Ritratti del fascismo. Un progetto fotografico speciale

Oren Ziv

9 maggio 2025 – +972 magazine 

Dal 7 ottobre la polizia israeliana ha arrestato centinaia di oppositori alla guerra di Gaza ed ha pubblicato fotografie degradanti di molti detenuti. Sette di loro hanno accettato di essere di nuovo fotografati, questa volta alle loro condizioni.

Dall’ottobre 2023 centinaia di cittadini israeliani, per la stragrande maggioranza palestinesi, e almeno 17 attivisti stranieri sono stati arrestati come parte di una campagna per mettere a tacere quanti denunciano la guerra israeliana contro Gaza. In alcuni casi la polizia ha fotografato i detenuti di fronte a una bandiera israeliana e diffuso le immagini attraverso i suoi canali ufficiali oppure attraverso quelli del ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben Gvir o altri circuiti informali. Molte delle foto sono state postate sulle reti sociali e hanno portato a incitamento all’odio e minacce contro le persone ritratte.

Diffondendo queste immagini al suo interno e all’opinione pubblica la polizia ha totalmente eluso la procedura legale corretta riguardo ai diritti dei detenuti e dei sospettati. Oltretutto in molti casi la polizia non ha ottenuto, o neppure richiesto, l’autorizzazione dell’ufficio del pubblico ministero di indagare i detenuti per “incitamento all’odio” e invece li hanno arrestati con il pretesto di “comportamento che potrebbe disturbare la quiete pubblica”.

L’obiettivo di diffondere pubblicamente queste foto era chiaro: umiliare i detenuti e scoraggiare altri dal manifestare ogni opposizione all’offensiva israeliana contro Gaza. In effetti nei primi mesi della guerra molti sono rimasti in silenzio. Anche oggi molte persone scelgono di non parlare apertamente in pubblico per timore di conseguenze.

Ho stampato e incorniciato le immagini fatte circolare dalla polizia o da Ben Gvir e poi sono tornato dalle persone che vi sono ritratte. In questo modo le stesse immagini che intendevano umiliarle e creare un effetto dissuasivo sono diventate simboli di sfida: le persone sono state di nuovo fotografate, questa volta alle loro condizioni. Mi hanno anche raccontato la loro esperienza di detenzione e le loro riflessioni sulla diffusione pubblica delle loro immagini.

Molti di quanti sono stati fotografati hanno scoperto solo dopo essere stati rilasciati dal carcere israeliano che le loro immagini avevano circolato in pubblico. Hanno descritto una lotta continua con le conseguenze dell’umiliazione pubblica e per il fatto di essere stati definiti dalla polizia “nemici dello Stato”. Nessuno di quanti vengono documentati nel progetto è stato processato; alla fine la maggioranza dei casi è stata archiviata senza un’imputazione.

Intisar Hijazi

Psicologa scolastica di Tamra

Intisar Hijazi

Hijazi è stata arrestata il 7 ottobre 2024 dopo aver ri-condiviso un video di lei mentre danzava e che aveva originariamente pubblicato su TikTok un anno prima. Prima del suo arresto Ben Gvir ha mandato il video alla polizia. Una sua foto nel veicolo della polizia è stata poi pubblicata dall’ufficio del portavoce della polizia. Nel commissariato di Nazareth gli agenti l’hanno fotografata con gli occhi bendati davanti a una bandiera israeliana, e poi Ben Gvir ha condiviso l’immagine sulle sue reti sociali.

Hijazi racconta la sua disavventura: “Su TikTok puoi ri-condividere un post che hai caricato l’anno precedente. L’ho fatto la mattina e sono uscita di casa per fare la spesa con mia madre,” mi racconta. “Quando sono tornata a casa il coordinatore (della scuola in cui lavora) mi ha chiamata e ha detto che qualcuno aveva postato il video (sulle reti sociali) e aveva scritto che stavo festeggiando. Mi ha detto di cancellarlo, cosa che ho fatto, ma non avevo ancora capito cosa stesse succedendo. Poi ha chiamato qualcuno del ministero dell’Educazione e mi ha chiesto: “Cos’è questo video, cosa stai festeggiando?’, e mi ha detto di cancellare il post originale. Mia madre mi ha chiamata per dire che la polizia era a casa (sua). Quindici minuti dopo sono arrivati a casa mia.”

Dopo che è stata arrestata, Hijazi è stata portata al commissariato di Tamra: “Hanno detto che sarebbe arrivato un veicolo da Nazareth per portarmi via. Mi hanno ammanettata e bendata. La foto (nell’auto della polizia) è stata presa quando sono arrivata (al commissariato) a Nazareth. Era tutto tranquillo, ma sapevo che stavano fotografando. Mi hanno portata di sopra, messa in una stanza, detto di indietreggiare e poi hanno scattato la foto (con la bandiera). Avevo visto la foto di Maisa Abd Elhadi (un’attrice arrestata e fotografata all’inizio della guerra), così quando (mi hanno detto di) andare indietro, ancora un po’” sapevo che c’era una bandiera sul muro e che mi stavano fotografando.”

Dopo aver passato la notte al commissariato di Nazareth è stata trasferita la centro di detenzione di Kishon, nei pressi di Haifa, prima di essere riportata il giorno dopo a Nazareth per ulteriori interrogatori e poi finalmente rilasciata: “Quando sono arrivata a casa, mia madre e la mia famiglia hanno detto: ‘Sai cosa è successo fuori?’ Mi hanno raccontato che ero stata fotografata e che tutte le fotografie erano state fatte circolare.”

Hijazi descrive l’impatto emotivo dell’umiliazione pubblica: “Onestamente è stato molto duro. Perché mi hanno fatto tutto questo? Perché hanno reso pubbliche le mie foto? Quando sono tornata a scuola dopo un mese tutti le avevano viste e mi hanno detto di aver pianto, che ciò li ha feriti molto.”

Durante l’interrogatorio la polizia ha chiesto a Hijazi se conoscesse i suoi follower sulle reti sociali: “Ho detto che molti dei miei follower su TikTok sono bambini, studenti e familiari. Ci sono anche educatori e persone che non conosco, ma la maggioranza sono bambini e i miei contenuti sono rivolti ai bambini. Ho spiegato che i video non hanno niente a che fare con la politica.”

Da quando è stata rilasciata è stato difficile per Hijazi tornare sulle reti sociali: “Molti bambini mi hanno chiesto quando posterò di nuovo un video e se ora ho paura. Volevo che vedessero che sono forte, ma è molto difficile. La sicurezza che avevo prima è cambiata. La mia vita era tranquilla. Non ho mai cercato di danneggiare nessuno o di fare qualcosa di male o di politico.

A volte la gente dice che sembro una persona slegata dalla realtà, dalle guerre, ma io (lavoro) con i bambini. Perché dovrebbero essere esposti a tutto questo?”

Rasha Karim Harami

Proprietaria di un salone di bellezza a Majd Al-Krum

Rasha Karim Harami

Karim è stata arrestata nel maggio 2024 per dei post in cui esprimeva indignazione per il fatto che le forze israeliane avevano bombardato un campo di tende a Rafah. “Qual è la differenza tra quello che sta facendo Netanyahu e quello che ha fatto Hitler? Corpi di bambini, giovani donne e anziani sono stati bruciati vivi,” ha scritto in una storia su Instagram. Un video del suo arresto ripreso da agenti, in cui una poliziotta ammanetta Karim con delle fascette, le copre il volto e la porta nel commissariato, è stato condiviso sulle reti sociali, provocando la condanna da parte di deputati palestinesi.

Stavo seduta nel mio ufficio in negozio, durante una consulenza, quando la polizia ha fatto irruzione,” racconta Karim. “L’atelier era pieno di donne ed è solo per donne, e ho chiesto loro di aspettare un momento, ma non mi hanno ascoltata. Sono entrati in ogni stanza, hanno preso i miei telefoni e mi hanno detto che ero in arresto. Ho cercato di capire perché e mi hanno detto che lo avrei scoperto al commissariato, ma prima mi hanno portata a casa. Lì hanno iniziato a cercare qualcosa riguardante la Palestina, Hamas, bandiere, libri, ma non hanno trovato niente.”

Poi la polizia ha portato Karim al commissariato: “Quando sono arrivata mi hanno fatta uscire dalla macchina della polizia e messo delle manette di plastica. Quando mi hanno messo una benda sugli occhi sono rimasta veramente scioccata e spaventata. Dopo che mi hanno coperto gli occhi mi hanno portata nel commissariato per essere interrogata. È durato quattro o cinque ore. L’investigatore è stato rude e ostile con me, mi ha trattata come se fossi di Hamas.”

Karim è stata trattenuta tutta la notte e poi messa agli arresti domiciliari per cinque giorni: “Dopo che sono stata rilasciata sono crollata. Fino ad allora non avevo paura. Pensavo che stessero filmando per uso interno. Non mi sono resa conto che (il video) era su un telefonino. Sono caduta in depressione per due mesi, con la paura di uscire di casa. Molti ebrei e arabi sono venuti a darmi il loro appoggio.”

Il suo avvocato, Hussein Manaa, ha spiegato di aver cercato di parlare con gli investigatori nel commissariato, sostenendo che la sua cliente non rappresentava un pericolo per nessuno. “Le sue azioni non erano un incitamento all’odio e, cosa più importante, (la polizia) non aveva l’autorizzazione dell’ufficio del pubblico ministero per iniziare un’indagine per incitamento. Quindi l’hanno interrogata per disturbo alla quiete pubblica, che non è un reato che comporta l’arresto,” spiega Manaa.

La polizia avrebbe potuto solo convocarla, lei ci sarebbe andata. Invece hanno mandato quattro o cinque auto con tra i 15 e i 20 agenti per arrestare questa donna, come se stessero catturando Yahya Sinwar [uno dei dirigenti di Hamas più ricercati da Israele, ndt.].”

Per Manaa è chiaro che il video dell’arresto intendeva mandare un messaggio: “Il video è stato preso all’interno del commissariato e non è stato reso pubblico attraverso l’ufficio del portavoce della polizia. Intendeva umiliare chiunque esprimesse una denuncia, per dire ‘Non avete libertà di parola’, per instillare timore, in modo che nessuno avrebbe parlato apertamente contro il governo o Netanyahu.

Non è un caso che abbiano diffuso illegalmente il video,” aggiunge Manaa. “Sapevano che si sarebbe propagato a macchia d’olio, ed è esattamente quello che è successo. Ho contattato l’ufficio del pubblico ministero, la polizia, il Ministero della Sicurezza Nazionale chiedendo una spiegazione. L’ufficio del pubblico ministero ha emesso un comunicato stampa (che critica l’arresto), sostenendo che non era stata fatta alcuna richiesta di aprire un’indagine per incitamento e di non aver concesso alcuna autorizzazione. C’è stata una grande indignazione che ha portato al suo rilascio, ma non abbiamo ancora ricevuto alcuna risposta.”

Sari Hurriyah

Avvocato immobiliarista di Shefa-‘Amr

Sari Hurriyah

Hurriyah è stato arrestato nel novembre 2023 per dei post pubblicati su Facebook nei giorni successivi al 7 ottobre. La polizia ha filmato il suo arresto nel suo ufficio e ha diffuso le immagini su varie reti sociali e anche Ben Gvir le ha pubblicate. È stato portato alla prigione di Megiddo, nel nord di Israele, in condizioni molto dure per 10 giorni, durante i quali è stato torturato e umiliato. Alla fine la denuncia contro Hurriyah è stata archiviata.

Ero nel mio ufficio quando sono entrati tre uomini in abiti civili,” ricorda Hurriyah. “Si sono presentati (per arrestarmi) con un’autorizzazione del pubblico ministero e dell’ordine degli avvocati. Uno di loro aveva una telecamera in mano, ma nella confusione del momento non mi sono reso conto che mi stava riprendendo. Hanno detto che mi dovevano ammanettare. Siamo scesi dalle scale e mi hanno filmato anche lì.”

Successivamente Hurriyah è stato portato al carcere di Megiddo, dove ha affrontato condizioni inumane e degradanti insieme ad altri palestinesi nell’ala per i prigionieri di massima sicurezza. Ha testimoniato la sua esperienza all’associazione israeliana per i diritti umani B’Tselem come parte di “Benvenuti all’Inferno”, un fondamentale rapporto che dettaglia i sistematici soprusi a danno dei palestinesi e le condizioni inumane dal 7 ottobre all’interno delle prigioni israeliane, che descrive come una “rete di campi di tortura”.

L’ottavo giorno della sua detenzione Hurriyah ha finalmente incontrato il suo avvocato dopo che gli era stato negato l’accesso, e questi gli ha detto che la sua foto era stata resa pubblica. “Ma non mi sono reso conto di tutto questo finché non sono uscito (dal carcere),” spiega Hurriyah. “Anche durante gli arresti domiciliari molte persone sono venute ad appoggiarmi. Poi un giorno, in un momento di tranquillità, mia moglie mi ha mostrato il video della polizia. Onestamente è stato umiliante. Non so cosa dire.”

La polizia israeliana ha pubblicato il video dell’arresto di Hurriyah sul suo sito web ufficiale. “Non puoi immaginare le reazioni: esortazioni ad uccidermi, a revocarmi la licenza e altre cose non proprio lusinghiere,” dice Hurriyah. “Sono venuto a sapere che le foto della polizia sono state ampiamente diffuse su siti web privati e su Facebook. In tutte le pubblicazioni hanno usato quella stessa foto e hanno sostenuto che sono un terrorista e un avvocato di Hamas.”

La moglie di Hurriyah gli ha mostrato poco alla volta i post e i commenti su Facebook. “Alla fine le ho chiesto di smetterla. Ho capito che questa è l’atmosfera nel Paese. La polizia israeliana, il principale organo di applicazione della legge, ha pubblicato la mia foto, mi ha raffigurato come un Che Guevara di Hamas, e ho capito che questo danno è irreparabile. Anche se mi pagassero dei milioni ciò non mi ridarebbe l’immagine che ho costruito in cinquant’anni di lavoro, carriera e servizio pubblico,” afferma.

Circa un anno dopo l’arresto Hurriyah era seduto e aspettava qualcuno al commissariato di Shefa-‘Amr. “Un giovane mi si è avvicinato e ha detto: ‘Come stai, Hurriyah?’ Ho detto ‘Chi sei?’ E lui ha risposto: ‘Tu non mi conosci, ma sono dell’intelligence della polizia. Sono stato una delle persone che ha raccomandato il tuo arresto. Sei un personaggio pubblico, un avvocato, un cristiano e il segretario del movimento Hadash [partito di sinistra arabo-ebraico, ndt.]. Sei l’unico che parla in pubblico senza riserve. Per quanto riguarda lo Shin Bet (il servizio di intelligence interno) tu sei un nazionalista estremista.”

A Hurriyah l’accusa sembra assurda: “Sono uno che sostiene i due Stati per due popoli e costruisce ponti per la pace, e lui mi dice che sono pericoloso. Questo ha davvero accentuato la mia angoscia.” 

Come molti detenuti le cui foto sono state prese e condivise sui media sociali, Hurriyah ha compreso che la polizia israeliana ha voluto dargli una lezione: “Col senno di poi ho capito che tutto quanto era stato pianificato, che era parte di una strategia. Sono stato membro dell’ordine degli avvocati del distretto di Haifa. Non volevano problemi con gli avvocati. Volevano far tacere tutti gli avvocati in modo che la gente comune capisse il messaggio.”

Meir Baruchin

Insegnante di filosofia ed educazione civica di Gerusalemme

Dr. Meir Baruchin

Baruchin è stato arrestato nel novembre 2023 dopo che aveva pubblicato sulle reti sociali due brevi post in cui condannava l’uccisione da parte di Israele di civili palestinesi a Gaza e in Cisgiordania. L’arresto ha fatto seguito a una denuncia da parte della municipalità di Petah Tikva, dove Baruchin insegna in una scuola superiore, ed è stato tenuto per quattro giorni in isolamento come detenuto di massima sicurezza nel “Russian Compound” [edificio ottocentesco trasformato in famigerato centro di detenzione, ndt.] a Gerusalemme.

Dopo essere stato rilasciato ha combattuto una lunga battaglia legale contro il Comune per tornare ad insegnare. La polizia ha reso pubblica una foto sfocata di lui con alle spalle una bandiera israeliana, ma sue fotografie non sfocate hanno presto circolato in rete. In seguito la denuncia contro di lui è stata archiviata.

Baruchin racconta che, dopo che la fotografia sfocata è stata diffusa dal portavoce della polizia, il sindaco di Petah Tikva, insieme ad altri siti di notizie, l’ha condivisa. “Poi è stata condivisa la versione non sfocata. Ho ricevuto molte minacce. Per 15 giorni, dopo il mio rilascio, mi è stato impedito l’accesso alle reti sociali, compreso Facebook. Solo tre settimane dopo che sono stato liberato ho riavuto il mio telefono e allora ho visto i post,” afferma.

Non ci sono dubbi: la pubblicazione delle immagini intendeva scoraggiare altri,” conclude Baruchin. “Anche altri insegnanti sono stati vessati, ma sono stato l’unico ad essere arrestato. La diffusione della foto intendeva fare di me un esempio per mandare un messaggio a tutti: ‘Siete stati avvertiti’.”

Baruchin sostiene che tale repressione non è affatto nuova: “Non si può dire che siamo sulla via di una dittatura, ci siamo già da tempo. Più di mille insegnanti mi hanno contattato con messaggi e telefonate private, tutti in via ufficiosa, dicendo cose come ‘Senti, io ti sostengo, ma ho dei figli da mantenere’ oppure ‘Ho da pagare il mutuo’.”

Benché Baruchin sia tornato a insegnare, l’atmosfera è ancora ostile: “Ogni parola che dico viene controllata. Ogni giorno arrivo a scuola e alcuni studenti, neppure quelli delle mie classi, mi insultano,” dice. “Non lo denuncio neanche più perché non mi aspetto che venga fatto qualcosa. Un padre mi ha detto: ‘Non voglio che insegni a mio figlio di avere compassione del nemico.’ Mi è rimasto impresso.

In classe uno studente mi ha chiesto se, avendo la possibilità di uccidere tutti gli arabi schiacciando un pulsante, lo avrei fatto. Gli ho risposto: ‘Ovviamente no’ e lui ha detto: ‘E’ assurdo. Come mai non potresti?’ Ho detto agli studenti: ‘A pochi minuti da qui, nel Rabin Medical Center [grande ospedale di Petah Tikva, ndt.] ci sono medici e infermieri arabi. Volete che li uccida?’ E uno studente ha replicato: ‘Certo! Cosa intendi dire? Non permetterei mai che un medico arabo mi curasse. Piuttosto morirei.’ Questo è il modo di pensare,” continua Baruchin. “Non è una cosa marginale, è la maggioranza. Questi sono ragazzini, sì, ma dobbiamo prenderlo sul serio e contrastarlo. So bene che ripetono quello che ascoltano a casa e dai politici.”

Alison Russell

Attivista anglo-belga e insegnante di inglese proveniente dalla Scozia

Alison Russel

Russell è stata arrestata nel novembre 2023 mentre documentava la demolizione di una casa a Masafer Yatta, sulle colline meridionali di Hebron nella Cisgiordania occupata da Israele. Era arrivata in Cisgiordania prima del 7 ottobre per proteggere le comunità rurali palestinesi a rischio per le violenze dei coloni.

Dopo il suo arresto è stata interrogata dall’unità speciale istituita da Ben Gvir per occuparsi degli attivisti della solidarietà internazionale e poi ha passato due giorni agli arresti prima di essere portata all’aeroporto Ben Gurion, deportata e con il divieto di tornare nel Paese. Ma prima di essere espulsa alcuni poliziotti l’hanno fotografata davanti a una bandiera israeliana e in seguito Ben Gvir ha pubblicato la foto sulle reti sociali.

Il giorno del suo arresto Russell si trovava sul luogo della demolizione di una casa a Sha’ab Al-Botum quando è arrivata la polizia di frontiera [corpo paramilitare, ndt.]: “Hanno iniziato a chiedere i documenti alle persone. Nel momento in cui ho consegnato il mio passaporto l’ufficiale che l’ha preso si è entusiasmato e ha detto: ‘Guardate cos’ho trovato, lei non è israeliana!”

Sono stata portata a Ma’ale Adumim (colonia israeliana) e abbiamo passato molte ore lì mentre loro controllavano il mio Facebook utilizzando il traduttore automatico,” ricorda. “Quello che più li ha infastiditi sono stati i miei presunti rapporti con ‘terroristi’, come la mia partecipazione a una protesta di donne per i prigionieri di fronte all’edificio della Mezzaluna Rossa a Ramallah.”

Russell dice che il governo israeliano sta facendo esattamente quello che fanno molti governi europei: ‘Ti opponi a noi? Sei una terrorista.’ I governi europei sono meno espliciti a questo proposito, ma il principio è lo stesso. Più bugie diffondono su quelli che gli si oppongono, più la gente ha paura di resistere.

Parlo con persone che hanno paura di postare la loro foto, di essere etichettate come ‘terroristi’, ‘pazzi estremisti di sinistra’ o ‘inaffidabili’ solo per aver detto che si oppongono al genocidio. Lo vedo tra i miei studenti, sul posto di lavoro.”

Russell ha sentito il dovere di esprimere il suo dissenso e dimostrare solidarietà con i palestinesi sul terreno: “Ho saputo di persone a Gaza uccise per aver postato su Facebook, di palestinesi e arabi cittadini di Israele arrestati per cose che avevano postato (sulle reti sociali). Se altri sono stati uccisi per questo io ho l’obbligo di parlare chiaramente, di testimoniare, perché altri non lo possono fare. E lo ribadisco.”

M. e L.

Studenti attivisti tedeschi

M. e L.

M. e L. sono stati arrestati nell’ottobre 2024 a At-Tuwani, nella Cisgiordania meridionale, mentre accompagnavano la famiglia Huraini sulla terra di sua proprietà. Preoccupati per la loro sicurezza e per timore di potenziali ripercussioni legali in Germania, i due attivisti hanno chiesto di rimanere anonimi. Dopo il loro arresto sono stati interrogati dalla stessa unità che si è occupata di Alison Russell. Hanno passato vari giorni agli arresti e poi sono stati obbligati ad attraversare il confine con la Giordania. Prima di essere deportati i poliziotti hanno preso loro una fotografia che poi Ben Gvir ha pubblicato.

Tutto è cominciato quando un colono-soldato è venuto da noi e ci ha chiesto i passaporti,” ricorda L. “Non glieli abbiamo dati subito e gli abbiamo chiesto: ‘Ma tu chi sei? Sei un soldato? Hai l’autorità per farlo?’ Lui ha ripetuto la richiesta e poi ha iniziato a chiamare gente. Sono arrivati dei soldati, hanno preso i nostri passaporti, ce li hanno restituiti e sembrava che tutto fosse a posto. Ma poi è arrivato un colono che avevamo incontrato in precedenza e gli ha detto qualcosa riguardo a Ramallah. (Il colono) ha iniziato ad insistere e voleva anche vedere di nuovo i nostri passaporti. Abbiamo avuto l’impressione che stesse provocando (i soldati).”

M. continua: “Alla fine ci hanno accusati di ‘diffondere contenuti in appoggio al terrorismo’ sulle reti sociali o qualcosa del genere, e ciò in relazione a una foto di noi durante una protesta a Ramallah. Quella era l’immagine che il colono aveva riconosciuto e probabilmente era stata presa da un video che qualcuno aveva postato su Facebook. Il ragazzo che aveva parlato durante la protesta (a Ramallah) aveva postato sulla sua pagina privata di Facebook una foto di tutti quelli che erano lì. Non aveva molti followers o like, ma in qualche modo (i coloni) l’hanno trovata e l’hanno usata come prova contro di noi.”

Come nel caso di Russell, M. pensa che la loro foto sia stata presa poco prima che venissero deportati, ma questa volta al ponte di Allenby: “Avevamo completato tutte le procedure di frontiera e stavamo solo lì seduti. Poi improvvisamente un poliziotto è venuto da noi. Ci hanno fotografato varie volte, ma quella che è stata pubblicata è di noi semplicemente in attesa.”

L. aggiunge: “Ci ha anche detto di guardare dritto nella macchina fotografica. La foto è stata pubblicata quello stesso giorno, lo abbiamo scoperto quando siamo arrivati ad Amman, e qualcuno ci ha detto: ‘Avete visto? Ben Gvir ha pubblicato la vostra foto!’.” 

È stato così assurdo,” continua M. “Ho pensato subito: ‘Com’è che quella foto è arrivata in sole due ore da un poliziotto all’ufficio del ministro della Sicurezza Nazionale? Devono avere gruppi WhatsApp su cui condividono tutto. Onestamente ero contento che avessero sfuocato i nostri volti, perché ciò avrebbe potuto avere davvero delle gravi conseguenze.

In Germania gli Anti-Deutsch [Antitedesco, gruppo di estrema sinistra filo-israeliano, ndt.] fanno quasi esattamente quello che fanno i coloni: raccolgono foto di palestinesi e antisionisti e postano le immagini da luoghi in cui ci riuniamo,” spiega L. “E ci sono anche aggressioni. Mi sembra che sia ovviamente inteso a intimidire, a prendere di mira singole persone, a dimostrare che ‘vi teniamo d’occhio, internazionali.’ E soprattutto con tutto questo apparato poliziesco l’obiettivo è che siamo sotto il loro controllo e che siamo ricercati.”

Penso che il principale obiettivo sia scoraggiare nuovi attivisti. Gente che non è ancora stata in Palestina o che sta pensando di venirci vedrà questo e forse penserà di non venirci affatto,” aggiunge M. “E’ esattamente quello che vogliono.”

Abbiamo contattato la polizia israeliana e l’ufficio di Ben Gvir per un commento. Se e quando le riceveremo, le risposte verranno pubblicate.

Baker Zoabi ha collaborato a questo progetto.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)