“Storica decisione”: Hamtramck diventa la prima città USA che boicotta Israele

Pauline Ertel

30 maggio 2024 – Middle East Eye

La città del Michigan si è impegnata ad astenersi dall’acquisto di beni e servizi provenienti dalle imprese segnalate dalla campagna BDS

Giovedì la città di Hamtramck, nei dintorni di Detroit, Michigan, ha approvato una risoluzione di Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS), diventando la prima città degli USA a sostenere pienamente una campagna di boicottaggio a sostegno dei diritti dei palestinesi.

La risoluzione afferma che Hamtramck “farà tutto il possibile per astenersi dall’acquisto di beni e servizi provenienti da qualunque fornitore che sia oggetto di una campagna BDS”, come anche da investimenti nello Stato di Israele e in “imprese israeliane che sostengono l’apartheid israeliano.”

Inoltre incoraggia gli abitanti a partecipare al boicottaggio, appoggia l’attivismo studentesco nei campus universitari e sottolinea che il sostegno al BDS non è antisemita in quanto molti importanti sostenitori del BDS sono essi stessi ebrei.

Il movimento BDS a guida palestinese è un’iniziativa non violenta che cerca di contrastare l’occupazione israeliana e le violazioni dei diritti umani dei palestinesi attraverso boicottaggi economici, culturali ed accademici, analoghi alle campagne di boicottaggio contro l’apartheid sudafricano.

In una riunione registrata del consiglio comunale di Hamtramck nella notte di giovedì, i membri del consiglio hanno dichiarato che la decisione di appoggiare il BDS è stata presa “per mandare un significativo messaggio di sostegno al popolo palestinese e ai suoi sforzi di porre fine all’occupazione israeliana delle loro terre native.”

Dobbiamo adottare ogni possibile misura per aiutare i palestinesi”, ha detto un membro del consiglio comunale, aggiungendo che “dobbiamo chiaramente boicottare l’utilizzo dei loro prodotti e non possiamo usare il denaro dei nostri contribuenti per uccidere le persone.”

Dal 2013 Hamtramck è l’unica città a maggioranza musulmana negli Stati Uniti con una storia di attivismo.

A febbraio di quest’anno il consiglio comunale di Hamtramck ha approvato la Risoluzione 22-2024, “Spostare i soldi”, che chiede al Congresso e al presidente di stornare importanti fondi dal budget militare al finanziamento di programmi di servizi sociali essenziali.

Nell’ottobre dello scorso anno il consiglio comunale ha auspicato un cessate il fuoco e ha rinominato una delle sue strade principali “Corso Palestina”, come simbolica dimostrazione di solidarietà ai palestinesi di Gaza.

Un altro membro del consiglio comunale presente alla riunione di giovedì ha parlato della “storica decisione che sta per essere presa”.

A quanto pare la maggioranza degli americani è contro la guerra, ma il nostro governo ovviamente non ascolta le preoccupazioni della gente”, ha detto il sindaco di Hamtramck Amer Ghalib.

Diversi sondaggi hanno mostrato che la maggioranza degli americani appoggia un cessate il fuoco a Gaza.

Il ruolo del governo locale nel BDS

Due città della California, Hayward e Richmond, hanno votato il disinvestimento da imprese che fanno affari in Israele. Tuttavia le loro risoluzioni, approvate a gennaio e maggio di quest’anno, prendono di mira imprese specifiche da boicottare, mentre la risoluzione di Hamtramck sostiene l’intero movimento BDS.

La consigliera comunale di Richmond Soheila Bana, co-autrice della risoluzione, ha ringraziato il movimento studentesco dicendo che sono stati gli studenti a portare alla nostra attenzione il fatto che “l’unica cosa che possiamo fare attivamente è il disinvestimento.”

Il movimento BDS è nato nel 2005 con la missione di “porre fine all’appoggio internazionale all’oppressione israeliana sui palestinesi e fare pressione su Israele perché rispetti il diritto internazionale”, recita la sua dichiarazione di intenti.

Relativamente a questo obbiettivo gli enti governativi locali come i consigli comunali e regionali rivestono un ruolo chiave, in quanto spesso “hanno rapporti con imprese e istituzioni che aiutano Israele ad opprimere i palestinesi”, specifica inoltre il BDS.

Nel 2018 la capitale irlandese Dublino è diventata la prima capitale europea a sostenere il movimento BDS per i diritti dei palestinesi e ha chiesto l’espulsione dell’ambasciatore israeliano in Irlanda.

Una serie di città europee hanno preso simili iniziative, decidendo l’appoggio al BDS.

A settembre Barcellona ha annullato l’accordo di gemellaggio con Tel Aviv, anche se la decisione in seguito è stata ribaltata quando l’allora sindaca Ada Colau ha perso le elezioni.

Ad aprile 2023 la capitale della Norvegia Oslo ha annunciato che non avrebbe commerciato in beni e servizi prodotti in aree illegalmente occupate in violazione del diritto internazionale, come i territori occupati sulle Alture del Golan e in Cisgiordania, compresa Gerusalemme est.

Le imprese che direttamente o indirettamente contribuiscono all’impresa coloniale illegale di Israele saranno escluse dalla politica in materia di appalti della città, ha deciso il consiglio comunale di Oslo.

Da allora Irlanda, Norvegia e Spagna hanno riconosciuto lo Stato di Palestina.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Lettera aperta al mondo degli accademici e amministratori universitari di Gaza

Accademici e amministratori universitari di Gaza

29 maggio 2024Al Jazeera

Facciamo appello ai nostri sostenitori perché ci aiutino a resistere alla campagna di scuolicidio e a ricostruire le nostre università

Accademici e personale delle università palestinesi di Gaza ci siamo uniti per affermare la nostra esistenza, l’esistenza dei nostri colleghi e dei nostri studenti per insistere sul nostro futuro minacciato da tutti gli attuali tentativi di cancellarci.

Le forze di occupazione israeliana hanno demolito i nostri edifici, ma le nostre università continuano a vivere. Noi riaffermiamo la nostra determinazione collettiva a rimanere sulla nostra terra, per riprendere appena possibile a insegnare, studiare e far ricerca a Gaza nelle nostre università palestinesi.

Facciamo appello ai nostri amici e colleghi in tutto il mondo a resistere alla campagna di scuolicidio in corso nella Palestina occupata, a lavorare con noi per ricostruire le nostre università demolite e a respingere tutti i piani che cercano di bypassare, cancellare o indebolire l’integrità delle nostre istituzioni accademiche. Il futuro dei nostri giovani a Gaza dipende da noi e dalla nostra capacità di rimanere nella nostra terra per continuare a servire le prossime generazioni del nostro popolo.

Lanciamo questo appello sotto le bombe delle forze di occupazione nella Gaza occupata, dai campi profughi di Rafah e dai luoghi dei temporanei nuovi esili in Egitto e negli altri Paesi ospitanti. Lo stiamo divulgando mentre l’occupazione israeliana continua a condurre quotidianamente la sua campagna genocida contro il nostro popolo, tentando di eliminare ogni aspetto della nostra vita collettiva e individuale.

Le nostre famiglie, i nostri colleghi e studenti sono assassinati mentre noi siamo ancora una volta diventati dei senzatetto, rivivendo le esperienze dei nostri genitori e nonni durante i massacri e l’espulsione di massa da parte delle forze armate sioniste nel 1947 e 1948.

Le nostre infrastrutture civiche, università, scuole, ospedali, biblioteche, musei e centri culturali, costruiti nel corso di generazioni dal nostro popolo, sono in rovina a causa di questa premeditata e continua Nakba. Prendere deliberatamente di mira le nostre infrastrutture didattiche è un palese tentativo per rendere Gaza inabitabile ed erodere il tessuto intellettuale e culturale della nostra società. Tuttavia ci rifiutiamo di permettere che tali atti estinguano la fiamma della conoscenza e della resilienza che brucia dentro di noi.

Alleati dell’occupazione israeliana negli Stati Uniti e nel Regno Unito stanno aprendo di nuovo un altro fronte di scuolicidio promuovendo presunti piani di ricostruzione che cercano di eliminare la possibilità di una vita educativa palestinese indipendente a Gaza. Noi respingiamo tutti questi progetti e esortiamo i nostri colleghi a rifiutare qualunque complicità in essi. Noi sollecitiamo anche tutte le università e i colleghi in tutto il mondo a coordinare direttamente con le nostre università ogni sforzo umanitario.

Noi estendiamo il nostro sincero apprezzamento alle istituzioni nazionali e internazionali che ci hanno mostrato solidarietà, fornendo sostegno e assistenza durante questi tempi difficili. Tuttavia sottolineiamo l’importanza di coordinare questi sforzi per riaprire concretamente le università palestinesi a Gaza.

Noi sosteniamo l’urgente necessità di rimettere in piedi le istituzioni educative di Gaza non solamente aiutando gli studenti attuali, ma garantendo la resilienza e la sostenibilità del nostro sistema di educazione terziaria a lungo termine. L’educazione non è solo un mezzo per impartire conoscenza, è un pilastro vitale della nostra esistenza e un faro di speranza per il popolo palestinese.

Pertanto è essenziale formulare una strategia a lungo termine per rimettere in sesto le infrastrutture e ricostruire tutti i servizi universitari. Tuttavia tale impresa richiederà un tempo considerevole e consistenti finanziamenti, mettendo a rischio la capacità delle istituzioni accademiche di sostenere gli interventi e causando la possibile perdita di personale e di studenti e impedendo la riapertura.

Date le presenti circostanze è fondamentale passare rapidamente all’insegnamento online per limitare i disagi causati dalla distruzione delle infrastrutture. Questo passaggio necessita di un’assistenza completa per coprire i costi operativi, inclusi gli stipendi del personale accademico.

Dall’inizio del genocidio le rette degli studenti, la principale fonte di reddito per le università, sono crollate. La mancanza di entrate ha lasciato i dipendenti senza salari, costringendo molti di loro a cercare altrove opportunità di reddito.

Oltre a colpire la sussistenza del personale accademico e amministrativo, questo sforzo finanziario causato dalla deliberata campagna di scuolicidio pone una minaccia esistenziale al futuro delle università stesse.

Bisogna quindi prendere urgentemente delle misure per risolvere la presente crisi finanziaria delle istituzioni accademiche per garantire la loro stessa sopravvivenza. Facciamo appello a tutte le parti interessate a coordinare immediatamente i loro sforzi per sostenere questo importante obiettivo.

La ricostruzione delle istituzioni accademiche di Gaza non è solo una questione di istruzione, è una testimonianza della nostra resilienza, della determinazione e dell’incrollabile impegno per garantire un futuro alle prossime generazioni.

Il destino dell’istruzione terziaria a Gaza appartiene alle università di Gaza, alle loro facoltà, al loro personale, ai loro studenti e a tutto il popolo palestinese. Noi apprezziamo gli sforzi delle persone e dei cittadini di tutto il mondo che operano per porre fine a questo continuo genocidio.

Facciamo appello ai nostri colleghi in patria e a livello internazionale per sostenere i nostri costanti tentativi di difesa e conservazione delle nostre università per il bene del futuro del nostro popolo e della nostra possibilità di restare sulla nostra terra palestinese a Gaza. Abbiamo costruito queste università dalle tende [dei rifugiati del 1987-48]. E dalle tende, con l’aiuto dei nostri amici, le ricostruiremo ancora una volta.

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente la posizione editoriale di Al Jazeera.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)

Firmatari:

Dr Kamalain Shaath, Vice Chairman of the Board of Trustees, Islamic University of Gaza (IUG)

Prof Omar Milad, President of Al Azhar University Gaza, Al Azhar University Gaza

Dr Mohamed Reyad Zughbur, Dean of the Faculty of Medicine, Al Azhar University Gaza

Dr Nasser Abu Alatta, Dean of Students Affairs, Al Aqsa University

Dr Akram Mohammed Radwan, Dean of Admission, Registration, and Student Affairs, University College of Applied Sciences – Gaza

Dr Atta Abu Hany, Dean of Faculty of Science, Al Azhar University Gaza

Prof Hamdi Shhadeh Zourb, Dean of the Faculty of Economics and Administrative Sciences, Islamic University of Gaza (IUG)

Dr Ahmed Abu Shaban, Dean of the Faculty of Agriculture and Veterinary Medicine, Al Azhar University Gaza

Dr Ahmed A Najim, Dean of Admission and Registration, Al Azhar University Gaza

Dr Noha A Nijim, Dean of Economics and Administrative Science Faculty, Al Azhar University Gaza

Prof Hatem Ali Al-Aidi, Dean of Planning and Quality, Islamic University of Gaza (IUG)

Dr Ihab A Naser Dean of Faculty of Applied Medical Sciences, Al Azhar University Gaza

Eng Amani Al-Mqadama, Head of the International Relations, Islamic University of Gaza (IUG)

Dr Mohammed R AlBaba, Dean of Faculty of Dentistry, Al Azhar University Gaza

Dr Rami Wishah , Dean of the Faculty of Law, Al Azhar University Gaza

Prof Basim Mohammad Ayesh, Head of MSc Programme Committee and Professor of Molecular Genetics, Al Aqsa University

Prof Hassan Asour, Dean of Scientific Research, Al Azhar University Gaza

Khaled Ismail Shahada Tabish, Head of Salaries Department, Islamic University of Gaza (IUG)

Prof Mazen Sabbah, Dean of Faculty of Sharia, Al Azhar University Gaza

Dr Ashraf J Shaqalaih, Head of Laboratory Medicine Dept, Al Azhar University Gaza

Dr Mahmoud El Ajouz, Head of Food Analysis Center and Lecturer at the Faculty of Agriculture, Al Azhar University Gaza

Dr Mazen AbuQamar, Head of Nursing Department, Al Azhar University Gaza

Eng Abed Elnaser Mustafa Abu Assi, Head of Engineering Office, Al Azhar University Gaza

Dr Ahmed Rezk Al-Wawi, Vice President of the Islamic University Workers’ Union, Islamic University of Gaza (IUG)

Shareef El Buhaisi, Head of Administration Office at the Faculty of Applied Medical Sciences, Al Azhar University Gaza

Dr Saeb Hussein Al-Owaini, Director of Employees, Islamic University of Gaza (IUG)

Dr Mai Ramadan, Director of the Drug and Toxicology Analysis Centre, Al Azhar University Gaza

Dr Mohammed S M Kuhail, Director of Libraries, Al Azhar University Gaza

Eng Emad Ahmed Ismail Al-Nounou, Director, Technical Department, Al Azhar University Gaza

Eng Ismail Abdul Rahman Abu Sukhaila, Director Engineering Office, Islamic University of Gaza (IUG)

Osama R Shawwa, Director of Administrative Office in the Department of Political Sciences, Al Azhar University Gaza

Adnan A S El-Ajrami, Director of Administrative Office at the Faculty of Medicine, Al Azhar University Gaza

Hashem Mahmoud Kassab, Director of Public Relations and Media Department, Al Azhar University Gaza

Mazen Hilles, Director of Administration of Diploma Programme, Al Azhar University Gaza

Adel Mansour Suleiman Al-Louh , Services Manager, Islamic University of Gaza (IUG)

Hammam Al-Nabahen, Director of IT Services, Islamic University of Gaza (IUG)

Maher Haron Ereif, Audit Department Assistant Director, Al Azhar University Gaza

Khalid Solayman Alsayed, Information Technology Administrator, Al Azhar University Gaza

Dr Amani H Abujarad, Assistant Professor of Applied Linguistics Department of English, Al Azhar University Gaza

Dr Ayman Shaheen, Assistant Professor in Political Sciences, Al Azhar University Gaza

Prof Alaa Mustafa Al-Halees, Faculty of Information Technology, Islamic University of Gaza (IUG)

Prof Basil Hamed, Faculty of Engineering, Islamic University of Gaza (IUG)

Dr Mohamed Elhindy, Assistant Professor in Veterinary Medicine, Al Azhar University Gaza

Prof Bassam Ahmed Abu Zaher, Faculty of Science, Islamic University of Gaza (IUG)

Prof Fakhr Abo Awad, Faculty of Science – Department of Chemistry, Islamic University of Gaza (IUG)

Prof Saher Al Waleed, Professor of Law, Al Azhar University Gaza

Prof Kamal Ahmed Ghneim, Faculty of Arts, Islamic University of Gaza (IUG)

Prof Khadir Tawfiq Khadir, Department of English Language – Faculty of Arts, Islamic University of Gaza (IUG)

Dr Marwan Saleem El-Agha, Assistant Professor of Business Administration, Al Azhar University Gaza

Dr Mona Jehad Wadi, Assistant Professor of microbiology, Al Azhar University Gaza

Dr Mohammed Faek Aziz, Deanship of Quality and Development, Islamic University of Gaza (IUG)

Dr Muhammed Abu Mattar, Associate Professor in Law, Al Azhar University Gaza

Prof Abdul Fattah Nazmi Hassan Abdel Rabbo, Faculty of Science, Islamic University of Gaza (IUG)

Dr Saher Al Waleed, Professor of Law, Al Azhar University Gaza

Dr Sari El Sahhar, Assistant Professor in Plant Protection, Al Azhar University Gaza

Dr Nidal Jamal Masoud Jarada, Law, University College of Applied Sciences – Gaza

Dr Sherin H Aldani, Assistant Professor in Social Sciences, Al Azhar University Gaza

Dr Wael Mousa, Assistant Professor in Food Technology, Al Azhar University Gaza

Prof Mohamed I H Migdad, Faculty of Economics and Administrative Sciences, Islamic University of Gaza (IUG)

Prof Alaa Mustafa Al-Halees, Faculty of Information Technology, Islamic University of Gaza (IUG)

Prof Usama Hashem Hamed Hegazy, Professor of Applied Mathematics, Al Azhar University Gaza

Prof Basil Hamed, Faculty of Engineering, Islamic University of Gaza (IUG)

Prof Tawfik Musa Allouh, Professor of Arabic Literature, Al Azhar University Gaza

Prof Bassam Ahmed Abu Zaher, Faculty of Science, Islamic University of Gaza (IUG)

Prof Zaki S Safi, Professor of Chemistry, Al Azhar University Gaza

Prof Fakhr Abo Awad, Faculty of Science – Department of Chemistry, Islamic University of Gaza (IUG)

Prof Kamal Ahmed Ghneim, Faculty of Arts, Islamic University of Gaza (IUG)

Prof Khadir Tawfiq Khadir, Department of English Language – Faculty of Arts, Islamic University of Gaza (IUG)

Prof Khaled Hussein Hamdan, Faculty of Fundamentals of Religion, Islamic University of Gaza (IUG)

Prof Ata Hasan Ismail Darwish, Professor of Science Education and Curriculum, Al Azhar University Gaza

Prof Hazem Falah Sakeek, Professor of Physics, Al Azhar University Gaza

Prof Mohammed Abdel Aati, Department of Electrical Engineering and Intelligent Systems, Islamic University of Gaza (IUG)

Prof Nader Jawad Al-Nimra, Faculty of Engineering, Islamic University of Gaza (IUG)

Prof Nasir Sobhy Abu Foul, Professor of Food Technology, Al Azhar University Gaza

Dr Rawand Sami Abu Nahla, Lecturer at Faculty of Dentistry, Al Azhar University Gaza

Prof Hussein M. H. Alhendawi, Professor of Organic Chemistry, Al Azhar University Gaza

Prof Ihab S. S. Zaqout, Professor in Computer Science, Al Azhar University Gaza

Dr Rushdy A S Wady, Faculty of Economics and Administrative Sciences, Islamic University of Gaza (IUG)

Dr Abed El-Raziq A Salama, Assistant Professor in Food Technology, Al Azhar University Gaza

Dr Ahmed Aabed, Admin Assistant in Administrative and Financial Affairs Office, Al Azhar University Gaza

Dr Ahmed Mesmeh, Faculty of Sharia and Law, Al Azhar University Gaza

Dr Emad Khalil Abu Alkhair Masoud, Associate professor of microbiology, Al Azhar University Gaza

Dr Alaa Issa Mohammed Saleh, Lecturer at the faculty of Dentistry, Al Azhar University Gaza

Dr Ali Al-Jariri, Continuing Education Department, Al Quds Open University

Dr Arwa Eid Ashour, Faculty of Science, Department of Mathematics, Islamic University of Gaza (IUG)

Dr Hala Zakaria Alagha, Assistant Professor in Clinical Pharmacy, Al Azhar University Gaza

Prof Marwan Khazinda, Professor of Mathematics, Al Azhar University Gaza

Prof Moamin Alhanjouri, Associate Professor in Statistics, Al Azhar University Gaza

Prof Sameer Mostafa Abumdallala, Professor of Economics, Al Azhar University Gaza

Dr Bilal Al-Dabbour, Faculty of Medicine, Islamic University of Gaza (IUG)

Dr Nabil Kamel Mohammed Dukhan, Faculty of Education – Department of Psychology, Islamic University of Gaza (IUG)

Dr Jamal Mohamed Alshareef, Assistant Professor, Linguistics Department of English, Al Azhar University Gaza

Dr Sadiq Ahmed Mohammed Abdel Aal, Faculty of Engineering, Islamic University of Gaza (IUG)

Dr Khaled Abushab, Associate Professor in Applied Medical Sciences, Al Azhar University Gaza

Dr Abed El-Raziq A Salama, Assistant Professor in Food Technology, Al Azhar University Gaza

Dr Emad Khalil Abu Alkhair Masoud, Associate Professor of Microbiology, Al Azhar University Gaza

Dr Hala Zakaria Alagha, Assistant Professor in Clinical Pharmacy, Al Azhar University Gaza

Dr Jamal Mohamed Alshareef, Assistant Professor, Linguistics Department of English, Al Azhar University Gaza

Dr Khaled Abushab, Associate Professor in Applied Medical Sciences, Al Azhar University Gaza

Dr Suheir Ammar, Faculty of Engineering, Islamic University of Gaza (IUG)

Dr Waseem Bahjat Mushtaha, Associate Professor in Dental Medicine, Al Azhar University Gaza

Prof Ali Abu Zaid, Professor of Statistics, Al Azhar University Gaza

Dr Zahir Mahmoud Khalil Nassar, Faculty of Science, Islamic University of Gaza (IUG)

Abdul Hamid Mustafa Said Mortaja, Faculty of Arts, Department of Arabic Language, Islamic University of Gaza (IUG)

Abdul Rahman Salman Nasr Al-Daya, Associate Professor at the Faculty of Sharia and Law, Islamic University of Gaza (IUG)

Ayman Salah Khalil Abumayla, Officer – Student Affairs Department, Al Azhar University Gaza

Abdullah Ahmed Al-Sawarqa, Library, Islamic University of Gaza (IUG)

Ashraf Ahmed Mohammed Abu Mughisib, Faculty of Science, Islamic University of Gaza (IUG)

Mohammed Abdul Fattah Abdel Rabbo, Deanship of Engineering and Information Systems, University College of Applied Sciences – Gaza

Basheer Ismail Hamed Hammo, Faculty of Fundamentals of Religion, Islamic University of Gaza (IUG)

Bssam Fadel Nssar, Faculty of Engineering, Islamic University of Gaza (IUG)

Eng Mohammed Awni Abushaban, Teaching Assistant IT Department, Al Azhar University Gaza

Etemad Mohammed Abdul Aziz Al-Attar, Faculty of Science, Islamic University of Gaza (IUG)

Fahd Ghassan Abdullah Al-Khatib, Engineering Office, Islamic University of Gaza (IUG)

Ibrahim K I Albozom, Administrative Officer Faculty of Arts, Al Azhar University Gaza

Abdullah Ahmed Anaqlah, Faculty of Information Technology, Islamic University of Gaza (IUG)

Ahmed Abdelrahman Abu Saloom, Radiologist at the College of Dentistry, Al Azhar University Gaza

Feryal Ali Mahmoud Farhat, Administrator, Islamic University of Gaza (IUG)

Fifi Al-Zard, Campus Services, Islamic University of Gaza (IUG)

Manar Y Abuamara, Secretary, Al Azhar University Gaza

Hani Rubhi Abdel Aal, Graduate Studies, Islamic University of Gaza (IUG)

Ahmed Abdul Raouf Al-Mabhouh, Faculty of Science, Islamic University of Gaza (IUG)

Ahmed Adnan Al-Qazzaz, Faculty of Information Technology, Islamic University of Gaza (IUG)

Sfadi Salim Abu Amra, Supporting Services Department, Al Azhar University Gaza

Hassan Ahmed Hassan Al-Nabih, Department of English Language – Faculty of Arts, Islamic University of Gaza (IUG)

Hassan Nasr, Information Technology, University College of Applied Sciences – Gaza

Hatem Barhoom, Islamic University of Gaza (IUG)

Tamer Musallam, Lecturer in Business Diploma Programme, Al Azhar University Gaza

Ahmed Adnan Mahmoud Mattar, Information Technology, Islamic University of Gaza (IUG)

Ahmed Jaber Mahmoud Al-Omsey, Islamic University of Gaza (IUG)

Ahmed Khalil Ibrahim Qadoura, Administrator, Islamic University of Gaza (IUG)

Hussein Al-Jadaily, Faculty of Nursing, Islamic University of Gaza (IUG)

Ibrahim Issa Ibrahim Seidem, Faculty of Fundamentals of Religion, Islamic University of Gaza (IUG)

Ezia Abu Zaida, Secretary, Al Azhar University Gaza

Khaled Mutlaq Issa, Faculty of Engineering, Islamic University of Gaza (IUG)

Khalil Mohammed Said Hassan Abu Kuweik, Faculty of Economics and Administrative Sciences, Islamic University of Gaza (IUG)

Ibraheem Almasharawi, Instructor at the Faculty of Agriculture and Veterinary Medicine, Al Azhar University Gaza

Maher Jaber Mahmoud Shaqlieh, Information Technology Affairs, Islamic University of Gaza (IUG)

Mahmoud Abdul Rahman Mousa Asraf, Department of English Language, Islamic University of Gaza (IUG)

Ahmed Mohammed Said Abu Safi, Islamic University of Gaza (IUG)

Ahmed Omar Ismail Al-Dahdouh, Faculty of Information Technology, University College of Applied Sciences – Gaza

Ahmed Salman Ali Abu Amra, Faculty of Sharia and Law, Islamic University of Gaza (IUG)

Ahmed Saqer, Faculty of Science, Department of Mathematics, Islamic University of Gaza (IUG)

Ahmed Younes Abu Labda, Personnel Affairs, Islamic University of Gaza (IUG)

Alaa Fathi Salim Abu Ajwa, Islamic University of Gaza (IUG)

Mahmoud Said Mohammed Al- Damouni, Central Library, Islamic University of Gaza (IUG)

Ghasasn Alswairki, Adminstration Officer at Faculty of Pharmacy, Al Azhar University Gaza

Mahmoud Shukri Sarhan, Faculty of Education, Islamic University of Gaza (IUG)

Mahmoud Youssef Mohammed Al- Shoubaki, Faculty of Fundamentals of Religion, Islamic University of Gaza (IUG)

Majdi Said Aqel, Faculty of Education, Islamic University of Gaza (IUG)

Muahmmed Abu Aouda, Security Department, Al Azhar University Gaza

Majed Hania, Faculty of Science, Islamic University of Gaza (IUG)

Majed Mohammed Ibrahim Al-Naami, Faculty of Literature, Islamic University of Gaza (IUG)

Mamoun Abdul Aziz Ahmed Salha, Information Technology, Islamic University of Gaza (IUG)

Emad Ali Ahmed Abdel Rabbo, Administrator, Islamic University of Gaza (IUG)

Imad Alwaheidi Lecturer in Livestock Production Al Azhar University Gaza

Manar Mustafa Al-Maghari, Medical Department, Islamic University of Gaza (IUG)

Mohammed Bassam Mohammed Al- Kurd, Campus Services, Islamic University of Gaza (IUG)

Marwa Rouhi Abu Jalaleh, Information Technology Department, Islamic University of Gaza (IUG)

Yousif Altaban, Security Department, Al Azhar University Gaza

Hala Muti Mahmoud Abu Naqeera, Student Affairs, Islamic University of Gaza (IUG)

Marwan Ismail Abdul Rahman Hamad, Faculty of Education, Islamic University of Gaza (IUG)

Mohammad Hussein Kraizem, Health Sciences, Islamic University of Gaza (IUG)

Mohammed AlAshi, Faculty of Economics and Administrative Sciences, Islamic University of Gaza (IUG)

Mohammed Hassan Al-Sar, Faculty of Engineering, Islamic University of Gaza (IUG)

Mohammed Ibrahim Khidr Al-Gomasy, Faculty of Education, Islamic University of Gaza (IUG)

Mohammed Juma Al-Ghoul, Faculty of Sharia and Law, Islamic University of Gaza (IUG)

Mohammed Khalil Ayesh, Information Technology, Islamic University of Gaza (IUG)

Faiz Ahmed Ali Hales, Computer Maintenance Department, Islamic University of Gaza (IUG)

Mohammed Taha Mohammed Abu Qadama, Administrator, Islamic University of Gaza (IUG)

Yousef Fahmy Krayem, Lab Technician at Faculty of Agriculture and Veterinary Medicine, Al Azhar University Gaza

Nabhan Salem Abu Jamous, Department of Supplies and Purchases, Head of Storage Section, Islamic University of Gaza (IUG)

Nihad Mohammed Sheikh Khalil, Faculty of Arts – Department of History, Islamic University of Gaza (IUG)

Tamer Nazeer Nassar Madi, Faculty of Information Technology, Islamic University of Gaza (IUG)

Rami Othman Mohammed Hassan Skik, Faculty of Information Technology, Islamic University of Gaza (IUG)

Salah Hassan Radwan, Information Technology, Islamic University of Gaza (IUG)

Salem Abushawarib, Faculty of Economics and Administrative Sciences, Islamic University of Gaza (IUG)

Salem Jameel Bakir Al-Sazaji, Faculty of Information Technology, Islamic University of Gaza (IUG)

Abed Alraouf S Almasharawi, Administrative Officer in the Library, Al Azhar University Gaza

Samah Al-Samoni, Public Relations, Islamic University of Gaza (IUG)

Wafa Farhan Ismail Ubaid, Faculty of Nursing, Islamic University of Gaza (IUG)

Tawfiq Sufian Tawfiq Harzallah, Admission and Registration Department, Islamic University of Gaza (IUG)

Walid Zuheir Aidi Abu Shaaban, Finance and Auditing Department, Islamic University of Gaza (IUG)

Yasser Zaidan Salem Al-Nahal, Faculty of Science, Islamic University of Gaza (IUG)

Youssef Sobhi Abdel Nabi Al-Rantissi, Computer Technician, Islamic University of Gaza (IUG)




Opinione | Perché il bilancio delle vittime di Gaza è probabilmente più alto di quanto riportato

Liat Kozma ,Wiessam Abu Ahmad

28 maggio 2024 Haaretz

Il numero delle vittime e l’incidenza delle malattie e dei decessi dovuti alla mancanza di condizioni sanitarie di base, cibo e assistenza medica richiedono un urgente dibattito pubblico in Israele.

Il numero delle vittime nella Striscia di Gaza negli ultimi sette mesi è spaventoso. Secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari oltre 34.000 persone sono state uccise e oltre 77.000 ferite e altre 11.000 intrappolate sotto le macerie delle loro case e considerate disperse.

Ma questa è solo una parte del quadro. Riteniamo che i numeri di morbilità e mortalità a Gaza siano in realtà più alti. La nostra conclusione si basa sul confronto con la situazione della sanità pubblica nei campi profughi immediatamente dopo la guerra del 1948 e sulla familiarità con i dati epidemiologici in generale. Riteniamo che il numero delle uccisioni e l’incidenza delle malattie e dei decessi dovuti alla mancanza di condizioni sanitarie di base, cibo e assistenza medica richiedano un urgente dibattito pubblico in Israele.

Una lettura dei documenti storici solleva diversi importanti paralleli, così come differenze, soprattutto a scapito della situazione attuale. Allora come oggi, centinaia di migliaia di persone hanno dovuto lasciare le proprie case senza alcuna possibilità di tornare.

Nel 1948, circa 700.000 rifugiati furono dispersi in Cisgiordania, Gaza e nei paesi arabi. In Cisgiordania una popolazione di 400.000 abitanti assorbì 300.000 rifugiati, mentre 80.000 persone a Gaza accolsero il triplo di rifugiati. Nella guerra attuale l’assedio di Gaza e la chiusura del confine con l’Egitto durante l’inverno hanno costretto circa 1,5 milioni di persone a rifugiarsi a Rafah, un’area con una popolazione normalmente pari a un decimo di quella cifra. L’affollamento è tale da presentare un grave rischio per la salute e la vita.

Nel 1948 e nel 1949 le organizzazioni umanitarie internazionali si sforzarono di prevenire ciò che era considerato un pericolo per la vita di tutte le persone nella regione, non solo dei rifugiati. Una tipologia di intervento è stata la prevenzione della carestia attraverso la fornitura di farina, olio, zucchero e frutta secca, oltre che latte per i bambini (finanziato dall’UNICEF). Questi prodotti, poveri di proteine ​​e vitamine, furono considerati adeguati per un breve periodo fino al raggiungimento di un accordo tra le parti cosa che, come sappiamo, non avvenne mai.

Ma, come notato dalla Croce Rossa Internazionale, già il 7 ottobre le consegne di cibo a Gaza erano state tagliate drasticamente e senza paragone rispetto ai precedenti scontri. La distruzione di quel poco di terreno agricolo esistente ha lasciato gli abitanti di Gaza senza alternative locali.

Ciò che all’inizio della guerra aveva portato all’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari e alla povertà si è trasformato nei mesi successivi in ​​una vera e propria carestia, inizialmente nel nord di Gaza e ora per oltre 2 milioni di persone. Ci sono segnalazioni di famiglie che sopravvivono con mangime per bestiame, insetti e piante normalmente non commestibili: un’alimentazione insufficiente e inadatta al consumo umano. Non arrivano abbastanza camion di aiuti, quindi il bisogno di cibo e prodotti di base è lungi dall’essere soddisfatto. Il lancio di provviste è inefficiente, a volte addirittura mortale, e una parte degli aiuti finisce in mare.

Senza un sistema di monitoraggio e con la distruzione delle forze di polizia a Gaza bande di malviventi si appropriano dei pacchi di aiuti e li vendono ai bisognosi a caro prezzo. Quindi il cibo ancora non arriva alla popolazione affamata e il numero dei morti dovuti alla fame è in aumento.

Secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari circa il 31% dei bambini sotto i 2 anni nel nord di Gaza e circa il 10% a Rafah soffrono di grave malnutrizione. Non si conosce ancora il numero dei morti per fame, ma è chiaro che molte persone stanno subendo danni irreversibili. Le persone che sopravvivono per mesi nutrendosi di erbacce e mangime per il bestiame non sopravviveranno a lungo.

Il secondo intervento nel 1948 fu dettato dalla consapevolezza che senza acqua pulita e condizioni igieniche adeguate le epidemie trasmesse dall’acqua e dagli insetti sarebbero state fatali per tutte le popolazioni della regione. Per questo motivo le organizzazioni umanitarie ritennero fondamentale fornire acqua potabile e vaccini, implementando al contempo quarantene durante le epidemie e spruzzando frequentemente insetticida. Quest’ultimo si è rivelato tossico nel lungo periodo, ma nel breve periodo salvò le concentrazioni di rifugiati da epidemie letali.

Tuttavia oggi l’acqua pulita è praticamente indisponibile per la maggior parte dei residenti di Gaza. Le organizzazioni umanitarie stimano che tutte le malattie trasmesse dall’acqua siano già diffuse a Gaza. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità il numero dei malati di malattie prevenibili potrebbe presto superare quello delle vittime degli attacchi militari. La mancanza di acqua pulita e di cure mediche può portare allo scoppio di malattie letali trasmesse dall’acqua, persino del colera.

La portavoce dell’OMS Margaret Harris ha detto al Guardian che già all’inizio di novembre la diarrea tra i bambini nei campi di Gaza era oltre 100 volte superiore al livello normale. Senza cure disponibili, ciò può portare alla disidratazione e persino alla morte; la diarrea grave è la seconda causa di morte più comune tra i bambini sotto i 5 anni in tutto il mondo. Sono in aumento anche le infezioni delle vie respiratorie superiori, la varicella e le malattie dolorose della pelle.

Inoltre le aree con un gran numero di cadaveri e parti del corpo insepolte costituiscono un ambiente ideale per i batteri e la diffusione di malattie attraverso l’aria, l’acqua, il cibo e gli animali. In condizioni di elevata densità di popolazione è praticamente impossibile attuare quarantene o spruzzare insetticidi e in mancanza di infrastrutture igienico-sanitarie adeguate è anche impossibile contrastare le malattie trasmesse dall’acqua.

Un terzo intervento nel 1948 fu la realizzazione di cliniche e ospedali. Le organizzazioni umanitarie ampliarono gli ospedali esistenti, ne costruirono di nuovi e aprirono ambulatori medici nei campi e nei centri per rifugiati. Niente di tutto questo sta accadendo oggi. I bombardamenti e il lungo assedio hanno completamente distrutto il sistema sanitario di Gaza. Gli ospedali ancora parzialmente funzionanti soffrono di grave carenza di attrezzature mediche e farmaci.

Già sei mesi fa sono iniziate a circolare notizie di tagli cesarei e amputazioni senza anestesia. Il sistema sanitario non solo non è in grado di fornire trattamenti di routine e cure preventive, ma non è nemmeno in grado di fornire cure di emergenza. La continua assenza di questi tre tipi di trattamenti – di routine, preventivi e di emergenza – può portare a un aumento esponenziale dei tassi di mortalità, di malattie e persino di epidemie. Le malattie croniche – comprese le malattie cardiache, renali, il cancro e il diabete – non vengono curate ed è molto dubbio che i pazienti cronici siano sopravvissuti alla guerra; solo pochi fortunati sono stati in grado di lasciare Gaza per ricevere cure mediche in Egitto.

In questo contesto, il silenzio degli israeliani sta costando vite umane. Anche coloro che mettono in guardia contro una “seconda Nakba” devono riconoscere che i danni della guerra attuale hanno già superato di gran lunga quelli della prima Nakba. E ogni giorno che passa – con la carenza di cibo, di condizioni sanitarie adeguate e di assistenza – aumenta ulteriormente il costo umano. Qualsiasi dibattito sulla guerra deve tenere conto delle sue implicazioni di vasta portata e a lungo termine per tutti coloro che vivono in questa terra.

Liat Kozma è una storica e Wiessam Abu Ahmad è uno studioso di biostatistica presso l’Università Ebraica di Gerusalemme.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Un ministro del gabinetto di guerra israeliano: la guerra contro Gaza durerà ‘molti anni’

Redazione di Middle East Monitor

28 maggio 2024 – Middle East Monitor

Il ministro del gabinetto di guerra israeliano ed ex capo di stato maggiore dell’esercito israeliano Gadi Eisenkot ha avvisato che il movimento Hamas si sta nuovamente rafforzando e combatterlo durerà molti anni, il che impone di raggiungere un accordo per lo scambio dei prigionieri.

Secondo i media locali ciò è avvenuto ieri durante il suo incontro con i membri della Commissione Affari Esteri e Sicurezza della Knesset, in una riunione riservata.

Eizenkot ha ribadito che la linea d’azione corretta nella Striscia di Gaza “è il raggiungimento della fine dei combattimenti a Rafah e allo stesso tempo la prosecuzione del percorso per un accordo sugli ostaggi, durante il quale cesseremo il fuoco per 42 giorni o il doppio.”

Non c’è [uno scambio] tra il rilascio dei prigionieri e la fine della guerra,” ha inoltre affermato, osservando che negoziare un accordo riguardante i prigionieri di guerra è cruciale da un punto di vista strategico.

Come ci siamo fermati a novembre per una breve interruzione, ci fermeremo per 42 giorni. E anche se avremo bisogno di un periodo più lungo, questo non significherà la fine dei combattimenti,” ha aggiunto.

Eizenkot ha spiegato che fermare i combattimenti permetterebbe il rilascio degli ostaggi, aggiungendo che “non sono solo soldati, ma anche civili che sono stati abbandonati e che Israele ha il dovere di far ritornare.”

C’è consenso nel gabinetto di guerra sulla necessità di ottenere il rilascio dei rapiti,” ha affermato, aggiungendo che “il gabinetto allargato” è disunito e non assolve al suo compito.”

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Come i medici carcerari israeliani partecipano alla tortura dei detenuti palestinesi

Kanav Kathuria

28 maggio 2024 – Mondoweiss

I medici israeliani forniscono agli interroganti le informazioni mediche riguardanti i prigionieri per dare il via libera alla tortura, istruiscono gli interroganti su come infliggere dolore senza lasciare segni fisici e collaborano persino personalmente nell’infliggere le torture.

Quando lunedì il procuratore capo della Corte Penale Internazionale Karim Khan ha richiesto dei mandati di arresto per Benjamin Netanyahu e Yoav Gallant ha scelto sorprendentemente di non includere nella sua lista dei crimini di guerra e dei crimini contro lumanità commessi da Israele la tortura o la violenza sessuale contro i prigionieri palestinesi.

Lomissione della tortura da parte di Khan è incredibile. Negli ultimi sette mesi centinaia di rapporti, testimonianze e indagini hanno fatto ulteriore luce sulla pratica brutale della tortura da parte di Israele nei confronti dei detenuti palestinesi e dei prigionieri nelle carceri delloccupazione israeliana.

Come hanno ampiamente documentato organizzazioni della società civile palestinese come lAddameer Prisoner Support, Human Rights Association, il Palestine PrisonersClub e altre, i prigionieri vengono brutalmente picchiati e maltrattati più volte al giorno, rinchiusi in celle non adatte alla vita umana, tenuti bendati con le mani legate con fascette di plastica, isolati dal mondo esterno, spogliati dei loro vestiti, puniti collettivamente attraverso la fame, attaccati da cani, aggrediti sessualmente e torturati psicologicamente. Dal 7 ottobre almeno tredici palestinesi sono stati portati alla morte in carcere in seguito alla tortura e alla negazione di cure mediche adeguate. Innumerevoli altri sono stati scoperti in fosse comuni con evidenti segni delle torture subite, esecuzioni e altri crimini contro l’umanità.

Sebbene trattata dai mezzi di informazione occidentali come un fenomeno nuovo o eccezionale, come nella recente denuncia della CNN sugli orrori praticati nel famigerato centro di detenzione di Sde Teiman, la tortura israeliana precede di molto il 7 ottobre. Luso della tortura in Israele come strumento coloniale per soggiogare e esercitare il controllo sui palestinesi è intrecciato con la sua stessa nascita come Stato. Come ha scritto nel 2010 dal carcere Walid Daqqa, icona rivoluzionaria e letteraria palestinese,

Ciò che accade nelle [carceri israeliane] non è solo detenzione e isolamento di un popolo considerato un rischio per la sicurezza di Israele, ma fa parte di uno schema generale, scientificamente pianificato e calcolato per rimodellare la coscienza palestinese”.

La tortura israeliana è quindi istituzionalizzata e sistematica portata avanti dall’esteso regime di sicurezzadello Stato e autorizzata dai suoi organi legali e giudiziari. A livello internazionale luso della tortura da parte di Israele continua a non essere oggetto di verifica, nonostante lo Stato sia firmatario della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e altre punizioni o trattamenti crudeli, disumani o degradanti.

Tuttavia, nel fare luce sul labirinto di sistemi, leggi, istituzioni e persone che modellano il modo in cui Israele pratica la tortura [emerge che] una fondamentale categoria di persone coinvolte tende a sfuggire alla responsabilità: gli operatori sanitari nelle carceri e nei centri di detenzione delloccupazione israeliana. Mentre lattenzione su chi tortura generalmente ricade sugli interroganti dello Shin Bet (o lagenzia di sicurezzainterna israeliana), i medici e gli psicologi carcerari israeliani sono profondamente complici della tortura e del trattamento crudele, inumano o degradante dei palestinesi incarcerati che si suppone siano affidati alle loro cure.

Via liberaalla tortura fornito dai medici

Le norme internazionali che vietano ai medici di compiere atti di tortura sono categoriche. Ad esempio, la Dichiarazione di Tokyo del 1975 della World Medical Association – un’associazione a cui appartiene l’Israel Medical Association – afferma che un medico non deve “consentire o partecipare alla pratica della tortura… qualunque sia il reato di cui sia sospettata la vittima di tali procedure”, accusata o colpevole, e qualunque siano le convinzioni o le motivazioni della vittima… anche [nei] conflitti armati e guerre civili.” La Dichiarazione afferma inoltre che mentre i medici hanno lobbligo di diagnosticare e curare le vittime di tortura, è eticamente loro vietato condurre qualsiasi valutazione, o fornire informazioni o trattamenti, che possano facilitare o perpetuare la tortura. (enfasi aggiunta).

In altre parole: un medico può comunque essere complice della tortura anche se la sua partecipazione non è diretta. In quanto professionisti medici responsabili del benessere dei loro pazienti i medici hanno l’obbligo etico di segnalare e denunciare gli abusi di cui sono testimoni, di proteggere i loro pazienti, di garantire la riservatezza delle informazioni mediche personali dei pazienti e di astenersi da qualsiasi situazione in cui venga utilizzata o minacciata la tortura.

Le prove degli ultimi 30 anni dimostrano che regolarmente i medici israeliani non rispettano questi obblighi etici e operano in violazione del diritto internazionale. Come dettagliato nei rapporti di Human Rights Watch, Amnesty International, Physicians for Human Rights-Israel e molti, molti altri, in Israele il coinvolgimento dei medici nella tortura è sistematico e di fatto parte integrante del regime di tortura israeliano.

La complicità dei medici nella tortura si manifesta in vari modi. Come spiegato nello studio globale di Addameer del 2020, Cell 26, prima dellinizio dellinterrogatorio di un detenuto, i medici israeliani collaborano con gli interroganti dello Shin Bet per certificareo constatare che siano idonei” ad essere sottoposti a tortura. Per tutta la durata dellinterrogatorio un medico fornisce il via liberaaffinché la tortura possa continuare.

Ma lautorizzazione alla tortura va oltre un superficiale controllo sanitario. Nei loro esami, gli operatori sanitari cercano i punti deboli fisici e psicologici da sfruttare in una persona. Queste debolezze vengono condivise attivamente con gli interroganti per aiutarli a spezzare lo spirito del prigioniero.

Inoltre i medici israeliani tacciono sulle ferite che osservano durante la tortura. Invece di adempiere alle proprie responsabilità etiche con il denunciare gli abusi, i medici falsificano o si astengono dal documentare gli effetti fisici e psicologici della tortura sul corpo e sulla mente di un detenuto, privando le vittime della possibilità di utilizzare potenziali prove contro i loro torturatori.

La complicità medica nella tortura si estende oltre i singoli professionisti fino allintero sistema sanitario israeliano. I detenuti palestinesi raccontano che gli interroganti sono addestrati a metodi di abuso progettati per infliggere il massimo danno. Questa conoscenza non è innata; al contrario, secondo Cell 26, la ricerca medica è coinvolta con gli interroganti delloccupazione israeliana per armarli di tecniche e programmi di tortura specifici intesi a causare sofferenze estreme ai detenuti palestinesi lasciando minimi segni fisici.

Dal 7 ottobre le indagini e le testimonianze di sopravvissuti alla tortura, difensori e organizzazioni per i diritti umani e persino alcuni informatori israeliani hanno confermato che il coinvolgimento dei medici israeliani nella tortura è ancora in corso. Il 16 aprile un rapporto scioccante dellAgenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e lOccupazione Lavorativa (UNRWA) sulla tortura dei detenuti di Gaza ha affermato che quando tentavano di ricevere assistenza medica per la cura delle ferite causate dalle torture, i prigionieri palestinesi venivano invece picchiati più duramente dai medici della prigione.

La complicità dei medici nella tortura include anche la negligenza medica, una pratica deliberata e di lunga data nelle carceri israeliane. Un rapporto di Physicians for Human Rights-Israel [Medici per i diritti umani-Israele] pubblicato il mese scorso descrive in dettaglio le orribili condizioni di reclusione in un ospedale da campo situato presso la base militare e centro di detenzione di Sde Teiman. Secondo il rapporto, il personale medico presta assistenza a pazienti immobilizzati e bendati; esegue procedure mediche invasive senza che i pazienti ricevano sufficienti spiegazioni in anticipo o diano il loro consenso; rifiuta di prestare le cure rifiutando la somministrazione di farmaci antidolorifici e giustificando la fornitura del trattamento esclusivamente nei casi in cui ciò aiuti le forze di sicurezza a interrogare i pazienti. Inoltre, al personale medico non è richiesto di denunciare o documentare casi di violenza o tortura di cui sia stato testimone né di firmare documenti medici con il proprio nome o numero di licenza, proteggendolo da qualsiasi potenziale indagine riguardante la violazione delletica medica.

Nellindagine della CNN su Sde Teiman altri tre informatori israeliani presso il centro di detenzione hanno rivelato come le procedure mediche presso la struttura siano a volte eseguite da medici sottoqualificati, tanto che [l’ospedale da campo] si è guadagnato la reputazione di ‘paradiso per i tirocinanti’”.

Come ha detto uno degli informatori alla CNN: Mi è stato chiesto di imparare come fare delle cose sui pazienti, eseguendo procedure mediche minori che sono totalmente al di fuori della mia competenzail trovarmi soltanto lì mi sembrava di essere complice di abusi. La stessa persona ha anche assistito ad amputazioni eseguite su persone che avevano subito ferite causate dalla costrizione continuativa delle mani.

Le condizioni all’interno dellospedale da campo di Sde Teiman sono così disastrose che allinizio di aprile un medico israeliano di stanza presso la struttura ha scritto una lettera al ministro della Sanità israeliano esprimendo le sue preoccupazioni. In essa afferma che le circostanze sono così cupe che i suoi impegni fondamentali nei confronti dei pazientisono stati lasciati da parte e che le équipe mediche della struttura, così come il Ministero della Salute, stanno violando la legge israeliana sullincarcerazione dei combattenti illegali.

Quando i medici sono agenti del colonialismo

La partecipazione alla tortura dei medici professionisti coloro il cui dovere è evidentemente quello di guarire, alleviare la sofferenza e agire nel migliore interesse dei loro pazienti non è una contraddizione. Indipendentemente dalletica o dalle leggi, il personale medico israeliano opera innanzitutto come agente del regime coloniale di insediamento israeliano. Sotto il colonialismo di insediamento tutti gli aspetti della società di un colonizzatore hanno un unico scopo: favorire loppressione delle persone colonizzate.

La professione medica non è diversa. Nel suo saggio Medicina e colonialismoFrantz Fanon delinea cosa significa praticare la medicina in un contesto coloniale. Parlando dellAlgeria francese, scrive:

il medico stessoha deciso di escludersi dal cerchio protettivo che i principi e i valori della professione medica hanno intessuto attorno a luiIn una data regione, il medico si rivela talvolta come il più sanguinario dei colonizzatoricosì diventa il torturatore sotto le apparenze di un medico.

Fanon continua: Sul piano strettamente tecnico il medico europeo collabora attivamente con le forze coloniali nelle loro pratiche più spaventose e più degradanti”.

Gli ultimi 230 giorni hanno reso dolorosamente evidente che lannientamento delle infrastrutture sanitarie di Gaza è uno degli obiettivi centrali della campagna genocida di Israele. Oltre alla distruzione degli ospedali, gli operatori sanitari palestinesi vengono rapiti, torturati e uccisi a centinaia. Secondo il Ministero della Sanità di Gaza dal 7 ottobre almeno 493 operatori sanitari sono stati assassinati da Israele. Altri 200 sono stati fatti prigionieri dalle forze di occupazione israeliane. Alcuni come il dottor Adnan Al-Bursh, primario di ortopedia presso lospedale al-Shifa sono stati torturati a morte dopo mesi di prigionia.

Mentre Israele bombarda e distrugge gli ospedali i medici israeliani torturano i prigionieri palestinesi. Mentre Israele giustizia i pazienti palestinesi, i suoi medici condividono ricerche mediche per aiutare a torturare meglio i detenuti palestinesi. Nelle parole del dottor Al-Bursh: La pratica della medicina è diventata un criminee la detenzione e la tortura a morte è diventata la punizione per aver salvato vite umane”.

Mentre i medici palestinesi muoiono negli ospedali di Gaza con i loro pazienti i medici israeliani sono complici del genocidio.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Gli israeliani celebrano il massacro di Rafah come il falò di una festa ebraica

Nadav Rapaport 

27 maggio 2024,Middle East Eye

I falò di Lag BaOmer festeggiano la luce spirituale. Quest’anno gli israeliani hanno usato questa occasione per deridere 45 uomini, donne e bambini palestinesi uccisi nell’attacco ad un campo di Gaza

Tel Aviv. Dopo l’attacco aereo israeliano che si è abbattuto domenica notte su un campo a Rafah, nel sud di Gaza, dilaniando i corpi di dozzine di uomini, donne e bambini palestinesi e scatenando un feroce incendio, le riprese video della situazione nel campo hanno suscitato orrore e condanna in tutto il mondo.

In Israele, invece, personaggi di spicco e pubblici funzionari hanno considerato il massacro e l’incendio il modo perfetto per celebrare una festa religiosa.

Domenica era Lag BaOmer, una festa ebraica in cui le persone in tutto Israele accendono falò come rappresentazione della luce spirituale portata da Shimon bar Yochai, un venerato rabbino del II secolo.

Di solito la celebrazione più importante della giornata si svolge sul Monte Meron, presso la tomba di Shimon bar Yochai, dove viene acceso un grande falò e decine di migliaia di fedeli si riuniscono per uno dei più grandi eventi di massa del mondo ebraico.

Ma questo fine settimana le preoccupazioni per la sicurezza hanno limitato la partecipazione a sole 30 persone, spingendo Yinon Magal, giornalista senior dell’emittente israeliana Channel 14, a pubblicare immagini del massacro di Gaza con la didascalia: “L’illuminazione dell’anno a Rafah”. Successivamente ha rimosso il post su X.

Un altro giornalista, Naveh Dromi di i24, ha ripubblicato il video dell’incendio con la didascalia “Buona Festa”. Anche questo post è stato successivamente rimosso.

Pure Yoav Eliasi, rapper e attivista di estrema destra conosciuto anche con il nome d’arte “The Shadow”, ha pubblicato su Telegram video dell’incendio di Rafah che presentavano l’incidente come un falò di Lag BaOmer.

Domenica sera e lunedì mattina i social media israeliani erano in fermento, condividendo battute e meme sbeffeggianti il massacro di Rafah.

Una delle immagini più scioccanti da Rafah riportate domenica sera era quella di un uomo che sorreggeva il corpo di un bambino senza testa. Un membro di un popolare gruppo Telegram israeliano di destra ha condiviso la foto dell’uomo che tiene in braccio il bambino morto deridendolo come pubblicità per vendere del pollo. “Pollo fresco 1 shekel al chilo”, diceva.

In molti hanno fatto paragoni con i falò di Lag BaOmer. “I nazisti si sono scottati”, ha scritto un israeliano su X. “Lag BaOmer – la versione di Rafah” ha scritto un altro condividendo il filmato dell’incidente in seguito ripubblicato da Dromi.

Almeno 45 palestinesi sono stati uccisi dall’attacco israeliano nell’area di Rafah che Israele aveva designato come “sicura” e in cui aveva detto agli sfollati di stabilirsi. Venerdì la Corte internazionale di giustizia aveva ordinato a Israele di fermare la sua offensiva su Rafah.

L’esercito israeliano ha affermato che l’attacco è stato “preciso” e ha preso di mira due alti funzionari di Hamas. L’alto funzionario di Hamas Sami Abu Zuhri ha affermato di ritenere gli Stati Uniti responsabili della fornitura di armi e assistenza finanziaria a Israele.

Numerose condanne sono arrivate dalle capitali europee e arabe. Il presidente francese Emmanuel Macron si è detto “indignato” per l’attacco. “Queste operazioni devono finire. Non ci sono aree sicure a Rafah per i civili palestinesi”, ha detto, aggiungendo che è necessario un cessate il fuoco immediato.

Da ottobre più di 36.000 palestinesi sono stati uccisi dalla guerra israeliana a Gaza, la stragrande maggioranza donne e bambini.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




I medici trafugati di Gaza

Kavitha Chekuru

24 maggio 2024 – The Intercept

Centinaia di medici palestinesi sono scomparsi nelle carceri durante la detenzione israeliana

Sono due mesi che Osaid Alser non ha più notizie di suo cugino, Khaled Al Serr, un chirurgo dell’ospedale Nasser della città di Khan Younis, nel sud della Striscia di Gaza.

Prima della fine di marzo erano in regolare contatto, per quanto almeno potessero consentirlo le infrastrutture disastrate della comunicazione. Al Serr aveva creato un gruppo WhatsApp di telemedicina in cui lui e Osaid, un chirurgo residente negli Stati Uniti, reclutavano medici dagli Stati Uniti, dal Regno Unito e dall’Europa per dare consigli ai loro oramai esausti colleghi di Gaza.

Mi ha riportato il caso di una ferita da arma da fuoco in una settantenne”, ha detto Osaid riferendosi ad Al Serr. La ferita era alla testa. E in quel momento mancava proprio un neurochirurgo”.

Condivideva questi casi e chiedeva aiuto”, continua Osaid. “Era come chiedere ‘C’è qualche neurochirurgo che può aiutarmi? Come posso risolvere questo problema?’”

Secondo Osaid, Al Serr costituiva uno strumento naturale di condivisione per la conoscenza medica attraverso la chat di gruppo. “Voleva sempre dare una mano, gli è sempre piaciuto usare le mani per cercare di risolvere un problema e avere un risultato immediato”.

A febbraio lesercito israeliano ha invaso lospedale Nasser. Lattacco ha lasciato lospedale svuotato, un ulteriore centro sanitario distrutto nel complesso di un sistema sanitario devastato da uno schiacciante carico di lavoro e da un implacabile attacco militare da parte di Israele.

Tuttavia Al Serr ha mantenuto un certo ottimismo. Il suo ultimo post su Instagram è stato caricato a metà marzo, un breve video che mostrava l’esterno dell’ospedale il giorno prima, con sottotitolato un messaggio di esultanza:

Finalmente!! Dopo più di un mese di interruzione dell’energia il nostro personale è stato in grado di riparare il generatore e riportare l’elettricità all’ospedale Nasser. Nelle ultime due settimane stiamo cercando di pulire i reparti e prepararli per la riapertura.

Sei giorni dopo, il 24 marzo, le forze israeliane hanno nuovamente fatto irruzione nell’ospedale. Qualche giorno prima Osaid aveva chiesto se Al Serr stesse bene. Non è mai arrivata alcuna risposta. È stato il loro ultimo scambio.

I suoi parenti credono che Khaled Al Serr, insieme ai superstiti del personale dellospedale già in declino, sia stato fatto prigioniero da Israele.

Già a novembre erano emerse notizie di medici detenuti e scomparsi nel nord di Gaza. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, almeno 214 membri del personale medico di Gaza sono stati arrestati dall’esercito israeliano. Allinizio di maggio, la detenzione e la presunta tortura del personale medico di Gaza avevano fatto notizia quando le autorità israeliane hanno annunciato la morte di Adnan Al-Bursh, un noto chirurgo e capo del reparto di ortopedia dellospedale Al-Shifa. Dopo essere stato preso in custodia a dicembre i funzionari hanno riferito che Al-Bursh era morto ad aprile mentre si trovava nella prigione di Ofer, una struttura di detenzione israeliana nella Cisgiordania occupata.

Il caso del dott. Adnan solleva serie preoccupazioni sulla possibilità che sia morto in seguito alle torture per mano delle autorità israeliane. La sua morte richiede unindagine internazionale indipendente”, ha dichiarato la settimana scorsa Tlaleng Mofokeng, relatrice speciale delle Nazioni Unite sul diritto alla salute. Luccisione e la detenzione di operatori sanitari non è un metodo di guerra legale. Hanno un ruolo legittimo ed essenziale nel prendersi cura delle persone malate e ferite durante i periodi di conflitto”.

Secondo il Ministero della Sanità Al-Bursh è uno degli almeno 493 operatori sanitari palestinesi uccisi a Gaza dal 7 ottobre. L’esercito israeliano ha sistematicamente preso di mira gli ospedali dal nord al sud della Striscia sostenendo che Hamas opererebbe nelle strutture. Il personale medico degli ospedali di Gaza ha ripetutamente smentito tale affermazione. Questa settimana le forze israeliane hanno lanciato nuovi attacchi contro gli ospedali Kamal Adwan e Al-Awda nel nord, con notizie di personale medico arrestato mercoledì e giovedì all’ospedale Al Awda.

Mentre verso la fine dellanno le truppe di terra si facevano strada nel sud di Gaza gli attacchi agli ospedali nella città meridionale di Khan Younis aumentavano. A febbraio, durante l’assedio dell’ospedale Nasser da parte dellesercito israeliano Al Serr era lunico chirurgo generale presente.

“È un medico molto scrupoloso”, ha detto di Al Serr Ahmed Moghrabi, un chirurgo plastico che in precedenza ha lavorato all’ospedale Nasser.

Entrambi i medici pubblicavano spesso sui social media i casi raccapriccianti da cui era sommerso l’ospedale Nasser, soprattutto perché gli attacchi alla struttura aumentavano e la copertura mediatica internazionale era scarsa.

Ho visto bambini e donne fatti a pezzi”, ha detto Moghrabi a The Intercept, spiegando il motivo per cui ha iniziato a postare sui social media. “Volevo mostrare al mondo cosa sta succedendo sul campo.”

L’ultima volta che ha visto Al Serr è stato a febbraio. Loro” – lesercito israeliano- “ha circondato lospedale e siamo rimasti intrappolati”, ricorda Moghrabi. E lospedale è rimasto sotto assedio per tre settimane. Non potevamo nemmeno spostarci da un edificio all’altro. Non potevamo dare un’occhiata sbirciare dalle finestre. Altrimenti i cecchini avrebbero potuto spararci”.

Moghrabi ha lasciato l’ospedale a metà febbraio, durante la prima invasione. “Abbiamo evacuato a mezzanotte”, riferisce. Lesercito ha istituito un posto di blocco non lontano dal cancello dellospedale. Hanno controllato davvero tutti. Hanno arrestato il mio infermiere ed è rimasto in carcere due mesi”.

Per quanto riguarda Al Serr, Osaid dice che suo cugino se n’è andato poco dopo l’evacuazione di febbraio per andare a Rafah e verificare le condizioni dei genitori, ma che è tornato all’ospedale Nasser per aiutare a riaprirlo e curare i pazienti.

Dallattacco allospedale di fine marzo non si hanno quasi più notizie di Al Serr. Le uniche briciole di informazione sono state più allarmanti che rassicuranti. La prima è stata una connessione di Al Serr al suo WhatsApp a metà aprile. “È stato attivo online l’ultima volta il 12 aprile”, afferma Osaid, “il che, a mio avviso, mi dice che gli hanno confiscato il telefono e che quindi hanno avuto anche accesso al suo contenuto.”

Poi, pochi giorni dopo, il 17 aprile, il quotidiano Al Mayadeen ha rilasciato unintervista con un palestinese che si è identificato come Ahmed Abu Aqel, che ha affermato di essere stato arrestato e rilasciato da Israele. Moghrabi ha detto a The Intercept che Abu Aqel ha lavorato in precedenza come infermiere presso l’ospedale Nasser.

Vestito con una felpa grigia e pantaloni di una tuta, un abbigliamento comune tra i detenuti palestinesi rilasciati, Abu Aqel ha detto di avere un messaggio da parte dei medici detenuti dell’ospedale Nasser.

Sono sottoposti a percosse, uccisioni e torture quotidiane”, ha detto Abu Aqel. C’è un messaggio in particolare da parte di un medico, il dottor Nahed Abu Taimah, direttore della chirurgia presso il Nasser Medical Complex. La sua situazione è molto difficile e sta soffrendo in circostanze molto difficili e tragiche. Ha bisogno di cure, di essere visitato dalla Croce Rossa e rilasciato urgentemente”.

“Un mio collega era tenuto accanto a me”, riferisce Abu Aqel. Il suo nome era Khaled. Davanti a me gli hanno strappato tutta la barba con delle pinze. La sua barba è stata strappata. Questa è una delle centinaia [di situazioni] di cui sono a conoscenza.”

Osaid ritiene che si riferisca a Khaled Al Serr.

Anche se Abu Aqel non ha detto dove è stato trattenuto – dove potrebbe trovarsi ancora Al Serr – Osaid pensa che probabilmente si tratti di Sde Teiman, una base militare e centro di detenzione nel deserto israeliano del Negev. Ci sono state numerose denunce di abusi, torture e decessi di detenuti a Sde Teiman.

In una dichiarazione a The Intercept ricevuta dopo la pubblicazione di questo articolo un portavoce dellesercito israeliano non ha risposto a domande specifiche sugli operatori sanitari in detenzione, ma ha negato qualsiasi situazione diffusa di abusi nei confronti dei palestinesi sotto custodia. “Il maltrattamento dei detenuti durante il loro periodo di detenzione o durante gli interrogatori viola i valori dell’esercito israeliano e contravviene agli ordini ed è quindi assolutamente proibito”, ha detto il portavoce. “I reclami concreti riguardanti comportamenti inappropriati vengono inoltrati alle autorità competenti per le valutazioni.”

A parte la testimonianza poco circostanziata di Abu Aqel e un segnale su WhatsApp, non ci sono state informazioni o aggiornamenti su dove si trovi Al Serr o sulle sue condizioni.

Spezza il cuore non sapere nulla dei tuoi cari”, dice Osaid. Non sappiamo se è vivo o no. Non sappiamo se sta bene o no”.

Quei palestinesi abbastanza fortunati da essere stati rilasciati dalla prigionia offrono scorci strazianti su ciò che accade allinterno dei centri di detenzione israeliani.

A dicembre Khaled Hamouda, un altro chirurgo, stava lavorando all’ospedale Kamal Adwan, nel nord di Gaza. Un mese prima era stato sfollato dall’ospedale indonesiano, dove esercitava abitualmente. A Kamal Adwan Hamouda era anche un paziente, in cura per le ferite riportate in un attacco aereo sulla sua casa di famiglia a Beit Lahia. La moglie, la figlia, il padre e un fratello, tra gli altri parenti, erano rimasti uccisi nell’attacco.

Dopo circa 10 giorni dallattacco le forze israeliane hanno ordinato sia al personale medico che ai civili rifugiati nellospedale Kamal Adwan di andarsene. Hamouda ha riferito che all’amministrazione dell’ospedale è stato detto che le persone avrebbero potuto andarsene recandosi in un altro ospedale senza essere arrestate.

Non è quello che è successo. Hamouda e alcuni suoi colleghi sono stati invece presi in custodia dai militari israeliani.

“Quando hanno attaccato l’ospedale hanno chiesto a tutti gli uomini e i giovani di età superiore ai 15 anni e al di sotto dei 55 anni di tenere la carta d’identità e di uscire dall’ospedale”, afferma Hamouda. I loro occhi sono stati bendati e sono stati portati ammanettati in un altro luogo, anche se Hamouda non sa bene dove.

Subito dopo la loro cattura hanno cominciato a diffondersi sui social media le immagini di decine di detenuti trattenuti dai soldati israeliani nel nord di Gaza. In una foto un gruppo di uomini sta a torso nudo in primo piano mentre un soldato sembra scattare loro delle foto. Non è passato molto tempo prima che delle persone identificassero Hamouda tra quegli uomini.

“Era il giorno in cui ci hanno prelevato dall’ospedale Kamal Adwan e ci hanno chiesto di guardare verso la macchina fotografica”, ricorda Hamouda. “È lunica prova che sono stato fatto prigioniero in quel giorno. Nessuno ha saputo cosa ci fosse successo finché questa foto non è arrivata ai media.

Hamouda dice che in seguito è stato portato a Sde Teiman, dove lui e altri detenuti sono stati costretti a rimanere in ginocchio. Se non lo facevano, venivano puniti. “Gli hanno ordinato di stare con la mano sopra la testa per circa tre o quattro ore”, racconta a proposito di uno dei prigionieri.

“Purtroppo, quando hanno saputo che ero medico e chirurgo generale, mi hanno trattato peggio”, ricorda. Mi hanno aggredito e mi hanno picchiato alla schiena e alla testa”. Hamouda dice che i soldati volevano sapere se aveva informazioni sugli israeliani tenuti prigionieri a Gaza, ma lui non ne sapeva nulla.

Mentre era detenuto ha visto anche una persona della comunità medica da lui conosciuta: il dottor Adnan Al-Bursh. Hanno portato il dottor Adnan verso le 2 o le 3 del mattino. È stato trattato in modo orribile. Soffriva”, riferisce Hamouda. Mi ha detto: Khaled, mi hanno picchiato. Mi hanno aggredito violentemente.’” Hamouda riferisce che Al-Bursh gli ha anche detto di avere una costola fratturata. Hamouda è riuscito a procurargli medicine e cibo ma, due giorni dopo, il medico ferito è stato portato via.

Hamouda ricorda che, nonostante le sue condizioni e le dure circostanze della prigionia, Al-Bursh gli ha fornito delle informazioni: “Tua madre si trova all’ospedale Al-Awda e sta bene, l’ho curata”. Hamouda è stato riconoscente per il messaggio: Questa informazione è stata molto, molto preziosa per me perché non sapevo nulla della mia famiglia, in particolare di mia madre. Allora lho abbracciato, gli ho baciato la testa e lho ringraziato perché era lunica speranza che una volta uscito l’avrei ritrovata”.

Dopo tre settimane Hamouda è stato rilasciato. Riferisce a The Intercept che lui e altri detenuti sono stati portati al valico di frontiera di Kerem Shalom nel sud e alla fine sono andati a Rafah. I suoi figli sopravvissuti e sua madre erano ancora nel nord e sarebbero passati due mesi prima che potessero riunirsi. Si considera fortunato perché è stato rilasciato.

“Tutti i miei colleghi medici che sono stati arrestati con me, dopo o prima di me sono stati tenuti lì per circa tre o quattro o cinque mesi”, ha detto. “Alcuni sono ancora prigionieri.”

A Gaza i medici erano fondamentali anche prima della guerra, soprattutto nelle circostanze legate al continuo ripetersi delle restrizioni al confine e degli attacchi militari israeliani.

Ogni due o tre anni”, dice Hamouda, rimaniamo intrappolati in una qualche guerra o attacco da parte dellesercito israeliano. Quindi il nostro lavoro è importante per le persone che ne sono colpite”.

Anche il padre di Hamouda era stato medico e voleva che suo figlio seguisse le sue orme. Mi ha consigliato di diventare un medico”, ha detto Hamouda, perché questo va a beneficio per le persone”.

Soddisfare la necessità di prendersi cura delle persone, ritiene Hamouda, è il motivo per cui gli operatori sanitari sono diventati dei bersagli così comuni in questa guerra. Non è una coincidenza”, dice. Attaccano intenzionalmente le case di chi è in grado di curare i feriti in modo da riuscire a modificare qualcosa nella situazione del nord”.

Queste considerazioni sono condivise da Osaid, che afferma che suo cugino Al Serr sarebbe stato d’accordo: sono diventati medici per aiutare le persone. Con la quota di omicidi in corso da un po’ abbiamo sempre bisogno di chirurghi per riparare le ferite traumatiche che le persone subiscono”, sostiene Osaid. E quindi per me, nel crescere a Gaza, il desiderio di aiutare e curare le persone ferite [è stata] una reazione naturale ”.

I post di Al Serr su Instagram mostrano principalmente come abbia documentato la marea degli spaventosi casi che gli sono arrivati ​​davanti: un flusso costante di civili fatti a pezzi da schegge e proiettili, punteggiato da attacchi ripetuti e crescenti allospedale Nasser. Uno dei suoi ultimi post, però, offre un barlume di speranza: due bambini nati il ​​giorno dell’invasione dell’ospedale, a febbraio.

Per il suo post successivo Al Serr si è avventurato fuori dallospedale, a ricordare come la guerra non abbia lasciato indenne nessuno a Gaza. Era un breve video del suo quartiere, con le case e gli edifici trasformati in cumuli di macerie e il percorso verso la sua casa sepolto lì sotto.

Ha sempre voluto metter su una famiglia”, dice Osaid di suo cugino, avere figli, costruirsi una vita e vivere in pace”.

Dopo due mesi di assenza di notizie da Al Serr quel capitolo della sua vita sembra una possibilità sempre più lontana.

È stato molto coraggioso. Stava facendo il suo lavoro. Il nostro lavoro come chirurghi non è solo curare le ferite e ripararle, ma anche difendere i nostri pazienti. Quindi lui li stava difendendo.

“Spero davvero che stia bene.”

Aggiornamento: 27 maggio 2024

Questo articolo è stato aggiornato per includere una dichiarazione dell’esercito israeliano ricevuta dopo la pubblicazione.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Criticare Israele? I media no profit potrebbero perdere l’esenzione dalle tasse senza un procedimento corretto

Seth Stern

10 maggio 2024 – The Intercept

Una nuova legge antiterrorismo consentirebbe al governo di togliere esenzioni fiscali vitali per i mezzi di comunicazione no profit.

Di questi tempi non ci vuole molto per essere accusati di sostenere il terrorismo, e ciò non riguarda solo gli studenti che si mobilitano. Negli ultimi mesi decine di parlamentari e funzionari pubblici hanno insinuato, senza prove, che i mezzi di comunicazione statunitensi forniscono appoggio concreto ad Hamas. Alcuni hanno persino espresso minacce appena velate di perseguire testate giornalistiche in base a queste false accuse.

Le loro lettere erano bravate politiche. I pubblici ministeri non sarebbero mai stati in grado di affrontare l’onere della prova in base alle leggi antiterrorismo e tutti i politici acquiescenti che hanno firmato le lettere lo sapevano. Ma la prossima volta potrebbe essere diverso, soprattutto se mezzi di informazione no profit, come The Intercept, arrivassero a infastidire il governo.

Ciò è dovuto al fatto che una legge, approvata in aprile dalla Camera dei Rappresentanti con ampio sostegno bipartisan dopodiché una legge simile è stata immediatamente presentata al Senato consentirebbe al ministero del Tesoro di revocare lo status di no profit a qualunque organizzazione considerata “fiancheggiatrice del terrorismo”. Questa settimana il primo firmatario del disegno di legge al Senato, il repubblicano del Texas John Cornyn, l’ha presentata come emendamento alla legge che va obbligatoriamente approvata per il rinnovo delle autorità dell’Amministrazione Federale dell’Aviazione. Benché non sia passata (il Senato non ha votato neppure uno delle decine di emendamenti proposti), è probabile che presto prosegua il suo iter nell’aula del Senato sotto altra forma.

Finanziare il terrorismo è già illegale, ma la nuova legge consentirebbe al governo di evitare le lungaggini burocratiche richieste per le azioni penali o la designazione ufficiale di terrorista.

Si potrebbe pensare che l’appoggio al terrorismo perseguibile sia limitato a contributi intenzionali e diretti a gruppi terroristici. Sarebbe sbagliato. Le leggi esistenti sul sostegno materiale al terrorismo sono state a lungo criticate perché vanno oltre lo scopo e lasciano spazio ad abusi non solo contro la libertà di parola, ma anche contro operatori umanitari. Una recente lettera di 135 organizzazioni per i diritti umani che si oppongono alla legge ha evidenziato i tentativi di revocare lo status di esenzione fiscale di, oppure di rappresaglie contro, gruppi studenteschi filo-palestinesi.

Non c’è alcuna ragione di credere che la stampa sia esentata dagli abusi. Nelle loro recenti lettere alcuni politici hanno chiesto che vengano indagati per terrorismo New York Times, Reuters, CNN e Associated Press sulla base di accuse secondo cui questi mezzi di informazione avrebbero comprato fotografie da freelance palestinesi che hanno informato sugli attacchi di Hamas il 7 ottobre.

Il finto scandalo è stato originato da una falsa accusa da parte di un’organizzazione ironicamente autodenominatasi HonestReporting [Informazione corretta], secondo cui quelle immagini evidenziano che i fotografi che le hanno scattate sapevano in anticipo del massacro. Altrimenti come (oltre che, diciamo, dalle TV o da Internet) avrebbero saputo dove andare?

Quindi HonestReporting ha argomentato che anche i mezzi di comunicazione che hanno comprato le immagini avrebbero potuto essere pure loro complici, perché, ovviamente, quando un gigante internazionale dell’informazione compra una foto da qualcuno del suo vasto elenco di freelance, è ragionevole imputare i presunti peccati del freelance lungo tutta la catena.

Alla fine HonestReporting ha ritrattato questa contorta teoria, ammettendo di non avere prove e di aver semplicemente fatto delle domande. Dopo aver obbligato i mezzi di informazione a negare pubblicamente di avere legami con Hamas, HonestReporting ha affermato di credere a loro.

Ma ciò non ha dissuaso i politici statunitensi dal supporre che il fatto che alcuni freelance palestinesi a Gaza abbiano avuto contatti con politici di Hamas il che non dovrebbe sorprendere, dato che Hamas è stata l’autorità al governo nell’enclave assediata ha reso finanziatore del terrorismo chiunque li abbia assunti.

Ma c’è persino di peggio. Una delle lettere, firmata da oltre una decina di procuratori generali statali, ha ventilato la teoria secondo cui le notizie dei mezzi di informazione potrebbero essere in sé una prova del sostegno ad Hamas. Come afferma l’U.S. Press Freedom Tracker (un altro sito web no profit, gestito dalla Freedom of the Press Foundation [Fondazione per la Libertà di Stampa] dove io lavoro):

La lettera evidenzia anche che “materiale di supporto” per i gruppi terroristici – un crimine sia federale che statale – può includere “scrivere e distribuire pubblicazioni in appoggio all’organizzazione”. Non entra nei dettagli su quello che sarebbe da considerare appoggio, bloccando potenzialmente ogni informazione che non condanni inequivocabilmente Hamas o non appoggi unilateralmente Israele.”

Poi i procuratori generali mettono in guardia i mezzi di informazione che “continueremo a seguire il modo in cui date le notizie per garantire che le vostre organizzazioni non violino alcuna legge federale o statale fornendo sostegno materiale a terroristi all’estero.” I firmatari proseguono: “Ora le vostre organizzazioni sono avvertite. Rispettate la legge.”

Recentemente molti di quei procuratori generali hanno affermato che “le libertà di parola e di associazione del Primo emendamento non proteggono persone che forniscono aiuto materiale” al terrorismo. Non hanno citato lo scetticismo della Corte Suprema secondo cui “istanze presentate in base alla legge sull’appoggio materiale a discorsi o difesa supererebbero il severo controllo del Primo emendamento… persino nel caso in cui il governo dimostrasse che tali discorsi favoriscono organizzazioni terroristiche straniere.”

Alcuni membri del Congresso hanno messo gli occhi anche sui mezzi di informazione. Il senatore Tom Cotton, repubblicano dell’Arkansas, ha ripetuto la disinformazione di HonestReporting in molteplici lettere, mentre 15 parlamentari del Congresso hanno chiesto che i media forniscano informazioni riguardanti i freelance, includendo potenzialmente identità e comunicazioni delle fonti, minacciando di emettere citazioni di comparizione.

Se ci fossero dubbi sulle intenzioni dei sostenitori della legge sulle no profit, si prenda in considerazione che cinque dei suoi promotori alla Camera dei Rappresentanti hanno anche firmato una lettera all’Internal Revenue Service [Agenzia delle Entrate federale, ndt.] chiedendo come definisce l’antisemitismo e insinuando che l’IRS dovrebbe negare l’esenzione fiscale alle no profit che “promuovano un comportamento contrario alle politiche ufficiali,” anche se non sono affatto accusate di appoggiare il terrorismo.

I mezzi di informazione no profit stanno già lottando per sopravvivere anche senza le persecuzioni del governo, ma la revoca del loro status di esenzione fiscale sarebbe la campana a morto per quelli che fanno il tipo di giornalismo investigativo approfondito che di questi tempi non è quasi mai remunerativo. La semplice prospettiva bloccherebbe l’informazione, non solo su Israele ma più in generale anche sulla politica estera USA. Per non parlare della minaccia alle organizzazioni della stampa libera no profit, i cui giornalisti dipendono dalla protezione dei loro diritti (incluso quello di non essere uccisi a Gaza).

Sfortunatamente questo è solo l’ultimo esempio delle sconsiderate e inutili leggi sulla “sicurezza nazionale” che mette in pericolo la stampa. Lo scorso mese il presidente Joe Biden ha ignorato i sostenitori delle libertà civili ed ha firmato una legge che consentirebbe alle agenzie di intelligence di assoldare qualunque “fornitore di servizi” per aiutare gli USA a spiare stranieri.

Come ha spiegato il senatore democratico dell’Oregon Ron Wyder, la legge potrebbe “spingere un dipendente a inserire una chiavetta USB nel server di un ufficio che egli pulisce o vigila di notte.” E quell’ufficio potrebbe facilmente essere una redazione di giornale, in cui spesso i giornalisti parlano a stranieri le cui comunicazioni potrebbero interessare le agenzie di intelligence USA.

Il governo sta per iniziare immediatamente ad arruolare giornalisti per sorvegliare le proprie fonti o sta per chiudere mezzi di comunicazione no profit che si allontanano dalla narrazione dell’esercito israeliano? Probabilmente no, ma la storia insegna che una volta che ai politici viene dato il potere di rappresaglia contro i giornalisti che non gli piacciono inevitabilmente lo faranno. Anche la prospettiva che le leggi sullo spionaggio e su frode e abuso dei computer venissero utilizzate come arma contro il giornalismo una volta era solo ipotetica, finché non è stata più tale.

E non si dimentichi che il presumibile candidato repubblicano alle presidenziali ha pubblicamente fantasticato di incarcerare i giornalisti o vendicarsi in altro modo contro di loro.

Quanti sostengono che un secondo mandato di Donald Trump segnerebbero la fine della democrazia devono smettere di approvare nuove leggi eccessive e inutili che conferiscono a lui e a futuri personalità autoritarie nuove possibilità per perseguitare e silenziare i giornalisti che non si mettono in riga.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Gaza 2035 Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu svela un piano regionale per costruire una “vasta zona di libero scambio” e un collegamento ferroviario con NEOM

Daniel Roche 

21 maggio 2024 – The Architect Newspaper

 

L’ufficio del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha recentemente presentato un documento PowerPoint che ci offre uno scorcio su quello che il partito Likud ha in mente per il futuro di Gaza, e Medio Oriente in generale. Il 3 maggio Netanyahu ha svelato Gaza 2035: un piano complessivo in tre fasi per costruire quello che lui chiama “La Zona di libero scambio Gaza-Arish-Sderot.” Il piano è stato pubblicato per la prima volta da The Jerusalem Post e poi da Al Jazeera.

La Zona di libero scambio Gaza-Arish-Sderot comprenderebbe i 365 km2 della Striscia di Gaza dove oltre 34.500 palestinesi sono stati uccisi dalle forze israeliane nel corso degli ultimi mesi e dove gli esperti riferiscono di una carestia in corso. La zona includerebbe anche il porto El-Arish, a sud di Gaza, nella penisola del Sinai egiziana, e Sderot, una città israeliana a nord di Gaza.

Il 2 maggio funzionari ONU hanno rilasciato un rapporto affermando che oltre il 70% del patrimonio edilizio di Gaza è stato distrutto e che la ricostruzione costerebbe 40–50 miliardi di dollari. Questo ha spinto Abdallah al-Dardari, un funzionario ONU, a dire: “Non abbiamo visto nulla di simile dal 1945.

Sotto gli auspici di Gaza 2035, la nuova zona di libero scambio sarebbe amministrata da Israele, Egitto e da quello che il primo ministro israeliano chiama Gaza Rehabilitation Authority [Autorità di Riabilitazione di Gaza] (ARG)— un’agenzia prevista con gestione palestinese che supervisionerebbe la ricostruzione di Gaza e “gestirebbe le finanze della Striscia.”

Il PowerPoint afferma che l’ARG non concederebbe la sovranità ai palestinesi e non menziona la soluzione a due Stati. Invece entro il 2035 Gaza e la Cisgiordania verrebbero sottoposte all’ “amministrazione formale” della Autorità Palestinese (AP) e Israele sarebbe responsabile della sicurezza della zona di libero scambio. Ron Ben Yishai, corrispondente di yNet, ha definito Gaza 2035 “la visione Singapore” di Netanyahu.”

Gaza 2035 è ufficialmente intitolato Piano per la Trasformazione della Striscia di Gaza e promette di far passare Gaza “dalla crisi alla prosperità.” L’idea di Netanyahu prevede di “ricostruire dal nulla”. 

Il piano regionale è stato accolto con una certa opposizione. Il 16 maggio il ministro degli Esteri degli Emirati Arabi Uniti Sheikh Abdullah bin Zayed Al Nahyan ha condannato il piano con una dichiarazione pubblica. Lara Elborno, avvocata dei diritti umani americana-palestinese, ha detto sui social media: “Il piano israeliano di rubare il nostro gas e imporci questo futuro distopico va urgentemente e inequivocabilmente contrastato. Gaza non è ‘niente’.”

Il “piano Marshall” di Netanyahu

Se il “piano Marshall” di Netanyahu avrà successo, ha detto il primo ministro, può essere “ripetuto in Yemen, Siria e Libano.” Gaza 2035 arriva meno di un anno dopo la presentazione da parte di Netanyahu alle Nazioni Unite del suo progetto “Grande Israele” che ipotizza l’assorbimento di Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme Est entro i confini ufficiali dello Stato di Israele.

Complessivamente Gaza 2035 si svilupperebbe in tre fasi. La prima, detta “Aiuti umanitari,” consiste in un programma di un anno che “deradicalizzerebbe” Gaza e sradicherebbe Hamas. La seconda fase durerebbe fra i 5 ai 10 anni durante i quali Arabia Saudita, EAU, Egitto, Bahrain, Giordania e Marocco “supervisionerebbero” la ricostruzione di Gaza. Lo stadio finale arriverebbe quando la Palestina firmerà gli Accordi di Abramo, che indicano l’“autogoverno palestinese,” seppure senza uno Stato.

Dei Paesi arabi citati gli EAU sono gli unici ad aver commentato il piano. Il ministro degli Esteri degli Emirati Arabi Uniti Sheikh Abdullah bin Zayed Al Nahyan ha detto: “Gli Emirati Arabi Uniti condannano le dichiarazioni del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu che chiede [agli EAU] di partecipare all’amministrazione civile della Striscia di Gaza, che è sotto l’occupazione israeliana.” La dichiarazione continua: “Gli EAU sottolineano che il primo ministro israeliano non ha il potere giuridico di fare questo passo e lo Stato rifiuta di essere coinvolto in qualsiasi piano che miri a offrire copertura alla presenza israeliana nella Striscia di Gaza.”

Collegare Gaza a NEOM?

I rendering del documento Gaza 2035, creati con IA, mostrano grattacieli futuristici, campi di pannelli fotovoltaici e impianti di desalinizzazione dell’acqua nella penisola del Sinai, un nuovo corridoio ferroviario ad alta velocità lungo la strada Salah al-Din (la principale superstrada di Gaza che collega Gaza City e Rafah), e piattaforme petrolifere al largo della costa di Gaza. 

Le piattaforme petrolifere e le navi container non sono un dettaglio: nel 2019 analisti delle Nazioni Unite avevano stimato che oltre 3.2 miliardi di barili di petrolio giacciono sotto la zona portuale di Gaza e la Cisgiordania con un valore stimato di miliardi di dollari. Secondo l’ONU il Mediterraneo orientale potrebbe contener 1.7 miliardi di barili e la Cisgiordania potrebbe averne 1.5 miliardi. Questi ritrovamenti hanno indotto la giornalista ambientale Yessenia Funes (citando Shereen Talaat, fondatrice e direttrice del movimento MENAFem per lo sviluppo economico e l’ecogiustizia) a descrivere su Atmos le azioni militari di Israele 2023–24 a Gaza come motivate dalle risorse: “Questo genocidio è tutta una questione di petrolio.” 

Oltre i rendering generati da IA anche i diagrammi sono importanti. Oggi Gaza è il fulcro di una via commerciale storica in Medio Oriente tra Il Cairo e Baghdad, e l’Europa e lo Yemen. Gaza 2035 capitalizzerebbe questa posizione geografica aggiungendovi un nuovo servizio ferroviario est-ovest fra Alessandria d’Egitto e Gaza City, in Palestina. Aggiungerebbe anche un servizio ferroviario nord-sud fra Gaza e NEOM, l’ipotetica città saudita di 500 miliardi di dollari a circa 200 chilometri a sud di Rafah.  Il documento dice che tutte queste connessioni aprirebbero opportunità perché aziende tecnologiche, industrie e “città per la produzione di veicoli elettrici” migrino verso la Zona di libero scambio Gaza-Arish-Sderot.

Al momento le ferrovie israeliane hanno 66 stazioni e a sud il servizio termina a Dimona. Secondo Gaza 2035 la nuova linea Gaza-NEOM espanderebbe il servizio di circa 160 chilometri da Dimona ad Aqaba, in Giordania e poi si collegherebbe a NEOM. La linea Gaza-NEOM farebbe una fermata a Be’er Shiva, in Israele, e poi si dividerebbe a un raccordo vicino a Sderot, da dove i treni andrebbero a Rafah o Tel Aviv – Haifa.

La proposta della nuova ferrovia Gaza-NEOM si inserisce nella Visione 2030 saudita che cerca di normalizzare in parte le relazioni con Israele costruendo l’ipotetica città la cui lunghezza è stata recentemente ridimensionata da 170 a 2.5 chilometri.

Anche nel nord di Gaza ci sarebbe una nuova “città per la produzione di veicoli elettrici.” A sud ci sarebbe la nuova ferrovia fra Gaza e il porto marittimo di El-Arish e l’aeroporto El-Gora nella penisola del Sinai, un piccolo hub regionale a una ventina di chilometri a sud di Rafah. Questo si collegherebbe con il Corridoio economico India-Medio Oriente -Europa (IMEC), la Via della Seta per unire Asia ed Europa. 

 Il lungomare di Gaza avrebbe un gran valore”

Gaza 2035 è il primo strumento di pianificazione ufficiale per Gaza presentato dal primo ministro israeliano dall’ottobre 2023, che va ora a unirsi ad altre idee non autorizzate da parte di leader israeliani e statunitensi il futuro di Gaza.

Il 13 ottobre a pochi giorni dall’uccisione da parte di Hamas di almeno 1.139 israeliani e dal rapimento di 240 ostaggi, il Misgav Institute for National Security & Zionist Strategy, un think tank israeliano, ha lanciato una strategia dicendo che “al momento c’è una rara e unica opportunità di evacuare l’intera Striscia di Gaza.” Il piano, presentato da Gila Gamliel, attivista del Likud e ministra dell’Intelligence israeliana, prevede l’espulsione forzata di 2.2 milioni di gazawi nella penisola del Sinai. 

A dicembre, Harey Zahav, un gruppo immobiliare israeliano, ha fatto uscire degli annunci pubblicitari di case sul lungomare di Gaza. (Più tardi Harey Zahav ha detto che le sue pubblicità volevano essere uno “scherzo.”) Jared Kushner ha detto che “il lungomare di Gaza avrebbe un gran valore” e che sarebbe interessato a costruire “proprietà con vista mare” mentre Israele “ripulisce” la Striscia di Gaza. Ad aprile Bill Ackman, manager di un fondo speculativo, ha presentato il proprio piano per Gaza e non è molto diverso da quello che al momento sta immaginando Netanyahu. 

Resta da vedere se Gaza 2035 sarà messo in pratica o no. Il 15 maggio Joav Gallant, ministro della Difesa israeliano, ha dichiarato la propria opposizione a Gaza 2035 e a ogni governo militare di Gaza a lungo termine da parte di Israele. Le critiche degli EAU sono state pubblicate il giorno dopo, il 16 maggio. 

Il 21 maggio la Corte Penale Internazionale (CPI) ha detto di aver richiesto mandati di arresto per Netanyahu e Gallant, oltre a quelli per Yahya Sinwar, capo di Hamas, e altri due leader di Hamas.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Colloqui segreti Iran-USA sulla guerra a Gaza compromessi dalla morte di Raisi

Corrispondente di MEE a Teheran

21 maggio 2024 – Middle East Eye

Fonti vicine ai mediatori in Oman dicono a MEE che le delegazioni avevano discusso della fine della guerra di Israele e del desiderio condiviso di un cambiamento nel governo israeliano

I colloqui segreti tra Iran e gli Stati Uniti in Oman stavano procedendo bene, ma ora sono stati messi a repentaglio dall’improvvisa morte del presidente iraniano Ebrahim Raisi e del suo ministro degli Esteri.

Secondo tre fonti iraniane al corrente delle trattative, all’inizio di questo mese Brett McGurk, alto consigliere per il Medio Oriente del presidente USA Joe Biden, ha tenuto trattative indirette con Ali Bagheri Kani, uomo di punta dell’Iran per i negoziati con l’Occidente.

I colloqui, la prima tornata di discussioni fra USA e Iran da gennaio, si sono svolti a Muscat che dieci anni fa ospitò gli incontri segreti fra Teheran e Washington che portarono nel 2015 all’accordo sul nucleare con il piano di azione congiunto globale (PACG).

Una fonte vicina ai colloqui, che sono stati per la prima volta riferiti da Axios venerdì, ha detto a Middle East Eye che le discussioni fra Bagheri Kani e McGurk stavano procedendo bene e si era vicini a raggiungere una sorta di accordo.

In quei giorni Bagheri Kani era viceministro degli Esteri, ma ora, dopo la morte sabato di Hossein Amir-Abdollahian nello schianto dell’elicottero che ha ucciso Raisi, è stato nominato ministro degli Esteri.

I colloqui si sono concentrati su tre temi: il desiderio condiviso di cambiamento del governo in Israele, la fine della guerra israeliana a Gaza ed evitare che il conflitto si estenda anche in altre parti della regione.

Un analista vicino all’establishment al potere in Iran ha riferito a MEE che sembra che i colloqui siano serviti anche per arrivare a un cessate il fuoco fra gli USA, da un lato, e l’Iran e i suoi alleati dall’altro.

Dall’attacco guidato da Hamas contro Israele del 7 ottobre e dalla successiva guerra a Gaza gli alleati iraniani, come il movimento degli houthi yemeniti, ufficialmente noto come Ansar Allah, e i paramilitari iracheni hanno condotto attacchi contro bersagli statunitensi nella regione.

Droni e missili iraniani sono stati inoltre abbattuti dalle forze USA in aprile quando l’Iran ha effettuato un massiccio attacco contro Israele in risposta all’uccisione dei comandanti della Guardia Repubblicana nel consolato iraniano a Damasco.

L’analista crede che ci possano essere state anche discussioni sul programma nucleare iraniano e sull’allentamento delle sanzioni sul petrolio.

Il PACG, in base al quale l’Iran aveva rallentato il suo programma di sviluppo nucleare in cambio di un alleggerimento delle sanzioni, si è interrotto dopo il ritiro unilaterale degli Stati Uniti ad opera dell’amministrazione Trump nel 2018.

Comunque l’anno scorso Washington e Teheran avevano raggiunto un accordo per uno scambio di prigionieri che includeva la restituzione da parte USA di oltre 6 miliardi di dollari di rendite petrolifere confiscate.

I colloqui che avevano portato a quell’accordo ad agosto proponevano anche di ridurre il programma nucleare iraniano, suggerendo che c’era spazio per fare accordi più mirati invece del più ampio PACG.

Nessun colloquio fino a dopo le elezioni

Secondo le fonti prima dell’inizio dei colloqui a Muscat, McGurk aveva incontrato Saeid Iravani, l’inviato iraniano alle Nazioni Unite.

Nel corso dell’incontro, secondo una fonte, McGurk ha citato le parole di Biden: “Non negozierò con l’Iran su un accordo nucleare e globale fino a dopo le elezioni USA, perché gli iraniani non possono mantenere le loro promesse.”

McGurk ha detto che Biden si era lamentato di aver dovuto affrontare “eccessive pressioni e umiliazioni” da parte repubblicana quando nel 2022, dopo la sconfitta elettorale di Donald Trump, il governo di Raisi si era rifiutato di rilanciare il PACG.

Biden avrebbe detto: “Secondo me il PACG è morto e noi negozieremo dopo le elezioni, sempre che ci siano negoziati globali che vadano oltre il PACG, riguardanti anche problemi regionali.”

Middle East Eye ha chiesto un commento al Dipartimento di Stato USA.

Non si prevede a breve un’altra tornata di colloqui USA-Iran.

In seguito alla morte di Raisi l’Iran deve indire elezioni presidenziali entro 50 giorni ed è improbabile che si prendano tali importanti decisioni di politica estera durante questo periodo di incertezza. Le elezioni presidenziali USA sono previste per novembre.

“Data questa situazione dovremmo aspettarci interruzioni e una battuta di arresto nei negoziati con gli americani,” ha detto a MEE un analista che ha lavorato in precedenza con il governo.

Dato che sia il presidente che il ministro degli Esteri sono morti e che a breve ci saranno le elezioni, i negoziati saranno probabilmente rimandati come era successo durante la corsa alla presidenza del 2021, quando i colloqui erano stati sospesi fino a dopo il voto.”

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)