Israele è sull’orlo del fascismo. Varcherà la soglia?

David Ohana e Oded Heilbronner

24 giugno 2024 – Haaretz

Israele sta attraversando una piccola guerra civile che ricorda la Germania di Weimar e l’Italia alla vigilia della Marcia su Roma dei fascisti.

La settimana scorsa il suono degli stivali degli sgherri nei vicoli della Città Vecchia durante il Giorno di Gerusalemme ha richiamato quello delle marce delle SA e gli anni ’20 e ’30 in Germania. Adesso come allora, quando i miliziani con le camicie brune si avventavano violentemente contro ogni negozio di proprietà di un ebreo o di un comunista che incrociavano, quelli con la camicia gialla – gli ottusi discepoli del loro prepotente leader con un passato criminale che ora ha tutte le forze di polizia sotto il suo controllo – hanno picchiato, preso a pugni e imprecato contro arabi e giornalisti.

Era difficile distinguere tra i teppisti e i rappresentanti dello Stato nella forma di poliziotti di confine: ognuno di loro aveva un ruolo ben definito nell’imporre il terrore e la paura agli abitanti della Città Vecchia nell’annuale rituale fascista. Adolescenti del settore del sionismo religioso, che credono nella supremazia della razza ebraica e della “terra ebraica”, con la loro violenza hanno riportato alla memoria gli estremisti di destra e fascisti europei che davano la caccia a socialisti, comunisti ed ebrei.

Circa 100 anni fa i ruoli erano invertiti; ora ebrei violenti lungo il percorso verso il Muro del Pianto hanno dato la caccia a persone di altre origini etniche. In parallelo con la crescita dell’ondata della destra radicale e populista attualmente in corso in Europa, i gruppi protofascisti sono in aumento in Israele.

Questi processi riflettono tendenze globali e indicano il rafforzamento di una base sociale di destra radicale “pre-fascista” in Israele – gruppi neofascisti (tra cui alcuni elettori del Likud, comunemente noti come “Bibisti” [dal diminutivo di Netanyahu, “Bibi”]) che mantengono una presa sempre più stretta sulle classi basse. La radicalizzazione nazionalista in questa base sociale agevola un’alleanza tra la destra politico-culturale conservatrice, gruppi sociali tradizionalisti periferici di classe inferiore e gruppi religiosi e ultra-ortodossi che difendono valori di sangue, patria ebraica, terra, razza, sacralità, sacrificio e morte – un clima indiscutibilmente razzista.

Tali gruppi neofascisti sono pericolosi per il futuro della democrazia israeliana, in quanto producono una cultura fascista con semi che contengono un potenziale sociale di massa. Attualmente Israele sta attraversando una piccola guerra civile che ricorda momenti simili nell’Europa degli anni ’20. Questa analogia non è un confronto alla pari tra adesso e allora, ma, come recentemente ha chiarito lo scrittore svedese [in realtà norvegese, ndt.] Karl Ove Knausgård nel suo libro “My Struggle” [La mia lotta, che riprende il titolo del Mein Kampf di Hitler, ndt.], il periodo tra la fine del XIX secolo e la metà degli anni ’40 del ‘900 è visto retrospettivamente come un’epoca di trasformazioni nei principali aspetti dell’esistenza umana.

Molti intendevano trovare un nuovo elemento per creare una nuova società e hanno pensato di aver trovato quello che stavano cercando negli ultimi due grandi movimenti utopici: il nazismo e il comunismo. L’analogia tra l’Europa di Knausgård, soprattutto negli ultimi anni della Repubblica di Weimar, così come in altri Paesi come la Francia, il Belgio e i Paesi dell’Europa orientale, e l’Israele di Netanyahu è intesa a ricavare indicazioni riguardo a similitudini tra avvenimenti, processi e figure nel passato e nel presente.

Come detto in precedenza, Israele attualmente sta vivendo una guerra civile che ricorda la Germania di Weimar e l’Italia alla vigilia della Marcia su Roma dei fascisti. Israele non è il solo ad affrontare tale crisi. Il ripudio dei valori liberali e democratici risuona oggi in tutto l’Occidente, con la possibile eccezione della Gran Bretagna, che ha sempre fatto la giusta scelta civica liberale.

Ciò è evidente nelle proteste dei “Gilet Gialli” in Francia (in cui Marine Le Pen molto probabilmente verrà eletta presidente nelle prossime elezioni[in realtà saranno elezioni parlamentari e non presidenziali, ndt.]), nell’assalto a Capitol Hill a Washington, nel crescente appoggio al partito “Alternative für Deutchland” [in Germania, ndt.], nell’elezione come primo ministro in Italia di Giorgia Meloni, una fan di Mussolini, e nella crescita senza precedenti del sostegno al leader nazionalista Geert Wilders in Olanda. Non più tardi di questa settimana la destra radicale si è rafforzata nel parlamento europeo.

Come in Israele, anche nei Paesi europei c’è una tendenza da entrambi i lati della barricata a vedere le crisi politiche, economiche e sociali come una lotta sul carattere della società e dello Stato, una lotta tra il desiderio di un profondo cambiamento dopo decenni di ordine liberal-democratico e quanti vogliono continuare nell’attuale ordine democratico.

La crisi di Israele è alimentata dai risultati delle elezioni del novembre 2022, ma bisognerebbe essere ingenui per vedere la vittoria del blocco religioso di destra come la causa della crisi israeliana. Anche qui come negli USA, in Gran Bretagna e in altri Paesi, la rivolta riflette processi più profondi: significativi cambiamenti geopolitici, nozioni economico-culturali radicali che spuntano dall’oggi al domani, crisi climatiche e ambientali, minacce alla secolarizzazione, al modo di vita liberale e una lotta contro regimi corrotti e antidemocratici.

Tutto ciò fa scendere in piazza folle in tutto il mondo. La crisi israeliana ha caratteristiche uniche: la struttura complessa della società israeliana, l’ombra minacciosa dell’occupazione e il pericolo della religione, soprattutto l’autoconvinzione della supremazia del sangue e della razza ebraici. Non c’è dubbio che il disastro del 7 ottobre e le proteste contro il regime sono una duplice reazione al clamoroso fallimento dell’establishment politico e securitario, ma sono anche la continuazione di proteste durante la pandemia e contro il colpo di stato costituzionale del 2023. Tutto ciò riflette una mancanza di fiducia dell’opinione pubblica israeliana in un regime vacillante.

Tre processi

C’è spazio per fare un confronto tra Israele e l’Europa nel periodo dell’ascesa del fascismo in tre importanti processi. Il primo è la crisi costituzionale in Germania negli anni 1930-33, una crisi politica che terminò, di fatto, solo con la caduta della democrazia della Repubblica di Weimar, debole fin dal suo inizio; qui il nascente governo Netanyahu, eletto dopo varie elezioni durante le quali c’è stato un crescendo nel potere negoziale dei partiti religiosi e ultra-ortodossi, dei nazionalisti razzisti laici e tra i nazionalisti religiosi, compresi i coloni e i partiti neo-fascisti. Come nella Germania di Weimar e in altre parti del mondo anche qui c’è stato un tentativo fallito di colpo di stato giudiziario che intendeva distorcere il sistema democratico di pesi e contrappesi tra i tre poteri dello Stato. L’ultimo atto, per il momento, è la guerra di Gaza.

Il secondo processo riguarda le divisioni nella società. In Italia, Spagna e, ovviamente, Germania ci fu una rottura tra campi politici polarizzati: da una parte la destra nazionalista, radicale e antisemita e dall’altra il versante socialista (SPD) e comunista, che trovò espressione in una pressoché continua guerra civile e nella violenza politica, definita dal giurista Carl Schmitt uno “stato di emergenza” (che accetta con favore un “dittatore”). Qui è la frattura tra i coloni e i loro sostenitori e quanti si oppongono all’occupazione, tra ultra-ortodossi e religiosi da una parte e israeliani laici dall’altra, oltre a ulteriori divisioni politiche e sociali.

Il terzo processo rivela gravi tensioni tra una società liberale e forze conservatrici e di destra radicale. Nella società italiana alla vigilia della Marcia su Roma, e soprattutto nella Germania di Weimar, erano in gioco tendenze altrettanto opposte: da una parte progresso, liberalismo e modernizzazione, dall’altra una rivoluzione fascista e una “rivoluzione conservatrice” promosse da eminenti pensatori italiani come Giovanni Gentile e tedeschi come Schmitt, Ernst Jünger, Oswald Spengler, Martin Heidegger e altri.

Il fulcro di quella rivoluzione fu una altrettanto paradossale combinazione di politiche reazionarie e progresso tecnologico, noto come Modernismo Reazionario, nome anche del libro dello storico Jeffrey Herf, ovvero “The Order of the Nihilists” [l’Ordine dei Nichilisti]. Là come qui c’era e c’è una lotta continua contro i valori universali, uguaglianza di cittadinanza e immigrazione, e dall’altro lato odi all’onore nazionale, all’unità e alla tradizione. Ideologicamente in Israele adesso è in corso una rivoluzione conservatrice, sopra e sotto la superficie, portata avanti sulle ali del “bibismo” e che fa affidamento sullo Shalem College [università privata israeliana, ndt.], con origini nel conservatorismo statunitense.

Si basa anche sul movimento Im Tirtzu, uno dei cui fondatori, Ronen Shoval, è stato influenzato dal romanticismo tedesco, considerato il predecessore del fascismo tedesco, un movimento descritto dall’ex-parlamentare del Likud Benny Begin come caratterizzato da “elementi fascisti” nella sua campagna, e da Zeev Sternhell [importante storico israeliano, ndt.] come “non peggiore del fascismo, più o meno simile.” Questa rivoluzione conservatrice è appoggiata anche dal Kohelet Policy Forum [centro studi israeliano di destra, ndt.], l’istigatore della legge israeliana sullo Stato Nazione [legge fondamentale che sancisce la superiorità degli ebrei e del sionismo sul resto della società, ndt.] e dal libertario Tikvah Fund, che ha elaborato la “riforma della giustizia” e incoraggia una fittizia sensazione di unità nazionale.

Non c’è da stupirsi che in questi circoli l’intellettuale di punta sia un colono ideologico, Micah Goodman, diplomato in una yeshiva [scuola religiosa, ndt.] che è stato presentato come un “intellettuale pubblico” moderato, mentre dietro l’idea che predica di “restringere il conflitto” nasconde un rafforzamento fraudolento della Grande Terra di Israele.

Ovviamente ci sono differenze. È impossibile capire la caduta della repubblica di Weimar senza il contesto della sconfitta nella Prima Guerra Mondiale e le sue pesanti conseguenze che inclusero il colpo di stato bolscevico che minacciò la Germania, assassinii politici, i Freikorps (“Corpi franchi” [milizie di ex-combattenti, ndt.]) e violenti tentativi rivoluzionari di destra e di sinistra, nessuno dei quali corrisponde al caso israeliano. Né Israele sta vivendo il genere di inflazione devastante e la gravissima crisi economica che la Germania sperimentò negli anni ’20. Come ha dimostrato lo storico Walter Struve nel suo libro “Elites Against Democracy” [Élite contro la democrazia], in Germania le élite conservatrici si opposero al regime di Weimar o erano indifferenti al suo destino. Invece qui la maggior parte delle élite è identificata come liberale e viene accusata di “appropriarsi dello Stato con l’aiuto della Corte Suprema.”

Va sottolineato che, a differenza degli anni ’20 nell’Europa centrale, meridionale e orientale, la democrazia israeliana è ancora forte, ma ciò potrebbe non essere per sempre. Rispetto alle democrazie europee che caddero sotto il fascismo e il nazismo negli anni ’20 e ’30, le organizzazioni della società civile israeliana, il settore professionale nei servizi pubblici e il governo agiscono, in base alle circostanze, con integrità e lealtà nei confronti dei principi democratici, benché siano comparse crepe nella loro condotta e nel loro impegno verso la democrazia.

Tuttavia in vari punti nevralgici all’interno della società israeliana si possono riconoscere tendenze pre-fasciste e populiste. Soprattutto c’è un partito di governo che include nella base su cui si appoggia elementi che sono pre-fascisti. Recentemente il professor Menachem Mautner ha sostenuto che gruppi emarginati che rappresentano questa base sono lontani dalle società liberali -civiche perché queste ultime hanno adottato una politica economico-sociale neoliberale e a causa degli accordi disfattisti “di sinistra” con il nemico (Iyunei Mishpat, 45, 2021), che hanno suscitato una profonda ostilità verso le “élite di sinistra”.

Il primo ministro: ad un passo dall’essere un leader fascista

Ad aver promosso questa ideologia nazionalista e questa filosofia della storia che impone un “Israele immortale” (“Netzah Yisrael”) e comporta il rifiuto di riconoscere la legittimità del “nemico” è un leader populista, carismatico, propagandistico ed autoritario, Benjamin Netanyahu, che è a un passo dal diventare un leader fascista. Non c’è da stupirsi che dirigenti neo-fascisti o autoritari-populisti come Donald Trump negli USA, Narendra Modi in India e Viktor Orban in Ungheria abbiano il suo stesso quadro di riferimento e presentino analogie ideali con questo tipo di leadership.

Quello che tutti questi dirigenti hanno in comune è, tra le altre cose, il cinismo politico. L’azione politica che perseguiterà Netanyahu nella coscienza storica è il fatto di essersi basato per rafforzare il suo potere su un sostenitore di Kahane [rabbino noto per le sue posizioni razziste, ndt.] come Itamar Ben-Gvir, una figura in tutto e per tutto fascista. Il cinismo è evidente anche nella corsa di Netanyahu all’ospedale per una visita ripresa dalle telecamere ai quattro ostaggi liberati dall’esercito israeliano sabato, benché egli non abbia mai chiamato le famiglie degli ostaggi nemmeno una volta dal 7 ottobre.

Il costante stato di guerra a cui Israele è soggetto potrebbe fornire a Netanyahu i poteri d’emergenza che ha utilizzato durante la pandemia, quando ha approvato draconiane leggi d’emergenza senza precedenti (che non hanno avuto pari in nessuna democrazia occidentale, e accettate senza critiche). Oltre al massiccio reclutamento nazionale, allo spostamento di tutte le persone dal nord e dal sud di Israele e alla loro trasformazione in rifugiati, al trasferimento di palestinesi dall’altra parte del confine, alle dichiarazioni da parte di membri della coalizione di governo di un “diritto al ritorno” [di coloni israeliani, ndt.] alle “regioni d’origine” a Gaza, all’isolamento internazionale che ricorda la frase biblica “il popolo dimorerà da solo” e al tentato colpo di stato giudiziario-costituzionale, che continua ad essere una minaccia, tutto ciò indica tendenze fasciste insieme a populismo e nazional-socialismo.

Queste tendenze si sommano ad altre preoccupanti e crescenti tendenze nella società israeliana. Abbiamo di fronte una combinazione di crisi sociali, costituzionali e di sicurezza, il peggio che Israele abbia mai vissuto dalla sua nascita. Malcontento tra molte classi a causa dell’instabilità politica, proteste di massa, che, in base ad alcune circostanze, potrebbero trasformarsi in guerra civile e sono parte di una continua protesta che indica una perdita di fiducia dell’opinione pubblica nel sistema politico, sviluppo di reti sociali come violenta arena politica che sostituisce i tradizionali mezzi di comunicazione che implicano revisione, selezione e responsabilità, folgorante ascesa del populismo e il declino del liberalismo, che ha a che fare con l’instabilità mondiale e con processi globali, esistenza e persino la crescita di una destra radicale, pre-fascista, un blocco basato sulla religione e antiliberale, sono tutti indicatori che annunciano l’arrivo di un uragano che minaccia di devastare tutto ciò che c’è di buono in Israele.

Ecco tre esempi della scorsa settimana: l’appello di 39 associazioni studentesche, che fanno parte dell’Unione Nazionale degli Studenti Israeliani, in appoggio a una legge che consentirebbe il licenziamento di docenti universitari che neghino “l’esistenza di Israele come Paese ebraico e democratico” (la manifestazione di una posizione deformata, una continuazione della violenza di Tzachi Hanegbi e Israel Katz nell’unione degli studenti oltre 45 anni fa). Un altro esempio è la richiesta da parte di Nadav Haetzni [giornalista e avvocato di estrema destra, ndt.] di aprire un procedimento giudiziario contro accademici, giornalisti e magistrati in base all’articolo 103 del codice penale che vieta la “propaganda disfattista”, e all’articolo 99, che vieta di “fornire aiuto al nemico in tempo di guerra.” A ciò si può aggiungere l’annuncio da parte del sindaco di Haifa Yona Yahav che nella sua città nonsi devono svolgere manifestazioni contro la guerra. Non sono che tre esempi della corruzione morale, un segnale di ciò che avverrà. E che cosa porterà il domani?

Una discussione contemporanea sul fascismo europeo nella prima metà del XX secolo non può ignorare l’attuale situazione politica in Israele. La nascita di un unico modello di fascismo israeliano insieme al razzismo populista è stata recentemente considerata una possibilità concreta nel discorso politico pubblico e nella ricerca accademica. La creazione di un governo nazional-religioso in Israele nel 2022, che ha intensificato il dibattito sull’esistenza di elementi fascisti-razzisti nel governo Netanyahu e su un “colpo di stato costituzionale” conservando una facciata democratica, è stato un punto di svolta radicale nella democrazia israeliana, che per molti ha smesso di essere liberale.

Ciò in aggiunta alla partecipazione al governo di partiti che esibiscono una visione del mondo razzista, nazionalista e xenofoba, prendono d mira i diritti civili, le minoranze e i media, e presentano una posizione di sfida, di provocazione verso il mondo progressista. Sono sufficienti per definire fascisti il regime, la società e le istituzioni civili israeliani attuali? Per adesso la risposta è negativa, con la sottolineatura della parola “adesso”.

Se aggiungiamo a tutto questo l’occupazione e il regime di apartheid imposto da Israele alla Cisgiordania da oltre mezzo secolo e il passaggio da “occupazione temporanea” a un situazione di colonizzazione permanente, che ha fornito credibilità alla procedura ora in corso alla Corte Internazionale [di Giustizia] dell’Aia, e se aggiungiamo questi elementi etnocratici, in accordo con il paradigma del geografo politico Oren Yiftachel di un gruppo etnico che si impossessa delle risorse e istituzioni dello Stato a spese delle minoranze, continuando nel contempo a presentarsi come una democrazia (vuota), e in particolare la crescita di forze razziste in base alla religione, non possiamo ignorare il pericolo che in Israele si materializzi l’opzione fascista.

Quindi, come ricorderanno gli israeliani questi giorni turbolenti? Come attraverseranno il fiume impetuoso che minaccia di sommergerli? L’autocoscienza dei cittadini preoccupati della fragilità della democrazia si trasformerà in azione politica? Cosa rimarrà delle vicissitudini di questi giorni bui? Gli israeliani si ribelleranno? O si piegheranno, rinunceranno, faranno ammenda e compromessi e, chissà, forse preferiranno andare a vivere altrove? Ciò che ci rimane è interpretare correttamente le vicissitudini di questi giorni, continuare la lotta e conservare la speranza, ripetere ancora una volta le parole dello slogan scandito nel secolo scorso dai combattenti per la libertà davanti ai soldati: no pasarán.

Gli autori sono storici del fascismo e nazismo europei. Il prof. Ohana ha scritto il libro “The Fascist Temptation” [La tentazione fascista] (Routledge 2021) e il prof. Heilbronner è autore di “From Popular Liberalism to National Socialism” [Dal liberalismo popolare al nazional socialismo] (Routledge 2017).

[traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi]