Guerra contro Gaza: il Sudafrica avvia una denuncia alla Corte Internazionale di Giustizia accusando Israele di genocidio

Redazione di MEE

29 dicembre 2023 – Middle East Eye

Città del Capo chiede alla Corte di fermare la campagna militare di Israele a Gaza, definendola una misura necessaria per proteggere i diritti del popolo palestinese

Il Sudafrica ha avviato una procedura affinché La Corte Internazionale di Giustizia (CIG) dichiari che Israele, nella sua campagna militare a Gaza, sta commettendo un genocidio contro i palestinesi.

La richiesta avviata da Città del Capo, che afferma che Israele viola i suoi obblighi in base alla Convenzione sul Genocidio, invoca la fine delle operazioni militari di Israele nell’enclave assediata. Sostiene che tale ingiunzione è “necessaria in questo caso per proteggere contro ulteriori, gravi e irreparabili danni ai diritti del popolo palestinese.”

“Israele è impegnato, si sta impegnando e rischia di impegnarsi ulteriormente in azioni genocidarie contro il popolo palestinese a Gaza,” afferma la denuncia del Sudafrica.

Sostiene di aver chiesto che la CIG dichiari “urgentemente che Israele sta violando i suoi doveri in base alla Convenzione sul Genocidio e dovrebbe interrompere immediatamente ogni azione e misura che contravvenga a questi obblighi e prendere una serie di azioni correlate.”

La presentazione della richiesta è l’ultima iniziativa del Sudafrica per fare pressione affinché Israele ponga fine alla sua guerra contro Gaza. Lo scorso mese i parlamentari del Paese hanno approvato la chiusura dell’ambasciata israeliana a Pretoria e l’interruzione dei rapporti diplomatici con Israele finché non verrà concordato un cessate il fuoco.

Israele ha violentemente respinto l’annuncio di venerdì da parte del Sudafrica, definendo il procedimento “infondato”, per poi continuare ad accusare Hamas delle sofferenze e delle morti della popolazione palestinese a Gaza.

“Israele ha chiarito che gli abitanti della Striscia di Gaza non sono il nemico e sta facendo ogni sforzo per limitare i danni per chi non è coinvolto [negli scontri] e per consentire l’ingresso nella Striscia di Gaza di aiuti umanitari,” ha affermato in un comunicato il ministero degli Esteri israeliano.

La CIG è uno dei sei principali organismi delle Nazioni Unite ed non è legata alla Corte Penale Internazionale (CPI), che processa singoli individui per crimini di guerra e contro l’umanità. Mentre la Corte giudica conflitti tra Paesi, non ha il potere di far rispettare le sue decisioni, nonostante esse siano legalmente vincolanti.

Alcuni analisti avevano in precedenza detto a MEE che, mentre le decisioni della CIG sono difficili da applicare, esse possono contribuire a cambiare la narrazione nel resto del mondo. E la valutazione riguardo a se Israele sta commettendo un genocidio potrebbe provocare gravi danni alla reputazione internazionale di Israele.

La guerra è scoppiata in Israele e a Gaza il 7 ottobre, quando Hamas e gruppi armati palestinesi hanno lanciato un attacco contro Israele che, secondo il bilancio del governo [israeliano], ha ucciso 1.200 israeliani e cittadini di altri Paesi.

Nel contempo secondo il ministero della Sanità palestinese durante la sua campagna di bombardamenti aerei e l’attacco via terra Israele ha ucciso più di 21.000 palestinesi, la maggioranza dei quali donne e minorenni.

Le forze militari israeliane hanno preso di mira infrastrutture civili di vario genere, tra cui ospedali, quartieri residenziali, ambulanze e moschee. Interi quartieri dell’enclave assediata sono stati completamente distrutti.

La convenzione dell’ONU sul Genocidio e lo Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale definiscono come genocidio azioni “commesse con l’intenzione di distruggere, totalmente o parzialmente, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso.”

Esperti di diritto, funzionari dell’ONU e più di 800 studiosi hanno già segnalato che Israele sta tendenzialmente commettendo un genocidio contro i palestinesi.

Da molto tempo il Sudafrica appoggia la costituzione di uno Stato palestinese ed ha anche equiparato la situazione critica dei palestinesi a quella della maggioranza nera nel suo stesso Paese durante il periodo dell’apartheid. Israele nega recisamente di praticare l’apartheid. Tuttavia parecchie importanti associazioni per i diritti umani hanno affermato che, per come tratta i palestinesi, Israele sta mettendo in atto pratiche di apartheid.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




‘Ottantunesimo giorno dell’operazione “Inondazione Al-Aqsa”: l’OMS afferma che il sistema sanitario di Gaza è stato “decimato” dai bombardamenti israeliani

Mustafa Abu Sneineh  

 26 dicembre 2023 – Mondoweiss

Vittime

  • Oltre 20.674 uccisi* e almeno 54.536 feriti nella Striscia di Gaza.

  • 305 palestinesi uccisi nella Cisgiordania occupata e a Gerusalemme est.

  • Israele ha rivisto al ribasso da 1.400 a 1.147 la stima del numero di morti del 7 ottobre.

  • 491 soldati israeliani uccisi e almeno 1.952 feriti dal 7 ottobre.

* Questo dato è stato confermato dal ministero della Sanità di Gaza il 25 dicembre. A causa delle interruzioni della rete di comunicazione all’interno della Striscia di Gaza da metà novembre il ministero della Sanità di Gaza non è in grado di aggiornare regolarmente e in modo accurato i propri dati. Tenendo conto dei dispersi, alcune associazioni per i diritti umani portano la stima del numero di morti a circa 28.000.

Avvenimenti principali

  • Il leader di Hamas Yahya Sinwar afferma che i combattenti hanno inflitto perdite e danni alle forze israeliane colpendo dal 7 ottobre non meno di 5.000 soldati e attaccando 750 veicoli militari.L’esercito israeliano sostiene che l’aviazione ha lanciato più di 100 attacchi in 24 ore contro Gaza.

  • La Mezzaluna Rossa palestinese afferma che i suoi uffici di Khan Younis sono stati bombardati dall’artiglieria israeliana, che ha distrutto il piano superiore e ha ferito parecchi palestinesi che vi si erano rifugiati.

  • Il personale dell’OMS ha sentito racconti strazianti di sopravvissuti palestinesi del bombardamento israeliano contro il campo profughi di Al-Maghazi, che ha ucciso 70 persone.

  • Le forze israeliane hanno pesantemente bombardato quartieri di Khan Younis e i dintorni dell’ospedale Nasser, cercando di conquistare un avamposto nel sud di Gaza.

  • Forze israeliane hanno ucciso due palestinesi nel campo profughi di Al-Fawwar a Hebron, nel sud della Cisgiordania.

  • Dopo aver fatto irruzione nella sua casa a Ramallah, le forze israeliane hanno arrestato la nota attivista politica Khalida Jarrar,.

  • Forze israeliane hanno fatto irruzione nel campo profughi di Nur Shams a Tulkarem per circa otto ore, hanno fatto saltare in aria tre proprietà e arrestato parecchi palestinesi.

Il leader di Hamas loda la tenacia dei palestinesi contro l’aggressione israeliana

In una lettera pubblicata dal sito in arabo di Al-Jazeera, nel suo primo messaggio pubblico dal 7 ottobre il leader di Hamas Yahya Sinwar ha affermato che le brigate Izz al-Din Al-Qassam stanno conducendo una feroce battaglia senza precedenti contro le forze dell’occupazione israeliana nella Striscia di Gaza.

La lettera di Sinwar era indirizzata ai membri dell’ufficio politico di Hamas durante il dialogo per i tentativi di mediazione egiziani e qatarini per raggiungere un accordo di cessate il fuoco e uno scambio di ostaggi con Israele. Tuttavia più tardi, lunedì, Al-Jazeera ha tolto dal sito la lettera.

Sinwar ha affermato che i combattenti della resistenza hanno inflitto perdite significative alle forze israeliane, colpendo almeno 5.000 soldati e uccidendone un terzo. Il leader di Hamas ha aggiunto che i combattenti della resistenza hanno attaccato un totale di 750 veicoli militari, determinandone a quanto ha affermato la distruzione totale o parziale.

Ha aggiunto che i palestinesi della Striscia di Gaza “hanno fornito un esempio di sacrificio, eroismo, lealtà, solidarietà e interdipendenza senza precedenti” durante la guerra, in cui le forze israeliane hanno ucciso più di 20.000 palestinesi e ne hanno feriti circa 55.000.

I dati ufficiali israeliani indicano che fino a lunedì nei combattimenti sono stati uccisi 156 soldati israeliani. Tuttavia questi numeri potrebbero essere più alti, in quanto in base a fonti indipendenti l’esercito israeliano avrebbe imposto un ordine di riservatezza che impedisce ai media israeliani di dare informazioni sulle vittime israeliane nella Striscia di Gaza.

Forze israeliane bombardano gli uffici della Mezzaluna Rossa palestinese a Gaza

Martedì mattina l’esercito israeliano ha affermato che nelle ultime 24 ore l’aviazione ha lanciato nella Striscia di Gaza più di 100 attacchi.

Martedì la Mezzaluna Rossa palestinese (PRCS) ha detto che i suoi uffici a Khan Younis, nel sud della Striscia di Gaza, sono stati attaccati da un bombardamento dell’artiglieria israeliana che ha distrutto il piano superiore. Vari sfollati palestinesi che vi si erano rifugiati sono rimasti feriti.

La PRCS ha affermato che l’equipaggio di un’ambulanza è sopravvissuto “miracolosamente” al bombardamento israeliano di lunedì mentre stava trasportando i corpi di palestinesi uccisi nel quartiere di Al-Katiba a Khan Younis. Forze israeliane la scorsa settimana hanno anche arrestato parecchi dipendenti della PRCS nel centro ambulanze di Jabalia, nel nord di Gaza, dopo avervi fatto irruzione.

Dal 7 ottobre la PRCS, che nella Striscia di Gaza gestisce vari ambulatori medici e ospedali convenzionati, opera in condizioni durissime e con carenza di rifornimenti sufficienti di medicine e carburante. Dal 7 ottobre sono stati uccisi dai bombardamenti israeliani almeno 284 membri del personale, molti dei quali mentre stavano fornendo interventi di pronto soccorso e assistenza medica.

Lunedì pomeriggio il ministero della Sanità di Gaza ha detto che da ottobre 20.674 persone sono state uccise come martiri e 54.536 ferite nei bombardamenti israeliani.

Il personale dell’OMS ha sentito storie orribili dai sopravvissuti palestinesi del massacro di Al-Maghazi

Domenica notte almeno 70 palestinesi sono stati uccisi nel bombardamento israeliano di case nel campo profughi di Al-Maghazi, nella zona centrale di Gaza. Il direttore dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) Tedros Adhanom Ghebreyesus ha scritto su X che nell’ospedale Al-Aqsa il personale dell’OMS ha sentito “storie terribili” da vittime del brutale bombardamento di Al-Maghazi.

“Il personale dell’OMS ha ascoltato resoconti strazianti, che sono condivisi sia da lavoratori sanitari che dalle vittime, delle sofferenze causate dalle esplosioni. Un bambino ha perso tutta la sua famiglia nell’attacco contro il campo. Un infermiere dell’ospedale ha sofferto la stessa perdita, in quanto tutta la sua famiglia è stata uccisa,” ha scritto Ghebreyesus.

Ha aggiunto che il personale sanitario dell’ospedale Al-Aqsa ha cercato di salvare la vita di Ahmad, un bambino di 9 anni, che aveva subito una ferita alla testa dovuta a schegge e detriti provocati da un’esplosione israeliana mentre stava attraversando una strada ad Al-Maghazi.

“I medici ci hanno detto che le sue ferite erano talmente serie che non sarebbe sopravvissuto,” ha scritto lunedì.

“L’ospedale (Al-Aqsa) sta assistendo molti più pazienti di quanti la sua capienza e il suo personale possano gestire. Molti non sopravviveranno all’attesa. Al momento l’ospedale ha in funzione cinque sale operatorie e altre due sono gestite da (Medici senza Frontiere), ma non è ancora sufficiente,” ha aggiunto.

Ghebreyesus ha chiesto un cessate il fuoco e ha affermato che il personale dell’OMS sta assistendo alla distruzione del sistema sanitario di Gaza, che è stato “messo in ginocchio” dalla prosecuzione dei bombardamenti israeliani.

Gemma Connell, dell’agenzia umanitaria dell’ONU (OCHA), martedì ha detto alla BBC che lunedì le condizioni dell’ospedale Al-Aqsa erano “una totale carneficina”.

Connell ha affermato che durante la sua visita all’ospedale “ci sono stati nuovi attacchi aerei che hanno colpito aree limitrofe all’ospedale nella zona centrale [della Striscia] e vi venivano portate nuove vittime.”

“Tragicamente ho visto spirare un bambino di nove anni con una terribile ferita alla testa,” ha aggiunto. “Quando dico che ci sono stati di nuovo attacchi oggi e che sono arrivate vittime, alcuni di questi attacchi sono avvenuti in zone in cui era stato detto alla gente di spostarsi, il che, penso, riprende ancora una volta il ritornello che sono così stanca di dire: a Gaza non ci sono posti sicuri.”

Le forze israeliane concentrano la potenza di fuoco contro Khan Younis, nel tentativo di conquistare un avamposto nel sud di Gaza

Nelle ultime 24 ore le forze israeliane hanno intensificato la campagna di bombardamenti nella Striscia di Gaza concentrando la loro potenza di fuoco contro Khan Younis e nelle zone meridionali [della Striscia di Gaza], mentre le forze di terra cercano di conquistare un avamposto nella seconda città più grande dell’enclave costiera.

Almeno dieci palestinesi sono stati uccisi in un attacco aereo israeliano nella città di Khan Younis. L’agenzia di stampa Wafa informa che le forze israeliane hanno bombardato anche i dintorni dell’ospedale Nasser, le case della famiglia Al-Najjar a sud dell’area di Kaizan Al-Najjar a Khan Younis e della famiglia Abu Rizqa nel quartiere olandese della città.

Lunedì pomeriggio gli attacchi aerei israeliani hanno ucciso cinque palestinesi nel quartiere di Al-Amal di Khan Younis. Il ministero della Sanità di Gaza ha affermato che da domenica pomeriggio le forze israeliane hanno commesso 25 massacri, uccidendo almeno 250 palestinesi e ferendone altri 500.

Ad est e a nord di Khan Younis le forze israeliane hanno colpito con bombardamenti di artiglieria e attacchi aerei le cittadine di Bani Suheila, Al-Bureij e i campi profughi di Al-Maghazi.

Anche Juhr Al-Dik, una zona a sud-est di Gaza City, è stata bombardata. Juhr Al-Dik è diventata il luogo di molti attacchi dei combattenti palestinesi contro le forze israeliane schierate nella zona da fine ottobre.

Nella città meridionale di Rafah molti palestinesi feriti dagli attacchi israeliani sono stati ricoverati nell’ospedale Kuwaitiano. Forze israeliane hanno bombardato la casa della famiglia Al-Amsi in piazza Al-Najmeh a Rafah e un’altra casa nel campo profughi di Al-Shaboura. Lunedì pomeriggio forze israeliane hanno bombardato anche la città di Deir Al-Balah.

Forze israeliane hanno assaltato il campo profughi di Nour Shams, uccidendo due palestinesi a Hebron

Martedì mattina forze israeliane hanno ucciso due palestinesi nella Cisgiordania occupata.

Il ministero della Sanità ha affermato che Ibrahim Majid Abdel Majeed al-Titi, 31 anni, e Ahmad Muhammad Yousef Yaghi, 17, sono stati uccisi da fuoco israeliano nel campo profughi di Al-Fawwar a Hebron, nel sud della Cisgiordania.

Martedì mattina forze israeliane hanno attaccato Al-Fawwar e hanno sparato proiettili veri contro palestinesi, uccidendo Yaghi e al-Titi. Il numero totale di palestinesi uccisi dalle forze israeliane e dai coloni nella Cisgiordania occupata e a Gerusalemme dal 7 ottobre è salito a 305.

La Wafa ha informato che durante la notte forze israeliane hanno arrestato 55 palestinesi. Gli arrestati più famosi sono l’attivista politica Khalida Jarrar, 60 anni, e Rashad Karaja, capo del consiglio comunale del villaggio di Safa, nei pressi di Ramallah. Sia Jarrar che Karaja sono importanti attivisti di sinistra.

Le forze israeliane hanno fatto irruzione nella casa di Jarrar nella città di al-Bireh, nei pressi di Ramallah, ed hanno perquisito i suoi effetti personali. Jarrar è stata arrestata molte volte nel corso degli anni ed ha scontato varie sentenze consecutive di detenzione amministrativa, l’ultima nel 2021, dopo di che è stata rilasciata dalla prigione israeliana. La figlia minore di Jarrar, Suha, è morta durante l’ultimo periodo di detenzione di sua madre, e Jarrar, nonostante fosse in prigione senza accuse né processo, non ha potuto partecipare al funerale della figlia.

A Hebron forze israeliane hanno arrestato anche 17 palestinesi delle famiglie Abu Hadid e Al-Atrash, mentre al check point militare di Barta’a, a sud della città di Jenin, sono stati arrestati anche altri 17 operai e commercianti prima di essere trasferiti nei centri di detenzione di Salem e Huwwara.

La Wafa ha informato che durante la notte a Betlemme sono stati arrestati 15 palestinesi, tra cui due donne e un giornalista.

Secondo il Club dei Prigionieri Palestinesi da ottobre le forze israeliane hanno arrestato un totale di 4.785 palestinesi dalle loro case o ai posti di controllo militari. Dopo un’incursione di circa otto ore nel campo profughi di Nour Shams, a est della città di Tulkarem, martedì mattina le forze israeliane si sono ritirate dalla zona.

Forze israeliane hanno fatto saltare in aria tre case a Nour Shams, tra cui quella di Odeh Khalil Arif Hassan, 38 anni, nel quartiere di Al-Maslakh. Hassan era stato arrestato durante l’incursione.

La Wafa ha informato che l’esplosione ha provocato danni alle case vicine, tra cui quella di Abdul Hadi Arif e Muhammad Al-Azab.

La seconda casa che le forze israeliane hanno fatto saltare in aria è stata quella di Yousef al-Zindeeq, situata all’ingresso di Nour Shams. Il secondo piano della casa di Musa Al-Azb è stato in seguito fatto esplodere, provocando un incendio.

La Wafa ha riportato che durante il raid forze israeliane hanno vandalizzato case palestinesi e hanno requisito telefonini, arrestando Abdel Karim Omar Nasrallah, 27 anni, e Ahmad Muhammad Abu Zahra, 26.

Bulldozer israeliani hanno sfasciato vari veicoli palestinesi, distrutto muri e danneggiato strade a Nour Shams. Un edificio in costruzione nella zona di Aktaba è stato colpito con bombe anticarro Energa.

Secondo la Wafa forze israeliane hanno fatto irruzione anche nella città di Tulkarem, e Nour Shams è diventato una “zona militare” chiusa, il che impedisce l’ingresso e l’uscita di palestinesi del campo, mentre un aereo da ricognizione israeliano ha sorvolato a bassa quota la zona.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Sei morti nel corso di un attacco israeliano contro un campo profughi nella Cisgiordania occupata

Redazione di Al Jazeera

27 dicembre 2023 – Al Jazeera

Le ambulanze sarebbero state bloccate dall’esercito israeliano dopo l’attacco contro il campo profughi di Nur Shams, vicino a Tulkarem.

Almeno sei palestinesi sono stati uccisi da un drone israeliano durante un raid contro un campo profughi nel nord della Cisgiordania occupata mentre le forze israeliane hanno esteso le loro operazioni sul territorio.

La Mezzaluna Rossa palestinese (PRCS) e funzionari sanitari hanno riferito che mercoledì notte un drone ha colpito un gruppo di palestinesi nel campo profughi di Nur Shams, vicino a Tulkarem.

Secondo il Ministero palestinese della Salute sei corpi sono stati portati in un ospedale locale, oltre a varie persone ferite nel corso dell’attacco.

Secondo quello che ha riferito Imran Khan di Al Jazeera nel suo reportage di mercoledì da Nur Shams, le sei vittime sarebbero giovani fra i 16 e i 29 anni che stavano assistendo al raid.

Il drone è sceso dall’alto, chiaramente gli uomini non hanno avuto scampo. È stato un attacco mortale intenzionale,” ha detto.

L’incursione è stata il “secondo più massiccio raid” sul campo profughi in 24 ore, ha precisato Alan Fisher di Al Jazeera, che si trova nella Gerusalemme Est occupata ha riferito dei continui scontri a Tulkarem e Nur Shams durati fino alle 7 di mercoledì mattina.

Ci hanno avvertiti che c’erano cecchini sul tetto, che gli israeliani erano entrati a Nur Shams per cercare di arrestare persone che dicevano essere ‘ricercate’.”

La seconda notte consecutiva di raid contro il campo hanno fatto preoccupare la gente ancora di più per quello che sarebbe potuto succedere più tardi quella sera, ha aggiunto Fisher.

Ambulanze ‘bloccate’

opo l’attacco a Nur Shams, la PRCS ha detto che l’esercito israeliano ha impedito alle ambulanze di trasportare i morti e i feriti.

La gente ha cercato di aiutare [le vittime], ma per almeno un’ora e mezza gli israeliani non hanno permesso l’accesso alle ambulanze,” ha detto Khan di Al Jazeera. “Alla fine hanno dovuto prelevare i corpi e portarli giù dove stavano le ambulanze. Ovviamente a quel punto era troppo tardi. Erano morti.”

Al Jazeera ha parlato con fonti presso l’ospedale locale, secondo cui un soldato israeliano è entrato in un’ambulanza e ha pugnalato al collo un uomo ora ricoverato in un’unità di terapia intensiva.

L’esercito israeliano ha anche condotto raid notturni contro le città di Betlemme, Jenin, Hebron e Tubas. Secondo quanto riferito dalla palestinese agenzia di stampa Wafa, tre persone sono state ferite nel campo profughi di Dheisheh a Betlemme.

Stando a quanto dichiarato dalla Commissione degli Affari dei detenuti ed ex-detenuti e del Club dei Prigionieri palestinesi, almeno 12 persone sono state incarcerate dall’esercito israeliano nella Cisgiordania occupata in raid notturni.

La violenza in Cisgiordania è esplosa con l’inizio della guerra israeliana contro la Striscia di Gaza il 7 ottobre. In questo periodo durante i raid oltre 300 persone sono state uccise e 4.700 palestinesi sono stati arrestati.

Nella Striscia di Gaza almeno 20.915 persone sono state uccise e 54.918 ferite nel corso degli attacchi israeliani dal 7 ottobre. Il bilancio aggiornato delle vittime dell’incursione di Hamas in Israele è di 1.139.

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha detto che il suo esercito non diminuirà l’intensità dei combattimenti, anzi “espanderà le operazioni a sud di Gaza”, mentre Herzi Halevi, il capo di stato maggiore israeliano, ha precisato che la guerra a Gaza continuerà per “molti mesi”.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Trasferimento forzato, ‘imperativo morale’ e disprezzo coloniale

Ramona Wadi

26 dicembre 2023 Middle East Monitor

Due editoriali usciti il giorno di Natale, uno del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu pubblicato sul Wall Street Journal e l’altro di Joel Roskin, geologo e geografo all’Università Bar-Ilan, apparso sul Jerusalem Post, puntano entrambi verso la pulizia etnica dei palestinesi di Gaza. Solo che la retorica di Netanyahu, non i suoi ordini, lo fa in modo leggermente meno indelicato, per compiacere l’Occidente della cui approvazione ha bisogno per distruggere completamente Gaza.

Netanyahu elenca tre prerequisiti per la “pace” e non cita gli ostaggi israeliani che restano a Gaza sotto la minaccia di essere uccisi dai bombardamenti dell’IDF. “Hamas deve essere distrutto, Gaza deve essere demilitarizzata e la società palestinese deve essere deradicalizzata.” Naturalmente Netanyahu ha bisogno della complicità internazionale e insiste che la comunità internazionale “dovrebbe incolpare Hamas per le massicce perdite civili della guerra in corso”. No, non deve. Israele sta bombardando Gaza con il pretesto di eliminare Hamas per effettuare una campagna di pulizia etnica totale contro il popolo palestinese.

Tuttavia la comunità internazionale non ha fatto altro che mercanteggiare sulle pause umanitarie e gli aiuti umanitari. Nel frattempo, a porte chiuse, il piano di Netanyahu per i palestinesi di Gaza è la “migrazione volontaria” – l’eufemismo di Israele per il trasferimento forzato, vietato dal diritto internazionale, che la comunità internazionale ha normalizzato a favore di Israele nel corso della Nakba del 1948.

Queste notizie non sorprendono, dato che il ministero israeliana dell’Intelligence ritiene che il trasferimento forzato sia l’opzione preferita, e che lo scorso novembre il parlamentare del Likud Danny Danon ha promosso la violazione del diritto internazionale a “imperativo morale” per i Paesi occidentali. Se l’Occidente probabilmente non solleverà che poche obiezioni o nessuna ai piani israeliani di trasferimento forzato, non esiste alcun imperativo morale nell’assecondare la pulizia etnica. Il problema è che la comunità internazionale non ha l’imperativo morale per fermare permanentemente la violenza coloniale israeliana perché la sua complicità è a mala pena distinguibile dalle attuali azioni di Israele.

L’editoriale di Roskin gronda odio, arroganza e ricatto, e ignora completamente la realtà politica di Gaza, incluso il rifiuto della comunità internazionale di accettare i risultati elettorali del 2006 e di avviare un dialogo con Hamas. L’Egitto, scrive Roskin, sarebbe “accolto dalla comunità internazionale quale salvatore della disperata situazione dei gazawi” se accettasse di essere complice dei piani israeliani di pulizia etnica. Roskin considera la Penisola del Sinai il luogo ideale per il “reinsediamento” dei palestinesi cacciati da Gaza dalla campagna di bombardamenti israeliani. Chiamare i trasferimenti forzati “sinceri programmi di reinserimento”, afferma Roskin, “L’obliterazione di Hamas in corso, che terrorizza i funzionari dell’Autorità Palestinese e molti abitanti di Gaza, potrebbe spianare la strada comparsa della soluzione del Sinai prospettata, se presentata in modo accorto e discreto che sia conforme alla mentalità mediorientale.”

Tutte queste parole ostili non rivelano altro che disprezzo coloniale per la popolazione indigena palestinese. I palestinesi non sarebbero forse abbastanza maturi da formare il proprio percorso politico se avessero la possibilità di farlo, invece di diventare rifugiati perpetui secondo il paradigma umanitario, tutto a beneficio di Israele? Se i palestinesi di Gaza non possono ritornare alle proprie terre e sono trasferiti a forza con la completa benedizione della comunità internazionale, Gaza potrebbe essere persa, ma non si vedrà la fine della lotta anticolonialista palestinese.

Un popolo che ricorda non può perdersi, non se sa che il colonialismo è reversibile.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autrice e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor.

(tradotto dall’inglese da Mirella Alessio)




Il 7 ottobre un generale israeliano ha ucciso suoi concittadini per poi mentire al riguardo

Ali Abunimah e David Sheen

24 dicembre 2023 – The Electronic Intifada

Dei video e resoconti di testimoni recentemente pubblicati da media israeliani rivelano nuovi dettagli su come il 7 ottobre l’esercito israeliano abbia ucciso i propri civili nel Kibbutz Beeri.

La settimana scorsa il Canale 12 israeliano ha diffuso dei filmati inediti di un carro armato israeliano che spara contro un’abitazione civile all’interno dellinsediamento coloniale, a poche miglia a est di Gaza.

Le nuove prove mostrano che il comandante israeliano presente sul posto, il generale di brigata Barak Hiram, ha mentito a una famosa giornalista israeliana su ciò che è accaduto nel kibbutz quel giorno dopo il lancio da parte dei combattenti della resistenza palestinese di un assalto su larga scala contro basi militari e insediamenti coloniali israeliani oltre il confine di Gaza.

Si tratta di un tentativo di insabbiamento da parte di un alto ufficiale militare con la complicità dei media.

Ma lungi dallessere ritenuto in alcun modo responsabile, Hiram sta per assumere il suo nuovo ruolo di comandante della Divisione Gaza, la brigata dellesercito israeliano sconfitta il 7 ottobre dalle forze palestinesi.

Hiram abita nell’insediamento di Tekoa, costruito in violazione del diritto internazionale vicino alla città di Betlemme nella Cisgiordania occupata.

Il 26 ottobre in unintervista con Ilana Dayan, conduttrice del prestigioso programma investigativo Uvda del canale israeliano Channel 12, Hiram ha fornito un falso resoconto dei tentativi di salvare i civili a Beeri.

Ha anche propagandato false atrocità, sostenendo che i combattenti palestinesi, all’interno del kibbutz, avessero immobilizzato e giustiziato a sangue freddo 10 civili, otto dei quali minorenni.

Questo tipo di storie raccapriccianti – amplificate dai leader israeliani e inoltrate direttamente alla Casa Bianca e ai media mondiali – hanno avuto un ruolo diretto nel provocare il sostegno dei governi e dell’opinione pubblica occidentali alla risposta genocida da parte di Israele.

Lintervista di Hiram da parte di Dayan è stata trasmessa più di 10 giorni dopo che Yasmin Porat aveva fornito la propria testimonianza alla radio di Stato israeliana – un resoconto molto diverso da quello di Hiram e molto meno lusinghiero per le forze israeliane.

Porat era tra i 15 civili trattenuti dai combattenti palestinesi nella casa colpita da un carro armato come si osserva nel nuovo video, la casa di Pessi Cohen, residente nel kibbutz Be’eri, anch’egli rimasto lì ucciso.

Nella sua intervista del 15 ottobre alla radio israeliana, diventata virale dopo la traduzione di The Electronic Intifada, Porat ha descritto come lei e il suo compagno Tal Katz si trovassero al rave Supernova quando la mattina presto di sabato 7 ottobre è iniziato il lancio di razzi da Gaza.

La coppia è salita in macchina ed è fuggita a Be’eri dove ha bussato alla porta di Adi e Hadas Dagan, abitanti del kibbutz.

Sono rimasti nascosti insieme ai Dagan finché i combattenti palestinesi non li hanno trovati e portati in un’altra casa vicina dove altri civili erano tenuti prigionieri da diverse decine di combattenti di Hamas.

I primi rapporti affermavano erroneamente che questi eventi avevano avuto luogo nella sala da pranzo del kibbutz.

Secondo Porat, in casa di Pessi Cohen i combattenti palestinesi hanno trattato umanamente” una decina di civili israeliani e li hanno rassicurati sul fatto che non avrebbero subito ulteriori danni.

I palestinesi hanno fornito loro acqua e li hanno lasciati uscire sul prato per difendersi dal caldo.

Secondo Porat i combattenti volevano che i militari israeliani, che pensavano fossero già ammassati nella zona, garantissero loro un passaggio sicuro per un ritorno a Gaza, dove avrebbero poi rilasciato i civili al confine.

Le richieste dei combattenti sono state comunicate a Porat tramite Suhayb al-Razim, un autista palestinese di minibus della Gerusalemme Est occupata, anch’egli catturato e costretto a fungere da interprete in ebraico.

Al-Razim era stato catturato all’inizio della giornata mentre trasportava i partecipanti israeliani alla festa da e verso il rave Supernova.

Su richiesta dei combattenti palestinesi Porat ha chiamato la polizia israeliana per far sì che i militanti negoziassero una via d’uscita.

Dopo numerose telefonate con la polizia gli ostaggi e i loro rapitori hanno aspettato l’arrivo delle forze israeliane. Porat ha affermato che quando finalmente i soldati sono arrivati a ridosso della casa di Pessi Cohen hanno iniziato a sparare senza preavviso.

Uccisi dai loro

Eravamo fuori e allimprovviso c’è stata una raffica di proiettili contro di noi da parte dellunità [israeliana] YAMAM. Abbiamo iniziato tutti a correre per trovare un riparo”, ha detto Porat a Canale 12.

Nello scontro a fuoco che ne è seguito un comandante palestinese, in seguito identificato come Hasan Hamduna, ha trattato la propria resa con le forze israeliane. Gli hanno detto di spogliarsi e di uscire con Porat.

Appena fuori Porat ha chiesto agli israeliani di smettere di sparare, cosa che hanno fatto. Poi ha visto diversi abitanti del kibbutz stesi a terra – persone che, con una sola eccezione, sarebbero risultate morte.

Alla domanda se possano essere state le forze israeliane ad ucciderli, Porat ha risposto: senza dubbio”.

Hanno eliminato tutti, compresi gli ostaggi. Perché c’è stato un fuoco incrociato molto, molto pesante”, ha detto Porat. Sono stato liberata verso le 17:30. I combattimenti sarebbero finiti alle 20:30. Dopo un folle fuoco incrociato due proiettili di carro armato sono stati sparati contro la casa”.

Tra le persone uccise dai proiettili del carro armato c’erano Adi Dagan e il compagno di Porat, Tal Katz.

Hadas Dagan è rimasta ferita ma è sopravvissut, l’unica israeliana oltre a Porat a uscire viva dalla battaglia.

In un’altra intervista del mese scorso Porat ha rivelato che, secondo Hadas Dagan, il bombardamento del carro armato avrebbe ucciso anche Liel Hatsroni, una ragazza di 12 anni che i fautori della propaganda israeliana sostenevano fosse stata assassinata dai palestinesi.

Allinizio di questo mese, Hadas Dagan ha rilasciato la sua prima intervista, confermando i punti salienti del racconto di Porat.

Fa parte di un servizio di mezz’ora di Channel 12 andato in onda il 9 dicembre che presenta insieme a Porat anche i familiari di altri prigionieri israeliani uccisi nello stesso incidente.

È ovvio che questo episodio solleva un dilemma morale molto pesante. Non voglio che qualcuno utilizzi il complicato dilemma morale presente nella storia per puntare un dito accusatorio contro lesercito”, dice Dagan nel rivelare la causa immediata della morte di suo marito. “Per me è molto chiaro che io e Adi siamo stati feriti dalle schegge del proiettile del carro armato perché è successo proprio in quel momento.”

Descrive l’orribile esperienza vissuta nell’osservare suo marito sanguinare su di lei da una ferita nel collo lunga diversi centimetri, fino al momento in cui ha smesso di muoversi.

Sono arrabbiata, sono molto arrabbiata. Sono arrabbiata per il fatto che siamo stati abbandonati, che siamo stati traditi, che siamo stati soli, soli, soli, per così tante ore”, dice. “Adi, finire la sua vita in quel modo, massacrato.”

“All’improvviso ho visto un carro armato”

Un video girato quasi al livello del suolo mostra un carro armato che attraversa il kibbutz il 7 ottobre, mentre le riprese aeree da un elicottero israeliano mostrano un carro armato che spara un proiettile contro la casa di Pessi Cohen alle 17:33. I combattenti israeliani presenti lo hanno descritto come un colpo di avvertimento.

Il carro armato ha poi subito danni, forse a causa di un razzo RPG, sparato dall’interno della casa dai combattenti di Hamas: “Successivamente il carro armato è stato danneggiato e ne è arrivato un altro che ha completato la missione”, ha riferito Channel 12.

Nel rapporto del 9 dicembre Hadas Dagan conferma il resoconto di Yasmin Porat sui prolungati negoziati con i combattenti palestinesi prima che le forze israeliane arrivassero e iniziassero a sparare.

Canale 12 ha riprodotto l’audio delle telefonate fatte da Porat in cui lei, i gemelli israeliani dodicenni Liel e Yanai Hatsroni e il comandante palestinese Hasan Hamduna, parlano con i servizi di emergenza.

Hamduna dice all’ufficiale israeliano che vuole che l’esercito garantisca loro il passaggio verso Gaza, sostenendo che i palestinesi tengono prigionieri circa 50 israeliani.

Come ha spiegato Porat, Hamduna stava deliberatamente esagerando il numero dei prigionieri israeliani, evidentemente nel tentativo di indurre la polizia e l’esercito a trattare la situazione con maggiore urgenza.

C’è un video girato dopo che Hamduna si era arreso uscendo insieme a Porat in cui, sotto custodia israeliana, nudo, bendato e ammanettato, invita anche i suoi compagni ad arrendersi, dicendo loro attraverso un megafono che gli israeliani li avrebbero trattati umanamente e avrebbero curato le loro eventuali ferite.

Mentre era in corso questo tentativo di ripresa delle trattative è scoppiato uno scambio a fuoco ininterrotto, ha dichiarato Porat il 6 dicembre alla televisione di Stato israeliana Kan.

Alla fine è arrivato un secondo carro armato israeliano, probabilmente sotto la guida del comandante del battaglione corazzato, il tenente colonnello Salman Habaka, ucciso qualche settimana dopo a Gaza.

Io stesso sono arrivato a Beeri e ho fatto rapporto al generale di brigata Barak Hiram”, ha detto Habaka in un video prodotto dallesercito israeliano nei giorni successivi alla battaglia di Beeri.

“La prima cosa che mi ha ordinato: sparare un proiettile contro la casa.”

Quando un canale di un social media israeliano gli ha chiesto di raccontare come “è riuscito a salvare una famiglia”, Habaka non ha fornito alcuna informazione.

Ha detto invece che la sua missione era localizzare e annientare i terroristi”, e se fossero stati trovati in casa avremmo annientato i terroristi prima di inviare la fanteria per portare fuori le persone”.

Larrivo di tali armamenti ha immediatamente suscitato i timori di Yasmin Porat.

Allimprovviso ho visto un carro armato”, ha detto a Kan. Ricordo, ho detto a uno degli agenti di polizia: Ma cosa? Vuoi sparare con un proiettile da carro armato? Fuori ci sono degli ostaggi”.

“E lui mi ha risposto: ‘No, è solo per consentire alle unità di entrare in casa, stanno abbattendo i muri'”, ha aggiunto Porat.

Ma quelle non erano le uniche armi pesanti usate dalle forze israeliane a Beeri.

I principali media di tutto il mondo hanno trasmesso filmati sulle conseguenze del disastro nel kibbutz, dove intere file di case sono state ridotte in macerie.

Ma nessuno si è posto lovvia domanda: come hanno potuto i combattenti di Hamas armati solo di fucili dassalto AK-47 e qualche RPG aver causato danni così ingenti?

La risposta, ovviamente, è che non lo hanno fatto da soli. La televisione di Stato israeliana ha riferito che nel loro contrattacco per riconquistare Beeri le forze israeliane hanno utilizzato oltre ai carri armati anche elicotteri da combattimento.

Allinizio di questo mese due veterani della squadra di soccorso tattico d’élite dellesercito israeliano, lUnità 669, nel ruolo di soccorritori volontari, hanno raccontato a Kan ciò a cui hanno assistito a Beeri il 7 ottobre.

La situazione era questa: te ne stai seduto in un kibbutz nello Stato di Israele dove nei fine settimana portiamo i bambini ad andare in bicicletta. Ogni secondo un missile ti cade addosso. Ogni minuto”, dice Erez Tidhar, uno dei volontari. “All’improvviso vedi un missile lanciato da un elicottero che spara sul kibbutz.”

Un elicottero dellesercito israeliano spara contro un kibbutz israeliano”, aggiunge Tidhar costernato, e poi vedi un carro armato che avanza lungo le strade del kibbutz, spara con il cannone e spara un proiettile contro una casa. Queste sono cose che non puoi comprendere del tutto.”

Tidhar, nello specifico, è il capo della direzione nazionale della cyber sicurezza informatica di Israele.

Si sapeva già che il 7 ottobre gli elicotteri Apache israeliani di costruzione americana erano stati schierati in gran numero in tutta la regione e che avevano lanciato enormi quantità di devastanti missili Hellfire e proiettili di cannone esplosivi uccidendo sia palestinesi che civili israeliani.

Questa feroce potenza di fuoco ha incenerito a morte centinaia di persone in modo così devastante che le autorità israeliane non hanno potuto dire per settimane se si trattasse di combattenti palestinesi o civili israeliani.

La confusione ha portato Israele il 10 novembre a ridurre il proprio bilancio delle vittime a 1.200, attraverso lalto portavoce del governo israeliano Mark Regev che ha ammesso che 200 dei morti originariamente contati come israeliani erano in realtà combattenti palestinesi.

Autorizzazione a sparare”

Ma non è così che Barak Hiram, il generale di brigata presente sul posto, ha descritto gli eventi di Beeri.

Hiram ha descritto sé stesso nell’entrare eroicamente in una situazione caotica, assumendo il comando, combattendo coraggiosamente i terroristi e salvando ostaggi civili.

Ha anche raccontato storie di atrocità rivelatesi bugie grazie ai resoconti delle due sopravvissute, Yasmin Porat e Hadas Dagan.

Sabato mattina, quando abbiamo capito che era in corso uninvasione nellarea intorno a Gaza, molti soldati ed ex soldati provenienti da tutto Israele si sono uniti per sconfiggere i terroristi e salvare le famiglie israeliane nelle loro case”, ha detto Hiram l’11 ottobre al canale israeliano i24News.

Due settimane dopo, nella sua intervista del 26 ottobre con Ilana Dayan di Channel 12, ha ampliato la sua versione.

A un certo punto è arrivato anche Nissim Hazan, comandante di brigata nella mia divisione”, spiega Hiram.

Come Hiram, anche Hazan risiede in una colonia nella Cisgiordania occupata.

“È arrivato come comandante carrista su un unico carro armato che è riuscito a riparare dopo che aveva subito dei danni, ed è stato il nostro primo carro armato ad entrare nell’insediamento”, dice Hiram.

“E gli ho dato l’autorizzazione a sparare con mortai contro gli edifici solo per bloccare i terroristi”, aggiunge Hiram.

Parlando della situazione degli ostaggi, Hiram dice che mentre un commando israeliano noto come YAMAM stava ripulendo” uno dei quartieri, uno dei cittadini è riuscito a fuggire da una casa”.

Questa frase sembra riferirsi alluscita negoziata di Porat dalla casa Cohen insieme al combattente palestinese Hasan Hamduna.

“E ciò porta ad una situazione o sensazione secondo cui i terroristi barricati lì all’interno dell’isolato [di case] avrebbero potuto essere pronti a discutere o qualcosa del genere”, ricorda Hiram.

Secondo Hiram sarebbe arrivata sulla scena una squadra speciale di negoziatori che avrebbe cercato di comunicare con i combattenti all’interno.

Le distorsioni e le bugie di Hiram

Fino a questo punto il racconto di Hiram coincide più o meno con quello di Porat ma poi, con la complicità di Ilana Dayan, si trasforma in una spirale di distorsioni e di vere e proprie invenzioni.

Hanno risposto?” Dayan chiede riguardo agli sforzi di negoziazione. “Ci hanno risposto con un razzo RPG”, replica Hiram.

“A questo punto ho autorizzato il comandante della forza YAMAM a irrompere all’interno e cercare di salvare i cittadini intrappolati in quegli edifici”, afferma Hiram.

“Quindi la forza YAMAM ha ingaggiato una battaglia davvero eroica facendo irruzione all’interno”, impreziosisce Dayan. “C’era qualche speranza che ci fossero ancora degli ostaggi da salvare?”

“Credo che in quell’isolato ci fossero circa 20 abitanti e che le forze YAMAM siano riuscite a salvarne circa quattro”, afferma Hiram.

Tutti gli altri sono stati assassinati”, continua Dayan.

“Tutti gli altri sono stati assassinati a sangue freddo”, risponde Hiram. “E lì abbiamo trovato otto bambini legati insieme e fucilati e una coppia, marito e moglie, legati insieme e fucilati.”

Menzogne mortali ascoltate a Washington

Il racconto di Hiram costituisce probabilmente la fonte delle affermazioni del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu giunte subito dopo direttamente al presidente degli Stati Uniti Joe Biden, secondo cui Hanno preso decine di bambini, li hanno legati, bruciati e giustiziati”.

Il quotidiano israeliano Haaretz ha confutato le affermazioni, riferendo allinizio di questo mese che non ci sono prove che bambini di diverse famiglie siano stati assassinati insieme”.

Ciò vale anche per le famiglie tenute in ostaggio nell’abitazione di Pessi Cohen, come confermano gli unici prigionieri scampati alla morte.

Hadas Dagan non ha mai affermato che gli ostaggi fossero stati legati e Yasmin Porat ha precisato in un’intervista del 12 ottobre a Channel 12 che il suo compagno Tal Katz, ucciso anche lui dal bombardamento decisivo del carro armato, era l’unico nel loro gruppo di 15 ostaggi che i combattenti di Hamas avevano ammanettato.

Dagan non ha mai affermato che vi siano state esecuzioni e Porat ha insistito sul fatto che ciò non è avvenuto.

Nella stessa intervista del 12 ottobre Porat ha affermato che, sebbene tutti i combattenti palestinesi fossero ben provvisti di armi, non li ha mai visti sparare ai prigionieri o minacciarli.

Non ci hanno maltrattato. Ci hanno trattato in modo molto umano”, ha detto Porat tre giorni dopo nella sua ormai famosa intervista radiofonica con Kan.

«Con questo intendo dire che ci sorvegliavano. Di tanto in tanto ci davano qualcosa da bere. Quando vedevano che eravamo nervosi ci calmavano”, ha aggiunto. “È stato molto terrificante, ma nessuno ci ha trattato con violenza. Fortunatamente non mi è successo niente di simile a quello che ho sentito dai media”.

Inoltre, né Porat né Dagan hanno mai riferito, né è emerso alcun video, di commando israeliani che avessero fatto irruzione nella casa nel tentativo di salvare i prigionieri.

E contrariamente alla descrizione fatta da Hiram si sono svolte delle trattative, come ha descritto Porat.

Alcuni giorni dopo la messa in onda da parte di Channel 12 dell’intervista con Hiram Channel 13 ha trasmesso le registrazioni delle chiamate ai servizi di emergenza in cui i combattenti palestinesi cercavano di negoziare un passaggio sicuro per il loro ritorno a Gaza.

Anche un resoconto degli eventi di Beeri pubblicato sul New York Times il 22 dicembre descrive Hiram come un uomo che aveva fretta di usare la forza, nonostante altri ufficiali pensassero che i negoziati avrebbero potuto produrre risultati migliori.

“Mentre si avvicinava il crepuscolo il comandante dello SWAT [commando] e il generale Hiram hanno iniziato a discutere”, riferisce il Times. Il comandante della SWAT pensava che altri rapitori avrebbero potuto arrendersi. Il generale voleva che la situazione fosse risolta prima della notte.

“Qualche minuto dopo, secondo il generale e altri testimoni, i militanti avrebbero lanciato una granata con un lanciarazzi”, afferma il giornale.

Le trattative sono finite”, avrebbe detto Hiram al comandante del carro armato, secondo il Times. Irrompete anche a costo di vittime civili”.

Invece di salvare quattro persone come riferito a Ilana Dayan, ordinando di sparare proiettili contro la casa, Hiram ha fatto sì che tutti sul campo di battaglia tranne Hadas Dagan fossero uccisi e che almeno altri tre – Liel Hatsroni, la sua zia e tutrice Ayala Hatsroni e Suhayb al-Razim – fossero quasi completamente inceneriti sul posto.

I parenti chiedono un’inchiesta

I parenti delle persone uccise a Beeri, tenendo conto delle bugie di Hiram, si pongono domande su ciò che è accaduto ai loro cari.

Raccogliamo frammenti di informazioni, nessuno ci parla in modo chiaro”, dice Naama Ben Ami, la cui madre Hava è stata uccisa a Beeri. “Non sappiamo davvero cosa sia successo qui.”

Ben Ami e altri parenti sono stati intervistati tra le rovine di Beeri nel corso dello stesso servizio di Channel 12 del 9 dicembre in cui Hadas Dagan ha parlato per la prima volta.

“Penso che qui ci siano molte questioni inquietanti sulla gestione delle operazioni”, dice Omri Shifroni, nipote di Ayala Hatsroni e cugino dei gemelli dodicenni da lei allevati, Liel e Yanai Hatsroni, tutti morti nel massacro di Be’eri.

“Come sono arrivati ​​qui? Quando hanno aperto il fuoco, chi ha sparato? Non so chi li abbia uccisi”, dice Shifroni.

Poi fa un riferimento esplicito alle affermazioni di Hiram fatte nellintervista con Dayan.

“Non ne aveva idea!” Shifroni dice del generale di brigata. Anche quando ha parlato, e questo è successo due settimane dopo [gli eventi del 7 ottobre], non aveva idea di cosa fosse successo qui. Nessun indizio, perché non era la verità.

“Questo è qualcosa su cui devono indagare”, dice Sharon Cohen, la nuora di Pessi Cohen. “Devono farlo.”

Stavano parlando specificamente dei loro stessi parenti, ma ciò che è accaduto al kibbutz Beeri non è stata l’unica circostanza in cui Israele ha ucciso la propria gente, sia per sconsiderata incompetenza sia intenzionalmente.

La verità trapela

Finora la verità ha cominciato a trapelare solo un po’ alla volta.

A novembre una fonte della polizia israeliana ha ammesso che elicotteri militari hanno sparato contro i civili al rave Supernova – la festa musicale nel deserto vicino a Beeri a cui avevano partecipato Yasmin Porat e il suo compagno.

Nof Erez, un colonnello dellaeronautica israeliana, è arrivato addirittura a definire la risposta israeliana al 7 ottobre un Annibale di massa” – unapplicazione su larga scala della dottrina militare israeliana che consente luccisione deliberata della sua stessa gente piuttosto che consentire che vengano fatti prigionieri.

Nello stesso mese Israele ha rivelato che centinaia di corpi bruciati in modo irriconoscibile, ritenuti appartenenti ai suoi stessi civili, erano in realtà di combattenti di Hamas: una chiara ammissione di fuoco indiscriminato su vasta scala.

Allinizio di questo mese lesercito israeliano ha ammesso un’“immensa” quantità di cosiddetti incidenti di fuoco amico verificatisi il 7 ottobre, ma ha affermato che non sarebbe moralmente sano” indagare su di essi, come ha riportato il quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth.

Israele ha inoltre dovuto affrontare un enorme imbarazzo internazionale e rabbia in patria dopo che il suo esercito ha ammesso di aver ucciso tre prigionieri israeliani che erano riusciti a scappare dai loro sequestratori a Gaza.

Il mostro” palestinese

Mentre luccisione il 7 ottobre di civili israeliani – uomini e donne, giovani e anziani – da parte dei combattenti palestinesi è stata ampiamente riportata, quella di civili israeliani da parte delle forze israeliane, avvenuta nello stesso giorno, è stata insabbiata dallo Stato israeliano.

Nel frattempo, i media israeliani e i loro simpatizzanti allestero diffondono con grande enfasi affermazioni non verificate e bugie per distrarre o giustificare il genocidio di Gaza.

Tra queste le famigerate bugie sui bambini ebrei giustiziati e appesi a un filo per il bucato, decapitati e persino cotti in un forno.

Ma in un Israele più entusiasta che mai di annientare i palestinesi, sono poche le voci che chiedono una reale assunzione di responsabilità su ciò che è accaduto il 7 ottobre e dopo.

Si prenda Ilana Dayan per esempio.

Nella veste di una delle più importanti reporter “investigative” israeliane, ha cercato di scagionare Barak Hiram dalla responsabilità del bombardamento del carro armato che ha ucciso a Be’eri dei cittadini israeliani affermando: “Per quanto le notizie riportano un incidente con degli ostaggi a Be’eri, purtroppo in realtà non cerano ostaggi”.

Ecco come ha spiegato cosa sarebbe successo quel giorno in una recente puntata del podcast Unholy, condotto da Yonit Levy di Channel 12 e Jonathan Freedland di The Guardian: “C’è un mostro che è cresciuto dall’altra parte della recinzione, dall’altra parte del confine.”

Per quanto molto spigliata nel riferire esagerazioni e invenzioni Dayan non ha espresso alcun interesse per ciò che Israele fa da oltre 75 anni ai palestinesi in tutto il Paese, e soprattutto a Gaza, tanto da averli indotti a lanciare un attacco armato su vasta scala contro Israele.

Quando le è stato chiesto se gli israeliani un giorno avrebbero dovuto fare i conti con lorribile portata di morte, sofferenza e devastazione che il loro esercito sta infliggendo ai civili a Gaza, Dayan ha risposto indignata.

È possibile capire che una nazione con il cuore spezzato è troppo distrutta per avere un minimo di empatia per laltro, per il nemico?” ha chiesto Dayan. Cosa si aspettava Hamas quando ha lanciato questa atrocità brutale, sadica, terribile, mostruosa? Cosa si aspettavano?”

E alla domanda se agli israeliani dovesse essere mostrata questa realtà, Dayan ha risposto: Non siamo giornalisti stranieri, siamo giornalisti israeliani. Non è il momento per noi di fare valutazioni su entrambe le parti”.

Ciò potrebbe spiegare perché Dayan abbia voluto aiutare Barak Hiram e assecondare il suo fantasioso racconto della battaglia di Beeri, seppellendo la verità su come Israele abbia ucciso lì i suoi stessi cittadini.

Tuttavia, ciò non spiega perché i media, le organizzazioni e i governi internazionali, comprese le Nazioni Unite, continuino ad accettare le bugie di Israele e non abbiano richiesto indagini credibili e indipendenti su ciò che è realmente accaduto il 7 ottobre.

Il prezzo di questa complicità lo sta pagando il popolo di Gaza.

Ali Abunimah è il direttore esecutivo di The Electronic Intifada.

David Sheen è lautore di Kahanism and American Politics: The Democratic Partys Decades-Long Courtship of Racist Fanatics [Kahanismo e politica americana: il corteggiamento decennale dei fanatici razzisti da parte del Partito Democratico, ndt.].

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




I soccorritori di Gaza tormentati per coloro che non hanno potuto salvare

Ruwaida Kamal Amer

19 dicembre 2023 – +972 Magazine

Le squadre della protezione civile lavorano 24 ore su 24 con risorse ridottissime per aiutare i palestinesi intrappolati sotto le macerie. Troppo spesso è una battaglia persa.

Non riesco a dormire nemmeno per un minuto. Sono continuamente ossessionato dalle voci e dalle grida delle persone sotto le macerie che ci pregano di tirarle fuori.”

Ecco come Ibrahim Musa, un ventisettenne del campo profughi di Al-Bureij nel centro della Striscia di Gaza, descrive la sua vita dopo l’inizio del bombardamento di Israele. Non solo lotta per sopravvivere giorno dopo giorno come tutti nell’enclave assediata, ma Musa è anche uno degli oltre 14.000 addetti al soccorso inclusi nelle squadre di difesa civile di Gaza, che dopo ogni attacco aereo israeliano guidano i tentativi di salvare le vite di chi è rimasto intrappolato sotto le macerie.

Musa, pur avendo lavorato nella protezione civile di Gaza per cinque anni – anche durante le tante aggressioni israeliane alla Striscia, come in periodi di relativa “calma” in cui il lavoro consiste nel soccorrere le persone in casi di emergenza più comuni – non ha mai assistito a qualcosa di simile a ciò che sta accadendo adesso. Secondo il Ministero della Sanità di Gaza dall’inizio della guerra si contano più di 8.000 persone disperse, di cui la gran maggioranza si pensa sia sepolta sotto le macerie. Molti di loro sono probabilmente morti nonostante tutti gli sforzi degli operatori della difesa civile come Musa, che non sono in grado di competere con il livello di distruzione che si è abbattuto su Gaza nelle ultime settimane.

Non abbiamo le attrezzature per rimuovere le macerie,” spiega Musa. “Se si tratta di un edificio di parecchi piani non c’è molto che possiamo fare. Ci vogliono molte ore e molti tentativi per ottenere qualche progresso.”

Arrivati sulla scena della distruzione dopo un attacco aereo israeliano, gli operatori della protezione civile devono cercare velocemente di capire con che cosa hanno a che fare. “Normalmente non sappiamo chi è intrappolato di sotto o quante persone stiamo cercando, perciò chiamiamo tra le macerie chiedendo se qualcuno è vivo e può dirci quante persone vivevano in questa casa.”, dice Musa. “Gridiamo finché qualcuno ci sente. A volte c’è una risposta immediata, ma spesso sentiamo solo dei gemiti che cerchiamo di seguire per salvare quelle persone.”

Una situazione che i soccorritori di Gaza affrontano regolarmente è dover cercare di calmare i bambini che sono intrappolati sotto le rovine della loro casa. “I bambini chiamano da sotto le macerie chiedendo dei membri della loro famiglia”, continua Musa. “A volte mentiamo e diciamo che stanno tutti bene in modo che non rimangano scioccati. Altre volte chiamano per dirci che un membro della famiglia che viveva vicino a loro è diventato un martire.”

Musa spesso ha l’impressione che lui e i suoi colleghi stiano combattendo una battaglia persa. “Non si tratta di una o due case bombardate, ma di interi complessi residenziali”, spiega. “L’intera area è completamente distrutta e diventa un unico cumulo di macerie. Dobbiamo scavare con le mani per tirar fuori le persone ferite ancora vive. Cerchiamo di stare attenti perché il peso delle macerie sui loro corpi potrebbe far sì che noi gli facciamo del male, persino fargli perdere degli arti nel tentativo di salvarli.”

La mia giornata è iniziata il 7 ottobre e non è ancora finita’

Ahmed Abu Khudair di Deir al-Balah, nel centro di Gaza, è un altro membro della protezione civile. Come Musa descrive questa guerra come “più aggressiva e violenta” di tutti i precedenti attacchi di Israele contro la Striscia; di fatto ritiene che l’esercito israeliano stia cercando attivamente di infliggere il maggior danno possibile alla popolazione civile di Gaza.

Gli stessi operatori della protezione civile non sono immuni dagli attacchi israeliani: almeno 32 di loro sono stati uccisi dall’inizio della guerra, compresi sette membri della squadra di Abu Khudair. Lui pensa che non sia stato per sbaglio.

Le forze di occupazione prendono di mira deliberatamente le squadre di difesa civile e delle ambulanze”, dice Abu Khudair. “Io sono stato ferito mentre lavoravo in una casa che era stata bombardata nel sud di Gaza. Abbiamo recuperato i corpi di tre martiri e salvato parecchi feriti, ma poi la casa è stata nuovamente bombardata. Quando sono salito sul tetto di una delle case vicine per cercare le persone siamo stati esposti ad altri due missili.”

Musa concorda con l’affermazione di Abu Khudair: “A Gaza chiunque è un bersaglio”.

Nonostante lavorino regolarmente 24 ore di seguito, gli operatori della protezione civile devono accettare il fatto che non sono in grado di salvare tutte le persone sepolte dalle macerie. “Non ci sono attrezzature”, dice Abu Khudair, spiegando che mancano i bulldozer per rimuovere grandi blocchi di cemento e anche dispositivi elettronici che possano individuare la posizione delle vittime. “Lavoriamo solo con la nostra forza fisica.”

Una situazione particolarmente devastante che è rimasta impressa nella memoria di Abu Khudair è stata in seguito ad un bombardamento notturno vicino ad un distributore di benzina nella cittadina di Al-Qarara, nel sud di Gaza. “Sono arrivato sul posto e in un primo momento non ho potuto trovare alcuna vittima”, ricorda. “Poi ho sentito dei lamenti e mi sono diretto verso quei suoni. Ho scavato tra le macerie e ho trovato due gambe incastrate, che ho liberato – appartenevano a una ragazza di 12 anni di nome Aisha.” La ragazzina gli ha detto che otto membri della sua famiglia erano intrappolati sotto le macerie, oltre ad altre famiglie, compresi 9 bambini molto piccoli.

Nonostante tutti i tentativi possibili di Abu Khudair e dei suoi colleghi, semplicemente non avevano i mezzi per salvarli. Descrive questo come “uno dei momenti più duri che ho vissuto – lasciare un luogo sapendo che ci sono persone vive sotto le macerie, ma non puoi fare niente per loro e alcuni moriranno di sicuro.

Oltre a cercare di salvare ogni giorno persone che non conoscono, i soccorritori hanno anche le proprie famiglie di cui preoccuparsi. Musa è stato lontano dalla sua casa e dalla sua famiglia lavorando 24 ore su 24 fin dal primo giorno di guerra, vivendo insieme ai suoi colleghi nell’ospedale Martiri di Al-Aqsa.

Nei periodi di guerra chi di noi sta nelle squadre di soccorso non sa mai quando le nostre giornate inizieranno o finiranno”, spiega. “Quanto a me, la mia giornata è iniziata il 7 ottobre e non è ancora finita.”

Essere lontano dalla propria famiglia significa che Musa non sa come stanno i suoi famigliari e riceve solo degli aggiornamenti per telefono. “Alcuni giorni trovano rifugio in una delle scuole a causa del pesante bombardamento del nostro quartiere nel campo [profughi] di Al-Bureij, altri giorni ritornano a casa”, dice. “Manco ai miei figli quanto loro mancano a me.”

Musa ha incontrato sua moglie e i suoi due figli solo una volta in più di due mesi – in seguito ad un attacco aereo vicino alla loro casa. “Mi hanno detto che c’era stato un bombardamento di una casa nel campo”, ricorda Musa. “Ero molto preoccupato per la mia famiglia. Con il veicolo della difesa civile siamo arrivati sempre più vicino alla strada in cui si trova la nostra casa, finché mi sono trovato alla porta del nostro edificio.”

Il bombardamento, prosegue Musa, aveva preso di mira la casa di suo zio, che è nello stesso edificio della sua famiglia. “Ho sentito tutti gridare e piangere. Mi sono messo a cercare mio zio e i suoi figli e chiunque si trovasse nella casa. Ho saputo che mio fratello di 19 anni, Abdul Rahman, era da loro, ma non ne ho trovato traccia. Il suo corpo era stato fatto a pezzi e mia sorella lo ha riconosciuto solo dai pantaloni che indossava; glieli aveva portati in regalo dall’Egitto solo pochi giorni prima della guerra.”

Poi ho visto mia moglie e i miei bambini, per pochi minuti,” prosegue Musa. “Erano salvi, ma terrorizzati.”

Nonostante gli orrori che affrontano, Musa e Abu Khudair trovano un senso profondo nel loro lavoro. “Sentiamo che questi sono nostri figli, nostri fratelli, nostri familiari che stiamo salvando”, spiega Musa. “Proviamo un senso di vittoria quando riusciamo a tirar fuori dalle macerie qualcuno in sicurezza. Ma quando sentiamo le grida di aiuto dei bambini sotto le macerie, nessuno di noi può trattenere le lacrime.”

Ê il nostro lavoro”, dice Abu Khudair. “Anche se Israele non rispetta il diritto internazionale, la legge è dalla nostra parte e siamo protetti dalla volontà di Dio.”

Ruwaida Kamal Amer è una giornalista indipendente corrispondente da Khan Younis.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




ESCLUSIVA: LA CENSURA MILITARE ISRAELIANA VIETA DI RIFERIRE SU QUESTI OTTO ARGOMENTI

Ken Klippenstein, Daniel Boguslaw

23 dicembre 2023, The Intercept

Un insolito ordine in lingua inglese sulla guerra di Gaza rompe la segretezza e l’informalità con cui normalmente funziona la censura dell’Esercito israeliano.

Armi usate dalle forze di difesa israeliane, fughe di notizie dal gabinetto di sicurezza, storie di persone tenute in ostaggio da Hamas… sono alcuni degli otto argomenti di cui, secondo un documento ottenuto da The Intercept, in Israele ai media è vietato parlare.

Il documento, un ordine di censura indirizzato ai media dall’esercito israeliano come parte della guerra contro Hamas, non era stato segnalato in precedenza. Il promemoria, scritto in inglese, è stata una mossa insolita per la censura dell’IDF che fa parte dell’esercito israeliano da più di settant’anni.

“Non ho mai visto istruzioni come queste inviate dalla censura, a parte avvisi generali che invitavano i media a conformarsi, e anche allora erano inviati solo a determinate persone”, ha detto Michael Omer-Man, ex redattore capo della rivista israeliana +972 Magazine e oggi direttore della ricerca su Israele-Palestina presso Democracy in the Arab World Now, o DAWN, un gruppo di pressione statunitense.

Intitolato “Direttiva del Capo Israeliano della censura ai media per l’Operazione ‘Spade di Ferro’”, l’ordine non è datato ma il suo riferimento all’Operazione Spade di Ferro – il nome dell’attuale operazione militare israeliana a Gaza – chiarisce che è stato emesso qualche tempo dopo l’attacco di Hamas contro Israele il 7 ottobre. L’ordine è firmato dal capo censore delle forze di difesa israeliane, Generale di Brigata Kobi Mandelblit. (Il censore militare israeliano non ha risposto a una richiesta di commento sul promemoria.)

Il documento è stato fornito a The Intercept da una fonte che ne ha avuto una copia dall’esercito israeliano. Un documento identico appare sul sito web del governo israeliano.

“Alla luce dell’attuale situazione di sicurezza e dell’intensa copertura mediatica, desideriamo incoraggiarvi a sottoporre alla censura tutto il materiale riguardante le attività delle Forze di difesa israeliane (IDF) e delle forze di sicurezza israeliane prima che sia reso pubblico”, dice l’ordine. “Si prega di informare il proprio staff sul contenuto di questa lettera, con particolare attenzione alla redazione e ai giornalisti sul campo.”

L’ordine elenca otto argomenti di cui è vietato ai media riferire senza previa approvazione da parte della censura militare israeliana. Alcuni degli argomenti toccano questioni politiche scottanti in Israele e a livello internazionale, come rivelazioni potenzialmente imbarazzanti sulle armi usate da Israele o catturate da Hamas, discussioni sulle riunioni del gabinetto di sicurezza e sugli ostaggi israeliani a Gaza – una questione per la cui cattiva gestione il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu è stato ampiamente criticato.

La nota vieta inoltre di riferire su dettagli di operazioni militari, intelligence israeliana, attacchi missilistici che abbiano colpito luoghi sensibili in Israele, attacchi informatici e visite di alti ufficiali militari sul campo di battaglia.

Le preoccupazioni circa una politicizzazione della censura militare non sono meramente ipotetiche. Il mese scorso, secondo quanto riferito, il censore israeliano si è lamentato del fatto che Netanyahu gli stesse facendo pressione affinché reprimesse alcuni media senza una ragione legittima. Netanyahu ha negato l’accusa.

Autocensura e segretezza

La Censura Militare Israeliana è un’unità situata all’interno della Direzione dell’Intelligence Militare dell’IDF. L’unità è comandata dal capo censore, un ufficiale militare nominato dal Ministro della Difesa.

Guy Lurie, ricercatore presso l’Israel Democracy Institute con sede a Gerusalemme, ha detto a The Intercept che da quando è iniziata la guerra di Israele contro Hamas più di 6.500 nuovi articoli sono stati completamente o parzialmente censurati dal governo israeliano.

Per contestualizzare la cifra, Lurie ha affermato che si tratta di circa quattro volte in più rispetto a prima della guerra, citando un articolo del quotidiano israeliano Shakuf sulle richieste di libertà di informazione. Il numero di contributi sottoposti alla censura, tuttavia, è significativamente più alto in questo momento di intenso conflitto, e Lurie ha osservato che le notizie sono sottoposte a un normale livello di censura considerando il totale dei contributi.

Il numero effettivo di nuovi articoli sottoposti a censura, tuttavia, non potrà mai essere quantificato. A causa di un sistema di strette relazioni e di una certa consapevolezza su cosa aspettarsi, i giornalisti israeliani finiscono per autocensurarsi.

“Le persone si autocensurano, non provano nemmeno a riferire le storie che sanno che non passeranno”, ha detto Omer-Man. “E questo è dimostrato proprio adesso da quanto poco i comuni israeliani sappiano dalla stampa ciò che sta accadendo a Gaza ai palestinesi”.

Sono questi modi di censura non ufficiale che danno potere alla censura in Israele, dicono gli esperti.

Nel 2022 un rapporto del Dipartimento di Stato sui diritti umani in Israele e nei territori palestinesi occupati ha affrontato la censura militare, selezionando due giornali in lingua araba nella Gerusalemme est occupata. Pur sottolineando che il censore dell’IDF non controllava gli articoli, il Dipartimento di Stato ha affermato: “I redattori e i giornalisti di quelle pubblicazioni, tuttavia, hanno riferito di essersi autocensurati per paura di ritorsioni da parte delle autorità israeliane”.

Un tempo la censura aveva un Comitato Editoriale composto da tre membri: uno della stampa, uno dell’esercito e un membro eletto pubblicamente che fungeva da presidente. Sebbene il Comitato Editoriale non esista più ufficialmente, un organismo simile, anche se informale, mantiene ancora una certa influenza.

Anche se la legge che istituisce la censura gli conferisce ampi poteri, il censore è rispettato in Israele perché è politicamente indipendente ed agisce con moderazione, soprattutto in confronto a altri paesi della regione.

“Se vedi la legge che governa la censura, è davvero draconiana in termini di autorità formali di cui dispone il censore”, ha detto Lurie a The Intercept. “Ma è mitigata da quell’accordo informale”.

Quasi tutto avviene in segreto: le discussioni del Comitato sono confidenziali, così come la maggior parte dei comunicati tra i media e la censura.

Alla domanda sul perché i procedimenti siano così segreti e perché anche le testate giornalistiche non ne parlino apertamente, un giornalista occidentale con sede in Israele e Palestina, che ha chiesto l’anonimato per evitare ritorsioni, ha dato una valutazione schietta: “Perché è imbarazzante”.

La stampa straniera e la censura

Il fatto che la nota di direttive per l’attuale guerra israeliana a Gaza sia in inglese suggerisce che sia destinato ai media occidentali. I giornalisti stranieri che lavorano in Israele devono ottenere il permesso del governo, inclusa una dichiarazione che rispetteranno la censura.

“Per ottenere un visto come giornalista devi ottenere l’approvazione del GPO (Ufficio stampa del governo) e quindi devi firmare un documento in cui dichiari che rispetterai la censura”, ha detto Omer-Man. “Questo è di per sé probabilmente contrario alle linee guida etiche di molti giornali.”

Nondimeno molti giornalisti firmano il documento. Mentre l’Associated Press, ad esempio, non ha risposto alla domanda di The Intercept sulla sua collaborazione con la censura militare, il News Wire in passato ha parlato della questione, ammettendo anche di attenersi alla direttiva.

“L’Associated Press ha accettato, come altre organizzazioni, di rispettare le regole della censura, che è una condizione per ricevere il permesso di operare come organizzazione di informazione in Israele”, ha scritto l’agenzia in un articolo del 2006. “Ci si aspetta che i giornalisti si censurino e non riportino alcun materiale proibito.”

Alla domanda se rispettasse le linee guida della censura militare israeliana e se la sua ottemperanza fosse cambiata dall’inizio della guerra, Azhar AlFadl Miranda, direttore delle comunicazioni del Washington Post, ha dichiarato a The Intercept in una e-mail: “Non possiamo condividere informazioni”, aggiungendo che “non discutiamo pubblicamente le nostre decisioni editoriali”.

Il New York Times ha dichiarato a The Intercept: “Il New York Times riporta in modo indipendente l’intero spettro di questo complicato conflitto. Non sottoponiamo le nostre corrispondenze alla censura militare israeliana”. (Reuters non ha risposto alle domande di The Intercept.)

La stampa estera che collabora con la censura è soggetta allo stesso sistema: molti articoli non passano attraverso la censura, ma alcuni argomenti prevedono che gli articoli vengano sottoposti.

“Sanno che devono trasmettere alla censura gli articoli su determinati argomenti che vogliono pubblicare “, ha detto Lurie. “Ci sono argomenti per cui i media sanno di dover ottenere l’approvazione della censura.”

Una delle cose che rende insolito l’ordine di censura scritto in lingua inglese, tuttavia, è il riferimento esplicito alla guerra con Hamas. “Non l’ho mai visto per una guerra specifica”, ha detto Lurie.

“Ci sono argomenti per cui i media sanno di dover ottenere l’approvazione della censura.”

Un argomento noto come sensibile in Israele è l’arsenale nucleare segreto del paese. Nel 2004, il giornalista della BBC Simon Wilson aveva intervistato Mordechai Vanunu, un informatore sul programma nucleare che era appena stato rilasciato dal carcere. La censura israeliana richiese copie dell’intervista, ma Wilson non accettò.

A Wilson è stato quindi impedito il rientro e il governo israeliano ha richiesto delle scuse. Inizialmente, la BBC si rifiutò di fornirne, ma alla fine il colosso mondiale dell’informazione cedette.

“[Wilson] Conferma che dopo l’intervista a Vanunu è stato contattato dalla censura e gli è stato chiesto di consegnare loro le cassette. Non lo ha fatto. Si rammarica delle difficoltà che ciò ha causato”, ha affermato la BBC nelle scuse. “Si impegna a rispettare le norme in futuro e comprende che qualsiasi ulteriore violazione comporterà la revoca del suo visto.”

Le scuse, come gran parte del lavoro della censura, sarebbero dovute rimanere segrete secondo un articolo del Guardian del 2005, ma la BBC le pubblicò accidentalmente sul suo sito web prima di rimuoverle rapidamente.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Meta accusata di ‘censura sistematica’ di contenuti filo-palestinesi

Redazione di Middle East Monitor

21 dicembre 2023 – Middle East Monitor

Martedì l’organismo di vigilanza di Meta ha dichiarato che il gigante dei social media, precedentemente noto come Facebook, ha commesso un errore nel rimuovere due video raffiguranti ostaggi e vittime provocati dal massacro militare israeliano contro i palestinesi di Gaza. La decisione è conseguente al fatto che Meta è accusata da Human Right Watch di “censura sistematica di contenuti palestinesi.”

Uno dei casi vede coinvolto un video Instagram che raffigura le conseguenze di un attacco aereo vicino all’ospedale Al-Shifa di Gaza, mostrando minori feriti e uccisi. Un altro video che si dice sia circolato è un filmato Facebook dell’attacco del 7 ottobre, che rappresenta una donna israeliana che implora i suoi rapitori di non farle del male mentre viene presa come ostaggio. L’organismo di vigilanza ha ritenuto che questi video fossero cruciali per “informare il mondo riguardo la sofferenza umana da entrambe le parti.” Tuttavia i sistemi di moderazione automatica di Meta inizialmente hanno rimosso i contenuti.

Sulla base della selezione della revisione dell’organismo di vigilanza, Meta è tornata sui suoi passi in entrambi i casi, ripristinando i video con un avviso prima della visualizzazione. Mentre l’organismo di controllo ha approvato il ripristino dei contenuti, ha espresso disaccordo sulla decisione di Meta di evitare che i video siano raccomandati agli utenti. In una dichiarazione l’organismo di controllo ha sollecitato Meta a rispondere più tempestivamente al cambiamento di circostanze sul terreno, sottolineando il delicato equilibrio tra l’importanza di dare voce alle persone e della sicurezza.

Mentre i due casi sono relativi ad entrambe le parti, le misure restrittive di Meta sui contenuti filo-palestinesi sono su su un livello diverso, dato che sono assoggettati ad una “censura sistematica”, secondo un nuovo rapporto rilasciato oggi da Human Right Watch.

L’organizzazione per i diritti umani documenta come il gigante dei social media Meta ha progressivamente ristretto il discorso in rete relativo alla Palestina sulle piattaforme come Facebook e Instagram. Nell’analisi si trovano più di 1.050 casi in cui il contenuto è stato rimosso, gli account sospesi, ha avuto luogo l’oscuramento e hanno avuto luogo altre forme di censura, tutte contro voci filo-palestinesi.

Secondo Debora Brown, la direttrice associata per la tecnologia e i diritti umani di Human Right Watch, queste restrizioni significano aggiungere “danno alla beffa in un periodo di indicibili atrocità e di una repressione che sta già soffocando l’espressione dei palestinesi.” Il rapporto sostiene che in mezzo ad attacchi devastanti a Gaza, in cui gli israeliani hanno ucciso oltre 20.000 civili, molti dei quali minori e donne, le misure restrittive di Meta servono ad “appoggiare la cancellazione della sofferenza dei palestinesi.”

Human Right Watch ha documentato quello che chiama un modello di cancellazione indebita e soppressione di un discorso protetto, che include espressioni di pace a supporto della Palestina e un dibattito pubblico riguardo ai diritti umani dei palestinesi. Il rapporto indica che il problema deriva da erronee politiche di Meta e dalla loro contraddittoria e sbagliata implementazione, da dipendenza eccessiva da strumenti automatici per moderare i contenuti e da una indebita influenza governativa sulla rimozione di contenuti.

Meta dovrebbe consentire di esprimere sulle sue piattaforme discorsi protetti, anche sulle violazioni dei diritti umani e dei movimenti politici, ha affermato Human Right Watch. L’azienda dovrebbe cominciare a rivedere le sue politiche riguardo a “organizzazioni e individui pericolosi” per adeguarle agli standard internazionali per i diritti umani.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




L’ONU chiede un’indagine in seguito alle accuse mosse all’esercito israeliano di aver ucciso palestinesi disarmati

Redazione di Al Jazeera

21 dicembre 2023 – Al Jazeera

L’ufficio per i diritti umani dell’ONU invoca un’indagine per ‘possibili crimini di guerra’ a fronte della notizia che l’esercito israeliano avrebbe ‘giustiziato’ 11 uomini palestinesi a Gaza.

L’ufficio delle Nazioni Unite per i diritti umani ha chiesto un’indagine indipendente sulle accuse secondo cui l’esercito israeliano avrebbe “sommariamente giustiziato” almeno 11 uomini palestinesi in quello che ha definito “un possibile crimine di guerra”.

Le autorità israeliane devono immediatamente avviare un’indagine indipendente, accurata ed efficace su queste affermazioni e, se fossero comprovate, i responsabili devono essere consegnati alla giustizia e si devono implementare misure per evitare che tali serie violazioni si ripetano,” ha dichiarato mercoledì l’Ufficio dell’Alto Commissario per i diritti umani (OHCHR).

Al Jazeera ha parlato con vari testimoni del raid di martedì durante il quale i soldati israeliani avrebbero circondato e fatto irruzione in un edificio residenziale, andando da un piano all’altro, separando gli uomini dalle donne e dai bambini per poi uccidere 11 degli uomini davanti alle loro famiglie. I sopravvissuti hanno detto che gli uomini avevano dai 20 ai 30 anni.

Hanno visto che eravamo uomini con le loro mogli e bambini. Mio cognato ha tentato di parlare per spiegare che in casa eravamo tutti civili, ma l’hanno ammazzato,” ha detto uno dei sopravvissuti ad Al Jazeera descrivendo l’attacco contro le famiglie rifugiatesi nell’edificio al-Adwa nel quartiere Remal a Gaza City.

I soldati “fatto irruzione in ogni casa, hanno ucciso gli uomini e trattenuto le donne e i bambini. Non sappiamo dove si trovino ora. Hanno fatto la stessa cosa ad ogni piano. Tutte le donne sono state portate in una stanza. Quando sono arrivati da noi al sesto piano hanno cominciato a uccidere tutti gli uomini,” ha detto una donna, aggiungendo che hanno sparato a suo suocero e al figlio che sono morti all’istante.

I sopravvissuti hanno detto che i soldati israeliani hanno anche aggredito le donne e i bambini dopo averli ammassati in una stanza dell’edificio noto come Annan.

Quando tutte le donne erano in una stanza ci hanno sparato contro tre bombe da mortaio e poi hanno continuato a mitragliarci,” ci ha riferito una donna ferita.

Io sono stata colpita con una pallottola alla mano, mia figlia alla testa, la mia figlia più piccola è stata uccisa e mio figlio è stato accecato. Mio marito è stato giustiziato a sangue freddo. Tutte le mie altre figlie hanno subito gravi ferite, ossa fratturate, le carni lacerate. Siamo stati tutti colpiti da pallottole o schegge,” ha aggiunto.

L’analista Tamer Qarmout, assistente universitario presso l’Istituto di Studi Universitari a Doha, ha accolto favorevolmente la richiesta di indagini dell’ONU per “le uccisioni illegali”, precisando ad Al Jazeera che la questione fondamentale è come saranno condotte.

A nessuno degli organismi che potrebbero indagare sui presunti crimini israeliani contro i palestinesi è permesso al momento di entrare nella Striscia di Gaza, ha fatto notare Qarmout.

Altri testimoni hanno riferito che gli uomini sono stati costretti a svestirsi prima di essere uccisi e un uomo ha detto che “neppure i ragazzini sono stati risparmiati. Sono stati tutti colpiti a bastonate. Hanno le ossa fratturate e sono ricoverati in ospedale.”

Non ci sono stati commenti dell’esercito israeliano in merito all’aggressione.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Il caso di al-Shifa: indagine sull’attacco al più grande ospedale di Gaza

Louisa Loveluck, Evan Hill, Jonathan Baran, Jarrett Ley, Ellen Nakashima

21 dicembre 2023, Washington Post

Un’analisi del Washington Post su immagini open source e satellitari fa luce sulle affermazioni delle forze di difesa israeliane dell’uso da parte di Hamas dell’ospedale al-Shifa a Gaza City.

GERUSALEMME – Settimane prima che Israele inviasse truppe nell’ospedale al-Shifa, il suo portavoce iniziò a montare un caso.

Le affermazioni erano straordinariamente specifiche: che cinque edifici ospedalieri sarebbero stati direttamente implicati nelle attività di Hamas; che gli edifici si troverebbero sopra i tunnel sotterranei utilizzati dai militanti per dirigere attacchi missilistici e comandare i combattenti e che ai tunnel fosse possibile accedere dall’interno dei reparti ospedalieri. Le affermazioni sarebbero supportate da “prove concrete”, ha affermato il portavoce delle forze di difesa israeliane Daniel Hagari esponendo il caso in un briefing del 27 ottobre.

Dopo aver preso d’assalto il complesso il 15 novembre, l’IDF ha pubblicato una serie di fotografie e video che, secondo loro, ne dimostrerebbero la tesi centrale.

I terroristi venivano qui a dirigere le loro operazioni”, ha detto Hagari in un video pubblicato il 22 novembre, accompagnando gli spettatori attraverso un tunnel sotterraneo, illuminando stanze buie e vuote sotto al-Shifa.

Secondo l’analisi del Washington Post di immagini open source, satellitari e di tutti i materiali dell’IDF rilasciati pubblicamente, le prove presentate dal governo israeliano non riescono a dimostrare che Hamas utilizzasse l’ospedale come centro di comando e controllo. La cosa solleva interrogativi critici, dicono gli esperti legali e umanitari, sul fatto se i danni ai civili causati dalle operazioni militari israeliane contro l’ospedale – l’accerchiamento, l’assedio e infine il raid nella struttura e nel tunnel sottostante – fossero proporzionati alla minaccia stimata.

L’analisi del Post dimostra che:

Le stanze collegate alla rete di tunnel scoperte dalle truppe dell’IDF non offrono prove dirette di un uso militare da parte di Hamas.

Nessuno dei cinque edifici ospedalieri indicati da Hagari sembra essere collegato alla rete di tunnel.

Non ci sono prove che sia possibile accedere ai tunnel dall’interno dei reparti ospedalieri.

Ore prima che le truppe dell’IDF entrassero nel complesso, l’amministrazione Biden aveva desecretato le valutazioni dell’intelligence statunitense che supportavano le affermazioni di Israele. All’indomani del raid, i funzionari israeliani e statunitensi sono rimasti fedeli alle loro dichiarazioni iniziali.

“Abbiamo totale fiducia nell’intelligence… che Hamas lo stesse usando come nodo di comando e controllo”, ha detto la settimana scorsa al Post un alto funzionario dell’amministrazione statunitense, parlando a condizione di restare anonimo per discutere risultati sensibili. “Hamas aveva tenuto gli ostaggi nel complesso dell’ospedale fino a poco prima che Israele entrasse”.

Il governo degli Stati Uniti non ha reso pubblico il materiale desecretato e il funzionario non ha voluto condividere i dati su cui si basava questa valutazione.

“L’IDF ha pubblicato prove ampie e inconfutabili che indicano l’uso strumentale del complesso ospedaliero di Shifa da parte di Hamas per scopi terroristici e attività terroristiche clandestine”, ha detto al Post un portavoce dell’IDF.

Quando è stato chiesto se fossero disponibili ulteriori prove su al-Shifa, il portavoce ha detto: “Non possiamo fornire ulteriori informazioni”. Il 24 novembre l’esercito israeliano ha annunciato in un comunicato di aver distrutto il tunnel nell’area dell’ospedale; subito dopo le truppe si sono ritirate.

All’inizio ero convinto che [al-Shifa] fosse il luogo in cui si svolgevano le operazioni”, ha detto al Post un membro senior del Congresso americano, parlando a condizione di restare anonimo a causa della delicatezza della questione. Ma ora, ha detto, “Penso ci debba essere un nuovo livello di chiarimenti. A questo punto vorremmo avere più prove”.

Il fatto che un alleato degli Stati Uniti abbia preso di mira un complesso che ospita centinaia di pazienti malati e morenti e migliaia di sfollati non ha precedenti negli ultimi decenni. L’avanzata su al-Shifa ha causato il collasso delle operazioni dell’ospedale. Mentre le truppe israeliane si avvicinavano e i combattimenti si intensificavano finiva il carburante, i rifornimenti non potevano entrare e le ambulanze non riuscivano a raccogliere le vittime dalle strade.

Citando il personale ospedaliero, le Nazioni Unite hanno riferito che, prima che le truppe entrassero nel complesso, i medici avevano scavato una fossa comune per circa 180 persone. L’obitorio aveva cessato di funzionare da tempo. Diversi giorni dopo, quando i medici dell’OMS arrivarono per evacuare le persone ancora all’interno, dissero che il luogo della guarigione era diventato una “zona di morte”. Almeno 40 pazienti – tra cui quattro bambini prematuri – erano morti nei giorni precedenti il raid e per le sue conseguenze, hanno detto le Nazioni Unite.

Nelle settimane successive altri ospedali di Gaza sono stati attaccati in modo simile a quanto accaduto ad al-Shifa, facendone non solo un momento spartiacque nel conflitto, ma un fondamentale case study del rispetto di Israele della legislazione di guerra.

Status protetto

Il complesso medico di al-Shifa era l’ospedale più avanzato e meglio attrezzato di Gaza. Dopo che Israele ha lanciato la sua devastante campagna di attacchi aerei in rappresaglia per il brutale attacco di Hamas del 7 ottobre, al-Shifa è diventato il cuore pulsante del vacillante sistema sanitario dell’enclave, nonché un luogo di rifugio per decine di migliaia di sfollati di Gaza che temevano sarebbero stati uccisi nelle loro case.

Le strutture mediche godono di una protezione speciale – anche in tempo di guerra – perdendo il loro status solo “se vengono utilizzate al di fuori della loro funzione medica per commettere atti dannosi per il nemico”, ha affermato Adil Haque, professore di diritto alla Rutgers University.

Senza una conoscenza completa dei dati dell’intelligence israeliana e dei suoi piani di battaglia, la legalità delle operazioni militari israeliane contro al-Shifa rimane una questione aperta.

Ma nel suo briefing del 27 ottobre, Hagari ha fornito un quadro chiaro di ciò che pensava le forze israeliane avrebbero trovato, mostrando un video animato di ciò che presumibilmente si trovava sotto la struttura. Nel film militanti mascherati pattugliavano un livello collegato a un labirinto di stanze più sotterranee con computer portatili e zone notte.

“La legge riguarda ciò che l’aggressore avesse in mente nel momento in cui ha pianificato ed eseguito la missione rispetto sia al danno collaterale che si aspettava di causare sia al vantaggio militare che prevedeva di ottenere”, ha affermato Michael Schmitt, professore emerito presso il Naval War College degli Stati Uniti.

L’IDF non ha voluto commentare il vantaggio militare cercato o ottenuto.

Qual era l’urgenza? La cosa non è ancora stata dimostrata”, ha affermato Yousuf Syed Khan, avvocato senior presso Global Rights Compliance, lo studio legale che ha redatto i documenti delle Nazioni Unite sulla guerra d’assedio.

Anche se il tunnel sotterraneo scoperto dalle forze israeliane dopo il raid indicasse una possibile presenza di militanti sotto l’ospedale in un qualche momento, non prova che un nodo di comando operasse lì durante la guerra.

Stiamo avendo una comprensione più dettagliata e tridimensionale dell’ospedale al-Shifa e dei tunnel sottostanti”, ha affermato Brian Finucane, ex consulente legale del Dipartimento di Stato e ora consulente senior presso Crisis Group [ONG indipendente impegnata a prevenire e risolvere i conflitti, ndt.]

Ciò che manca davvero qui è una conoscenza affidabile e sicura della quarta dimensione, che è il tempo. Quando sono stati utilizzati in un determinato modo i vari elementi dell’ospedale? E i tunnel sotto il complesso ospedaliero?

La conferenza stampa del 27 ottobre ha provocato soprassalti di paura nell’ospedale, e il personale l’ha vista come il pretesto per un’azione militare. Poche ore dopo le reti di comunicazione dell’enclave si sono interrotte. “Dopodiché, sono iniziati i bombardamenti sugli edifici circostanti al-Shifa”, ricorda Ghassan Abu Sitta, un chirurgo anglopalestinese che lavorava all’ospedale quella notte. “Il bombardamento era molto vicino e l’edificio tremava violentemente.”

All’inizio di novembre migliaia di civili terrorizzati erano rimasti intrappolati all’interno dell’area dell’ospedale mentre l’operazione militare israeliana isolava di fatto il complesso dal mondo esterno.

Almeno due bambini prematuri sono morti l’11 novembre quando l’ospedale è rimasto senza elettricità per alimentare le incubatrici, ha detto il personale.

Diverse decine di altri pazienti in terapia intensiva sono morte nei giorni successivi, hanno riferito i medici. La Mezzaluna Rossa Palestinese ha detto che non ha più potuto inviare ambulanze per assistere o evacuare i feriti.

Nelle prime ore del 15 novembre l’IDF ha dichiarato che stava effettuando una “operazione precisa e mirata” contro Hamas in un’area specifica del complesso e che aveva ucciso un certo numero di militanti all’esterno del complesso “prima di entrare. “

Nella tarda mattinata i medici all’interno della struttura e i funzionari del Ministero della Sanità di Gaza hanno affermato che le forze israeliane ne avevano preso il completo controllo. Le truppe erano andate di stanza in stanza interrogando il personale e i pazienti e chiedendo ad alcuni di riunirsi nel cortile, non lontano dalla fossa comune dove i morti venivano sepolti senza nessuna cerimonia.

Il Post ha analizzato le immagini satellitari e le fotografie sui social media per mappare i danni all’ospedale e localizzare la fossa comune, appena dentro i cancelli orientali del complesso ospedaliero.

“Si è trattato di un’operazione militare molto precisa e mirata che Israele ha condotto con molti sforzi per ridurre le vittime civili”, ha detto l’alto funzionario dell’amministrazione americana.

Quando il 18 novembre sono arrivati gli operatori umanitari dell’OMS, medici e pazienti hanno implorato la squadra di fornire un passaggio sicuro, ha riferito l’organizzazione.

Nel pronto soccorso diverse decine di bambini prematuri piangevano, come hanno mostrato i video e detto i medici. Altri due erano morti prima dell’arrivo dei mezzi per l’evacuazione dell’OMS.

Emergono le prove

Durante l’occupazione di al-Shifa da parte dell’IDF, durata più di una settimana, l’IDF ha pubblicato numerose serie di foto e video che mostravano presunte prove dell’attività militare di Hamas all’interno e sotto l’ospedale.

Meno di 24 ore dopo che le forze israeliane erano entrate nel complesso, l’IDF ha diffuso un filmato che mostrava il portavoce Jonathan Conricus mentre attraversava l’unità di radiologia. Dietro una macchina per la risonanza magnetica indica quella che lui chiama una “pesca miracolosa” contenente un fucile tipo kalashnikov e un caricatore di munizioni.

Le foto rilasciate dai militari più tardi lo stesso giorno mostravano l’intero bottino di armi recuperate in ospedale: circa 12 fucili tipo kalashnikov oltre a caricatori di munizioni e diverse granate e giubbotti antiproiettile.

Il Post non è stato in grado di verificare in modo indipendente a chi appartenessero le armi o come fossero finite all’interno dell’unità di radiologia.

Nei giorni successivi sarebbero emerse prove più ampie che sembravano indicare l’attività dei militanti sotto la struttura. Il 16 novembre i militari israeliani hanno diffuso immagini che mostrano l’ingresso di un tunnel nell’angolo nord-est del complesso ospedaliero, vicino all’edificio della chirurgia specialistica.

Le immagini satellitari indicavano che le truppe israeliane avevano trovato l’ingresso all’interno di un piccolo edificio che avevano demolito.

In seguito i militari hanno pubblicato video delle loro truppe e di Hagari mentre esploravano la rete di tunnel collegata al pozzo d’ingresso. Il filmato mostrava un lungo tunnel che si estendeva a est dal pozzo e correva a sud sotto l’unità di chirurgia specialistica; un’altra sezione si dirigeva a nord, lontano dal complesso dell’ospedale. Dai video non è stato possibile determinare la distanza o la direzione finale della sezione nord del tunnel.

È bloccato e sigillato; sanno che saremmo venuti qui da più di un mese e l’hanno sigillato”, ha detto Hagari in un video.

Il Post ha mappato il percorso del tunnel geolocalizzando i siti scavati all’interno di al-Shifa e analizzando i video fotogramma per fotogramma per determinare la direzionalità e la lunghezza della rete. Il Post ha poi sovrapposto i percorsi dei tunnel sulla mappa originale rilasciata dall’IDF il 27 ottobre, che secondo loro mostrava l’intera estensione dell’infrastruttura di comando e controllo di Hamas.

Nessuno dei cinque edifici evidenziati dall’IDF sembra collegarsi ai tunnel, e non è stata prodotta alcuna prova che dimostri che si potesse accedere ai tunnel dall’interno dei reparti dell’ospedale, come aveva affermato Hagari.

Il Post ha analizzato le prove visive dell’IDF che mappano il tunnel sotto al-Shifa e le ha confrontate con le affermazioni iniziali dei militari.

In una sezione sotto l’edificio dell’ambulatorio sono collegati al tunnel due piccoli bagni, un lavandino e due stanze vuote. Hagari ha detto che le stanze e il tunnel ricevevano elettricità, acqua e aria condizionata da al-Shifa. Una stanza, ha detto Hagari, era una “sala operativa”, e l’ha detto dando il cablaggio elettrico come prova.

Le stanze spoglie, piastrellate di bianco, non mostravano alcuna prova immediata di utilizzo, per comando e controllo o altro. Non ci sono segni di abitazione recente come rifiuti, contenitori per cibo, vestiti o altri oggetti personali.

Questa stanza è stata evacuata e tutta l’attrezzatura è stata evacuata. Immagino che sia stato evacuato quando hanno saputo o capito che saremmo entrati nell’ospedale di Shifa”, ha detto Hagari nel video.

Non ha spiegato quando si pensa che i militanti avessero operato nel tunnel o quando sarebbe avvenuta la loro presunta partenza. L’IDF non ha risposto alle richieste di chiarimenti.

“Se alla fine non trovi quello che avevi detto che avresti trovato è legittimo essere scettici sul fatto che la tua valutazione del valore militare dell’operazione fosse fondata o meno”, ha detto Geoffrey Corn, professore di diritto alla Texas Tech University ed ex consigliere senior per la legislazione di guerra dell’esercito degli Stati Uniti. “Non è certamente decisivo. La domanda finale è se, date le circostanze, la valutazione del vantaggio militare fosse ragionevole”.

In una dichiarazione del 18 novembre Hamas ha descritto le affermazioni sul suo utilizzo di al-Shifa come parte di una “campagna di palesi bugie”. I funzionari non hanno risposto a una richiesta di commenti sul presunto utilizzo dei tunnel da parte del gruppo.

Il giorno successivo l’IDF ha pubblicato un’ulteriore prova: il filmato di una telecamera di sicurezza che mostrava militanti armati condurre attraverso l’ospedale due ostaggi dei circa 240 catturati durante l’assalto al sud di Israele il 7 ottobre. Uno sembrava ferito ed è su una barella. Non è chiaro se gli ostaggi siano stati portati in ospedale per cure mediche o per altri scopi.

La presa di ostaggi è un crimine secondo il diritto internazionale. Ma “l’uso improprio dell’ospedale cinque settimane prima dell’operazione dell’IDF non chiarisce la legalità dell’operazione dell’IDF”, ha detto Haque.

Gli ospedali come obiettivi

Mentre la polvere si depositava su al-Shifa, gli esperti mettevano in guardia sul precedente che aveva creato.

Penso che ci sia il rischio che ciò che Israele ha cercato di fare qui sia scusare in anticipo le future operazioni contro gli ospedali. Non si dovrebbe presumere che gli ospedali possano in genere essere presi di mira in base a ciò che Israele ha ipotizzato riguardo a Shifa”, ha affermato Finucane.

Al momento dell’operazione militare del 15 novembre quasi la metà delle principali strutture mediche nel nord di Gaza era stata presa di mira o danneggiata nei combattimenti, secondo un’analisi che il Post ha fatto dei dati di Insecurity Insight, un gruppo di ricerca senza scopo di lucro.

Nel mese seguente una serie di altri ospedali hanno chiuso o ridotto le operazioni al punto di essere a malapena funzionanti, mentre gli attacchi aerei continuano e le vittime aumentano.

Il direttore generale dell’OMS Tedros Adhanom Ghebreyesus ha dichiarato domenica di essere “sconvolto dall’effettiva distruzione” dell’ospedale Kamal Adwan nel nord di Gaza, che ha causato la morte di almeno otto pazienti e messo fuori servizio la struttura.

Martedì, dopo aver arrestato il direttore dell’ospedale Ahmed al-Kahlot, Israele ha diffuso un video di interrogatorio in cui Kahlot ammetteva di essere un membro di Hamas e affermava che l’ospedale era sotto il controllo delle Brigate Izzedine al-Qassam, il braccio armato del gruppo. In risposta, il Ministero della Sanità di Gaza ha affermato che la dichiarazione è stata fatta “sotto la forza dell’oppressione, della tortura e dell’intimidazione” per “giustificare i successivi crimini [di Israele], soprattutto contro il sistema sanitario”.

L’ospedale Al-Awda, tra gli ultimi ospedali funzionanti nel nord, è stato assediato dalle truppe israeliane all’inizio di questo mese mentre i medici continuavano a curare i loro pazienti e carburante e cibo scarseggiavano, come hanno detto medici e Medici Senza Frontiere (MSF).

Cerchiamo di essere chiari: Al-Awda è un ospedale funzionante con personale medico e molti pazienti in condizioni vulnerabili”, ha affermato in una nota il capo missione di MSF, Renzo Fricke.

Martedì MSF ha affermato che le forze israeliane avevano preso il controllo della struttura. Uomini e ragazzi sopra i 16 anni, compresi i medici, sono stati portati fuori e spogliati, legati e interrogati. C’erano ancora dozzine di pazienti nei reparti, ha aggiunto l’organizzazione, ma le scorte di anestetici e ossigeno erano finite.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)