Hamas ha sovvertito lo status quo

Omar Karmi  

28 ottobre 2023 – The Electronic Intifada

Mentre Israele entra nella fase due del suo attacco contro Gaza, ci sono molte congetture su cosa l’esercito israeliano affronterà sul terreno.

La risposta dipende da come Hamas aveva previsto sarebbe stata la risposta di Israele alla sua operazione del 7 ottobre Inondazione Al-Aqsa.

Ciò a sua volta solleva la domanda dei motivi per cui Hamas ha fatto quello che ha fatto e quando.

Rappresentanti di Hamas hanno detto di non aver avuto altra scelta che agire. Avendo visto regredire negli ultimi decenni le aspirazioni dei palestinesi di porre fine all’occupazione israeliana tra l’apatia internazionale qualcosa doveva cambiare.

Abbiamo bussato alla porta della riconciliazione e non ci hanno fatti entrare,” ha detto Musa Abu Marzouk, leader di Hamas, al The New Yorker all’inizio di questo mese.

Abbiamo bussato alla porta delle elezioni e ne siamo stati privati. Abbiamo bussato alla porta di un documento politico per tutto il mondo – abbiamo detto: ‘Vogliamo la pace, ma dateci qualcuno dei nostri diritti –, ma non ci hanno lasciati entrare. Abbiamo provato tutte le strade. Non abbiamo trovato un percorso politico per uscire da questo pantano e liberarci dall’occupazione.”

Di sicuro il contesto dell’attacco conferma la spiegazione di Abu Marzouk.

Settantacinque anni dopo essere stati espulsi con la forza dalla Palestina nel 1948, 56 anni vissuti sotto l’occupazione militare, 30 anni di un “processo di pace” che ha solamente permesso a Israele di consolidare la sua occupazione in Cisgiordania e 16 anni di blocco a Gaza che ha reso impossibili una vita normale e un’economia normale, generazioni di palestinesi sono vissuti e morti senza poter sperare in un futuro migliore.

Altrettanto determinante nell’attuale situazione è stato il consenso dell’Occidente alla pericolosa illusione di Israele che avrebbe potuto gestire la sua occupazione indefinitamente.

Nonostante l’unanime consenso internazionale alla soluzione dei due Stati– condivisa da USA, Regno Unito, Europa, Lega Araba, Unione Africana, Russia, Cina – dalla firma degli accordi di Oslo nel 1993 non c’è mai stata una seria pressione su Israele affinché si ritirasse dall’occupazione, rinunciasse al suo progetto di colonizzazione e ponesse fine al suo dominio militare sui palestinesi della Cisgiordania occupata e della Striscia di Gaza.

Se non ora?

Anzi, tutto il contrario. Anche se le circostanze sul terreno per i palestinesi peggioravano drammaticamente, i leader israeliani erano abbastanza decisi nell’opporsi a uno Stato palestinese, mentre le colonie si espandevano e i coloni estremisti erano incoraggiati a scatenare attacchi violenti, mentre le organizzazioni per i diritti umani in tutto il mondo denunciavano Israele quale Stato di apartheid, mentre la popolazione di Gaza sprofondava nella morsa della povertà e della decrescita, mentre i razzisti duri e puri ricoprivano le posizioni più alte del governo israeliano, l’Occidente restava indifferente fino ad essere complice.

Anche i cosiddetti accordi di Abramo sono stati decisivi. Che i Paesi arabi cercassero accordi di normalizzazione con Israele quando non c’erano segni di alcun progresso verso la fine dell’occupazione o della soluzione alla questione palestinese, ha dato l’impressione che anche loro fossero pronti a lasciare i palestinesi isolati.

Questa prospettiva era aggravata dalle notizie che anche un accordo di normalizzazione con l’Arabia Saudita fosse imminente.

Tutto indicava che Israele stava gestendo con successo la sua occupazione.

Aveva in gran parte represso tutte le minacce armate in Cisgiordania, dove è aiutato non poco dall’Autorità Palestinese. Ha confinato Hamas a Gaza, dove ha creduto di aver trovato un modus operandi per cui i fondi dal Qatar e qualche permesso di lavoro in più avrebbero mantenuto la zona abbastanza tranquilla da essere accettabile.

Nel frattempo l’unico piano politico che sembrava guadagnare terreno era quello del ministro israeliano delle Finanze Bezalel Smotrich [politico dell’estrema destra dei coloni, ndt.], che nel 2017 stilò quello che lui ha chiamato un “piano decisivo”.

Quel piano contemplerebbe l’annessione ad Israele di tutti i territori occupati dopo una massiccia espansione delle colonie e lascerebbe ai palestinesi la scelta fra restare come cittadini di seconda classe o andarsene. Dei “terroristi” che sceglieranno di stare, ma non di accettare la subordinazione, se ne “sarebbe occupato” l’esercito israeliano.

In effetti il piano è una formalizzazione della situazione attuale.

L’accesso di Smotrich e del suo compare suprematista Itamar Ben-Gvir nel 2022 a posizioni al più alto livello del governo è stato solo un segnale del sostegno dello Stato israeliano alla continuazione dell’occupazione – non che ci abbiano pensato più di tanto. Nelle cinque elezioni che Israele ha tenuto negli ultimi quattro anni il tema dell’occupazione è a malapena stato menzionato.

Qualcosa doveva cambiare.

Mesi di preparazione

L’operazione Inondazione Al-Aqsa è stata chiaramente preparata nel corso di mesi e a detta di tutti condotta nella più totale segretezza, e persino i leader politici di Hamas non erano al corrente di tempi e modi.

Il 7 ottobre Hamas è riuscito a penetrare contemporaneamente in decine di punti e con numeri senza precedenti il “muro intelligente” che Israele aveva finito di erigere intorno a Gaza nel 2022, usando droni per abbattere le telecamere di sorveglianza e tattiche diversive come lancio di razzi e motociclette agganciate a parapendii a motore.

I primi obiettivi sembravano chiari. I combattenti hanno attaccato parecchie basi militari intorno a Gaza, uccidendo e catturando dei soldati con l’idea di portarli a Gaza e scambiarli con prigionieri palestinesi detenuti da Israele.

Quale fosse il piano dopo di ciò è meno chiaro. La risposta dell’esercito israeliano è stata imprevedibilmente lenta e quando a Gaza si è diffusa la notizia delle brecce nel muro, altri, tra cui altre organizzazioni della resistenza, hanno cominciato ad affluire oltre la frontiera.

Hamas ha negato di aver preso di mira i civili. Ma, mentre alcune delle affermazioni più raccapriccianti su cosa sia successo – per esempio, la notizia che 40 neonati fossero stati decapitati – sono state discretamente lasciate cadere e mentre sono ancora da definire i numeri degli israeliani uccisi nel fuoco incrociato all’arrivo dell’esercito israeliano, è chiaro che il 7 ottobre centinaia di civili hanno perso la vita.

Certamente Israele ha usato come arma le notizie di atrocità per far montare l’ardore guerresco in Israele e proteggersi da critiche esterne o richiami alla moderazione.

Il numero di funzionari israeliani, militari o politici, del passato o attualmente in carica che hanno utilizzato un linguaggio genocida deve aver fatto aprire gli occhi ad almeno alcuni dei giornalisti e politici stranieri.

È altrettanto certo che Hamas si aspettasse una massiccia risposta israeliana per ripristinare la sua deterrenza dopo quello che l’organizzazione aveva chiaramente pianificato affinché fosse un’ammaccatura senza precedenti nella corazza israeliana.

Non c’è bisogno di guardare molto lontano per vedere a quale tipo di sproporzionata violenza spesso arrivi Israele.

Lezioni dal 2014

Nel 2014 – dopo la cattura e l’uccisione di tre coloni israeliani in Cisgiordania – Benjamin Netanyahu, allora come ora primo ministro di Israele, incolpò Hamas, che negò ogni coinvolgimento – Israele scatenò quello che, fino a quel momento, è stato il suo attacco più brutale contro Gaza, uccidendo 2.251 persone di cui, secondo l’ONU, il 65%, ossia più di 1.400 vittime, erano civili.

La guerra del 2014 è consistita in un’invasione israeliana di due settimane sul terreno di Gaza, da cui Hamas avrebbe imparato la lezione per questa volta. Abu Obeida, il portavoce dell’ala militare di Hamas, le Brigate Qassam, ha chiarito che Hamas è pronta a una lunga battaglia.

Inoltre la cattura di oltre 200 persone ha offerto ad Hamas mezzi preziosi per esercitare un certo controllo sulla risposta israeliana. La presenza di alcuni ostaggi stranieri ha complicato le cose per il governo israeliano, che è stato sotto pressione sia dall’interno che dall’estero perché garantisca il loro rilascio prima dell’invasione di terra.

Anche il rilascio scaglionato di alcuni prigionieri ha rallentato l’esercito israeliano e dato spazio a richieste, tardive ma crescenti, per un immediato cessate il fuoco.

Una volta che Israele ha iniziato il suo attacco era scontato che ci sarebbero state delle tensioni regionali che non hanno fatto che crescere dopo il massiccio e indiscriminato bombardamento israeliano contro Gaza, che ha causato un costo immenso di vite, oltre 7.000 al momento della scrittura di questo articolo.

Fino ad ora gli arabi hanno protestato in gran numero nei propri Paesi ma non si sono ancora ribellati nella misura richiesta da Hamas. Per esempio, il 19 ottobre Abu Obeida ha esortato: “Marciate verso il confine della Palestina, unitevi e (fate) tutto quello che potete per sconfiggere il progetto sionista.”

Comunque la Giordania, con la sua numerosa popolazione palestinese, assiste a proteste quotidiane. La polizia antisommossa giordana è stata impiegata per impedire ai manifestanti di raggiungere il confine giordano con la Cisgiordania e anche i dimostranti davanti all’ambasciata israeliana ad Amman sono stati allontanati con la forza.

I colloqui di normalizzazione sauditi-israeliani sono stati accantonati a tempo indefinito, anche se fino ad ora sono state ignorate le richieste ad altri Paesi arabi di mettere la parola fine ai loro accordi di normalizzazione con Israele.

In Libano Hezbollah ha mantenuto una pressione militare contro Israele sufficiente a far capire che un’invasione di terra a Gaza causerebbe lì un’esplosione ancora più forte.

Gli sciiti libanesi dovranno fare i conti con la marina USA, dopo l’invio da parte di Washington di due portaerei nella zona, un tentativo esplicito di deterrenza contro ogni altro attore dal farsi coinvolgere.

Inoltre la decisione di Israele di tagliare forniture di combustibile, elettricità, cibo e acqua a tutti i 2.3 milioni di gazawi ha messo in difficoltà i sostenitori di Israele in Occidente nello spiegare come il proprio sostegno incondizionato si concili con il diritto internazionale, così spesso invocato per l’Ucraina.

Punto di svolta

Inevitabilmente si sta ritornando alla diplomazia. Una delegazione di Hamas è andata in Russia, la cui proposta del 26 ottobre per totale cessate il fuoco è stata bocciata due volte dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU.

Al Jazeera ha riferito che i colloqui Hamas-Israele mediati dal Qatar per un cessate il fuoco hanno raggiunto uno stadio “avanzato”.

Secondo Al Jazeera il negoziato principale sembra essere quello per uno scambio di prigionieri, uno degli obiettivi centrali di Hamas nell’operazione del 7 ottobre. Da allora Israele ha intrapreso una vasta campagna di arresti in Cisgiordania, rastrellando oltre 1500 palestinesi.

Hamas vuole anche vedere la fine del blocco di Gaza, che ha afflitto le vite di tanti per troppo tempo.

Tuttavia qualsiasi svolta diplomatica è subordinata alla percezione israeliana di come possa riuscire ad evitare di pagare un prezzo qualsiasi con un’azione militare di terra.

Le truppe israeliane sono ammassate in quantità senza precedenti lungo il confine di Gaza. I leader militari israeliani dicono di essere pronti e preparati alla battaglia.

Molto dipende dalla pressione dell’opinione pubblica.

In Israele tale pressione per un’invasione immediata via terra sta riducendosi e i pianificatori militari israeliani sono attenti anche all’opinione pubblica fra gli alleati occidentali di Israele, che sta anch’essa discretamente cambiando, probabilmente restringendo il momento buono per un’invasione su larga scala.

Un’invasione totale di terra sarà sanguinosa e lunga. Infliggerà dolori ancora maggiori alla popolazione di Gaza.

Non otterrà la fine di Hamas, lo scopo su cui insiste Israele. Hamas è un movimento politico con un’ala militare. Più che un gruppo ideologico e religioso, è principalmente un movimento di liberazione nazionale.

Khaled Meshaal, uno dei leader politici di Hamas, a cui è stato chiesto dei sacrifici che i palestinesi dovranno fare come risultato dell’operazione del 7 ottobre, ha citato come fonti d’ispirazione la resistenza sovietica all’invasore nazista tedesco, la guerra del Vietnam prima contro la Francia e poi gli USA e la lotta algerina per l’indipendenza dal colonialismo francese, collocando fermamente Hamas nel campo anti-imperialista.

La sconfitta sul campo di battaglia non equivale alla sconfitta politica.

Indipendentemente da cosa succederà in un’invasione di terra, l’operazione del 7 ottobre ha collocato irrevocabilmente la situazione in Palestina in uno scenario da giorno dopo.

Hamas ha ottenuto vari obiettivi.

Ha danneggiato l’immagine della deterrenza israeliana. Per ora ha minato ogni patto Israele-Arabia Saudita, ed ha attirato l’attenzione mondiale su quella ferita aperta che è la Palestina.

Ciò potrebbe essere il segnale per rinnovati e seri sforzi per affrontare l’occupazione israeliana e per porre fine al governo militare israeliano sul popolo palestinese.

Ma minaccia anche di velocizzare i piani genocidi di Smotrich.

Omar Karmi è un redattore associato di The Electronic Intifada e un ex corrispondente da Gerusalemme e Washington per il quotidiano The National.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Il Brasile denuncia la guerra di Israele contro Gaza come ‘genocidio’

Redazione di MEMO

27 ottobre 2023 – Middle East Monitor

Il presidente brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva ha denunciato la guerra di Israele contro la Striscia di Gaza assediata come “genocidio”.

In un incontro tenutosi nel palazzo presidenziale Planalto nella capitale Brasilia, da Silva ha affermato: “Ciò che sta accadendo non è una guerra. È un genocidio che porta ad uccidere circa 2.000 minori che non avevano niente a che fare con questa guerra. Essi sono le vittime di questa guerra”.“Francamente non so come una persona possa andare in guerra sapendo che il risultato di quella guerra è la morte di minori innocenti,” ha aggiunto.

Il presidente brasiliano ha messo in guardia che gli sviluppi nel Medio Oriente sono “pericolosi”, aggiungendo che la questione non è discutere “chi ha ragione e chi ha torto, chi ha sparato la prima pallottola e chi la seconda.”

Il Brasile supporta il rilascio degli ostaggi e la creazione di un corridoio umanitario per permettere agli aiuti di essere inviati ai civili palestinesi nella Striscia di Gaza,” ha aggiunto.

.Da Silva ha parlato con il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas, con l’emiro del Qatar Tamim Bin Hamad Al Thani, il presidente iraniano Ibrahim Raisi, il presidente egiziano Abdel Fattah Al-Sisi, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, il presidente degli Emirati Arabi Uniti Mohammed Bin Zayed Al Nahyan e con altri nel tentativo di raggiungere una soluzione che riporti la pace.

Mercoledì il Brasile si è astenuto nella votazione sulla bozza di risoluzione americana presso il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, che non chiedeva la fine delle operazioni militari israeliane a Gaza.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Dirigo l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi. La storia ci giudicherà tutti se non ci sarà un cessate il fuoco a Gaza

Philippe Lazzarini

26 ottobre 2023-The Guardian

Philippe Lazzarini è commissario generale dell’UNRWA (United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees in the Near East)

Ormai da più di due settimane riceviamo da Gaza immagini insopportabili della tragedia dei suoi abitanti. Donne, bambini e anziani vengono uccisi, ospedali e scuole vengono bombardati, nessuno viene risparmiato. Mentre scrivo l’UNRWA, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi, ha già tragicamente perso 35 membri del suo personale, molti dei quali uccisi mentre erano nelle loro case con le loro famiglie.

Interi quartieri vengono rasi al suolo sulle teste dei civili in uno dei luoghi più sovraffollati della Terra. Le IDF [Forze di Difesa Israeliane, ndt.] hanno avvertito i palestinesi di Gaza di spostarsi nella parte meridionale della Striscia mentre bombardano il nord; ma i bombardamenti continuano anche al sud. Non c’è nessun posto sicuro a Gaza.

Quasi 600.000 persone trovano rifugio in 150 scuole e altri edifici dell’UNRWA dove sopravvivono in pessime condizioni igieniche, con poca acqua pulita, poco cibo e medicine. Le madri non sanno come pulire i propri figli. Le donne incinte pregano per non dover affrontare complicazioni durante il parto perché gli ospedali non hanno la capacità di accoglierle. Intere famiglie ora vivono nei nostri edifici perché non hanno nessun altro posto dove andare. Ma le nostre strutture non sono sicure: 40 edifici dell’UNRWA, tra cui scuole e magazzini, sono stati danneggiati dai bombardamenti. Molti civili che si sono rifugiati al loro interno sono stati tragicamente uccisi.

Gaza è stata descritta negli ultimi 15 anni come una grande prigione a cielo aperto, con un blocco aereo, marittimo e terrestre che soffoca 2,2 milioni di persone in un raggio di 365 kmq. La maggior parte dei giovani non ha mai lasciato Gaza. Oggi questa prigione sta diventando il cimitero di una popolazione intrappolata da guerra, assedio e mancanza di tutto.

Negli ultimi giorni frenetici negoziati ai massimi livelli hanno finalmente consentito l’ingresso nella Striscia di forniture umanitarie molto limitate. Anche se la svolta è benvenuta, questi camion rappresentano un rivolo piuttosto che il flusso di aiuti che una situazione umanitaria di questa portata richiede. Venti camion carichi di cibo e medicinali sono una goccia nell’oceano per i bisogni di oltre 2 milioni di civili. Il carburante, però, è stato fermamente negato a Gaza. Senza di esso non ci sarà alcuna risposta umanitaria, nessun aiuto potrà raggiungere le persone bisognose, nessuna elettricità per gli ospedali, niente acqua, niente pane.

Prima del 7 ottobre Gaza riceveva ogni giorno circa 500 camion di cibo e altre forniture, inclusi 45 camion di carburante per alimentare le auto della Striscia, gli impianti di desalinizzazione dell’acqua e i panifici. Oggi Gaza viene strangolata e i pochi convogli che stanno entrando non placheranno la consapevolezza della popolazione civile di essere stata abbandonata e sacrificata dal resto del mondo.

Il 7 ottobre Hamas ha commesso massacri indicibili di civili israeliani che potrebbero costituire crimini di guerra. L’ONU ha condannato questo atto orribile con la massima fermezza. Ma non vi può essere ombra di dubbio: ciò non giustifica i crimini in corso contro la popolazione civile di Gaza, un milione di bambini compresi.

La Carta delle Nazioni Unite e i nostri impegni sono un vincolo per la nostra comune umanità. I civili – ovunque si trovino – devono essere protetti allo stesso modo. I civili di Gaza non hanno scelto questa guerra. Le atrocità non dovrebbero essere seguite da altre atrocità. La risposta ai crimini di guerra non è altri crimini di guerra. Il quadro del diritto internazionale su questo punto è molto chiaro e ben consolidato.

Saranno necessari sforzi autentici e coraggiosi per affrontare le radici di questa situazione di stallo mortale e offrire opzioni politiche che siano praticabili e possano creare un ambiente di pace, stabilità e sicurezza. Fino ad allora dobbiamo assicurarci che le norme del diritto umanitario internazionale siano rispettate e che i civili siano risparmiati e protetti. È necessario attuare un cessate il fuoco umanitario immediato per consentire un accesso sicuro, continuo e senza restrizioni a carburante, medicine, acqua e cibo nella Striscia di Gaza.

Dag Hammarskjöld, il secondo segretario generale dell’ONU, una volta disse: “L’ONU non è stata creata per portarci in paradiso, ma per salvarci dall’inferno”. La realtà oggi a Gaza è che non è rimasta molta umanità e l’inferno sta prendendo il sopravvento.

Le generazioni a venire sapranno che abbiamo visto questa tragedia umana svolgersi sui social media e sui canali di notizie. Non potremo dire che non lo sapevamo. La storia si chiederà perché il mondo non ha avuto il coraggio di agire con decisione e fermare questo inferno sulla Terra.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Israele ha ucciso la famiglia del corrispondente di Al-Jazeera qualche giorno dopo che Blinken aveva chiesto ai giornalisti del canale di “abbassare i toni”.

Mohammed El-Kurd 

 25 ottobre 2023 – Mondoweiss

Oggi il caporedattore di Al-Jazeera Wael El-Dahdouh stava trasmettendo in diretta da Gaza quando un attacco aereo israeliano ha ucciso sua moglie e due figli. Ora anche altri giornalisti temono che le loro famiglie possano essere prese di mira solo perché fanno il proprio lavoro.

Wael El-Dahdouh, caporedattore di Al-Jazeera a Gaza, stava trasmettendo in diretta quando un attacco aereo israeliano ha preso di mira l’edificio nel sud di Gaza in cui si era rifugiata la sua famiglia, uccidendo sua moglie, il figlio, la figlia e un nipote.

L’informazione è giunta poche ore dopo che Axios [sito web informativo statunitense, ndt.] ha dato la notizia che il segretario [di Stato] Antony Blinken ha detto ai dirigenti ebrei statunitensi di aver chiesto al Qatar di “abbassare il tono della copertura informativa di Al Jazeera” sulla campagna genocidaria israeliana nella Striscia di Gaza, accusando la rete di essere “anti-israeliana”.

Mondoweiss ha contattato giornalisti a Gaza che hanno condiviso il timore che le loro famiglie possano cadere vittime di un bombardamento punitivo solo perché fanno il proprio lavoro.

“Ho iniziato a sentire di essere un pericolo per quelli che mi stanno attorno,” ha confessato un giornalista. “Ho provato questa sensazione fin dall’inizio della guerra, da quando la mia voce ha iniziato ad essere udita… Ci sono tanti innocenti vicino a me, gente che non ha niente a che fare con me, con quello che scrivo o con il mio lavoro.”

Il giornalista, anonimo per timore di rappresaglie, ha affermato: “Prendere di mira la famiglia di qualcuno è più doloroso che prendere di mira solo quella determinata persona.” Ed ha aggiunto: “Forse questo è il messaggio che vogliono mandare a ogni giornalista: ‘Non sei l’unico che prenderemo di mira, possiamo far bruciare il tuo cuore colpendo la tua famiglia e rubarti la voglia di continuare a vivere.’”

Stamattina presto Mohammed Farra, un altro giornalista palestinese, ha ricevuto la notizia che, mentre lui si trovava a Ramallah, a molte miglia e molti checkpoint da Gaza, sua moglie e i suoi figli sono stati uccisi in un attacco aereo israeliano contro Khan Yunis.

“Ogni persona di cui si sente la voce o che ha raggiunto una visibilità internazionale è costretto a pagarne il prezzo,” ha detto a Mondoweiss il giornalista che si trova a Gaza. “Puoi percepire l’intenso controllo su ogni cosa che esce da Gaza. E chiunque dice qualunque cosa, anche una frase o una parola, che Israele non vuole sentire sarà preso di mira, lui e la sua famiglia.”

Questa testimonianza è in linea con il fatto che sono presi di mira studenti, attivisti e normali utenti delle reti sociali nella Gerusalemme occupata e nei territori del 1948 [ossia Israele, ndt.], accusati di incitamento a causa dei loro post su social media.

Dal 7 ottobre il regime israeliano ha ucciso 20 giornalisti palestinesi a Gaza e uno libanese nel sud del Libano.

El-Dahdouh, un esperto giornalista, è stato ripreso mentre, inginocchiato per terra, accarezzava il volto sanguinante di suo figlio quindicenne, Mahmoud, che voleva diventare un giornalista. “Si stanno vendicando con l’uccisione dei nostri figli,” ha detto Dahdouh, circondato da un gruppo di suoi colleghi. Altri membri della sua famiglia sono ancora sotto le macerie.

Durante la conversazione di Mondoweiss con il giornalista che si trova a Gaza, questi ha ricordato un video in inglese che i figli di Dahdouh avevano appena realizzato e messo in rete. “Descrivevano quello che succede a Gaza. Parlavano di come interi quartieri sono stati distrutti e come nessun luogo fosse sicuro. Chiedevano cosa avessero da dire a questo proposito le leggi internazionali e i diritti umani. E finivano il loro video con il messaggio: ‘Aiutateci a rimanere in vita.’ E il mondo li ha abbandonati.”

In Qatar un presentatore di Al Jazeera si è messo a piangere quando ha dato la notizia che l’intera famiglia del suo collega era stata uccisa nel bombardamento aereo del campo profughi di Nuseirat, nel cuore della Striscia assediata, dove Dahdouh e la sua famiglia si erano rifugiati.

La famiglia era stata cacciata dal nord di Gaza dopo che il suo quartiere era stato bombardato, insieme a 1.4 milioni di palestinesi che sono stati obbligati a fuggire dalle proprie case dopo le minacce dell’esercito israeliano, secondo cui chi fosse rimasto nel nord dell’enclave avrebbe potuto essere “trattato come membro di un’organizzazione terroristica.” “La vostra presenza nella valle di Gaza aumenta le vostre possibilità di morire,” dicevano migliaia di volantini lanciati su Gaza da aerei da guerra israeliani.

Si è detto che il 43% degli edifici della Striscia sono stati danneggiati o distrutti dai bombardamenti israeliani. “Questa è l’area ‘sicura’ di cui parla l’esercito occupante,” ha detto El-Dahdouh ai media fuori dall’ospedale dei Martiri di Al-Aqsa a Deir el-Balah.

“[I figli di Dahdouh] stavano cercando di far sentire la loro voce e denunciare i crimini di Israele. Onestamente ciò mi terrorizza. Ora la mia voce raggiunge le persone e ho un gran numero di risposte da israeliani con post su Twitter. Mi attaccano personalmente e dicono che non hanno neppure iniziato,” ha detto a Mondoweiss il giornalista che si trova Gaza.

La rete televisiva Al-Jazeera ha condannato “l’attacco indiscriminato da parte delle forze israeliane che ha provocato la tragica perdita della moglie, del figlio e della figlia [di Dahdouh], mentre il resto della famiglia è sepolto sotto le macerie.”

Alla fine della conversazione, il giornalista anonimo ha detto a Mondoweiss: “Se il prezzo di compiere il tuo dovere professionale o il dovere giornalistico a Gaza significa perdere tutta la tua famiglia, allora penso che non ci vorrà molto prima che la maggioranza dei giornalisti lascino il lavoro per garantire la sicurezza della loro famiglia.”

“Comincio a pensare che forse io rappresento un pericolo per le loro vite, e anche per la mia, ma come ti ho detto, quando perdi la tua vita non te ne accorgi. Non lo so, non lo so proprio.”

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Guerra Israele-Palestina: funzionari del Dipartimento di Stato preparano dispacci di dissenso contro l’assalto a Gaza

Azad Essa, New York e Umar A Farooq, Washington

25 ottobre 2023 – Middle East Eye

Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha insediato l’Amministrazione più diversificata della storia, ma diversi funzionari ritengono di aver avuto solo incarichi simbolici.

Middle East Eye è a conoscenza del fatto che lo staff del Dipartimento di Stato americano sta preparando urgenti messaggi di dissenso sul sostegno di Washington all’incessante campagna di bombardamenti israeliani su Gaza.

Diverse fonti hanno riferito a MEE che allinterno del dipartimento le tensioni sono al culmine poiché i funzionari sono sempre più frustrati dallaperto sostegno dellamministrazione Biden a ciò che gli attivisti per i diritti umani chiamano crimini di guerra contro i palestinesi all’interno della Striscia di Gaza assediata.

MEE è venuta a conoscenza che diversi diplomatici sono combattuti tra restare al lavoro per cercare di influenzare la politica o andarsene per protestare contro il sostegno incondizionato di Biden ai bombardamenti israeliani e allimminente invasione di terra.

Da quando Israele ha iniziato il bombardamento aereo di Gaza in seguito allattacco del 7 ottobre da parte dei combattenti palestinesi provenienti da Gaza sono stati uccisi più di 6.000 palestinesi tra cui 2.000 minorenni.

Da quando i combattenti guidati da Hamas hanno sfondato la barriera che separa la Striscia di Gaza assediata da Israele sono stati uccisi circa 1.400 israeliani.

IIn una bozza di dissenso visionata da MEE i diplomatici scrivono che l’attacco di Hamas contro Israele non può essere usato come giustificazione per portare Israele a compiere l’uccisione indiscriminata di persone innocenti a Gaza.

La bozza chiede la cessazione immediata delle ostilità in Israele, a Gaza e nella Cisgiordania occupata e supplica Washington di promuovere messaggi pubblici veritieri ed equilibrati verso la risoluzione della crisi che sta lentamente andando fuori controllo.

“Fino a quando i funzionari israeliani non faranno distinzione tra Hamas e i civili di Gaza e gli attacchi prenderanno di mira o minacceranno istituzioni civili come luoghi di culto, scuole o strutture mediche – Israele dovrà lavorare il doppio per rientrare nella adesione alle norme internazionali che tanto orgogliosamente, e giustamente, predichiamo ad altre nazioni”, dice il messaggio.

Il messaggio di dissenso è un documento presentato attraverso un canale interno che consente ai diplomatici di sollevare preoccupazioni o questioni contro le dannose decisioni di politica estera degli Stati Uniti e fa seguito alle voci secondo cui all’interno del Dipartimento di Stato si sta preparando “un ammutinamento” a causa del fermo sostegno pubblico di Biden alle azioni di Israele a Gaza.

Contattato per un commento un portavoce del Dipartimento di Stato ha detto a MEE: “Come pratica generale, non commentiamo i resoconti delle comunicazioni interne del Dipartimento”.

“In linea generale il canale del dissenso è stato a disposizione dei dipendenti fin dalla guerra del Vietnam e siamo orgogliosi che il Dipartimento abbia una procedura consolidata che consente ai dipendenti di articolare i disaccordi politici direttamente all’attenzione dei principali dirigenti del Dipartimento senza timore di ritorsioni.”

“L’ultima chance prima delle dimissioni”

Un diplomatico del Dipartimento di Stato ha detto a MEE che c’è la sensazione che i normali metodi di elaborazione delle politiche nel dipartimento abbiano fallito.

Nonostante le proteste dei nostri stessi funzionari, le denunce provenienti dal territorio, dalle organizzazioni internazionali e dall’opinione pubblica americana, non c’è stato alcun cambiamento nella politica estera degli Stati Uniti con Israele se non quello di aumentare il sostegno e i finanziamenti per continuare a uccidere civili palestinesi innocenti,” riferisce la fonte chiedendo di parlare sotto anonimato.

“Un messaggio di dissenso è una delle nostre ultime chance, a parte le dimissioni, per informare il Segretario della gravità di questa situazione e far sapere al Dipartimento di Stato e alla leadership della Casa Bianca che chiediamo con decisione un cessate il fuoco immediato.

“Per lo meno verrà ufficialmente registrato che ci sono e ci sono stati tentativi da parte di funzionari del Dipartimento di Stato di fermare il genocidio in modo che le generazioni future possano assicurarsi che ciò non si ripeta mai più”, aggiunge la fonte.

La settimana scorsa diversi funzionari hanno riferito all’HuffPost che c’era una frustrazione diffusa per il rifiuto del segretario di Stato americano Antony Blinken di prestare ascolto a critiche e preoccupazioni.

Un altro funzionario dellamministrazione Biden, che ha parlato anche lui a condizione di anonimato, ha affermato che i vari messaggi sono stati presi in considerazione separatamente piuttosto che come un grande messaggio unitario di dissenso.

“Sembra davvero che ci siano molteplici iniziative diffuse e ciò è piuttosto raro. Per quello che posso dire non circola un’istanza organizzativa unitaria”, afferma il funzionario.

“Ci sono molte persone che non sono d’accordo con l’attuale politica stabilita dai vertici.”

Solo voci simboliche

Alcuni giorni dopo l’attacco a Israele, Blinken è volato per offrire le sue condoglianze al popolo israeliano. Durante la sua visita, ha equiparato Hamas all’organizzazione dello Stato Islamico (ISIS), una mossa che secondo gli osservatori è stato interpretata come un via libera a Israele per ritorsioni con ogni mezzo necessario.

Lunedì Blinken ha tenuto un’audizione con rappresentanti di organizzazioni palestinesi e arabo-americane durante la quale si è discusso della loro crescente rabbia nei confronti di Biden per la sua gestione della guerra Israele-Gaza, ha riferito una fonte a The National.

Un articolo di Politico pubblicato martedì afferma che lamministrazione ha anche tenuto un’audizione con dipendenti musulmani, arabi e palestinesi.

Un funzionario ha detto a MEE che negli ultimi giorni c’è stato un maggior coinvolgimento tra i livelli più alti dellamministrazione e altri funzionari, compresi gli incaricati musulmani, più di 100 nellattuale amministrazione.

In precedenza Biden aveva pubblicizzato la sua amministrazione come la più diversificata nella storia degli Stati Uniti. Ma finora lamministrazione ha fatto ben poco per modificare il suo pieno sostegno agli sforzi bellici di Israele. Ha chiesto una pausa umanitaria per consentire l’ingresso degli aiuti a Gaza, ma ha detto che non sosterrà un cessate il fuoco.

Il portavoce del Consiglio di Sicurezza Nazionale della Casa Bianca, John Kirby ha detto martedì che Washington non sosterrà un cessate il fuoco e che “in futuro civili innocenti verranno colpiti” a Gaza.

“Ciò contro cui io e molti dei miei colleghi ci scontriamo è il fatto che queste persone vengono coinvolte per poter sentire le loro varie voci. Ma se non ti sforzi di ascoltarle, sono solo dei gesti simbolici“, sostiene il funzionario, aggiungendo che molti dei dipendenti hanno in mente di dimettersi.

“So che alcuni di loro sono alla ricerca di un altro impiego perché attualmente non si sentono a proprio agio nel rappresentare l’amministrazione”, dice il funzionario.

Le voci dissenzienti sono la maggioranza

Secondo il funzionario uno dei motivi è che alcuni individui che non sono d’accordo con la politica dell’amministrazione e cercano di esprimere la loro opposizione “non vengono presi in considerazione”.

Finora solo un funzionario si è dimesso affermando di non poter sostenere moralmente il sostegno incondizionato di Washington alle azioni militari di Israele.

“Vorrei essere chiaro: l’attacco di Hamas a Israele non è stato solo una mostruosità ma la peggiore delle mostruosità”, ha scritto in una nota Josh Paul che ha lavorato per più di un decennio presso l’Ufficio per gli affari politico-militari del Dipartimento di Stato.

“Ma credo nel profondo della mia anima che la risposta che Israele sta dando, e con essa il sostegno americano sia a quella risposta che allo status quo dell’occupazione, porterà solo a sofferenze maggiori e più profonde sia per gli israeliani che per il popolo palestinese, e questo non va nella direzione degli interessi americani”.

Inoltre lapproccio dellamministrazione Biden non sembra corrispondere alla visione della guerra da parte dell’opinione pubblica americana. Secondo un recente sondaggio condotto dallorganizzazione progressista Data for Progress, il 66% di tutti i probabili elettori sostiene un cessate il fuoco e una riduzione del conflitto.

Penso che le manifestazioni di dissenso siano importanti in questi tempi, soprattutto per quelle persone che sono al servizio di questa amministrazione”, ha detto a MEE Ahmad Abuznaid, direttore esecutivo della Campagna Statunitense per i Diritti dei Palestinesi.

“Ma ciò che mi colpisce è che sembra che questa volta in realtà sia la maggioranza a dissentire e che il presidente stia operando sulla base di una posizione sostenuta in effetti da una piccola minoranza di persone”, aggiunge.

(Traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Guerra Israele-Palestina: un secondo palestinese muore in due giorni in una prigione israeliana

Redazione di MEE

24 ottobre 2023 – Middle East Eye

L’autorità giudiziaria ha affermato che martedì un detenuto palestinese di 25 anni è morto nella prigione di Ofer. È il secondo prigioniero a morire in carcere da lunedì.

La Commissione per gli Affari dei Detenuti ed Ex-detenuti Palestinesi ha identificato il prigioniero in Arafat Hamdan originario della città di Beit Sira, nella parte settentrionale della Cisgiordania occupata. Hamdan è stato arrestato domenica.

Dal 7 ottobre, quando combattenti palestinesi hanno lanciato a sorpresa un attacco per terra, aria e mare s sud di Israele, uccidendo 1.400 israeliani, Israele ha effettuato una campagna di arresti di massa in tutta la Cisgiordania.

Le autorità israeliane in precedenza avevano affermato che il prigioniero non si era sentito bene ed era stato trasferito per esami nell’infermeria del carcere, “dove il dottore ha dichiarato la sua morte”.

La Commissione ha affermato che “l’occupazione ha cominciato una operazione di assassinio sistematico contro i prigionieri nel contesto di una campagna di aggressione totale contro il nostro popolo.”

Un giorno prima il prigioniero palestinese Omar Darghmeh, che Hamas ha dichiarato essere un suo membro, è morto in prigione in circostanze non chiare.

Israele ha affermato che Darghmeh è morto per motivi di salute, ma i palestinesi hanno restituito al mittente l’affermazione, dicendo che è morto per tortura.

Daraghmeh era stato incarcerato con suo figlio il 9 ottobre in Cisgiordania.

La morte dei detenuti è avvenuta perché dall’inizio della guerra Israele ha incrementato la sua repressione contro i prigionieri palestinesi.

Le autorità giudiziarie hanno implementato una serie di misure punitive che hanno visto i detenuti confinati nelle loro celle senza accesso ai cortili, ai dispositivi elettronici e alle visite della famiglia e dell’avvocato.

Le testimonianze del Club dei Prigionieri Palestinesi e di carcerati riferiscono che i detenuti sono anche soggetti giornalmente ad essere picchiati duramente, intimiditi, sottoposti a incursioni e a danneggiamenti o confische dei beni.

Le autorità giudiziarie hanno chiuso i negozi di cibo e ai prigionieri si è ridotto il cibo a due pasti al giorno con porzioni ridotte.

Il portavoce del Club dei Prigionieri, Amani Sarhana, ha affermato a Middle East Eye che i detenuti stanno attraversando uno dei “periodi più difficili e crudeli” dato che devono sopportare isolamento, oppressione e fame.

Sono state interrotte anche le cure mediche. Non stiamo più parlando di prigionieri soggetti a cure mediche insufficienti, ma piuttosto del taglio completo dell’assistenza sanitaria,” ha affermato Sarhana.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Guerra Israele-Palestina: fonti ufficiali israeliane “scontente” per come una donna rilasciata ha descritto la sua prigionia

Redazione di MEE

24 ottobre 2023 – Middle East Eye

Yocheved Lifshitz, 85 anni, rilasciata dai combattenti di Hamas, ha detto di essere stata picchiata durante il rapimento, ma di essere stata trattata ‘gentilmente’ in seguito

Si dice che i politici israeliani siano stati scontenti dell’intervista rilasciata da una anziana signora ostaggio di Hamas a Gaza perché non era stata preparata bene per la dichiarazione.

Martedì in un incontro con la stampa l’ottantacinquenne Yocheved Lifshitz, una degli ostaggi israeliani rilasciata da Gaza lunedì sera, ha detto di essere stata picchiata il 7 ottobre, il giorno in cui i combattenti palestinesi hanno assaltato il sud di Israele, ma di essere poi stata trattata “gentilmente”.

Alcune fonti hanno riferito all’emittente di stato israeliana Kan News che l’intervista era stata un “errore”, aggiungendo che forse non c’era stato un “incontro preliminare” con Lifshitz prima della sua dichiarazione alla stampa e che, se c’era stato, non erano state poste “tutte le domande ” relative alla preparazione.

Lifshitz è una dei quattro israeliani rilasciati dopo l’attacco dei combattenti palestinesi di Hamas contro le comunità israeliane confinanti con la Striscia di Gaza in cui sono stati uccisi circa 1400 israeliani, in maggioranza civili. Secondo Israele a Gaza ci sono 220 prigionieri.

L’ex-ostaggio israeliano è uno dei più anziani imprigionati da Hamas a Gaza e ha passato oltre due settimane in prigionia.

È stata rilasciata con un altro ostaggio, la settantanovenne Nurit Yitzhak.

Lifshitz ha detto ai giornalisti: “Ho visto l’inferno, non ho mai pensato che avrei raggiunto una tale condizione. Loro [i combattenti palestinesi] sono arrivati come pazzi nel nostro kibbutz [e] mi hanno caricata su una moto.”

Ha continuato descrivendo come tra gli ostaggi ci fossero bambini e anziani definendo le scene “estremamente penose”.

Lifshitz ha aggiunto di essere stata picchiata con un bastone mentre andava a Gaza e di essere stata costretta a camminare per parecchi chilometri dopo aver raggiunto la zona.

‘Bisogni soddisfatti’
Secondo l’ex-ostaggio mentre era nelle mani di Hamas un infermiere e poi un medico l’hanno visitata per controllare le sue condizioni. “SI sono presi cura di tutti i dettagli,” ha detto.

Lifshitz ha precisato che i suoi carcerieri “si sono presi cura” di tutte le sue necessità. ” Ci hanno assicurato che mangiavano le stesse cose che mangiavamo noi, formaggio bianco e cetrioli,” ha aggiunto.

Raccontando la storia di sua madre, Sharone, la figlia di Lifshitz, ha detto: “Quando è arrivata (i combattenti) hanno detto loro di essere musulmani e che non gli avrebbero fatto del male.”

Quando è stato chiesto a Lifshitz perché avesse stretto la mano di un combattente di Hamas prima del suo rilascio, ha repllcato: “Sono stati gentili con noi, tutte le nostre necessità sono state soddisfatte.”

Nel corso della dichiarazione alla stampa Lifshitz ha anche condannato la mancanza di preparazione dell’esercito israeliano prima dell’attacco del 7 ottobre dicendo che sono stati spesi “2 miliardi” di shekel [circa 466 milioni di euro] per sistemi di sicurezza che non hanno funzionato.

Ha anche attaccato il governo per i suoi fallimenti nella fase precedente all’attacco. “Siamo stati i capri espiatori del governo, siamo stati abbandonati. Siamo passati attraverso l’inferno,” ha detto.

Alcuni familiari avevano detto prima ai media che la nonna aveva in precedenza lavorato per ottenere aiuti medici per i palestinesi di Gaza.

Oded Lifshitz, il marito di Yocheved, è ancora disperso, presumibilmente ancora a Gaza nelle mani di gruppi armati palestinesi, sebbene non si sappia dove si trovi o le sue condizioni.

Israele dice che Hamas detiene 220 dei suoi cittadini, alcuni con cittadinanza anche di altri Paesi, ma che il numero potrebbe in realtà essere più alto, dato che decine di persone sono ancora disperse.

Hamas dice che durante i bombardamenti israeliani di Gaza, che hanno ucciso almeno 5.000 palestinesi, la gran parte civili, sono morti 22 ostaggi.

Martedì in un’intervista a Sky News Khaled Meshaal, uno dei leader di Hamas, ha detto che il gruppo avrebbe rilasciato tutti gli ostaggi in cambio della fine dei bombardamenti contro Gaza.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




La risposta della Corte Penale Internazionale alla Palestina e all’Ucraina solleva preoccupazioni su imparzialità e peso politico: il parere degli esperti

Agenzia Anadolu

24 ottobre 2023 – Middle East Monitor

Lo sconvolgente costo umano dellincessante attacco israeliano contro la Striscia di Gaza continua ad aumentare di ora in ora.

Nei bombardamenti israeliani, che hanno preso di mira tutte le aree dell’enclave palestinese assediata, sono stati uccisi più di 5000 uomini, donne e bambini palestinesi.

Gli attacchi aerei hanno colpito aree residenziali densamente popolate, ospedali e altri siti civili, causando anche la morte di decine di operatori umanitari, operatori sanitari e giornalisti.

Nella Striscia Israele ha tagliato le forniture di base, come acqua, elettricità e aiuti umanitari a più di 2,2 milioni di persone, imponendo inoltre attraverso un ordine di evacuazione dal nord della Striscia, quello che alcuni esperti chiamano lo sfollamento forzato di oltre 1.100.000 persone.

Per Israele tutto ciò rappresenta una risposta allattacco del 7 ottobre di Hamas e ai successivi attacchi missilistici sulle aree israeliane che hanno causato la morte di oltre 1.400 persone.

Ma molti in tutto il mondo hanno contestato la forza eccessiva e sproporzionata utilizzata da Israele e sono emerse numerose segnalazioni di crimini di guerra contro lumanità da parte di esperti di diritto e persino funzionari come Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite per i Territori Palestinesi Occupati.

Una delle aree di interesse è stata il ruolo, o lapparente mancanza di esso, di istituzioni come la Corte Internazionale di Giustizia delle Nazioni Unite (CIG) o la Corte Penale Internazionale indipendente (CPI) che, per sua stessa definizione, ha il mandato specifico di agire contro i crimini più gravi riguardanti la comunità internazionale: il genocidio, i crimini di guerra, i crimini contro lumanità e il crimine di aggressione”.

Lunedì la CIG ha annunciato che terrà delle udienze pubbliche sulla richiesta di un parere consultivo riguardo alle conseguenze giuridiche derivanti dalle politiche e dalle pratiche di Israele nei Territori Palestinesi Occupati, compresa Gerusalemme Est”.

Tuttavia le udienze inizieranno il 19 febbraio del prossimo anno.

Per quanto riguarda la CPI, diversi esperti lhanno invitata ad agire immediatamente di fronte alla crescente escalation a Gaza.

Mentre la CPI ha risposto rapidamente alle accuse di crimini di guerra in Ucraina a partire dallo scorso anno, sembra essere molto lenta nell’affrontare i crimini in Palestina da quando ha iniziato le sue indagini nel 2015”

ha affermato Ben Saul, recentemente nominato relatore speciale delle Nazioni Unite sulla promozione e protezione dei diritti umani e delle libertà fondamentali nella lotta al terrorismo.

Saul, attualmente titolare della cattedra Challis di diritto internazionale presso l’Università di Sydney in Australia, assumerà l’incarico questo novembre.

Ha sostenuto che la ICC deve mostrare la stessa urgenza e mobilitazione di risorse per rassicurare il mondo sulla sua imparzialità e sul fatto che la sua legittimità non è minata da costrizioni geopolitiche”.

Tutti gli Stati dovrebbero collaborare con la Corte se in possesso di informazioni sui crimini”, ha detto ad Anadolu, sottolineando che nell’attuale escalation ci sono state diverse violazioni sia da parte di Hamas che delle forze israeliane.

Riguardo ad Israele afferma che lassedio totale di Gaza è una violazione del diritto internazionale e potrebbe configurare il crimine di guerra dell’uso della fame”.

Israele ha lobbligo di consentire e facilitare aiuti umanitari rapidi e senza ostacoli, compresi cibo e medicine. Gli avvertimenti di Israele ai civili sugli attacchi imminenti devono essere efficaci [per la popolazione, ndt.] e il suo ordine di evacuare oltre 1 milione di persone nel nord di Gaza, in condizioni di assedio, è inammissibile”, afferma.

Sono necessarie maggiori informazioni sulle decisioni e l’intelligence di Israele riguardo gli obiettivi ma è credibile che alcune delle migliaia di bombardamenti israeliani a Gaza possano aver comportato un numero eccessivo di vittime civili o di attacchi indiscriminati”.

Riguardo ad Hamas Saul afferma che le uccisioni di massa di civili israeliani potrebbero configurare il crimine internazionale di genocidio se specificamente intese a distruggere parte del popolo israeliano e/o ebraico in quanto tale”.

Potrebbero inoltre costituire vari crimini contro lumanità”, aggiunge.

La risposta della CPI mostra una disparità carica di influenze politiche

Secondo Khalil Dewan, responsabile delle indagini giuridiche presso lo studio legale britannico Stoke White, che ha preso parte a precedenti casi presso la CPI che coinvolgevano Israele, la Corte Penale Internazionale ha confermato la sua giurisdizione sui crimini di guerra in Palestina riguardanti tutte le parti coinvolte.

La CPI sta acquisendo prove di crimini di guerra e ha recentemente annunciato che il procuratore ha giurisdizione attraverso la Palestina [la Palestina, al contrario di Israele ha ratificato il trattato istitutivo della ICC, ndt.]”, ha detto ad Anadolu.

La giurisdizione della Corte sui crimini di guerra comprende Gerusalemme, Cisgiordania e Gaza con riferimento a tutte le parti in conflitto”.

Afferma che molti studi legali stanno raccogliendo prove,comprese quelle inerenti le ostilità attuali, che riguardano l’attacco a civili o infrastrutture protette e le punizioni collettive”.

Le azioni ancora in sospeso delle forze di terra israeliane saranno attentamente esaminate e sottoposte alla CPI”, riferisce.

Dewan sottolinea che Israele rifiuterà la giurisdizione della CPI”, ma ha aggiunto che questa è già stata rivendicata dal Procuratore (della CPI).

In ogni caso la mancanza di urgenza nell’approccio della CPI nei confronti dei crimini di guerra in Palestina rispetto alla risposta allUcraina dimostra una disparità carica di conseguenze politiche”, afferma.

Dewan dice che il diritto internazionale rimane un sistema giuridico indeterminato” e che alcuni Stati impiegano la strategia del lawfare[uso strumentale dei sistemi e delle istituzioni giuridiche contro individui o popoli, ndt.] per raggiungere obiettivi militari, anche attraverso la politica e le narrazioni dei media”.

Sostiene che i palestinesi hanno esaurito tutte le vie inerenti il diritto e la politica internazionali rivolte alla ricerca della giustizia”.

Gli appelli allOrganizzazione per la Cooperazione Islamica a formare un meccanismo regionale separato per la pace e la salvaguardia della sicurezza della Palestina sarebbero uniniziativa accolta con favore”, ha affermato.

Se le risoluzioni delle Nazioni Unite sulla Palestina non vengono rispettate allora è fondamentale cercare approcci decoloniali al diritto internazionale ed eliminare le leggi progettate per mettere a tacere e sottomettere gli Stati non occidentali”.

‘“La CPI può emettere mandati di arresto”

Ahmet Necip Arslan, un avvocato con sede a Istanbul, ha riportato le stesse opinioni affermando che i meccanismi di funzionamento della CPI sono molto lenti”.

Spesso le decisioni, in qualsiasi sede, possono essere prese sotto la forte influenza dei governi e della politica”, ha detto ad Anadolu.

Arslan rileva che la CPI può emettere mandati di arresto”, sottolineando che questo può essere un metodo efficace per fermare un conflitto armato”.

Ha detto che le notizie provenienti da Gaza

rivelano che Israele sta impiegando armi proibite come il fosforo bianco e prendendo di mira luoghi di culto e proprietà culturali, azioni considerate entrambe crimini di guerra”

Israele, conclude, sta privando i civili di beni essenziali come cibo, acqua, aiuti umanitari, antibiotici e forniture mediche, e ha aggiunto che queste potrebbero essere violazioni del diritto internazionale che potrebbero essere potenziali crimini di guerra”.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor

(Traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Ci sarà un’operazione di terra? Come è cambiato il discorso ufficiale di Israele sulla guerra contro Gaza – Analisi

Redazione di Palestine Chronicle

23 ottobre 2023 – Palestine Chronicle

Il discorso politico ufficiale israeliano sull’invasione di terra a Gaza è progressivamente mutato negli ultimi 17 giorni di guerra.

Dal 7 ottobre le dichiarazioni dei vertici politici e militari israeliani non si sono allontanate dalla linea secondo cui solo una massiccia operazione militare di terra a Gaza distruggerà il movimento Hamas e la sua ala combattente, le Brigate Al-Qassam.

Di fatto questa posizione viene ancora ripetuta. I media israeliani, citati lunedì dal canale Al Jazeera in arabo, hanno informato che l’esercito israeliano ha detto al governo che per sconfiggere Hamas non si può evitare un’invasione di terra.

Ciò detto, non c’è più coerenza col messaggio iniziale.

Qual è la ragione del rinvio?

Sì, l’esercito israeliano continua ad ammassarsi nei pressi della barriera di Gaza assediata ed ha ripetutamente affermato di essere “assolutamente pronto” ad entrare. Questa indicazione è stata comunicata ripetutamente quasi ogni giorno ai governanti.

Il ritardo iniziale è stato spiegato dall’esercito con le presunte “cattive condizioni metereologiche”, benché il tempo a Gaza fosse buono allora e continui ad esserlo ancora adesso.

In seguito ci è stato detto dai mezzi di comunicazione statunitensi che il rinvio era dovuto alle pressioni di Washington. Lunedì 23 ottobre la radio militare israeliana ha confermato la teoria delle “pressioni”, arrivando al punto di informare che Israele ha già accettato la richiesta americana di posporre l’operazione.

Da parte sua una fonte di Hamas, ripresa da media arabi e da The Palestine Chronicle, ha detto che la vera ragione dietro il rinvio in realtà è direttamente legata all’incapacità di Israele di trovare una soluzione per i missili anticarro utilizzati dalla resistenza.

Invasione sì o no?

Indipendentemente dalla ragione dietro tale dilazione, non si può negare che il linguaggio ufficiale israeliano su questa tanto decantata invasione di terra abbia iniziato a cambiare.

A volte gli israeliani sembrano discutere di una manovra limitata invece di una rioccupazione totale di Gaza.

Ma recenti affermazioni del portavoce dell’esercito israeliano, il tenente colonnello Jonathan Conricus, sono particolarmente interessanti.

Lunedì, in un’intervista con la radiotelevisione australiana ABC, Conricus ha inizialmente evitato una domanda sul perché Israele sembra stia rimandando l’operazione di terra.

Invece ha semplicemente assicurato che l’esercito israeliano “smantellerà totalmente Hamas” e “riporterà a casa la nostra gente.”

Poi ha affermato:

“Se Hamas dovesse uscire dai nascondigli in cui  occulta sotto i civili… e restituisse i nostri ostaggi, tutti e 212, e si arrendesse senza condizioni, allora la guerra finirebbe.”

A parte il fatto che Conricus ha eluso le responsabilità di Israele per la morte di migliaia di civili palestinesi, il militare israeliano sembrava suggerire che Israele ha intenzione di prendere in considerazione misure alternative all’operazione militare di terra, benché in questo caso sia altamente improbabile.

Cornicus versus Gallant

Si potrebbe sostenere che le affermazioni di Cornicus siano essenzialmente in linea con le considerazioni, fatte un giorno prima, del ministro della Difesa Yoav Gallant, secondo cui “questa deve essere l’ultima operazione militare (di terra) a Gaza, per la semplice ragione che poi Hamas non ci sarà più.”

D’altro canto vale la pena evidenziare che anche solo suggerire che un’invasione di terra non è più inevitabile è una novità rispetto al discorso politico israeliano sulla guerra.

Insieme alle recenti dichiarazioni dello stesso Gallant, sempre domenica, secondo cui l’operazione di terra a Gaza potrebbe durare tre mesi, le affermazioni di Cornicus nell’intervista ad ABC diventano ancor più rilevanti.

Indipendentemente dal fatto se Israele effettuerà un’invasione di terra vasta, limitata o non la farà affatto, è praticamente certo che il ritardo è dovuto alla resistenza di Gaza sul terreno.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Ostilità nella Striscia di Gaza e in Israele

Aggiornamento Flash n.18 del 24 ottobre 2023

OCHA

VITTIME PALESTINESI

Nella striscia di Gaza uccise 5.791 persone

ferite 16.297

in Cisgiordania uccise 95

ferire 1.833

VITTIME ISRAELIANE

In Israele uccise 1.400 persone

ferite 5.431

In Cisgiordania uccisa 1

ferite 11

PUNTI CHIAVE

Secondo il Ministero della Sanità (MoH) di Gaza, nelle ultime 24 ore (alle 18:00 del 24 ottobre), sono stati uccisi un totale di 704 palestinesi, tra cui 305 minori. Questo è il numero di vittime più alto registrato, in un solo giorno, a Gaza, durante questa tornata di ostilità. Secondo il Ministero della Salute, il numero complessivo di palestinesi uccisi a Gaza ha raggiunto i 5.791, di cui il 68% sono minori e donne. Circa 1.550 persone, tra cui 870 minori, risultano scomparse e potrebbero essere ancora sotto le macerie. Ciò consegue ai bombardamenti e agli attacchi aerei israeliani più intensi su Gaza dall’inizio dell’escalation.

L’UNRWA, di gran lunga il più grande fornitore umanitario a Gaza, ha avvertito che se non verrà consentito immediatamente l’ingresso di carburante a Gaza, l’Agenzia sarà costretta a sospendere tutte le operazioni, a partire dalla notte di domani, 25 ottobre. Dall’11 ottobre, Gaza è stata completamente in blackout elettrico, rendendo gli ospedali e le strutture idriche dipendenti da generatori di riserva alimentati a carburante.

A causa dei danni causati dalle ostilità o della mancanza di carburante, oltre un terzo degli ospedali di Gaza (12 su 35) e quasi due terzi delle cliniche di assistenza sanitaria di base (46 su 72) hanno chiuso.

Il 24 ottobre, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha consegnato 51 pallet di medicinali salvavita, attrezzature chirurgiche e altre forniture all’ospedale Shifa, il più grande centro medico di Gaza, situato nella città di Gaza. Questo è uno dei sette ospedali che hanno beneficiato delle forniture mediche consentite a Gaza attraverso il valico di Rafah, tra il 21 e il 23 ottobre.

Il 22 ottobre sono state fatte entrare 44.000 bottiglie di acqua in bottiglia, rispondendo al bisogno di bere di 22.000 persone per un giorno. Tre dei camion entrati a Gaza il 23 ottobre, attraverso il valico di Rafah, trasportavano 4.000 taniche di acqua potabile (10 litri ciascuna), 2.400 kit igienici e 2.000 dispositivi per la depurazione dell’acqua. L’acqua coprirà il fabbisogno potabile di circa 13.000 persone per un solo giorno. Undici dei 20 camion entrati a Gaza attraverso il valico di Rafah, il 23 ottobre, trasportavano generi alimentari, tra cui pacchi alimentari, tonno in scatola e farina di frumento. Nel complesso, le scorte alimentari, l’acqua e i beni non alimentari entrati tra il 21 e il 23 ottobre sono stati distribuiti principalmente nei rifugi dell’UNRWA DES nel sud di Gaza.

Si stima che a Gaza siano 1,4 milioni le persone sfollate interne (IDP), di cui circa 590.000 trovano rifugio nei 150 rifugi di emergenza (DES) designati dall’UNRWA. Il sovraffollamento è una preoccupazione crescente, poiché il numero medio di sfollati interni per rifugio ha raggiunto 2,6 volte la capacità prevista; quello più sovraffollato ha raggiunto 11 volte la capacità prevista.

È continuato il lancio indiscriminato di razzi da parte dei gruppi armati palestinesi contro i centri abitati israeliani, raggiungendo, secondo quanto riferito, anche la Cisgiordania settentrionale. Complessivamente, secondo le autorità israeliane, dal 7 ottobre sono stati uccisi circa 1.400 israeliani e cittadini stranieri, la maggior parte il primo giorno.

Secondo le autorità israeliane, almeno 220 persone sono tenute prigioniere a Gaza, tra cui israeliani e cittadini stranieri. Il Segretario generale delle Nazioni Unite ha invitato Hamas a rilasciare gli ostaggi immediatamente e senza condizioni. Due ostaggi con cittadinanza statunitense sono stati rilasciati il 20 ottobre e due israeliani il 23 ottobre.

Non sono state registrate vittime palestinesi in Cisgiordania dal pomeriggio del 23 ottobre (alle 21:00 del 24 ottobre). In totale, dal 7 ottobre, 95 palestinesi sono stati uccisi dalle forze o dai coloni israeliani, tra cui 28 minori.

Traduzione di Assopace Rivoli