Israele ha facilitato la crescita di Hamas, dichiara Borrell dell’Unione Europea

Redazione di Middle East Monitor

27 febbraio 2024 – Middle East Monitor

Lunedì il responsabile degli Affari Esteri dell’Unione Europea [UE] Josep Borrell ha affermato che negli anni 80 con le sue politiche Israele ha agevolato la crescita di Hamas. Egli ha criticato Israele in un discorso tenuto ad un forum organizzato presso una università a Madrid.

Io non direi che [Israele] ha finanziato [Hamas] inviando un assegno,” ha spiegato Borrell, “ma ha consentito la crescita di Hamas” come rivale del partito egemone palestinese Fatah. Egli ha ripetuto la sua dichiarazione, fatta nelle ultime settimane secondo cui “Israele ha creato e finanziato Hamas.”

È una “realtà incontestabile”, ha aggiunto il funzionario della UE, che Israele ha scommesso sulla divisione dei palestinesi, creando una forza da opporre a Fatah. Egli ha affermato che si stava riferendo alla ben nota dichiarazione che il primo ministro Benjamin Netanyahu ha reso pubblicamente davanti alla sua coalizione parlamentare, in cui ha affermato che chiunque si opponga alla soluzione a due Stati deve agevolare il finanziamento di Hamas.

Borrell ha ripetuto il suo supporto per la soluzione a due Stati in base alla quale lo Stato palestinese sarebbe riconosciuto e ha criticato Israele perché si oppone a questa soluzione, ma non ha proposto alcuna alternativa. Ha fatto presente che tutti sembrano essere d’accordo sulla soluzione a due Stati, tranne che il governo Netanyahu, che ha cercato di impedire la realizzazione di questa soluzione per 30 anni.

Descrivendo la risposta militare israeliana a Gaza come “sproporzionata” perché sta causando un eccessivo numero di vittime civili, Borrell ha insistito sul fatto che la sua dichiarazione non è “anti-ebraica”.

Da ottobre Israele sta combattendo una devastante guerra genocida contro la Striscia di Gaza. Ha ucciso e ferito più di 100.000 palestinesi, la maggior parte dei quali minori e donne, e ha creato una catastrofe umanitaria senza precedenti e una estesa distruzione delle infrastrutture civili, portando lo stato di occupazione ad affrontare la Corte Internazionale di Giustizia per accuse di genocidio.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




#AbandonBiden: Gaza sarà il fattore decisivo nelle elezioni americane?

Robert Inlakesh

27 febbraio 2024 – Palestine Chronicle

NOTA DEL DIRETTORE: Martedì lagenzia di stampa Reuters ha riferito che un alto consigliere della campagna del presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha affermato che la loro campagna è stata danneggiata dal sostegno del presidente a Israele.

Sulla base delle interviste a nove mesi dalle elezioni il problema si sta aggravando mentre lopposizione di Biden alla richiesta di un cessate il fuoco permanente continua a suscitare rabbia in una coalizione di elettori che ha favorito la sua vittoria nel 2020, dai neri americani agli attivisti musulmani, fondamentali per la vittoria nel Michigan, ai giovani elettori, ha riferito Reuters.

Nel seguente rapporto di Robert Inlakesh approfondiamo la questione sul come il voto americano arabo/musulmano potrebbe influenzare le possibilità di una rielezione di Biden in relazione alla posizione della sua amministrazione sul genocidio israeliano in corso a Gaza.

A meno di un anno dalle elezioni presidenziali americane la candidatura per la rielezione di Joe Biden è messa in discussione dagli elettori musulmani e arabo americani che ritengono che il loro attuale presidente li abbia traditi.

Allinizio di dicembre i leader musulmano americani di tutti gli Stati Uniti hanno lanciato la campagna #AbandonBiden, nel tentativo di porre il presidente degli Stati Uniti di fronte alle sue responsabilità riguardo il suo rifiuto di porre fine allo spargimento di sangue a Gaza. Mentre la campagna cresceva figure di spicco musulmane e arabe allinterno del Paese hanno cominciato a esprimere pubblicamente il ritiro della loro intenzione di voto per il candidato del Partito Democratico, per nulla turbate dallaccusa che avrebbero consentito una vittoria dellex presidente repubblicano Donald Trump.

Come ha affermato linfluente comico egiziano americano Bassem Yousef, tutto ciò che abbiamo chiesto (a Joe Biden) è un cessate il fuoco. Porre fine al massacro. Porre fine al massacro. Adesso vuoi ricattarci con i diritti in materia di riproduzione e i diritti delle minoranze?”.

Ha concluso il suo discorso affermando: non mi farò ricattare attraverso le affermazioni che starei permettendo a Trump di vincere, i democratici hanno fatto tutto da soli e non possono continuare a fingere di essere dalla nostra parte”.

Sebbene i media statunitensi abbiano cercato di minimizzare l’efficacia della campagna Abandon Biden, le conseguenze per il Partito Democratico sono ormai inevitabili. A Dearborn, nel Michigan, Abdullah Hammoud, il sindaco eletto nel luogo di maggiore concentrazione di elettori arabi di uno Stato decisivo anche per questa ragione, si è rifiutato insieme a molti altri leader arabo americani di incontrare a gennaio Joe Biden.

Voice of America, finanziata dallo Stato americano, ha persino iniziato a parlare dell’uscita degli arabo americani dal Partito Democratico, pubblicando un articolo intitolato “Biden non farà pressioni per il cessate il fuoco a Gaza e di conseguenza Trump potrebbe vincere”, in cui si riferisce che gli arabo americani che in passato hanno votato democratico provano dolore e senso di tradimento, una rabbia cocente e una forte avversione a votare per Biden”.

In una nazione di circa 3,7 milioni di cittadini arabi, secondo i dati raccolti dallArab American Institute, questo gruppo minoritario, apparentemente piccolo, in tempo di elezioni potrebbe fare unenorme differenza per la campagna di Biden.

Oltre agli arabo americani, che sono una popolazione a maggioranza cristiana, il Council on American-Islamic Relations (CAIR) ha pubblicato dati che indicano che negli Stati Uniti sono registrati circa 2 milioni di elettori musulmani. Da parte di entrambe le popolazioni, spesso erroneamente confuse, dato che sono in maggioranza sovrapponibili, è stato ampiamente espresso il malcontento per la gestione della guerra a Gaza da parte dellamministrazione Biden.

Come già rilevato, durante le elezioni presidenziali del 2020 Joe Biden è riuscito a vincere nello Stato del Michigan con un sottile margine di 150.000 voti. Questa volta si dice che nel Michigan ci siano oltre 206.000 elettori musulmani americani registrati e molti di loro nel 2020 hanno votato democratico.

Da tenere in considerazione nellequazione è anche il fatto che i leader arabo-americani hanno svolto e stanno svolgendo un ruolo nel parlare ai loro connazionali americani di ogni ceto sociale, convincendoli ad adottare la stessa posizione contro Joe Biden; per metterlo di fronte alla sua responsabilità riguardo a ciò che ha permesso che Israele facesse a Gaza.

Più in generale, circa l80% degli americani ha espresso il desiderio di un cessate il fuoco nella Striscia di Gaza. Ora, con leccezione di alcuni piccoli Paesi insulari, sono Israele e lamministrazione statunitense Biden a restare isolati davanti alle Nazioni Unite sulla questione del cessate il fuoco. Questo mentre gli Stati Uniti hanno usato ancora una volta il loro potere di veto al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per respingere una proposta algerina che chiedeva la cessazione immediata delle ostilità.

– Robert Inlakesh è un giornalista, scrittore e regista di documentari. Si occupa di Medio Oriente in particolare della Palestina. Ha scritto questo articolo per The Palestine Chronicle.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




L’aviatore USA che ha gridato “Palestina libera” prima di darsi fuoco

Redazione di MEE

26 febbraio 2024 – Middle East Eye

L’azione di protesta contro la guerra a Gaza ha portato a una valanga di critiche contro il modo in cui i principali mezzi di comunicazione hanno dato la notizia dell’incidente.

Aaron Bushnell, militare in servizio attivo dell’aviazione militare USA, è morto domenica dopo essersi dato fuoco davanti all’ambasciata israeliana a Washington per protesta contro il genocidio a Gaza.

Le sue ultime parole sono state “Palestina libera”.

“Non voglio più essere complice del genocidio. Sto per compiere un atto estremo di protesta, ma rispetto a quello che sta provando la gente in Palestina per mano dei suoi colonizzatori non è affatto estremo. È ciò che la nostra classe dirigente ha deciso sia normale. Palestina libera,” ha detto in un video girato mentre camminava davanti all’ambasciata.

Lunedì il Pentagono ha affermato che la sua morte è stata un “evento tragico”.

Il portavoce del Pentagono generale Patrick Ryder ha detto che il segretario alla Difesa USA Lloyd Austin sta seguendo la situazione.

Bhusnell, 25 anni, era in divisa ed ha utilizzato un accendino per darsi fuoco dopo essersi cosparso di un liquido. Ha ripreso tutto l’avvenimento su Twitch, una piattaforma in streaming molto diffusa, che ha cancellato il video.

Nelle immagini due poliziotti gli si avvicinano mentre sta bruciando. Uno di loro gli punta contro un’arma. L’altro dice: “Non c’è bisogno di un’arma, ci vuole un estintore!” Pare che Bushnell sia rimasto avvolto dalle fiamme per circa un minuto prima che gli agenti spegnessero le fiamme.

Lunedì è stato ampiamente condiviso su Twitter un post su Facebook attribuito a Bushnell con il seguente contenuto: “Molti di noi amano chiedersi: ‘Cosa avrei fatto durante lo schiavismo? O nel Sud di Jim Crow [durante la segregazione razziale, ndt.]? O l’apartheid? Cosa avrei fatto se il mio Paese stesse commettendo un genocidio?’ La risposta è: quello che stai facendo, proprio ora.”

Bushnell viveva a San Antonio, Texas, e stava frequentando un corso di laurea di ingegneria informatica.

Nella sua pagina LinkedIn afferma: “Durante il periodo passato nell’esercito sia nei ruoli di comandante che di sottoposto, così come in una precedente esperienza di lavoro svolgendo una serie di ruoli civili mi sono arricchito in contesti di squadra ed ho sviluppato ottime capacità comunicative.”

Non è la prima volta che incidenti come questo avvengono nelle proteste USA contro le guerre ed è il secondo di questi atti di auto-immolazione dall’inizio della guerra a Gaza in ottobre.

A dicembre una contestatrice si è immolata fuori dall’edificio del consolato israeliano ad Atlanta, in quello che la polizia statunitense ha descritto come “un atto estremo di protesta politica.” Ha subito ustioni di terzo grado sul corpo. Sul posto è stata trovata una bandiera palestinese. Il suo nome o età non sono mai stati resi noti dalle autorità.

Il 2 novembre 1965 Norman Morrison, un attivista contro la guerra, si cosparse di cherosene e si diede fuoco davanti all’ufficio del segretario alla Difesa Robert McNamara al Pentagono per protestare contro la partecipazione degli Stati Uniti alla guerra del Vietnam.

Nel 1993 Graham Bamford si versò addosso benzina e si diede fuoco davanti alla Camera Bassa del parlamento britannico nelle ore centrali della giornata per evidenziare le sofferenze di quanti stavano morendo in Bosnia in seguito al genocidio.

Critiche ai mezzi di comunicazione 

Dopo l’evento i principali mezzi di comunicazione sono stati messi in discussione per la scelta dei loro titoli. Quello del New York Times dice “La polizia afferma che un uomo è morto dopo essersi dato fuoco fuori dall’ambasciata israeliana a Washington”.

La CNN: Aviatore USA muore dopo essersi dato fuoco fuori dall’ambasciata israeliana a Washignton.”

La BBC: “Aaron Bushnell: aviatore USA muore dopo essersi dato fuoco davanti all’ambasciata israeliana a Washington.”

Il Washington Post: “Aviatore muore dopo essersi dato fuoco davanti all’ambasciata israeliana nel Distretto Federale.

“Perché lo ha fatto?” ha scritto Assal Rad, utente di X. “Nessuno dei titoli cita le parole ‘Gaza’ o ‘genocidio’, la ragione della protesta di Aaron o la parola ‘Palestina’, l’ultima che ha detto.”

Reazioni

Membri dello staff di Ceasefire, un gruppo di collaboratori dell’amministrazione Biden che stanno facendo pressione sull’amministrazione per un cessate il fuoco, hanno pianto la perdita di Bushnell e chiesto un immediato e permanente cessate il fuoco a Gaza.

“Il Presidente Biden, nostro comandante in capo, continua a ignorare il dissenso dei collaboratori sulle sofferenze di massa provocate dalla complicità dei nostri dirigenti,” afferma il comunicato.

“Solo il presidente Biden, non attraverso inutili conversazioni dietro le quinte, ma attraverso processi definiti dalle leggi internazionali e una forte attività diplomatica, ha il potere di ridurre i danni che vengono fatti. Può scegliere di cambiare il nostro attuale percorso di distruzioni inutili.”

In un post su Instagram il Movimento Giovanile Palestinese ha affermato: “Mentre i media statunitensi stanno già spacciando la storia come se si trattasse di un malato di mente, un giovane disturbato, il messaggio stesso di Aaron nei secondi prima del suo atto dimostra la limpidezza e lungimiranza morale con cui ha meditato e alla fine deciso il suo atto.”

Aggiunge che la “parola per martire in arabo, ‘shaheed’, si traduce con ‘testimone’, o una persona i cui ultimi istanti di vita sono una testimonianza dell’ingiustizia.

Aaron Bushnell è un martire, il cui ultimo momento è stato speso nel fuoco di una nuda, incontrovertibile verità: la coscienza morale di ogni essere umano, dal ventre della bestia agli angoli più remoti del pianeta, chiede immediata attenzione e azione per porre fine agli orrori che abbiamo davanti a noi,” afferma il comunicato.

Il Forum del Popolo, un centro comunitario che opera per comunità di lavoratori e marginalizzate di New York, sta contribuendo a guidare una veglia per Bushnell il 27 febbraio insieme al Movimento della Gioventù Palestinese.

In un post su Instagram scrive che Bushnell “ha compiuto l’estremo sacrificio per porre fine a un genocidio perpetrato, appoggiato e finanziato dall’amministrazione Biden.

Il sistema è colpevole di crimini contro l’umanità a Gaza e Aaron Bushnell ha preso una posizione eroica. Onoriamo lui e il suo sacrificio.”

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Una petizione firmata da migliaia di artisti e curatori chiede di escludere Israele dalla Biennale di Venezia

Naama Riba

26 febbraio 2024 – Haaretz

In una lettera aperta alla mostra internazionale d’arte i firmatari auspicano che non ci sia un ‘padiglione del genocidio’ e sostengono che la prevista esposizione israeliana rappresenta uno Stato ‘implicato in atrocità contro i palestinesi’.

Una lettera aperta, che nei giorni scorsi sta avendo grande successo tra migliaia di artisti, curatori e personaggi della cultura, chiede alla Biennale di Venezia di escludere la partecipazione di Israele all’esibizione internazionale prevista in aprile.

La lettera afferma che “mettere in mostra un’arte che rappresenta uno Stato coinvolto nelle continue atrocità contro i palestinesi a Gaza è inaccettabile. No a un padiglione del genocidio alla Biennale di Venezia.” Essa specifica che il gruppo proponente, l’Alleanza per l’Arte non per il Genocidio, è stato creato specificamente a questo proposito. Finora la petizione è stata pubblicata su siti isolati come il sito online ARTNET.

Uno dei firmatari della lettera è Faisal Saleh, il fondatore del Palestinian Museum US, situato in Connecticut. Saleh ha criticato il rifiuto della Biennale di accogliere un padiglione palestinese per il fatto che l’Italia non riconosce la Palestina.

Il padiglione israeliano prevede di esporre le opere dell’artista Ruth Patir, curate da Mira Lapidot e Tamar Margalit. L’esposizione, intitolata “Madrepatria”, verrà collocata in una specie di padiglione della “fertilità e creatività”, che occupa tre piani pieni di nuovi video che verranno posizionati in tre spazi, ciascuno con un differente disegno e carattere, ma tutti riconducibili al mondo emotivo e materiale dei luoghi descritti nei film: un museo, una clinica, un sito archeologico e una casa.

La petizione contro la partecipazione di Israele è stata firmata finora da personalità come la fotografa ebrea americana Nan Goldin; la storica dell’arte britannica Claire Bishop; il fotografo ebreo sudafricano Adam Broomberg, che lavora nei territori palestinesi; la studiosa israeliana Ariella Azoulay, che vive negli Stati Uniti; l’artista israeliano Oreet Ashery, che vive nel Regno Unito e il direttore israeliano Eyan Sivan, che vive in Francia.

Secondo quanto scritto nella lettera aperta, che è circolata nei gruppi WhatsApp in tutto il mondo, per anni la Biennale è stata invitata a riconoscere le “atrocità” commesse dai Paesi partecipanti. Per esempio, tra il 1950 e il 1968 il Sudafrica non ha esposto alla Biennale a causa della condanna diffusa in tutto il mondo e degli appelli a boicottarlo per il suo regime di apartheid. È stato applicato un divieto ufficiale a partire dal 1968, sulla base della Risoluzione ONU 2396 che prevedeva di sospendere “gli scambi con il regime razzista.” Il Sudafrica non è stato riammesso come Paese partecipante alla Biennale fino al 1993, quando il governo di apartheid stava per essere abolito.

La lettera specifica inoltre che nel 2022, con l’inizio della guerra tra Russia e Ucraina, la Biennale e i suoi curatori hanno rilasciato diverse dichiarazioni pubbliche di sostegno al diritto del popolo ucraino all’autodeterminazione, alla libertà e all’umanità. La condanna pubblica da parte della Biennale della “inaccettabile aggressione militare della Russia” comprendeva la dichiarazione di rifiuto di “ogni forma di collaborazione con coloro che hanno condotto o sostenuto un così atroce atto di aggressione”. Dall’inizio della guerra in Ucraina la Russia non ha aperto il suo padiglione per partecipare alla Biennale.

La Biennale è rimasta in silenzio rispetto alle atrocità contro i palestinesi. Siamo sgomenti per questo doppio standard. L’aggressione di Israele a Gaza rappresenta uno dei più intensi bombardamenti nella storia”, asserisce la lettera. “Dalla fine di ottobre 2023 Israele ha già sganciato tonnellate di esplosivi su Gaza di potenza equivalente alla bomba nucleare sganciata su Hiroshima in Giappone nel 1945.” La lettera non fa riferimento al massacro compiuto dai terroristi di Hamas in Israele il 7 ottobre, in cui 1200 persone, in maggioranza civili, sono state uccise e centinaia rapite e portate nella Striscia di Gaza. Non fa neppure menzione del fatto che il padiglione israeliano è stato imbrattato a novembre con la frase “autorizzati a commettere un genocidio pianificato” scritta con lo spray sull’edificio e vernice rossa spruzzata sulla facciata e sul marciapiede.

La lettera aperta fa anche riferimento al tema principale della mostra di Patir nel padiglione: “Mentre il pool di curatori di Israele programma il “Padiglione della Fertilità” riflettendo sulla maternità contemporanea, Israele ha assassinato più di 12.000 bambini ed impedito l’accesso alle cure riproduttive e alle strutture mediche. Il risultato è che le donne palestinesi subiscono il taglio cesareo senza anestesia e partoriscono per strada.” In conclusione la petizione afferma che “ogni rappresentazione ufficiale di Israele sulla scena culturale internazionale è un sostegno alle sue politiche e al genocidio a Gaza.”

Haaretz ha sollecitato commenti da parte della Biennale di Venezia, del Ministro degli Esteri israeliano, dei curatori del padiglione israeliano e di Patir. Non è stata ancora ricevuta alcuna risposta.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Oltre 2/3 degli ebrei israeliani si oppongono agli aiuti umanitari ai palestinesi che muoiono di fame a Gaza

Jonathan Ofir

23 Febbraio 2024-Mondoweiss

Un nuovo sondaggio dell’Israeli Democracy Institute mostra che il 68% degli ebrei israeliani si oppone “al trasferimento di aiuti umanitari ai residenti di Gaza”.

È un dato scioccante. L’Israeli Democracy Institute ha pubblicato questa settimana un sondaggio che dimostra che oltre i 2/3 degli ebrei israeliani – cioè il 68% – si oppongono “in questo momento al trasferimento di aiuti umanitari ai residenti di Gaza

La situazione è anche peggiore: il sondaggio ha cercato di escludere qualsiasi possibile opposizione all’UNRWA (contro cui Israele si sta scagliando) o alle autorità di Hamas (che Israele considera terroristi). Inutilmente. Oltre due terzi si oppongono comunque agli aiuti umanitari “tramite organismi internazionali che non siano collegati ad Hamas o all’UNRWA… La maggioranza degli intervistati ebrei (68%) si oppone al trasferimento di aiuti umanitari anche in queste condizioni”, rileva il sondaggio.

I numeri sono peggio quando si tratta degli ebrei israeliani di destra, dove l’opposizione è all’80% – quattro su cinque. E si consideri che circa 2/3 degli elettori israeliani sono considerati di destra.

Qui bisogna davvero fermarsi. Ci troviamo in una situazione in cui i palestinesi di Gaza muoiono di fame, le persone disperate consumano mangimi per animali. Questa settimana il Programma Alimentare Mondiale delle Nazioni Unite ha riferito che le persone a Gaza stanno “già morendo per cause legate alla fame” e uno screening nutrizionale dell’UNICEF nel nord di Gaza ha rilevato che 1 bambino su 6 sotto i due anni è gravemente malnutrito. Gli israeliani non ignorano affatto questi dati. Stanno sostenendo il genocidio a stragrande maggioranza.

È ormai prassi comune nella società israeliana discutere a partire da quale età sia accettabile che i bambini muoiano di fame. Una recente discussione sul programma di notizie dell’emittente pubblica più popolare ha raggiunto un consenso tra un ex funzionario del Mossad e la conduttrice veterana sul fatto che è legittimo che i bambini di età superiore ai 4 anni muoiano di fame.

Gran parte del mondo, compresi gli Stati Uniti, sembra negare quanto sia omicida ed esplicitamente genocida la società israeliana. Nancy Pelosi continua a parlare di Israele come “l’unica democrazia nella regione” mentre gli stessi israeliani sostengono la morte per fame dei bambini. La gente semplicemente non sembra capirlo.

L’aiuto umanitario è stato uno dei punti principali dell’ordinanza della Corte Internazionale di Giustizia del 26 gennaio, emessa quando la corte ha ritenuto plausibile che Israele stesse commettendo un genocidio, secondo l’accusa del Sud Africa. Era il punto 4 dei 6, che afferma:

Lo Stato di Israele adotterà misure immediate ed efficaci per consentire la fornitura dei servizi di base e dell’assistenza umanitaria urgentemente necessari per affrontare le condizioni di vita avverse affrontate dai palestinesi nella Striscia di Gaza”.

Anche il giudice israeliano aggiunto appositamente alla Corte, Aharon Barak, che ha votato contro 4 delle 6 misure urgenti, ha votato a favore di questa (è stata approvata 16 a 1, con l’eccezione della giudice ugandese Julia Sabutinde che ha votato recisamente contro tutte le misure).

È una cosa così basilare, un bisogno così fondamentale – anche in guerra, quando ci si oppone a una questione così fondamentale diventa qualcosa di diverso dalla guerra: diventa un genocidio. Come stiamo assistendo.

Questo sondaggio sembra solo confermare ciò che abbiamo già visto. I manifestanti israeliani hanno bloccato i camion degli aiuti al confine meridionale vicino a Rafah. Si sarebbe forse tentati di inquadrarli come estremisti marginali, ma il sondaggio mostra che sono la maggioranza. Il sondaggio afferma anche che i leader israeliani come il ministro della Difesa Yoav Galant, che all’inizio del genocidio disse: “Ho ordinato un assedio totale sulla Striscia di Gaza – niente elettricità, niente cibo, niente gas, tutto è chiuso – stiamo combattendo animali umani e noi agiamo di conseguenza”, rappresentano la maggioranza della popolazione.

Questo è il peggior livello di disumanizzazione nella società israeliana che posso ricordare da quando vi sono nato 52 anni fa. Naturalmente, questa disumanizzazione non è iniziata il 7 ottobre, esisteva molto prima che io nascessi e anche prima che esistesse lo Stato. Ma ora sembra essere giunto al culmine. Agli israeliani non sembra importare più nemmeno di mantenere una parvenza di tolleranza: sono entrati in una vera e propria modalità di genocidio. E quando dico disumanizzazione, non sono solo i palestinesi ad essere disumanizzati in questo processo. Gli israeliani si stanno riducendo a un livello di barbarie. È qualcosa che abbiamo fatto a noi stessi mentre ci convincevamo che uccidere decine di migliaia di palestinesi ci avrebbe salvato in qualche modo da questo abisso. Non è così.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Secondo un articolo l’intelligence statunitense mette in dubbio le affermazioni israeliane riguardo ai rapporti tra l’UNRWA e Hamas.

Redazione di The Guardian

22 febbraio 2024 – The Guardian

Un rapporto dell’intelligence afferma che alcune accuse secondo cui collaboratori umanitari avrebbero partecipato agli attacchi di Hamas sono credibili ma non potrebbero essere verificate in modo indipendente.

Una verifica da parte dell’intelligence USA delle affermazioni di Israele secondo cui membri del personale di un’agenzia umanitaria dell’ONU avrebbero partecipato il 7 ottobre all’attacco di Hamas afferma che alcune delle accuse sono credibili, benché non potrebbero essere verificate in modo indipendente, mettendo nel contempo in dubbio denunce di rapporti più ampi con gruppi di miliziani.

L’attacco ha provocato un’invasione su vasta scala di Gaza che ha ucciso fino a 30.000 palestinesi. All’inizio dell’anno Israele ha accusato 12 dipendenti della United Nations Reliefs and Works Agency [agenzia ONU che si occupa dei profughi palestinesi, ndt.] (UNRWA) di aver partecipato agli attacchi del 7 ottobre insieme ad Hamas. Ha anche sostenuto che il 10% di tutti i lavoratori dell’UNRWA è affiliato ad Hamas.

La clamorosa accusa ha portato molti Paesi, tra cui gli USA, a tagliare i finanziamenti all’agenzia, che è stato un mezzo fondamentale per inviare aiuti a Gaza in quella che è stata ampiamente descritta come una crisi umanitaria.

Secondo il Wall Street Journal [importante quotidiano statunitense, ndt.] il rapporto dell’intelligence reso noto la scorsa settimana afferma con “scarsa fiducia” che un pugno di impiegati hanno partecipato agli attacchi, indicando di considerare le accuse credibili, pur non potendo confermare in modo indipendente la loro veridicità.

Tuttavia solleva dubbi sulle accuse secondo cui l’agenzia dell’ONU ha collaborato con Hamas in modo più complessivo. Secondo il Journal il rapporto sostiene che, benché l’UNRWA si coordini con Hamas per consegnare aiuti e operare nella zona, mancano prove che suggeriscano una collaborazione con il gruppo.

Aggiunge che Israele non ha “condiviso con gli USA i documenti di intelligence che stanno dietro le sue affermazioni.”

Inoltre il rapporto nota l’avversione di Israele nei confronti dell’UNRWA, hanno affermato al Journal due fonti informate: “C’è un paragrafo specifico che menziona come la tendenziosità israeliana sia funzionale a travisare molte delle affermazioni sull’UNRWA e dice che ciò ha dato come risultato delle distorsioni,” avrebbe affermato una fonte.

Secondo il Journal la scorsa settimana il rapporto di quattro pagine del National Intelligence Council ha circolato tra i funzionari del governo USA. Fondato nel 1979, il NIC include importanti analisti ed esperti dell’intelligence che lavorano insieme a parlamentari USA sulla politica statunitense.

A gennaio il segretario di stato Antony Blinken aveva affermato che le accuse di Israele sono “molto, molto credibili”. Nove dei dipendenti accusati sono stati licenziati dal capo dell’agenzia, che ha affermato di aver seguito così facendo “il contrario di un giusto processo”. In una conferenza stampa a Gerusalemme il commissario generale dell’UNRWA Philippe Lazzarini all’inizio di febbraio ha detto di non aver verificato le prove prima del licenziamento.

“Avrei potuto sospenderli, ma li ho licenziati. E ora ho avviato un’indagine e se l’inchiesta ci dirà che è stato un errore, in quel caso all’ONU prenderemo una decisione su come compensarli correttamente,” ha affermato.

Mercoledì Lazzarini ha detto ad Haaretz [quotidiano israeliano di centro-sinistra, ndt.] che l’agenzia sta chiedendo a Israele la “massima collaborazione per fornire le prove agli inquirenti.”

Riguardo alle affermazioni israeliane secondo cui circa il 10% dei lavoratori dell’UNRWA sarebbe affiliato ad Hamas, Lazzarini ha detto al giornale: “Ho letto sul giornale di 190 o 1.200 (dipendenti), ma non siamo stati informati (al riguardo) … Non abbiamo queste informazioni, non sappiamo da dove vengano queste informazioni, non sappiamo se si tratta di una stima. Non sappiamo se si tratta solo di una congettura.”

Con circa 2 milioni di palestinesi sfollati con la forza dagli attacchi di Israele contro Gaza dal 7 ottobre, la maggioranza dei sopravvissuti ha cercato rifugio a Rafah. Mentre i palestinesi devono fare i conti con gravi carenze di cibo, acqua, carburante e servizi medici, l’ONU ha avvertito di un incombente disastro della sanità pubblica.

Solo quattro degli ambulatori e centri medici dell’UNRWA nella Striscia sono ancora in funzione.

“Ci siamo totalmente riorientati da quelli che chiamerei i tradizionali servizi di tipo pubblico forniti ai rifugiati palestinesi e dalle attività per lo sviluppo umano verso un tipo di risposta emergenziale che è prioritariamente salvavita, come aiutare la gente a trovare un rifugio,” ha detto Lazzarini ad Haaretz.

“Stiamo cercando di tenere in piedi per quanto possibile il nostro sistema sanitario di base in modo che la gente non sovraffolli gli ospedali, che sono travolti da quella che definirei chirurgia di guerra di base.”

Nel contempo un rapporto separato dell’ONU di un gruppo di esperti dell’ONU reso pubblico lunedì ha manifestato allarme riguardo a “denunce credibili” di donne e ragazze sottoposte a “molteplici forme di aggressioni sessuali … da parte di soldati maschi dell’esercito israeliano.”

Le denunce includono stupri e detenzioni di donne palestinesi in gabbie, oltre a “foto di donne detenute in condizioni degradanti… che sarebbero state prese dall’esercito israeliano e pubblicate in rete.”

“Ricordiamo al governo israeliano i suoi obblighi di tutelare il diritto alla vita, alla sicurezza, alla salute e alla dignità delle donne e ragazze palestinesi e di garantire che nessuna sia sottoposta a violenza, tortura, sevizie o trattamenti degradanti, comprese violenze sessuali,” affermano gli esperti dell’ONU.

(traduzione dall’inglese Amedeo Rossi)




L’economia israeliana si è ridotta di quasi il 20% nell’ultimo trimestre del 2023 a causa della guerra a Gaza

20 febbraio 2024 – Middle East Monitor

L’economia israeliana si è ridotta di quasi il 20% nell’ultimo trimestre del 2023 in seguito all’offensiva e al bombardamento in corso della Striscia di Gaza da parte delle forze israeliane.

Secondo l’ufficio centrale di statistica israeliano, cifre preliminari mostrano che il prodotto interno lordo (PIL) della nazione si è contratto del 19,4% annualizzato nei tre mesi finali dello scorso anno, contrazione che è quasi il doppio di quella attesa dal mercato.

Nel primo trimestre del 2023, il tasso di crescita del PIL è stato del 3,1%, diminuito al 2,8% nel secondo trimestre, seguito dal 2,7% nel terzo trimestre. Per l’intero 2023, l’economia israeliana è cresciuta per un totale solo del 2%, una significativa riduzione rispetto al 6,5% del 2022.

La contrazione dell’economia nel quarto trimestre del 2023 è stata direttamente influenzata dall’inizio della guerra ‘Spade di Ferro’ il 7 ottobre”, ha affermato l’ufficio di statistica, riferendosi all’inizio da parte di Tel Aviv dei suoi bombardamenti e dell’invasione di Gaza, seguiti all’operazione nel territorio israeliano da parte del gruppo di resistenza palestinese Hamas.

Le ragioni per la contrazione dell’economia israeliana probabilmente vanno dal boicottaggio dei prodotti israeliani in tutto il mondo, al rallentamento degli investimenti internazionali nella nazione, alla riduzione delle importazioni ed esportazioni nello/dallo Stato di occupazione a causa della interruzione delle rotte di navigazione.

Presumibilmente tutte quelle motivazioni hanno provocato una caduta della domanda, costi crescenti, scarsità di lavoro nella nazione e si prevede che la guerra di Israele a Gaza costerà 48 miliardi di dollari allo Stato di occupazione.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Unicef: La malnutrizione in aumento minaccia la vita dei minori a Gaza

Redazione di Palestine Chronicle

 20 febbraio 2024 – Palestine Chronicle

L’UNICEF afferma che la scarsità di cibo e di acqua potabile sta mettendo in pericolo l’alimentazione e il sistema immunitario di donne e bambini e comporta un aumento della malnutrizione acuta

Il Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia (UNICEF) afferma che nella Striscia di Gaza il forte aumento della malnutrizione tra i bambini, le donne gravide e in allattamento pone in grave pericolo la loro salute.

Citando una nuova analisi complessiva resa nota dal Global Nutrition Cluster [Gruppo per la Nutrizione Globale], l’UNICEF afferma che, mentre il conflitto in corso a Gaza entra nella ventesima settimana, cibo e acqua potabile sono diventati assolutamente scarsi e le malattie dilagano.

Ciò “compromette l’alimentazione e il sistema immunitario di donne e bambini e comporta un aumento della malnutrizione acuta,” ha affermato lunedì l’UNICEF in un comunicato.

Il rapporto “Gaza: Vulnerabilità Nutrizionale e Analisi della Situazione” rileva che le condizioni sono particolarmente gravi nel nord della Striscia di Gaza, che è stata quasi completamente tagliata fuori per settimane dagli aiuti.

“Controlli nutrizionali condotti nei rifugi e nei centri sanitari del nord hanno rilevato che il 15,6%, o 1 bambino su 6 sotto i due anni di età, è gravemente malnutrito,” sostiene il comunicato.

Di questi quasi il 3% soffre di “un grave deperimento, la forma di malnutrizione potenzialmente più letale,” che mette ad altissimo rischio di complicanze mediche e morte i bambini piccoli se non ricevono cure urgenti.

“Poiché i dati sono stati raccolti a gennaio, la situazione probabilmente oggi è persino più grave.”

Controlli simili effettuati nel sud della Striscia di Gaza, a Rafah, dove i soccorsi sono stati più accessibili,“ hanno rilevato che il 5% dei bambini sotto i 2 anni sono gravemente malnutriti.”

Morti infantili evitabili

L’UNICEF afferma che questa è una prova evidente che l’accesso agli aiuti umanitari è necessario e può aiutare ad evitare le conseguenze peggiori.

“Ciò rafforza anche gli appelli delle agenzie [umanitarie] per proteggere Rafah dalla minaccia di operazioni militari più intense,” aggiunge.

“La Striscia di Gaza sta per assistere a un aumento esponenziale di morti infantili evitabili che aggraverebbe il già intollerabile livello di bambini uccisi a Gaza,” afferma il vicedirettore esecutivo per le Azioni Umanitarie e le Operazioni di Approvvigionamento dell’UNICEF, Ted Chaiban.

“Per settimane abbiamo avvertito che la Striscia di Gaza è sull’orlo di una crisi alimentare,” sottolinea Chaiban.

“Se il conflitto non finisce adesso l’alimentazione dei bambini continuerà a ridursi, portando alla morte evitabile o a problemi di salute che colpiranno i bambini di Gaza per il resto della loro vita e avranno potenzialmente conseguenze per le future generazioni.

Quantità di cibo ridotte

Il comunicato aggiunge che c’è un alto rischio che la malnutrizione continui ad aumentare nella Striscia di Gaza a causa dell’allarmante mancanza di cibo, acqua e servizi sanitari e nutrizionali.

Al momento “il 90% dei bambini al di sotto dei 2 anni d’età e il 95% delle donne gravide e in allattamento deve affrontare una gravissima carenza di cibo; il 95% delle famiglie riceve una limitata quantità di alimenti, il 64% delle famiglie consuma solo un pasto al giorno; oltre il 95% delle famiglie afferma di aver ridotto la quantità di cibo degli adulti per garantire che i bambini piccoli possano alimentarsi.

La vicedirettrice esecutiva dei Programmi Operativi del WFP, Valerie Guarnieri, afferma che il forte aumento della malnutrizione “che stiamo vedendo a Gaza è pericoloso e assolutamente evitabile.”

Afferma che in particolare bambini e donne hanno bisogno di un accesso costante a cibo sano, acqua potabile e servizi per la salute e la nutrizione.

“Perché ciò avvenga abbiamo bisogno di un deciso miglioramento dell’accesso alla sicurezza e umanitario e un maggior numero di punti di accesso per gli aiuti a Gaza.”

Il rapporto riscontra che almeno il 90% dei bambini con meno di cinque anni è colpito da una o più malattie infettive. Il 70% ha avuto la diarrea nelle ultime due settimane, un incremento di 23 volte rispetto ai dati del 2022.

Fame e malattie

“Fame e malattie sono una combinazione letale,” afferma il dott. Mike Ryan, direttore esecutivo del Programma di Emergenza Alimentare dell’OMS.

“Bambini affamati, indeboliti e profondamente traumatizzati sono più soggetti ad ammalarsi, e bambini malati, soprattutto con la diarrea, non possono assorbire bene le sostanze nutritive. È pericoloso, e tragico, e sta avvenendo sotto i nostri occhi.”

UNICEF, WFP e OMS invocano un accesso sicuro, senza ostacoli e costante per distribuire urgentemente assistenza umanitaria multisettoriale nella Striscia di Gaza, afferma la dichiarazione.

“Un immediato cessate il fuoco umanitario continua a rappresentare la migliore possibilità di salvare vite e porre fine alle sofferenze,” sottolinea.

Numero di vittime in crescita

Secondo il ministero della Sanità di Gaza 29.092 palestinesi sono stati uccisi e 69.028 feriti nel genocidio israeliano in corso a Gaza iniziato il 7 ottobre.

Inoltre almeno 7.000 persone sono disperse, presumibilmente morte sotto le macerie delle loro case nella Striscia.

Organizzazioni palestinesi e internazionali affermano che la maggioranza dei morti e feriti sono donne e bambini.

L’aggressione israeliana ha comportato anche l’evacuazione forzata di quasi due milioni di persone da tutta la Striscia di Gaza, e la grande maggioranza dei profughi sono stati ammassati nella sovraffollata città meridionale di Rafah, nei pressi del confine con l’Egitto, in quello che è diventato il più grande esodo di massa dei palestinesi dalla Nakba [la catastrofe, la pulizia etnica da cui è nato Israele, ndt.] del 1948.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Secondo esperti dell’ONU donne e ragazze palestinesi nelle carceri israeliane subiscono stupri e aggressioni sessuali

Katherine Hearst

19 febbraio 2024 – Middle East Eye

I relatori condannano anche episodi di ‘esecuzioni arbitrarie’ di donne e minori durante la guerra di Israele contro Gaza

Lunedì esperti ONU hanno denunciato stupri e aggressioni sessuali di donne e ragazze palestinesi detenute dagli israeliani.

Gli esperti indipendenti, che fanno parte dei meccanismi di accertamento e monitoraggio del Consiglio dei Diritti Umani dell’ONU, hanno confermato in una dichiarazione di aver ricevuto resoconti di detenute palestinesi sottoposte a “varie forme di aggressioni sessuali,” con almeno due che sarebbero state stuprate mentre altre sarebbero state minacciate di stupro e violenza sessuale. 

Hanno anche descritto donne perquisite da ufficiali israeliani maschi e osservato la circolazione di immagini degradanti di detenute messe online da soldati israeliani.

Il comunicato cita anche almeno una segnalazione di una donna che sarebbe stata tenuta in una gabbia esposta agli elementi.

Secondo il comunicato, dal 7 ottobre “centinaia” di donne e ragazze palestinesi sono state detenute arbitrariamente e sottoposte a “trattamenti disumani e degradanti,” come aggressioni sessuali, pestaggi e privazioni di cibo, medicine e prodotti per il ciclo.

Gli esperti hanno anche espresso “sgomento” per i resoconti di esecuzioni arbitrarie di donne e minori palestinesi che si erano rifugiate o scappavano dall’aggressione israeliana.

Quando sono state uccise dall’esercito israeliano o da forze affiliate avrebbero sventolato bandiera bianca,” dicono gli esperti.

A gennaio un video pubblicato d Middle Est Eye ha mostrato Hala Rashid Abd al-Ati in fuga da Gaza City che veniva uccisa mentre il nipote sventolava una bandiera bianca.

Il documento sottolinea che un numero sconosciuto di donne e minori palestinesi sarebbe scomparso dopo essere entrato in contatto con l’esercito israeliano. 

Gli esperti aggiungono di aver ricevuto “resoconti inquietanti di almeno una neonata portata in Israele con la forza dall’esercito israeliano e di minori separati dai genitori e che non si sa dove si trovino”.

Israele ha respinto le accuse giudicandole “spregevoli e infondate.”

“È chiaro che i co-firmatari sono motivati non dalla verità ma dal loro odio per Israele e il suo popolo,” dicono le autorità israeliane in un comunicato.

Tipologia di una tendenza

Gli esperti hanno richiesto un’indagine indipendente riguardo le asserzioni che secondo loro “costituiscono gravi crimini ai sensi del diritto penale internazionale che potrebbero essere perseguite ai sensi dello Statuto di Roma.”

I responsabili di questi presunti crimini devono essere ritenuti responsabili e le vittime e le loro famiglie hanno diritto ad avere giustizia e a un risarcimento,” aggiungono.

A dicembre la Commissione per gli affari dei detenuti ed ex detenuti dell’Autorità Palestinese ha confermato che al momento nelle carceri israeliane si trovano almeno 142 donne, anche anziane e bambine piccole. 

In una dichiarazione comune con il Club dei Prigionieri Palestinesi la commissione riferisce di “crimini orrendi” perpetrati contro le prigioniere. 

Dal 7 ottobre donne e ragazze rappresentano il 70% delle morti a Gaza, mentre dal 2008 al 7 ottobre 2023 esse rappresentavano meno del 14% delle 6.542 morti palestinesi documentate dall’ONU.

Il massacro autorizzato di decine di migliaia di civili a Gaza, di cui il 70% donne e bambini, non può essere considerato nient’altro che la tipologia di una tendenza che esiste da tempo: il nostro ingresso ufficiale in uno spazio e tempo in cui non c’è nessuna considerazione per le vite, la dignità e l’umanità di donne e bambini. Punto,” ha scritto a gennaio su Middle East Eye Reem Alsalem, il relatore speciale sulla violenza contro donne e ragazze.

L’attacco guidato da Hamas contro il sud di Israele il 7 ottobre ha massacrato 1.139 persone, in grande maggioranza civili. Circa 240 persone sono state rapite e portate come ostaggi a Gaza.

Il successivo attacco israeliano contro Gaza ha ucciso circa 30.000 palestinesi, in maggioranza donne e minori, e distrutto quasi tutte le infrastrutture civili e le abitazioni dell’enclave. 

I feroci bombardamenti israeliani di obiettivi civili ha spinto il Sudafrica a intentare una causa presso la Corte Internazionale di Giustizia accusando Israele di genocidio contro il popolo palestinese a Gaza.

Il 26 gennaio la Corte ha annunciato misure provvisorie che chiedono ad Israele di impedire e punire atti e incitamento al genocidio. 

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Guerra a Gaza: un sindacato indiano rifiuta di caricare le navi con armi destinate a Israele

Azad Essa

18 febbraio 2024 – Middle East Eye

L’iniziativa ha luogo alcuni giorni dopo che Israele ha ricevuto 20 droni Hermes 900 di fabbricazione indiana, normalmente usati negli attacchi contro Gaza.

Un sindacato indiano attivo in diversi porti di tutto il Paese si è impegnato a non caricare né scaricare navi che trasportino armi a Israele, ha detto il segretario generale della Federazione Indiana dei Lavoratori del Trasporto su Acqua pochi giorni dopo che era emersa la notizia che droni da combattimento di fabbricazione indiana erano partiti per Israele.

In un’intervista a Middle East Eye di domenica T. Narendra Rao, segretario generale della Federazione Indiana dei Lavoratori del Trasporto su Acqua, ha detto che il sindacato si è rifiutato di essere coinvolto in qualunque azione che potesse comportare ulteriori sofferenze per i palestinesi.

Abbiamo deciso di boicottare qualunque imbarcazione o nave che trasportasse armi o munizioni o carico di armamenti verso Israele. Non collaboreremo a questo”, ha detto Rao a MEE.

La settimana scorsa il sindacato ha rilasciato una dichiarazione che annunciava la decisione di boicottare tutte le navi che trasportassero armi a Israele. Ha aggiunto che la decisione valeva anche per qualunque nave con materiale militare diretta a Israele.

Nella dichiarazione rilasciata il 14 febbraio il sindacato ha detto che i lavoratori portuali “sarebbero sempre stati contro la guerra e l’uccisione di persone innocenti come donne e bambini”.

Donne e bambini sono stati fatti a pezzi nella guerra. I genitori non erano in grado di riconoscere i propri figli uccisi dalle bombe che esplodono ovunque”, aggiungeva il comunicato.

Rao ha detto a MEE che il sindacato non ha ancora avuto contatti con navi cariche di armi dirette a Israele e che la dichiarazione del sindacato vuole essere una mossa preventiva e un atto di solidarietà con i palestinesi, vista la devastazione di Gaza.

La Federazione Indiana dei Lavoratori del Trasporto su Acqua è attiva in 11 dei principali porti statali su un totale di 13. Non è attiva nel porto di Mundra, gestito da Adani, un’impresa con quota di maggioranza nella società congiunta con Elbit Systems, il più grande produttore di armi israeliano.

Dal 7 ottobre più di 29.000 palestinesi sono stati uccisi dagli attacchi israeliani nell’enclave assediata.

Israele inoltre ha sistematicamente impedito l’accesso all’acqua, all’elettricità, al cibo e alle comunicazioni a Gaza.

Droni di fabbricazione indiana per Israele

L’azione del sindacato arriva proprio una settimana dopo che si è diffusa notizia che l’esercito israeliano ha ricevuto 20 droni Hermes 900 di fabbricazione indiana che vengono normalmente utilizzati negli attacchi a Gaza.

Né il governo israeliano né quello indiano hanno ammesso pubblicamente l’accordo.

Ma una fonte di Adani, che gestisce 12 piccoli porti in diversi Stati, ha confermato a The Wire [canale televisivo indiano, ndt.] che effettivamente i droni erano partiti per Israele.

Attivisti per i diritti umani e analisti della difesa affermano che questo sviluppo coinvolgerebbe ulteriormente l’India nel genocidio dei palestinesi in atto a Gaza.

Il 7 febbraio il canale di informazioni indiano TV9 ha riferito che i droni fabbricati nella città indiana del centro-sud Hyderabad avrebbero contribuito a soddisfare “le necessità di Israele nella guerra tra Israele e Hamas”.

L’India è il maggiore acquirente di armi israeliane, costituendo circa il 46% di tutte le armi vendute da Israele nel mondo. Inoltre le imprese indiane co-producono diverse armi israeliane in fabbriche in tutta l’India.

Sotto il Primo Ministro Narendra Modi i rapporti tra India e Israele si sono intensificati, essendo i due Paesi impegnati in una cooperazione strategica dal 2018.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)