Tamer si è offerto volontario come paramedico a Nablus. È stato ucciso da un missile israeliano mentre era al lavoro

La madre e il fratello minore di Tamer Sadek mostrano i jeans di Tamer con due buchi determinati dalle pallottole dei soldati IDF. Foto: Alex Levac
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Gideon Levy, Alex Levac

17 Agosto 202-Haaretz

Un paramedico volontario di 21 anni è stato ucciso in un campo profughi palestinese da un missile israeliano, nonostante indossasse il corpetto arancione che lo identificava come membro del personale medico. È morto il giorno previsto per il matrimonio di sua sorella. Da quando è iniziata la guerra a Gaza l’esercito israeliano ha intensificato i suoi attacchi aerei anche in Cisgiordania.

Quel giorno i genitori erano andati in città per consegnare gli inviti al matrimonio della figlia maggiore. Tornati a casa a Balata, hanno scoperto che il figlio era stato convocato d’urgenza in un luogo del campo profughi in seguito all’ennesima incursione delle Forze di Difesa Israeliane [l’esercito israeliano, n.d.t.]. Paramedico, indossava il suo kit di pronto soccorso a tracolla e il giubbotto arancione fosforescente del personale medico.

Poco tempo dopo le schegge di un missile sparato da un drone nel cuore del campo densamente popolato hanno colpito il cervello di questo paramedico volontario di 21 anni, Tamer Saker. È morto per le ferite sei giorni dopo all’ospedale Rafidia di Nablus ed è stato dichiarato morto in quello che avrebbe dovuto essere il giorno delle nozze di sua sorella. Invece della gioiosa celebrazione per la quale i loro genitori avevano consegnato gli inviti si è tenuto un funerale ed è stato un giorno di lutto e di dolore.

Questa settimana il viaggio da e per Balata [dei due giornalisti, n.d.t.] è stato lungo e arduo. Il checkpoint di Hawara, l’ingresso principale a Nablus, è stato completamente chiuso da quando è scoppiata la guerra nella Striscia di Gaza. A Deir Sharaf, il checkpoint occidentale, due soldati della riserva stavano lentamente controllando i documenti di identità di alcuni degli autisti delle numerose auto. Il traffico era bloccato per chilometri.

Guidare attraverso la città stessa è un’esperienza altrettanto deprimente. Nablus, un tempo il cuore economico della Cisgiordania, ha perso questo status molto tempo fa e si sta gradualmente svuotando. Non c’è lavoro e non c’è denaro: il duro trattamento ai posti di blocco scoraggia le persone delle aree circostanti e i cittadini arabi di Israele dal fare acquisti lì, inoltre alla gente del posto, insieme ad altri palestinesi della Cisgiordania, è stato vietato di lavorare in Israele. Il traffico è scarso e i negozi sono in gran parte deserti; in effetti molti di loro hanno chiuso. A ogni semaforo decine di giovani inattivi cercano di vendere bottiglie d’acqua o una tazza di caffè agli automobilisti per 1 shekel (circa 25 centesimi). Nablus sembra sempre più una città che sta morendo.

Nel campo di Balata, uno dei più grandi e combattivi della Cisgiordania, la situazione è ovviamente molto peggiore. A causa del pericolo che gli israeliani corrono nei territori, peggiorato in questi giorni, questa settimana siamo andati velocemente a casa dei Saker, insieme a due ricercatori sul campo per l’organizzazione israeliana per i diritti umani B’Tselem, Salma a-Deb’i e Abd al-Karim Sa’adi, senza gironzolare per i vicoli. Ma anche a una rapida occhiata sembravano più vuoti che in passato.

Tamer, il paramedico volontario, viveva al secondo piano di un edificio al centro del campo, con i genitori e quattro fratelli. Una nicchia chiusa da una tenda nel soggiorno era la sua stanza. Dopo la sua morte i genitori non l’hanno più toccata: il letto è sfatto come se il figlio potesse tornare da un momento all’altro e ridistendersi lì. La cassetta rossa del pronto soccorso che aveva portato con sé quel giorno fatale, il 27 luglio, è appoggiata sul letto sotto la sua foto. Era un bel ragazzo.

Il giubbotto arancione brillante che indossava, come quello dei paramedici e delle équipe mediche di tutto il mondo, non c’è. L’indumento macchiato di sangue è stato preso dai suoi compagni volontari come ricordo. I suoi genitori ce ne mostrano una foto su un telefono. Da una borsa gialla Mohammed, il fratello minore di Tamer, di 12 anni, estrae i vestiti che Tamer indossava, anche loro macchiati di sangue: jeans blu, una maglietta, scarpe da ginnastica nere. Sua madre, Sawad, ci mostra due buchi nei jeans che, secondo la famiglia, sono la prova che è stato colpito dai soldati dopo che la scheggia lo ha colpito alla testa.

Jalal, il padre, ha 51 anni, è un autista che si guadagna da vivere facendo consegne occasionali; sua moglie ne ha 42. La coppia ha avuto tre figli, tra cui Tamer, e due figlie. La loro casa a Balata è modesta e affollata. Tamer ha studiato per diventare elettricista e ha trovato lavoro come tale. Inoltre negli ultimi 13 mesi aveva trovato il tempo di fare il paramedico volontario nell’ambito di Karama (“Dignità”), un’organizzazione di giovani del campo che seguono un corso da paramedici sotto gli auspici dell’organizzazione della Mezzaluna Rossa e vengono chiamati durante i raid dell’esercito israeliano o altri incidenti. Una delle condizioni per ricevere il permesso da paramedico è l’impegno a non intervenire direttamente negli scontri con l’esercito.

I giovani paramedici hanno un gruppo WhatsApp usato per comunicare tra loro 24 ore su 24, 7 giorni su 7, raccontano i genitori di Tamer. I volontari rispondono alle emergenze a piedi o tramite un’ambulanza anche in situazioni incredibilmente pericolose. Il sabato in questione Tamer non era uscito di casa per tutto il giorno, il che era molto insolito per lui, dicono ora. Ha chiamato la madre un paio di volte e quando i genitori sono tornati a casa, verso le 15:00, lo hanno trovato addormentato nel letto della sorella, anche questo molto insolito per lui. Jalal e Sawad sono poi andati a distribuire gli inviti per il matrimonio della figlia Raniya, di 23 anni. Il matrimonio si sarebbe dovuto svolgere in una sala per banchetti a Nablus il 2 agosto.

Poco dopo le 15,30 Tamer ha ricevuto un messaggio dal gruppo Karama che diceva che l’esercito stava facendo irruzione nel campo. Pochi minuti dopo è arrivato un secondo messaggio: “Numerose forze dell’esercito hanno fatto irruzione, abbiamo bisogno di te”.

Tamer ha indossato il giubbotto, ha preso il kit di pronto soccorso e si è precipitato verso il centro del campo dove si era radunata la maggior parte delle truppe. Testimoni oculari hanno raccontato che i soldati sparavano indiscriminatamente a quasi tutto ciò che si muoveva. Secondo alcune fonti le truppe erano arrivate a bordo di decine di veicoli. Per quanto ne sappiamo, i soldati erano all’inseguimento di un giovane ricercato di circa 17 anni, Luay Misheh. Un drone israeliano volteggiava in cielo.

All’improvviso si è udita una forte esplosione. Il drone aveva sparato un missile nel cuore del campo nel punto in cui si trovava Misheh. È stato ucciso sul colpo. Tamer, in piedi a pochi metri di distanza, è stato colpito alla testa da schegge. Altri due giovani sono rimasti feriti nell’attacco: Mohammed Abu Masalem, 12 anni, e Ahmed al-Masari, 20 anni, che ha riportato ferite molto gravi. Un altro volontario di Karama, Tamer Abu Rawais, 25 anni, si è rotto una gamba mentre cercava di fuggire.

I Saker affermano che testimoni oculari hanno riferito loro che dopo che Tamer è crollato a terra ferito sono arrivati ​​dei soldati che apparentemente pensavano fosse la persona ricercata e gli hanno sparato alle gambe. Non c’è alcuna conferma di quelle ferite nel referto medico dell’ospedale Rafidia, che menziona solo la ferita alla testa. La polizia palestinese sta indagando. In ogni caso ci sono voluti circa 45 minuti perché il giovane privo di sensi raggiungesse l’ospedale vicino dopo essere stato ferito, perché i soldati ne hanno ostacolato l’evacuazione.

Questa settimana il portavoce del reparto dell’IDF ha rilasciato la seguente risposta ad Haaretz: “Il 27 luglio è avvenuta un’operazione di brigata con l’obiettivo di sventare atti di terrorismo nel campo di Balata. Durante l’operazione i soldati dell’IDF sono stati fatti segno di colpi di armi da fuoco e sono stati lanciati contro di loro ordigni esplosivi e hanno risposto sparando ai terroristi. Le circostanze dell’evento devono ancora essere chiarite.

Sottolineiamo che i soldati dell’IDF non hanno impedito l’evacuazione dei feriti dal sito. Il livello di rischio sul campo era elevato e pertanto l’arrivo dell’ambulanza sul posto è stato ritardato.”

Nel frattempo i genitori di Tamer erano tornati a casa da Nablus e suo padre era uscito di nuovo. Nel pomeriggio un parente ha chiamato Sawad e ha chiesto di suo figlio: voleva scoprire se sapeva cosa era successo. Nel frattempo il fratello minore di Tamer, Mohammed, il cui soprannome è Hamudi, ha detto a Sawad che Tamer era stato gravemente ferito. Lei ha chiamato suo marito e i due si sono precipitati al Rafidia, dove hanno visto il figlio con la testa fasciata e diversi tubi attaccati al corpo. I medici hanno detto loro che tutto ciò che potevano fare era pregare. Nei giorni successivi [i genitori, n.d.t.] non si sono quasi mai mossi dal suo letto.

Tamer è morto alle 22 di venerdì 2 agosto, il giorno previsto per il matrimonio di Raniya, che ovviamente era stato provvisoriamente annullato. A quel punto della sera Sawad aveva appena lasciato l’ospedale ed era tornata a casa per riposare; suo padre, suo fratello e le sue sorelle erano con Tamer.

Ora nel loro soggiorno c’è una foto del giovane ucciso, membro di un circolo ippico, a cavallo, che li guarda dall’alto.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)