L’esercito israeliano sta conducendo una campagna di gambizzazione in Cisgiordania?

di Amira Hass,

27 agosto 2016, Haaretz

Il numero dei palestinesi feriti da pallottole vere sta aumentando, e i ragazzi che tirano pietre dicono che viene loro comunicato che sfidare i soldati può renderli zoppi per tutta la vita.

La manifestazione in onore dei feriti del campo profughi di Deheisheh è iniziato quasi in orario, alle 20,20 di domenica scorsa. Nella via principale, parzialmente chiusa al traffico, sono state sistemate file di sedie. Gli automobilisti che utilizzavano l’altra strada erano pazienti e si muovevano in entrambe le direzioni, creando due ingorghi di traffico che miracolosamente hanno lasciato passare un’ambulanza a sirene spiegate. Qualcuno ha instradato il traffico a destra e a sinistra ed in pochi secondi si è creato un varco. Dopo il passaggio dell’ambulanza, si sono di nuovo formati gli ingorghi, sotto le bandiere rosse del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina e sul lato opposto di un enorme memoriale in cemento, con la forma della mappa della Palestina.

Recentemente, tre incursioni dell’esercito israeliano in meno di due settimane nel campo a sud di Betlemme si sono concluse con qualche arresto, ma 15 persone sono rimaste gravemente ferite da colpi di fucile.

Questo alto numero di palestinesi colpiti alle ginocchia dai soldati, probabilmente rimasti disabili per sempre, hanno ricordato a tutti molti altri feriti in modo simile nei recenti raid.

“I notiziari vi dicono che non ci sono stati morti, solo feriti, perciò tutti si tranquillizzano senza rendersi conto delle sofferenze che stiamo passando,” dice N., 23 anni, in una conversazione con Haaretz. Dice di essere stato colpito a una gamba da una pallottola due anni fa, mentre soccorreva un altro ferito e lo portava in salvo. Si parlò di amputargli la gamba, ma lui era deciso a tenerla e ha trovato delle cure adeguate in Germania. Tuttora cammina con una stampella, ma non parla del suo dolore.

Due ragazzi di 15 e 16 anni e uomini intorno ai vent’anni, arrancano con le stampelle per i vicoli scoscesi del campo. Sono stati feriti durante lo scorso anno, o prima ancora. Ognuno di loro ha subito complessi interventi chirurgici, e ne subiranno altri. E ciascuno deve affrontare un costante monitoraggio e ripetute pulizie alle ferite per rimuovere i frammenti dei proiettili, ed assumere farmaci antinfiammatori e sostituire le protesi di platino. Uno dei giovani ha avuto la gamba amputata.

Questi ragazzi parlano con cognizione di causa di farmaci anticoagulanti, di differenti tipi di antidolorifici e di operazioni. Raccontano di lunghi mesi in cui non potevano fare una doccia o andare al bagno senza essere accompagnati, di muscoli indeboliti, del desiderio di camminare senza assistenza.

Qualcuno ha visto il cecchino che li ha colpiti prendere la mira, con un ufficiale alle sue spalle. Qualcuno ricorda i mirini telescopici sul fucile, altri parlano di un treppiede usato dal cecchino. Qualcuno ipotizza che sono stati colpiti da un cecchino posizionato sull’alto edificio fuori dal campo.

Alcuni dei feriti hanno ottenuto le stampelle dove potevano – a volte sono spaiate, e alcune hanno la gomma così consumata che li fa scivolare. Le cure sono costose ed anche prendere un taxi per andare all’ospedale per i controlli è un peso economico.

Molti di loro non hanno assicurazione sanitaria, ma gli interventi chirurgici vengono comunque eseguiti. Però talvolta solo un’operazione all’estero potrebbe salvare una gamba e ciò rappresenta un problema finanziario più grave. Ci vogliono capacità e determinazione per ottenere una donazione da una delle istituzioni dell’Autorità Nazionale Palestinese.

Parecchi di loro sono stati arrestati subito dopo l’intervento chirurgico, o prima di una seconda operazione, e condannati ad alcuni mesi di carcere e ad una multa. La convinzione dei feriti – di rappresentare il proprio popolo ed un principio, e di contrastare gli attacchi nemici al loro campo tirando pietre – viene sostituita da uno schiacciante senso di solitudine nel momento in cui affrontano le conseguenze delle loro ferite.

Molti nel campo di Deheisheh sono convinti che dietro tutto ciò ci sia la mano del “capitano Nidal” – un ufficiale del servizio di sicurezza dello Shin Bet che si accanisce sul campo perché qualcuno lo ha fotografato durante uno dei raid e lo ha postato su Facebook.

A febbraio è comparso nel campo uno striscione con i simboli di Fatah e dell’FPLP (Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, gruppo storico della resistenza marxista, ndtr.). Con una spacconata tipica della parte più debole l’avviso conteneva la promessa che le pietre del campo avrebbero colpito “Nidal e i soldati”.

Nel campo si racconta che durante gli interrogatori, al telefono o nelle visite notturne nelle case del campo, il capitano Nidal dice ai ragazzi che non ci saranno martiri nel campo, ma “tutti voi finirete sulle stampelle”. O, secondo un’altra versione, “Vi renderemo tutti disabili”.

Il capitano Nidal (il nome che ha adottato è sacrilego, poiché significa “lotta” in arabo) fece la sua comparsa nel campo 18 mesi o due anni fa – i miei interlocutori non riescono a ricordare esattamente quando. Qualcuno ha detto ad Haaretz che diverse organizzazioni internazionali hanno denunciato il suo comportamento brutale. E’ scomparso per alcuni mesi, ma poi è ritornato.

E’ anche emerso che nel villaggio di Tekoa, più ad est, circa altri venti ragazzi sono stati colpiti alle gambe nell’arco di pochi mesi. Nel loro caso, si tratta di un “ capitano Imad” dello Shin Bet (è questo il nome che i funzionari del comune ricordano, benché non ne siano sicuri al 100 percento). Gli abitanti dicono che lui promette ai giovani che se affronteranno i soldati quando fanno le incursioni verranno azzoppati. E molte delle ferite da pallottole nel villaggio di Al-Fawwar, attaccato anch’esso dall’esercito due settimane fa, erano alle ginocchia.

In altri termini, Deheisheh non è solo, non è l’unico.

Un portavoce dell’esercito dice che i soldati usano fucili Ruger nei loro raid. I giornalisti (e probabilmente il portavoce) dicono che si tratta di un’arma non letale. Ma questa affermazione è falsa, o è un tentativo di trarre in inganno. Almeno quattro palestinesi disarmati, compreso un minore, sono stati uccisi dalle pallottole calibro 22 sparate da fucili Rugers negli ultimi 18 mesi. Sembra che il diciottenne Mohammed Abu Hashash [colpito durante scontri con le forze israeliane, ndt] sia stato anch’egli ucciso nello stesso modo ad Al-Fawwar [campo profughi nei pressi di Hebron, ndt] la settimana scorsa.

Ad Hebron e Deheisheh sono stati creati dei comitati per prendersi cura dei feriti. In molti luoghi sta crescendo l’impressione che l’esercito stia intensificando l’uso di pallottole vere negli scontri con ragazzi disarmati che tirano pietre, e che le ferite provocate siano deliberatamente più gravi. Ci devono essere più di 100 persone in Cisgiordania, compresi molti minori, che sono stati azzoppati dall’esercito israeliano nello scorso anno. Ma non si dispone ancora di informazioni o di dati che confermino l’apparente tendenza.

L., di Tekoa, dice che suo padre era così arrabbiato con lui quando è stato ferito, che si è rifiutato di andarlo a trovare in ospedale o di parlargli per i primi due giorni; solo più tardi si è calmato. L. confessa che non sfiderà nuovamente i soldati israeliani, anche se si trovava molto lontano da loro quando è stato colpito da un cecchino.

Y., un quindicenne di Deheisheh, è tornato dall’ospedale solo la settimana scorsa dopo avervi trascorso due settimane. Suo padre, che è sempre stato accanto a lui, ha detto: “Sono stati i soldati a venire verso di noi, verso le nostre case. Non siamo andati noi da loro.”

Ho incontrato 12 persone ferrite in tre giorni. Per i “fortunati”, la pallottola ha colpito solo i loro muscoli. Altri hanno avuto le ossa fratturate o i nervi ed i tendini lacerati o bruciati, o entrambe le cose.

A. è stato colpito da due pallottole ed è rimasto in coma 10 giorni. Tutti pensavano che sarebbe morto. I suoi amici non hanno lasciato il suo letto finché non si è svegliato, bianco come un cencio.

In alcuni casi la pallottola è entrata in una gamba, ne è uscita ed è entrata nell’altra, provocando un esteso danno. Alcuni ragazzi sono stati colpiti dai soldati due volte, in ognuna delle gambe. E’ ciò che è successo a Y. ed al suo amico H., che cercava di soccorrerlo.

Y. era fuori dalla sua casa all’alba quando ha visto avvicinarsi 20 soldati. E’ stato colpito ad una gamba ed è caduto. H., di 18 anni, è corso in suo aiuto, lo ha sollevato e si è diretto verso la loro casa. Allora un soldato ha sparato ad H., che cercava di andare avanti, mentre sorreggeva Y. Ma un soldato gli ha sparato di nuovo, lui è inciampato ed entrambi sono caduti. Allora Y. è stato nuovamente colpito all’altra gamba.

L’altro effetto farfalla

“Appena sono stato colpito, il mio piede tremolava come un pezzo di carta al vento”, racconta M., diciannove anni, di Deheisheh, a cui hanno sparato lo scorso dicembre. Ha subito sette operazioni, ma tuttora non può reggere alcun peso sul suo piede. Dice anche che i soldati sparavano alle persone che cercavano di soccorrerlo. Tra uno svenimento e l’altro, si è reso conto che veniva trasportato dai suoi amici dalla casa al cortile e dal cortile alla casa, per metterlo su una macchina che lo portasse all’ospedale.

L., il ragazzo di Tekoa, ha ripetuto ciò che il suo medico aveva descritto: la pallottola agisce come una farfalla, muovendosi dentro la gamba e distruggendo ciò che trova prima di fuoruscire. La gente che riferisce delle ferite nella zona di Hebron ha usato un’altra immagine – quella di un trapano.

La maggior parte dei ragazzi feriti ha deciso di non spiegare le circostanze del loro ferimento con un giornalista israeliano. Hanno preferito non ammettere che stavano tirando pietre ai soldati che sono comparsi all’alba o dopo mezzanotte nei vicoli del campo per arrestare i loro amici o vicini, o per consegnare una convocazione di interrogatorio.

Uno ha raccontato che gli era successo di svegliarsi presto quel mattino, un altro che stava viaggiando fuori Betlemme, un terzo che stava pregando, un quarto che stava lavorando al supermercato. “In breve, stavate tutti andando a comprarvi un gelato alle tre del mattino,” ho concluso io, e loro si sono messi a ridere.

Yazan Laham, comunque, non stava andando a comprare un gelato alle 2 e mezza del mattino del 28 luglio, e non stava nemmeno affrontando i soldati. Il ventiduenne era stato fuori con gli amici e stava accompagnando a casa uno di loro con la jeep di suo padre.

Laham è un ufficiale del Mukhabarat (il servizio di intelligence palestinese). Ha studiato sicurezza per 4 anni all’università Al-Istiqlal di Gerico, che forma reclute per i servizi di sicurezza palestinesi. Suo padre, Mohammed Laham, è un membro di Fatah al parlamento palestinese; è un membro veterano del movimento che, durante la seconda intifada, ha impedito a uomini armati a Deheisheh di fare fuoco dall’interno del campo, in modo che l’esercito non avesse la scusa per distruggerlo.

Il giovane Laham ha raccontato ad Haaretz che due soldati sulla strada principale hanno intimato a lui e ai suoi tre amici di fermarsi e scendere dalla jeep vicino distributore di benzina di Al-Huda, a nord del campo. Laham ha detto loro di far parte delle forze di sicurezza palestinesi, ma questo non li ha impressionati. Uno di loro era un cecchino. I soldati hanno detto loro di mettersi accanto ad un negozio di gommista lì vicino. Di tanto in tanto, il cecchino sparava e poi correva con un altro soldato dietro la jeep di Laham.

I soldati hanno detto a Laham di dire ai ragazzi che tiravano pietre di smetterla. Lo hanno fatto, ma poi i soldati hanno ricominciato a sparare. Lui ha protestato e discusso con loro e i soldati lo hanno picchiato, dice. Dopo più di un’ora, lo hanno lasciato tornare alla jeep con i suoi amici. Stava andando verso la jeep, a distanza di 10 metri, quando è stato colpito alla gamba sinistra. Non ha visto chi gli ha sparato, ma lo ha fatto con un fucile Ruger. Ha subito due operazioni e cammina con le stampelle, incapace di appoggiare il piede. Lo attende un lungo periodo di fisioterapia.

Suo padre, Mohammed, quella notte era a Ramallah. Suo cognato, Nasser Laham – giornalista e capo redattore del sito web Maan – è riuscito a raggiungerlo solo alle 10 del mattino del giorno seguente. “Mi ha detto che cosa era successo a Yazan,” dice Mohammed Laham. “Gli ho chiesto se fosse morto. Nasser mi ha assicurato di no, perciò gli ho detto ‘allora non va così male’. Che cosa potevo dire?

Non ho parlato pubblicamente di questo. Ci sono così tanti feriti. Ogni giorno ne visito qualcuno, quindi perché dovrei parlare solo di mio figlio? Ma quella notte ho parlato con il presidente (Mahmoud Abbas). Gli ho detto che c’era un’evidente escalation da parte di Israele. Perché c’è bisogno di 50 soldati per recapitare una convocazione di interrogatorio? Gli ho detto che erano tecnici, non soldati, quelli che sparavano. Sono tecnici con dei cavalletti che mirano attentamente alle ginocchia.”

Il portavoce dell’esercito israeliano ha risposto a queste accuse affermando: “Le nostre forze in Giudea e Samaria [la Cisgiordania secondo la definizione israeliana, ndt] seguono le regole di ingaggio, che non sono state cambiate di recente. Ogni incidente con pallottole vere viene riferito ai comandanti. Le attività dell’esercito nel campo di Deheisheh sono normalmente accompagnate da azioni di disturbo violente e dal lancio di congegni esplosivi verso le nostre forze.

Nei due incidenti a cui si riferisce questa storia l’esercito è entrato nel campo per eseguire degli arresti. Durante l’operazione sono stati lanciati ordigni esplosivi contro le nostre forze e ne sono seguiti violenti disordini. L’esercito ha risposto impiegando misure per disperdere i tumulti, compresi colpi di fucili Rugers. Un’indagine preliminare ha dimostrato un comportamento non inusuale da parte dell’esercito, ma vi saranno ulteriori indagini.”

Lo Shin Bet intanto ha risposto: “Nell’ambito delle attività degli ufficiali dei servizi di sicurezza al fine di garantire la sicurezza della regione e proteggere i residenti dalle minacce dei terroristi, essi mantengono un dialogo quotidiano con i residenti del luogo. Le accuse sollevate nel vostro articolo sono state prese in esame e riscontrate prive di fondamento.”

(Traduzione di Cristiana Cavagna)




Rapporto Ocha della settimana 16 – 22 agosto

Scontri armati tra forze di sicurezza palestinesi e civili palestinesi, verificatisi il 18 agosto nella città di Nablus, hanno causato la morte di cinque uomini, tra cui due membri delle forze di sicurezza;

altre venti persone hanno subìto lesioni provocate da inalazione di gas lacrimogeno. Gli scontri sono scoppiati nel corso di una operazione di ricerca-arresto che, da quanto riferito, intendeva accertare il possesso illegale di armi. Due uomini, sospettati di aver aperto il fuoco contro le forze di sicurezza, sono stati successivamente arrestati.

Il 21 agosto, nella Striscia di Gaza, l’esercito israeliano ha effettuato decine di attacchi aerei e sparato colpi di carro armato contro centri di addestramento militare e strutture, causando il ferimento di quattro palestinesi, due dei quali civili (uno minore). I siti presi di mira sono stati gravemente danneggiati, così come un serbatoio d’acqua non utilizzato. Gli attacchi (i più intensi dal cessate il fuoco del 26 agosto 2014) hanno fatto seguito al lancio di un razzo, effettuato da un gruppo armato palestinese, verso il sud di Israele, dove non ha provocato feriti né danni.

Sempre a Gaza, nei pressi della recinzione perimetrale, durante scontri scoppiati nel corso di due manifestazioni di protesta, le forze israeliane hanno sparato con armi da fuoco e ferito quattro civili palestinesi, tra cui un 17enne. Inoltre, in almeno sette occasioni, le forze israeliane hanno aperto il fuoco di avvertimento verso persone presenti in Aree ad Accesso Riservato (ARA) di terra e di mare: non sono stati segnalati feriti, anche se il lavoro di agricoltori e pescatori è stato interrotto. In mare, due pescatori sono stati arrestati e la loro barca sequestrata, mentre altri quattro civili, tra cui due ragazzi, sono stati arrestati mentre tentavano di entrare illegalmente in Israele.

In Cisgiordania, nel corso di molteplici scontri, le forze israeliane hanno ucciso un giovane palestinese e ferito altre 88 persone, tra cui 14 minori. L’episodio più grave, che ha portato all’uccisione del giovane e a 52 ferimenti (32 dei quali causati da armi da fuoco), ha avuto luogo nel Campo Profughi di Al Fawwar (Hebron), nel corso di una vasta operazione militare. La maggior parte degli altri feriti sono stati registrati vicino ai checkpoint di Beituniya (Ramallah) ed Huwwara (Nablus) e nella città di Abu Dis (Gerusalemme), durante manifestazioni di solidarietà con i prigionieri palestinesi detenuti nelle carceri israeliane.

Le autorità israeliane hanno restituito alla famiglia il cadavere di un palestinese sospettato di aver compiuto un attacco contro israeliani; il corpo era trattenuto da più di cinque mesi. Attualmente, sono ancora trattenuti dalle autorità israeliane i corpi di 15 presunti responsabili palestinesi; alcuni da parecchi mesi.

In Area C e a Gerusalemme Est, per mancanza di permessi di costruzione israeliani, le autorità israeliane hanno demolito 28 strutture di proprietà palestinese: sfollate 55 persone, tra cui 20 minori, e coinvolte, in modi diversi, altre 800. Tra le strutture demolite: sette abitazioni, otto latrine, un ricovero per animali nella comunità pastorizia di Jurat al Kheil (Hebron), una strada agricola in Qusra (Nablus) utilizzata da circa 120 famiglie. Sei di queste strutture erano state finanziate da donatori internazionali e fornite come assistenza umanitaria.

In Area C, in separati episodi, adducendo la mancanza dei necessari permessi, le autorità israeliane hanno confiscato attrezzature e alberi di proprietà palestinese. Coinvolte cinque comunità: nei villaggi di Duma (Nablus), Turmus’ayya (Ramallah) e Al Jiftlik (Jericho) sono stati confiscati un serbatoio per l’acqua, una scavatrice, un generatore di energia elettrica e una saldatrice; in Shufa (Tulkarem) e Beit Ula (Hebron), sostenendo che erano stati piantati in aree designate [da Israele] come “terra di stato”, le autorità israeliane hanno sradicato e sequestrato circa 330 piante di vite e di ulivo.

Sempre in Area C, nel governatorato di Gerusalemme, le autorità israeliane hanno tagliato un allacciamento, non autorizzato, ad una conduttura che forniva acqua potabile a 41 famiglie di quattro comunità beduine; è stato riferito che questo allacciamento era attivo da dieci anni. Nella stessa zona, altre due comunità beduine, Sateh al Bahr e Abu Nuwwar, hanno ricevuto 15 ordini di demolizione e arresto-lavori per abitazioni, una scuola materna, e strutture correlate a mezzi di sussistenza. Questa settimana, a seguito di una visita presso quest’ultima comunità, Robert Piper, Coordinatore Umanitario per i Territori palestinesi occupati, ha dichiarato: “La serie ripetuta di demolizioni, le restrizioni all’accesso ai servizi di base e le visite periodiche da parte del personale di sicurezza israeliano per promuovere ‘piani di rilocalizzazione’, sono tutti elementi di un contesto coercitivo” che accresce il rischio di trasferimento forzato di questi palestinesi indifesi.

Secondo quanto riferito, un colono israeliano è stato ferito e tre proprietà danneggiate nei pressi di Husan (Betlemme), Hizma e Shu’fat (entrambi a Gerusalemme), in conseguenza del lancio di pietre da parte di palestinesi.

Durante il periodo di riferimento, il valico di Rafah, sotto controllo egiziano, è stato chiuso in entrambe le direzioni. Dall’inizio del 2016, il valico è stato parzialmente aperto per soli quattordici giorni. Secondo le autorità palestinesi di Gaza, oltre 27.000 persone sono registrate ed in attesa di attraversare.

nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati settimanalmente in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informazio-ni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano (vedi di seguito) l’edizione inglese dei Rapporti.

sono scaricabili dal sito Web della Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, alla pagina:

https://sites.google.com/site/assopacerivoli/materiali/rapporti-onu/rapporti-settimanali-integrali

nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

Associazione per la pace – Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it; Web: https://sites.google.com/site/assopacerivoli




Perché Israele continua a distruggere le case dei palestinesi?

Un video di Middle East Monitor sottotitolato in italiano da Invicta Palestina




L’apartheid idrico israeliano asseta la Cisgiordania

Electronic Intifada

Charlotte Silver – 1 agosto 2016

La mancanza d’acqua non è una novità per i palestinesi. Sia nella Striscia di Gaza occupata che in Cisgiordania, compresa Gerusalemme est, la fornitura di acqua che scorre nelle case palestinesi è rigidamente limitata od ostacolata da Israele.

Appena durante l’estate la temperatura sale, i rubinetti si prosciugano. Clemens Messerschmid, un idrologo tedesco che ha lavorato per due decenni con i palestinesi nel loro servizio idrico, chiama la situazione ” apartheid idrico”.

Quest’anno la giornalista israeliana Amira Hass ha pubblicato dati che provano che l’Autorità Idrica Israeliana ha ridotto la quantità di acqua distribuita ai villaggi della Cisgiordania.

In alcuni luoghi l’approvvigionamento è stato ridotto alla metà. I suoi dati contraddicono le smentite ufficiali che la fornitura d’acqua alle città e villaggi palestinesi sia stata tagliata durante l’estate, benché neanche questo sia una novità.

Quest’estate cittadine e piccoli villaggi sono rimasti fino a 40 giorni senza acqua corrente, obbligando quelli che se lo possono permettere a rifornirsi da cisterne d’acqua.

Quando Israele ha occupato la Cisgiordania nel 1967 ha anche preso il controllo dell’Acquifero Montano della Cisgiordania, la principale riserva naturale d’acqua del territorio.

Gli accordi di Oslo dei primi anni ’90 hanno concesso ad Israele l’80% delle riserve dell’Acquifero. I palestinesi avrebbero dovuto avere il restante 20%, ma negli ultimi anni hanno potuto avere a disposizione solo il 14%, in conseguenza delle restrizioni israeliane alle perforazioni.

Per garantire le necessità minime della popolazione, l’Autorità Nazionale Palestinese è obbligata a comprare il resto dell’acqua da Israele. Ma anche così, non è sufficiente.

Israele ha intenzione di vendere solo una limitata quantità di acqua ai palestinesi. In conseguenza di ciò, i palestinesi utilizzano molta meno acqua degli israeliani, e un terzo in meno rispetto alle raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Salute di 100 litri a testa al giorno per uso domestico, ospedali, scuole e altre istituzioni.

“Electronic Intifada” ha parlato della programmata scarsità d’acqua per i palestinesi in Cisgiordania con Clemens Messerschmid, che ha lavorato nel settore idrico in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza fin dal 1997.

Charlotte Silver: la causa della crisi idrica in Cisgiordania è la scarsità d’acqua nella zona? O la scarsità è programmata?

Clemens Messerschmid: Ovviamente non c’è scarsità d’acqua in Cisgiordania. Quello che noi soffriamo in conseguenza di questa scarsità indotta si chiama l’occupazione. Questo è il regime imposto ai palestinesi subito dopo la guerra del giugno 1967.

Israele governa attraverso ordini militari, che hanno il diretto ed intenzionale risultato di tenere i palestinesi a corto d’acqua. Non si tratta di una costante e graduale espropriazione come con la terra e le colonie, ma è stato fatto in un colpo solo grazie all’ordine militare n° 92 dell’agosto 1967.

La Cisgiordania possiede una vasta falda acquifera. Ci sono grandi precipitazioni a Salfit, nella Cisgiordania settentrionale, ora nota per restrizioni idriche particolarmente drastiche.

La Cisgiordania beneficia di un tesoro di acque sotterranee. Ma questo è anche la sua maledizione, perchè Israele l’ha preso di mira immediatamente dopo averne assunto il controllo.

Quello di cui abbiamo bisogno è semplice: pozzi freatici per accedere a questo tesoro. Ma l’ordine militare israeliano n° 158 proibisce rigidamente di scavare pozzi o qualunque altro lavoro di carattere idrico, comprese le sorgenti, condutture, reti, stazioni di pompaggio, pozze utilizzate per l’irrigazione, riserve d’acqua, semplici cisterne per la raccolta dell’acqua piovana, che raccolgono la pioggia che cade sui tetti.

Ogni cosa è proibita, o piuttosto non “permessa”, dall’Amministrazione Civile, il regime di occupazione di Israele. Anche riparare o fare la manutenzione dei pozzi richiede permessi militari. E semplicemente noi non li otteniamo.

E’ semplicemente un caso di apartheid idrico – ben oltre qualunque altro regime del passato di cui io sia a conoscenza.

CS: Israele ha incrementato la quantità di acqua che vende ai palestinesi, ma non è ancora sufficiente ad evitare che i villaggi rimangano a secco. A parte il fatto che il controllo di Israele sulle risorse dell’Acquifero è un grave problema, perchè Israele non vuole vendere più acqua ai palestinesi?

CM: Innanzitutto Israele ha drasticamente ridotto la quantità di acqua a disposizione dei palestinesi. Ha vietato ogni accesso al fiume Giordano, che ora è letteralmente prosciugato nei pressi del lago di Tiberiade.

Inoltre Israele impone una quota sul numero di pozzi e nega metodicamente i permessi per le più indispensabili riparazioni dei vecchi pozzi dei tempi giordani – la Giordania ha amministrato la Cisgiordania dal 1948 fino all’occupazione israeliana -, soprattutto i pozzi per l’agricoltura. Ciò significa che il numero dei pozzi è costantemente in diminuzione. Ne abbiamo meno che nel 1967.

Ora, l’unica cosa che è aumentata è la dipendenza dall’acquisto di acqua dagli espropriatori, Israele e Mekorot, la società idrica pubblica israeliana.

Ciò è riportato continuamente nella stampa occidentale, perchè questo è il punto che Israele sottolinea: “Vedete quanto siamo generosi?”

Per cui, sì, da Oslo gli acquisti da Mekorot sono aumentati costantemente. Ramallah ora riceve il 100% della sua acqua da Mekorot. Neanche una goccia proviene da un solo pozzo che abbiamo noi.

La fornitura ai villaggi da parte di Israele non è stata fatta come un favore. E’ stata iniziata nel 1980 da Ariel Sharon, allora ministro dell’Agricoltura, quando è cominciata il rapido aumento della colonizzazione. La fornitura di acqua è stata “incorporata”, per rendere irreversibile l’occupazione.

Quello che più importa qui è l’apartheid strutturale, cementato e incastonato nel ferro di queste condutture. Una piccola colonia è rifornita attraverso grandi tubature di trasmissione da cui se ne dipartono altre più piccole per andare verso le aree palestinesi.

Israele è molto contento di Oslo, perchè ora i palestinesi sono “responsabili” della fornitura. Responsabili, ma senza un briciolo di sovranità sulle risorse.

La cosiddetta crisi idrica attuale non è affatto una crisi. Una crisi è un cambiamento improvviso, una novità o un punto di svolta durante lo sviluppo. La riduzione nella fornitura ai palestinesi è voluta, pianificata e accuratamente eseguita. La “crisi idrica estiva” è la più prevedibile caratteristica nel calendario dell’acqua per i palestinesi. E la quantità annuale di piogge o la siccità non hanno alcun rapporto con la presenza e le dimensioni di questa “crisi”.

Vorrei sottolineare che per quanto questo succeda regolarmente, in ogni singolo caso si tratta di una decisione consapevole di qualche burocrate e ufficio in Israele o nell’Amministrazione civile. Qualcuno deve andare sul campo e chiudere le valvole della deviazione verso il villaggio palestinese. Questo, come ogni estate, è stato fatto agli inizi di giugno. Da qui, crisi idrica in Cisgiordania.

CS: Quali fattori possono aver contribuito all’aggravamento di quest’anno nelle interruzioni della fornitura d’acqua?

CM: Sembra che la domanda [di acqua] delle colonie sia aumentata drasticamente dallo scorso anno. L’Autorità Israeliana per le Acque ha riscontrato una maggiore domanda dal 20 al 40%, che è molto significativa.

Alexander Kushnir, il direttore generale dell’Autorità per le Acque, la attribuisce all’espansione delle irrigazioni dei coloni sulle montagne melle colonie a nord della Cisgiordania, attorno a Salfit e a Nablus.

CS: Com’è possibile che la gente dell’attuale Israele sembri godere di un surplus di acqua da quando il Paese ha iniziato ad utilizzare la desalinizzazione, mentre la gente sotto occupazione in Cisgiordania è rimasta con così poca [acqua]? Si dice che anche i coloni israeliani abbiano riscontrato una riduzione nelle forniture idriche.

CM: E’ vero che per la prima volta Israele ha dichiarato qualche anno fa che ha un’economia con eccedenza d’acqua ed è interessato a vendere più acqua ai suoi vicini, a cui in primo luogo ha espropriato l’acqua.

I palestinesi stanno già comprando l’acqua che Israele ha rubato, ma, come segnalato, non in modo affidabile o in percentuali sufficienti.

Francamente non lo so. Perchè questo particolare, elevato ed aggravato desiderio di Israele di non vendere neppure acqua sufficiente alla Cisgiordania?

In alcune zone, come nella Valle del Giordano, l’acqua è attivamente utilizzata come uno strumento per la pulizia etnica. Fin dal primo giorno dell’occupazione l’agricoltura è sempre stata presa di mira.

Ma questa logica non si applica ai centri urbani palestinesi densamente popolati nella cosiddetta Area A della Cisgiordania [sotto totale controllo dell’ANP. Ndtr.], che stanno ancora lottando. Dopo 20 anni, mi lascia ancora perplesso.

E’ importante capire un altro elemento: Israele deve continuamente impartire una lezione ai palestinesi. Ogni fornitura di acqua, ogni goccia fornita deve essere intesa come un generoso favore, come un atto di pietà, non come un diritto.

Israele ha incrementato la vendita di acqua alla Cisgiordania da 25 milioni di m³ all’anno nel 1995 ai circa 60 milioni di m³ di oggi. Perchè non ne vende molta di più? Sicuramente dal punto di vista di una politica idrica oculata se lo potrebbe permettere – ha un enorme surplus.

Uno dei problemi materiali che posso riscontrare è quello del prezzo, e quindi il significato dell’acqua.

Israele vuole ottenere finalmente il prezzo più alto per l’acqua desalinizzata che vende ai palestinesi. Mentre si parla solo di qualche centinaio di milioni di shekel all’anno (qualche decina di milioni di dollari) – che per Israele non è molto -, Israele vuole chiudere una volta per tutte la discussione in merito ai diritti palestinesi sull’acqua.

Israele non chiede niente di meno che una resa totale: i palestinesi devono accettare che l’acqua sotto i loro piedi non appartiene a loro, ma per sempre agli occupanti.

Con la richiesta del prezzo intero per l’acqua desalinizzata, i palestinesi ammetterebbero ed accetterebbero una nuova formula.

Una parola sulla Striscia di Gaza: a differenza della Cisgiordania, Gaza non ha fisicamente un accesso possibile all’acqua. La circoscritta e densamente abitata Striscia non potrà mai essere autosufficiente. tuttavia Gaza non riceve simili forniture di acqua da Israele. Solo recentemente Israele ha iniziato a vendere a Gaza i 5 milioni di m³ all’anno stabiliti da Oslo. E’ stato adottato un piccolo aumento di facciata.

In un certo modo si potrebbe interpretare questo trattamento differenziato tra Gaza e la Cisgiordania come un’ammissione israeliana di un certo grado di dipendenza idrologica.

Israele riceve la maggior parte della sua acqua dai territori conquistati nel 1967, comprese le Alture del Golan, ma neppure una goccia da Gaza.

Dal punto di vista di una politica idrica oculata, Gaza non ha risorse da offrire a Israele. Ciò vale anche per la risorsa principale: la terra. Da qui un approccio molto diverso a Gaza fin da subito, nel 1967. Israele non dipende da Gaza da nessun punto di vista materiale. Fin da Oslo Israele ha chiesto a Gaza di rifornirsi da sola con i suoi mezzi, come attraverso la desalinizzazione dell’acqua di mare.

CS: In questo contesto, come si sono comportati i Paesi donatori? Hanno difeso gli standard minimi internazionali o hanno affermato e rafforzato il controllo israeliano sulle risorse idriche nella Cisgiordania occupata?

CM: Purtroppo nel secondo modo. Quando è iniziato Oslo, noi tutti ci siamo illusi che sarebbe iniziata una fase di sviluppo. Pozzi di cui era stata vietata la trivellazione per 28 anni sarebbero finalmente stati messi in funzione.

Abbiamo rapidamente imparato che Israele nei fatti non aveva mai voluto concedere “permessi…per espandere l’agricoltura o l’industria, che possano competere con lo Stato di Israele,” come l’allora ministro della Difesa Yitzhak Rabin disse nel 1986.

Quello di cui c’era bisogno allora e adesso – e tutti quanti lo sapevano – era una pressione politica per ottenere il minimo di permessi di perforazione garantiti dagli accordi tra palestini e israeliani. Questa pressione non c’è mai stata. L’Ue o il mio governo tedesco non hanno mai diramato una dichiarazione pubblica nella quale “deplorassero” o “si dispiacessero” per gli ostacoli nel settore idrico. E’ un vero scandalo.

Ma ancora peggio, qual è stata la risposta di noi occidentali a tutto ciò? Tutti i progetti finanziati dai donatori hanno addirittura abbandonato il settore vitale della perforazione di pozzi. L’ultimo pozzo finanziato dalla Germania è stato trivellato nel 1999.

Come per l’attuale cosiddetta crisi idrica, noi come donatori siamo ora impegnati a finanziare generosamente un’anacronistica distribuzione di acqua con cisterne ai centri urbani palestinesi tagliati fuori [dall’erogazione d’acqua] – adeguandoci e stabilizzando lo status quo dell’occupazione e dell’apartheid idrico.

(traduzione di Amedeo Rossi)




Rapporto OCHA della settimana 2-8 agosto 2016

In Area C e Gerusalemme Est, per mancanza di permessi di costruzione, in 14 distinti episodi le autorità israeliane hanno distrutto, obbligato i proprietari a distruggere, o confiscato 42 strutture: 30 persone sono state sfollate e altre 1.200 sono state coinvolte in modi diversi.

Sei degli episodi si sono verificati in comunità pastorali beduine palestinesi a rischio di trasferimento forzato, intensificando in tal modo il contesto coercitivo che spinge i residenti ad andare via. Dodici delle strutture distrutte o confiscate erano state fornite precedentemente come assistenza umanitaria; ne facevano parte ripari di emergenza, stalle, latrine, un centro sociale ed un allacciamento per l’acqua; la confisca di quest’ultimo significa che quasi 1.000 palestinesi, distribuiti in cinque comunità pastorali nella Valle del Giordano, continueranno a soffrire la carenza d’acqua. Le azioni di cui sopra portano a 200 il numero di strutture di assistenza distrutte o confiscate dall’inizio del 2016; quasi il doppio delle 108 riferite all’intero 2015.

In Yatta (Hebron), le forze israeliane hanno distrutto le case di famiglia di due autori di una aggressione con arma da fuoco, avvenuta a Tel Aviv il 8 giugno 2016, durante la quale furono uccisi quattro israeliani; 13 persone, tra cui sei minori, sono rimaste senza casa. Una delle abitazioni in questione è stata fatta saltare con cariche esplosive che hanno danneggiato altri due appartamenti dello stesso edificio abitati da 20 persone. Dall’inizio del 2016 le autorità israeliane hanno demolito o sigillato, per punizione, 21 case, sfollando 116 persone; un numero quasi equivalente a quello riguardante l’intero 2015.

Scontri con le forze israeliane, avvenuti nei territori palestinesi occupati (oPt), hanno provocato il ferimento di 65 palestinesi, tra cui 15 minori. Otto di questi ferimenti, tra cui quello di un ragazzo di 17 anni, si sono avuti nella Striscia di Gaza, durante una manifestazione vicino alla recinzione perimetrale. Gli altri ferimenti si sono verificati in Cisgiordania: i più gravi sono stati registrati nella città di Al ‘Eizariyeh (Gerusalemme), durante una protesta in solidarietà con i prigionieri palestinesi detenuti nelle carceri israeliane, e durante le manifestazioni settimanali a Kafr Qaddum (Qalqiliya) e Ni’lin (Ramallah). Ulteriori scontri sono stati registrati durante operazioni di ricerca-arresto; tra esse quelle effettuate nel villaggio di Al Mughayyir (Ramallah), in Burin e Beita (entrambi a Nablus) ed in Beit Ummar (Hebron).

Nella Striscia di Gaza, nelle Aree ad Accesso Riservato (ARA) di terra e di mare, in almeno sei occasioni le forze israeliane hanno aperto il fuoco di avvertimento verso agricoltori e pescatori palestinesi; non sono state registrati feriti o danni. In un caso, le forze israeliane sono entrate nella Striscia, in ARA di terra, ed hanno spianato il terreno ed effettuato scavi.

Un gruppo di coloni israeliani armati ha ucciso undici pecore appartenenti a palestinesi della Comunità beduina di Est Tayba (Ramallah); il gregge era condotto al pascolo da una donna, nei pressi dell’insediamento colonico israeliano di Rimonim. Sempre questa settimana, nella zona H2 di Hebron sotto controllo israeliano, un ragazzo palestinese disabile di dieci anni è stato aggredito fisicamente e ferito da un gruppo di coloni.

Durante la settimana, secondo quanto riportato da media israeliani, nei pressi di Hizma (Gerusalemme) e Halhul (Hebron), due veicoli israeliani sono stati danneggiati da lanci di pietre effettuati da palestinesi.

Il valico di Rafah, sotto controllo egiziano, è rimasto chiuso in entrambe le direzioni. Dall’inizio del 2016, il valico è stato parzialmente aperto per soli quattordici giorni. Secondo le autorità palestinesi di Gaza, circa 27.000 persone sono registrate ed in attesa di attraversare.

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Ultimi sviluppi (fuori dal periodo di riferimento)

Il 9 agosto, in tre comunità dell’Area C, le autorità israeliane hanno demolito otto strutture palestinesi, sfollando 22 persone e coinvolgendone più di 80; tre delle strutture demolite erano ripari di emergenza forniti in risposta a precedenti demolizioni.

nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati settimanalmente in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informazio-ni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano (vedi di seguito) l’edizione inglese dei Rapporti.

sono scaricabili dal sito Web della Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, alla pagina:

https://sites.google.com/site/assopacerivoli/materiali/rapporti-onu/rapporti-settimanali-integrali

nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

Associazione per la pace – Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it; Web: https://sites.google.com/site/assopacerivoli




Rapporto Ocha della settimana 26 luglio – 1 agosto 2016

Nel corso di due distinte presunte aggressioni con coltello, rispettivamente ai checkpoints di Huwwara (Nablus) e Qalandiya (Gerusalemme), le forze israeliane hanno ucciso, con armi da fuoco, un 31enne palestinese e ferito una ragazza palestinese di 21 anni.

Nessun soldato israeliano è rimasto ferito nel corso dei due episodi. In Cisgiordania, dall’inizio del 2016, nel corso di aggressioni e presunte aggressioni effettuate da palestinesi, sono stati uccisi 60 palestinesi, tra cui 16 minori, e 11 israeliani, tra cui una ragazza. Alcuni di questi episodi hanno sollevato preoccupazione per un possibile uso eccessivo della forza e per esecuzioni extragiudiziali ad opera delle forze israeliane.

Nel villaggio di Surif (Hebron), in uno scontro a fuoco verificatosi nel corso di una operazione di ricerca-arresto che lo aveva come obiettivo, le forze israeliane hanno ucciso un 29enne palestinese. Durante l’operazione le forze israeliane hanno abbattuto, usando esplosivi e bulldozer, l’edificio di tre piani dove l’uomo si nascondeva; tre famiglie (otto persone, tra cui tre minori) sono rimaste senza casa. Nella stessa circostanza altri cinque palestinesi, tra cui due minori, sono rimasti feriti e sei sono stati arrestati; tra questi ultimi anche una donna. Il palestinese ucciso era sospettato di aver ucciso un colono israeliano e ferito la moglie e due figli in una aggressione con arma da fuoco, verificatasi il 1 luglio 2016.

Nei Territori palestinesi occupati (oPt), scontri con le forze israeliane hanno provocato il ferimento di 67 palestinesi, tra cui 14 minori. Due dei ferimenti si sono verificati nella Striscia di Gaza, vicino alla recinzione perimetrale, i rimanenti in Cisgiordania. La maggior parte degli scontri sono scoppiati durante operazioni di ricerca-arresto, tra cui il sopraccitato episodio verificatosi nel villaggio di Surif, e durante una protesta, svoltasi nella città di Abu Dis (Gerusalemme), in solidarietà con i prigionieri palestinesi detenuti nelle carceri israeliane. In Cisgiordania le forze israeliane hanno condotto, complessivamente, oltre 100 operazioni di ricerca-arresto ed hanno arrestato circa 150 palestinesi.

A Gaza, nelle Aree ad Accesso Riservato (ARA) di terra e di mare, in almeno sette occasioni, le forze israeliane hanno aperto il fuoco di avvertimento verso agricoltori e pescatori palestinesi; non sono stati segnalati feriti o danni. In due degli episodi verificatisi nelle ARA di mare, otto pescatori sono stati arrestati e due barche sono state confiscate; i pescatori sono stati costretti a togliersi i vestiti e nuotare verso le imbarcazioni militari israeliane.

A Gerusalemme Est, a causa della mancanza dei permessi edilizi israeliani, sono state demolite venti strutture di proprietà palestinese; sfollate 17 persone e coinvolte, in modi diversi, altre 221. L’episodio più significativo ha avuto luogo il 26 luglio in una sezione del villaggio Qalandia: tale sezione rientra nei confini municipali israeliani di Gerusalemme, ma è separata dalla città dalla Barriera; in questo caso, solo una delle 15 strutture demolite era abitata. A Gerusalemme Est salgono così a 114 le strutture di proprietà palestinese demolite dall’inizio del 2016, con un incremento del 40% rispetto alle 80 strutture demolite in tutto il 2015.

In Area C, durante la settimana, non sono state registrate demolizioni; tuttavia le autorità israeliane hanno emesso molteplici ordini di demolizione e arresto-lavori per mancanza dei permessi edilizi [israeliani], permessi che è quasi impossibile ottenere. Sei delle strutture interessate al provvedimento si trovano nel villaggio di Qusra (Nablus) e sono state finanziate da donatori internazionali; fra esse figurano due pozzi d’acqua e una strada agricola. Nella stessa comunità, hanno ricevuto ordini di sfratto anche tre appezzamenti di terreno, dissodati e coltivati di recente, ma designati [da Israele] come “terra di stato”.

Nei pressi dell’insediamento di Ariel (Salfit), coloni israeliani hanno lanciato bottiglie di vetro vuote contro un veicolo palestinese, ferendo un giovane 20enne. Nei governatorati di Ramallah ed Hebron, i media israeliani hanno riferito di sei distinti episodi di lancio di bottiglie incendiarie o pietre, da parte di palestinesi, contro veicoli israeliani e verso torri militari. Nessuno di questi episodi ha causato lesioni o danni.

Il valico di Rafah, sotto controllo egiziano, è rimasto chiuso in entrambe le direzioni. Dall’inizio del 2016, il valico è stato parzialmente aperto per soli quattordici giorni. Secondo le autorità palestinesi di Gaza, oltre 30.000 persone, con esigenze urgenti, sono registrate ed in attesa di attraversare.

nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati settimanalmente in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informazio-ni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano (vedi di seguito) l’edizione inglese dei Rapporti.

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nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

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Rapporto OCHA della settimana 19 – 25 luglio 2016

Il 19 luglio, durante scontri vicino all’ingresso settentrionale della città di Ar Ram (Gerusalemme), le forze israeliane (a quanto riferito, si trattava di agenti della polizia di confine) hanno colpito con un proiettile di gomma un ragazzo palestinese di 12 anni, uccidendolo.

Dal 12 luglio, Ar Ram è stata un luogo critico di operazioni militari e scontri. Il caso sopraccitato porta a 76, di cui 22 minori, il numero totale dei palestinesi uccisi nel 2016 dalle forze israeliane nei Territori occupati; 18 di questi sono stati uccisi durante proteste e scontri.

In Cisgiordania, nel corso di molteplici scontri, le forze israeliane hanno ferito 74 palestinesi, tra cui 15 minori. La maggior parte degli scontri, e dei feriti (46), sono stati registrati durante le proteste tenutesi nella città di Abu Dis (Gerusalemme), in solidarietà con i prigionieri palestinesi detenuti nelle carceri israeliane, e nel corso della manifestazione settimanale a Kafr Qaddum (Qalqiliya). Gli altri scontri sono stati registrati durante operazioni di ricerca-arresto, la più ampia delle quali ha avuto luogo a Jayyus (Qalqiliya), dove si sono registrati dieci feriti. Nel complesso, durante la settimana, sono stati registrati 135 operazioni di ricerca-arresto; 150 i palestinesi arrestati, la quota più alta (21%) nel governatorato di Gerusalemme.

A Gaza, nelle Aree ad Accesso Riservato (ARA) di terra e di mare, in almeno dieci occasioni, le forze israeliane hanno aperto il fuoco di avvertimento verso palestinesi, causando il ferimento di un agricoltore palestinese che stava lavorando la sua terra nei pressi della recinzione perimetrale. In un caso, verificatosi in mare, quattro pescatori, tra cui un 17enne, sono stati arrestati; in un altro caso, un pescatore è stato costretto a nuotare verso l’imbarcazione militare israeliana. Nelle ARA di terra, in tre circostanze, le forze israeliane hanno spianato il terreno ed effettuato scavi. Analogamente a quanto avvenuto per i pescatori, l’operato delle forze israeliane ha sconvolto il sostentamento di centinaia di agricoltori i cui terreni sono vicini alla recinzione.

A Gerusalemme Est, in quattro casi, per mancanza di permessi edilizi rilasciati da Israele, le autorità israeliane hanno demolito sette strutture palestinesi, sfollando una persona e coinvolgendone, in modi diversi, altre 71, tra cui 19 minori.

Il 20 luglio, nel villaggio di Duma (Nablus), ignoti hanno appiccato il fuoco ad una casa palestinese. Gli occupanti sono riusciti a fuggire, ma il padre è stato intossicato dal fumo ed ha avuto bisogno di cure mediche. A causa dei danni subiti dall’abitazione, i cinque membri della famiglia, tra cui tre minori, sono stati costretti allo sfollamento. Nello stesso villaggio di Duma, nei mesi di luglio 2015 e marzo 2016, coloni israeliani praticarono due attacchi incendiari simili, nel primo dei quali morì un bambino ed entrambi i suoi genitori. Sull’accaduto le autorità palestinesi e israeliane hanno avviato separate indagini.

Nel governatorato di Hebron l’esercito israeliano ha riaperto al traffico palestinese otto importanti snodi stradali che, dall’inizio del mese, erano stati bloccati in seguito a due attacchi palestinesi verificatisi nella zona. L’apertura ha notevolmente facilitato l’accesso delle persone ai servizi ed ai mezzi di sussistenza. Tuttavia, permane ancora una serie di blocchi, imposti nella stessa circostanza, che costringono i residenti a ricorrere a lunghe deviazioni; tra i più colpiti, i villaggi di Ad Dahriyya, Karma, Deir Razeh e Ar Ramadin (circa 44.500 persone).

Coloni israeliani armati hanno fatto irruzione in una zona agricola vicino alla città di Al-Khader e all’insediamento colonico di El’azar (Betlemme); hanno sparato in aria e costretto i contadini palestinesi, intenti a coltivare la terra, a lasciare la zona; nella circostanza uno dei contadini è stato aggredito fisicamente e ferito. Nella stessa area, in altri due episodi, secondo quanto riferito ad opera di palestinesi, un veicolo israeliano è stato raggiunto da colpi di arma da fuoco e un altro da pietre; entrambi i veicoli hanno riportato danni.

Il 19 luglio, nella Striscia di Gaza, un uomo è stato condannato a morte. Altre due condanne a morte, emesse in precedenza, sono state convalidate da un tribunale militare palestinese; tutte le condanne sono state emesse per “collaborazione con Israele”.

A Gaza circa 600.000 persone sono colpite da una significativa riduzione nella fornitura di acqua corrente. Questa riduzione è stata provocata dall’aumento delle interruzioni di energia elettrica in programma dal 14 luglio; interruzioni dovute ad un parziale spegnimento dell’unica Centrale elettrica di Gaza.

Durante il periodo di riferimento, il valico di Rafah, sotto controllo egiziano, è stato chiuso in entrambe le direzioni. Dall’inizio del 2016, il valico è stato parzialmente aperto per soli quattordici giorni. Secondo le autorità palestinesi di Gaza, oltre 30.000 persone, con esigenze urgenti, sono registrate ed in attesa di attraversare.

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Ultimi sviluppi (fuori dal periodo di riferimento)

Il 27 luglio, nel villaggio di Surif (Hebron), nel corso di una operazione di ricerca-arresto, a quanto riferito dopo uno scambio di colpi di arma da fuoco, le forze israeliane hanno ucciso un palestinese sospettato di aver effettuato, il 1° luglio, un’aggressione con arma da fuoco, nel corso della quale fu ucciso un colono israeliano. Durante l’operazione, i soldati hanno bombardato l’edificio di tre piani in cui l’indagato si era nascosto, distruggendolo completamente e sfollando tre famiglie.

Il 26 luglio, a causa della mancanza di permessi di costruzione, in una sezione del villaggio di Qalandiya che rientra nei confini municipali israeliani di Gerusalemme, ma dai quali la Barriera la separa, le autorità israeliane hanno demolito 15 strutture; in conseguenza delle demolizioni sei persone sono state sfollate e altre 180 circa sono state in vario modo colpite.

nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati settimanalmente in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informazio-ni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano (vedi di seguito) l’edizione inglese dei Rapporti.

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nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

Associazione per la pace – Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it; Web: https://sites.google.com/site/assopacerivoli




Il veterano della lotta contro l’apartheid Ronnie Kasrils dice di resistere agli sforzi di mettere fuorilegge il BDS

Article 1 Collective

8 giugno, 2016

Door Adri Nieuwhof

Il veterano della lotta contro l’apartheid Ronnie Kasrils ritiene che i tentativi per mettere fuorilegge il movimento per il boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni (BDS) contro Israele siano “assolutamente assurdi” e che i militanti dovrebbero opporsi a tali tentativi.

Lo scorso mese ho intervistato Kasrils sulle sue opinioni in merito al BDS e all’apartheid durante la sua visita ad Amsterdam.

Per decenni Kasrils ha lottato contro l’apartheid come membro dell’African National Congress (ANC) [il partito sudafricano di Nelson Mandela. Ndtr.] e del Partito Comunista. Ha partecipato ad operazioni dell’ala militare dell’ANC, Umkhonto we Sizwe [letteralmente “Lancia della Nazione. ndtr.]. Dopo la caduta dell’apartheid, è stato deputato e vice-ministro in molti governi.

Kasrils è nato a Johannesburg nel 1938, nipote di ebrei lituani e lettoni immigrati in Sudafrica alla fine del XIX° secolo per sfuggire ai pogrom zaristi.

Il BDS ha contribuito al cambiamento

“Ha funzionato a meraviglia,” risponde subito Kasrils alla mia domanda se il BDS contro l’apartheid sudafricano sia stato efficace.

“Il BDS ha fatto arrabbiare moltissimo i bianchi in Sudafrica. Ma con il BDS li avete sfiancati. Si è arrivati al punto che non ne potevano più e allora hanno desiderato un cambiamento.”

Un membro del Partito Nazionale [sudafricano, partito nazionalista di destra sostenitore dell’apartheid. Ndtr.] al governo disse a Kasrils che la decisione di Barclays [grande banca britannica. Ndtr.] di lasciare il Sudafrica nel 1988, dopo una presenza di oltre 150 anni, “è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso.” Ricorda che l’attivismo internazionale del BDS cominciò con un boicottaggio di frutta sudafricana come le arance Outspan, l’uva e le mele da parte dei consumatori. Negli anni ’70 Peter Hain in Gran Bretagna iniziò a interrompere manifestazioni sportive. Con un gruppo scese sul campo di tennis a Bristol e bloccò la squadra sudafricana. “Si è diffuso a macchia d’olio ed ha raggiunto altri Paesi.” Il boicottaggio era aperto a interpretazioni creative e diventò un modo importante di comunicare e di coinvolgere la gente.

Allora fondi pensione delle chiese e dei sindacati in tutto il mondo iniziarono a disinvestire dalle imprese sudafricane o da quelle che investivano in Sudafrica. Ciò ebbe un grande effetto.

Nel 1985 in America i lavoratori della Kodak si resero conto fino a che punto i sudafricani neri stessero soffrendo. Gli afro-americani divennero determinanti nella mobilitazione anti-apartheid. Attraverso i loro senatori e deputati al Congresso, la lobby nera iniziò ad esercitare pesanti pressioni contro imprese e banche. La Chase Manhattan fu la prima banca a interrompere i rapporti con il Sudafrica.

Proibire il BDS è assurdo

Kasrils afferma di sostenere al cento per cento l’attivismo BDS contro Israele. Aggiunge che bisogna resistere ai tentativi di metterlo fuorilegge negli Stati Uniti, in Canada, in Francia e nel Regno Unito.

“E’ totalmente assurdo che i governi utilizzino la legge per negare il diritto di parola della gente che crede che il BDS sia un mezzo pacifico per fornire appoggio e solidarietà al popolo palestinese.”

“Quei governi dovrebbero appoggiare l’intero processo. Allora ci sarebbe una grande tranquillità e pace per il popolo in Palestina, in Israele e in tutto il Medio oriente. Israele è una potenza nucleare con un numero considerevole di bombe nucleari e con estremisti di destra al potere. La popolazione sta chiedendo sangue, non solo quello palestinese ma anche dei popoli della regione e di persone come Omar Barghouti, che sta semplicemente parlando del diritto al BDS.”

“Israele è un Paese che sta mostrando le peggiori forme di ingiustizia, di massacri che abbiamo visto da molto tempo. Paesi che, detto per inciso, sono spesso definiti fascisti.”

Peggio dell’apartheid

Kasrils ha visitato Israele e Palestina varie volte. Quando gli ho chiesto delle sue esperienze, mi ha risposto: “Ci sono sicuramente delle somiglianze.” Nel 1984 il Consiglio di Sicurezza appoggiò la definizione adottata dall’Assemblea Generale nel 1966, secondo cui l’apartheid è un crimine contro l’umanità. La “Convenzione sull’Apartheid” non parla di “apartheid sudafricano”, è più ampia, osserva Kasrils.

La definizione di apartheid parla di azioni inumane commesse con lo scopo di stabilire e mantenere il dominio di un gruppo razziale su un altro e di opprimerlo sistematicamente. Si deve applicare quella definizione per stabilire se Israele sta praticando l’apartheid.

Qualunque sudafricano che sia stato coinvolto nella lotta per la libertà e che abbia visitato Palestina e Israele dice: “Questo è proprio come l’apartheid,” continua Kasrils. “La separazione delle persone, le misure applicate, quelle code ai checkpoint, l’umiliazione, sono come l’apartheid.”

L’arcivescovo Desmond Tutu e molte altre persone dicono che è addirittura peggio dell’apartheid.

“Raramente abbiamo visto l’apartheid lanciare bombe sulla gente o entrare nelle township [i ghetti per i sudafricani neri. Ndtr.] con carri armati e sparare con artiglieria pesante come a Gaza. In Sudafrica abbiamo visto massacri atroci e ci sono state occasioni in cui è stato dichiarato lo stato d’emergenza, il movimento dei neri controllato, lo stato d’assedio in township come Soweto. Durava qualche settimana. Non per anni come in Cisgiordania o a Gaza,” ricorda Kasrils.

Ci sarà un cambiamento

Molti dubitano che Israele cambierà e che rispetterà i diritti del popolo palestinese.

Tuttavia Kasrils è sicuro che questo cambierà: “Israele è un esempio di ultimo Stato coloniale, ha portato via la terra al popolo palestinese, lo ha spogliato di terra e diritti, ha utilizzato i metodi più terribili durante tutta la sua storia. Noi sudafricani abbiamo attraversato un processo agonizzante sotto l’apartheid. Capiamo quello che sta succedendo al popolo palestinese. Noi siamo totalmente solidali e chiediamo ai governi di rispettare le risoluzioni dell’ONU. Ciò significa: la fine dell’occupazione, la fine dell’assedio di Gaza, il diritto al ritorno dei rifugiati. L’unico modo in cui gli ebrei di Israele possono avere la garanzia di vivere in sicurezza è riconoscendo i diritti degli altri esseri umani, il popolo palestinese.”

C’è stato un tempo in cui la gente sentiva che non ci sarebbe stata una fine dell’apartheid in Sudafrica, prosegue Kasrils. Lo Stato dei bianchi era molto forte. Aveva molte risorse ed era appoggiato dall’Occidente, compresi gli stessi Paesi che oggi stanno appoggiando Israele.

E’ stato sconfitto, perché la gente in Sudafrica era decisa. Per ottenere un cambiamento ci vogliono unità, determinazione, buoni dirigenti, la strategia corretta, una visione per il futuro. Alla fine, l’esito per una giusta causa è certo, non importa quanto tempo ci vorrà. Il Sudafrica lo dimostra.

(Traduzione di Amedeo Rossi)




Rapporto OCHA della settimana 12 – 18 luglio

In Cisgiordania, in due distinti episodi, le forze israeliane hanno ucciso due palestinesi.

Nel primo caso, il 18 luglio, all’ingresso del Campo profughi di Al Arrub (Hebron), un palestinese ha accoltellato e ferito due soldati israeliani; successivamente è stato a sua volta ferito gravemente con arma da fuoco ed è morto il giorno seguente.

Nel secondo caso, il 12 luglio, durante una operazione di ricerca-arresto svoltasi nella città di Ar Ram (Gerusalemme), le forze israeliane hanno aperto il fuoco contro un veicolo uccidendo un giovane palestinese di 22 anni e ferendone altri due; secondo i media israeliani, i soldati sospettavano che i palestinesi stessero per investirli; tale versione dei fatti è stata smentita da fonti locali palestinesi.

In Qabatiya (Jenin), le forze israeliane hanno demolito la casa di famiglia di un uomo sospettato di aver aiutato gli autori di un accoltellamento, avvenuto il febbraio 2016, durante il quale fu ucciso un poliziotto israeliano; per effetto della demolizione, una famiglia di dieci persone, tra cui un minore, è stata sfollata. Prima della demolizione, gli abitanti della città si sono scontrati, anche con l’impiego di armi da fuoco, con le forze israeliane e otto palestinesi sono rimasti feriti. Dall’inizio del 2016 le autorità israeliane, per motivi punitivi, hanno demolito o sigillato 22 case, sfollando 110 persone; in tutto il 2015, per gli stessi motivi, vi erano state 25 demolizioni e 157 persone sfollate.

Nei Territori palestinesi occupati, in totale, le forze israeliane hanno ferito 44 palestinesi, tra cui 13 minori. 42 di questi ferimenti sono stati registrati in Cisgiordania, di cui 10 verificatisi durante gli scontri in Ar Ram e Qabatiya [vedi i paragrafi precedenti] e 29 durante operazioni di ricerca-arresto, le più vaste delle quali hanno avuto luogo in Al Mazra’a al Qibliya (Ramallah) e nel campo profughi di Ayda (Betlemme). Due palestinesi sono stati colpiti con armi da fuoco e feriti nella Striscia di Gaza, nelle Aree ad Accesso Riservato (ARA): uno nel corso di una protesta ed un altro, secondo quanto riferito, mentre cacciava uccelli. Nel corso della settimana, in altri cinque casi le forze israeliane hanno aperto il fuoco di avvertimento verso palestinesi presenti nelle ARA, a terra e in mare: non sono stati registrati feriti.

Il 17 luglio, a Gerusalemme Ovest, le forze israeliane hanno arrestato un palestinese che trasportava ordigni esplosivi e coltelli che, secondo la polizia israeliana, intendeva utilizzare per effettuare un attentato alla Metropolitana leggera di Gerusalemme.

Durante la settimana, in tutto il governatorato di Hebron sono state mantenute le restrizioni ai movimenti imposte [da Israele], dall’inizio di luglio, in seguito a due attacchi palestinesi; restrizioni che ostacolano l’accesso ai servizi e ai mezzi di sostentamento per centinaia di migliaia di residenti. La comunità più colpita è Bani Na’im, con una popolazione 26.500 abitanti, dove i tre ingressi principali sono rimasti bloccati per il movimento veicolare; una parziale eccezione è consentita per i casi di emergenza, a fronte di accordi preventivi. Secondo la Camera di Commercio palestinese, l’attività economica di tutto il governatorato di Hebron è stata notevolmente influenzata, tra le altre cause, dalle restrizioni imposte alla circolazione dei veicoli commerciali.

In Area C e in Gerusalemme Est, in quattro casi, per la mancanza di permessi di costruzione rilasciati da Israele, le autorità israeliane hanno demolito 23 strutture palestinesi, sfollando 43 persone, tra cui 25 minori, e coinvolgendone altre 43. Il caso più grave, che comprende tutti gli sfollamenti di questa settimana, è stato registrato in una comunità beduina a nord della città di ‘Anata (Gerusalemme), in cui le autorità israeliane hanno demolito 14 strutture, una delle quali era stata fornita precedentemente come assistenza umanitaria. Questa è una delle 46 comunità beduine nella Cisgiordania centrale a rischio di trasferimento forzato a causa di un piano israeliano di rilocalizzazione.

Per gli stessi motivi, sempre nella zona C e in Gerusalemme Est, le autorità israeliane hanno consegnato almeno 13 ordini di demolizione e arresto dei lavori contro case, strutture commerciali e cisterne d’acqua. Le comunità colpite includono: Frush Beit Dajan, Qusra (entrambe a Nablus), Susiya (Hebron), Silwan (Gerusalemme Est).

Questa settimana vengono riportati nove attacchi da parte di coloni israeliani con conseguenti ferimenti o danni alle proprietà palestinesi: dall’inizio del 2016 questo è il più alto numero di attacchi condotti da coloni in una sola settimana. In particolare: tre palestinesi sono stati aggrediti fisicamente e feriti da coloni israeliani, in tre distinti casi, a Al-Khader (Betlemme), ad Haris (Salfit) e nella città di Hebron; altri tre episodi hanno riguardato l’incendio di 150 ulivi secolari a Betlemme, la devastazione di una piantagione di sorgo di 5.000 mq vicino a Huwwara (Nablus); il furto di più di 50 sacchi di fieno e di grano nel villaggio di Qusra (Nablus), a quanto riferito, sempre ad opera di coloni israeliani. Inoltre, nei governatorati di Qalqiliya, Salfit ed Hebron, in tre diverse occasioni, per il lancio di pietre da parte di coloni, sei veicoli palestinesi hanno riportato danni.

Il 14 luglio, per carenza di carburante, la centrale elettrica di Gaza è stata costretta a fermare una delle due turbine attive, innescando interruzioni di corrente per 18-20 ore al giorno; in precedenza le interruzioni erano di 16-18 ore. Questo ha avuto un impatto significativo sulla fornitura dei servizi di base, l’approvvigionamento idrico e, in particolare, sui servizi sanitari. Sembra che la carenza di carburante sia causata dalle continue controversie, tra le autorità di Ramallah e quelle di Gaza, in merito ad una esenzione fiscale relativa al carburante acquistato per l’impianto.

Durante il periodo di riferimento il valico di Rafah, sotto controllo egiziano, è rimasto chiuso in entrambe le direzioni.

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Ultimi sviluppi (fuori dal periodo di riferimento)

Durante la notte del 19 luglio, ignoti hanno dato fuoco ad una casa nel villaggio di Duma (Nablus); anche se i residenti sono riusciti a mettersi in salvo, la casa è stata gravemente danneggiata. Nel luglio 2015, nello stesso villaggio, un attacco incendiario simile, operato da coloni israeliani, uccise un bambino ed entrambi i suoi genitori.

Il 19 luglio, durante scontri con le forze israeliane nei pressi dell’ingresso settentrionale della città Ar Ram (Gerusalemme), un dodicenne palestinese è stato ucciso da un proiettile di gomma.

Il 19 luglio, nella Striscia di Gaza, un uomo è stato condannato a morte. Questa e altre due condanne a morte, emesse in precedenza, sono state convalidate da un tribunale militare palestinese, motivate da “collaborazione con Israele”.

Il 19 luglio, dopo più di tre settimane di rigida chiusura, è stato riaperto uno dei tre ingressi del villaggio di Bani Na’im (Hebron).

nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati settimanalmente in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informazio-ni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano (vedi di seguito) l’edizione inglese dei Rapporti.

sono scaricabili dal sito Web della Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, alla pagina:

https://sites.google.com/site/assopacerivoli/materiali/rapporti-onu/rapporti-settimanali-integrali

nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

Associazione per la pace – Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it; Web: https://sites.google.com/site/assopacerivoli




Rapporto Ocha sulla settimana 5- 11 luglio 2016

Il 9 luglio, secondo i media israeliani, sulla strada 356, nei pressi del villaggio di Tuqu’ (Betlemme), un colono israeliano è stato ferito da spari provenienti da un veicolo con targa palestinese.

Il sospetto autore dell’attacco, secondo quanto riferito, sarebbe fuggito verso il villaggio di Sa’ir (Hebron). Dopo l’attacco, le forze israeliane hanno bloccato tutti gli ingressi e le uscite del villaggio ed hanno avviato operazioni di ricerca-arresto nella zona; nel corso di tali operazioni due palestinesi sono rimasti feriti. Inoltre, il 6 luglio, vicino allo snodo stradale Neve Daniyyel (Betlemme), in un sospetto attacco con auto, un palestinese ha investito un veicolo militare israeliano, ferendo tre soldati. Anche il sospetto autore è rimasto ferito ed è stato successivamente arrestato dalle forze israeliane. Infine, il 5 luglio, una 17enne palestinese è stata ferita dalle forze israeliane con armi da fuoco: secondo una videoregistrazione, avrebbe minacciato i soldati con un coltello ad una fermata d’autobus vicino ad Haris (Salfit).

Il 7 luglio, un palestinese è morto per le ferite riportate nel maggio 2015, quando fu colpito con armi da fuoco dalle forze israeliane nei pressi della recinzione perimetrale di Gaza.

In Cisgiordania, 50 palestinesi, tra cui 14 minori, sono stati feriti nel corso di scontri con le forze israeliane. Quasi tutti i ferimenti sono riferibili ad operazioni di ricerca-arresto, la più ampia delle quali ha avuto luogo nella città di Dura (Hebron), in cui si sono avuti 38 feriti. In totale, in Cisgiordania, questa settimana, le forze israeliane hanno condotto 98 operazioni di ricerca-arresto ed hanno arrestato 95 palestinesi; il governatorato di Hebron registra il più alto numero sia di operazioni che di arresti.

Nella striscia di Gaza, a sud-est di Rafah, il 10 luglio le forze egiziane ha aperto il fuoco verso il territorio palestinese, ferendo una ragazza palestinese 13enne.

Continuano, da parte delle forze israeliane, i blocchi di diversi snodi stradali che collegano villaggi e città palestinesi del governatorato di Hebron; il 2 luglio, dopo l’uccisione, in due distinti episodi, di due coloni israeliani, sulla zona è stata imposta una chiusura generale che intralcia pesantemente l’accesso ai servizi e ai mezzi di sostentamento dei circa 400.000 palestinesi residenti. Il 12 luglio, nel corso di una informativa al Consiglio di Sicurezza, il Segretario generale dell’ONU ha dichiarato che “gli autori dei recenti attacchi terroristici devono assolutamente essere ritenuti responsabili. Tuttavia, le chiusure – come quelle messe in atto in Hebron – così come le demolizioni punitive e la revoca generalizzata dei permessi penalizzano migliaia di palestinesi innocenti e si configurano come punizioni collettive”.

Il 7 luglio, l’Alta Corte di Giustizia israeliana ha respinto una petizione volta ad evitare la demolizione punitiva della casa di un palestinese di Qabatiya (Jenin) che fu arrestato per aver collaborato, secondo quanto riferito, ad un accoltellamento mortale avvenuto a Gerusalemme Est nel febbraio 2016. Il 25 giugno, l’UN Relief and Works Agency per i Rifugiati di Palestina (UNRWA), ha invitato le autorità israeliane a porre fine alla pratica delle demolizioni punitive.

A Gaza, in almeno sette occasioni, le forze israeliane hanno aperto il fuoco nelle Aree ad Accesso Riservato (ARA) di terra e di mare; non sono stati segnalati feriti, ma pescatori ed agricoltori palestinesi hanno dovuto interrompere il lavoro. In quattro occasioni, le forze israeliane sono entrate nella Striscia di Gaza, hanno spianato il terreno ed effettuato scavi.

Nella zona H2 di Hebron, si è verificato un caso di vandalismo contro proprietà palestinese, ad opera, secondo quanto riferito, di coloni israeliani. Inoltre, ancora in questa settimana, ci sono state due manifestazioni di coloni armati che, per protesta contro i recenti attacchi palestinesi contro israeliani, si sono riuniti [nel primo caso] all’ingresso del villaggio di Bani Naim (Hebron) impedendone l’accesso e [nel secondo caso] hanno marciato dall’insediamento di Haggai fino all’insediamento di Otniel (Hebron), intimidendo i palestinesi presenti

Sono stati segnalati tre episodi di lancio di pietre, ad opera di palestinesi contro veicoli israeliani, nei pressi di Beit El (Ramallah), presso l’insediamento di Kiryat Arba (Hebron) e nella città di Hizma (Gerusalemme) con conseguente ferimento di tre israeliani e danni a tre veicoli. In altri due episodi, verificatisi vicino a Betlemme e ad Hebron, palestinesi hanno lanciato bottiglie incendiarie contro veicoli israeliani; non sono stati segnalati danni.

Durante il periodo di riferimento, il valico di Rafah, sotto controllo egiziano, è stato chiuso in entrambe le direzioni. Dall’inizio del 2016, il valico è stato parzialmente aperto per soli quattordici giorni. Secondo le autorità palestinesi di Gaza, oltre 30.000 persone sono registrate ed in attesa di attraversare.

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Ultimi sviluppi (fuori dal periodo di riferimento)

Il 12 luglio, nella città di Ar Ram (Gerusalemme), durante una operazione di ricerca-arresto, un 22enne palestinese è stato ucciso e altri due (entrambi di 20 anni) sono stati feriti da soldati israeliani. Secondo i media israeliani, le forze israeliane, ritenendosi in pericolo, hanno aperto il fuoco. Secondo fonti palestinesi locali, le vittime stavano viaggiando ad alta velocità e non si sono resi conto della presenza dei soldati israeliani che hanno sparato contro di loro. Uno dei feriti è stato arrestato dai soldati israeliani.

Il 12 e il 13 luglio, in Area C (nella città di ‘Anata e presso la confinante comunità beduina di Nord ‘Anata Bedouins) e in Gerusalemme Est (Jabal Al Mukabbir), a causa della mancanza di permessi di costruzione israeliani, le autorità israeliane hanno demolito 23 strutture, sfollando 43 persone, tra cui 25 minori.

nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati settimanalmente in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informazio-ni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano (vedi di seguito) l’edizione inglese dei Rapporti.

sono scaricabili dal sito Web della Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, alla pagina:

https://sites.google.com/site/assopacerivoli/materiali/rapporti-onu/rapporti-settimanali-integrali

nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

Associazione per la pace – Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it; Web: https://sites.google.com/site/assopacerivoli