno ucciso due palestinesi, tra cui un giovane di 16 anni, e ne hanno ferito altri due (seguono dettagli).

Il 7 luglio, nel villaggio di Umm Safa, durante una manifestazione contro la creazione di un nuovo insediamento israeliano, forze israeliane hanno sparato, uccidendo un palestinese e ferendone un altro. Secondo quanto riferito, i palestinesi hanno lanciato pietre contro le forze israeliane, che hanno sparato proiettili veri, proiettili di gomma e lacrimogeni. Secondo testimoni oculari, l’uomo ferito a morte, nel momento in cui è stato colpito, non partecipava alla manifestazione e non era coinvolto in scontri.

Il 21 luglio, durante una manifestazione tenuta a Umm Safa, palestinesi hanno lanciato pietre contro forze israeliane che hanno sparato proiettili veri, proiettili di gomma e lacrimogeni, uccidendo un palestinese di 16 anni e ferendone un altro con proiettili veri. La manifestazione si è tenuta per protestare contro la continua espansione degli insediamenti colonici israeliani e i continui attacchi di coloni contro il villaggio. Ciò ha portato a 29 il totale di minori palestinesi uccisi finora in Cisgiordania nel 2023, rispetto ai 15 nello stesso periodo del 2022.

6). Nella città di Nablus, durante un episodio legato a coloni, forze israeliane hanno ucciso un palestinese (seguono dettagli).

Il 20 luglio, nella città di Nablus, sono scoppiati scontri tra forze israeliane che accompagnavano coloni alla tomba di Giuseppe e palestinesi. I palestinesi hanno sparato proiettili veri e ordigni esplosivi; le forze israeliane hanno sparato proiettili veri, proiettili di gomma e lacrimogeni. Un palestinese è stato ucciso e altri 73 sono rimasti feriti: tre colpiti da proiettili veri e 65 curati per inalazione di gas lacrimogeno. Secondo fonti mediche, le forze israeliane hanno impedito alle équipe mediche di intervenire e trasferire in ospedale un ragazzo di 12 giorni che aveva inalato gas lacrimogeno. Inoltre il parabrezza di un’ambulanza è stato frantumato da proiettili di gomma.

7). In Cisgiordania, durante il periodo in esame, sono stati feriti da forze israeliane 352 palestinesi, tra cui almeno 56 minori, comprese 26 persone colpite da proiettili veri. La maggior parte dei feriti (120) è stata segnalata durante manifestazioni contro l’espansione degli insediamenti a Umm Safa (Ramallah) e le restrizioni di accesso legate agli insediamenti a Kafr Qaddum (Qalqilya).

Altri 121 feriti si sono avuti durante 19 operazioni di ricerca-arresto e altre operazioni condotte da forze israeliane in Cisgiordania. Ciò include un’operazione durante la quale le forze israeliane hanno fatto irruzione nel Campo profughi di Nur Shams (Tulkarem) nell’area A della Cisgiordania, causando, con i bulldozer, danni alle infrastrutture stradali, comprese le reti fognarie ed interrompendo servizi idrici, elettrici e fognari. Sei palestinesi sono rimasti feriti, di cui quattro colpiti da proiettili veri e due da schegge. Dopo questa operazione, sette minori sono rimasti feriti mentre, secondo quanto riferito, maneggiavano un ordigno esplosivo artigianale. Secondo fonti ufficiali israeliane, l’operazione è stata effettuata per “neutralizzare ordigni esplosivi e arrestare sospetti ricercati”.

In altri sette episodi, registrati principalmente intorno a Nablus e Ramallah, 87 palestinesi sono stati feriti da forze israeliane. Ciò ha fatto seguito allo sconfinamento di coloni israeliani, accompagnati da forze israeliane, in sette Comunità palestinesi: Urif e Nablus, Kafr Qaddum e Arab Al Khouli/Wadi Kana (entrambe a Qalqiliya), Kobar e Al Mazra’a al Qibliya (entrambe a Ramallah) e At Tuwani (Hebron); in tali circostanze sono stati segnalati episodi di lancio di pietre da parte di residenti palestinesi contro forze israeliane. In altri due casi, forze israeliane hanno sparato, ferendo due palestinesi, tra cui un minore, mentre cercavano di entrare in Israele attraverso varchi abusivi nella Barriera vicino a Tulkarm e Qalqilya.

I restanti 22 feriti palestinesi, di cui quattro con proiettili veri, si sono verificati durante scontri con lancio di pietre contro forze israeliane posizionate all’ingresso di Beita (Nablus). Complessivamente, 288 palestinesi sono stati curati per inalazione di gas lacrimogeno, 26 sono stati colpiti da proiettili veri, 29 sono stati feriti da proiettili di gomma, sei da schegge e tre sono stati aggrediti fisicamente.

8). In Cisgiordania sedici (16) palestinesi, compresi due minori, sono stati feriti da coloni israeliani, e persone conosciute come coloni, o ritenute tali, hanno danneggiato proprietà palestinesi in altri 44 casi. Ciò si aggiunge alle vittime palestinesi da parte di coloni e forze israeliane nei suddetti episodi relativi a coloni (seguono dettagli).

In due distinti episodi, accaduti il 7 e il 10 luglio, vicino agli ingressi di Beit Ummar (Hebron) e Huwwara (Nablus), due minori palestinesi sono stati investiti e feriti da coloni.

Il 12 luglio, quattro palestinesi sono stati aggrediti fisicamente da coloni nei pressi della Comunità di Ein al Beida, a est di Tubas.

Il 13 luglio, coloni accompagnati da forze israeliane hanno aggredito fisicamente pastori palestinesi nella Comunità araba di Al Kholi (Qalqiliya), provocando danni alla proprietà e feriti. Secondo la Comunità locale, le forze israeliane presenti sul posto, sono intervenute per proteggere i coloni. Quattro anziani palestinesi hanno richiesto cure mediche in ospedale, due dei quali in gravi condizioni. Le forze israeliane hanno sparato lacrimogeni ed hanno arrestato sei palestinesi.

Lo stesso giorno, nel sito di un nuovo avamposto di insediamento vicino al villaggio di Kobar (Ramallah), coloni hanno lanciato pietre, ferendo un palestinese. Successivamente, palestinesi hanno lanciato pietre contro coloni e contro forze israeliane che li scortavano sparando lacrimogeni. Secondo i media israeliani, durante l’episodio un colono è stato ferito da una pietra.

Il 15 luglio, ad At Tuwani (Hebron), coloni hanno lanciato pietre, ferendo un palestinese che pascolava il proprio bestiame. Secondo i media israeliani, i palestinesi avevano lanciato pietre contro i coloni, ferendone uno. Successivamente, forze israeliane hanno fatto irruzione nel villaggio effettuando un’operazione di ricerca e provocando il ferimento di un palestinese e l’arresto di tre attivisti per i diritti umani.

Il 17 luglio, vicino al villaggio di Husan (Betlemme), coloni, secondo quanto riferito provenienti dall’insediamento di Beitar Illit, hanno aggredito fisicamente una donna palestinese che lavorava la propria terra.

Il 22 luglio, nel villaggio di Al Mazra’a al Qibliya (Ramallah), secondo quanto riferito, coloni provenienti dall’avamposto dell’insediamento di Haresha hanno ferito due palestinesi. Un palestinese è stato ferito con proiettili di gomma sparati dalle forze israeliane intervenute. Secondo fonti della Comunità, durante il periodo di riferimento, più di 400 alberi e alberelli sono stati vandalizzati su terra palestinese prossima agli insediamenti israeliani, in otto casi registrati vicino ad Al Bowereh, Adh Dhahiriya, Khirbet Sarura e Umm ad Daraj (tutti a Hebron), Al Lubban Sharqiya e Sabastiya (entrambe a Nablus) e Al Mazra’a al Qibliya (Ramallah).

Altre proprietà palestinesi sono state danneggiate e il bestiame è stato ferito in 18 casi registrati a Ramallah, Nablus, Salfit, Hebron e Gerusalemme, o nelle vicinanze. I beni danneggiati comprendevano strutture residenziali e agricole, trattori, coltivazioni, tratti di reti idriche e pannelli solari. Nei restanti 18 casi segnalati in Cisgiordania, coloni israeliani hanno lanciato pietre, danneggiando 38 veicoli palestinesi.

9). In Cisgiordania, otto coloni israeliani, tra cui tre minori, sono stati feriti da palestinesi in sei diversi episodi (seguono dettagli).

Il 16 luglio, sulla strada 356 vicino all’insediamento di Tekoa (Betlemme), palestinesi armati hanno aperto il fuoco su veicoli israeliani. Tre israeliani sono rimasti feriti, compresi due minori. Successivamente, forze israeliane hanno condotto un’operazione di ricerca nella città di Betlemme, dove hanno ferito cinque palestinesi, di cui tre con proiettili veri, e hanno fatto irruzione in una moschea dove hanno arrestato due palestinesi, tra cui uno sospettato di aver compiuto l’attacco.

Oltre ai due israeliani feriti vicino a Kobar e At Tuwani (vedi sopra), il 12 luglio, durante una manifestazione contro gli insediamenti a Kobar (Ramallah), un ragazzo di 14 anni è stato ferito da pietre lanciate da palestinesi.

Il 10 e 20 luglio, nel villaggio di Deir Qaddis (Ramallah) e all’interno dell’insediamento di Ghilo (Gerusalemme est), due israeliani sono rimasti feriti in una aggressione con coltello da parte di palestinesi. In altri tre casi registrati il 7, 9 e 16 luglio, vicino a Ramallah e Nablus, secondo fonti israeliane, palestinesi hanno lanciato pietre contro veicoli israeliani provocando il ferimento di un israeliano e danni a tre veicoli.

10). Nella Città Vecchia di Gerusalemme, forze israeliane hanno sfollato dalla loro casa, con la forza, un’anziana coppia palestinese (seguono dettagli).

L’11 luglio, la famiglia Ghaith-Sub Laban è stata sfrattata dalla propria casa dopo che il loro contratto di locazione protetto era stato invalidato dai tribunali israeliani, consentendo il sequestro della loro proprietà da parte di un’organizzazione di coloni israeliani. A seguito del loro sfollamento, la loro casa è stata immediatamente consegnata a coloni israeliani. L’Ufficio delle Nazioni Unite dell’Alto Commissario per i Diritti Umani nei TPO ha affermato che le leggi israeliane utilizzate per sfrattare la famiglia sono intrinsecamente discriminatorie e violano gli obblighi di Israele in materia di diritti umani. Secondo le valutazioni dell’OCHA, circa 1.000 palestinesi sono a rischio di sgombero forzato a Gerusalemme est, principalmente a causa di procedimenti giudiziari avviati da gruppi di coloni.

11) Le autorità israeliane, adducendo la mancanza di permessi di costruzione rilasciati da Israele, che sono quasi impossibili da ottenere, hanno demolito, confiscato o costretto a demolire 54 strutture a Gerusalemme Est e nell’Area C della Cisgiordania, comprese 20 abitazioni. Di conseguenza, 66 palestinesi, tra cui 34 minori, sono stati sfollati e sono stati colpiti i mezzi di sussistenza di oltre 795 altri. Sedici (16) delle strutture interessate erano state fornite da donatori in risposta a precedenti demolizioni. Quindici (15) di queste 16 strutture sono state demolite in un’unica circostanza ad Al Muntar (Gerusalemme) e un’altra struttura è stata demolita a Beit Jala (Betlemme). L’ottanta per cento delle strutture colpite (43) si trovava in Area C. Le restanti undici strutture sono state demolite a Gerusalemme Est, comprese nove strutture residenziali, provocando lo sfollamento di cinque famiglie, comprendenti 24 persone, tra cui 12 minori. Otto delle undici strutture demolite a Gerusalemme est sono state demolite dai proprietari per evitare il pagamento di multe alle autorità israeliane. Inoltre, non conteggiate sopra, le autorità israeliane hanno demolito due strutture agricole nell’area C di Birin vicino a Bani Na’im (Hebron) presumibilmente per “violazione di un terreno demaniale”.

12). Otto famiglie sono state sfollate dal governatorato di Gerusalemme e dalle colline a Hebron Sud, in conseguenza della violenza dei coloni e della perdita dell’accesso ai pascoli (seguono dettagli).

Il 10 e 19 luglio 2023, sette famiglie composte da 36 persone, inclusi 20 minori e otto donne (tutti registrati come rifugiati) della Comunità beduina di Al Baqa’a nel Governatorato di Gerusalemme, e una famiglia palestinese composta da 13 persone, inclusi nove minori, della Comunità di pastori di Wedadie, nelle colline di Hebron Sud (a sud del villaggio di As Samu’a) hanno smantellato le proprie strutture residenziali e di sostentamento, hanno lasciato le proprie Comunità e si sono trasferiti in luoghi più sicuri. Secondo le famiglie, il trasferimento è conseguenza dell’aumento delle attività insediative, seguite alla creazione di nuovi avamposti di insediamento di pastori e agricoltori israeliani. Tra il 2022 e il 2023 circa 300 persone sono state sfollate da Ras al Tin, Wadi as Seeq, Ein Samiya, Lifjim e Al Baqa’a, in ragione della violenza dei coloni e della perdita dell’accesso ai pascoli.

13). Nella Striscia di Gaza, vicino alla recinzione perimetrale israeliana o al largo della costa, in almeno 20 casi, le forze israeliane hanno aperto il “fuoco di avvertimento”. Questi episodi hanno interrotto il lavoro di agricoltori e pescatori. Un pescatore è rimasto ferito, altri quattro sono stati arrestati e una barca è stata sequestrata.

14). Il 5 luglio 2023, per la prima volta dall’escalation dello scorso maggio, gruppi armati palestinesi di Gaza hanno lanciato contro Israele cinque razzi che sarebbero stati tutti intercettati. Le forze aeree israeliane hanno effettuato quattro attacchi aerei ed hanno lanciato otto missili; secondo quanto riferito, prendendo di mira postazioni appartenenti a gruppi armati a Gaza City e nel nord di Gaza. Non ci sono state segnalazioni di feriti da nessuna delle due parti, ma sono state danneggiate una casa a Sderot e due strutture civili a Gaza.

Ultimi sviluppi (dopo il periodo di riferimento)

Questa sezione si basa su informazioni iniziali provenienti da diverse fonti. Ulteriori dettagli confermati saranno forniti nel prossimo rapporto.

Il 25, 26 e 27 luglio, in tre diverse operazioni condotte a Nablus e Qalqiliya, forze israeliane hanno sparato, uccidendo cinque palestinesi, tra cui un minore. Durante una delle operazioni, sono stati segnalati scontri a fuoco tra palestinesi e forze israeliane.

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Note a piè di pagina

1 – Vengono conteggiati separatamente i palestinesi uccisi o feriti da persone che non fanno parte delle forze israeliane; ad esempio da civili israeliani o da razzi palestinesi malfunzionanti, così come quelli la cui causa immediata di morte o l’identità dell’autore rimangono controverse, poco chiare o sconosciute.

2 – Le vittime israeliane in questi rapporti includono persone che sono state ferite mentre correvano ai rifugi durante gli attacchi missilistici palestinesi. I cittadini stranieri uccisi in attacchi palestinesi e le persone la cui causa immediata di morte o l’identità dell’autore rimangono controverse, poco chiare o sconosciute, vengono conteggiate separatamente.

La protezione dei dati dei civili da parte di OCHA include episodi avvenuti al di fuori dei Territori Palestinesi Occupati (TPO) solo se hanno coinvolto residenti dei Territori Palestinesi Occupati come vittime o responsabili.

Questo rapporto riflette le informazioni disponibili al momento della pubblicazione. I dati più aggiornati e ulteriori analisi sono disponibili su ochaopt.org/data.

Versione originale

 

Associazione per la pace – Via S. Allende, 5 – 10098 Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it




Cisgiordania: le forze israeliane uccidono un palestinese nel campo profughi di Nablus

Secondo il ministero palestinese della Sanità Mohammad Abdel-Hakim Nada, di 23 anni, è stato colpito al petto.

Redazione di MEE

26 luglio 2023 – Middle East Eye

Mercoledì le forze israeliane hanno ucciso un uomo palestinese durante un’incursione militare in un campo profughi nella Cisgiordania occupata.

Secondo il ministero della Sanità palestinese Mohammad Abdel-Hakim Nada, di 23 anni, è stato colpito al petto dal fuoco israeliano e successivamente è morto in ospedale.

I media locali affermano che in tarda mattinata le truppe israeliane hanno fatto una incursione nel campo profughi di Al-Ain, a Nablus, per arrestare alcuni palestinesi.

Scontri armati sono scoppiati dopo che un’unità di soldati israeliani in borghese è stata scoperta nel campo.

Non è stato immediatamente chiaro se Nada è morto durante gli scontri o come testimone.

Durante l’incursione le forze israeliane hanno circondato una casa e chiesto ad uno dei suoi abitanti di arrendersi. Secondo quanto riferito da fonti palestinesi l’uomo dentro la casa è stato successivamente arrestato.

I militari israeliani hanno confermato che stavano facendo un’operazione nel campo ma non hanno fornito ulteriori dettagli.

La morte di Nada accade un giorno dopo che l’esercito israeliano ha ucciso tre palestinesi a Nablus, sostenendo che essi avevano aperto il fuoco sui soldati.

Almeno 201 palestinesi sono stati uccisi dal fuoco israeliano quest’anno, inclusi 34 minorenni – una media di quasi una vittima al giorno.

In totale 164 persone sono morte nella Cisgiordania e a Gerusalemme Est, rendendo il 2023 uno degli anni più insanguinati nei territori occupati palestinesi. Altre 36 persone sono state uccise nella Striscia di Gaza.

Nello stesso periodo i palestinesi hanno ucciso 25 israeliani, inclusi sei minorenni.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)

 

 

 




L’approvazione della riforma giudiziaria in Israele consolida la ‘supremazia ebraica’

La nuova legge approvata dalla Knesset renderà più facile al governo di estrema destra condurre politiche che danneggiano i palestinesi, affermano gli esperti.

Farah Najjar

24 luglio 2023 – Al Jazeera

I palestinesi dicono che la legge approvata dal parlamento israeliano che limita alcuni poteri della Corte Suprema renderà più facile per il governo israeliano condurre politiche funzionali al suo programma “di estrema destra”.

La legge è parte di un più ampio sforzo da parte del Primo Ministro Benjamin Netanyahu e dei suoi alleati di destra di riformare la magistratura ed impedisce alla Corte Suprema di mettere il veto a decisioni del governo con la motivazione che siano “irragionevoli”.

La legge “indebolisce ed elimina ogni forma di supervisione della Corte Suprema sulle decisioni del governo”, ha detto a Al Jazeera Ahmad Tibi, membro palestinese della Knesset o parlamento israeliano.

“In particolare quando sono decisioni che che riguardano nomine ufficiali e altre importanti decisioni”, dice Tibi.

Amjad Iraqi, caporedattore di +972 Magazine, dice che queste nomine determinano chi ricopre cariche di alto livello nella polizia, nell’esercito, nelle istituzioni finanziarie e altro.

Queste nomine incidono direttamente sui cittadini palestinesi di Israele, per esempio “quanti soldi percepiscono” e come i dipartimenti di polizia “seguono l’impostazione del governo di estrema destra”, dice Iraqi ad Al Jazeera da Haifa.

L’approvazione della legge lunedì annulla la possibilità per i palestinesi di contrastare queste nomine “per via giudiziaria e amministrativa”, dice, aggiungendo che i governi ora possono applicare le proprie politiche “molto più velocemente”.

La legge è passata lunedì con 64 voti contro 0, in quanto l’opposizione ha boicottato il voto ed è uscita furiosa dall’aula dopo un’accesa sessione parlamentare.

‘Implicazioni negative per i palestinesi’

La Corte Suprema “non è andata incontro ai palestinesi né ha emesso sentenze eque nei loro confronti ed ha agito a favore di coloni, omicidi, uccisioni e della stessa occupazione”, dice Tibi.

“Non vogliamo che il governo fascista acquisti il controllo completo sulla magistratura – anche se le decisioni della magistratura sono prevenute”, aggiunge. “Questo consentirà al governo ancor maggiore controllo su decisioni che avranno implicazioni molto negative per i palestinesi.”

La Corte Suprema è vista come l’ente che garantisce lo stato di diritto e dovrebbe avere un ruolo importante nel controllo del potere esecutivo nel Paese – che è ampiamente nelle mani del governo.

I piani del governo hanno innescato mesi di proteste di massa, che secondo Tibi probabilmente continueranno “per un po’”. Alla vigilia del voto i dimostranti hanno bloccato una strada che conduce al parlamento, mentre molte imprese, compresi centri commerciali, banche e distributori di benzina, lunedì hanno preso parte ad uno sciopero per opporsi alla legge.

Il quotidiano Haaretz ha riferito che la polizia ha utilizzato idranti nel tentativo di disperdere i dimostranti e ha descritto gli ultimi sviluppi come “una crisi senza precedenti”.

Migliaia di riservisti dell’esercito hanno dichiarato che non presteranno servizio se il governo di estrema destra di Netanyahu porterà avanti i suoi piani.

Il servizio militare è obbligatorio per la maggior parte degli israeliani, uomini e donne, sopra i 18 anni e molti volontari per il servizio di riservisti hanno già superato i 40 anni.

Nonostante questa “disubbidienza di massa”, l’estrema destra è ancora “ben ferma sulla sua strada”, dice Iraqi. “Le proteste non hanno fatto veramente breccia per fermare del tutto il governo…la coalizione dominante semplicemente non ne tiene conto.”

La Corte Suprema ‘al passo con Israele’

Tariq Kenney-Shawa, un ricercatore politico statunitense del gruppo di esperti di Al-Shabaka, ripropone le preoccupazioni di Tibi, dicendo che, invece di agire come “strumento di controllo ed equilibrio nei confronti delle correnti della destra più estrema di Israele”, la Corte Suprema “è servita solo ad avallarle ulteriormente.”

Nel 2021 la Corte Suprema ha confermato una controversa legge che definisce Israele come lo Stato-Nazione del popolo ebraico, respingendo le accuse secondo cui la legge discrimina le minoranze.

La legge, approvata nel 2018, declassa lo status della lingua palestinese e araba e considera l’espansione delle colonie illegali di soli ebrei nella Cisgiordania occupata come un valore nazionale.

La Corte Suprema ha anche consentito alle autorità israeliane di continuare a porre i palestinesi in detenzione amministrativa, una prassi consistente nel detenerli sulla base di prove segrete, senza accuse o processo.

Kenney-Shawa ha avvertito che la nuova legge potrebbe condurre ad una “accelerazione delle politiche” ulteriormente funzionali al programma di Israele e potrebbe “trasferire e sottoporre a pulizia etnica i palestinesi e consolidare ancor più la supremazia ebraica.”

Secondo Kenney-Shawa è anche per questo che molti palestinesi non hanno appoggiato il movimento di protesta, che lui sostiene essere finalizzato a “proteggere e mantenere il sistema esistente”.

Diana Buttu, analista ed ex consulente legale dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), dice che la Corte Suprema israeliana non è mai stata liberale e non è mai stata utile ai palestinesi “in alcun modo, in alcuna forma né sotto alcun aspetto”.

Di fatto è “sulla stessa linea di Israele e dell’occupazione”, dice Buttu a Al-Jazeera.

Il parlamento ha ratificato la legge perché la destra “vuole essere sicura che non vi sia mai una minaccia alla sua occupazione”, dice.

‘Solo l’inizio’

Buttu dice che il processo di riforma della magistratura è stato avviato da anni.

Un esempio ne sono le fattispecie di casi che possono essere portati davanti ai tribunali israeliani dai palestinesi. Questi sono stati “limitati” e “fortemente ridotti”, dice, intendendo che tali casi possono avvitarsi per anni ed anni attraverso il sistema giuridico.

Il Ministro israeliano della Sicurezza Nazionale, Itamar Ben-Gvir, che è a capo del partito di estrema destra Potere Ebraico, ha detto che l’approvazione della contestata legge è stato “solo l’inizio”.

“Ci sono molte altre leggi che dobbiamo approvare come parte della riforma giudiziaria”, avrebbe detto secondo quanto riferito da The Times of Israel.

Intanto Mouin Rabbani, analista di Medio Oriente e co-editore della rivista Jadaliyya, dice che la crisi riguardo alle riforme è anzitutto “una disputa interna tra la popolazione ebraica di Israele.”

La crisi potrebbe approfondirsi e portare ad una “crescente polarizzazione” all’interno della società israeliana e delle sue istituzioni, dice Rabbani ad Al-Jazeera.

Di fatto l’approvazione della nuova legge potrebbe favorire i palestinesi se il suo impatto comprendesse “l’indebolimento delle forze armate e dei servizi di sicurezza di Israele”, dice.

Gli avvertimenti dei riservisti che potrebbero non prestare servizio hanno suscitato timori che possa essere compromessa la capacità di reazione dell’esercito.

“Sono crepe pericolose”, ha scritto domenica il capo dell’esercito Tenente Generale Herzi Halevi in una lettera ai soldati. “Se non saremo un esercito forte e coeso, se i migliori non prestano servizio” nell’esercito israeliano, ha detto Halevi, “non saremo più in grado di esistere come Paese nella regione.”

 

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)

 




Insegnanti o terroristi? I parlamentari di estrema destra vogliono che lo Shin Bet controlli le scuole

Un disegno di legge che autorizza il servizio di sicurezza israeliano ad assumere e licenziare insegnanti, una politica condotta da tempo nelle scuole arabe, è così estremista che è contrario persino lo Shin Bet.

Gil Gertel

26 luglio 2023  –  +972 Magazine

In collaborazione con Local Call

 

La settimana scorsa la commissione per l’istruzione, la cultura e lo sport della Knesset ha discusso un disegno di legge che assegna allo Shin Bet, il servizio di sicurezza israeliano, poteri intrusivi nel sistema educativo del Paese. Se approvata, la legge autorizzerebbe lo Shin Bet a condurre un controllo dei precedenti di tutti gli insegnanti scolastici di nuova assunzione, rilevare le loro affermazioni nelle aule e sui social media, e persino licenziarli e revocare la loro abilitazione all’insegnamento.

Il disegno di legge, che unifica diverse versioni proposte dai membri di estrema destra della Knesset, è stato delineato come uno strumento atto a “proibire l’impiego di terroristi condannati”, creando l’impressione che la legge prenderebbe di mira solo un gruppo di persone molto specifico e pericoloso. Ma non è affatto così. Secondo il testo attuale, il divieto di assunzione non si riferisce solo a coloro che sarebbero coinvolti in “terrorismo”, ma anche a coloro che presumibilmente “sostengono” o “sarebbero collegati a” una “organizzazione terroristica”.

Cosa si intende per organizzazione terroristica? A dire il vero non lo sappiamo. In Israele il Ministro della Difesa ha l’autorità di dichiarare qualsiasi organizzazione come terroristica, con una procedura del tutto avvolta nella massima segretezza. Prendiamo, ad esempio, le sei organizzazioni palestinesi per i diritti umani che nel novembre 2021 sono state dichiarate fuori legge in quanto “organizzazioni terroristiche” dall’allora ministro della Difesa Benny Gantz nonostante non sia stata fornita alcuna prova attendibile.

Il termine è così generico che, secondo l’attuale ministro dell’Istruzione Yoav Kisch, le proteste di massa che hanno avuto luogo contro il governo nell’ultimo semestre equivalgono ad atti di “terrorismo”. Pertanto, secondo i termini del nuovo disegno di legge, un insegnante non ha nemmeno bisogno di partecipare alle proteste israeliane per essere colpevole di attività illecite: è sufficiente che esprima semplicemente simpatia per il movimento antigovernativo affinché lo Shin Bet lo ritenga un ” simpatizzante del terrorismo” e lo licenzi.

A partire da questa settimana i funzionari dello Shin Bet, della polizia, del ministero della Giustizia e delle Finanze hanno messo il comitato della Knesset di fronte alle numerose lacune giuridiche del disegno di legge e hanno chiesto delle revisioni. Tuttavia, i parlamentari ubriachi di potere sembravano determinati ad apportare dei semplici ritocchi e riportare la proposta sull’iter legislativo.

Né il Ministro dell’Istruzione né i dirigenti delle varie organizzazioni degli insegnanti erano presenti alla riunione della commissione della scorsa settimana, nonostante il fatto che la legge abbia a che fare in modo esplicito con le condizioni per l’assunzione e il licenziamento degli insegnanti. Neanche le organizzazioni di genitori e studenti hanno alzato la voce. Nessun membro ebreo dell’opposizione ha ritenuto opportuno uscire allo scoperto e difendere l’istruzione gratuita e il finanziamento statale in Israele. Solo i membri palestinesi della Knesset hanno trovato il tempo per venire a protestare contro la legge durante la riunione.

Il “segreto di Pulcinella” dello Shin Bet

Basti dire che l’idea che il governo dovrebbe avere il controllo sugli insegnanti attraverso l’apparato di sicurezza dello Stato ha un ampio sostegno alla Knesset. E non solo da parte di Netanyahu e i suoi amici fascisti.

Dall’istituzione dello Stato nel 1948 fino al 2009 Israele ha concesso allo Shin Bet la piena autorità di supervisionare gli insegnanti nelle scuole arabe del Paese, e questi sono stati monitorati, assunti e licenziati secondo la volontà dell’agenzia. Ciò è avvenuto attraverso un “segreto di Pulcinella” praticamente noto a tutti: il vicedirettore della Divisione Educazione Araba, che dipende dal Ministro dell’Educazione, è sempre stato un membro dello Shin Bet. Lui ha sempre preso parte con il suo staff alle commissioni di assunzione con il diritto di porre il veto su qualsiasi decisione.

Queste cose sono descritte in dettaglio nel libro dello storico Hillel Cohen del 2010, “Good Arabs” [Buoni Arabi, ndt.]. Attraverso l’esame di archivi di Stato consultabili, che confermano decisamente la narrazione pubblica dei cittadini palestinesi, Cohen ha descritto come lo Shin Bet compilasse un file di ogni preside o insegnante palestinese, che includeva tutte le loro dichiarazioni pubbliche nel corso degli anni. Non ci è voluto molto per fare questo lavoro. Per controllare una popolazione non è necessario che ognuno sia un collaboratore e informatore, basta che pensi che tutti gli altri lo siano.

Ad esempio, Cohen descrive come nel 1952, quando i cittadini palestinesi erano sotta la giurisdizione di un governo militare, 42 insegnanti — che all’epoca costituivano il sei per cento di tutti gli insegnanti delle scuole arabe in Israele — fossero stati licenziati perché “hanno abusato dell’opportunità data loro di educare la prossima generazione forgiandone l’immagine”. Naturalmente non sono stati condannati in nessun tribunale; è bastata una decisione arbitraria di un comandante militare.

I posti di lavoro che si sono resi vacanti sono stati poi assegnati, in segno di riconoscenza, a palestinesi che hanno collaborato con lo Shin Bet e che si sono distinti nel trasmettere informazioni alle autorità israeliane. Non era necessario che fossero qualificati all’insegnamento. Le parole sono state esplicitamente pronunciate alla conferenza dei funzionari del dipartimento responsabile degli affari arabi: “Tra i favori che possiamo fare, grazie alle nostre relazioni con il Ministero dell’Istruzione, vi è l’assunzione di insegnanti e l’ammissione di candidati all’insegnamento ai corsi [di formazione]”.

Questo terrorismo psicologico è stato applicato anche agli studenti. Nel 1958, gli studenti arabi di Nazareth celebrarono la Nakba, l’espropriazione dei palestinesi della loro patria nel 1948, tenendo una veglia silenziosa per cinque minuti. Gli insegnanti ebrei che lavoravano nella scuola hanno trasmesso le informazioni allo Shin Bet. Al preside della scuola fu chiesto di consegnare i nomi degli studenti e gli venne persino detto di informare gli studenti che: “sarà possibile che tra due anni, quando finiranno la scuola e faranno domanda per un lavoro, i funzionari governativi con il potere decisionale sull’assegnazione del lavoro ai laureati staranno in silenzio per cinque minuti in memoria della perdita della loro possibilità di carriera”.

Va da sé che la selezione degli insegnanti basata sulle loro opinioni piuttosto che sulle competenze, e la diffusione della paura tra presidi, insegnanti e studenti, ha danneggiato gravemente per decenni il sistema educativo arabo in Israele. Ha sofferto della mancanza di personale professionalmente valido, del paralizzante sospetto reciproco e dell’indebolimento del concetto stesso di educazione.

Fu solo nel settembre 2004 che il centro legale palestinese Adalah presentò una petizione all’Alta Corte per porre fine al coinvolgimento dello Shin Bet nel sistema educativo arabo. Venne posto alla luce del sole che l’intero sconvolgimento e degrado del sistema educativo era stato attuato senza alcuna base giuridica e portato a termine unicamente perché il governo israeliano aveva il potere di farlo. La petizione non venne nemmeno discussa in tribunale poiché il Ministero dell’Istruzione annunciò la cancellazione del ruolo del funzionario dello Shin Bet nel Dipartimento dell’Istruzione Araba.

“Un terribile mostro che danneggia il popolo ebraico”

Nel 2023, con la sua nuova legge, il governo israeliano vuole tornare alla vecchia realtà. Eppure i politici di estrema destra hanno affermato esplicitamente che l’intento del disegno di legge non è quello di tenere sotto controllo la società palestinese ma anche gli insegnanti ebrei-israeliani.

Il 4 luglio, nel corso del primo dibattito sul disegno di legge, i membri della Knesset hanno fatto a gara per scoprire chi fosse il più fascista. Il parlamentare Amit Halevi del Likud [partito nazionalista e di destra capofila della coalizione di governo, ndt.] ha detto, per esempio, che per licenziare un insegnante non bisogna aspettare che venga condannato per terrorismo e nemmeno che venga aperto un procedimento penale. Basta che lo Shin Bet scopra che l’insegnante “sia messo in relazione con il terrorismo”, e già “il solo fatto che si trovi in una scuola è di per sé un reato”.

Il collega di partito Avihai Boaron è andato anche oltre. Ai suoi occhi, non c’è nemmeno bisogno di aspettare informazioni dallo Shin Bet: “Il direttore generale del Ministero dell’Istruzione può farsi un’idea da quello che vede sui social media”, ha detto. In altre parole, basta ad esempio che il direttore generale navighi sulla pagina Facebook di un insegnante per poterlo licenziare e revocargli l’abilitazione.

Il parlamentare Limor Son Har-Malech del partito kahanista Otzma Yehudit [movimento ebraico della destra radicale suprematista, ndt.]  ha accusato gli insegnanti presi di mira di “presentare valori in un modo bellissimo che suona bene, ma che sotto tutti questi valori si nasconde un terribile mostro che danneggia e mina l’esistenza del popolo ebraico.”

Durante la seconda discussione del 18 luglio i funzionari dei vari ministeri hanno spiegato quanto sia inutile la proposta di legge. I rappresentanti del Ministero della Giustizia hanno sostenuto che non è possibile richiedere un controllo completo da parte dello Shin Bet di tutti gli insegnanti; una tale mossa, hanno detto, avrebbe un effetto intimidatorio che potrebbe impedire a molti di accedere alla professione. Inoltre, non è possibile escludere i dipendenti del sistema educativo dalle norme disciplinari già esistenti, che includono motivi sufficienti per la cessazione del rapporto di lavoro, come “comportamenti che possono ledere il nome del servizio statale”.

Un rappresentante della polizia israeliana ha spiegato che esiste già un sistema automatizzato attraverso il quale tutti i ministeri del governo, compreso il Ministero dell’Istruzione, ricevono informazioni sui dipendenti statali sospettati di aver commesso un crimine, nonché su quelli sotto inchiesta. Con l’ausilio di queste informazioni i ministeri competenti possono decidere se il motivo dell’indagine giustifichi la sospensione o la cessazione del rapporto di lavoro.

Inoltre un rappresentante del Ministero delle Finanze ha spiegato che la legge richiederebbe decine di milioni di shekel per l’istituzione e la gestione di un database nuovo di zecca, nonché per il controllo dei precedenti di 300.000 dipendenti.

Un rappresentante del Ministero dell’Istruzione ha inoltre spiegato che non ci sono problemi con il funzionamento attuale del sistema, dal momento che i condannati per terrorismo non occupano un impiego e che il ministero dispone già degli strumenti necessari per ottenere informazioni che consentano di affrontare la questione.

Anche il consulente legale dello Shin Bet ha ritenuto la legge del tutto inutile, affermando che l’agenzia dispone già di un’interfaccia funzionante attraverso la quale può trasferire al Ministero dell’Istruzione le informazioni che ritiene rilevanti. “Quello che state proponendo qui”, ha detto il consulente, “è di vasta portata. Nessun partito ha mai ricevuto informazioni aperte dallo Shin Bet”. Guai a noi se i diritti degli insegnanti in Israele verranno “protetti” dallo Shin Bet.

 

(Traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)

 




Israele approva una legge per ampliare la segregazione  razziale

Redazione di MEE

26 luglio 2023 – Middle East Monitor

 

Ieri la Knesset ha approvato l’ampliamento della discriminatoria legge riguardante i Comitati di ammissione consentendo a un numero maggiore di comunità esclusivamente ebraiche di selezionare candidati e respingere quanti sono giudicati inadatti. Lo scorso mese era stata presentata una proposta di legge per estendere la segregazione razziale in Israele tramite comitati discriminatori.

I Comitati di ammissione, introdotti nel 2011, sono presenti in centinaia di cittadine sorte su territori demaniali nel Naqab (Negev) e in Galilea. La legge concede ai comitati una quasi totale discrezionalità riguardante il consenso o il rifiuto che individui vivano nelle città sotto il loro controllo. I comitati includono un rappresentante dell’Agenzia ebraica o dell’Organizzazione sionista mondiale, enti quasi-governativi. In pratica vengono esclusi i candidati arabo-palestinesi.

La legge originaria che concedeva poteri ai Comitati di ammissione fu approvata per aggirare la decisione della Corte Suprema che vietava alle comunità israeliane la prassi razzista di vendere i terreni solo agli ebrei. Si applicava solo alle comunità con un massimo di 400 famiglie e solo nel Negev e in Galilea.

La disposizione di legge discriminatoria è stata approvata dalla Knesset con una maggioranza di 42 a 11. L’approvazione rimuove le restrizioni sul numero di città a cui è permesso avere i “Comitati di ammissione”. L’estensione geografica della nuova legge include, oltre a Naqab e Galilea, tutte le cittadine designate come Aree di Priorità Nazionale (NPAs). Si applicherà anche alle comunità con 400-700 famiglie.

Infine la legge stabilisce che dopo cinque anni dall’entrata in vigore, il ministero dell’economia potrà estenderla a comunità con oltre 700 famiglie.

Adalah, il centro legale [per i diritti della minoranza araba in Israele], ha evidenziato che durante il dibattito alla Knesset e negli accordi di coalizione i promotori e i sostenitori della proposta di legge hanno dichiarato inequivocabilmente il loro scopo chiaramente razzista. I parlamentari hanno persino invitato a partecipare al dibattito un rappresentante del servizio di sicurezza interna di Israele, lo Shin Bet (“Shabak”). Il funzionario israeliano ha sottolineato l’importanza di espandere le colonie esclusivamente ebraiche in Galilea in tema di sicurezza.

Adalah ha affermato: ’Nessuno sta cercando di nascondere lo scopo razzista della legge che mira a continuare e promuovere valori ancorati alla Legge dello Stato-Nazione Ebraico per insediare ed espandere colonie ebraiche. Ad ogni stadio della procedura legislativa, inclusa la presentazione di opinioni del personale dello Shin Bet, i parlamentari della Knesset hanno rimarcato la loro intenzione di promuovere gli stessi valori nazionalisti. Usando il termine ‘comunitario,’ intendono politiche di segregazione razziale e apartheid contro i cittadini palestinesi in Israele. Perciò Adalah presenterà un ricorso contro questa legge alla Corte Suprema.”

Prima della decisione del governo israeliano di ampliare  i Comitati di ammissione, il ministro della Giustizia Yariv Levin ha spiegato che nominare giudici che capiscono che gli ebrei “non vogliono vivere con gli arabi” è uno dei motivi del controversa riforma giudiziaria.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




L’American Anthropological Association aderisce al boicottaggio accademico di Israele

Con il 71% dei voti i membri dell’American Anthropological Association hanno approvato a larga maggioranza una risoluzione per il boicottaggio delle istituzioni accademiche israeliane.

Michael Arria

24 luglio 2023 – Mondoweiss

 

I membri dell’American Anthropological Association [Associazione degli Antropologi Americani] (AAA) hanno approvato a larga maggioranza una risoluzione per il boicottaggio delle istituzioni accademiche israeliane. Il 71% dei membri che hanno votato ha appoggiato l’iniziativa, mentre solo il 29% vi si è opposta.

“Questa è stata in effetti una questione controversa e le nostre differenze possono aver scatenato un aspro dibattito, ma abbiamo preso una decisione collettiva ed ora è nostro dovere andare avanti uniti nel nostro impegno per far progredire la conoscenza accademica, trovare soluzioni ai problemi umani e sociali e fungere da tutori dei diritti umani,” ha affermato in un comunicato la presidentessa di AAA Ramona Pérez. “Le politiche e le procedure per la votazione sono state seguite rigorosamente e senza eccezioni, e il risultato avrà tutto il peso dell’approvazione da parte dei membri dell’AAA.”

Una precedente iniziativa per il boicottaggio di Israele era stata entusiasticamente accolta da un incontro di lavoro dell’AAA nel 2015, ma terminò sconfitta in una votazione molto serrata l’anno successivo. Nel marzo 2023 oltre 200 membri dell’AAA hanno presentato una petizione al Comitato Esecutivo in cui si chiedeva un voto di tutti gli iscritti sulla questione. La votazione ha avuto luogo tra il 15 giugno e il 14 luglio.

“Lo Stato di Israele mette in atto un regime di apartheid dal fiume Giordano al mare Mediterraneo, anche nello Stato di Israele internazionalmente riconosciuto, nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania e la Convenzione Internazionale per la Soppressione e le Sanzioni contro il Crimine di Apartheid del 1973 e lo Statuto di Roma per la [creazione della] Corte Penale Internazionale (CPI) definiscono l’apartheid un crimine contro l’umanità,” si legge nella risoluzione.

“Le istituzioni accademiche israeliane sono complici del regime dello Stato israeliano di oppressione contro i palestinesi… anche fornendo ricerche e sviluppo delle tecnologie militari e di sorveglianza utilizzate contro i palestinesi,” continua. “… Le istituzioni accademiche israeliane non forniscono protezione alla libertà accademica, a discorsi nelle università a favore dei diritti umani e politici dei palestinesi né alla libertà di associazione degli studenti palestinesi nei loro campus.”

In base alla risoluzione le istituzioni accademiche israeliane non possono pubblicare nei materiali editi dall’AAA, fare promozione nelle pubblicazioni dell’AAA, utilizzare sale per le conferenze dell’AAA per incontri di lavoro, partecipare a eventi dell’AAA o riprendere articoli da pubblicazioni dell’AAA. La risoluzione si applica solo alle istituzioni, non agli studiosi e studenti ad esse collegati.

“Questa risoluzione è una significativa dimostrazione di solidarietà da parte di migliaia di studiosi che stanno dalla parte dei loro colleghi palestinesi, il cui lavoro e le cui vite sono quotidianamente condizionati dalle politiche razziste e discriminatorie e dal brutale dominio militare di Israele,” ha affermato Jessica Winegar, una docente di antropologia e membro del collettivo “Anthroboycott”, un’associazione che ha sostenuto l’iniziativa.

“Come studiosi con una lunga storia di studi sul colonialismo, gli antropologi conoscono fin troppo bene il danno devastante dell’oppressione e il furto di terra palestinese da parte di Israele. Questo voto è un’importante passo nel dimostrare che il sostegno ai diritti dei palestinesi è coerente con i valori a difesa di diritti umani per tutti dell’AAA.”

All’inizio dell’anno Alisse Waterston, docente di antropologia al John Jay College ed ex presidentessa dell’AAA aveva spiegato perché ha appoggiato la misura in un articolo per Mondoweiss.

“Riconosco che talvolta alcuni principi possono entrare in contraddizione. Se il boicottaggio da parte dell’AAA danneggia la libertà accademica, ciò deve essere valutato a fronte dei morti e delle case distrutte che sono la tragedia dei palestinesi. Se alcuni membri disdiranno la propria adesione e alcuni donatori si ritireranno, coloro che sostengono il boicottaggio dovranno impegnarsi a portare ognuno 1-2 nuovi membri e a offrire all’associazione un sostegno finanziario oltre alla quota di iscrizione. Ogni altra minaccia o danno all’AAA possono essere affrontati con l’impegno di prenderne le difese. Se il boicottaggio si dimostra inefficace, esso deve essere valutato considerando l’alternativa di essere complici del silenzio sulle condizioni dei palestinesi sotto l’apartheid, che li lascia isolati, soli e invisibili.”

 

(Traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)

 

 




Il sionismo liberale: un pilastro del progetto coloniale di insediamento di Israele

Muhannad Ayyash*

Al-Shabaka** – giugno 2023

 

Panoramica

Nonostante le politiche sempre più di destra del regime israeliano, il sionismo liberale gioca ancora un ruolo dominante nell’ideologia sionista. Svolge la funzione specifica e cruciale di fornire al progetto sionista la patina di una civiltà occidentale illuminata e di una politica democratica e progressista. Di conseguenza, il regime israeliano è raramente descritto nei circoli occidentali tradizionali per quello che è: uno stato coloniale che pratica l’apartheid.

I politici e i media di tutto lo spettro politico in Europa, Nord America e altrove descrivono Israele in gran parte come “l’unica democrazia in Medio Oriente” che condivide i valori occidentali, il che ne fa un faro per la politica progressista in una regione altrimenti autoritaria e irredimibile. Questa retorica viene quindi utilizzata per giustificare il sostegno sfrenato dell’Occidente al regime israeliano, anche fornendo i mezzi diplomatici, economici e militari necessari per mantenere ed espandere la sua colonizzazione della Palestina.

Sebbene le ideologie sioniste di destra abbondino e abbiano i loro sostenitori in tutto il mondo, specialmente tra i sionisti cristiani, con cui è necessario confrontarsi, è fondamentale sfatare il sionismo liberale. Mentre i leader globali e i media tradizionali continuano a esprimere preoccupazione per il governo di coalizione estremista israeliano e chiedono un ritorno alla soluzione dei due stati, l’idea che esista una forma liberale di sionismo che vale la pena salvare deve essere confutata. Dopo aver definito il sionismo liberale, esposto i suoi fondamenti coloniali di insediamento e di apartheid e aver offerto un caso di studio dagli Stati Uniti, questo documento politico propone un quadro guida su come affrontare e invalidare la nozione di sionismo liberale.

Comprendere il sionismo liberale

Il sionismo liberale contemporaneo emerge dal Sionismo laburista: il cosiddetto braccio socialista di sinistra del movimento sionista emerso più di un secolo fa e che ha svolto un ruolo fondamentale nella formazione dello Stato sionista. Dall’istituzione dello Stato il sionismo liberale è apparso come costitutivo delle politiche dei successivi governi di sinistra e degli scopi di organizzazioni non governative, gruppi di pressione, partiti politici e reti e istituzioni accademiche che promuovono Israele come stato ebraico liberale. Il sionismo liberale godette di un’egemonia ideologica per molti decenni dopo il 1948. Come scrive il sionista liberale Yehuda Kurtzer riferendosi ai primi sionisti: “I sionisti trionfanti compresero quello che stavano facendo nel costruire un movimento politico liberale. Il liberalismo è stato incorporato nel sionismo politico che alla fine ha portato alla costruzione dello Stato”.

Come Kurtzer, la maggior parte degli analisti israeliani si concentra sull’interazione tra le ideologie di sinistra e di destra come una questione di politica intra-israeliana e intra-ebraica. Il sionismo, tuttavia, è meglio definito attraverso le esperienze delle sue vittime: i palestinesi. Da questa prospettiva, il sionismo liberale può essere inteso solo come coloniale di insediamento, radice e germoglio, poiché è direttamente responsabile della Nakba del 1948. Sebbene il sionismo liberale non sia un monolite, i suoi sostenitori hanno operato per decenni nei circoli che formano l’opinione pubblica ponendo al centro le seguenti convinzioni:

  1. L’istituzione dello Stato israeliano è l’unico metodo per garantire la sicurezza degli ebrei e risolvere l’esilio ebraico;
  2. Gli ebrei hanno rivendicazioni radicate, bibliche e sovrane sulla terra di Palestina;
  3. Il progetto sionista è uno sforzo eroico e miracoloso che ha portato la fiaccola della modernizzazione e della civiltà nella cosiddetta terra di Israele; e
  4. La “Guerra d’Indipendenza” del 1948 fu necessaria, e i risultati della guerra – vale a dire, l’espulsione di più di 750.000 Palestinesi dalle loro terre e case e la distruzione della Palestina – erano una conseguenza naturale che dovrebbe essere accettata.

Non tutti i sionisti liberali sono d’accordo con ciascuno dei quattro punti. Ad esempio, alcuni usano un linguaggio molto diverso per il quarto punto, sostenendo che i palestinesi se ne sono andati e non sono stati espulsi. Tuttavia, attraverso le sue varianti, l’ideologia sionista liberale tradizionale sostiene che la conquista coloniale della Palestina nel 1948 fu giusta, legittima, valida e pienamente giustificabile e, pertanto, nessuna critica seria può essere diretta contro l’istituzione di Israele nel 1948.

“Il sionismo liberale può essere inteso solo come colonialismo di insediamento, radice e germoglio, in quanto direttamente responsabile della Nakba del 1948”

Il sionismo liberale è ostile alle critiche di decolonizzazione palestinesi del 1948 e spesso le dipinge come antisemite per emarginarle e censurarle. La cancellazione della critica palestinese attraverso la nozione di “nuovo antisemitismo” risale almeno ai primi anni ’70, quando il Ministro degli Esteri israeliano per il governo laburista, Abba Eban, iniziò a sostenere la narrazione che l’antisionismo è antisemitismo. Inoltre, i sionisti liberali usano queste opinioni di fondo per criticare l’occupazione della Cisgiordania nel 1967, compresa Gerusalemme est e Gaza, evitando accuratamente di attirare l’attenzione sul 1948.

Un articolo di opinione del 2023 sul Washington Post ad opera dei sionisti liberali Paul Berman, Martin Peretz, Michael Walzer e Leon Wieseltier è un buon esempio di queste critiche tattiche. Gli autori collocano Israele dal momento della sua fondazione all’interno delle “nazioni amanti della libertà” del mondo, sostenendo che il nuovo governo di destra di Benjamin Netanyahu “minaccia la posizione di Israele negli affari mondiali”.

La centralità del problema dell’immagine è accentuata alla fine del pezzo, dove si insiste sul continuo e pieno finanziamento militare degli Stati Uniti a Israele e si chiede il sostegno degli Stati Uniti agli israeliani che protestano contro il governo di coalizione di destra di Netanyahu.

Il “doppio, ma non contraddittorio, sostegno”, come dicono loro, è davvero una descrizione accurata, ma non perché, come suggeriscono, proteggerebbe la democrazia nella battaglia globale di “democrazia contro autocrazia”. Piuttosto è perché sottoscrivere questa richiesta all’amministrazione Biden è un riconoscimento implicito che: (a) ciò che è stato preso con la forza nel 1948 può essere detenuto solo con la forza – da qui il bisogno continuo e perpetuo di finanziamenti militari indipendentemente da quale ideologia politica sia al potere – (b) il rifiuto delle politiche espansionistiche e di annessione del nuovo governo salverà lo Stato ebraico come Stato per una maggioranza ebraica, impedendo in modo decisivo alla critica palestinese di Israele di entrare nel discorso mainstream.

Ciò dimostra che il sostegno dei sionisti liberali alle proteste israeliane del 2023 nei territori del 1948 non è affatto in opposizione al progetto di insediamento coloniale dello Stato sionista, ma, piuttosto, un’indicazione della loro preoccupazione che il percorso di destra possa distruggere la patina liberale del colonialismo di insediamento israeliano. In definitiva, la sinistra e la destra sono sullo stesso piano per quanto riguarda la creazione e la “difesa” di Israele come Stato a maggioranza ebraica. Infine è fondamentale comprendere il sionismo liberale come parte integrante della modernità coloniale. In altre parole quella modernità – concepita come fenomeno occidentale – non può essere separata dagli strumenti utilizzati per realizzarla: la colonizzazione e la schiavitù. Non sorprende che i sionisti liberali non riescano ad affrontare in modo critico le fondamenta violente e coloniali delle cosiddette democrazie liberali occidentali. Invece accettano come giudizio convenzionale e dato di fatto che la civiltà occidentale sia superiore a tutte le altre e vanti i sistemi democratici più avanzati del mondo.

Inoltre l’Occidente sta giustamente e globalmente diffondendo una civiltà che si è sviluppata completamente all’interno dell’Occidente. Un esempio calzante è il libro più recente di Walzer, in cui elogia e promuove la “moralità liberale” e il “liberalismo” come “prodotto dell’Illuminismo e del trionfo… dell’individuo emancipato, una figura occidentale”. Sostiene che questa presunta invenzione occidentale, di cui Israele fa parte, è necessaria per impedirci di diventare “monisti, dogmatici, intolleranti e repressivi”.

Assente dal libro è un paradigma de-coloniale che ponga al centro le esperienze e le aspirazioni di coloro che hanno sofferto e sono stati cancellati a causa del progetto coloniale occidentale. Separando la civiltà dell’Occidente da ciò che fa l’Occidente, il sionismo liberale giustifica, legittima e naturalizza il violento progetto coloniale di insediamento sionista nella Palestina colonizzata e oltre.

Politiche coloniali di insediamento e di apartheid del sionismo liberale

Come evidenziato dall’espulsione di massa dei palestinesi nel 1948 e dalla successiva giustificazione e legittimazione ideologica di tale espulsione, tutte le politiche che sorgono all’interno del quadro del sionismo liberale sono coloniali di insediamento e di apartheid. Fondamentalmente, la creazione dello Stato sionista nel 1948 fu un’operazione di colonialismo di insediamento; rese necessaria l’espulsione e l’espropriazione dei palestinesi. Subito dopo Israele promulgò una serie di leggi di apartheid per rendere permanente l’espulsione e per iniziare il processo di ebraizzazione della Palestina colonizzata: la Legge del Ritorno del 1950, la Legge sulla proprietà degli assenti del 1950 e la Legge sulla Nazionalità del 1952, tra molte altre.

Come parte della loro accurata attenzione al problema dell’immagine di Israele i sionisti liberali evitano il linguaggio che riveli la realtà della colonia di insediamento. Ad esempio nella loro critica all’ultimo governo di coalizione Netanyahu, Berman, Peretz, Walzer e Wieseltier descrivono le politiche coloniali di insediamento e di apartheid di Israele come una campagna “sempre più aggressiva” per stabilire ulteriori insediamenti e “sfide crescenti” ai cittadini palestinesi di Israele. Descrivono inoltre il governo di Netanyahu come sostenitore del “vigilantismo ebraico estremista” e degli “etno-nazionalisti”, avvertendo che Israele si sta avvicinando all’Ungheria di Viktor Orban. Nel loro discorso, Israele diventa un’altra vittima dell’ondata globale di etnonazionalismo che sta minacciando le democrazie liberali occidentali, un punto che altri, come Kurtzer, sottolineano più esplicitamente per riaffermare l’immagine di Israele come fondamentalmente una democrazia liberale.

Questa visione è tutt’altro che rispondente a realtà. Israele continua a consolidare un sistema che spazialmente, politicamente, militarmente, economicamente e legalmente colloca il colono in una posizione superiore alla popolazione indigena.

Questo viene fatto in modo tale da avvantaggiare materialmente e simbolicamente il colono; da un lato, gli insediamenti vengono espansi e, dall’altro, il colono viene legittimato come abitante del territorio mentre il palestinese viene sfollato. A questo proposito, l’apartheid è un passo lungo il continuum di violenza del colonialismo di insediamento che inizia con l’espulsione di massa e il trasferimento delle popolazioni indigene. È un processo che elimina la sovranità indigena, fungendo così da strumento per cementare ed espandere le conquiste delle colonie di insediamento.

Dal momento che i sionisti liberali presumibilmente sostengono una soluzione a due Stati lungo i confini del 1967, teoricamente non dovrebbero più essere interessati all’espansione; anzi, considerano l’occupazione pericolosa per il progetto dello stato ebraico. Ciò è talvolta espresso attraverso una critica delle politiche e delle pratiche di apartheid (senza usare il termine apartheid) che espandono lo stato israeliano stabilendo un potere totalitario sui palestinesi. Tuttavia questo sostegno a una soluzione a due Stati deve essere inteso come basato sulla loro radicata paura di una soluzione a uno Stato in cui la sovranità israeliana “non ufficiale” sui palestinesi si trasformerà in sovranità israeliana “ufficiale” sull’intera Palestina colonizzata, lasciando Israele con una significativa popolazione palestinese che minacci lo status di Israele come stato ebraico. Dal momento che il sionismo liberale non può conciliare il sogno sionista di uno stato ebraico etnocratico con la vera democrazia, la realtà di un unico stato svelerà questo errore fondamentale. In questo modo, le politiche coloniali e di apartheid sono radicate nell’ideologia sionista liberale che rifiuta di affrontare ciò che il sionismo è ed è sempre stato nei fatti.

Un caso di studio sul sionismo liberale statunitense

Una delle principali organizzazioni sioniste liberali negli Stati Uniti è J Street, che si descrive come un’organizzazione “pro-Israele, pro-pace, pro-democrazia” che lavora contro “il fanatismo, la disuguaglianza e l’ingiustizia”.

È importante sottolineare che J Street sostiene che Israele condivide questi

“principi democratici” con gli Stati Uniti, dipingendo la “grave minaccia” alla “democrazia liberale” in Israele come parte di una recente ondata globale di estremismo ed etnonazionalismo che minaccia anche gli Stati Uniti.

Afferma inoltre di lavorare “in coalizioni multireligiose e multirazziali con le comunità nei loro sforzi per superare … l’oppressione e rafforzare la democrazia liberale”. Infine, ritiene che Israele affronti “nemici pericolosi” e abbia il diritto di difendere sé stesso e, per estensione, la democrazia, il progresso e la civiltà.

Basandosi su queste premesse che rendono illegittimo “mettere in discussione il diritto fondamentale di Israele di esistere come patria ebraica”, J Street costruisce la sua opposizione all’occupazione. In effetti, l’organizzazione riconosce che i palestinesi “meritano pieni diritti civili e la fine dell’ingiustizia sistemica dell’occupazione” e che “sostiene la creazione di uno Stato di Palestina indipendente e smilitarizzato con confini definiti”. In questo modo, J Street si posiziona solidamente come liberale e ragionevole.

“Il sionismo liberale è un’ideologia che fornisce copertura e fa avanzare la conquista coloniale di insediamento della Palestina in nome della razionalità, del progresso, dell’uguaglianza, della tolleranza, della democrazia e persino dell’anti-razzismo”.

Anche così, J Street non riesce a spiegare perché crede che uno Stato palestinese debba essere smilitarizzato. Questo serve da esempio eloquente di come i sionisti liberali ritengano che i palestinesi siano già – o possano sempre potenzialmente diventare – pericolosi nemici che, se gli venissero dati gli strumenti per esercitare una violenza militare organizzata, la scatenerebbero inevitabilmente. Tale linguaggio rientra esattamente nei discorsi e nelle politiche sioniste decennali che razzializzano i corpi palestinesi come violenti.

Anche la posizione di J Street sui confini è rivelatrice. Il sito web dell’organizzazione afferma che Israele deve “rinunciare alla stragrande maggioranza del territorio occupato su cui può essere costruito uno Stato palestinese in cambio della pace”. Invitando Israele a “cedere” il territorio, J Street riconosce implicitamente che Israele ne ha la sovranità, riflettendo la logica fondamentale del sionismo liberale secondo cui Israele ha diritto alla terra dal fiume Giordano al Mar Mediterraneo.

Inoltre J Street chiarisce, rispetto alla sua proposta politica sui confini, che la sua idea di un piano di pace “consentirebbe di incorporare nello Stato di Israele i quartieri ebraici stabiliti a Gerusalemme est e alcuni dei grandi blocchi di insediamenti della Cisgiordania vicino alla Linea Verde. ” Questa politica indica il sostegno all’annessione e si allinea con i governi israeliani di tutto lo spettro politico.

Il dilemma dell’annessione

Per J Street e organizzazioni simili l’annessione deve essere limitata per paura che l’espansione riveli le fondamenta di Israele come colonia di insediamento. Anche se i sionisti liberali ignorano che le terre occupate nel 1948 sono diventate ebraiche e democratiche – solo per gli ebrei – attraverso politiche e leggi di colonialismo di insediamento e apartheid, questa realtà è sempre presente nella loro ideologia. Appare, prima di tutto, nella loro opposizione al diritto palestinese al ritorno nelle loro terre d’origine. Ma appare anche nelle loro preoccupazioni che la crescente visibilità della violenza quotidiana di Israele contro i palestinesi – grazie alla rivoluzione digitale e all’attivismo palestinese – possa portare gli osservatori internazionali a mettere in discussione tutte le politiche di Israele e, forse, il suo stesso fondamento.

Questa paura spinge i sionisti liberali a criticare il governo di coalizione di destra di Netanyahu. Come possono sostenere la narrazione di Israele come Stato democratico ed ebraico se annettono l’intera Palestina colonizzata? Pertanto, la principale implicazione del nuovo regime israeliano per il sionismo liberale è che lo espone per il mito che è. In altre parole il nuovo regime israeliano accompagna le politiche di eliminazione con un’onesta articolazione dell’aspirazione alla base di queste pratiche, come quando il ministro delle finanze Bezalel Smotrich ha invitato lo Stato israeliano a “spazzare via” la città di Huwara in Cisgiordania, smantellando così l’apparenza di politiche democratiche e progressiste che i sionisti liberali hanno impiegato decenni a costruire.

Nei loro sforzi per salvare quell’apparenza i sionisti liberali hanno risposto protestando contro l’attacco a Huwara usando il linguaggio di “anti-occupazione”, “coloni estremisti” e persino “terrore ebraico”. Ma continuano a ignorare che le terre che chiamano “Israele vero e proprio” – da cui portano avanti le loro proteste – sono state stabilite come “israeliane” dalla stessa struttura di violenza coloniale di insediamento che mira alla cancellazione di Huwara.

Il sionismo liberale si colloca, nella migliore delle ipotesi, in una politica liberale multiculturale che vede le basi dei sistemi politici coloniali di insediamento come forse tragiche, ma fondamentalmente giuste e orientate al progresso e alla civiltà. A questo proposito, si unisce a un lungo elenco di apologeti dei progetti coloniali occidentali, nascondendone i fondamenti e le strutture e quindi emarginando ed eliminando le alternative a tali strutture. Se la politica progressista oggi non vede il progetto antirazzista come un progetto che deve necessariamente essere de-coloniale e impegnato a smantellare le strutture della modernità coloniale, allora non è affatto una politica progressista.

La de-sionizzazione è l’unica via da seguire

Il sionismo liberale è un’ideologia che fornisce copertura e promuove la conquista coloniale della Palestina in nome della razionalità, del progresso, dell’uguaglianza, della tolleranza, della democrazia e persino dell’antirazzismo. È quindi fondamentale contrastare questa ideologia in tutti gli spazi in cui opera. Ciò significa il rifiuto del sionismo liberale come “partner nella pace” e l’insistenza sulla liberazione de-coloniale palestinese per l’intera Palestina colonizzata e ovunque per i palestinesi.

Un quadro di liberazione de-coloniale è a lungo termine vantaggioso anche per gli ebrei israeliani. Questo è ciò che intendiamo con de-sionizzazione: inizia con il riconoscimento da parte degli ebrei israeliani che il sionismo non ha mai risolto la “questione ebraica” in Europa, ma piuttosto l’ha interiorizzata e ha replicato il progetto coloniale occidentale in Palestina; finisce in un luogo in cui gli ebrei israeliani non sarebbero più “nativi o coloni nella Palestina storica”, ma piuttosto “immigrati… residenti benvenuti in una patria storica”. È importante sottolineare che questo concetto significa la rivisitazione dello Stato, del nazionalismo e della sovranità lontano dai modelli coloniali occidentali.

Al di là della Palestina colonizzata, il sionismo liberale deve essere sfatato attraverso i partiti e le istituzioni politiche, i media e le collettività della società civile. Sia in situazioni di attivismo che in situazioni più istituzionali le persone devono formare coalizioni intersezionali impegnate nella giustizia de-coloniale. Questi collettivi devono organizzare attività come momenti di riflessione e studio nella comunità, petizioni, campagne di scrittura di lettere e così via al fine di elaborare strategie su come affrontare l’inevitabile rifiuto del sionismo.

Queste coalizioni devono seguire cinque pratiche principali per realizzare la de-sionizzazione:

1-Contrastare l’ideologia con la realtà: giornalisti, studiosi e attivisti dovrebbero rifiutare le posizioni delle organizzazioni sioniste liberali, come J Street, ponendo la questione di cosa significhi effettivamente l’autodeterminazione palestinese nei confronti della sovranità su Gerusalemme e così via. I sionisti liberali non vogliono affrontare la liberazione palestinese de-coloniale, quindi è necessario spostare la conversazione su questo argomento e rifiutare la normalizzazione della colonizzazione di insediamento israeliana.

2-Rifiutare l’uso come arma dell’antisemitismo: il sionismo liberale non presenta risposte sostanziali alle critiche de-coloniali e quindi, quando costretto, risponde con l’accusa di antisemitismo. Istituzioni e organizzazioni devono rifiutare definizioni di antisemitismo che in qualche modo incorporino la questione della Palestina (da destra, l’Alleanza Internazionale per la Memoria dell’Olocausto (IHRA), a sinistra, la Dichiarazione di Gerusalemme sull’antisemitismo).

3-Concentrarsi sui paradigmi palestinesi: non basta ascoltare le storie di sofferenza dei palestinesi. Il discorso pubblico deve concentrarsi sui paradigmi palestinesi che spiegano perché e come i palestinesi soffrono e, soprattutto, forniscono una piattaforma per le aspirazioni palestinesi alla liberazione. Per consentire questo cambiamento, è necessario esercitare pressioni sui media per sfidare lo status quo che censura e mette a tacere i paradigmi palestinesi.

  1. Enfatizzare l’antirazzismo de-coloniale: gli uffici per l’Equità, la Diversità e l’Inclusione (EDI) si sono diffusi nelle istituzioni politiche e sociali. Molti operano sull’antirazzismo corporativizzato, multiculturale e liberale e sostengono che le critiche de-coloniali a Israele sono antisemite e quindi non hanno posto negli spazi antirazzisti. Opporsi all’iniziativa corporativizzata EDI è necessario non solo per la liberazione palestinese, ma anche per la liberazione di tutti coloro che continuano a subire la violenza della modernità coloniale.

5-Smantellare il sionismo: il sionismo non può portare alla liberazione de-coloniale. Che sia liberale o di destra, il sionismo è l’esclusiva sovranità ebraica sulla terra, che stabilisce Israele come potere supremo e indivisibile. Ciò significa necessariamente la continua espulsione dei palestinesi dalle loro terre e l’eliminazione della sovranità indigena palestinese. Solo lo smantellamento della sovranità coloniale di insediamento dei coloni sionisti può portare a un sostanziale progetto de-coloniale e antirazzista. Perché ciò sia possibile le comunità ebraiche e israeliane – in nome delle quali pretendono di parlare gli interessi sionisti – devono partecipare al progetto di de- sionizzazione.

 

*M. Muhannad Ayyash è nato e cresciuto a Silwan, Al-Quds (Gerusalemme), prima di immigrare in Canada, dove ora è professore di sociologia alla Mount Royal University. È autore di ‘A Hermeneutics of Violence’ (UTP, 2019). Ha pubblicato diversi articoli su riviste come Interventions, European Journal of International Relations, Comparative Studies of South Asia, Africa and the Middle East e European Journal of Social Theory. Ha scritto articoli di opinione per Al-Jazeera, The Baffler, Middle East Eye, Mondoweiss, The Breach e Middle East Monitor. Attualmente sta scrivendo un libro sulla sovranità coloniale di insediamento in Palestina/Israele.

** Al-Shabaka, The Palestine Policy Network è un’organizzazione indipendente, apartitica e senza scopo di lucro la cui missione è educare e promuovere il dibattito pubblico sui diritti umani e l’autodeterminazione dei palestinesi nel quadro del diritto internazionale. I rapporti politici di Al-Shabaka possono essere riprodotti con la dovuta attribuzione ad Al-Shabaka, The Palestine Policy Network. Per maggiori informazioni visita www.al-shabaka.org o contattaci via e-mail: contact@al-shabaka.org.

I materiali di Al-Shabaka possono essere fatti circolare con la dovuta attribuzione ad Al-Shabaka: The Palestine Policy Network. Le opinioni dei singoli membri della rete politica di Al-Shabaka non riflettono necessariamente le opinioni dell’organizzazione nel suo insieme.

 

(Traduzione dall’inglese di Giuseppe Ponsetti)

 




Le forze israeliane uccidono tre palestinesi in Cisgiordania

I palestinesi nella Cisgiordania occupata contestano la versione israeliana sull’uccisione di tre palestinesi

Redazione di MEE

25 luglio 2023  –  Middle East Eye

 

Il ministero della Salute palestinese ha annunciato che all’alba di martedì mattina le forze israeliane hanno ucciso tre palestinesi nella città occupata di Nablus, in Cisgiordania.

Anche l’esercito israeliano ha confermato le uccisioni, sostenendo che i tre palestinesi hanno aperto il fuoco contro i soldati vicino agli insediamenti coloniali israeliani sul Monte Garizim, nei pressi di Nablus.

Secondo la testata giornalistica palestinese Arab48 le ambulanze israeliane sono arrivate sul posto e hanno portato via i tre corpi.

Le forze israeliane hanno impedito alle ambulanze palestinesi di raggiungere le tre vittime, le cui identità devono ancora essere confermate.

Secondo i resoconti dei testimoni oculari, l’esercito israeliano ha sparato all’impazzata per quasi dieci minuti sul veicolo su cui viaggiavano i tre palestinesi colpendolo con una pioggia di proiettili.

L’esercito israeliano sostiene che vi sia stato uno scontro a fuoco tra le due parti e, a seguito di una perquisizione del veicolo, siano state rinvenute ulteriori armi.

Tuttavia testimoni oculari palestinesi hanno affermato che le forze israeliane hanno “teso un’imboscata” al veicolo per poi “assassinare” i giovani.

Le forze israeliane hanno in seguito perquisito un certo numero di case e negozi palestinesi nelle vicinanze della sparatoria e, secondo quanto riferito da Arab48, hanno confiscato il filmato delle telecamere a circuito chiuso.

Non è chiaro se il filmato abbia ripreso la sparatoria israeliana.

‘Sparare per uccidere’

L’esercito israeliano, che raramente indaga sull’uccisione di palestinesi da parte delle sue truppe, è stato criticato dalle organizzazioni per i diritti umani per la sua politica di “sparare per uccidere” anche quando i palestinesi non rappresentano un pericolo per i soldati.

Un rapporto del 2022 dell’organizzazione israeliana per i diritti Yesh Din ha rilevato che meno dell’uno per cento dei soldati accusati di aver danneggiato i palestinesi tra il 2017 e il 2021 sono stati accusati di crimini.

Le autorità giudiziarie militari “evitano sistematicamente di indagare e perseguire i soldati che danneggiano i palestinesi”, afferma l’organizzazione.

Quest’anno sono stati uccisi dal fuoco israeliano almeno 200 palestinesi, di cui 34 minori, un tasso di quasi un morto al giorno.

In totale sono morte 163 persone nella Cisgiordania occupata e a Gerusalemme Est mentre le restanti 36 sono state uccise nella Striscia di Gaza.

Nel frattempo, nello stesso periodo i palestinesi hanno ucciso 25 israeliani, di cui sei minori.

 

(Traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




La donazione di reni solo ad ebrei emula il nazismo

Rogel Alpher

18 luglio 2023 Haaretz

Arnon Segal è un fascista messianico, come dimostra il suo essere il numero 20 nella lista del sionismo religioso alla Knesset e il suo attivismo a favore della costruzione del Terzo Tempio (e prima è, meglio è).

“Sono coinvolto quotidianamente con il Monte del Tempio”, ha osservato in un’intervista la scorsa settimana sulla sua decisione di donare un rene a uno sconosciuto. Ha anche annunciato che “l’unica condizione è che il rene vada a un ebreo”.

Questa dichiarazione è come un americano bianco che annunci di rifiutarsi di donare un rene a una persona nera o ispanica o non cristiana, un tedesco che doni esclusivamente ad ariani, un afrikaaner che rifiuti di donare a uno zulu, un indù in India che non lasci che il suo rene vada a un musulmano. Casi evidenti di discriminazione razziale basati su un nazionalismo estremista.

Segal non è diverso da tutti loro. Ha espresso molto chiaramente che l’unico requisito è l’ebraicità del destinatario, foss’anche un gay ebreo che disprezza la religione: “Siamo tutti fratelli, e i disaccordi sono all’interno della famiglia… il nostro impegno è di essere un solo popolo”. Il trapianto ha lo scopo di rafforzare la razza.

La Ministra della Diplomazia Pubblica [Ministero per la gestione dell’immagine nazionale attraverso canali ufficiali di Stato e non, ndt.] Galit Distal-Atbaryan ha spiegato su Twitter: Segal vede tutti gli ebrei come “fratelli e sorelle di sangue… l’immortale famiglia ebraica”. Ogni ebreo è percepito come parte di un corpo più grande chiamato “famiglia”: il popolo ebraico, la nazione ebraica. La connessione tra gli individui di questa “famiglia” è organica. È “nel sangue”. Il sangue che scorre nel corpo di ogni ebreo lo collega eternamente ad un corpo nazionale più ampio, “l’immortale popolo ebraico”. Così disse il Signore. Anche il Terzo Reich propugnò un’ideologia che vedeva ogni individuo della Volksgemeinschaft (la comunità di razza tedesca) come una cellula di un corpo nazionale più ampio.

“Puoi chiamarlo razzismo o fascismo”, ha scritto Distal-Atbaryan. “Noi lo chiamiamo amore.” Il razzismo è amore. Il fascismo è amore. E sulla base di questo neolinguaggio orwelliano, arriva la morale della favola: anche se dice che la “sinistra laica” e il “blocco dei credenti” sono “due universi paralleli che parlano lingue aliene”, secondo lei i fascisti devono pur sempre vedere quelli di sinistra come “amati fratelli… senza limiti nel tempo…”

“Sangue e terra”, cantavano i suprematisti bianchi che marciarono a Charlottesville, in Virginia [nel 2021, una contromanifestante fu uccisa e 19 feriti, ndt.]. Anche questo è uno slogan originariamente nazista, che si basa sull’idea di una connessione mistica tra la patria tedesca e i tedeschi “razzialmente puri”.

Come loro Segal, Distal-Atbaryan e l’intero movimento fascista ebraico in Israele credono in una connessione mistica, divina ed eterna tra tutti gli ebrei e tra gli ebrei e la terra di Eretz Israel [il Grande Israele, ndtr.]

Negli anni ’70 la giunta dittatoriale in Argentina appese un cartello circolare sull’obelisco bianco al centro del viale principale di Buenos Aires che diceva “El Silencio es Salud” (“Il silenzio è salute”). I regimi totalitari, come George Orwell ha capito e prefigurato così chiaramente, capovolgono la logica. Il silenzio è salute? La censura è ovviamente tossica e distruttiva. Il razzismo è amore?

Questo “amore” tra “fratelli e sorelle di sangue” nella “immortale famiglia ebraica” non deriva in alcun modo da valori condivisi. Anzi. Segal è pronto a donare un rene a qualcuno i cui valori sono all’opposto dei suoi, purché il sangue di quella persona sia ebreo. La stessa connessione mistica, divina, organica si trova nel sangue che scorre nelle vene di ogni ebreo, e contiene un legame eterno, e totalmente fascista, con il suolo di Eretz Israel.

La lezione che la fazione del “razzismo è amore” trae dall’Olocausto (di cui ogni fibra dell’esperienza israeliana è satura) è quella di emulare i tedeschi. Forse se i fascisti ebrei in Israele dimenticassero l’Olocausto sarebbero persone migliori, più morali.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)