Gaza: le operazioni israeliane di uccisione mirata suscitano una richiesta di indagine

Bethan McKernan e Hazem Balousha da Gaza City

Lunedì 17 luglio 2023 – The Guardian

L’iniziativa fa seguito alla morte di civili durante la campagna israeliana di attacchi “Scudo e Freccia”

Nella via del centro di Gaza City in cui viveva la famiglia di Khalil al-Bahtini il contenuto della casa del comandante del Jihad Islamico palestinese e delle due abitazioni su entrambi i lati è ancora sparso in strada. I passanti devono districarsi tra le macerie e la carcassa accartocciata di un serbatoio per l’acqua, tra i detriti della vita di una famiglia distrutta: un orsacchiotto rosso, utensili da cucina, frammenti di libri e vestiti.

La famiglia Adas non era l’obiettivo degli attacchi aerei che hanno colpito la casa del loro vicino verso le 2 del mattino del 9 maggio, primo atto dell’operazione israeliana “Scudo e Freccia”, ma gli edifici distavano meno di un metro. La bomba GBU-39 che ha sfondato i tre piani della casa dei Bahtini fino alle fondamenta ha fatto saltare in aria anche un lato della casa degli Adas, uccidendo le due figlie adolescenti della famiglia. Dania, 19 anni, è morta sul colpo, mentre sua sorella Imam, 17 anni, si è aggrappata alla vita per due ore prima di soccombere alle ferite in ospedale.

L’esplosione ha scaraventato la porta della camera da letto verso di me e mia moglie mentre stavamo dormendo, poi sono corso in sala a cercare i bambini,” dice Alaa Adas, 55 anni, impiegato civile. “Mio figlio era lì, ma le mie figlie non rispondevano. Quando ho visto i loro capelli in mezzo alle macerie il cuore si è fermato.”

Scudo e Freccia”, un’operazione israeliana di bombardamento aereo a sorpresa che ha preso di mira il Jihad Islamico, la principale organizzazione armata dopo Hamas nella Striscia di Gaza assediata, è iniziata con l’omicidio mirato di Bahtini e la quasi contemporanea uccisione di altri due comandanti in un’altra zona della Striscia.

Israele sostiene di aver cercato di evitare vittime civili con “attacchi di precisione” che avrebbero preso di mira membri importanti delle fazioni di Gaza. Ma la tempistica e la ferocia dell’azione iniziale di “Scudo e Freccia” hanno portato a una nuova iniziativa delle associazioni israeliane per i diritti umani che sfida la Corte Suprema israeliana a iniziare indagini indipendenti riguardo alle vittime civili in base a una sentenza esistente, ma non applicata, sulla pratica delle uccisioni mirate.

Gli assassinii, avvenuti durante un cessate il fuoco, hanno portato il Jihad Islamico a rispondere con circa 1.500 razzi lanciati verso Israele nel corso di cinque giorni, prima che venisse negoziata una tregua con la mediazione dell’Egitto. La violenza ha lasciato a Gaza 33 vittime, tra cui almeno 10 donne e minori, e, secondo fonti ufficiali palestinesi, 103 abitazioni sono state distrutte e altre 2.800 danneggiate. Tre persone sarebbero state uccise da proiettili lanciati in modo errato dal Jihad Islamico all’interno della Striscia, e in Israele sono morti un’ottantenne e un lavoratore palestinese.

Dopo il cessate il fuoco il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha descritto “Scudo e Freccia” come “perfetta”, citandone i risultati militari.

Questo tipo di operazione israeliana è diventato più frequente. Da quando nel 2007 il movimento islamico si è impossessato del controllo sulla Striscia ci sono state quattro importanti guerre tra Hamas e Israele, l’ultima delle quali è stata combattuta per 11 giorni nel maggio 2021. Ma dal 2019 ci sono state anche tre operazioni minori, due delle quali sono state attacchi di sorpresa: in totale queste missioni più ridotte hanno ucciso circa 107 persone a Gaza, di cui almeno 42 erano civili.

Fonti ufficiali delle Israel Defence Forces [Forze di Difesa Israeliane(IDF)] affermano che le innovazioni tecnologiche e l’intelligenza artificiale permettono di far lavorare cellule di attacco che lavorano insieme a droni e aerei da guerra per individuare esattamente quali persone ed edifici dovrebbero essere presi di mira.

Ma per la popolazione di 2,2 milioni di persone intrappolate nella stretta Striscia queste operazioni a sorpresa stanno chiarendo che se un vicino è sulla lista nera di Israele anche altre famiglie sono in pericolo.

Non sapevo che ci fosse un comandante che viveva in questo edificio,” dice Abu Hamza, 55 anni, che abita in un grattacielo nel centro di Gaza City colpito a maggio e che ha ucciso un’importante figura del Jihad Islamico, Tareq Ezzedine, e i suoi figli di 12 e 8 anni, così come un dentista che viveva al piano inferiore, sua moglie e il figlio diciannovenne della coppia. “Se hanno queste armi così sofisticate, perché non possono colpire i bersagli quando sono in auto o da qualche altra parte, lontano da famiglie e persone innocenti che stanno dormendo?”

Organizzazioni palestinesi e israeliane per i diritti umani sostengono che le valutazioni di Israele riguardo all’accettabilità di vittime civili in attacchi aerei sono cambiate, nonostante una sentenza del 2006 della Corte Suprema israeliana affermi che le uccisioni mirate sono legali solo se vengono rispettate alcune condizioni, tra cui evitare il più possibile la morte di civili.

In passato fonti ufficiali israeliane hanno sostenuto di non sapere che donne e minori sarebbero rimasti uccisi in attacchi che prendevano di mira membri dei gruppi armati di Gaza. Ma durante “Scudo e Freccia” il linguaggio utilizzato dal governo e dalle IDF è sensibilmente cambiato, suggerendo che siano state invece prese delle misure per ridurre danni collaterali “necessari”.

Membri di estrema destra del nuovo governo israeliano hanno fatto campagna elettorale promettendo una “posizione più dura” nei confronti dei palestinesi e stanno anche cercando di indebolire i poteri della Corte Suprema, che gioca un importante ruolo di controllo ed equilibrio.

Il capo di stato maggiore dell’IDF Herzl Halevi ha affermato che l’aviazione ha effettuato “un’accurata azione che ha colpito obiettivi terroristi minimizzando il danno a terze parti. Se potessimo, avremmo agito senza colpire affatto persone non coinvolte, ma dobbiamo ricordare che i terroristi agiscono tra la popolazione civile e mettono in pericolo gli abitanti di Gaza.”

Le IDF sostengono che “Scudo e Freccia” è stata una risposta proporzionata contro la violenza proveniente dalla Striscia e che gli omicidi sono stati rinviati due volte per “garantire condizioni adeguate e minimizzare le vittime civili.”

Ma in base al fatto che la sentenza esistente della Corte Suprema sulle uccisioni mirate non viene applicata, la Commissione Pubblica contro la Tortura-Israele ( PCATI) e Yesh Gvul, una Ong che svolge un ruolo di controllo sull’esercito israeliano, recentemente hanno lanciato un esposto chiedendo al procuratore generale di Israele di avviare un’indagine indipendente sui danni ai civili di Gaza.

Se non viene formata una commissione indipendente per esaminare la legalità delle recenti azioni dell’esercito a Gaza, come previsto dalla Corte Suprema, Israele avrà reso evidente di non volere né essere in grado di rispettare le leggi internazionali e lo stato di diritto. Ciò consentirà l’intervento di istituzioni internazionali come la Corte Penale Internazionale,” afferma un comunicato delle due organizzazioni per i diritti umani.

Non solo Israele non ha finora condotto un’inchiesta indipendente, non ha neppure fornito alcuna prova che le persone prese di mira per l’omicidio rappresentassero un chiaro e imminente pericolo; per quanto ne sappiamo, le IDF non informano i vicini o i civili che si trovano nei pressi dell’imminente omicidio, né pare che cerchino attivamente di limitare i cosiddetti danni collaterali.”

In messaggi di commento via mail il portavoce del Ministero della Giustizia Efran Oren ha affermato che l’ufficio del procuratore generale ha ricevuto l’esposto e risponderà a tempo debito.

Tuttavia la questione delle uccisioni mirate ha una crescente importanza fuori dalla Striscia di Gaza. Nel 2022 e 2023 la Cisgiordania occupata ha assistito al maggior spargimento di sangue di qualunque altro periodo dalla Seconda Intifada, o rivolta palestinese, conclusasi nel 2005, e per la prima volta negli ultimi due decenni quest’anno Israele ha iniziato ad utilizzare droni armati e attacchi aerei nella città settentrionale di Jenin.

La Corte Suprema israeliana vede la sentenza [sulle indagini riguardo ai danni causati a civili dalle uccisioni mirate] come più applicabile alla Cisgiordania che a Gaza, in quanto non considera più Gaza come sotto occupazione,” afferma Michael Sfard, noto avvocato per i diritti umani, che ha presentato l’esposto alla procura generale per conto di PCAT e Yesh Gvul.

Quindi questo esposto è molto significativo. Ciò che interessa è che nel 2023 Israele sta utilizzando il pretesto di due decenni fa per fare i conti ora con la legalità e il diritto internazionale. Oggi sembra che il governo israeliano non finga più che le sue azioni siano in accordo con le sentenze di una magistratura indipendente… Non penso proprio che a questo governo importi.”

* Questo articolo è stato modificato il 19 luglio 2023. Una precedente versione affermava erroneamente che la descrizione di Benjamin Netanyahu di “Scudo e Freccia” come “perfetta” fosse “dovuta al basso numero di morti israeliani”. Il suo comunicato non cita il numero di morti israeliani (o le vittime civili palestinesi), ma riguarda l’uccisione di dirigenti del Jihad Islamico e la distruzione delle loro armi e centri di comando.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




La relatrice Speciale delle Nazioni Unite sulla Palestina: Israele ha trasformato tutta la Palestina in “una prigione a cielo aperto” per ulteriori piani di annessione

Jeff Wright

16 luglio 2023 – Mondoweiss

Il rapporto di giugno di Francesca Albanese al Consiglio per i Diritti Umani dell’ONU afferma che Israele usa mezzi fisici, burocratici, militari e di sorveglianza per “de-palestinizzare” il territorio occupato, minacciando “l’esistenza dei palestinesi come popolo”.

Nel suo rapporto di giugno al Consiglio per i Diritti Umani dell’ONU Francesca Albanese, Relatrice Speciale delle Nazioni Unite sulla Palestina, descrive in dettaglio come, attraverso “un sistema di controllo composto da livelli multipli e interconnessi di confinamento“, Israele “ha trasformato la vita dei palestinesi in un continuum carcerario” – equivalente, come scrive, a una prigione a cielo aperto costantemente sorvegliata.

Il suo rapporto documenta i tanti mezzi fisici, burocratici, militari e di sorveglianza che consentono il “sequestro arbitrario di terra e lo sfollamento forzato dei palestinesi” da parte di Israele: caratteristiche, scrive, del colonialismo di insediamento.

Lunedì, nel corso della presentazione del rapporto al Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, Albanese ha dichiarato: Questi reati sembrano far parte di un piano per de-palestinizzare il territorio. Minacciano l’esistenza dei palestinesi come popolo, come compagine nazionale coesa”.

Esperta di diritto internazionale, Albanese consente al lettore una visione dettagliata dello specifico attraverso una descrizione delle leggi internazionali riguardanti il diritto umanitario e il diritto penale, che nel loro insieme mostrano chiaramente l’illegalità delle azioni di Israele relative ai palestinesi in Cisgiordania (compresa Gerusalemme Est) e a Gaza.

È fondamentale, ha detto ai membri del Consiglio per i Diritti Umani, che la comunità internazionale riconosca l’illegalità dell’occupazione israeliana che conduce naturalmente all’apartheid. Questa non può essere rettificata. Non può essere resa più umana semplicemente affrontando alcune delle sue conseguenze più gravi. E’ necessario porvi fine, per ripristinare lo stato di diritto e la giustizia”.

Israele ha sempre negato che il diritto internazionale si applichi alle sue azioni nel territorio occupato, sostenendo che il territorio è conteso, non occupato. Il rifiuto da parte di Israele dell’applicabilità del diritto internazionale, riferisce la Relatrice Speciale, ha portato a violazioni dei principi fondamentali che regolano le situazioni di occupazione, tra cui l’impossibilità di acquisire una sovranità, i doveri di amministrare il territorio occupato a beneficio della popolazione protetta, e [il principio di] provvisorietà.”

In una conferenza stampa che ha fatto seguito alla pubblicazione della relazione di 21 pagine Albanese ha affermato di aver scritto il suo rapporto sul tema della privazione arbitraria della libertà “a causa della estrema gravità della situazione sul terreno“.

Il suo rapporto aggiorna la documentazione delle Nazioni Unite sulle politiche e pratiche israeliane familiari a molti: detenzione arbitraria e arresto senza mandato; incursioni notturne con arresto di minori; il sistema legale su due livelli in Cisgiordania, uno per i cittadini israeliani che vivono in insediamenti illegali, sotto la giurisdizione di tribunali civili, l’altro creato per i palestinesi, sotto l’amministrazione e il sistema giudiziario delle forze di occupazione; il blocco illegale della Striscia di Gaza; un sistema di autorizzazioni arbitrario privo di trasparenza; 270 colonie e basi militari che circondano città, paesi e villaggi palestinesi, impedendone l’espansione; il Muro, posti di blocco, blocchi stradali e strade divise con criteri di segregazione; e la parcellizzazione dei palestinesi in aree separate con leggi diverse che regolano quasi ogni aspetto della loro vita. “L’architettura di confinamento a più livelli”, la chiama nel suo rapporto.

Uno dei contributi significativi del rapporto della Relatrice Speciale è la sua descrizione della sorveglianza digitale da parte di Israele. L’interferenza con il diritto alla privacy, come l’uso di tecnologie di sorveglianza, è regolamentata dal diritto internazionale e deve essere utilizzata solo quando strettamente necessario.

Albanese scrive:

Al contrario, la sorveglianza digitale rafforza in modo pervasivo il controllo delle forze israeliane sullo spazio e sulla vita della popolazione occupata. I palestinesi sono costantemente monitorati attraverso telecamere a circuito chiuso e altri dispositivi ai posti di blocco, negli spazi pubblici, in occasione di eventi e proteste collettive. I loro spazi privati sono spesso invasi a loro insaputa, attraverso il monitoraggio su piattaforme online come Facebook di chiamate e conversazioni online considerate “minacciose” e il tracciamento della posizione e connessione dei telefoni cellulari per stabilire reti e potenziali associazioni, o persino attraverso le loro cartelle cliniche.

“L’occupazione”, riferisce Albanese, “ha favorito da parte di Israele lo sviluppo di potenti tecnologie di sorveglianza, tra cui riconoscimento facciale, droni e monitoraggio dei social media”. Descrive l’uso di sistemi israeliani – come Blue Wolf, Red Wolf e Wolf Pack – che contribuiscono al database israeliano di immagini, informazioni personali e valutazione di sicurezza dei palestinesi della Cisgiordania, compresi quelli che vivono in quartieri di Gerusalemme come Silwan e Sheikh Jarrah. Hanno “creato una ‘sorveglianza trasformata in gioco‘”, scrive Albanese, “in base alla quale le unità militari israeliane fotografano i palestinesi senza consenso impegnandosi persino in inquietanti competizioni“.

“La sorveglianza digitale serve in definitiva a facilitare la colonizzazione”, scrive.

Incaricata nel suo mandato di documentare la situazione dei diritti umani nei territori palestinesi, Albanese elenca anche le violazioni del diritto internazionale da parte delle autorità palestinesi che contribuiscono a rafforzare la morsa del regime imposto dall’occupazione”.

“Gli arresti e le detenzioni arbitrarie effettuati dall’Autorità Nazionale Palestinese in Cisgiordania e dalle autorità de facto nella Striscia di Gaza hanno contribuito a soffocare i diritti e le libertà dei palestinesi”, scrive. “Le organizzazioni per i diritti umani hanno documentato pratiche abusive, insulti, segregazione in celle di isolamento e percosse spesso per estorcere confessioni, punire e intimidire gli attivisti”, riferisce.

Albanese descrive come il coordinamento sulla sicurezza tra l’Autorità Nazionale Palestinese e Israele “ha aperto la strada a un collegamento diretto tra gli apparati di detenzione palestinesi e israeliani”. Le vittime palestinesi, scrive, sono affidate a una “politica della porta girevole”, un ciclo in cui “i palestinesi vengono prima arrestati, interrogati, detenuti e spesso sottoposti a maltrattamenti da parte dell’Autorità Nazionale Palestinese e poi, una volta rilasciati, dalle forze di occupazione, o vice versa.”

Mentre la Legge Fondamentale palestinese, emendata nel 2003, dovrebbe proteggere i diritti e le libertà fondamentali, Albanese scrive che altre leggi palestinesi ancora assegnano delle ampie interpretazioni ad alcuni reati [e] possono includere insulti o calunnie nei confronti di un pubblico ufficiale o di un’autorità superiore, diffamazione a mezzo stampa, o provocazione di un ‘conflitto settario’”.

I palestinesi sospettati di collaborare con Israele affrontano un trattamento ancora più severo”, scrive, e nella Striscia di Gaza possono essere puniti con la pena di morte”.

La relatrice speciale sottolinea anche come l’Autorità Nazionale Palestinese abbia fatto propria la repressione israeliana degli studenti nei campus palestinesi, “detenendo studenti e altri per opinioni politiche dissenzienti, comprese quelle condivise sui social media”.

Tra le conclusioni del suo rapporto:

    • Sotto l’occupazione israeliana generazioni di palestinesi hanno subito una diffusa e sistematica privazione arbitraria della libertà, spesso per i più elementari atti della vita…”.

    • Col privare i palestinesi delle protezioni garantite dal diritto internazionale l’occupazione li riduce a una popolazione ‘de-civilizzata’, spogliata del loro status di persone protette e dei diritti fondamentali. Trattare i palestinesi come una minaccia collettiva da recludere sottrae loro la protezione in quanto “civili” ai sensi del diritto internazionale, li priva delle loro libertà fondamentali e li espropria del loro libero arbitrio e possibilità di restare uniti, autogovernarsi e progredire sul piano politico… “

    • Col passare dalla sicurezza del potere occupantealla sicurezza delloccupazione stessaIsraele ha camuffato la sicurezzasotto la forma di controllo permanente del territorio che occupa e cerca di annettere…. Ciò ha radicato la segregazione, la sottomissione, la frammentazione e, in ultima analisi, l’espropriazione delle terre palestinesi e lo sfollamento forzato dei palestinesi”.

    • “… Sulla base della Carta delle Nazioni Unite e del diritto internazionale, in particolare la legge sulla responsabilità dello Stato, gli Stati terzi hanno il dovere di non favorire o legittimare l’apartheid coloniale di Israele…”

Albanese cita diversi modi per raggiungere la prima delle due raccomandazioni del suo rapporto: che “il sistema israeliano rivolto a privare arbitrariamente i palestinesi della loro libertà nel territorio palestinese occupato… sia abolito tout court”. La seconda raccomandazione invita il Procuratore della Corte Penale Internazionale ad esaminare, nell’ambito dell’indagine sulla Situazione in Palestina, la possibile perpetrazione dei crimini internazionali da lei descritti.

Alla richiesta di Mondoweiss di un parere sul rapporto della Relatrice Speciale Jonathan Kuttab, esperto di diritto internazionale e attivista per i diritti umani, ha affermato: A differenza di altri commentatori, la signora Albanese applica il diritto internazionale con immediatezza e specificità e non consente che le sue osservazioni vengano travisate da altri attraverso il silenzio o l’esplicita accettazione delle continue violazioni del diritto internazionale da parte di Israele. Altri agiscono come se tale silenzio persistente e prolungato avesse in qualche modo normalizzato o legittimato ciò che costituisce chiaramente un comportamento illegale e un insieme di flagranti violazioni delle norme imposte dal diritto internazionale in relazione al comportamento di una “potenza occupante” nei confronti di una “popolazione civile protetta”.

Essendole stato rifiutato l’ingresso nel territorio occupato da Israele, la Relatrice Speciale ha condotto il suo studio di sei mesi a distanza, con visite in Giordania, incontri e sopralluoghi virtuali, analisi di fonti primarie e pubbliche e [esame di] rapporti di organizzazioni della società civile palestinese.

Al momento della stesura di questo articolo, non abbiamo ancora visto una risposta dallo Stato di Israele. Ma le critiche sono attese a meno che, come successo per la riunione del Consiglio dei Diritti Umani di lunedì, Israele semplicemente ignori il rapporto.

In un articolo pubblicato all’inizio di questo mese Avi Shlaim, professore emerito di relazioni internazionali all’Università di Oxford, ha difeso Albanese dopo le accuse contro di lei di antisemitismo in risposta al suo rapporto di settembre. Schlaim ha scritto che l’approccio di Israele nei confronti delle Nazioni Unite, spesso caratterizzato da disprezzo, si trasforma in “derisione [che] lascia il posto a un’inesorabile denigrazione” di coloro che indagano sulle pratiche di Israele e cercano di indurlo a risponderne”.

“Albanese è un’ esperta internazionale straordinariamente competente e coscienziosa”, scrive Schlaim. Non merita altro che credito per il coraggio e l’impegno che ha dimostrato nell’adempimento del suo mandato presso le Nazioni Unite. Può persino esibire come simbolo d’onore la maggior parte degli attacchi contro di lei da parti sioniste.

“I tre pilastri principali dell’ebraismo sono verità, giustizia e pace”, scrive Schlaim. Albanese incarna questi valori in misura straordinariamente alta. E ci saranno molti ebrei in tutto il mondo, turbati dal tradimento da parte di Israele di questi fondamentali valori ebraici, soprattutto dopo la formazione del governo di coalizione violentemente anti-palestinese, di estrema destra, xenofobo, omofobo e apertamente razzista guidato da Benjamin Netanyahu, che dovrebbero ringraziarla per aver sostenuto questi valori in un momento critico della storia di Israele”.

I sostenitori di una pace giusta dovrebbero stampare il rapporto della Relatrice Speciale, aggiungere una breve nota personale e spedire copie evidenziate ai loro rappresentanti politici eletti e ai media locali.

(Traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Mekorot, l’impresa idrica nazionale di Israele, riduce la fornitura d’acqua a Betlemme e Hebron in Cisgiordania

Redazione The New Arab

16 luglio 2023The New Arab

L’Autorità idrica palestinese ha descritto come ‘razzista’ e ‘discriminatoria’ la decisione di ridurre la fornitura d’acqua a Betlemme e Hebron.

Sabato l’Autorità idrica palestinese (PWA) ha riferito che Mekorot, l’impresa idrica nazionale di Israele, ha ridotto la quantità giornaliera che fornisce a Betlemme e Hebron, nella Cisgiordania occupata.

La PWA ha detto che Mekorot ha ridotto la fornitura di circa 1.419 litri e sta privando i palestinesi dell’accesso all’acqua sufficiente, specialmente durante l’estate con le attuali alte temperature in Cisgiordania.

L’Autorità idrica ha continuato definendo “razzista” la decisione e precisando che “non ci sono motivi tecnici”.

“Non sono stati rilevati guasti alla sorgente, si tratta piuttosto di una misura discriminatoria che va ad aggiungersi alle politiche razziste messe in atto dalle autorità di occupazione,” continua l’Autorità citata da WAFA, l’agenzia di notizie ufficiale palestinese.

I palestinesi in Cisgiordania e nell’assediata Striscia di Gaza soffrono da tempo per le forniture idriche insufficienti e a causa della siccità, poiché Israele controlla l’80 % delle riserve d’acqua del territorio occupato.

A causa delle restrizioni soprattutto i contadini incontrano moltissime difficoltà a coltivare le proprie terre in Cisgiordania mentre i coloni illegali israeliani non devono affrontare gli stessi ostacoli.

Secondo la ONG israeliana B’tselem gli israeliani, inclusi i coloni illegali in Cisgiordania, consumano una media di 247 litri per persona al giorno, tre volte tanto i palestinesi che consumano una media di 82,4 litri al giorno.

A maggio di quest’anno l’ONG ha riferito che solo il 36% dei palestinesi in Cisgiordania ha l’acqua corrente ogni giorno.

In media il consumo d’acqua per palestinese è inferiore alla quantità raccomandata a livello internazionale dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) che prevede 100 litri. al giorno.

La differenza nelle forniture idriche fra palestinesi e israeliani è solo una delle discriminazioni che i palestinesi subiscono per mano degli israeliani, che occupano Cisgiordania e Gerusalemme Est dal 1967.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




“Unite the Union” condanna la legge britannica contro il boicottaggio e conferma il suo appoggio al BDS

Redazioni di Middle East Monitor e Palestine Chronicle

15 luglio 2023 – Palestine Chronicle

Venerdì 14 luglio Unite the Union, che rappresenta 1.2 milioni di lavoratori nel Regno Unito, ha approvato tre fondamentali mozioni riguardanti l’occupazione israeliana e la continua lotta dei palestinesi per la libertà.

Le risoluzioni riaffermano la costante solidarietà del sindacato con la lotta del popolo palestinese per la liberazione, il sostegno all’appello palestinese per una campagna di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni finché Israele non porrà fine alle violazioni dei diritti dei palestinesi ed ha anche condannato la legge contro il boicottaggio del governo britannico attualmente in discussione in una commissione alla Camera dei Comuni.

Nel suo congresso Unite the Union [il secondo sindacato britannico per numero di iscritti, ndt.] ha notato che l’anti-boicottaggio, impedendo a enti pubblici di interrompere rapporti finanziari con esse riguardo ad abusi o azioni illegali commessi in uno Stato estero, salvo previo esplicito consenso da parte del governo, protegge le imprese coinvolte in violazioni dei diritti umani o nella distruzione ambientale.

La legge viola anche i diritti degli affiliati al sistema pensionistico degli enti locali, tra cui i membri di Unite the Union, impedendo loro di scegliere come vengono investiti i propri fondi pensione.

Un’altra mozione, anch’essa approvata venerdì, afferma che il sindacato riconosce che Israele pratica il crimine di apartheid e chiede di revocare la proposta del governo britannico di un accordo di libero scambio con Israele.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Cisgiordania: indignazione dopo che le forze dell’Autorità Nazionale Palestinese hanno arrestato un giornalista

Fayha Shalash, Ramallah, Palestina occupata

15 luglio 2023 – Middle East Eye

L’arresto di Aqil Awawdeh segna l’ultima mossa di un evidente giro di vite contro il dissenso in tutta la Cisgiordania occupata

E’ esplosa la rabbia in tutti i territori palestinesi occupati dopo l’arresto di un importante giornalista da parte delle forze di sicurezza dell’Autorità Nazionale Palestinese.

La famiglia di Aqil Awawdeh ha detto che le forze del Servizio di Sicurezza Preventivo Palestinese hanno fatto irruzione nel suo posto di lavoro a Ramallah nel pomeriggio di giovedì, lo hanno arrestato e trasferito in una destinazione ignota.

L’arresto è avvenuto dopo che ha pubblicato un breve video che contestava un’affermazione del portavoce dei servizi di sicurezza palestinesi secondo cui non vi erano detenuti politici nelle loro prigioni.

Alcune ore dopo il suo arresto l’associazione Avvocati per la Giustizia ha annunciato che la detenzione di Awawdeh era stata prorogata fino a domenica.

Il capo dell’associazione, l’avvocato Muhannad Karaja, ha detto a Middle East Eye di aver potuto far visita a Awawdeh per pochi minuti in modo da ottenere il suo consenso alla nomina di un avvocato difensore per seguire il procedimento giudiziario.

Secondo Karaja il giornalista è detenuto dall’Ufficio del Pubblico Ministero con accuse di “incitamento al conflitto razziale” sulla base di post su social media attribuiti a Awawdeh.

Domenica si terrà una seduta investigativa su di lui ed è possibile che venga rilasciato dal Pubblico Ministero, o che venga prolungata la sua detenzione in tribunale, o che venga formulata un’incriminazione”, ha aggiunto.

L’associazione ha condannato l’arresto di attivisti, come anche la Cybercrime Law (legge sui crimini informatici) dell’ANP, che secondo loro aveva di fatto legalizzato la repressione delle libertà pubbliche e dei diritti costituzionali.

Secondo l’associazione la legge viola la Legge Fondamentale palestinese e gli standard internazionali sui diritti umani, compresa la Convenzione Internazionale sui Diritti Civili e Politici.

La Cybercrime Law è stata approvata nel 2017 dopo la promulgazione del presidente dell’ANP, Mahmoud Abbas. Nonostante le critiche alla legge da parte di istituzioni della società civile, soprattutto le associazioni per i diritti umani, essa è ancora in vigore.

Come risultato, decine di palestinesi sono stati arrestati e sono state presentate denunce.

Decine di prigionieri

La questione della detenzione politica è un punto dolente per molti palestinesi, accanto alle critiche complessive sui servizi di sicurezza palestinesi nella Cisgiordania occupata.

Asmaa Harish, attivista per i diritti umani e giornalista, ha detto che 40 prigionieri sono stati trattenuti dai servizi di sicurezza palestinesi con motivazioni politiche.

Ha aggiunto che dall’inizio del 2023 si sono verificati più di 300 casi di arresti politici nella Cisgiordania occupata, inclusi studenti universitari, giornalisti e attivisti.

In particolare i giornalisti hanno subito dall’inizio dell’anno molti arresti e aggressioni, comprese campagne di diffamazione e istigazione da parte dei servizi di sicurezza, oltre a ripetute minacce di arresto e di sospensione dal lavoro”, ha spiegato Harish.

Ha detto che le affermazioni che non ci sarebbero detenuti politici dimostrano “una mancanza di rispetto verso le opinioni dei palestinesi”, che vedono ogni giorno la dimensione delle violazioni della loro libertà di esprimere la propria opinione.

Per esempio, la campagna di istigazione contro la rete di informazione internazionale Al Jazeera è un aspetto di ciò che subiscono i giornalisti da parte dell’Autorità Nazionale Palestinese, oltre a molte altre reti di informazione.”

Il sindacato dei giornalisti palestinesi ha condannato l’arresto di Awawdeh e ha chiesto il suo immediato rilascio, affermando che il suo arresto costituisce una grave violazione della libertà di opinione e del diritto di esprimerla.

La tempistica dell’arresto nella sera di giovedì alla vigilia del weekend, che si estende fino al mattino della domenica, mira a impedire il suo veloce rilascio”, ha affermato l’associazione in una dichiarazione.

I servizi di sicurezza palestinesi hanno trattenuto molti studenti dell’università di Birzeit per più di un mese, incluso il capo de consiglio studentesco, Abdul Majeed Hasan. La loro detenzione è stata prorogata diverse volte dopo la loro partecipazione alle elezioni studentesche in maggio.

L’avvocato Mustafa Shatat ha detto che gli studenti sono stati torturati durante l’arresto e nell’ultima udienza in tribunale uno di loro, Yehia Farah, ha urlato: “Portatemi fuori di qui, voglio andare a casa”.

Sabato mattina fonti locali hanno comunicato che i servizi di sicurezza palestinesi hanno anche arrestato sei studenti dell’università nazionale Al-Najah di Nablus, a causa della loro partecipazione all’organizzazione di una cerimonia di laurea tenuta dal Blocco islamico alcuni giorni fa.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Gerusalemme: un giornalista vestito da religioso cristiano preso a sputi dai coloni

Redazione di MEMO

11 luglio 2023 – Middle East Monitor

Una prova scioccante dell’incremento del numero di attacchi nei confronti dei palestinesi cristiani da parte di coloni israeliani è stata ripresa da un giornalista israeliano che si è vestito da religioso e ha camminato per le strade di Gerusalemme occupata.

Yossi Eli di Canale 13 voleva vedere con i propri occhi la spirale dei crimini d’odio contro i cristiani. Cinque minuti dopo essersi vestito con un saio francescano, Padre Alberto, Eli è stato preso a sputi per cinque volte da coloni israeliani ebrei.

Il video dell’aggressione da parte dei coloni è stato caricato da Eli su Twitter con commenti in cui egli ha respinto i tentativi di minimizzare la spirale dei crimini d’odio contro i cristiani.

“La giustificazione di alcuni gruppi ebrei per i crimini d’odio è che sono ‘malati di mente’,” ha detto Eli. “Non è così. La nostra inchiesta ha provato che gli attacchi non arrivano veramente da malati di mente, ma da gente con una chiara opinione che semplicemente odia qualcosa che non è. Lavaggio del cervello che Gesù è cattivo. Giovani estremisti, bambini, e molto tristemente soldati, ‘il sale della terra’, esprimono il loro odio verso la cristianità.”

Eli ha chiesto quale reazione ci sarebbe stata se fossero stati gli ebrei e non i cristiani a ricevere sputi. “Pensate solo alla reazione che ci sarebbe stata da parte di quegli ebrei se un cristiano avesse sputato su di loro in Europa”, ha affermato, aggiungendo che essere un religioso cristiano per un giorno “è stato molto difficile da digerire”.

L’inchiesta di Eli è stata fatta nel contesto di un preoccupante aumento di crimini d’odio contro le comunità cristiane indigene di Palestina. Il custode del Vaticano in Terra Santa, padre Francesco Patton, ha accusato i politici israeliani per l’aumento di attacchi anti-cristiani da parte di coloni ebrei.

Secondo un reportage di Haaretz, Patton ha citato la profanazione di un cimitero luterano, la vandalizzazione di una sala di preghiera maronita e la scritta “morte ai cristiani” su una proprietà armena, tutto nello spazio di poche settimane. Ha anche indicato “la responsabilità dei leader, di chi è al potere.”

In un precedente avvertimento relativo agli attacchi ai cristiani in Palestina, Patton aveva affermato che essi affrontano “la minaccia di estinzione” da parte di gruppi israeliani “radicali.”

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Coloni ebrei illegali si sono impadroniti della casa della famiglia Sub Laban nella città vecchia di Gerusalemme

Redazione di Palestine Chronicle (PC, WAFA)

11 luglio 2023 – Palestine Chronicle

WAFA, l’agenzia di notizie ufficiale palestinese, ha riferito che martedì coloni ebrei illegali si sono impadroniti della casa della famiglia Sub Laban nella città vecchia di Gerusalemme.

I coloni, scortati dalle forze di occupazione israeliane, hanno fatto irruzione nella casa della famiglia e hanno cacciato con la forza gli abitanti, arrestando nel contempo gli attivisti che offrivano supporto alla famiglia.

Secondo l’organizzazione per i diritti umani Al-Haq con sede a Ramallah, le autorità di occupazione israeliane “hanno emesso nei confronti di Nora Ghaith di 69 anni e di suo marito Mustafa Sub Laban di 72 anni un avviso di sfratto obbligatorio, ordinando loro di sloggiare dalla loro casa.

Per più di 40 anni la famiglia Sub Laban è stata coinvolta in una battaglia legale contro i gruppi di coloni illegali e le autorità israeliane di occupazione per espellerli e appropriarsi della loro casa.

Molti anni fa coloni ebrei illegali si sono appropriati della parte superiore dell’edificio, mentre la casa della famiglia Sub Laban è rimasta nella parte centrale dell’edificio, circondata da colonie da tutti i lati.

La famiglia ha affittato la casa nel 1953 dal regno di Giordania e le era stato concesso il diritto a un affitto protetto, ma dopo l’occupazione di Gerusalemme la casa venne messa sotto la gestione della cosiddetta custodia delle proprietà degli assenti, affermando che tale proprietà apparteneva ai coloni illegali, cosa che è stata categoricamente negata dalla famiglia.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Il raid su Jenin è finito. I palestinesi sono soli ad affrontare il trauma

Virginia Pietromarchi

10 luglio 2023 – Al Jazeera

I palestinesi setacciano le macerie delle loro case distrutte e della loro psiche danneggiata.

Jenin, Cisgiordania occupata Ogni mattina Fatima Salahat, madre di quattro figli, si svegliava alle 7, si alzava dal letto ed entrava in punta di piedi nella cucina della sua casa nel campo profughi di Jenin nella Cisgiordania occupata.

Mentre suo marito Zeid era ancora immerso nel sonno lei iniziava la giornata con la musica della star libanese Fairuz, spesso la stessa canzone di continuo.

La via del nostro amore era la sua preferita”, racconta Zeid, un paramedico di 56 anni. Ma ora non riesco a trovare niente in quella canzone. Quei momenti felici sono persi.

Ora Fatima giace su un letto d’ospedale. Riesce a parlare e camminare con difficoltà dopo aver avuto un attacco di panico che secondo i medici è collegato allo stress causato dalla più devastante offensiva militare israeliana sul campo profughi in circa 20 anni.

La scorsa settimana più di 1.000 soldati israeliani hanno preso d’assalto il campo sovraffollato mentre razzi e missili drone hanno colpito case private e infrastrutture pubbliche. Nessuno era in grado di prevedere da dove sarebbe arrivato il bombardamento successivo.

Il secondo giorno dell’attacco Fatima, di 54 anni, ha iniziato a mostrare dei sintomi. Era facilmente irritabile, nervosa e tesa in un costante stato di allerta fino a quando non ha raggiunto un punto di rottura ed è stata portata all’ospedale pubblico di Jenin.

La sua condizione è tutt’altro che un caso isolato. All’indomani dell’offensiva in cui le forze israeliane hanno ucciso 12 palestinesi, gli abitanti si sono trovati non solo a setacciare le macerie delle loro case distrutte ma anche a fare i conti con il pesante carico emotivo inflitto da ogni attacco israeliano.

Un trauma collettivo a più strati

In Occidente lo chiamano disturbo da stress post-traumatico o PTSD. Metto in dubbio l’uso del termine qui perché in Palestina non ci siamo mai trovati nel post“, afferma Samah Jabr, responsabile dell’Unità di Salute Mentale dell’Autorità Nazionale Palestinese.

L’ultimo raid, dicono gli esperti, ha aggiunto un altro strato al trauma collettivo sofferto dai palestinesi che vivono sotto occupazione, esacerbando ferite che non hanno avuto la possibilità di rimarginarsi da generazioni.

Israele ha affermato che il raid aveva lo scopo di “ripulire” un “covo di terroristi”, ma gli esperti delle Nazioni Unite hanno affermato che l’assalto costituisce una punizione collettiva contro i palestinesi e potrebbe configurarsi come un crimine di guerra.

Gli abitanti adulti del campo profughi hanno raccontato ad Al Jazeera di essere perseguitati dagli stessi incubi che hanno seguito le offensive militari israeliane dei decenni passati.

Gli adolescenti, che hanno appena subito l’attacco più aggressivo nel corso della loro giovane vita, ora chiedono di essere accompagnati in bagno e si rifiutano di dormire da soli.

“Il trauma è persistente, cronico, storico ed intergenerazionale”, afferma Jabr. Ha evidenziato come il feroce assalto abbia colpito anche la psiche dei palestinesi fuori Jenin perché le immagini che mostrano migliaia di persone che evacuano il campo nel cuore della notte con solo i vestiti addosso ricordano a molti la Nakba.

La Nakba, che in arabo significa “catastrofe”, si riferisce a quando nel 1948 750.000 palestinesi furono spazzati via dalle loro città e villaggi subendo una pulizia etnica per far posto alla fondazione di Israele.

Il campo di Jenin è stato istituito nel 1953 per rifugiati provenienti da più di 50 villaggi e città nelle parti settentrionali della Palestina, principalmente Haifa e Nazareth. Da allora è stato l’obiettivo di continui raid militari israeliani.

Durante l’Intifada del 2002 le forze israeliane hanno spazzato via intere zone del campo e ucciso 52 palestinesi in 10 giorni di combattimenti, che hanno anche determinato la morte di 23 soldati israeliani.

Più di un quarto della popolazione del campo fu costretto a fuggire da quello che era diventato un campo di battaglia, o “Jeningrad”, come lo definì il defunto leader palestinese Yasser Arafat in riferimento all’assedio nazista della città russa di Stalingrado durante la seconda guerra mondiale.

“D’improvviso è tornata la stessa paura”

“Questa è stata la mia terza Nakba”, ha detto Afaf Bitawi, abitante nel campo, a proposito dell’offensiva israeliana della scorsa settimana.

Pur non essendo ancora nata, la 66enne ha vissuto gli eventi del 1948 attraverso le storie dolorose raccontate dai suoi genitori. Ha anche assistito in prima persona all’impatto persistente dell’occupazione, ricordando ogni dettaglio dell’attacco del 2002 che ha lasciato la sua casa in rovina.

“La stessa identica domanda: dovrei uscire di casa e rischiare di essere colpita da un cecchino, o dovrei abbandonarla e temere che un bulldozer possa demolirla?” dice Bitawi, descrivendo come si è sentita durante il recente raid. “Quella stessa paura, quella stessa domanda e il trauma sono tornati all’istante.”

Gli esperti hanno affermato che questo ciclo continuo di traumi si consolida ulteriormente con ogni successiva operazione militare. E per quanto oggi potrebbe esserci più consapevolezza e disponibilità ad accedere ad un supporto per la salute mentale i bisogni sono enormi.

Secondo i dati dell’Ufficio Centrale di Statistica Palestinese nella Cisgiordania occupata più della metà delle persone di età superiore ai 18 anni soffre di depressione. Nella Striscia di Gaza assediata, la cifra è del 70%.

Le condizioni di vita nel campo di Jenin non aiutano. Più di 11.200 persone vivono ammassate in un’area inferiore a mezzo chilometro quadrato senza un solo spazio verde e con uno dei tassi di disoccupazione più alti di tutti i campi profughi della Cisgiordania occupata.

Alcune ONG danno un po’ di sollievo offrendo sostegno psicologico alle famiglie o organizzando attività ricreative, soprattutto per i bambini. L’anno scorso è stata addirittura lanciata la prima start up per la salute e il benessere mentale, Hakini.

Ma troppo spesso un amico o un parente viene ucciso o veicoli blindati e uomini armati vagano per le strade del campo rendendo impossibile qualsiasi duraturo sollievo dallo stress e provocando nuovi traumi.

Manassa Yacoub, 13 anni, dalla morte dell’amica Sedil Naghniyeh mangia poco o niente. La quindicenne era stata uccisa durante il raid israeliano alla fine di giugno.

Da allora non dorme mai sola. E’ sempre silenziosa. Ha persino paura di usare l’altalena nel nostro cortile. La guarda solo da lontano, dice suo padre Sami Yacoub, 43 anni, proprietario di un negozio di telefonia mobile.

Garantire la persistenza del trauma

Ci sono altri ostacoli nell’affrontare i problemi di salute mentale.

Vivere sotto un’occupazione vecchia di decenni ha creato un’ulteriore pressione a che i palestinesi si impegnassero nella lotta di resistenza – una cosa, dichiarano i palestinesi, che è stata loro imposta da Israele.

Gli israeliani si assicurano che ogni generazione abbia il proprio personale trauma – è un trauma prefabbricato, afferma Nasser Mattat, psicologo dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati Palestinesi che nel 2022 ha gestito il pronto intervento di salute mentale per i bambini.

Molti dei combattenti nel campo di Jenin oggi sono gli stessi bambini traumatizzati vent’anni fa, dice.

“Il trauma subito oggi porterà a ulteriori violenze perché non viene affrontato”, conclude Mattat.

(Traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Il capo delle Nazioni Unite si rifiuta di ritirare la condanna del raid israeliano a Jenin

Associated Press

8 luglio 2023 AlJazeera

L’ambasciatore israeliano alle Nazioni Unite attacca il segretario generale Antonio Guterres per le sue critiche al raid militare israeliano su Jenin.

L’ambasciatore israeliano alle Nazioni Unite ha invitato il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres a ritirare la sua condanna dell’esercito israeliano per l’uso eccessivo di forza e per aver arrecato danni ai civili durante il devastante raid nel campo profughi di Jenin nella Cisgiordania occupata.

Il vice portavoce delle Nazioni Unite Farhan Haq ha risposto venerdì dicendo che Guterres aveva espresso le sue opinioni sull’operazione di Israele nel campo profughi di Jenin “e conferma quelle opinioni”.

Guterres, adirato per gli attacchi aerei israeliani su Jenin e per il pericolo costituito per la popolazione civile, giovedì ha rilasciato una dichiarazione in cui afferma che l’assalto ha provocato il ferimento di oltre 100 civili, lo sradicamento di migliaia di residenti, il danneggiamento di scuole e ospedali e la distruzione di reti idriche ed elettriche.

Gli attacchi aerei e le operazioni di terra di Israele in un affollato campo profughi sono stati la peggiore violenza in Cisgiordania da molti anni, con un notevole impatto sui civili”, ha detto Guterres.

Il capo delle Nazioni Unite ha anche criticato Israele per avere durante il raid militare impedito ai feriti di ricevere cure mediche e agli operatori umanitari di raggiungere chi necessitava aiuto, provocando la morte di 12 palestinesi e circa 100 feriti.

Anche un soldato israeliano è stato ucciso.

L’ambasciatore israeliano alle Nazioni Unite Gilad Erdan ha definito le critiche del capo delle Nazioni Unite all’assalto militare israeliano “vergognose, inverosimili e completamente distaccate dalla realtà”.

Su richiesta degli Emirati Arabi Uniti il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha discusso venerdì a porte chiuse dell’operazione israeliana a Jenin e ha ricevuto un briefing dall’assistente del segretario generale delle Nazioni Unite Khaled Khiari.

Prima della riunione del Consiglio l’ambasciatore Erdan ha inviato una lettera ai 15 membri e a Guterres in cui affermava che “la comunità internazionale e il Consiglio di Sicurezza devono condannare incondizionatamente gli ultimi attacchi terroristici palestinesi e ritenerne responsabile la leadership palestinese”, affermando che a Jenin le forze israeliane “si sono concentrate esclusivamente” sugli autori di “atti di terrore contro civili israeliani innocenti”.

In una dichiarazione di mercoledì tre esperti indipendenti di diritti umani hanno affermato che gli attacchi aerei israeliani e le azioni di terra a Jenin “equivalgono a gravi violazioni del diritto internazionale e degli standard sull’uso della forza e possono costituire un crimine di guerra”.

Venerdì il Consiglio di Sicurezza non ha preso provvedimenti.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Le truppe israeliane uccidono tre palestinesi in Cisgiordania

Maureen Clare Murphy

7 luglio 2023, ElectronicIntifada

Le forze israeliane hanno ucciso tre palestinesi nella Cisgiordania occupata venerdì, il giorno dopo che un soldato era stato ucciso a colpi di arma da fuoco in una colonia.

Venerdì pomeriggio Abd al-Jawad Hamdan Saleh, 24 anni, è morto dopo essere stato colpito al petto dalle truppe nel villaggio di Um Safa, vicino alla città di Ramallah nel cuore della Cisgiordania.

Le forze israeliane si erano schierate a Um Safa al momento della preghiera del venerdì nella piazza della città, prima di una marcia di protesta contro un vicino avamposto coloniale.

Un membro del consiglio del villaggio ha detto a WAFA, l’agenzia di stampa ufficiale palestinese, che i soldati hanno chiuso tutti gli ingressi a Um Safa e si sono appostati sui tetti degli edifici più alti.

Nel contempo i coloni, scortati dai militari, hanno attaccato gli abitanti del villaggio.

Um Safa è stata oggetto di crescenti vessazioni da parte dei coloni israeliani, che il mese scorso hanno distrutto gli arboscelli di ulivo del villaggio.

Alla fine di giugno i coloni, alcuni armati di fucili, hanno appiccato il fuoco a case e veicoli nel villaggio protetti dalla polizia di frontiera paramilitare israeliana dopo che quattro israeliani erano stati uccisi in un attacco a fuoco in una colonia. Secondo WAFA “i coloni infuriati “hanno sparato indiscriminatamente contro tutto ciò che incontravano, comprese case e veicoli”.

All’alba dello stesso giorno due uomini sono stati uccisi dalle forze israeliane nella città di Nablus, nel nord della Cisgiordania, in quella che potrebbe essere considerata un’esecuzione extragiudiziale.

Le truppe hanno preso d’assalto un quartiere nella Città Vecchia di Nablus e hanno circondato un edificio attaccandolo con pesanti colpi di arma da fuoco, intimando ai due uomini di arrendersi.

Le autorità israeliane hanno affermato che i due uomini – Khairi Shahin, 34 anni, e Hamza Maqbul, 32 – sono stati “uccisi durante uno scontro a fuoco con le nostre forze”.

Tuttavia dei testimoni oculari palestinesi hanno detto ai giornalisti che gli uomini sono stati uccisi dopo che avevano deposto le armi e chiesto alle truppe di non sparare.

Un testimone oculare ha detto ai media di aver sentito un soldato parlare con uno degli uomini che si trovava all’interno della casa dicendogli di arrendersi. L’uomo ha risposto di essere disarmato ma di avere paura ad uscire perché i soldati avrebbero potuto sparargli.

Dopo circa 10 minuti di trattative l’uomo ha accettato di uscire – e lo ha fatto con le mani alzate seguendo tutte le indicazioni del soldato. Nonostante le esplicite promesse a voce del soldato che non gli avrebbero sparato se si fosse arreso, secondo il testimone oculare l’uomo è stato ucciso dagli israeliani pochi secondi dopo essere uscito dalla casa.

Israele afferma che gli uomini uccisi a Nablus venerdì avevano sparato mercoledì ad un’auto della polizia in una colonia vicino a Nablus. Nellattacco c’erano stati danni ma nessun ferito.

Giovedì un soldato israeliano della Brigata Givati era stato ucciso nei pressi della colonia di Kedumim, nel nord della Cisgiordania.

Il soldato è stato “ucciso da un aggressore palestinese seduto in un’auto fermata per controlli dalla pattuglia di sicurezza vicino alla colonia”, ha riferito il quotidiano di Tel Aviv Haaretz.

L’uomo palestinese presumibilmente armato, Ahmad Yassin Ghaidhan, un 19enne del villaggio di Qibya, è stato ucciso dalle truppe.

All’alba di venerdì i soldati hanno fatto irruzione nel villaggio di Qibya e hanno preso le misure della casa appartenente alla famiglia di Ghaithan in preparazione della sua demolizione. Israele demolisce sistematicamente le case dei palestinesi accusati di attacchi con un atto di punizione collettiva proibito dal diritto internazionale.

Hamas ha rivendicato l’attacco a Kedumim.

Il gruppo di resistenza ha avvertito Bezalel Smotrich – il Ministro delle Finanze israeliano che vive a Kedumim e vuole imporre il dominio teocratico ebraico in tutta la Palestina storica – che i suoi militanti “hanno quasi bussato alla sua porta”.

Le Brigate Qassam, il braccio armato di Hamas, hanno dichiarato giovedì di essere responsabili anche dell’attentato del 20 giugno nella colonia di Eli durante il quale sono rimasti uccisi quattro israeliani. Le Brigate Qassam hanno affermato che è stato in risposta al raid su Jenin di due giorni prima che aveva provocato la morte di sei palestinesi.

Hamas ha affermato di essere anche responsabile di un attacco con auto, speronamento e accoltellamento a Tel Aviv martedì in cui sono rimasti feriti sette israeliani, alcuni dei quali gravemente. Il presunto assalitore palestinese è stato colpito e ucciso sul posto.

Abu Obaida ha affermato che gli attacchi a Tel Aviv e Kedumim sono stati “in risposta ai crimini del nemico a Jenin”.

All’inizio di questa settimana almeno 12 palestinesi e un soldato israeliano erano rimasti uccisi nell’offensiva militare di due giorni nella città di Jenin, nel nord della Cisgiordania – la più vasta operazione in Cisgiordania in circa due decenni.

Israele ha lanciato attacchi aerei e un assalto di terra, provocando un’ampia distruzione nel campo profughi di Jenin.

Venerdì Antonio Guterres, il segretario generale delle Nazioni Unite, ha detto di essere “profondamente turbato” dagli eventi di Jenin, affermando che “In questa circostanza le forze israeliane hanno fatto chiaramente uso di forza eccessiva“.

Un gruppo di esperti indipendenti dei diritti umani delle Nazioni Unite ha affermato mercoledì che gli attacchi aerei e l’invasione da parte di Israele possono costituire un crimine di guerra.

Secondo il monitoraggio di The Electronic Intifada dall’inizio dellanno più di 190 palestinesi sono stati uccisi dalla polizia, dai soldati e dai coloni israeliani, o sono morti per le ferite riportate. Tra loro c’erano 33 ragazzi e ragazze.

Il numero di vittime palestinesi nel 2023 ha già sorpassato quello dell’anno precedente. Durante lo stesso periodo in Israele e in Cisgiordania trenta persone tra cui cinque bambini sono state uccise dai palestinesi nel contesto dell’occupazione, o sono morte per ferite riportate in precedenza.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)