Uomo colpito a morte a Gerusalemme dopo aver investito con l’auto dei civili

Redazione Al Jazeera

24 aprile 2023 – Al Jazeera

Le autorità israeliane comunicano che nell’incidente sono state ferite almeno cinque persone, compreso un settantenne.

La polizia israeliana ha affermato che un palestinese ha diretto la sua auto sulla folla in una strada di Gerusalemme, ferendo cinque persone, prima di essere colpito a morte da un passante.

Lunedì, alcune ore prima, le truppe israeliane hanno ucciso un palestinese durante un’incursione nella Cisgiordania occupata, l’ultimo di una lunga serie di incidenti nel corso di una recrudescenza di violenze nell’ultimo anno.

Il servizio di ambulanza di Israele ha detto di aver curato cinque persone ferite dall’auto, compreso un anziano di 70 anni che versa in condizioni gravi ma stabili, prima di trasferirle ad un ospedale.

Dei video diffusi dall’agenzia di notizie Reuters mostrano un uomo sul cofano di un’auto fermata in mezzo alla strada mentre si sentono degli spari.

Parlando in apertura delle cerimonie di commemorazione dei soldati israeliani caduti, il Primo Ministro Benjamin Netanyahu ha detto che il guidatore dell’auto, un trentenne di Gerusalemme est, ha cercato deliberatamente di investire dei civili.

Questo attacco terroristico, in questo luogo, in questo momento, ci ricorda che la terra di Israele e lo Stato di Israele sono stati ottenuti attraverso molte prove e tribolazioni”, ha affermato.

Violenza crescente

Quest’anno la violenza tra israeliani e palestinesi si è intensificata, con frequenti incursioni militari e violenze dei coloni israeliani a fronte di una serie di attacchi palestinesi. Da gennaio sono stati uccisi più di 90 palestinesi e almeno 19 israeliani e stranieri.

Lunedì mattina le forze israeliane hanno ucciso un palestinese durante un’incursione nel campo profughi di Aqabat Jabr, vicino alla città cisgiordana di Gerico.

Durante l’azione due sospetti sono stati visti fuggire dalla scena. I soldati hanno risposto con proiettili veri. I colpiti sono stati identificati”, ha dichiarato l’esercito. Non ha specificato perché i due palestinesi siano stati presi di mira.

L’agenzia di notizie ufficiale palestinese WAFA ha citato il governatore di Gerico, secondo cui un uomo è stato colpito a morte e altri tre feriti dalle truppe.

La dichiarazione del governatore afferma che l’esercito non ha consegnato il corpo dell’uomo alla sua famiglia.

Dal canto suo l’Associazione Palestinese di Difesa dei Prigionieri ha detto che nella notte e nella mattina di lunedì le forze di sicurezza israeliane hanno eseguito 30 arresti in Cisgiordania.

Israele ha occupato la Cisgiordania e Gerusalemme est, che i palestinesi rivendicano come cuore di un futuro Stato indipendente, durante la guerra del Medio Oriente del 1967. Da allora ha annesso Gerusalemme est con un’iniziativa non riconosciuta a livello internazionale.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Rapporto OCHA del periodo 28 marzo – 18 aprile 2023

https://www.ochaopt.org/poc/28-march-17-april-2023

1). In Cisgiordania le forze israeliane hanno ucciso sei palestinesi, tra cui un minore, durante operazioni di ricerca-arresto e altre operazioni delle forze israeliane, alcune delle quali, secondo quanto riferito, hanno comportato uno scontro a fuoco con palestinesi; un altro palestinese è morto per le ferite riportate (seguono dettagli).

Il 28 marzo, un palestinese è morto per le ferite riportate il 22 febbraio quando è stato colpito, con proiettili veri, dalle forze israeliane che operavano nella città di Nablus. Ciò porta a 12 il numero di vittime di quell’episodio; il numero più alto di vittime palestinesi in un singolo caso occorso in Cisgiordania, da quando, nel 2005, l’OCHA ha iniziato a registrare le vittime.

Il 3 aprile, forze israeliane hanno fatto irruzione nella città di Nablus per arrestare i palestinesi coinvolti nella sparatoria, avvenuta a Huwwara il 25 marzo, in cui furono feriti due soldati israeliani. Durante l’operazione, le forze israeliane hanno avuto uno scontro a fuoco con palestinesi, uccidendone due. Successivamente, le forze israeliane hanno sparato proiettili veri, proiettili di gomma e lacrimogeni contro palestinesi che lanciavano pietre contro di loro; 56 palestinesi sono rimasti feriti e due sono stati arrestati. Durante l’operazione, le forze israeliane hanno ostacolato il lavoro dei paramedici e un’ambulanza è stata colpita da lacrimogeni.

Il 10 aprile, durante un’operazione di ricerca-arresto condotta nel Campo profughi di Aqbat Jaber (Gerico), le forze israeliane hanno ucciso un ragazzo palestinese di 15 anni e ne hanno ferito altri due con munizioni vere; durante tale operazione i palestinesi hanno lanciato pietre e le forze israeliane hanno sparato proiettili veri, proiettili di gomma e lacrimogeni. Ad oggi, nel 2023, in Cisgiordania, il numero totale di minori palestinesi uccisi dalle forze israeliane è 17; nel 2022, in un periodo equivalente, erano state 8.

L’11 aprile, vicino a Deir al Hatab villaggio (Nablus), le forze israeliane hanno ucciso due palestinesi e ne hanno ferito un altro. Secondo l’esercito israeliano, prima che le forze israeliane di stanza nelle vicinanze sparassero al loro veicolo, i palestinesi avevano aperto il fuoco contro una postazione militare all’ingresso dell’insediamento colonico di Elon Moreh.

L’8 aprile, all’ingresso del villaggio di Azzun (Qalqiliya), le forze israeliane hanno sparato e ucciso con proiettili veri un palestinese; le prime informazioni provenienti da Organizzazioni per i diritti umani indicano che l’uomo fosse tra i palestinesi che lanciavano petardi contro le forze israeliane posizionate a un checkpoint all’ingresso del villaggio.

Durante il primo trimestre del 2023, il numero di palestinesi uccisi dalle forze israeliane (84) è stato quasi quattro volte superiore rispetto allo stesso periodo del 2022 (22).

2). Un palestinese è stato ucciso e quattro soldati israeliani sono rimasti feriti in due episodi avvenuti a Hebron e a Gerusalemme (seguono dettagli).

Il 1° aprile, a un checkpoint militare israeliano posizionato all’ingresso di Beit Ummar (Hebron), un palestinese ha speronato con un veicolo tre soldati israeliani, ferendoli; successivamente l’uomo è stato colpito e ucciso dalle forze israeliane. Ad oggi, in Cisgiordania, nel 2022, nove palestinesi sono stati colpiti e uccisi dalle forze israeliane mentre attaccavano o presumibilmente tentavano di attaccare forze israeliane.

Il 1° aprile, nei pressi di uno dei cancelli che conducono alla moschea di Al Aqsa, nella Città Vecchia di Gerusalemme, un agente di polizia israeliano ha ucciso un cittadino palestinese di Israele. Secondo la polizia israeliana, l’uomo aveva afferrato l’arma di un agente di polizia e gli aveva sparato due volte. Testimoni oculari contestano questo racconto; inoltre non è stato reso disponibile alcun filmato della telecamera di sorveglianza. Le autorità israeliane hanno aperto un’inchiesta sulla sparatoria. Inoltre, lo stesso giorno, vicino a Jaba’ Junction, a nord-est di Gerusalemme, un uomo armato, ritenuto palestinese, ha aperto il fuoco contro forze israeliane ed è fuggito. Secondo i media israeliani un soldato israeliano è rimasto ferito.

3). Il 7 aprile, tre coloni israeliani, una madre e le due figlie, una delle quali minorenne, mentre percorrevano la Strada 57 nella Valle del Giordano (Tubas), sono state uccise da un uomo armato, ritenuto palestinese. Le due sorelle sono state uccise sul colpo mentre la madre è deceduta tre giorni dopo per le ferite riportate. L’aggressore è fuggito. Le forze israeliane hanno avviato una caccia all’uomo, bloccando le strade principali nella Valle del Giordano. Ciò porta a diciotto il numero di israeliani uccisi, finora, nel 2023, in Cisgiordania, Gerusalemme est e Israele; oltre a un cittadino straniero e un soldato. Nel 2022, in un periodo equivalente, furono sei.

4). In Cisgiordania, sono stati feriti dalle forze israeliane 567 palestinesi (tra cui almeno 91 minori), 25 dei quali sono stati colpiti da proiettili veri (seguono dettagli). Ventisette palestinesi sono rimasti feriti durante 18 operazioni di ricerca-arresto e altre operazioni condotte dalle forze israeliane in più località, oltre ai 56 palestinesi feriti a Nablus e Gerico (vedi sopra).

Altri 43 feriti sono stati segnalati nelle vicinanze della Moschea di Al Aqsa, nella Città Vecchia di Gerusalemme (vedi sotto). In sei episodi, registrati nelle Comunità palestinesi di Qaryut (Nablus), Deir Ballut (Salfit) e Surif ( Hebron), le forze israeliane hanno ferito 41 palestinesi, a seguito dell’ingresso (all’interno delle Comunità) di coloni israeliani, accompagnati dalle forze israeliane; la maggior parte dei feriti sono stati curati per inalazione di gas lacrimogeno.

In altri quattro episodi, le forze israeliane hanno sparato proiettili veri e lacrimogeni contro palestinesi che lanciavano pietre contro i soldati israeliani posizionati presso torrette di osservazione militare e checkpoints volanti; altri 19 palestinesi sono stati feriti agli ingressi di Azzun (Qalqiliya), Beit Ummar (Hebron), Husan e Al Khadr (entrambi a Betlemme).

In un episodio separato, le forze israeliane hanno aggredito fisicamente e ferito un palestinese che cercava di raggiungere il suo posto di lavoro in Israele attraverso un’apertura non autorizzata nella Barriera vicino a At Tayba (Jenin). Altri 380 palestinesi sono rimasti feriti nei pressi di Beit Dajan, Beita e Huwwara (tutti a Nablus) e Kafr Qaddum (Qalqiliya) durante manifestazioni in occasione della “Giornata della Terra” e contro le restrizioni di accesso e l’espansione degli insediamenti. In una di queste manifestazioni, 216 palestinesi sono rimasti feriti dopo che le forze israeliane hanno sparato proiettili di gomma, lacrimogeni e granate assordanti; i palestinesi hanno iniziato a lanciare pietre, dopo la chiusura dell’ingresso principale del villaggio di Beita (Nablus) da parte delle forze israeliane. Ciò è avvenuto durante una marcia di coloni a sostegno della legalizzazione dell’insediamento di Evyatar, costruito su terra palestinese. Complessivamente, 448 palestinesi sono stati curati per inalazione di gas lacrimogeni, 25 sono stati colpiti da proiettili veri, 53 sono stati feriti con proiettili di gomma, 35 sono stati aggrediti fisicamente, cinque sono stati colpiti da granate sonore o lacrimogeni e uno è stato colpito da un veicolo militare.

5). All’inizio del mese musulmano del Ramadan, il 24 marzo, le forze israeliane hanno intensificato la loro presenza dentro e intorno alla Città Vecchia di Gerusalemme. Durante il periodo di riferimento, in sei occasioni, la polizia israeliana ha effettuato operazioni in prossimità della Moschea di Al Aqsa nella Città Vecchia di Gerusalemme. In una di queste occasioni, nelle prime ore del 5 aprile 2023, un gran numero di forze israeliane ha fatto irruzione nella moschea Al Qibli e ha usato la forza per evacuare i palestinesi che si rifiutavano di lasciare la sala della preghiera; per la mattina seguente era previsto l’arrivo al Complesso di coloni e altri israeliani. Le forze israeliane hanno fatto irruzione nella moschea Al Qibli attraverso l’adiacente clinica sanitaria, danneggiando e distruggendo attrezzature, rifornimenti e il muro che separava la clinica dalla moschea. Le forze israeliane hanno sparato granate assordanti, proiettili con la punta gommata e bombolette di gas lacrimogeni; inoltre hanno colpito i palestinesi con manganelli, compresi minori e donne. Secondo le autorità israeliane, i palestinesi hanno lanciato pietre e petardi contro le forze israeliane che avevano fatto irruzione nella Moschea. Complessivamente, le forze israeliane hanno ferito 43 palestinesi, inclusi 12 minori, e ne hanno arrestati altri 440, inclusi 65 minori. La maggior parte dei detenuti è stata rilasciata più tardi, quello stesso giorno, ma hanno ricevuto ordini che impedivano loro di accedere alla moschea di Al Aqsa fino alla fine del Ramadan.

6). In Cisgiordania, coloni israeliani hanno ferito 17 palestinesi, tra cui tre minori, e persone conosciute o ritenute coloni hanno danneggiato proprietà palestinesi in altri 44 casi. Ciò si aggiunge al ferimento di 41 palestinesi da parte delle forze israeliane in sei episodi che hanno coinvolto coloni (seguono dettagli).

Il 29 marzo, il 2 aprile e il 12 aprile, coloni israeliani hanno aggredito fisicamente e ferito cinque palestinesi che coltivavano o pascolavano bestiame vicino a Kisan (Betlemme), Surif (Hebron) e nella Comunità di Ein al Hilwa nella valle del Giordano (Tubas); tra i feriti c’era un uomo anziano.

Altri quattro attacchi si sono verificati ad Al Khadr (Betlemme), Surif (Hebron) e Kifl Haris e Deir Ballut (entrambi a Salfit); questi hanno coinvolto coloni israeliani che hanno fatto irruzione in strutture di sostentamento, lanciando pietre, aggredendo fisicamente e ferendo cinque palestinesi, tra cui un minore, e causando danni ad almeno 18 case palestinesi e quattro veicoli.

Nella Città Vecchia di Gerusalemme, il 6 aprile, un colono israeliano ha aperto il fuoco, ferendo un palestinese di 14 anni.

Il 7 aprile, un altro colono ha aggredito fisicamente un palestinese e ha lanciato pietre contro negozi palestinesi, causando danni ad almeno cinque negozi.

In altri cinque episodi, cinque palestinesi, tra cui un bambino di nove anni, sono rimasti feriti quando coloni israeliani hanno lanciato pietre contro veicoli palestinesi che viaggiavano sulle strade vicino a Nablus, Ramallah, Gerusalemme, Hebron e Salfit.

Secondo fonti della Comunità, durante il periodo di riferimento, più di 1.200 ulivi sono stati vandalizzati su terreni palestinesi vicino agli insediamenti israeliani, anche dove l’accesso palestinese richiede l’approvazione dell’esercito israeliano; tali danni sono relativi a 14 casi, segnalati in Cisgiordania. Altre proprietà palestinesi sono state danneggiate e il bestiame ferito in 12 episodi accaduti a Ramallah, Salfit, Tubas, Betlemme, Hebron, Gerusalemme e Qalqiliya. Secondo testimoni oculari e fonti delle Comunità locali, le proprietà danneggiate includevano strutture residenziali e agricole, trattori, raccolti e una rete idrica. Nei restanti 20 casi segnalati in Cisgiordania, coloni israeliani hanno lanciato pietre, danneggiando 36 veicoli palestinesi.

7). Nei pressi dell’insediamento di Gush Etzion (Hebron), una donna palestinese ha accoltellato e ferito un colono israeliano prima di essere colpita, ferita e arrestata dalle forze israeliane. Un altro colono israeliano è stato ferito e quattro veicoli israeliani sono stati danneggiati in quattro episodi, quando persone conosciute come palestinesi, o ritenute tali, hanno lanciato pietre contro veicoli israeliani che viaggiavano sulle strade della Cisgiordania.

8). Secondo dati ufficiali israeliani, il secondo, terzo e quarto venerdì di Ramadan (31 marzo, 7 aprile e 14 aprile), attraverso i tre checkpoints designati lungo la Barriera, sono entrati a Gerusalemme Est circa 240.000 palestinesi in possesso di documenti di identità della Cisgiordania. Le autorità israeliane hanno permesso agli uomini di età superiore ai 55 anni, alle donne di tutte le età e ai minori di età inferiore ai 12 anni di entrare a Gerusalemme Est senza permesso. Circa 1.130 persone su 2,2 milioni di residenti a Gaza sono riuscite a recarsi a Gerusalemme per il Ramadan e la Pasqua.

9). Le forze israeliane hanno limitato il movimento dei palestinesi in diverse altre località della Cisgiordania, interrompendo l’accesso di migliaia di persone a mezzi di sussistenza e servizi (seguono dettagli). In seguito alla sparatoria e all’uccisione di tre israeliani avvenuta il 7 aprile (vedi sopra), mentre lanciavano una caccia all’uomo per trovare l’autore, le forze israeliane hanno intensificato le restrizioni di movimento intorno alle aree nord-orientali della Valle del Giordano. Diverse strade sono state chiuse con cumuli di terra, oltre a intensi controlli di sicurezza ai checkpoints, che hanno comportato lunghi tempi di attesa per i pendolari.

Inoltre, il 9 aprile, le forze israeliane hanno installato un cancello di metallo, blocchi di cemento e un checkpoint stradale sulla strada principale che collega le Comunità di Khirbet ar Ras al Ahmar e Khirbet ‘Atuf, a sud-est di Tubas nella Valle del Giordano, ostacolando il movimento di circa 500 palestinesi.

Il 6 e il 9 aprile, le forze israeliane hanno limitato il movimento di oltre 6.000 palestinesi collocando cumuli di terra a uno degli ingressi di Qusra (Nablus) e chiudendo il cancello stradale all’ingresso di Ras Karkar (Ramallah), presumibilmente in risposta al lancio di pietre da parte di palestinesi contro veicoli israeliani. Le intensificate restrizioni di movimento erano ancora in vigore alla fine del periodo di riferimento.

10). Nell’Area C della Cisgiordania, adducendo la mancanza di permessi di costruzione rilasciati da Israele, che sono quasi impossibili da ottenere per i palestinesi, le autorità israeliane hanno demolito dieci strutture palestinesi; inoltre sono stati colpiti i mezzi di sussistenza di circa 60 persone. Ciò riflette un calo significativo, dall’inizio dell’anno, del numero di strutture demolite o sequestrate(19), rispetto alla media settimanale. In coerenza con una tipica riduzione delle demolizioni israeliane durante il mese di Ramadan.

11). Nella Striscia di Gaza, tra il 5 e il 7 aprile, gruppi armati palestinesi hanno lanciato contro Israele 52 razzi e altri proiettili; 16 razzi sono stati intercettati dal sistema israeliano Iron Dome, 32 sono caduti in aree aperte nel sud di Israele e a Gaza, e due sono caduti nella città di Sderot in Israele, causando danni a una fabbrica. Secondo fonti mediche israeliane, un israeliano è rimasto ferito mentre correva verso i rifugi. Le forze israeliane hanno lanciato molteplici attacchi aerei sparando 59 missili e 7 proiettili contro siti militari appartenenti a gruppi armati della Striscia di Gaza. Non sono stati segnalati feriti palestinesi, ma i siti presi di mira sono stati danneggiati, insieme a proprietà civili, tra cui un ospedale pediatrico, una clinica, una fattoria e quattro case.

12). Sempre nella Striscia di Gaza, vicino alla recinzione perimetrale israeliana o al largo della costa, in almeno 25 occasioni, le forze israeliane hanno aperto il “fuoco di avvertimento”, presumibilmente per far rispettare le restrizioni all’accesso; quattro pescatori sono stati arrestati, di cui uno anche ferito, e due pescherecci sono stati sequestrati. In due circostanza, i palestinesi hanno tenuto manifestazioni vicino alla recinzione perimetrale israeliana in commemorazione della “Giornata della terra” e in solidarietà con i fedeli recatisi a Gerusalemme. I manifestanti hanno bruciato pneumatici, hanno lanciato pietre e si sono avvicinati alla recinzione; le forze israeliane hanno sparato proiettili veri e lacrimogeni. Di conseguenza, sette palestinesi, tra cui due minori, sono rimasti feriti, di cui quattro colpiti da proiettili veri.

Questo rapporto riflette le informazioni disponibili al momento della pubblicazione. I dati più aggiornati e ulteriori analisi sono disponibili su ochaopt.org/data.

Ultimi sviluppi

Questa sezione si basa su informazioni iniziali provenienti da diverse fonti. Ulteriori dettagli confermati saranno forniti nel prossimo rapporto.

Il 18 aprile, nel quartiere di Sheikh Jarrah a Gerusalemme est, due israeliani sono stati colpiti e feriti; si ritiene che l’autore sia palestinese.

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Note a piè di pagina

1 Vengono conteggiati separatamente i palestinesi uccisi o feriti da persone che non fanno parte delle forze israeliane (ad esempio feriti da civili israeliani o colpiti da razzi palestinesi ricaduti); così come quelli la cui causa immediata di morte o l’identità dell’autore rimangono controverse, poco chiare o sconosciute.

2 In questi bollettini le vittime israeliane includono persone che sono state ferite mentre correvano ai rifugi durante gli attacchi missilistici palestinesi. I cittadini stranieri uccisi in attacchi palestinesi e le persone la cui causa immediata di morte, o l’identità dell’autore, rimangono controverse, poco chiare o sconosciute, vengono conteggiate separatamente.

La selezione dei dati dei civili da parte dell’OCHA include episodi avvenuti al di fuori dei Territori Palestinesi Occupati (TPO) solo se hanno coinvolto residenti dei Territori Palestinesi Occupati come vittime o responsabili. Durante questo periodo di riferimento, un cittadino straniero che è stato ucciso, nel Centro di Israele, da un cittadino palestinese di Israele non è stato incluso in questo rapporto, e nemmeno il cittadino palestinese di Israele, che è stato colpito e ucciso dalla polizia.

Associazione per la pace – Via S. Allende, 5 – 10098 Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it




La rivista Foreign Affairs conferma i fatti riguardanti l’apartheid israeliano e la supremazia ebraica

Nasim Ahmed

17 aprile 2023 – Middle East Monitor

La scorsa settimana la notevole velocità con cui il termine “apartheid” è passato dai margini al centro del dibattito israeliano-palestinese è apparsa evidente. La prestigiosa rivista statunitense Foreign Affairs, unanimemente considerata una delle più influenti riguardo alla politica internazionale e che plasma il pensiero di Washington, ha aggiunto il proprio peso a favore dell’affermazione secondo cui Israele ha imposto un regime di apartheid che discrimina sistematicamente i non-ebrei.

In un articolo intitolato “La realtà israeliana di uno Stato unico” gli autori Michael Barnett, Nathan Brown, Marc Lynch e Shibley Telhami evidenziano il cambiamento epocale in corso oggi nei circoli che guidano la politica. Descrivendo la situazione in Palestina e come Israele sia arrivato a praticare l’apartheid, affermano che quello che una volta era “indicibile” ora è “innegabile”.

Una soluzione a Stato unico non è un’eventualità del futuro, esiste già indipendentemente da quello che chiunque possa pensare,” affermano gli autori, tutti studiosi di Medio Oriente. “Tra il mar Mediterraneo e il fiume Giordano un solo Stato controlla l’ingresso e l’uscita di persone e cose, supervisiona la sicurezza e ha la capacità di imporre le proprie decisioni, leggi e politiche su milioni di persone senza il loro consenso.”

Israele, sostengono gli autori, “ha imposto un sistema di supremazia ebraica, in cui i non-ebrei sono strutturalmente discriminati o esclusi, in uno schema caratterizzato da più livelli: alcuni non-ebrei hanno molti, ma non tutti, i diritti degli ebrei, mentre la maggioranza dei non-ebrei vive soggetto a una dura segregazione, separazione e dominazione.” Significativamente essi affermano che questa situazione è “ovvia” per chiunque vi abbia prestato attenzione. Per varie ragioni Washington e i sostenitori di Israele hanno preferito mettere la testa nella sabbia e calunniare come antisemita chiunque abbia indicato la verità riguardo al sistema di apartheid israeliano. “Fino a poco tempo fa la situazione di uno Stato unico raramente era riconosciuta da attori importanti, e quanti dicevano la verità a voce alta sono stati ignorati o puniti per averlo fatto,” evidenzia l’articolo. “Tuttavia, con una notevole rapidità, l’indicibile si è notevolmente avvicinato al senso comune.”

Chiunque segua da vicino il dibattito sull’apartheid israeliano sarà a conoscenza di molti dei punti evidenziati dagli autori. Dal 2021 importanti organizzazioni per i diritti umani, tra cui Human Rights Watch e Amnesty International, B’Tselem e molte altre hanno utilizzato il termine per descrivere Israele. Così hanno fatto molti accademici: secondo un recente sondaggio su studiosi del Medio Oriente membri di tre grandi associazioni accademiche, il 65% di quanti hanno risposto ha descritto la situazione in Israele e nei territori palestinesi come la “realtà di uno Stato unico con diseguaglianze simili all’apartheid.”

Oltre a ripetere fatti ben noti riguardo a come Israele ha creato un regime di supremazia ebraica, l’articolo di Foreign Affairs si distingue per l’enfasi sulle responsabilità di Washington e di altre potenze straniere per aver consentito la creazione di un regime di apartheid. Secondo gli autori, i principali alleati di Israele sono responsabili di un “pensiero magico”. Per decenni soprattutto gli USA hanno difeso l’appoggio a Israele sulla base di una pia illusione, credendo che Israele condividesse gli stessi valori dell’Occidente. “Gli Stati Uniti non hanno ‘valori condivisi’ e non dovrebbero avere ‘legami inscindibili’ con uno Stato che discrimina o prevarica su milioni di abitanti in base alla loro etnia e religione.” Gli autori sostengono che è difficile tenere insieme l’impegno nei confronti del liberalismo con l’appoggio a uno Stato che offre i benefici della democrazia agli ebrei, ma li toglie esplicitamente alla maggioranza dei suoi abitanti non-ebrei.

Mentre è diventato di moda accusare il primo ministro Benjamin Netanyahu dello spostamento di Israele verso l’apartheid, si sostiene che l’attuale situazione che garantisce la supremazia ebraica sulla Palestina storica è fortemente radicata nel pensiero e nella pratica sionista. Iniziò a conquistarsi sostenitori poco dopo l’occupazione israeliana dei territori palestinesi nel 1967. Gli autori affermano che, benché non sia ancora una “visione egemonica”, essa può essere plausibilmente descritta come condivisa dalla maggioranza della società israeliana e non più essere definita una posizione estremista. Vale la pena di tenere a mente che Netanyahu, il primo ministro israeliano più a lungo in carica, ha scritto che “Israele non è uno Stato di tutti i suoi cittadini”, ma piuttosto “del popolo ebraico, e solo questo.” Il leader del Likud è stato anche accusato di aver cancellato i palestinesi e la loro storia, un fatto che alcuni membri dell’attuale coalizione di governo appoggiano.

I sostenitori di Israele che rifiutano la situazione di uno Stato unico sono invitati a cambiare occhiali per poter vedere l’apartheid per quello che è. Gli alleati di Israele sono soliti fare una distinzione tra i territori occupati e Israele vero e proprio e a pensare che la sovranità israeliana sia limitata al territorio che controllava prima del 1967. A questo proposito gli autori sostengono che Stato e sovranità non sono la stessa cosa. “Lo Stato è definito da quello che controlla, mentre la sovranità dipende dal fatto che gli altri Stati riconoscano la legittimità di quel controllo.” L’errore consiste nel confondere le due cose senza comprendere che Israele come Stato controlla ogni palmo della Palestina, benché agli occhi della comunità internazionale lo Stato occupante non abbia diritto alla sovranità sul territorio.

Si consideri Israele attraverso le lenti di uno Stato. Ha il controllo sul territorio tra il fiume e il mare, ha il quasi totale monopolio dell’uso della forza, utilizza il proprio potere per mantenere un blocco draconiano di Gaza e controlla la Cisgiordania con un sistema di posti di blocco, il mantenimento dell’ordine pubblico e l’espansione delle colonie,” affermano gli autori, chiarendo la distinzione rispetto alla sovranità. Spiegando come Israele sia stato in grado di sfruttare la situazione, l’articolo sostiene che “non formalizzando la sovranità, Israele può essere democratico per i suoi cittadini, ma non responsabile nei confronti di milioni di suoi abitanti.” Secondo gli autori questa situazione ha consentito a molti sostenitori di Israele di continuare a fingere che tutto ciò sia temporaneo, che Israele continui a essere una democrazia e che un giorno i palestinesi eserciteranno il loro diritto all’autodeterminazione.

Per quanto le politiche USA abbiano contribuito a rafforzare la situazione dello Stato unico, la normalizzazione con gli Stati arabi in base agli accordi di Abramo ha ulteriormente cementato il sistema di apartheid israeliano. La tradizionale posizione araba era che la normalizzazione sarebbe stata offerta in cambio del completo ritiro israeliano dai territori occupati. Il punto di partenza per i negoziati era che la pace con il mondo arabo avrebbe richiesto una soluzione del problema palestinese. Gli accordi di Abramo hanno rifiutato questo assunto e in cambio hanno premiato Israele per le sue pratiche di colonialismo di insediamento. “Separare la normalizzazione con gli arabi dalla questione palestinese ha avuto un impatto notevole per il rafforzamento della situazione di uno Stato unico.”

Ammonendo i poteri autoritari del Medio Oriente, gli autori spiegano efficacemente che la questione palestinese ha una grande risonanza tra la popolazione araba. “I governanti arabi possono non interessarsi dei palestinesi, ma il loro popolo lo fa, e quei governanti non si preoccupano di altro se non di mantenere il proprio potere.” Abbandonare totalmente i palestinesi dopo più di mezzo secolo di un appoggio quanto meno a parole rappresenterebbe un rischio per la loro autorità. “I dirigenti arabi non temono di perdere le elezioni, ma ricordano fin troppo bene le rivolte arabe del 2011,” affermano gli autori, sostenendo che abbandonare la causa palestinese potrebbe innescare una rivolta popolare.

Dopo aver elencato i passi concreti che dovrebbero essere intrapresi, gli autori affermano che i decisori politici e gli analisti che ignorano la realtà dello Stato unico saranno condannati al fallimento e all’irrilevanza, non facendo molto più che fornire una cortina fumogena per il rafforzamento dello status quo. Per porre fine alla profonda complicità di Washington nel creare una situazione di Stato unico, gli USA sono invitati a prendere misure “radicali”, tra cui l’imposizione di sanzioni contro Israele e, soprattutto, che l’Occidente guardi alle sue risposte all’invasione russa dell’Ucraina come un modello per difendere le leggi internazionali e il sistema basato sulle regole che sostiene di difendere.

Le opinioni espresse nell’articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Il Comitato delle Chiese: l’attacco di Israele contro i cristiani è una ‘violazione’ del diritto internazionale

Redazione di MEMO

17 aprile 2023 – Middle East Monitor

Ieri l’Alto Comitato Presidenziale delle Chiese ha condannato come una “violazione” del diritto internazionale l’attacco dello Stato di Israele contro frati, ecclesiastici e altri fedeli che hanno partecipato alle celebrazioni del Sabato Santo a Gerusalemme occupata.

Ramzi Khoury, il presidente del comitato, ha affermato che “per giorni, la polizia israeliana ha minacciato di imporre una chiusura della Città Santa e ha chiesto alle chiese di ridurre il numero dei partecipanti e di quanti erano autorizzati ad accedere alla chiesa del Santo Sepolcro.”

“Da questa mattina la polizia israeliana ha trasformato la città in un accampamento militare e sono state installate delle barriere a tutte le entrate e attorno alla chiesa del Santo Sepolcro.”

Khoury ha sottolineato che Israele non tiene conto del diritto internazionale, che garantisce libertà di culto e una pratica dei rituali religiosi senza ostacoli.

Khoury ha affermato che “oggi [domenica] gli attacchi contro i cristiani avvengono nello stesso contesto degli attacchi contro i fedeli musulmani nella moschea di Al-Aqsa.”

“È diventato chiaro che il governo dell’occupazione israeliana non è preoccupato di ottenere la calma, ma invece è interessato ad accentuare la tensione e la violenza, usando tutti i mezzi a sua disposizione per provocare le reazioni emotive dei fedeli musulmani e cristiani”, ha aggiunto.

Khoury ha sollecitato la comunità internazionale e le istituzioni che si occupano di diritti umani a prendere al più presto provvedimenti contro la violazione da parte dello Stato di Israele dei luoghi santi e a porre fine ai crimini israeliani contro il popolo palestinese.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Cos’è la Giornata dei Prigionieri Palestinesi?

Maram Humaid

AlJazeera 17 aprile 2023

La ricorrenza, celebrata ogni anno il 17 aprile, è dedicata alla centralità dei prigionieri nella causa palestinese.

La Giornata dei Prigionieri Palestinesi viene commemorata ogni anno il 17 aprile, una data approvata dal Consiglio Nazionale Palestinese nel 1974 come giornata nazionale dedicata alla libertà dei prigionieri e al sostegno dei loro diritti.

La data è stata scelta poiché ricorda il rilascio del prigioniero Mahmoud Bakr Hijazi nel primo scambio di prigionieri tra palestinesi e Israele.

Alla fine del marzo 2008 il XX Vertice Arabo tenutosi nella capitale siriana Damasco ha approvato l’adozione della giornata in tutti i paesi arabi, in solidarietà con i prigionieri palestinesi e arabi detenuti da Israele.

Secondo la Commissione Palestinese per i Detenuti e gli Ex-detenuti, in Israele sono attualmente trattenuti 4.900 prigionieri di cui 31 donne e 160 minori.

Tra loro anche i circa 1.000 detenuti sottoposti a detenzione amministrativa, il che significa che sono trattenuti senza processo e ogni “prova” a loro carico viene loro nascosta.

Ci sono anche più di 20 prigionieri arrestati prima della firma degli accordi di Oslo tra Israele e l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina nel 1993. Quello detenuto da più tempo è Muhammad al-Tus: dietro le sbarre dal 1985.

Da tempo i palestinesi criticano Israele per le condizioni delle sue prigioni. Secondo la Commissione, dal 1967 nelle carceri israeliane sono morte 236 persone e centinaia sono morti dopo il rilascio per malattie contratte mentre erano detenuti.

La sofferenza dei detenuti ammalati è una delle principali preoccupazioni umanitarie, con più di 700 detenuti affetti da varie malattie e almeno 24 che hanno il cancro e necessitano di assistenza sanitaria intensiva.

Arresti di quest’anno

L’anno scorso si sono registrati arresti quasi quotidiani nella Cisgiordania occupata e a Gerusalemme Est con l’intensificarsi dei raid di Israele.

Dall’inizio del 2023 sono stati registrati dalle organizzazioni dei detenuti 2.300 casi di arresti, di cui 350 minori provenienti in maggioranza da Gerusalemme e 40 fra donne e ragazze.

All’interno delle prigioni

Le associazioni per i diritti umani e le organizzazioni dei prigionieri affermano che le condizioni all’interno delle strutture israeliane sono molto dure. Vengono riportati il rifiuto delle visite, le torture psicologiche e fisiche e la negligenza medica, con i prigionieri malati impossibilitati a ricevere cure adeguate.

Dal 2021 è inoltre aumentata in modo significativo la misura di isolamento, con circa 35 prigionieri palestinesi ora in isolamento, compresi malati affetti da malattie croniche.

In passato il servizio penitenziario israeliano ha difeso il trattamento riservato ai prigionieri palestinesi affermando che le sue politiche sono pienamente legali.

Le autorità israeliane continuano a vietare le visite familiari per alcuni prigionieri, in particolare a quelli provenienti da Gaza.

Proteste dei prigionieri

Nel corso di febbraio e fino al 22 marzo i prigionieri palestinesi hanno portato avanti una serie di proteste contro le politiche carcerarie israeliane quando il ministro per la Sicurezza Nazionale di estrema destra Itamar Ben-Gvir ha annunciato una nuova serie di misure.

Queste misure hanno fortemente condizionato la vita dei palestinesi nelle carceri israeliane, anche limitando la quantità di acqua che possono usare, le ore in cui possono fare la doccia e il loro accesso al cibo.

La protesta alla fine si è conclusa quando i detenuti hanno raggiunto un accordo con il servizio penitenziario israeliano.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Sotto copertura in pieno giorno: raid militari israeliani nelle città della Cisgiordania

Ola Marshoud, Nablus, Palestina occupata

16 aprile 2023Middle East Eye

Soldati israeliani travestiti da palestinesi si infiltrano nei quartieri quando sono più affollati e li trasformano in campi di battaglia

Un tranquillo mercoledì mattina Allam Abdulhaq stava pulendo il suo piccolo negozio in Mreij Street a Nablus nella Cisgiordania occupata quando si è trovato nel mezzo di un violento raid israeliano clandestino.

Gli sono bastati pochi secondi perché si rendesse conto che un gruppo di addetti alle telecomunicazioni giunto nel suo quartiere pochi istanti prima era in realtà un’unità delle forze israeliane che si preparava ad arrestare il combattente palestinese Mohammed Hamdan.

Il raid del 22 marzo è avvenuto come parte di una serie di analoghe incursioni militari israeliane in varie città e quartieri della Cisgiordania con l’obiettivo di arrestare o assassinare dei ricercati combattenti della resistenza palestinese.

Molti di questi raid hanno provocato l’uccisione di diversi palestinesi in quella che dei funzionari palestinesi hanno descritto come una serie di “massacri”.

Con voce tremante Abdulhaq ha ricordato gli eventi di quella mattina.

“Ho visto due giovani vestiti come operai delle telecomunicazioni o dell’azienda elettrica. Portavano attrezzature e i loro indumenti erano impolverati e sporchi”, dice con voce tremante il cinquantacinquenne proprietario del negozio nel ricordare gli eventi di quella mattina.

“Uno di loro ha parlato con il suo collega in arabo e poi ha comprato una bottiglia d’acqua. Pochi istanti dopo è arrivata un’auto con una scala fissata sul tettuccio e ne sono scesi quattro uomini. Hanno chiesto ai due giovani: ‘Pronti?’. Hanno risposto: “Sì, pronti”.

“I quattro si sono poi diretti all’agenzia di consegne di fronte e gli altri due sono rimasti vicino al mio negozio”.

“Sono passati alcuni minuti prima che Hamdan uscisse di corsa dall’agenzia, inseguito dai quattro uomini che gli hanno puntato contro le pistole e gli hanno sparato iniziando poi a urlare e insultarlo con parole volgari“.

Mentre Abdulhaq osservava lo svolgersi dei fatti i due giovani gli hanno puntato le pistole alla tempia, costringendolo a voltare le spalle alla scena.

Tuttavia ha cercato di dare un’occhiata per vedere se Hamdan, che era stato colpito alla coscia, fosse ancora vivo.

“Pensavo che fosse un problema familiare o una sorta di litigio, fino a quando sono arrivati dei rinforzi militari su un autobus che trasportava agenti sotto copertura e soldati. Solo allora ho capito che quello che stava succedendo era un raid militare per arrestare un palestinese ricercato”, riferisce Abdulhaq a Middle East Eye.

Tre settimane dopo il raid Abdulhaq sembra trovarsi ancora sotto shock.

“Ero terrorizzato. Ho il diabete ed ero in pessime condizioni, quindi mio fratello, che è medico, ha chiamato un’ambulanza”, ricorda.

“Non posso dimenticare la voce di Mohammed Hamdan che gridava mentre veniva arrestato: ‘Salutate le mie figlie’. Non riesco a togliermelo dalla mente”.

Travestiti per assassinare

Dal 2021 l’esercito israeliano ha intensificato i suoi raid nelle città della Cisgiordania, dove le operazioni di arresti e assassinii sono solitamente condotte da forze speciali sotto copertura.

Dei soldati israeliani compaiono in un quartiere palestinese vestiti come gente del posto – anche travestiti da religiosi musulmani, operai, giornalisti o medici – per condurre operazioni militari altamente riservate.

Da allora le forze sotto copertura riescono ad entrare nelle città palestinesi utilizzando camion e veicoli che portano nomi di aziende e industrie alimentari palestinesi, o auto con targa palestinese.

Sorprendentemente la maggior parte delle incursioni sono condotte nelle ore di punta in mercati e quartieri sovraffollati, trasformandoli in campi di battaglia.

Un mese prima del raid sotto copertura a Nablus, il 22 febbraio le forze israeliane hanno preso d’assalto la città e ucciso 11 palestinesi.

Secondo i resoconti dei testimoni oculari i soldati israeliani sotto copertura sono entrati in un mercato affollato travestiti da rappresentanti del clero, portando tappetini da preghiera in cui tenevano nascoste le armi e si sono diretti alla Moschea Grand Salahi.

Le forze speciali hanno quindi lasciato la moschea e si sono spostate verso un edificio vicino dove si vociferava si trovassero dei combattenti palestinesi, prima di essere raggiunti da ingenti rinforzi militari.

La casa è stata posta sotto assedio e sono stati lanciati dei razzi contro l’edificio, mentre nelle vicinanze venivano avvistati dei cecchini israeliani.

Si è anche visto un elicottero militare israeliano sorvolare la città.

Sotto copertura in pieno giorno

Tre settimane dopo, il 16 marzo, è stato condotto un raid simile nella città di Jenin in Cisgiordania, anche se con alcune varianti.

In un affollato giovedì pomeriggio in via Abu Baker, dove il mercato centrale di Jenin è solitamente gremito di gente in vista del fine settimana, quattro uomini armati sono scesi da un veicolo e hanno aperto il fuoco contro la folla di acquirenti e pedoni, prendendo di mira due combattenti della resistenza palestinese.

I due uomini, identificati come Nidal Khazem, 28 anni, e Youssef Shreim, 29, avevano lasciato quel giorno il campo profughi di Jenin dove erano nascosti per recarsi da un barbiere e presso un negozio di dolciumi in città.

Si trovavano su una moto quando sono stati uccisi insieme ad altri due, di cui un ragazzo di 16 anni. Secondo il Ministero della Salute palestinese nel raid sono rimaste ferite anche altre ventitré persone.

“Tutti urlavano, piangevano e correvano ovunque. Donne e bambini erano terrorizzati, mentre gli uomini cercavano di proteggerci e di farci entrare nei negozi per evitare di essere colpite“, ha detto Sora Abu al-Rob, che quando si è verificato l’incidente stava uscendo da una clinica odontoiatrica.

“Ho deciso di rientrare nella clinica. Ho pensato che forse sarebbe stato più sicuro della strada. Ma la finestra della clinica si affacciava direttamente sul tetto dell’edificio di fronte, dove i combattenti della resistenza si nascondevano dietro i serbatoi d’acqua e si scontravano con le forze speciali.”

Abu al-Rob e altri pazienti della clinica si sono riparati dalla sparatoria in uno dei corridoi.

Prima della visita Abu al-Rob aveva incontrato degli amici che non vedeva da sette mesi.

“Abbiamo camminato per i quartieri della città e abbiamo parlato di quanto la amiamo e del senso di familiarità che proviamo nel viverci. Ma questa familiarità è svanita in un batter d’occhio e si è trasformata in paura e orrore”, ricorda.

“[Quando è iniziata la sparatoria] ho provato a contattare i miei amici per assicurarmi che stessero bene, ma non ci sono riuscita”, dice.

“I raid [militari] non sono una novità per il popolo palestinese, ma di solito sono condotti alla periferia delle città e dei quartieri.

“Ciò che ha reso orribile quella circostanza è il fatto che sia successo all’interno di un mercato sovraffollato”.

In seguito all’incidente Abu al-Rob ha dichiarato in un post su Facebook: “Questa è una scena a cui non ci possiamo abituare, non importa quante volte si verifichi. Queste voci di dolore non scompaiono con il tempo. Questo enorme senso di perdita non svanisce con il tempo. Piuttosto genera paura, odio, sete di vendetta, e forse… un po’ di speranza.”

Sei un palestinese: sei un bersaglio

Non appena inizia un raid Mohammed Ordonia, allenatore di calcio e fotografo, indossa la sua divisa da paramedico e si precipita nel campo per curare i feriti.

Ordonia afferma che in tali occasioni lui e i suoi colleghi paramedici “dimenticano la paura” poiché la loro prima preoccupazione e priorità diventa “salvare vite”.

Il paramedico di 28 anni e molti suoi colleghi, che fanno parte di una squadra di soccorso medico di 25 persone, erano presenti nell’area di Bab al-Saha a Nablus il giorno del raid del 22 febbraio.

“Ci siamo distribuiti in più aree per assicurarci di poter intervenire in caso di ferimenti nelle aree degli scontri”, riferisce Ordonia a MEE.

“Abbiamo curato un gran numero di ferite causate da proiettili veri, proiettili di gomma e lacrimogeni”.

Ordonia afferma che durante i raid militari le forze israeliane non fanno differenza tra paramedici, civili e combattenti della resistenza.

“Sei un palestinese: sei un bersaglio. I paramedici si trovano sempre nell’elenco degli obiettivi dell’occupazione”, aggiunge.

A dicembre il suo collega paramedico Hamza Abu Hajar è stato gravemente ferito al fegato e alla milza mentre cercava di curare un palestinese ferito.

“Non smetto di pensare cosa succederebbe se un giorno fossi al suo posto”, dice Ordonia. “Ma una volta che riceviamo la chiamata a salvare i feriti e nel momento in cui indosso la divisa da paramedico faccio le abluzioni e prego, quindi mi precipito sul campo. In quel momento, questi pensieri cessano e mi dimentico della morte.”

In molti casi, le ambulanze sono prese di mira dai colpi di arma da fuoco israeliani o viene loro impedito di evacuare i feriti e raggiungere gli ospedali.

“Molti dei feriti arrivano in auto private piuttosto che in ambulanze. In tal caso i giovani del Campo, che resistono anchessi all’occupazione, lavorano come paramedici”, ha detto Nawal Anboussi, addetta alle pubbliche relazioni presso l’Ibn Sina Hospital, adiacente al Campo Profughi di Jenin.

Le conseguenze del lutto

Durante i raid, lontano dagli scontri per le strade, negli ospedali si svolge un altro tipo di combattimento.

“Non appena inizia il raid l’ospedale vicino al luogo dell’incidente si prepara a ricevere i feriti. I medici di tutti i reparti sono chiamati ad assicurarsi di essere completamente attrezzati per ricevere e curare tutte le ferite, lavorando instancabilmente per salvare vite umane”. afferma Anboussi.

I pronto soccorso si affollano di vittime e famigliari che si precipitano negli ospedali per vedere se tra le vittime figurano i loro figli e se sono vivi.

I feriti arrivano uno dopo l’altro, lasciando i medici esausti nel tentativo di salvare i feriti gravi. Le loro voci si sentono echeggiare in tutto l’ospedale, mentre invocano donazioni di sangue o chiedono agli infermieri di trasferire i feriti nelle sale operatorie o nelle unità di terapia intensiva.

“I parenti dei feriti aspettano al pronto soccorso senza sapere se i loro padri, fratelli o figli sopravviveranno. Ma la scena più dura che ho vissuto è stata quando ho confortato la madre di un giovane gravemente ferito, dicendole che sarebbe sopravvissuto, per poi apprendere, dieci minuti più tardi, che era morto”, ricorda Anboussi.

Sono solo pochi attimi tra la speranza di sopravvivere e la paura della perdita.”

L’anno scorso Anboussi ha preso parte alla cerimonia funebre della giornalista palestinese Shireen Abu Akleh dopo il suo assassinio da parte delle forze israeliane, un’esperienza che ancora non riesce a credere di aver vissuto.

Ero rimasta scioccata da quello che è successo, e mentre la stavo avvolgendo con il sudario, non riuscivo ancora a crederci. Tutti quelli che mi hanno visto quel giorno mi hanno detto che sembrava che fossi malata.”

Dopo ogni raid militare e il ritiro delle forze speciali i medici continuano a fare del loro meglio per salvare i feriti, mentre i morti vengono pianti e seppelliti.

L’intera città di solito cade in uno stato di profondo dolore e i negozi chiudono mentre la maggior parte delle città della Cisgiordania rispetta uno sciopero generale.

Per i combattenti della resistenza uccisi durante gli scontri con le forze israeliane si tengono funerali militari per onorare la loro lotta contro l’occupazione, e decine di residenti scendono in piazza per partecipare ai funerali, cantando per la Palestina e le vittime e minacciando ritorsioni contro l’occupazione israeliana.

(Traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Cibo o medicine? Una scelta tragica a Gaza.

Ola Mousa

14 aprile 2023-The Electronic Intifada

Amal Bahar ha dovuto aspettare tre mesi prima di poter vedere un medico nel reparto otorinolaringoiatria dell’ospedale al-Shifa di Gaza City.

Per tutto quel tempo ha avuto l’acufene.

“Ho un formicolio costante nell’orecchio”, ha detto. “A volte, il dolore diventa acuto e si trasforma in mal di testa.”

Il dolore, ha osservato, può essere particolarmente acuto la sera.

Poiché al-Shifa è un’istituzione pubblica, alla fine Amal ha potuto consultare un medico gratuitamente. Tuttavia, poiché le risorse dell’ospedale sono limitate e molto richieste, c’è voluto molto tempo prima che potesse ottenere un appuntamento.

Avrebbe potuto ricevere cure prima se avesse avuto un reddito più elevato. Tuttavia sia Amal, 50 anni, che suo marito Wael, 55 anni, sono disoccupati, e lei non può permettersi di pagare.

La coppia fa affidamento sul sussidio di invalidità che Wael riceve dall’Autorità nazionale palestinese. Ammonta a circa $ 110 al mese.

Lui ha avuto un incidente in un cantiere dove lavorava due anni fa. Di conseguenza, la sua gamba destra ha subito gravi lesioni.

Amal dovrebbe pagare circa $ 22 per un consulto con uno specialista in una clinica privata. Ha anche bisogno di acquistare medicine dalle farmacie, il che può costarle circa $ 40 a settimana.

Le loro terribili circostanze economiche hanno fatto sì che Wael, Amal e i loro quattro figli abbiano dovuto fare a meno di molte qualità di cibo. Non hanno mangiato carne negli ultimi 18 mesi.

La povertà sta distruggendo la mia famiglia”, dice Amal. “E la mia malattia e tutto lo stress della mia vita stanno distruggendo la mia salute.”

Il blocco totale di Gaza – imposto da Israele dal 2007 – ha causato grossi problemi al sistema sanitario.

Le scorte di medicinali essenziali sono da lungo tempo gravemente carenti.

E i farmaci disponibili possono essere “più cari rispetto ai paesi vicini”, ha osservato Hussam al-Ladgha, un farmacista locale. L’importazione di medicinali da Israele e dall’Egitto è onerosa e costosa, ha spiegato.

Si lotta per il cibo

Muhammad Salem, 49 anni, soffre di mal di schiena cronico. Negli ultimi sette mesi ha aspettato un’operazione.

Gli è stato consigliato un certo numero di medicinali per alleviare le sue condizioni. Il costo totale per i farmaci è di oltre $ 20 a settimana.

Disoccupato da sette anni, Salem non può permettersi quella cifra.

Inoltre non può pagare gli onorari richiesti da molti medici. Mentre i medici che può vedere gratuitamente negli ospedali pubblici di solito sono oberati di lavoro

A volte è arrivato in ospedale per appuntamenti la mattina presto, ma ha dovuto aspettare fino al pomeriggio prima che un medico potesse vederlo.

“Soffro molto ogni giorno”, ha detto. “E trovo difficile dormire. Sono sempre in ansia”.

Le vittime della brutalità di Israele spesso devono accontentarsi di un trattamento inadeguato.

Muhammad Diab, che ora ha 34 anni, è stato colpito alla gamba sinistra da un cecchino israeliano nel maggio 2018. Stava partecipando alla Grande Marcia del Ritorno – proteste per chiedere che ai palestinesi fosse permesso di realizzare i loro diritti umani fondamentali.

Diab ha subito una serie di operazioni. Ha subito varie complicazioni, inclusa un’infezione alla gamba.

Dato che avrebbe bisogno di una sostituzione della rotula, dovrebbe vedere i medici regolarmente. Tuttavia, poiché non può permettersi di pagare le spese mediche, può fare gli esami medici solo una volta ogni due mesi.

Afferma che gli antidolorifici che riceve non forniscono un sollievo efficace.

“Sono disoccupato e ho tre figli”, prosegue. “Prima del mio infortunio [nel 2018], ero un operaio edile. Oggi sono ferito e povero e devo contare sull’aiuto dei miei fratelli. Non posso pagare per le cure di cui ho bisogno”.

Secondo gli ultimi dati ufficiali circa il 44% delle persone di età pari o superiore a 15 anni a Gaza sono disoccupate. Circa l’80% dei due milioni di abitanti di Gaza dipende dagli aiuti umanitari.

Il dottor Shawqi al-Baba, un chirurgo ortopedico, rileva che molte persone a Gaza non ottengono dei controlli clinici adeguati per i loro problemi medici perché non possono pagare gli onorari. È noto che i problemi di salute peggiorano di conseguenza.

“Per i poveri di Gaza andare da un dottore è spesso l’ultima risorsa”, ha detto. “La lotta principale qui è per il cibo.”

Zuhair Saad, 50 anni, fa eco a questa affermazione. Ha il diabete e la pressione alta, ma raramente va dal dottore.

Afferma: “Sono disoccupato da 10 anni e ho tre figli disoccupati”. “Per i poveri di Gaza recarsi in cliniche e acquistare medicinali è un carico aggiuntivo. Già dobbiamo affrontare una battaglia quotidiana per trovare cibo”.

Ola Mousa è un’artista e scrittrice di Gaza.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Le giustificazioni di Israele per la fucilazione – che l’Occidente si beve

Maureen Clare Murphy

The Electronic Intifada 14 Aprile 2023

Yusif Abu Jaber è stato seppellito martedì e la sua famiglia chiede risposte sulle circostanze della sua morte.

Le autorità israeliane affermano che venerdì scorso il cittadino palestinese dello Stato (di Israele) ha diretto intenzionalmente l’auto contro un gruppo di turisti sulla passeggiata a mare di Jaffa, uccidendo un italiano, prima di essere ucciso dal fuoco della polizia.

La polizia dice che, dopo che la sua auto si è ribaltata, è sembrato che Abu Jaber afferrasse un “oggetto simile a un fucile”, che in seguito ha ammesso essere una pistola giocattolo.

I famigliari di Abu Jaber vogliono che Israele consegni le riprese della videocamera registrate dagli agenti che hanno ucciso il padre di sei ragazze. Segnalano che Israele non ha pubblicato foto della pistola giocattolo che Abu Jaber avrebbe afferrato.

Una prima autopsia eseguita dall’Istituto di Israele di Medicina Legale ha stabilito che il quarantacinquenne ha avuto un ictus. I media israeliani, rimettendosi alla polizia segreta dello Shin Bet israeliano (servizi segreti interni, ndtr.), hanno riferito che questi risultati preliminari rafforzano “i sospetti che si trattasse di un attacco terroristico”, anche se dovrebbe essere necessario un esame ulteriore per accertare altre cause della possibile perdita di controllo del veicolo da parte di Abu Jaber.

L’Istituto di Medicina Legale avrebbe concluso che Alessandro Parini, il turista italiano, è stato ucciso dalla violenza dell’impatto e non ha riscontrato che sia stato ferito da arma da fuoco.

La polizia israeliana ha concluso che Abu Jaber ha investito intenzionalmente le persone con la sua auto.

E’entrato ad alta velocità nell’area della passeggiata ed ha guidato tra i blocchi di cemento per raggiungere la pista ciclabile e colpire più persone possibile”, ha detto al giornale Haaretz di Tel Aviv un alto funzionario. Dopo aver investito un primo gruppo di persone Abu Jaber “ha continuato ad accelerare investendo un altro gruppo.”

Il funzionario ha detto che dopo che l’auto di Abu Jaber si è ribaltata lui è uscito dal veicolo impugnando una pistola giocattolo. Dopo che gli hanno sparato e l’oggetto gli è caduto di mano, “ha cercato di afferrare nuovamente la pistola giocattolo, dimostrando di voler morire”, riferisce Haaretz.

La polizia israeliana ha confermato quella conclusione. In un video degli spari a Abu Jaber fatto da un passante si sente qualcuno ordinare in ebraico di dare conferma dell’uccisione.

Riecheggiando ciò che le associazioni per i diritti umani sostengono da anni, Omar Abu Jaber, fratello del guidatore ucciso, ha detto: “Il poliziotto che gli ha sparato uccidendolo ha assunto il ruolo di accusatore e giudice e lo ha condannato direttamente sul campo.”

Omar Abu Jaber ha detto che suo fratello avrebbe potuto essere arrestato da vivo ed ha sottolineato che la polizia e il Servizio nazionale di pronto soccorso israeliano Magen David Adom hanno modificato più volte la loro versione dei fatti.

Problema di credibilità della polizia israeliana

Sami Abou Shahadeh, un deputato palestinese del parlamento israeliano, ha richiesto un’indagine indipendente.

Tuttavia media internazionali, diplomatici e persino funzionari ONU hanno velocemente accettato le affermazioni della polizia israeliana sull’episodio dell’evidente esecuzione sommaria di un palestinese.

In una dichiarazione rilasciata giovedì, esperti indipendenti di diritti umani dell’ONU hanno riportato l’incidente di Jaffa con dei giri di parole. Gli esperti fanno riferimento a “attacchi mortali contro israeliani e civili internazionali”, chiedendo un’azione internazionale per bloccare il trasferimento forzato da parte di Israele dei palestinesi di Gerusalemme.

Le affermazioni della polizia israeliana dovrebbero invece essere trattate con scetticismo, data la lunga consuetudine di dare copertura a morti ingiustificate per mano dei suoi agenti.

Giovedì il procuratore di Stato di Israele ha chiuso una indagine di routine sulla sparatoria mortale della polizia contro un cittadino palestinese di Israele sulla spianata della moschea di al-Aqsa nella Città Vecchia di Gerusalemme all’inizio di aprile.

La polizia sostiene che Muhammad al-Asibi, uno studente di medicina, aveva afferrato il fucile di un poliziotto e sparato due volte, prima di essere ucciso.

Testimoni oculari hanno confutato la versione della polizia e persino degli ex poliziotti hanno espresso dei dubbi sull’affermazione che l’incidente non fosse stato ripreso da una videocamera in un’area altamente sorvegliata.

Un sorvegliante della moschea di al-Aqsa che è stato testimone degli spari ad al-Asibi ha detto che la polizia aveva sequestrato il suo cellulare e che era stato interrogato dallo Shin Bet a scopo di intimidazione.

Gideon Levy, un giornalista di Haaretz, nota che “in una registrazione audio della scena si sentono sparare 12 colpi in rapida successione in circa tre secondi”, nonostante la polizia affermi che ci fosse stata una lotta prima dei colpi iniziali presumibilmente sparati da al-Asibi e di quelli che lo hanno ucciso.

Oltre all’assenza di pause tra i colpi uditi nella registrazione, secondo Levy “è anche sconcertante il fatto che 12 pallottole abbiano colpito Mohammed, la maggior parte delle quali sparate da un secondo poliziotto, senza che nessuna di esse abbia colpito il poliziotto che avrebbe lottato con al-Asibi.”

Ahmad Tibi, un deputato palestinese nel parlamento israeliano, ha sottolineato che la polizia israeliana è pronta a diffondere filmati quando sostiene che qualcuno ha attaccato un agente.

Conosco bene la zona, ci sono cinque videocamere di registrazione ed ogni poliziotto ha una videocamera”, ha detto Tibi.

Sospettiamo che la polizia abbia coordinato i suoi testimoni. Dicono esattamente le stesse cose e questo desta veramente dei sospetti.”

Insabbiamenti e diffamazioni della polizia

Tibi ha paragonato l’uccisione di Abu Jaber a quella di Yaqoub Abu al-Qiyan e Iyad Hallaq.

In entrambi quei casi la polizia sostenne di aver ucciso qualcuno che stava compiendo o intendeva compiere un attacco, con il capo della polizia e l’allora Ministro della Pubblica Sicurezza che arrivarono a calunniare Abu al-Qiyan come terrorista dello Stato Islamico.

Anni dopo un’inchiesta indipendente rivelò una massiccia copertura dell’uccisione nel 2017 di Abu al-Qiyan durante un’azione di demolizione, anche se lo Shin Bet concluse due giorni dopo il fatto che “non vi era prova o indicazione di un attacco terroristico”, come riportato da Haaretz.

Il procuratore di Stato di Israele nel 2018 archiviò l’inchiesta sulla sua uccisione e nessuno venne indicato responsabile della morte dell’insegnante di matematica.

Un ex agente di polizia ammise in un’intervista televisiva lo scorso anno che il dipartimento investigativo ricevette pressioni dai livelli superiori per chiudere l’indagine sull’uccisione di Abu al-Qiyan.

Adalah, un’associazione che difende i diritti dei palestinesi in Israele, ha detto che quell’ammissione dimostra che gli apparati dello Stato “applicano una consolidata politica di completa immunità quando dei palestinesi vengono uccisi o feriti dalla polizia o dall’esercito di Israele.”

L’agente che ha ucciso Iyad Hallaq, un palestinese affetto da autismo ammazzato mentre andava a scuola a Gerusalemme nel 2020, è attualmente sotto processo per omicidio colposo.

Nonostante l’apparente attribuzione di responsabilità, l’agente, il cui nome non è stato reso noto, gode dell’appoggio del capo della polizia israeliana Kobi Shabtai. E nonostante sia sotto processo ha ricevuto di fatto una promozione.

Come al-Asibi e Abu Jaber, Hallaq è stato ucciso durante il Ramadan, quando l’esercito e la polizia israeliana sono in massima allerta.

E similmente al caso di al-Asibi, Israele sostiene che tutte le 10 videocamere della zona erano in qualche modo non funzionanti nel periodo in cui Hallaq venne ucciso dalla polizia mentre il suo accompagnatore li implorava di fermarsi.

I genitori di Hallaq dissero che il loro figlio spesso registrava le sue camminate verso e dalla scuola con il suo cellulare, che fu restituito alla famiglia con il contenuto cancellato, secondo Haaretz.

Ci sono forti motivi per credere che le autorità israeliane stiano occultando le prove, ha detto il legale della famiglia Hallaq.

Gli agenti “sospettarono che Hallaq fosse un terrorista perché si era fermato diverse volte guardandosi indietro mentre camminava”, ha riferito Haaretz.

Quanto al poliziotto che uccise Hallaq, “quando mi hanno detto che era affetto da problemi sono rimasto scioccato”, disse in tribunale. “Sul momento ciò che sapevo era che lui era un terrorista.”

Il processo al killer di Hallaq è un’eccezione alla “totale impunità di Israele nei confronti delle sue forze militari e di polizia, come anche dei vigilanti civili ebrei israeliani, quando dei palestinesi vengono uccisi e feriti”, secondo quanto detto da Adalah.

L’organizzazione nota che Israele non ha attribuito la responsabilità alle sue forze per l’uccisione di 13 palestinesi – tutti cittadini di Israele tranne uno – durante le proteste nell’ottobre 2000, mentre “i capi politici e delle forze dell’ordine … incitavano insistentemente contro i palestinesi cittadini dello Stato.”

Il governo di estrema destra di Benjamin Netanyahu intende ristrutturare le forze di polizia e allentare ulteriormente le regole d’ingaggio, codificando al contempo la politica di quasi totale impunità.

I campioni di verità e giustizia dovrebbero pensarci due volte prima di ripetere a pappagallo le asserzioni di Israele riguardo a palestinesi uccisi dalle sue forze.

Maureen Clare Murphy è caporedattrice di The Electronic Intifada.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Gli ebrei fondamentalisti sono più pericolosi di quelli laici? Chiedetelo alle loro vittime palestinesi

Joseph Massad

12 aprile 2023 – Middle East Eye

Non c’è nulla di quello che hanno chiesto gli ebrei sionisti fondamentalisti che i sionisti laici non abbiano già promesso o propugnato.

Per decenni i sionisti laici e persino gli antisionisti ci hanno messo in guardia contro il pericolo del fondamentalismo sionista ebraico. Le loro voci sono diventate più aspre negli ultimi mesi con la salita al potere del governo di destra di Benjamin Netanyahu, che include il maggior numero di ebrei fondamentalisti di sempre in un gabinetto israeliano.

La maggior parte dei laici sionisti pensa che gli ebrei fondamentalisti siano molto pericolosi per gli ebrei israeliani, altri che lo siano anche per i palestinesi, mentre alcuni, inclusi gli antisionisti laici, sostengono che sono una minaccia anche per tutto il mondo dei non ebrei.

Eppure sono sempre stati i sionisti laici a commettere i più orrendi massacri di palestinesi, che hanno conquistato e colonizzato le loro terre, discriminato gli ebrei mizrahi, [ebrei originari di Paesi arabi o musulmani, ndt.] che continuano ad essere amici di forze e regimi antisemiti in tutto il mondo, dall’Ungheria di Viktor Orbán e altri movimenti politici europei di destra ai fondamentalisti evangelici americani.

Sono i sionisti laici a continuare anche ad applicare in Israele la censura militare su tutti i media e che dal 1948 hanno continuato a governare il Paese con norme di emergenza. Sono i laici ad aver anche emanato le leggi razziste per cui Israele è tristemente noto.

Allora cosa rende gli ebrei sionisti fondamentalisti più pericolosi dei sionisti laici?

Il fondamentalismo laico

In realtà, molte delle disquisizioni fondamentaliste antiebraiche sono simili nei toni e nella faziosità agli scritti antimusulmani, per non parlare di quelli anti-islamisti, pubblicati dagli occidentali islamofobi e dai laici arabi e musulmani.

Sicuramente quello che i pamphlet fondamentalisti antiebraici hanno in comune con le tirate anti-musulmane e anti-islamiste è un impegno incondizionato al laicismo liberale dei bianchi protestanti europei usato come il principale punto di riferimento “illuminato” con cui islam, islamismo ed ebraismo fondamentalista (se non proprio l’ebraismo stesso) sono sempre paragonati e che lascia indietro tutti gli altri.

Un esempio rilevante è la lunga intervista che il quotidiano israeliano Haaretz ha pubblicato un paio di settimane fa sull’influenza di Yitzchak Ginsburgh, rabbino americano fondamentalista di origini israeliane. L’intervista è condotta da Motti Inbari, formatosi in Israele e ora docente di religione negli USA, studioso di Ginsburgh e del suo movimento. Da sionista laico Inbari avverte i suoi lettori che Ginsburgh vorrebbe trasformare Israele in un “Iran”, poiché cercherebbe di:“sradicare lo spirito sionista laico e di rovesciare il governo per poter instaurare un regime basato sulla Torah. La Corte Suprema, con le sue decisioni criminali, deve essere annientata. Non c’è bisogno di annientare l’esercito, non deve essere annientato, basta sottometterlo. In questo contesto è importante stabilire dei paragoni e va detto esplicitamente: l’ISIS e Al-Qaida la pensano allo stesso modo.”

Inbari aggiunge che Ginsburgh è pericoloso anche per i palestinesi e gli altri non-ebrei poiché crede che “il sangue ebraico valga più di quello dei gentili”, e che “gli ebrei siano al di sopra della natura e di conseguenza, nel caso in cui un gentile intenda uccidere un ebreo, il gentile deve essere liquidato per proteggere l’ebreo”.

Questi non sono affatto avvertimenti nuovi. In un libro pubblicato trent’anni fa sul fondamentalismo ebraico in Israele, Ian Lustick, lo studioso americano di scienze politiche filoisraeliano che si oppose all’occupazione del 1967 e sostenitore di negoziati per la pace, affermava che “il sistema di valori” degli ebrei fondamentalisti era “radicalmente diverso dall’ethos liberale umanitario condiviso dalla maggioranza di israeliani e americani”.

Lustick identificava i fondamentalisti come “l’ostacolo maggiore” a quello che lui definiva “negoziati seri”.  Egli sosteneva che, a differenza degli ebrei laici che si opporrebbero alla “pace” basandosi sulla “sicurezza”, i fondamentalisti lo fanno basandosi sull’”ideologia”. Sembrerebbe che i sionisti laici non abbiano un’ideologia a guidarli.

Lustick, preoccupato che le relazioni degli USA con Israele si sarebbero indebolite se al potere in Israele fosse andato il fondamentalismo ebraico, avvertiva che tale regime fondamentalista “avrebbe distrutto la relazione speciale con gli Stati Uniti” che si basa sulla “percezione di scopi etici, politici e culturali comuni”.

Questo Israele fondamentalista che possiede “un ampio e sofisticato arsenale nucleare”, concludeva Lustick, sarebbe una minaccia per gli interessi USA quanto la “rivoluzione islamica in Iran”.

L’adesione di Lustick e Inbari alla propaganda ufficiale USA riguardo al fatto che la struttura dello Stato iraniano sia “fondamentalista” o che costituisca una minaccia per gli USA, non viene messa in discussione, motivo per cui gli ebrei fondamentalisti sono paragonati da entrambi all’Iran, il peggior spauracchio dei laici occidentali.

Più pericoloso?

Per non essere da meno il defunto Shahak, attivista antisionista israeliano, è stato ancora più diretto nei suoi disperati attacchi anti-fondamentalisti. In un libro sull’argomento del 1999 di cui fu coautore aveva annunciato che gli ebrei fondamentalisti sono un pericolo non solo per i palestinesi, ma per “tutti i non ebrei “.    

Shahak, allo stesso modo di Inbari più recentemente, ha spiegato come il giudaismo fondamentalista consideri gli ebrei unici, per razza e genetica, con sangue ebraico speciale e DNA ebraico che quindi rendono la vita ebraica speciale e di maggior valore della vita dei non ebrei. Mentre Shahak era al corrente del razzismo laico sionista anti-arabo, radicato nel razzismo laico europeo, non è chiaro perché egli rappresenti il razzismo dei fondamentalisti ebrei come in un certo modo più pericoloso per palestinesi o altri gentili.

Inoltre Shahak si era spinto ad attribuire il razzismo laico sionista all’ebraismo stesso e non al razzismo laico europeo. Perciò l’atteggiamento suprematista ebraico prevalente fra i fondamentalisti, ci viene detto, è percolato nel sistema di pensiero degli ebrei laici al punto che i manifestanti israeliani contro il coinvolgimento militare israeliano in Libano non avevano mai citato i morti libanesi.

Ma tale omissione può essere spiegata in modo adeguato solo dal fondamentalismo ebraico? Negli USA, per esempio, si fa spesso riferimento ai circa 58.000 soldati americani uccisi in Vietnam senza citare gli oltre tre milioni di indocinesi uccisi dai soldati americani.

Quindi sarebbe anche colpevole non solo il fondamentalismo ebraico che privilegia le vite degli ebrei, ma anche un nazionalismo razzista laico e sciovinista che privilegia la vita dei bianchi europei, in vesti sioniste in Israele e camuffato da anticomunista e anti-asiatico negli USA a danno delle vite dei non-bianchi?     

Fin dall’inizio le opinioni di Shahak, simili a quelle di Lustick e Inbari, si basano su una griglia di paragoni fra l’ebraismo fondamentalista, da un lato e l’Europa protestante laica liberale e i suoi imitatori laici israeliani dall’altro. È all’interno di questo schema mentale che molti autori simili raccontano le loro storie di uno spaventoso fondamentalismo ebraico.

Il libro di Shahak continua come la maggioranza dei più recenti pamphlet occidentali sull’islamismo che esotizzano i musulmani e l’Islam per poi proseguire tirando le conclusioni più oltraggiose su di loro.

Ovviamente la differenza principale è che, a differenza degli esperti anti-Islam che fanno parte della propaganda egemonica occidentale contro i musulmani, il libro di Shahak sfida la riscrittura sionista egemonica e distorta della storia ebraica. Ciò che il libro condivide con i molti scritti anti-Islam è però la valutazione positiva a priori dell’Occidente protestante progressista e laico.

Shahak arriva al punto di affermare: “Le tensioni fra israeliani fondamentalisti e laici, perciò, derivano per la maggior parte dal fatto che questi due gruppi vivono in periodi temporali diversi”.

Tali rappresentazioni evoluzioniste e di darwinismo sociale sono caratteristiche di molti autori occidentali e di alcuni musulmani che scrivono sull’Islam e in generale sul Terzo mondo.

Razzismo ‘illuminato’

Il laico Shahak confonde devozione religiosa con fondamentalismo. A differenza dei laici ashkenaziti [discendenti degli ebrei provenienti dall’Europa centrale e orientale, ndt.] che sull’argomento dell’ebraismo e dell’autorità rabbinica sono rappresentati come “illuminati”, ci viene rifilata la descrizione paternalistica secondo cui “quasi tutti i politici [ebrei] orientali, incluse le Pantere Nere [gruppo di ebrei sefarditi che lottava contro il razzismo dell’élite ashkenazita e cercava un’alleanza con i palestinesi, ndt.] degli inizi degli anni ’70 e i membri dei minuscoli movimenti per la pace degli ebrei orientali, normalmente si inchinano e baciano le mani dei rabbini in pubblico”.

A parte la somiglianza tra questi pii gesti di questi non-fondamentalisti con i pii gesti con cui i pii musulmani arabi e cristiani trattano il loro clero, in Shahak questo panico orientalista è accostato alla descrizione dei movimenti per la pace mizrahi come “minuscoli” (come storicamente infatti sono stati), a suggerire che i movimenti per la “pace” ashkenaziti costituiscano movimenti popolari di massa (cosa che non sono mai stati).

Shahak aveva per lungo tempo predetto una guerra civile in Israele che non si è mai materializzata durante la sua vita. In questo libro aveva da fare previsioni ancora più allarmanti : “Non è irragionevole presumere che, se avesse il potere e il controllo, (il movimento dei coloni ebrei fondamentalisti) Gush Emunim userebbe armi nucleari in guerra per tentare di raggiungere i suoi scopi.”

Questo corrisponde esattamente alla propaganda USA sugli islamisti e alla presunta prontezza degli Stati “canaglia” a usare contro l’Occidente armi nucleari che non hanno, a differenza di Israele, specialmente perché, come Shahak ci spiega in gran dettaglio, i gentili non includono solo gli arabi, ma “tutti i non ebrei”.

In questo racconto manca il fatto che i primi ministri israeliani Levi Eshkol e Golda Meir, sionisti laici, nel 1967 e 1973 stavano per usare armi nucleari contro Egitto e Siria. Shahak, che ha scritto della potenzialità nucleare di Israele, certamente era a conoscenza di questi fatti.

Il punto non è che Gush Emunim negli anni ’90 o i fondamentalisti ebrei di oggi non userebbero armi nucleari (che Israele ha in abbondanza), ma che non le userebbero solamente basandosi sulla propria interpretazione fondamentalista dell’ebraismo, ma sulle convinzioni sioniste che caratterizzano in primo luogo la loro idea di ebraismo.

La cosa più straordinaria è che Shahak, Lustick e Inbari non vedano il colonialista fondamentalista ebreo-americano Baruch Goldstein che nel 1994 ha massacrato i palestinesi alla moschea al-Ibrahimi in occasione della festa di Purim, nel contesto di un sionismo laico razzista e colonialista e della miriade di massacri di palestinesi dagli anni ’30, ma piuttosto come parte di un impegno fondamentalista ebraico.  

Per contestualizzare il massacro, Shahak, per esempio, parla persino di “casi ben documentati di [ebrei che hanno commesso] massacri di cristiani e crocifissioni parodistiche di Gesù in occasione del Purim, la maggior parte avvenuta nel periodo tardoantico o nel Medioevo”.

Tuttavia, a differenza di tali eventi, massacri di palestinesi da parte di sionisti e israeliani laici sono continui e, piuttosto di alcune pratiche ebraiche medievali, offrono esempi più recenti da emulare per gente come Goldstein. Invocando alcuni esempi di uccisioni di cristiani da parte di ebrei durante il Purim, l’antisionista Shahak involontariamente discolpa il sionismo laico.

A oggi non c’è nulla che gli ebrei sionisti fondamentalisti chiedano che non sia stato già commesso o invocato dal sionismo laico. Probabilmente questo è stato espresso al meglio dal ministro della Sicurezza Nazionale di Israele, l’ebreo fondamentalista Itamar Ben Gvir nel 1994. quando era giovane.

In un’intervista rimproverava i suoi ipocriti interlocutori ebrei, laici di sinistra, che lo accusavano di sostenere i massacri per aver difeso Goldstein.

Alle loro urla di orrore, Ben Gvir astutamente e con sincera onestà ricordò ai suoi accusatori laici che tutti gli eroi dell’esercito israeliano e dell’Haganah, la milizia sionista precedente all’insediamento dello Stato, erano tali perché avevano assassinato dei palestinesi. Non si sbagliava.

Per quanto riguarda l’attuale campagna di propaganda, secondo cui gli ebrei fondamentalisti sono in un certo senso più pericolosi o violenti o sanguinari dei laici, basta chiedere alle vittime palestinesi sopravvissute che prontamente ribadiranno le giuste considerazioni di Ben Gvir.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

Joseph Massad è docente di storia politica e intellettuale araba moderna alla Columbia University di New York. È autore di diversi libri e articoli, sia accademici che giornalistici. Fra i suoi libri: ‘Colonial effects: the making of national identity in Jordan’, ‘Desiring Arabs’ e ‘The Persistence of the Palestinian Question: Essays on Zionism and the Palestinians’. Più di recente ha pubblicato ‘Islam in Liberalism’. I suoi libri e articoli sono stati tradotti in una decina di lingue.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)

 




Mentre i palestinesi seppelliscono Yousef Abu Jaber, rimangono in sospeso delle domande riguardo alla morte del turista italiano

Redazione di Palestine Chronicle (PC, WAFA)

11 aprile 2023 – Palestine Chronicle

L’agenzia di notizie ufficiale palestinese WAFA ha riferito che la famiglia di un cittadino palestinese di Israele, che è stato colpito a morte dalla polizia dopo che lo scorso venerdì avrebbe attuato un attentato con la sua auto a Tel Aviv, sta sollevando dubbi riguardo alle giustificazioni delle autorità israeliane per averlo ucciso.

Yousef Abu Jaber, di 45 anni, è stato seppellito lo scorso martedì mattina nella città di Kafr Qasim, ma molte domande rimangono in sospeso sulle circostanze relative alla sua uccisione.

La polizia israeliana ha dichiarato che Abu Jamer è stato colpito a morte dopo aver lanciato la sua auto contro un gruppo di persone a Tel Aviv, provocando la morte di un turista italiano e il ferimento di altri.

La famiglia di Abu Jaber sta contestando la versione degli eventi della polizia, dichiarando che è stato un incidente d’auto e non un attacco.

Egli non ha un passato nazionalista, non si interessa alle notizie,” ha detto Omar Abu Jaber, il fratello di Yousef.

La famiglia ha chiesto un’indagine sull’incidente, affermando che l’arma che secondo la polizia israeliana lui avrebbe usato non è stata trovata e che la polizia ha nascosto i video che documentano l’incidente.

Inoltre la famiglia ha affermato che la polizia israeliana e i servizi di emergenza hanno cambiato molte volte la loro versione, sollevando dubbi su come gli eventi si siano svolti.

Secondo WAFA, il servizio di ambulanza Magen David Adom ha inizialmente dichiarato che il turista italiano è stato ucciso dai colpi di un’arma da fuoco e poi ha cambiato il suo comunicato, sostenendo che è morto per essere stato investito.

All’inizio la polizia israeliana ha anche dichiarato che Abu Jaber ha cercato di tirare fuori un’arma dalla sua auto e per questo è stato colpito a morte da un poliziotto in seguito all’incidente. Tuttavia, qualche ora dopo il fatto la polizia ha cambiato versione e ha affermato che la presunta arma era una pistola di plastica. La polizia non ha fornito documentazione riguardo all’arma giocattolo.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)