Un tuffo nel passato visitando questo quartiere storico di Nablus

Taghreed Ali

20 febbraio 2021 – Al-Monitor

Una passeggiata per al-Yasmineh (il Gelsomino), quartiere della città vecchia di Nablus, ci porta attraverso le diverse civiltà che si sono susseguite in Palestina attraverso i secoli.

Il profumo di gelsomino accende i sensi, i vicoletti e gli edifici antichi nel quartiere al-Yasmineh, nel sudovest della città vecchia di Nablus, in Cisgiordania. La zona prende il nome dalla dolce fragranza del fiore di gelsomino qui diffuso ovunque ed è conosciuta localmente come la Piccola Damasco, a sottolineare le somiglianze con lo stile levantino e la sua architettura, prevalentemente di età mamalucca e ottomana.

Nascosta in uno degli angoli del quartiere, c’è la famosa erboristeria Breek, risalente a più di 400 anni fa. Da Breek si vendono prodotti a base di erbe, semi, spezie e autentico caffè arabo. In questo angolo di al-Yasmineh, così caro a visitatori e turisti, c’è anche un negozio di antiquariato che mette in mostra centinaia di pezzi da collezionista, come vecchie macchine da stampa e telefoni, tessuti ricamati e una varietà di collane, braccialetti e anelli palestinesi tradizionali.

Saleh Awad, direttore del Dipartimento delle Licenze e Ispezioni presso il ministero del Turismo e delle Antichità a Nablus, dice ad Al-Monitor: “Il quartiere di Al-Yasmineh è caratterizzato dalla diversità delle culture che si sono avvicendate, a partire dai romani agli imperi bizantini, dalle Crociate ai periodi mamalucco e ottomano presenti dalla metà del 17° al 18° secolo. Infatti dominano gli stili architettonici mamalucco e ottomano.”

Nella città vecchia di Nablus ci sono sette quartieri: al-Hableh, al-Yasmineh, al-Qaryoun, al-Gharb, al-Qaisariyya e al-Faqos. Essi ospitano vari monumenti archeologici e storici. Il settimo quartiere è al-Aqabeh dove si trova il più grande anfiteatro romano nei territori palestinesi. Ha un diametro di 100 metri e risale alla seconda metà del secondo secolo d.C.,” dice Awad.

Poi aggiunge: “Ci sono anche alcuni ahwash (cortili interni) e bagni pubblici, come l’Hammam al-Qadi e l’Hammam al-Hana, risalenti a più di 2000 anni fa. Quest’ultimo fu costruito nel cuore di al-Yasmineh dai samaritani. I bagni pubblici conservano il loro carattere antico e sono una delle mete più importanti per molti turisti locali, per gli arabi di Israele così come per i visitatori internazionali.”

Più di 30.000 persone vivono nella città vecchia di Nablus e occupano tutti i sette quartieri. È considerata un museo archeologico e storico a cielo aperto che ospita più di 550 monumenti e siti antichi che riflettono le culture che si sono avvicendate,” dice.

Awad spiega: “Il ministero del turismo e antichità, in cooperazione con il comune di Nablus e altre istituzioni come l’Associazione Taawon, stanno collaborando per preservare e rivitalizzarne la città vecchia, per riattarla e restaurarla, per promuovere il turismo. [I lavori ] includono la trasformazione di alcune vecchie fabbriche di sapone in ristoranti e un progetto del 2012 per restaurare numerose antiche case a Hosh al-Atout [parte del quartiere al-Yasmineh, ndtr.], in cooperazione con Taawon e con il sostegno del Fondo Arabo per lo sviluppo economico e sociale, con un costo totale di 1 milione e centomila dollari [poco meno di 1 milione di euro, ndtr.].”

Awad afferma che nel 2003 la municipalità di Nablus, in cooperazione con l’Agenzia italiana per la cooperazione e lo sviluppo, ha restaurato Khan al-Wakaleh, costruito nel 1630, luogo di sosta di pellegrini e carovane di viaggiatori. È stato trasformato in un hotel per visitatori e turisti.

Vari archeologi e Abdullah Kalbouneh, l’ex direttore del dipartimento per il restauro del ministero del Turismo e Antichità, dicono ad Al-Monitor: “Al-Yasmineh, nota come ‘Piccola Damasco’, fu fondata dai romani nel 72 d.C. È un quartiere che si estende su 1.000 metri ed è stato abitato da samaritani, musulmani e cristiani. Poi, negli anni ’60, i samaritani si sono trasferiti a Jabal et-Tur (Monte Gerizim).”

La moschea Satoun è il monumento più eminente della zona e una delle più antiche di Nablus. Fu costruita durante il regno di Umar ibn al-Khattab. (Sono importanti anche) la moschea al-Khadra, l’hammam turco al-Samra, altri palazzi come quello di Abd al-Hadi, e i palazzi delle famiglie al-Kilani e al-Shalbak,” aggiunge Kalbouneh.

Inoltre c’è Hosh al-Atout, che consiste di 26 case, noto per i suoi lunghi vicoli. È stato testimone della lotta dei palestinesi durante il governo dell’ex presidente Yasser Arafat che usava tenere qua i suoi incontri segreti negli anni ’60,” dice.

Alcune case e parti della moschea al-Khadra ad al-Yasmineh furono distrutte nel 2002 durante il bombardamento israeliano, nel corso dell’invasione israeliana della Cisgiordania [operazione “Scudo protettivo” durante la Seconda Intifada, ndtr.]. Alcuni degli abitanti della zona si sono trasferiti in altre parti del governatorato di Nablus, ma dopo il suo restauro e ristrutturazione il quartiere ha visto un vero boom. Anche se è un posto dove varrebbe la pena di vivere e risiedere, essi hanno deciso di lasciarlo per andare in appartamenti più spaziosi con un’architettura moderna, specialmente quando le famiglie sono diventate più numerose,” continua.

Ahmad Chkeir, 67 anni, un abitante di al-Yasmineh, crede che “la famiglia e le relazioni sociali siano ciò che rende speciale il quartiere. Qui c’è un diwan (una sala per ricevimenti) dove si tengono tutti gli eventi e occasioni festive delle famiglie, il che dimostra i rapporti amichevoli fra gli abitanti e l’amore che condividono.

Alcune consuetudini si sono conservate: per esempio, gli abitanti celebrano il Mawlid (il compleanno del profeta Maometto) e altre festività islamiche decorando le strade e vicoletti con luminarie e organizzando festival gastronomici. Gli abitanti celebrano anche Shaabouniyeh quando, durante il mese musulmano di Shaban che precede il mese sacro del Ramadan, la famiglia del sindaco invita tutti gli uomini, donne e bambini della tribù a un banchetto. Questi eventi si tengono solo nei quartieri della città vecchia di Nablus,” afferma.

Racconta che “dopo la distruzione di decine di case del quartiere in seguito al terremoto del 1927, molte famiglie sono state costrette ad abbandonare la città vecchia per andare in altre zone più inurbate del governatorato di Nablus, aree in cui è più facile spostarsi e che sono vicine ai centri e a tutte le istituzioni vitali.” 

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




A questa famiglia palestinese vivere vicino alla moschea di Al-Aqsa costa molto caro

Aseel Jundi da Gerusalemme est occupata

20 febbraio 2021 – Middle East Eye

Da anni la famiglia Bashiti vive un ciclo senza fine di soprusi israeliani perché rifiuta di abbandonare la propria casa in posizione strategica

Mohammed Bashiti guida con estrema cautela la sua auto in via al-Wad, nella Città Vecchia di Gerusalemme. Al cartello di Bab al-Majlis [quartiere del centro storico di Gerusalemme, ndtr.] gira a destra verso la sua casa e parcheggia la macchina.

Bashiti si avvia con moglie e figlia verso un commissariato della polizia israeliana situato a destra dell’entrata della porta di Al-Aqsa ed entra in casa, solo a un metro dalla moschea di Al-Aqsa [principale edificio religioso della Spianata delle Moschee, ndtr.].

Mohammed, Binar e Baylasan sono gli unici membri della famiglia a cui è consentita questa parziale libertà di movimento. Gli altri tre figli, Hisham, Hatim e Abdul-Rahman, passano la maggior parte del loro tempo nelle prigioni israeliane, in centri di interrogatorio o agli arresti domiciliari.

Per capire le ragioni che stanno dietro queste continue vessazioni israeliane contro la famiglia è sufficiente entrare in casa, con le finestre e il cortile che si affacciano su Al-Aqsa.

Ma, poiché la famiglia conserva la proprietà rifiutandosi di venderla, le autorità israeliane hanno cercato di fare pressione su di loro provocando una difficoltà dopo l’altra, al punto che essi affermano di passare tutti i loro giorni a cercare di spegnere incendi.

I ragazzi Bashiti

Il figlio maggiore di Mohammed, il ventenne Hisham, è in prigione dall’ottobre scorso accusato di aver lanciato molotov contro forze di occupazione nella cittadina di Isawiya, nei pressi di Gerusalemme.

Si sono tenute udienze nei tribunali israeliani, ma non si è ancora raggiunto un verdetto.

Nel contempo il diciassettenne Hatim è stato il più fortunato tra i fratelli, in quanto quest’anno è riuscito a tornare a scuola e a prepararsi per la maturità.

Tuttavia continue angherie, compresi arresti, pongono ancora una minaccia alla sua istruzione e potrebbero spegnere i sogni di sua madre di vedere i figli con le uniformi di diplomati.

Il terzo figlio, Abdul-Rahman, un ragazzo di 16 anni affetto da diabete da quando ne aveva 4, recentemente è stato obbligato a lasciare la sua casa a Gerusalemme in seguito ad accuse poco chiare e attualmente è agli arresti domiciliari nella cittadina di Shuafat, a nord di Gerusalemme.

I servizi segreti israeliani hanno chiesto che i genitori rimangano con lui giorno e notte. Se devono andare nella Città Vecchia, la nonna rimane con lui finché non tornano. Mohammed, 46 anni, parla con Middle East Eye nella piccola casa di Gerusalemme per la quale la sua famiglia sta pagando un prezzo così alto per rimanervi.

Egli afferma che la causa principale che sta dietro tutto questo calvario è la posizione strategica della casa, con vista sulla moschea, oltre al rifiuto della famiglia di prendere in considerazione offerte allettanti perché lascino la proprietà.

Mohammed afferma che la sua famiglia ha delle proprietà nel quartiere di al-Sharaf, che è stato sotto il controllo di Israele dall’occupazione di Gerusalemme est nel 1967.

Nel 2004 denunciò il ministero israeliano degli Affari Religiosi chiedendo la restituzione delle sue proprietà confiscate, una delle quali era stata trasformata in una sinagoga.

Mohammed sostiene che i lavori di ristrutturazione della sinagoga vennero bloccati da un ordine del tribunale perché, riguardo a questa specifica proprietà, essa è effettivamente registrata a nome della famiglia Bashiti, come dimostra il catasto israeliano.

Tuttavia, date le spese elevate della causa e l’enorme pressione che la famiglia ha dovuto affrontare in mancanza di un qualunque appoggio ufficiale da parte palestinese, i Bashiti non ebbero altra scelta che rinunciare a proseguirla.

In seguito alla causa in tribunale le autorità dell’occupazione israeliana accentuarono la pressione su Mohammed ed iniziarono a fare irruzione più spesso nella sua casa di Gerusalemme.

Quando Hisham compì i 13 anni l’esercito israeliano iniziò a vessarlo, come è in seguito avvenuto ad Hatim e Abdul-Rahman.

“I miei tre figli e la loro sorella Baylasan non hanno mai goduto di un’infanzia pacifica,” afferma Mohammed. “Al contrario, la loro infanzia è stata segnata da irruzioni, incursioni, arresti, botte, tortura, separazione e arresti domiciliari. Le autorità dell’occupazione israeliana intendono piegarli perché vanno regolarmente a pregare nella moschea di Al-Aqsa e hanno un buon rapporto con la popolazione della Città Vecchia, una cosa che all’occupazione non piace.”

Un sacco di debiti

Fra le altre ragioni dei maltrattamenti c’è il ruolo della famiglia nella rivolta di Gerusalemme est nell’estate 2017, quando le autorità israeliane installarono metal detector e porte elettriche agli ingressi di Al-Aqsa.

I ragazzi della famiglia Bashiti appoggiarono i manifestanti che tenevano sit-in alla porta di Al-Nather, fornendo loro coperte, cibo ed acqua. Sorvegliarono e ripulirono anche la zona prima del sit-in del giorno successivo.

Mohammed lavora come badante di un anziano, ma qualche mese fa ha anche preso il lavoro di Hisham come guardia giurata per garantirgli uno stipendio mentre è in prigione. I debiti del padre aumentano di giorno in giorno.

A ogni nuovo arresto o separazione, deve pagare multe, soldi per la cauzione e costi legali, oltre a un sacco di altre spese che lo hanno oberato.

Mohammed è preoccupato di come riuscirà a far fronte ai debiti che deve rispettare e sta continuamente cercando nuovi garanti ogni volta che ha bisogno di soldi.

Ormai da anni passa la maggior parte del suo tempo in tribunali e in centri di interrogatorio, in carcere e in banca per cercare prestiti che lo aiutino ad affrontare le spese per gli arresti dei suoi figli. “Ho un armadio pieno di documenti riguardanti gli arresti dei miei tre figli, in cui ci sono decisioni del tribunale, ordini di arresto, ispezioni domiciliari, ammende e onorari,” afferma. “Ma semmai ciò non fa che aggiungere ancora più determinazione e risolutezza a rimanere in questa casa attigua a uno dei luoghi più sacri al mondo.”

L’undicenne Baylasan è seduta vicino a suo padre Mohammed. Mentre gioca con uno dei suoi giocattoli prima che tornino a Shuafat per rispettare l’ordine di risiedere con Abdul-Rahman, ascolta con attenzione quello che lui dice.

Fin dalla prima infanzia Baylasan ha assistito alle persecuzioni israeliane contro la sua famiglia, compresa la detenzione di suo padre e i continui arresti dei suoi fratelli, che sembrano non finire mai.

“Solo da poco ho iniziato ad accettare l’invito alla preghiera del muezzin della moschea di Al-Aqsa, perché per anni ho collegato la sua voce al momento in cui l’esercito attacca la nostra casa e arresta uno dei miei fratelli,” dice Baylasan a MEE.

“Ogni volta che compro vestiti nuovi da mettermi per un picnic con la famiglia o per andare da qualche parte ciò non avviene. Ora mi compro vestiti nuovi per andare a visitare mio fratello Hisham in prigione, dato che è diventata l’unico posto in cui vado.”

Baylasan parla della sua esperienza con l’esercito e i servizi segreti l’hanno perquisita mentre lei ripeteva loro che era lì da sola e non c’era nessun altro da arrestare.

“I colpi alla porta erano terrificanti e ho dovuto aprire. All’inizio ho cercato di controllarmi, ma quando è entrata mia madre ho perso il controllo ed ho iniziato a piangere in modo isterico,” dice.

“Spero che potrò vivere una vita pacifica come una qualunque bambina ovunque nel mondo, perché gli attacchi e le perquisizioni alla nostra casa e gli arresti dei miei fratelli mi terrorizzano e turbano il mio percorso educativo.” 

Mentre suo marito parla, Binar, sua moglie, ascolta in modo composto, ma la sua voce si rompe mentre parla degli anni di vessazioni contro i suoi ragazzi, soprattutto quando menziona il figlio malato, Abdul-Rahman, che è stato arrestato 20 volte in un anno. La scena della sua ultima detenzione è ancora vivida nella sua mente.

Abdul-Rahmam è stato arrestato all’alba del 4 gennaio mentre lui, suo fratello Hatim e due loro amici stavano mangiando sul tetto della casa. Il reparto Yamam della polizia, un’unità antiterrorismo, ha fatto irruzione nella casa e Binar ha sentito le parole “state fermi lì”.

Allora è corsa fuori e ha trovato i quattro giovani a terra e ammanettati, e Abdul Rahman le ha chiesto di dargli dell’acqua e il kit per il diabete. Dopo l’arresto Abdul-Rahman è stato trasferito in ospedale.

In seguito i suoi genitori hanno saputo dal medico di turno che era arrivato dal centro di interrogatorio a Gerusalemme est in uno stato molto grave, che avrebbe potuto portarlo a perdere la vista, in coma o persino alla morte.

Il figlio è rimasto in isolamento per 20 giorni prima di essere rilasciato e messo agli arresti domiciliari, dove in qualunque momento potrebbe essere convocato per essere interrogato. Durante l’ultima detenzione Abdul-Rahman ha perso 10 kg.

Benché Binar sia estremamente preoccupata per il peggioramento delle condizioni di Abdul-Rahman, è ancora più preoccupata per il maggiore, Hisham, negli ultimi quattro mesi detenuto nel carcere di Majedo.

Hisham è stato arrestato a Isawiya dal Mustaribeen, un’unità d’élite israeliana in borghese che si finge palestinese. È stato duramente picchiato e di conseguenza è stato ricoverato in ospedale per tre giorni prima di essere spostato in una cella per gli interrogatori, dove è rimasto 45 giorni.

Quando è andata a visitarlo la prima volta, Hisham ha detto a sua madre: “Durante l’arresto non ho visto niente. Ho solo sentito aprirsi le portiere dell’auto dei Mustaribeen e armare le pistole, pronte a fare fuoco.

“Sono stato gravemente ferito e mi sono svegliato in ospedale.”

Binar dice che tutto quello che spera è avere una vita stabile con tutti i membri della sua famiglia sotto lo stesso tetto e che le autorità israeliane smettano di perseguitare i suoi figli ad ogni minimo segno di disordini, persino quando si dà il caso che in quei momenti siano lontani dalla Città Vecchia.”

Detenuti palestinesi

Anche Muhammad Mahmoud, l’avvocato che rappresenta i ragazzi Bashiti, pensa che la ragione che sta dietro al fatto che questa famiglia sia presa di mira sia la collocazione strategica della loro casa. Le autorità israeliane stanno cercando di spingere il padre alla disperazione con l’intento di obbligarlo ad accettare di abbandonare la sua casa, afferma.

“A un’udienza per il caso di Abdul-Rahman erano presenti un rappresentante del servizio segreto di Gerusalemme, il consigliere giuridico dello Shabak (Il servizio di sicurezza interna di Israele) e il rappresentante incaricato della stanza quattro del centro di interrogatori,” dice Mahmoud.

“Per me era una situazione stridente e ridicola: tutti quegli ufficiali di alto rango erano venuti di persona per un ragazzino a chiedere la prosecuzione della sua detenzione.” Durante la sua carriera l’avvocato ha notato che gli investigatori israeliani evitano di tenere giovani detenuti in isolamento, salvo nei casi che considerano estremi, come presunti tentativi di accoltellamento.

Secondo Mahmoud questo fatto rende la detenzione di Abdul-Rahman in isolamento per un periodo così lungo un mistero e una violazione sia delle leggi israeliane che del diritto internazionale.

Alcune organizzazioni palestinesi, tra cui il Palestinian Prisoners Club [Centro per i Detenuti Palestinesi], la Commission of Detainees’ Affairs [Commissione per le Questioni dei Detenuti], il Prisoner Support [Appoggio ai Detenuti], la Human Rights Association [Associazione per i Diritti Umani] e il Wadi Hilweh Information Center [Centro di Informazione di Wadi Hilweh], hanno pubblicato insieme un rapporto in cui affermano che nel 2020 le autorità dell’occupazione hanno arrestato 4.634 palestinesi, tra cui 543 minorenni e 128 donne.

Gli ordini di detenzione amministrativa [cioè senza capi di imputazione né sentenze di condanna, ndtr.] emessi nello stesso periodo hanno raggiunto il numero di 1.114.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Rapporto OCHA del periodo 2 – 15 febbraio 2021

Il 5 febbraio, vicino al villaggio di Ras Karkar (Ramallah, nei pressi di un insediamento colonico avamposto [cioè, non autorizzato dal Governo israeliano] di nuova costruzione, un colono israeliano ha sparato, uccidendo un palestinese 34enne che, secondo fonti militari israeliane, aveva cercato di entrare in una casa dell’avamposto. Successivi scontri a Ras Karkar, villaggio di provenienza dell’uomo, hanno provocato il ferimento di un palestinese e di un soldato israeliano. A Nuba (Hebron), un altro palestinese 25enne è rimasto ucciso dall’esplosione di un ordigno rinvenuto nei pressi della sua casa.

In vari scontri avvenuti in Cisgiordania, sono rimasti feriti settantuno palestinesi e quattro soldati israeliani [seguono dettagli]. Trenta dei palestinesi feriti sono stati curati per aver inalato gas lacrimogeno durante una protesta svolta il 12 febbraio ad Humsa – Al Bqai’a, contro demolizioni e confische. Altri ventisette palestinesi sono rimasti feriti durante proteste: contro la realizzazione di tre insediamenti colonici avamposti su terra palestinese in Kafr Malik, Deir Jarir, Ras at Tin, Al Mughayyir (in Ramallah); contro la realizzazione di un altro [insediamento avamposto] su terreni palestinesi in Beit Dajan (Nablus); contro l’espansione degli insediamenti colonici a Kafr Qaddum (Qalqiliya). Sette palestinesi sono rimasti feriti negli scontri scoppiati durante operazioni di ricerca-arresto condotte nei Campi profughi di Ad Duheisha (Betlemme) e di Jenin, e nel villaggio di Jaba (sempre a Jenin). Altri tre sono rimasti feriti nell’area di Jenin mentre, a quanto riferito, tentavano di entrare in Israele attraverso varchi nella Barriera. Due [palestinesi] sono rimasti feriti ad Al Lubban ash Sharqiya (Nablus), in seguito all’intervento delle forze israeliane richiamate da scontri tra palestinesi e coloni; altri due, vicino al villaggio di Silwad (Ramallah), in circostanze non ancora chiare. Cinquantuno dei feriti sono stati curati per inalazione di gas lacrimogeni, dieci sono stati colpiti da proiettili di gomma, sei sono stati colpiti da proiettili di armi da fuoco ed i restanti sono stati aggrediti fisicamente o colpiti da bombolette lacrimogene. Quattro soldati israeliani sono rimasti feriti a Beituniya (Ramallah), durante un’operazione di ricerca-arresto.

In Cisgiordania le forze israeliane hanno effettuato 186 operazioni di ricerca-arresto ed hanno arrestato 172 palestinesi. I governatorati di Gerusalemme, Ramallah ed Hebron sono stati i più coinvolti (in media 28 operazioni ciascuno). In uno degli episodi, accaduto a Hebron, forze israeliane hanno fatto irruzione nel municipio arrestando i dipendenti al lavoro per il turno di notte; sarebbero stati rotti mobili e porte.

A Gaza, vicino alla recinzione israeliana del suo perimetro o in mare, al largo della costa, le forze israeliane hanno aperto il fuoco di avvertimento in almeno 28 occasioni, presumibilmente per far rispettare le restrizioni di accesso [imposte ai palestinesi]. In altre tre occasioni, sempre vicino alla recinzione, le forze israeliane hanno svolto operazioni di spianatura del terreno.

Dopo una chiusura di oltre due mesi, il 1° febbraio, il valico egiziano di Rafah, al confine con Gaza, è stato aperto per quattro giorni consecutivi, in entrambe le direzioni. Il 9 febbraio, le autorità egiziane hanno annunciato che il valico rimarrà aperto in entrambe le direzioni, a tempo indeterminato. Dall’inizio di febbraio sono state registrate 6.373 uscite [da Gaza] e 3.520 ingressi.

Citando la mancanza di permessi di costruzione, sono state demolite o sequestrate 89 strutture di proprietà palestinese, sfollando 146 persone, di cui 83 minori, e creando ripercussioni su almeno 330 [seguono dettagli]. Il 3 e l’8 febbraio, nella Comunità Humsa – Al Bqai’a nella Valle del Giordano, le autorità israeliane hanno demolito 37 strutture, la maggior parte delle quali erano state donate. In ciascuno dei due episodi sono state sfollate sessanta persone, inclusi 35 minori. Questa Comunità, dislocata prevalentemente in un’area destinata all’addestramento militare israeliano, negli ultimi mesi ha subito molteplici demolizioni di massa. Una dichiarazione delle Nazioni Unite, rilasciata il 5 febbraio, ha denunciato che la pressione esercitata sulla Comunità per indurla ad abbandonare il luogo, costituisce un reale rischio di trasferimento forzato. A sud di Hebron, nelle Comunità di Ar Rakeez, Umm al Kheir e Khirbet at Tawamin, sono state sequestrate sette strutture, comprese latrine mobili, compromettendo le condizioni di vita e il sostentamento di 80 persone. Inoltre, ad Al Jalama (Jenin), i mezzi di sussistenza di circa 70 persone sono stati colpiti dalla demolizione di 13 bancarelle adibite alla vendita di bevande. A Gerusalemme Est, sono state demolite sette strutture, di cui quattro ad opera degli stessi proprietari per evitare costi aggiuntivi; una famiglia di quattro persone è stata sfollata.

Inoltre, nel villaggio di Tura al Gharbiya (Jenin), le autorità israeliane hanno demolito, a scopo punitivo, una casa, sfollando 11 persone, tra cui quattro minori. La casa apparteneva alla famiglia di un palestinese accusato di aver ucciso, a dicembre [2020], una donna israeliana. L’anno scorso, con le stesse motivazioni, sono state demolite sette strutture.

Secondo il Ministero dell’Agricoltura palestinese, le autorità israeliane hanno sradicato 1.000 alberelli vicino alla città di Tubas. Erano stati piantati in risposta allo sradicamento di migliaia di alberi, avvenuto il mese scorso nella stessa area, sulla base del fatto che la terra è stata dichiarata [da Israele] “Terra di Stato”.

Coloni israeliani, o persone ritenute tali, hanno ferito quattro palestinesi, compreso un minore, ed hanno danneggiato proprietà palestinesi, compresi alberi [seguono dettagli]. Tre palestinesi sono stati aggrediti fisicamente nel villaggio di Al Lubban ash Sharqiya (Nablus), in due separati scontri con coloni israeliani, mentre un 13enne è stato aggredito fisicamente nell’area di Hebron controllata da Israele (H2). Nel villaggio di Susiya (Hebron), un volontario straniero è stato colpito con pietre e ferito e, nel villaggio di As Samu, altri volontari stranieri e locali sono stati attaccati e derubati da persone ritenute coloni. Secondo fonti palestinesi, oltre 130 ulivi e alberelli sono stati sradicati o abbattuti nelle comunità di Khirbet Sarra (Nablus), Bruqin e Kafr ad Dik (Salfit), in At Tuwani e Bir al ‘Idd (Hebron) e in Al Janiya (Ramallah). A Bruqin sono stati rubati circa 180 pali da recinzione. Inoltre, a Beit Dajan è stata danneggiata una struttura agricola e a Qusra (entrambi a Nablus) è stato dato alle fiamme un veicolo. Un altro veicolo che transitava vicino all’insediamento di Bet El (Ramallah) è stato colpito con pietre e danneggiato. A Qawawis, un pastore ha riferito della morte di sette sue pecore a causa di una sostanza velenosa che egli ritiene sia stata spruzzata da coloni del vicino insediamento di Mitzpe Yair, i quali, egli dice, lo hanno ripetutamente attaccato mentre pascolava le sue pecore. In un altro episodio avvenuto nella zona di Ein ar Rashrash (Ramallah), un pastore ha riferito che un veicolo, verosimilmente guidato da coloni, aveva investito ed ucciso due delle sue pecore. Secondo quanto riferito, a Gerusalemme Est, autori ritenuti coloni israeliani avrebbero danneggiato una telecamera di sorveglianza e una serratura nella chiesa ortodossa rumena.

Secondo fonti israeliane, due israeliani, una ragazza di 14 anni e una donna, in viaggio sulle strade della Cisgiordania, sono stati feriti da autori ritenuti palestinesi. A quanto riferito, trenta veicoli israeliani sono stati danneggiati, prevalentemente colpiti da pietre.

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Ultimi sviluppi (fuori dal periodo di riferimento)

Il 16 febbraio, nella Comunità beduina di Humsa – Al Bqai’a, nella valle del Giordano settentrionale, le forze israeliane hanno confiscato cinque tende di sostentamento finanziate da donatori [correlato ad altri eventi descritti nel 6° paragrafo di questo Rapporto].




Israele: l’elezione del nuovo procuratore della CPI solleva interrogativi sull’inchiesta per crimini di guerra

Alex MacDonald

17 febbraio 2021 – Middle East Eye

Dirigenti israeliani hanno accolto con favore la nomina del britannico Karim Khan al vertice dell’istituzione

Questo articolo è stato modificato il 18 febbraio 2021 per eliminare una frase che affermava erroneamente che l’avvocato irlandese Fergal Gaynor compariva tra i firmatari di una lettera pubblicata su Irish Times nel 2009 che chiedeva l’espulsione dell’ambasciatore israeliano a causa del bombardamento di Gaza. In realtà la lettera fu firmata dal dr. Fergal Gaynor, un accademico del Collegio Universitario di Cork.

L’elezione dell’avvocato britannico Karim Khan a Procuratore capo della Corte Penale Internazionale (CPI) ha ancora una volta agitato lo spettro della “politicizzazione” dell’organizzazione e sollevato preoccupazioni riguardo a cosa potrà significare questa nomina per l’inchiesta sui presunti crimini di guerra di Israele e di Hamas.

L’avvocato cinquantenne, che precedentemente aveva condotto un’inchiesta dell’ONU su crimini dell’Isis in Iraq, è stato eletto venerdì a scrutinio segreto, dopo che gli Stati membri della CPI non sono arrivati ad un accordo sulla sostituzione del suo predecessore, Fatou Bensouda.

Il voto, senza precedenti nella storia di 23 anni dell’istituzione, ha visto Khan prevalere di poco sull’irlandese Fergal Gaynor.

Sulla stampa israeliana sono stati pubblicati articoli secondo cui dirigenti israeliani “hanno sostenuto dietro le quinte la candidatura di Khan” ed hanno accolto la sua elezione come una vittoria per Israele, benché il Paese non sia membro della CPI.

Probabilmente Khan si sente sotto pressione politica da parte di Israele dopo che a inizio febbraio la CPI ha annunciato di avere giurisdizione per investigare su presunti crimini di guerra da parte di israeliani e palestinesi nella Striscia di Gaza assediata e nella Cisgiordania e a Gerusalemme est occupate.

L’inchiesta della CPI è stata approvata da Bensouda e non è ancora chiaro quale sarà la posizione di Khan in merito.

Il nuovo Procuratore capo della CPI deve ignorare le inevitabili pressioni politiche perché rinunci ad ogni possibile inchiesta formale su presunti crimini di guerra commessi nei territori occupati nel 1967 da qualunque parte”, ha detto a Midlle East Eye Chris Doyle, direttore del ‘Council for Arab-British Understanding’ (Consiglio per l’intesa arabo-britannica, ndtr.).

La questione deve essere definita sulla base della legge e delle prove. Niente dimostra che Karim Khan farà qualcosa di diverso.”

Un’inchiesta ‘antisemita’?

L’avvio dell’inchiesta su crimini di guerra è stato accolto con rabbia dai dirigenti israeliani, che l’hanno denunciata come ‘antisemita’.

L’inchiesta indagherà sulle violazioni commesse durante la guerra di 50 giorni nel giugno 2014, che causò l’uccisione di 2.251 palestinesi – per la maggior parte civili – e di 74 israeliani, quasi tutti soldati.

Viene avviata dopo 5 anni di istruttoria preliminare della CPI.

In seguito all’annuncio di inizio febbraio, il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha denunciato che “una Corte creata per impedire atrocità come l’Olocausto nazista contro il popolo ebraico sta ora prendendo di mira l’unico Stato del popolo ebraico.”

Quando la CPI indaga Israele per falsi crimini di guerra, si tratta di puro antisemitismo”, ha detto.

Bensouda, che ha presieduto l’apertura dell’inchiesta su Gaza, è stata un bersaglio al vetriolo da parte di Israele. L’amministrazione Trump, in solidarietà con l’irritazione israeliana riguardo all’inchiesta della CPI, le ha imposto delle sanzioni.

Nel dicembre 2019 il quotidiano israeliano vicino a Netanyahu Yedioth Ahronot ha pubblicato un articolo intitolato “Il diavolo del Gambia e la Procuratrice dell’Aja”, in cui tentava di coinvolgere Bensouda in crimini commessi dall’ex presidente del Gambia Yahya Jammeh.

Israel Hayom, un altro quotidiano di destra, l’ha accusata di essere stata “consapevolmente irretita” dalla “strumentalizzazione del sistema giudiziario internazionale per realizzare l’obbiettivo diplomatico di distruggere lo Stato di Israele”.

Nel maggio 2010 il Ministro israeliano Yuval Steiniz ha detto che Bensouda aveva assunto una “tipica posizione anti-israeliana” relativamente alla CPI ed era determinata a “recare danno allo Stato di Israele e infangare il suo nome.” E a febbraio l’ex ambasciatore israeliano all’ONU Danny Danon l’ ha accusata di “ignorare Paesi che compiono terribili violazioni dei diritti umani.”

Se qualcuno deve stare sul banco degli imputati, questa è la Procuratrice capo della CPI Fatou Bensouda”, ha twittato.

Al momento, la nomina di Khan è stata accolta calorosamente da molti politici israeliani.

Il deputato Michal Cotler-Wunsh, un importante parlamentare israeliano che si occupa delle questioni della CPI, ha detto che Khan ha accolto “il potenziale della CPI di adempiere alla sua importante missione di sostenere, promuovere e proteggere i diritti di tutti coloro che hanno bisogno della sua esistenza in quanto tribunale di ultima istanza.”

Israel Hayom ha riferito che l’elezione di Khan potrebbe addirittura “portare dirigenti di Gerusalemme a riconsiderare il boicottaggio della CPI.”

Altri sono meno ottimisti. Funzionari che hanno parlato in forma anonima a Israel Hayom hanno detto che Khan dovrà ancora essere “giudicato in base alle sue azioni.”

Il fatto che altri si sono comportati male non significa che la sua scelta sia buona”, hanno detto.

Uno strumento politico’

Mentre Khan assumerà ufficialmente la carica di Bensouda a giugno, resta ancora da vedere se seguirà la strada di chi lo ha preceduto e continuerà l’inchiesta, o si piegherà alle pressioni politiche.

Da quando è nata nel 1998 la CPI ha sempre subito critiche perché è sembrato che si stesse concentrando eccessivamente sui Paesi in via di sviluppo africani, facendo invece poco per chiamare a rispondere delle proprie azioni Stati più potenti.

Il successo o il fallimento di un’inchiesta formale sulla guerra di Gaza potrebbe portare a dare o togliere credibilità all’istituzione.

Un’inchiesta formale dovrebbe essere annunciata e condotta con energia e giustizia. Mettere tutte le parti di fronte alle loro responsabilità per le proprie azioni è essenziale. È il modo più efficace per assicurare che simili crimini non saranno più consentiti in futuro”, ha detto Doyle.

Fallire in questo renderà la CPI agli occhi di molti un mero strumento politico delle grandi potenze piuttosto che il luogo della giustizia e della sanzione in difesa di quanti ne sono privati.”

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Vaccini anti Covid-19: Gaza riceverà il primo lotto del russo Sputnik V

MEE e agenzie

17 febbraio 2021 – Middle East Eye

Israele ha ammesso di aver ritardato la consegna di vaccino a Gaza per motivi politici

Mercoledì (17 febbraio) la striscia di Gaza assediata riceverà il suo primo lotto di vaccini anti Covid 19 la cui consegna era stata ritardata da Israele. 

Mille vaccini russi Sputnik V arriveranno dal valico di Betania fra la Cisgiordania occupata e Israele a Gaza al valico di Erez [tra Israele e Gaza, ndtr.].

I vaccini, donati dalla Russia, saranno somministrati al personale sanitario nel territorio assediato. 

All’inizio della settimana, Israele aveva ammesso di aver rallentato il trasferimento dei vaccini per motivi politici. 

Il Cogat, l’ente militare israeliano responsabile della gestione israeliana dei territori palestinesi occupati, ha detto all’agenzia AFP che l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) aveva richiesto il trasferimento a Gaza di 1000 dosi di vaccino, ma che “questa richiesta è in attesa di una decisione politica”.

Citando fonti israeliane, l’AFP afferma che permettere il trasferimento dalla Cisgiordania a Gaza non è una semplice misura amministrativa di competenza del Cogat, ma piuttosto una decisione politica probabilmente legata alle trattative fra Israele e Hamas, il gruppo politico che di fatto governa la Striscia di Gaza dal 2007.

L’ANP ha anche accusato Israele di bloccare la consegna del vaccino dalla Cisgiordania dopo la sua richiesta di trasferimento a Gaza. 

Mai al-Kaila, la Ministra della Salute palestinese, ha detto che Israele ha la “totale responsabilità” per il blocco dell’invio.

“Oggi, 2.000 dosi dello Sputnik V, il vaccino russo, sono state trasferite per entrare nella Striscia di Gaza, ma le autorità dell’occupazione impediscono il loro ingresso” ha detto Kaila nella sua dichiarazione di lunedì. 

“Queste dosi erano destinate al personale medico che lavora in reparti di terapia intensiva per pazienti Covid-19 e a coloro che operano in quelli di emergenza.”

A quel che si dice solo metà delle 2.000 dosi sono state trasferite mercoledì a Gaza.

Consegne ritardate

All’inizio del mese, l’ANP ha cominciato a somministrare le prime vaccinazioni al personale sanitario in prima linea, attingendo a un iniziale approvvigionamento di 10.000 dosi del vaccino Sputnik V e anche alle dosi di Moderna fornite da Israele.

Ma il lancio del vaccino in Cisgiordania è stato ritardato dall’intoppo delle consegne.  

Comunque, L’ANP, che ha un limitato autogoverno nella Cisgiordania occupata, ha detto che condividerà la sua limitata fornitura di vaccino con l’enclave costiera.

Dall’inizio della pandemia a Gaza ci sono stati più di 53.000 casi e almeno 537 morti.

Israele, che sta portando avanti una delle campagne vaccinali più veloci al mondo pro capite, sta facendo i conti con critiche internazionali perché non ha condiviso le forniture di vaccini con i palestinesi che vivono nella Cisgiordania occupata e a Gaza sotto blocco israeliano. 

All’inizio del mese, dopo le critiche, Israele ha inviato all’ANP 5.000 dosi da somministrare nella Cisgiordania occupata, dove risiedono circa 3 milioni di palestinesi. 

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




In Germania l’antisemitismo è in aumento: quello di destra

Ali Abunimah

15 febbraio 2021 – Electronic Intifada

L’estrema destra tedesca è responsabile dell’aumento di episodi di antisemitismo e aggressioni contro musulmani e persone immigrate.

La polizia ha registrato un incremento degli incidenti di antisemitismo in Germania lo scorso anno.

Ma, contrariamente ai tentativi della lobby israeliana di incolpare i musulmani, la sinistra e il movimento di solidarietà con la Palestina, il fenomeno è originato quasi esclusivamente dalla destra.

La scorsa settimana il giornale Der Tagesspiegel [giornale più venduto a Berlino, ndtr.] ha informato che nel 2020 la polizia tedesca ha registrato 2.275 rapporti riguardanti episodi di antisemitismo, più di ogni altro anno dal 2001. Ciò include 55 delitti di violenza. I dati del 2020 rappresentano un incremento dell’11% rispetto all’anno precedente.

Eppure, nonostante il fatto che la polizia sia stata in grado di identificare quasi 1.400 sospetti, ci sono stati solo 5 arresti.

I dati sono stati forniti dal governo federale in risposta a un’interpellanza parlamentare da parte di Petra Pau, deputata di sinistra.

Più di 1.300 rapporti sono stati catalogati in base alle sospette motivazioni politiche dell’incidente.

Il quadro fornito dalle statistiche è chiarissimo: 1.247 sono stati definiti di destra; 9 di sinistra; 18 come “di ideologia straniera” e 20 motivati dalla religione. Altri 39 incidenti non si sono potuti classificare.

In base a queste cifre il 94% degli episodi di antisemitismo è stato motivato da ragioni politiche di destra.

Questi dati giungono mentre ci sono crescenti preoccupazione di infiltrazioni neonaziste nelle forze di polizia e nell’esercito tedesco.

Accusa fuorviante

Ciò contrasta con l’idea diffusa dalle associazioni della lobby israeliana che intendono mettere sotto accusa in modo fuorviante i sostenitori dei diritti dei palestinesi, così come le comunità musulmane e immigrate.

Questi avvertimenti sono stati evidenti dopo che nel 2015 la Germania ha iniziato ad accogliere centinaia di migliaia di rifugiati siriani e da altri Paesi.

Josef Schuster, presidente del Consiglio Centrale degli Ebrei in Germania, un’organizzazione comunitaria e un gruppo della lobby filoisraeliana, ha affermato che “molti dei rifugiati stanno scappando dal terrorismo dello Stato Islamico e vogliono vivere in pace e libertà, ma nel contempo arrivano da culture in cui l’odio e l’intolleranza verso gli ebrei ne sono parte integrante.”

E lo scorso anno il Congresso Ebraico Europeo ha pubblicato un rapporto stilato insieme a ricercatori dell’università di Tel Aviv in cui si attira l’attenzione sull’allarmante numero di aggressioni contro ebrei da parte di neonazisti e suprematisti bianchi nel 2019 e all’inizio del 2020.

Gli autori del rapporto non hanno potuto celare la realtà per cui la stragrande maggioranza di questo incremento è originato dall’estrema destra. Eppure il loro rapporto dedica molto spazio ad attaccare il movimento per il Boicottaggio, il Disinvestimento e le Sanzioni (BDS) per i diritti dei palestinesi e a cercare di associare senza fondamento i suoi sostenitori con l’aumento dell’antisemitismo.

Benché non ci siano prove che l’appoggio ai diritti dei palestinesi abbia alimentato il fanatismo antiebraico, nel documento di 17 pagine il BDS è citato addirittura 24 volte.

Il rapporto afferma anche pretestuosamente che in Germania “l’antisemitismo legato ad Israele, originato principalmente da studenti e personale musulmano, è già stato reso accettabile tra studenti e insegnanti.”

Questa narrazione falsa si è fatta strada anche nella destra americana, dove sostenitori di Israele, come Jonathan Tobin della National Review [quindicinale di destra, ndtr.], hanno cercato di scagionare l’estrema destra tedesca dall’accusa di essere antisemita.

Nel 2019 Tobin ha affermato che in Germania “la recente ondata di immigrati da Paesi musulmani e arabi ha creato un nuovo e vasto elettorato a favore dell’odio antiebraico.”

Ha anche lodato Alternativa per la Germania [AfD], un partito di estrema destra che include molti nazisti, perché “ha rotto con la sua tradizione affermando di sostenere Israele.”

Il tentativo di accusare i musulmani dell’antisemitismo tedesco nasconde come l’antisemitismo di destra derivi dallo stesso razzismo violento e reazionario che prende di mira i musulmani e gli immigrati.

Nel febbraio 2020 un estremista di destra si è messo a sparare all’impazzata nella città di Hanau. Ha preso di mira due shisha bar [locali in cui si fuma il narghilé, ndtr.] frequentati da membri della comunità turca in Germania e da altre comunità di immigrati, uccidendo nove persone, tutte di origine immigrata.

Questo è stato solo l’ultimo di una lunga serie di complotti e uccisioni da parte di neonazisti che hanno preso di mira musulmani e immigrati.

Definizione fuorviante di antisemitismo

Benché la destra nazionalista continui ad essere di gran lunga la principale fonte dell’antisemitismo tedesco, i politici concentrano sforzi esorbitanti per reprimere il movimento BDS.

Il loro falso pretesto è che criticare Israele e chiedere che venga chiamato a rispondere dei suoi crimini contro i palestinesi equivalga a odiare gli ebrei.

Questa oziosa e ingannevole equazione è intrinseca alla cosiddetta definizione di antisemitismo dell’IHRA [Alleanza Internazionale per il Ricordo dell’Olocausto, organismo intergovernativo a cui aderiscono 34 Paesi, ndtr.] che Israele e la sua lobby stanno sollecitando governi e istituzioni in tutto il mondo ad adottare. Sette degli 11 “esempi” di antisemitismo allegati alla definizione dell’IHRA riguardano le critiche a Israele e al sionismo, la sua razzista ideologia di Stato.

Un manuale recentemente pubblicato dall’UE per promuovere questa definizione contiene menzogne assolute secondo cui alcune proteste riguardanti Israele in Europa sarebbero state motivate da animo antisemita.

Questo manuale è stato stilato di fatto dal RIAS, un ente ufficiale tedesco che pretende di documentare l’antisemitismo.

Attivisti per i diritti umani e sostenitori delle libertà civili hanno respinto questa definizione dell’IHRA, che vedono come uno strumento non per lottare contro il fanatismo ma per censurare l’appoggio ai diritti dei palestinesi.

La scorsa settimana il consiglio accademico dell’University College di Londra ha deciso di annullare [l’adozione della] definizione dell’IHRA e chiedere all’università di sostituirla con un’altra che “salvaguardi la libertà di espressione” e “protegga la libertà accademica”.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Portare speranza nella Gaza affamata di energia: i ricercatori sviluppano soluzioni ad alta tecnologia solare

15 febbraio 2021 – Palestine Chronicle

Gli esperti dell’università di Birmingham stanno sviluppando un nuovo impianto pilota per energia solare che aiuterà a fornire energia elettrica pulita ed economica alle persone che vivono nella Striscia di Gaza.

Lavorando con i colleghi dell’Università Islamica di Gaza, i ricercatori stanno combinando due tecnologie efficienti con una nuova modalità che contribuirà anche a valutare l’impatto della carenza di energia elettrica sulla salute e sul benessere della popolazione di Gaza.

Il nuovo impianto integra celle solari avanzate a giunzione multipla ad alta concentrazione con il ciclo organico Rankine (ORC) che sfrutta il calore di scarto a bassa temperatura dal raffreddamento delle celle fotovoltaiche concentrate per la produzione di elettricità.

Abitata da quasi due milioni di persone, tra cui 1,4 milioni di rifugiati, la Striscia di Gaza assediata ha lottato a lungo contro le gravi carenze di energia elettrica. L’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari (OCHA) teme gravi implicazioni legate alla crisi energetica per i settori della salute, dell’istruzione, dell’acqua e dei servizi igienico-sanitari.

La responsabile del progetto, dott.ssa Raya AL-Dadah, docente di tecnologie energetiche sostenibili presso l’Università di Birmingham, ha commentato: “Attualmente viene soddisfatto solo il 38% del fabbisogno di energia elettrica di Gaza. Le persone ricevono meno di sei ore di corrente al giorno e di conseguenza gli ospedali forniscono soltanto servizi essenziali, come le unità di terapia intensiva. Insieme al perenne conflitto, la crisi energetica provoca alti livelli di stress che influiscono sulla salute psico-fisica e sul benessere.

Il nostro impianto pilota fornirà energia elettrica a 30 famiglie, consentendo alle equipe di salute ambientale e geografia umana di Birmingham e Gaza di valutare l’impatto della disponibilità di energia elettrica sulla salute delle famiglie, sul benessere e sulla parità di genere. Possiamo trarre lezioni preziose su come il benessere migliori attraverso l’utilizzo della nuova soluzione tecnologica”.

Il progetto è finanziato dalla British Academy [Accademia nazionale del Regno Unito per le discipline umanistiche e le scienze sociali, indipendente ed autogovernata, ndtr.] e mette insieme ricercatori di ingegneria meccanica e di geografia umana dell’Università di Birmingham e dell’Università Islamica di Gaza.

Il dottor Mohammad Abuhaiba, responsabile del gruppo di ricerca presso l’Università Islamica di Gaza, ha commentato:

La Striscia di Gaza riceve un’abbondante quantità di energia solare, dal momento che la radiazione media annuale è di circa 2723 kWh/anno/m2. Esiste un grande potenziale per il ricavo di enormi quantità di elettricità attraverso l’utilizzo di diverse tecnologie per l’energia solare. Questo ci offre un incentivo ad avviare una ricerca a lungo termine con l’università di Birmingham sullo sviluppo di soluzioni ottimizzate e solidamente integrate basate sull’energia solare.

Non solo la nostra ricerca congiunta con l’università di Birmingham aiuterà a fornire soluzioni per la comunità locale di Gaza, ma aiuterà anche a sviluppare le competenze del personale accademico e tecnico dell’Università Islamica di Gaza”.

La soluzione ingegneristica riunisce le due tecnologie per ottenere un’efficienza complessiva di conversione del sistema superiore al 50%, fornendo elettricità pulita, sostenibile e conveniente. Il nuovo sistema è solido, facile da installare, utilizzare e mantenere senza la necessità di dipendere dalla complessa e costosa rete elettrica nazionale.

L’impianto pilota per la produzione di energia elettrica sarà installato nel Centro per la Salute delle Donne connesso alla Mezzaluna Rossa nel campo profughi di Jabalia [a 4 Km a nord della capitale particolarmente in difficoltà a causa della carenza di energia elettrica, ndtr.]. Questo centro sanitario è circondato da un buon numero di famiglie, alle quali verrà fornita l’energia elettrica.

(Università di Birmingham)

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Un palestinese ucciso durante un’escursione è l’ultima vittima di un’ondata di violenza dei coloni

Yumna Patel

15 febbraio 2021 – Mondoweiss

Bilal Bawatneh, Azzam Amer e Khaled Nofal sono le ultime vittime palestinesi di un’ondata di violenza dei coloni che nelle ultime settimane ha sconvolto la Cisgiordania occupata

Venerdì un palestinese è stato investito ed ucciso durante un attacco con un’auto mentre stava facendo un’escursione con alcuni amici nel nord della Valle del Giordano, nella Cisgiordania occupata.

Venerdì mattina il cinquantaduenne Bilal Bawatneh, insieme a un gruppo di palestinesi di varie parti della Cisgiordania, stava camminando lungo un sentiero tra i villaggi di Ein al-Beida e Bardala, nel nord della Valle del Giordano, a est della città di Tubas.

Nota per le sue vaste montagne, che in inverno fioriscono, durante questo periodo dell’anno la Valle del Giordano attira molti escursionisti e visitatori da tutta la Palestina.

Negli ultimi decenni la natura rurale della Valle del Giordano ha attirato anche migliaia di coloni israeliani che vivono in insediamenti e avamposti illegali.

L’agenzia di notizie ufficiale dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) Wafa ha citato gli escursionisti, che hanno affermato di “essere rimasti scioccati” nel vedere il veicolo deviare dal proprio percorso e lanciarsi a tutta velocità contro il gruppo. L’auto ha colpito gli escursionisti, ferendo Bawatneh e altri due.

Bawatneh, abitante della città di al-Bireh, nella zona di Ramallah, è stato portato via da medici della Mezzaluna Rossa Palestinese, che in un comunicato ha affermato che è morto poco dopo in seguito alle ferite riportate.

Medici israeliani avrebbero portato gli altri due palestinesi feriti in un ospedale nella città di Afula. Non si sa in che condizioni si trovino.

Venerdì delle foto di Bawatneh, che sarebbero state scattate durante la camminata poco prima che venisse ucciso, hanno inondato le reti sociali, mentre i palestinesi hanno pianto la sua morte come ultima vittima dell’occupazione israeliana.

Riguardo alla morte di Bawatneh, la dottoressa Hanan Ashrawi, membro del Comitato Esecutivo dell’OLP, ha twittato che “tragicamente, in Cisgiordania l’omicidio stradale è una forma fin troppo nota di aggressione non sanzionata da parte di coloni israeliani contro palestinesi vulnerabili.”

L’uccisione di Bawatneh ha suscitato una scarsa attenzione da parte dei media israeliani, nonostante nell’ultima settimana sia il terzo assassinio di palestinesi in Cisgiordania ad opera di coloni.

Mercoledì Azzam Amer, un palestinese del villaggio di Kafr Qalil, nella zona di Nablus, è stato ucciso dopo che sarebbe stato investito da un colono israeliano che stava guidando nei pressi dell’incrocio di Kifl Hares, nel nord della Cisgiordania occupata.

I media palestinesi hanno descritto Amer come marito e padre. Pare fosse anche un lavoratore a giornata e stava tornando a casa dal lavoro quando è stato ucciso. Il Centro Internazionale dei media del Medio Oriente (IMEMC) ha informato che la polizia israeliana ha affermato di aver aperto un’inchiesta “per stabilire se l’episodio sia un incidente stradale o un attacco deliberato.”

Nei casi di israeliani uccisi o feriti da conducenti palestinesi, le autorità israeliane spesso si affrettano a definire questi incidenti come attacchi deliberati, o come “attacchi terroristici”, e in genere danno poco spazio quando si tratta di determinare se si sia trattato eventualmente solo di un incidente stradale. In questi casi i conducenti palestinesi sono uccisi sul posto e i loro corpi trattenuti (come ad esempio nel caso di Ahmed Erekat), oppure arrestati e imprigionati con l’accusa di terrorismo.

Il 5 febbraio il trentaquattrenne Khaled Nofal, un ragioniere palestinese padre di un bambino di 5 anni, è stato colpito e ucciso da un colono israeliano nei pressi del villaggio di Ras Karkar, a nordovest dalla città di Ramallah.

Il caso di Nofal è stato ampiamente trattato dai media israeliani, evidentemente in quanto Nofal è stato definito dal colono responsabile della sua morte e dall’esercito israeliano un “terrorista” che avrebbe cercato di “infiltrarsi” in un avamposto di coloni nei pressi del suo villaggio e commesso un’aggressione, benché nessuno, salvo Nofal, sia rimasto ferito nell’incidente.

Il Times of Israel [giornale israeliano in lingua inglese, ndtr.] e Haaretz [giornale israeliano di centro sinistra, ndtr.] hanno evidenziato che sul corpo di Nofal o sul posto non sono state trovate armi, facendo sorgere dubbi su ciò che Nofal stesse effettivamente facendo lì in quel momento e su come intendesse perpetrare un attacco senza alcuna arma.

Mentre la famiglia di Nofal ha detto ad Haaretz di non essere sicura di quello che egli stesse facendo così vicino all’avamposto in piena notte, il sindaco di Ras Karkar ha detto a Times of Israel che la famiglia di Nofal è proprietaria di terreni nei pressi della zona, una possibile ragione del perché sia andato là.

Tuttavia, a causa del fatto che l’incidente è stato classificato come un “tentativo di attentato terroristico”, secondo il Times of Israel da parte dell’esercito israeliano non è stata avviata nessuna indagine penale nei confronti del colono.

Come informano i media israeliani, Eitan Ze’ev, il colono che ha sparato a Nofal uccidendolo, ha dei precedenti riguardo a spari contro palestinesi disarmati e attualmente è sotto processo per violenza aggravata dopo che ha sparato a due palestinesi durante un diverbio l’estate scorsa nelle vicinanze di Biddya, un villaggio a ovest di Salfit, nel nord della Cisgiordania.

L’arma di Ze’ev sarebbe stata sequestrata dopo che ha sparato a due palestinesi in luglio – anche se alcuni poliziotti hanno affermato che gli dovrebbe essere restituita – provocando ulteriori congetture sul fatto che Ze’ev potesse essere armato prima di uccidere Nofal.

Dopo aver sparato a luglio, Ze’ev ha ricevuto un “attestato di merito” da parte di Yossi Dagan, capo del Consiglio Regionale della Samaria, che all’epoca ha affermato: “Ringraziamo le care persone che hanno protetto le vite di altri e di se stesse contro ribelli barbari e assassini che cercano di linciare ebrei in Samaria.”

Mentre Nofal è stato definito un “terrorista” e un “infiltrato” dai militari israeliani, che hanno preso in considerazione solo la testimonianza dei coloni che hanno sparato a Nofal come prova contro di lui, ufficiali dell’esercito hanno definito Ze’ev “un uomo tranquillo, etico e morale.”

Un’impennata della violenza

Bilal Bawatneh, Azzam Amer e Khaled Nofal sono gli ultimi palestinesi vittime di un’ondata di violenza dei coloni che nelle ultime settimane ha sconvolto la Cisgiordania occupata, con nuove notizie quasi quotidiane di attacchi di coloni contro civili palestinesi sui media palestinesi e israeliani.

Benché la violenza dei coloni contro i palestinesi sia una realtà quotidiana nella vita della Cisgiordania, le associazioni per i diritti umani hanno notato un significativo incremento della violenza dall’inizio dell’anno, che secondo loro va fatta risalire alla morte del colono sedicenne Ahuvia Sandak che è morto il 21 dicembre 2020  durante un inseguimento della polizia israeliana.

Da allora i coloni della Cisgiordania hanno promosso Sandak a martire della loro causa, inscenando proteste contro la polizia israeliana, seminando il caos nelle comunità palestinesi in tutta la Cisgiordania e provocando seri danni fisici e materiali ai palestinesi e alle loro proprietà.

L’associazione israeliana per i diritti umani B’Tselem ha documentato 49 incidenti riguardanti la violenza dei coloni in Cisgiordania nelle cinque settimane tra il 21 dicembre e il 24 gennaio rispetto a un totale di 108 incidenti di violenza dei coloni contro i palestinesi negli ultimi sei mesi del 2020.

L’associazione ha documentato 28 casi di aggressioni fisiche, 19 casi di lancio di pietre contro veicoli palestinesi, tre sparatorie e sei atti di vandalismo contro proprietà di palestinesi, coltivazioni danneggiate e attacchi contro abitazioni.

Dei 49 casi registrati da B’Tselem, secondo l’associazione 15 palestinesi, tra cui 4 minorenni con meno di 15 anni uno dei quali di 5 anni, sono stati colpiti da pietre.

B’Tselem nota che in almeno 26 tra i casi documentati dalla morte di Sandak le forze di sicurezza israeliane erano presenti quando i coloni hanno condotto gli attacchi contro i palestinesi.  

Invece di arrestare gli aggressori, in cinque casi hanno attaccato i palestinesi, sparando proiettili ricoperti di gomma o lacrimogeni contro di loro e ne hanno feriti due. Negli altri 21 casi le forze non hanno fatto abbastanza per impedire gli attacchi,” afferma l’associazione.

Nelle settimane successive al 24 gennaio, data limite del rapporto di B’Tselem, sono state riportate decine di nuovi casi di violenza dei coloni in Cisgiordania, con almeno 18 attacchi di coloni contro i palestinesi, le loro proprietà e animali d’allevamento riferiti dall’agenzia di notizie Wafa tra il 25 gennaio e il 15 febbraio, esclusi gli assassinii di Batawneh, Amer e Nofal. 

La natura degli attacchi ha incluso tra le altre cose, aggressioni fisiche contro uomini e donne palestinesi, lo sradicamento di decine di ulivi, il danneggiamento di una chiesa, il lancio di pietre contro autobus e automobili private palestinesi.

Effetti “devastanti” a lungo termine

Mentre dalla morte di Ahuvia Sandak c’è stato un chiaro incremento della violenza, B’Tselem ha detto che attribuire alla morte dell’adolescente “la causa della rabbia dei coloni è fuori dalla realtà.”

Invece la violenza dei coloni è di routine, afferma l’associazione, aggiungendo che “per anni i coloni hanno commesso azioni violente contro i palestinesi con il totale sostegno dello Stato, che non fa nulla per impedire il ripetersi di questi attacchi.”

Questo è un regime suprematista ebraico,” ha sostenuto l’associazione.

L’organizzazione israeliana per i diritti umani Yesh Din afferma che le autorità israeliane omettono di indagare i crimini d’odio e gli attacchi dei coloni contro i palestinesi in Cisgiordania, e raramente portano di fronte alla giustizia i responsabili di questi delitti.

Secondo l’associazione, l’82% delle inchieste aperte per “crimini ideologici” contro palestinesi viene chiuso per l’inerzia della polizia e solo l’8% delle indagini su tali delitti porta effettivamente a un’incriminazione.

Inoltre, se imputati, i coloni israeliani che commettono reati contro i palestinesi e le loro proprietà sono giudicati nei tribunali civili israeliani. Nel contempo i palestinesi (compresi i minorenni) che sono accusati di commettere reati contro coloni israeliani e personale della sicurezza sono giudicati da tribunali militari israeliani, che vantano una percentuale di condanne contro i palestinesi superiore al 99%.

Hani Nassar, ricercatore sul campo di Defense for Children International – Palestine [Difesa Internazionale dei Minori – Palestina] (DCIP), che documenta gli attacchi dei coloni che prendono di mira minori palestinesi, dice a Mondoweiss che tali sistemi sono “prove del sistema di apartheid in Cisgiordania” e dell’appoggio del governo israeliano e della sua complicità con il “terrorismo dei coloni”.

Il terrorismo dei coloni non riguarda solo l’aggressione nei confronti delle nostre terre, case e dei nostri alberi, ma esso prende deliberatamente di mira anche le persone e i loro figli,” afferma Nassar, aggiungendo che, mentre gli effetti a breve termine degli attacchi dei coloni possono essere devastanti sia dal punto di vista economico che fisico, gli effetti a lungo termine possono essere ancora più brutali.

Ho visto e documentato gli effetti a lungo termine di questi attacchi sulle famiglie palestinesi, soprattutto sui minorenni,” afferma Nassar, aggiungendo che molti minori e i loro genitori “lottano per affrontare il trauma.”

Per esempio, secondo Nassar, quando ragazzini vengono aggrediti in macchina, spesso mostrano sintomi da stress post traumatico e non vogliono viaggiare in auto, soprattutto di notte (quando avviene la maggior parte degli attacchi). Nei casi di bambini aggrediti in casa, molti mostrano disturbi del sonno, bagnano il letto, hanno incubi, ecc.

La comunità internazionale può leggere le notizie, vedere questi attacchi e dire ‘oh, è triste’, ma vorrei dire a questa gente: venite qui, fate visita alle famiglie che sono state aggredite e vedete quello che i coloni e l’occupazione hanno fatto loro,” dice Nassar. “Forse poi le persone vorranno cambiare le cose.”

La situazione nella vita reale è molto più pericolosa di quanto si possa immaginare quando si leggono le notizie,” afferma. “Abbiamo bisogno che ogni governo, compreso quello palestinese, si attivi e faccia il possibile per difendere queste famiglie. Assumetevi le vostre responsabilità, andate alla Corte Internazionale e accusate i dirigenti israeliani che sponsorizzano questo terrorismo contro di noi.”

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Amira Hass: “Vi racconto la sinistra che resiste in Israele e quella che ha rinnegato se stessa”

Umberto De Giovannangeli

14 febbraio 2021  Globalist Syndication

Globalist prosegue il suo viaggio in un Israele sempre più diviso e radicalizzato, a destra, in vista delle elezioni del 23 marzo, le quarte in due anni, un record mondiale.

Israele, “vi racconto la sinistra che esiste e quella che si è suicidata”. Il racconto è di una delle icone del giornalismo israeliano, una firma conosciuta a livello internazionale: Amira Hass

Con lei, e con Yossi Verter, altra grande firma israeliana, Globalist prosegue il suo viaggio in un Israele sempre più diviso e radicalizzato, a destra, in vista delle elezioni del 23 marzo, le quarte in due anni, un record mondiale.

La sinistra che c’è e quella che si è suicidata

 “La sinistra a cui appartengo – scrive Hass – non perde tempo in noiosi dibattiti su quale primo ministro di destra sia preferibile, che sia Benjamin Netanyahu, Naftali Bennett, Avigdor Lieberman, Gideon Sa’ar o Yair Lapid. Il battibecco alla moda su chi sia più adatto all’incoronazione evidenzia solo per quelli di noi a sinistra quanto siamo lontani dal loro mondo. E ora sentiamo la gente dire che siccome i partiti di questi contendenti sono in testa ai sondaggi, e le nostre opzioni sono così scarse, dovremmo votare per il minore dei mali. Eppure, ogni singolo leader menzionato che potrebbe diventare il prossimo primo ministro è il peggiore di tutti i mali, una fonte di preoccupazione e paura. Il fatto che un primo ministro israeliano non sia un unico capitano della nave aumenta la paura. Nelle questioni fondamentali, che sono il radicamento della natura colonialista di questo Stato o la distruzione del sistema di welfare, i primi ministri sono sempre stati parte integrante di un establishment che abbraccia, materializza e gestisce queste ideologie. Si può chiamare sionismo, progetto nazionale, stato ebraico. Gran parte della società ebraico-israeliana protegge i frutti prodotti dalla dominazione espropriativa sui palestinesi, frutti che bilanciano i mali delle politiche neoliberali. Questa equazione è all’origine delle travolgenti tendenze di destra degli israeliani. In sostanza, la sinistra si regge su tre gambe: l’adesione al principio di uguaglianza tra tutti gli esseri umani, l’opposizione alla natura espropriativa dello Stato su entrambi i lati della linea verde, e l’aspirazione a una società in cui il capitale non dominasse e i profitti e le merci cessassero di determinare il valore degli esseri umani e delle loro vite. Il legame tra loro spiega perché la sinistra è così ridotta, avendo così poche opzioni di voto. Il fatiscente Kahol Lavan, o il più riuscito Yesh Atid, non si sono mai avvicinati nella loro essenza a un “centro-sinistra”, figuriamoci alla sinistra. Il centro-destra sarebbe una descrizione più appropriata di questi partiti. Una delle più grandi distorsioni concettuali che sono sorte qui è l’identificazione della sinistra con gli ebrei ashkenaziti di classe media o superiore, e con i piloti che hanno bombardato i campi profughi in Libano e nella Striscia di Gaza. Il fenomeno sociologico per cui queste due categorie non sono annoverate tra i tradizionali elettori di destra (indipendentemente dal numero di ebrei ashkenaziti e di ex funzionari dell’establishment della difesa ai vertici del Likud), non fa del Labour un partito di sinistra, dato che questo è stato il partito che ha istituito e sviluppato l’impresa di espropriazione che si estende tra il fiume Giordano e il Mediterraneo.

L’appartenenza alla sinistra è caratterizzata da una fede quasi religiosa nella possibilità di cambiare le cose in meglio e dall’obbligo di agire in base a questa fede, anche nell’oscurità imperante. Per questo gli uomini di sinistra sono attivi in organizzazioni come il sindacato Koah Laovdim, nell’aiutare i villaggi Masafer Yatta vicino a Hebron, costantemente vessati, nei gruppi femministi, nelle manifestazioni a Silwan, Gerusalemme Est, contro lo sfratto degli abitanti di questo quartiere, e nelle proteste a Balfour Street. Ecco perché la Joint List, come rappresentante del gruppo più diseredato di Israele, merita i nostri voti.

Anche prima del 1948, tutti i filoni del movimento operaio utilizzarono le istituzioni socialiste (come i kibbutzim e la federazione operaia Histadrut) per spingere fuori il più possibile la popolazione nativa palestinese dalla sua terra e dal sistema politico. L’etnocrazia e l’espropriazione ebraica sono così radicate nell’israeliano medio che quei gusci socialisti continuano a definire il movimento operaio come di sinistra, anche se questi strumenti sono stati scartati quando non erano più necessari per portare avanti il progetto sionista. Con tutta la simpatia per la leader laburista Merav Michaeli, è difficile immaginare il suo piccolo partito entrare in un autentico processo di assunzione di responsabilità per l’espropriazione storica. L’adesione di Meretz a un’ideologia sionista è sconcertante e fuori luogo. Il nuovo partito chiamato Partito Democratico Israeliano segnala un sano sviluppo, ma è ancora troppo embrionale. La Joint List, i cui componenti non sono tutti di sinistra, ha deluso.

Quindi, non c’è nessuno per cui votare? Non votare rende le elezioni ancora più importanti di quello che sono, come se avessimo più influenza non votando. Questo è un atteggiamento narcisistico. Non vogliamo e non possiamo essere partner di un governo sionista, ma non votare concede qualcosa che tuttavia è insegnato dalla prassi di sinistra: usare ogni mezzo a nostra disposizione per esprimere le nostre idee e presentare alternative ovunque sia possibile, anche in parlamento”.

Fratelli- coltelli

Cosa significhi suicidarsi in politica, lo spiega molto bene Yossi Verter: “Come se i resti della sinistra israeliana non avessero già abbastanza problemi  – annota – la caduta di Meretz nella zona di pericolo di mancare la soglia di voti necessaria a un partito per entrare nella legislatura ha acceso la tensione con il Partito Laburista, che si è rafforzato a sue spese. Erano sempre stati considerati partiti fratelli; dopo l’elezione di Merav Michaeli a capo del Labour seguita dall’elezione di una lista di tonalità decisamente di sinistra, sono diventati non semplicemente fratelli, ma gemelli. Unire i due partiti in un’unica lista, che avrebbe massimizzato il potenziale, era ciò che la realtà richiedeva. Non è successo perché i leader di entrambi i partiti avevano delle riserve: Nitzan Horowitz a causa del trauma della farsa di Labour-Gesher-Meretz, che ha corso come un’unica lista alle ultime elezioni e poi ha subito una brutta rottura, e Michaeli a causa del suo interesse nel fatto che Labour tirasse verso il centro e diventasse ancora una volta un potenziale partito di governo. È vero, il Labour sta vivendo una resurrezione dei morti, ma ci vorrà il Messia per arrivare da lì ad essere un partito di governo, e non è affatto chiaro che lei o lui verrà. Ci sono al massimo abbastanza elettori per 11 o 12 seggi della Knesset che galleggiano tra i due partiti. Tutti si sentono ugualmente a casa in uno dei due. Lo zoccolo duro di ex elettori del Partito laburista risiede ora principalmente in Yesh Atid. Altre briciole sono in Kahol Lavan. La costante ascesa del leader dell’opposizione Yair Lapid, che non è dovuta a una campagna di particolare successo ma piuttosto al fatto che la realtà e lo slancio naturale stanno lavorando a suo favore, non sta dando ai disertori laburisti motivo di considerare il ritorno a casa. Se dovessero avere dei pensieri di pentimento, Lapid saprà cosa fare. Al momento, si astiene dal trattare con i laburisti, perché non vede alcuna ragione per farlo. I vecchi e gloriosi bastioni del Partito del Lavoro, che in passato hanno portato la cosiddetta base nel giorno delle elezioni, non ci sono più. I rispettivi capi del Movimento Kibbiuz e del Movimento Moshav, Nir Meir e Amit Ifrach, si sono presentati questa settimana alla conferenza per la fondazione della sezione rurale di Yesh Atid e hanno dichiarato fedeltà al partito e al leader. Quelle che erano state le basi del partito precursore del Labour, il Mapai, il terreno di coltura dei suoi leader e dei suoi elettori, sono andate all’erede dei sionisti, il partito della classe media borghese. È un altro segno dello sradicamento dei simboli del passato, delle divisioni ideologiche e delle appartenenze politiche. Dopo la sua elezione, Michaeli ha assunto un tono patriarcale – scusate, matriarcale – verso Meretz. ‘È un partito importante’, ha insistito. ‘Faremo in modo che entri nella Knesset’ e simili. Questa preoccupazione, che sia reale o ipocrita, ha portato a un risultato opposto. Da qui i sondaggi dell’opinione pubblica. Nel Meretz, si sono preoccupati fin dall’inizio che dietro la compassione dimostrativa si nascondessero secondi fini. Horowitz, sull’orlo dell’abisso, ha tratto una conclusione immediata: virare bruscamente a sinistra, e poi ancora più a sinistra. ‘Parleremo di quello che non sentite dai laburisti: dell’occupazione, del regime di apartheid nei territori, dei richiedenti asilo, dei rifugiati. Non sentite nemmeno parlare di coercizione religiosa. Tutte le questioni da cui gli altri partiti, compresi i laburisti, stanno fuggendo’, mi ha detto. ‘In definitiva, questo è il nostro dominio’.

Gli ho chiesto  – prosegue Verter – se il ritiro alla vigilia delle elezioni è un’opzione. Ha risposto, stordito come se un dolore acuto gli stesse tagliando l’addome. ‘Non ci siamo proprio. Sono sicuro che entreremo’, ha detto. C’è una buona possibilità che avesse ragione. Fortunatamente, la sirena d’allarme è stata suonata 40 giorni prima delle elezioni. Questo gli lascia una quantità di tempo abbastanza sufficiente per combattere per la sua vita”.

Lottare per la sopravvivenza. Che triste fine per una sinistra che fu.




Biden difende Israele mentre il Jewish National Fund israeliano progetta l’insediamento di nuove colonie

Tamara Nassar

15 febbraio 2021, Electronic Intifada

Secondo quanto riferito, il Fondo Nazionale Ebraico di Israele [ente non profit dell’Organizzazione sionista mondiale con poteri para-statali fondato nel 1901 a Basilea per comprare e acquisire terra nella Palestina ottomana ed espandere l’insediamento degli ebrei, ndtr.] sta pianificando di acquistare terra palestinese di proprietà privata nella Cisgiordania occupata per espandere le colonie di soli ebrei.

Domenica la dirigenza dell’organizzazione ha approvato la proposta, che era stata riportata dai media israeliani nei giorni precedenti. Il consiglio di amministrazione dovrebbe prendere una decisione finale dopo le elezioni politiche israeliane di marzo.

Sembra che la proposta del Fondo dia priorità all’espansione delle colonie nella Valle del Giordano, nella Gerusalemme occupata, nel blocco degli insediamenti di Gush Etzion nella Cisgiordania meridionale e nell’area delle colline a sud di Hebron. Secondo i media israeliani, il gruppo non costruirà nuove colonie ma amplierà quelle già esistenti.

L’ “ampliamento” delle colonie esistenti – spesso ben oltre i confini originali – è uno stratagemma che Israele utilizza da tempo nel tentativo di minimizzare le critiche internazionali alla sua colonizzazione della terra palestinese. Inoltre, “l’acquisto di terreni” da parte delle organizzazioni israeliane delle colonie in Cisgiordania è spesso fraudolento.

Sebbene la mossa del Fondo venga descritta nei media israeliani come un “importante cambiamento politico”, essa è del tutto coerente con la sua agenda storica.

Sin dalla sua creazione nel 1901 da parte di Theodor Herzl, fondatore del movimento sionista di colonizzazione della Palestina, il Fondo ha un obiettivo fondamentale: acquisire terra palestinese ad uso esclusivo degli ebrei.

Terra rubata

 L’organizzazione ha collaborato alla pulizia etnica dei palestinesi sulle loro terre al fine di costruirvi colonie per soli ebrei.

Il Fondo pretende di possedere circa il 15% della terra nell’attuale Israele.

Questa terra è riservata all’uso esclusivo degli ebrei, anche se gran parte di essa è stata rubata ai palestinesi. Il Fondo tenta spesso di dare una facciata di ambientalismo alla colonizzazione della terra palestinese. Notoriamente pianta foreste sulle rovine dei villaggi palestinesi per cancellarne la presenza.

A causa del suo ruolo nella pulizia etnica e nel razzismo, gli attivisti di tutto il mondo hanno fatto una campagna per privare il Fondo del suo status di ente di beneficenza, che gli permette di raccogliere donazioni deducibili dalle tasse. Il giornalista israeliano Barak Ravid ha riferito che l’ultima mossa del Fondo è stata sollecitata dalla lobby degli insediamenti israeliani.

I leader dei coloni mirano a più che raddoppiare il numero di coloni ebrei da circa 400.000 a un milione nell’Area C, il 60% della Cisgiordania occupata che rimane sotto il completo dominio militare israeliano. Il Fondo da sempre opera per colonizzare la terra di tutta la Palestina storica – sia nella parte risultante dalla fondazione di Israele nel 1948 che nei territori che occupa dal 1967 – tanto direttamente che attraverso gruppi di facciata.

In risposta all’articolo del quotidiano israeliano Haaretz, il Fondo ha detto di “aver operato nel corso degli anni e di continuare a farlo in modo trasparente, in tutte le parti della Terra di Israele, comprese la Giudea e la Samaria”. Giudea e Samaria è il nome che Israele usa per la Cisgiordania occupata, per addurre una rivendicazione pseudo-biblica sulla terra palestinese. Tutte le colonie israeliane nella Cisgiordania occupata, comprese Gerusalemme Est e le alture del Golan in Siria, sono illegali secondo il diritto internazionale e sono considerate crimini di guerra.

In risposta ai piani del Fondo, il portavoce del Dipartimento di Stato Ned Price ha affermato che l’amministrazione statunitense ritiene “sia fondamentale astenersi da passi unilaterali che esacerbino le tensioni e che minino gli sforzi per far avanzare una soluzione negoziata a due Stati”.

L’amministrazione Biden sostiene la politica di Trump

Sebbene possa sembrare una critica rispetto all’amministrazione Trump, questa dichiarazione non rappresenta un cambiamento sostanziale. Pressato dai giornalisti, Price si è apertamente rifiutato di definire illegali le colonie israeliane – come avevano fatto tradizionalmente per decenni le amministrazioni statunitensi anche se non hanno mai intrapreso alcuna azione per fermarle.

 Invece, Price ha sostenuto il cambiamento di politica dell’amministrazione Trump del novembre 2019 dichiarando che le colonie non violano il diritto internazionale. L’amministrazione Biden sembra non meno determinata di Trump a proteggere Israele dalle conseguenze delle sue azioni. Dopo che all’inizio di questo mese la sentenza della Corte Penale Internazionale ha aperto la strada a un’indagine sui crimini di guerra israeliani in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza, compresa la costruzione di colonie, l’amministrazione Biden ha espresso senza mezzi termini la sua opposizione all’indagine.

Nel frattempo Israele ha continuato a demolire case e strutture palestinesi a ritmo accelerato. Negli ultimi mesi, le forze israeliane hanno più volte sequestrato e distrutto strutture della comunità di Khirbet Humsa nella Cisgiordania occupata. Secondo la documentazione delle Nazioni Unite nel mese di febbraio Israele ha demolito e sequestrato più di 60 strutture della comunità e ha sfollato con la forza 175 persone – più di metà delle quali bambini. Tutto questo fa parte dell’impegno di lunga data di Israele a cambiare con la forza la composizione demografica nell’area – pulizia etnica – e garantire una maggioranza ebraica in preparazione dell’annessione.

 

Ali Abunimah ha contribuito alle ricerche.

 

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)