Cisgiordania: scontri e arresti nel territorio occupato

Redazione di MEMO

24 agosto 2022 – Middle East Monitor

La notte scorsa le forze di occupazione israeliane hanno lanciato una campagna di incursioni nella Cigiordania occupata. Dopo essersi scontrati con le forze di sicurezza, un certo numero di palestinesi è stato arrestato non appena gli scontri hanno avuto luogo in alcune aree. Spari sono stati uditi quando gli israeliani hanno assaltato la città di Jenin e il suo campo profughi.

Secondo l’esercito di occupazione israeliano, 14 palestinesi sono stati arrestati e sottoposti a interrogatorio sulla base del prestesto di aver partecipato alle attività di resistenza popolare. L’esercito ha anche dichiarato che sono state sequestrate delle armi.

È stato riportato che le forze di occupazione hanno assaltato all’alba varie città nei governatorati di Nablus, Hebron, Ramallah e Jenin. Dopo che le forze speciali israeliane sono entrate nel campo profughi di Jenin e hanno circondato una casa, rinforzi militari sono stati inviati nel corso di uno scontro a fuoco tra gli abitanti palestinesi e i soldati di occupazione. Sia le brigate dei martiri di Al-Aqsa che le brigate di Al-Quds a Jenin hanno affermato di essersi scontrati con le truppe israeliane nei vicoli e nelle strade del campo profughi.

Il Club dei prigionieri palestinesi [una ONG palestinese, ndt.] ha affermato che gli arrestati a Jenin sono Imad Abu Al-Heija, Issam Abu Khalifa, Majdi Huwail, Kazem Huwail e Suhaib Issa. A Ramallah gli israeliani hanno arrestato gli ex-detenuti Mustafa Nakhleh dopo aver fatto irruzione nella sua casa nel campo di Jalazun e Ahmad Hajjaj Al-Rimai di Beit Rima, che ha passato 17 anni nelle prigioni israeliane. Hanno inoltre arrestato l’ex-detenuto Asim Al-Kaabi di Al-Bireh che ha passato 18 anni in prigione. Per altri tre sono stati emessi ordini di comparizione presso il locale centro di intelligence.

Altrove, durante un’incursione nella sua casa a Silwad è stato arrestato Muhammad Ezzat, mentre a Nablus è stato arrestato anche l’ex prigioniero Montaser Al-Shannar, così come un altro ex prigioniero, Awni Al-Shakhshir. Nel contempo a Betlemme, nella sua casa nel campo profughi di Al-Izza, è stato arrestato l’ex-detenuto Muhammad Mustafa Al-Najjar.

Nel governatorato di Hebron, decine di abitanti, inclusi bambini, hanno sofferto per l’inalazione di gas lacrimogeni quando i candelotti di gas sono stati sparati dalle truppe israeliane nel campo profughi di Al-Aroub.

Ad Abu Dis, nella parte est di Gerusalemme occupata, secondo fonti mediche locali un giovane palestinese è stato colpito al capo con un proiettile di gomma. È stato ferito durante gli scontri che sono scoppiati nella città dopo il funerale della martire Mai Afana [uccisa più di un anno fa e che secondo l’esercito israeliano avrebbe cercato prima di investire e poi accoltellare soldati, N.d.T.].

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




In condizioni critiche palestinese in sciopero della fame trattenuto in carcere da Israele

Ilan Ben Zion e Alon Bernstein

22 agosto 2022 – The Washington Post

GERUSALEMME – Dopo che la Corte Suprema del Paese ha respinto l’appello per la liberazione dell’uomo, un palestinese in sciopero della fame detenuto in carcere da Israele si trova in condizioni critiche e potrebbe morire in qualsiasi momento per una serie di malattie, come ha detto lunedì un medico che lo ha visitato.

Khalil Awadeh, di 40 anni, è in sciopero della fame da marzo per protestare contro la sua cosiddetta detenzione amministrativa, una politica israeliana che consiste nel trattenere i palestinesi per presunto coinvolgimento in attività militanti. I detenuti possono essere trattenuti senza accusa o processo ogni volta per mesi o anni, senza poter prendere visione delle presunte prove a loro carico. Israele descrive tale prassi come una misura di sicurezza necessaria, mentre i critici affermano che è una violazione del giusto processo.

La famiglia afferma che Awawdeh è in sciopero della fame da 170 giorni e assume solo acqua. Le foto di Awawdeh scattate venerdì dal suo avvocato lo mostrano emaciato e disteso in un letto d’ospedale.

La dottoressa Lina Qasem-Hassan, un medico dei Physicians for Human Rights [Medici per i diritti umani, ONG che utilizza medicina e scienza per documentare e difendere contro le atrocità di massa e le gravi violazioni dei diritti umani, ndt.] che ha visitato Awadeh all’inizio di questo mese, ha riferito che è magrissimo e soffre di malnutrizione.

Ha detto che ci sono segni di danni neurologici, con sintomi come perdita di memoria, incapacità di concentrazione, movimenti oculari involontari e una perdita quasi totale della vista. Ha aggiunto che c’è un rischio di insorgenza in qualsiasi momento di un’insufficienza cardiaca o renale.

“Non c’è dubbio che la sua vita è a rischio”, ha affermato.

La scorsa settimana la sua avvocata, Ahlam Haddad, ha presentato appello alla Corte Suprema perché egli venga rilasciato a causa delle sue precarie condizioni di salute. Ma domenica la corte ha respinto il ricorso.

Nella sua sentenza, la corte ha affermato di aver esaminato le informazioni di sicurezza riservate su Awawdeh e di aver stabilito che esiste “una solida e valida giustificazione per la sua detenzione amministrativa”.

Haddad ha detto che avrebbe presentato un’altra richiesta per il suo rilascio non appena le sue condizioni fossero peggiorate. “Questa è l’equazione, un’equazione difficile”, ha detto.

Il servizio di sicurezza [interna, ndt.] israeliano Shin Bet non ha risposto a una richiesta di commento.

L’esercito israeliano ha arrestato Awawdeh lo scorso dicembre, sostenendo che fosse un agente del gruppo armato Jihad islamica palestinese, un’accusa che la sua legale ha respinto.

Awawdeh è uno dei tanti prigionieri palestinesi che negli ultimi anni hanno intrapreso lunghi scioperi della fame per protestare contro la detenzione amministrativa nei loro confronti. Molti hanno continuato a soffrire di problemi di salute permanenti dopo il loro rilascio.

Israele afferma che le detenzioni amministrative aiutano a tenere lontani i militanti pericolosi dalle strade e consentono al governo di trattenere i sospetti senza divulgare informazioni o prove sensibili contro di loro. Le critiche affermano che [tale misura] nega il giusto processo ai prigionieri e mira a reprimere l’opposizione ai 55 anni dell’occupazione israeliana di territori che i palestinesi richiedono [indietro] per un [loro] futuro Stato.

Israele detiene attualmente circa 4.400 prigionieri palestinesi, inclusi militanti che hanno compiuto attacchi letali insieme a persone arrestate durante le proteste o per aver lanciato pietre.

Attualmente circa 670 prigionieri palestinesi si trovano in detenzione amministrativa, un numero che è aumentato da marzo quando Israele ha iniziato delle incursioni mirate ad arresti quasi ogni notte nella Cisgiordania occupata a seguito di una serie di attacchi letali contro israeliani.

La famiglia di Awawdeh dice che egli non assume cibo da marzo, anche se ha preso alcuni integratori vitaminici per due settimane a giugno, quando pensava che il suo caso stesse per essere risolto.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Cancelliere Olaf Scholz, ecco quello che è veramente ripugnante

Amira Hass

21 agosto 2022 – Haaretz

Evidentemente Europa e Stati Uniti credono talmente ai libelli antisemiti da pensare che Israele, una moderna entità totalmente ebraica, sia una piovra onnipotente multitentacolare che non si deve far arrabbiare

Al di sopra delle leggi internazionali e senza confini: questo è lo spazio infinito di Israele dove conduce la sua guerra infinita contro il popolo palestinese.

Il “nostro” Olocausto è durato 12 anni e il sionismo ne ha beneficiato fin d’allora. Il non-Olocausto palestinese dura ormai da 75 anni. E il mondo, in altre parole Stati Uniti ed Europa, guidati dalla Germania, non sta semplicemente a guardare.

Gli autoproclamatisi Paesi illuminati danno ripetutamente a Israele il via libera per continuare il non-Olocausto che si è perpetuato così a lungo. Le loro occasionali e deboli condanne, la mancanza di allarmi e sanzioni da parte delle diplomazie, servono solo a segnalare a Israele che può continuare a prevaricare, umiliare, schiacciare e torturare, bombardare, uccidere, imprigionare ed espellere, impossessarsi di terre e acqua. E tutto ciò sfruttando vergognosamente e cinicamente le nostre famiglie assassinate dalla Germania nazista e dai suoi alleati. Onorevole cancelliere Olaf Scholz, lei è disgustato? Ecco quello che è veramente disgustoso.

Il ministro della Difesa Benny Gantz avrebbe bloccato il processo per mettere fuori legge sette organizzazioni civili palestinesi se avesse saputo che i Paesi europei avrebbero imposto anche una sola sanzione contro Israele. Giovedì scorso gli scassinatori israeliani armati non avrebbero fatto irruzione negli uffici di quelle organizzazioni saccheggiandone quanto vi si trovava se funzionari di alto livello nell’amministrazione USA del Democratico presidente Joe Biden avessero ordinato in anticipo a Gantz di evitarlo.

Ma l’Europa e gli Stati Uniti sono forti, capaci ed efficaci nell’imporre varie sanzioni su quella Nazione che è occupata, spossessata, espulsa. Come se credessero che i libelli antisemiti che Israele (quale moderna organizzazione ombrello di tutti gli ebrei) fosse una piovra onnipotente multitentacolare che si deve far attenzione a non irritare.

Israele apre continuamente nuovi fronti nella sua lunga guerra contro il popolo palestinese e sceglie quanti più bersagli possibile. A questo scopo dispone di inestinguibili risorse: denaro, soldati, esperti legali, yes-men, cittadini che se ne fregano e falsità che avvolge in mantra a base di sicurezza e documenti classificati.

Non c’è bisogno di aspettare 50 o 60 anni fino all’apertura degli archivi perché i documenti rivelino qualche altro segreto piano governativo dietro a un atto orrendo presumibilmente perpetrato da individui (come il massacro di Kafr Qasem [villaggio in cui, il 29 ottobre 1956, soldati israeliani massacrarono 49 palestinesi n.d.t.]) o svelino le intenzioni che differirebbero da quelle dichiarate (come la Legge Militare imposta ai cittadini arabi di Israele dal 1948 al 1966 allo scopo di impedire a loro il ritorno alle terre e completarne invece la nostra occupazione).

Anche senza documenti noi sappiamo perché Israele proibisce l’esistenza di sette associazioni civili palestinesi, tra cui importanti organizzazioni per i diritti umani:

1. L’attività delle organizzazioni rafforza la determinazione, o sumud, palestinese contro l’occupazione e la sua invasività.

2. Informazioni, testimonianze, documenti e analisi fornite da queste organizzazioni sono un’importante banca dati per qualsiasi denuncia palestinese contro l’occupazione israeliana in forum legali internazionali ora e in futuro.

3. Le organizzazioni e i loro attivisti hanno anche mosso critiche contro l’Autorità Palestinese, le sue pratiche oppressive, i suoi fallimenti nel campo della giustizia sociale e le sue politiche neoliberali. La persecuzione israeliana contro di loro intensifica i sospetti e gli interrogativi sui motivi per cui anche l’ANP le vuole chiudere. Seminare sospetti e accuse reciproche fra i palestinesi è una pratica comune delle agenzie israeliane di intelligence.

4. Le organizzazioni conservano e promuovono lo spirito di unità palestinese che prevale sulla hamula, o famiglia allargata, contrastando così le intenzioni e attività israeliane per dividere ed erodere la società palestinese in modo tale che ogni persona, o al massimo ogni famiglia, sia sola nello scontro contro l’intrinseca crudeltà del dominio imposto da Israele.

I Paesi europei anche se pubblicamente aderiscono alla “soluzione dei due Stati,” non hanno sospeso le relazioni diplomatiche con Israele in risposta all’azione divoratrice della rimanente terra palestinese in Cisgiordania, in violazione delle risoluzioni dell’ONU e del diritto internazionale. Non hanno richiamato i loro ambasciatori per costringere Israele ad interrompere l’imprigionamento di oltre 2 milioni di persone in quel carcere chiamato Striscia di Gaza. Non hanno sospeso gli accordi commerciali con Israele, anche se dal primo giorno degli Accordi di Oslo Israele ha violato il principio base su cui poggiano gli accordi: la Striscia di Gaza e la Cisgiordania sono una sola unità territoriale.

Questi Paesi non cancellano gli accordi commerciali relativi ad armi e sistemi di spionaggio, perché Israele ha schiacciato e continua a schiacciare Gaza con le sue armi e usando metodi fantascientifici per spiare ogni palestinese dalla culla alla tomba. Non limitano l’ingresso degli israeliani nel loro territorio in risposta alle continue restrizioni sui movimenti che Israele impone ai palestinesi e alle loro mogli.

Israele continua a distruggere e confiscare attrezzature umanitarie (pannelli solari, condutture idriche e strutture mobili) pagate da Paesi europei ed è ben conscia che non ci sarà nulla di più di una inefficace condanna verbale. Israele assegna anche terre e acqua che ha sottratto ai palestinesi a cittadini ebrei di Gran Bretagna, Francia, Stati Uniti, Canada e Argentina, sicura che quegli Stati non puniranno nessuno per questa rapacità.

Dopo la chiusura delle sette organizzazioni, Israele e i suoi obbedienti cittadini ebrei, che traggono vantaggio da questo furto ufficiale, continuerà così e valicherà altre linee rosse, perseguiterà altri gruppi della società civile e zittirà altri attivisti, con l’autorizzazione di Europa e Stati Uniti.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Archiviato il caso dei palestinesi accusati di aver aggredito la polizia israeliana

Redazione di Al Jazeera

22 agosto 2022 – Al Jazeera

Un video mostra che due palestinesi erano stati aggrediti dalla polizia israeliana e obbliga l’accusa a rinunciare al caso.

Gerusalemme est occupata – Due palestinesi accusati di aver aggredito poliziotti israeliani non verranno imputati dopo che una prova video ha dimostrato che in realtà erano stati loro gli aggrediti. Una delle vittime, il cinquantaseienne Mohammad Abu al-Hommos, un attivista politico della Gerusalemme occupata, ha affermato che il pubblico ministero ha chiuso la causa all’inizio di agosto, anche se i dettagli del caso sono stati resi noti solo ora dai media israeliani.

Tre mesi fa, quando ci hanno imputati, siamo stati sorpresi,” dice Abu al-Hommos ad Al Jazeera. “Abbiamo risposto entro il periodo consentito di 30 giorni. Loro sono rimasti sorpresi quando il nostro avvocato ha fatto riferimento ai video che dimostrano che siamo stati noi ad essere stati aggrediti dalla polizia, e hanno ritirato le accuse.”

Immagini della notte dell’incidente nel novembre 2019 dimostrano che i due uomini sono stati brutalmente picchiati dalla polizia durante un’incursione israeliana nel loro quartiere, al-Issawiya, nella Gerusalemme est occupata.

Nel video si vedono Abu al-Hommos e suo nipote, il trentaseienne Adam Masri, che chiedono agli agenti di polizia di non parcheggiare nel loro posto auto privato, ma poi vengono aggrediti dai poliziotti.

Quel giorno c’era una festa di famiglia, nella zona c’erano molti miei parenti. Stavo filmando l’incursione con un gruppo di giornalisti stranieri ed ebrei,” afferma Abual-Hommos.

Appena abbiamo detto loro di non parcheggiare lì, hanno iniziato ad aggredirci. Hanno arrestato Adam, che ha avuto il volto pieno di lividi, e un altro mio nipote, e poi li hanno rilasciati. Abbiamo presentato una denuncia alle autorità, ma inutilmente,” continua.

Durante l’aggressione Masri ha perso conoscenza, mentre Abu al-Hommos è stato ricoverato in ospedale, dice quest’ultimo.

Domenica il quotidiano israeliano Haaretz ha informato che la procura aveva preparato un atto d’accusa senza aver visionato i video o aver tenuto conto delle testimonianze degli agenti coinvolti nell’incidente, che contraddicevano il rapporto ufficiale della polizia.

Secondo Haaretz, dopo che all’inizio del procedimento giudiziario è stata sollevata la questione di potenziali irregolarità nel comportamento della polizia, i giudici incaricati del procedimento a hanno ordinato che il caso venisse portato all’attenzione dell’unità del ministero della Giustizia incaricata di indagare gli abusi della polizia. La causa contro gli agenti è stata archiviata per insufficienza di prove.

Le autorità israeliane hanno visionato le prove video solo dopo che gli avvocati dei due uomini hanno inviato una lettera evidenziando le contraddizioni tra il video e le accuse presenti nel verbale.

L’atto di accusa contro i due uomini afferma che essi hanno attaccato gli agenti di polizia e impedito loro di bloccare la strada, arrivando fino a sostenere che gli uomini avevano colpito e preso a morsi i poliziotti.

Le immagini mostrano chiaramente che sono stati i palestinesi ad essere stati aggrediti.

Dopo un’ulteriore analisi delle argomentazioni nel loro insieme e delle prove, si è deciso di non avviare un procedimento giudiziario contro di loro e di chiudere la pratica,” ha affermato l’ufficio del pubblico ministero in una dichiarazione ad Haaretz.

Abu al-Hommos sostiene di essere stato spesso oggetto della violenza della polizia israeliana in conseguenza del suo attivismo nella Gerusalemme est occupata e che la causa è una prova delle false accuse che sono sollevate dalle autorità israeliane contro i palestinesi.

Questa è una delle centinaia di cause contro palestinesi di Gerusalemme create ad arte per accusare sempre i palestinesi delle violenze,” afferma. “Questa volta non ci sono riusciti.”

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Direttore di un gruppo palestinese per i diritti umani arrestato dall’intelligence israeliana

Redazione di MEE

21 agosto 2022 – Middle East Eye

Israele continua a perseguitare sei organizzazioni per i diritti umani dicendo che sostengono il terrorismo, accuse respinte dall’ONU e da alcuni Stati UE

L’intelligence israeliana ha arrestato il direttore di un’importante associazione palestinese per i diritti umani mentre continua il giro di vite contro molte altre organizzazioni simili.

Secondo un tweet di Defense of Children International – Palestine (DCI Palestine) [ong indipendente che sostiene e promuove i diritti dei minori, ndtr.] Khaled Quzmar, il suo direttore generale sarebbe stato arrestato domenica dal servizio di sicurezza Shin Bet.

“Alle 14.25 ora locale Quzmar ha ricevuto una telefonata da un agente dello Shin Bet che lo convocava per un interrogatorio. Subito dopo è andato alla base militare israeliana di Ofer,” scrive l’organizzazione.

“Un testimone oculare nella base (militare di Ofer) ha visto Quzmar scortato dentro la sede dello Shin Bet intorno alle 15:20. Al legale di Quzmar non è stato permesso di accompagnarlo.”

Aggiunge che dopo due ore in custodia Quzmar è stato rilasciato.

L’arresto è solo l’ultimo episodio di una campagna lanciata da Israele contro varie organizzazioni palestinesi per i diritti umani nei territori palestinesi occupati.

Tolleranza zero verso le associazioni per i diritti umani

Sei gruppi per i diritti umani: Addameer Prisoner Support and Human Rights Association [Associazione Addameer per il sostegno e i diritti umani dei prigionieri], Al-Haq, il Bisan Center for Research and Development [Centro Bisan per la Ricerca e lo Sviluppo], l’Union of Agricultural Work Committees (UAWC) [Unione dei Comitati del Lavoro Agricolo], l’Union of Palestinian Women Committees (UPWC) [Unione dei Comitati delle Donne Palestinesi] e DCI Palestine Defence for Children International [la sezione palestinese dell’associazione Protezione Internazionale dei Minori] sono state definite “organizzazioni terroristiche” da Israele nell’ottobre 2021e da allora sono state oggetto di crescenti controlli.

Molte di queste organizzazioni hanno ricevuto fondi da Paesi UE.

Domenica mattina presto Al-Haq aveva twittato che il suo direttore aveva ricevuto una telefonata di minacce relative al suo lavoro da parte di un agente dell’intelligence israeliano.

Secondo Al-Haq, Shawan Jabarin è stato convocato dallo Shin Bet per un “interrogatorio” e la persona al telefono l’aveva “minacciato di arresto e altre misure se Al-Haq avesse continuato le sue attività “.

Venerdì soldati israeliani hanno fatto irruzione, confiscato oggetti e chiuso gli uffici dei gruppi per i diritti umani in Cisgiordania. Sono stati perquisiti anche gli uffici dell’Union of Health Workers Committees [Unione dei comitati di operatori sanitari], che non è stata definita organizzazione terroristica.

I sei gruppi che sono stati così etichettati hanno negato le accuse di “terrorismo” e specificato che la loro chiusura è stata criticata sia dalle Nazioni Unite che da organizzazioni per i diritti umani.

I ministri degli esteri di Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Irlanda, Italia, Olanda, Spagna e Svezia hanno detto che Israele non è riuscito a fornire loro “informazioni sostanziali ” circa le accuse e si sono impegnati a continuare la cooperazione con i gruppi in l’assenza di ogni prova.

Venerdì in un comunicato congiunto hanno affermato: “Siamo profondamente preoccupati per i raid che si sono svolti la mattina del 18 agosto che fanno parte di una preoccupante riduzione degli spazi della società civile sul territorio. Queste azioni non sono accettabili.”

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Gaza: il carcere israeliano con un milione di minori è in emergenza riguardante la salute mentale

Omar Aziz

19 agosto 2022 – Palestine Chronicle

“Far del male durante un conflitto a qualsiasi bambino è fortemente inquietante”, ha affermato giovedì scorso Michelle Bachelet, l’alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, esprimendo allarme per il numero di minori palestinesi uccisi questo mese da Israele.

“L’uccisione e la mutilazione di così tanti minori durante questo anno è inaccettabile“, ha continuato.

Quindi cosa dire del fatto che Israele effettua ogni anno attacchi aerei con una tecnologia militare industrializzata all’avanguardia su un’enclave assediata composta per lo più da minori?

Il diritto umanitario internazionale è chiaro. È proibito lanciare un attacco che potrebbe uccidere o ferire accidentalmente civili, o danneggiare strutture civili, in modo sproporzionato rispetto ai concreti ed espliciti obiettivi militari. Tali attacchi devono cessare,” ha detto Bachelet.

Secondo l’Ufficio centrale di statistica palestinese il 47% dei 2,2 milioni di abitanti di Gaza sono minorenni, altri collocano la percentuale oltre il 50%.

E la popolazione di Gaza è notoriamente ammassata soprattutto all’interno degli otto campi profughi ufficialmente riconosciuti dall’UNRWA, che sono considerati alcuni dei luoghi più densamente popolati al mondo. Eppure ognuno è ancora considerato un obiettivo legittimo da parte degli aerei da guerra israeliani.

Con questa consapevolezza ciò che diventa inequivocabilmente evidente è che ogni bomba che Israele sgancia sull’enclave assediata, crimine di guerra dopo crimine di guerra, viene sganciata con la consapevolezza che i minori sono le probabili vittime.

Che si tratti di minorenni massacrati come “danni collaterali” dei cosiddetti “attacchi di precisione mirati” o colpiti semplicemente per essere palestinesi, proprio come i cinque palestinesi uccisi il 7 agosto da un attacco missilistico mentre si trovavano sulla tomba del nonno nel cimitero di Al-Falluja, a est di Jabalya. Un crimine che l’esercito israeliano ha inizialmente negato di aver commesso, una bugia che le pubblicazioni dei principali organi di informazione occidentali hanno volutamente ripetuto a pappagallo senza esitazione nonostante la comprovata reputazione di Israele di diffondere bugie e disinformazione.

 Minori che non hanno altra scelta che subire ogni ferita inferta dallo sconvolgente potere distruttivo di Israele mentre si trovano imprigionati in questa minuscola striscia di terra.

Le cifre non sono più scioccanti, ma da incubo, distopiche. Una situazione difficilmente credibile per coloro che non hanno assistito in prima persona alla realtà o prestato attenzione alle testimonianze palestinesi.

L’accademico palestinese-americano Yousef Munayyer afferma che è ora di smettere di chiamare Gaza una “prigione a cielo aperto”, ma quello che è veramente: una camera di tortura.

Immaginate un po’: un ambiente progettato con cura per incubare e infliggere traumi psicologici, sofferenza fisica e privazione economica ha prodotto proprio questo. Che sorpresa.

Secondo Save the Children, oggi l’80% dei minorenni di Gaza dichiara di vivere con depressione, dolore e paura.

Nel corso dell’attacco a Gaza del 2014 Israele ha ucciso 547 minorenni palestinesi in sette settimane. Nel maggio 2021 ne ha ucciso 67. E questo mese a Gaza sono stati uccisi almeno 17 minori.

Ma queste non sono le uniche vittime di quell’età a Gaza.

In questo momento a Gaza c’è un milione di minori brutalizzati e traumatizzati da almeno 29 aggressioni militari dal 2003, ognuno con una voce da ascoltare, con una storia da raccontare e una vita che merita molto di più.

Gli ultimi tre giorni dell’attacco sono stati davvero tragici per me. Ho avuto molti flashback delle aggressioni vissute in precedenza.

Mi hanno fatto pensare molto a dove in realtà vivo, alla prigione in cui mi trovo, sapendo che potrei morire letteralmente da un momento all’altro mentre parlo con qualcuno, mentre sono seduto, mentre guardo la TV, mentre penso a qualcosa, perché questo è quello che è successo agli altri ragazzi”.

Ma mentre i minori palestinesi cercavano di riadattarsi alla “normalità” dell’assedio e dell’impoverimento in corso dopo gli attacchi, gli esperti militari israeliani si congratulavano via etere con il primo ministro israeliano Yair Lapid per la sua operazione “pulita”.

Lunedì 9 agosto, parlando alla stazione radio FM del quotidiano Maariv [giornale popolare israeliano, ndt.], il generale Amos Yadlin, ex capo della direzione dell’intelligence militare israeliana ed esperto ricercatore di Harvard, si rallegrava:

È stato un attacco ben riuscito. È stato davvero pulito, abbiamo colpito duramente l’ala militare di Hamas (in seguito si è corretto dicendo che intendeva la Jihad islamica), abbiamo colpito marginalmente degli innocenti e non militanti, neanche un israeliano è stato colpito, ritengo che sia un risultato eccezionale” (in ebraico).

Nel frattempo il giornalista di Haaretz [quotidiano israeliano progressista, ndt.] Amos Harel e Neri Zilber dell’Israel Policy Forum [organizzazione ebraica americana che lavora per una soluzione negoziata a due Stati al conflitto israelo-palestinese, ndt.] in un podcast di un’ora di valutazione degli attacchi del 10 agosto non hanno menzionato le morti di civili palestinesi, elogiando invece i “millimetrici” attacchi di Israele.

Era già noto in quel momento che almeno 15 minori palestinesi erano stati uccisi, mettendo in luce ciò che i palestinesi affermano da decenni: la cancellazione della Palestina e la disumanizzazione dei minori palestinesi sono le fondamenta grottesche su cui fioriscono l’apartheid e la colonizzazione israeliane.

Offrendo il punto di vista di una madre sull’educazione dei figli a Gaza, la scrittrice palestinese e madre di tre figli Rana Shubair racconta a Palestine Deep Dive [Approfondimenti sulla Palestina, rivista on-line palestinese, ndt.]:

Ho cercato di proteggere (i miei figli) dal vedere le immagini in TV, ma l’ambiente in cui vivono i nostri figli non è censurato, il che significa che ovunque andranno vedranno le immagini dei martiri.

Nell’ultima aggressione (del maggio 2021) una delle amiche di mia figlia che si trovava nella sua scuola è stata uccisa. Non credo che le mie figlie l’abbiano mai davvero dimenticata perché una di loro mi dice che la vede sempre nei suoi sogni, ed è molto difficile per loro afferrare semplicemente il concetto o la nozione di morte e tutto il resto. Tutti i bambini qui a Gaza sono molto eroici, va detto, perché sono più maturi della loro età e sono stati costretti ad assorbire cose di cui i bambini di altre parti del mondo non sanno nulla. Chiedete a qualsiasi bambino qui, vi dirà che tipo di aereo ci sta sorvolando, che si tratti di un drone o di un F-16. Conoscono tutta questa terminologia di guerra, ma come genitori, cerchiamo di trovare, credo, i modi giusti per affrontare il trauma dei nostri figli.

Dopo ogni aggressione e dopo ogni mese del continuo rigido assedio di Israele e della conseguente deprivazione economica, la salute mentale dei minori di Gaza continua inevitabilmente a deteriorarsi.

Ad esempio, nel 2018 il 60% di essi riferiva di sentirsi meno al sicuro lontano dai propri genitori ma, secondo Save the Children, poco prima dei recenti attacchi questa cifra ha raggiunto il 90%.

Nel 2018 il 50% dei minorenni riferiva di avere paura e il 55% di provare sentimenti di dolore e pochi mesi prima di questo attacco il 78% affermava di sentirsi spaventato e l’84% di provare sentimenti di dolore.

Si può solo immaginare come si sentono oggi.

Nel corso di una trasmissione di Palestine Deep Dive, il Dr. Yasser Abu Jamei, Direttore del Programma di salute mentale della comunità di Gaza, ha sottolineato la natura persistente degli eventi traumatici che pone un limite all’applicabilità [a Gaza, ndt.] del [termine ndt.] disturbo nel modo in cui viene inteso dalla psichiatria occidentale, come “Disturbo da stress post-traumatico”, rendendo così difficile la vera e propria guarigione.

In primo luogo, la condizione pre-traumatica non consiste in una vita facile, tranquilla, ecc. No, si tratta di un assedio, di un’occupazione, con più di due terzi della popolazione di Gaza nella situazione di rifugiati. E parliamo di decenni. (L’inizio) di ciò non risale solo al 1967, arriva anche al 1948. Ma oltre a questo, vivi sotto assedio, e non solo, ma all’interno di questo assedio sei soggetto ad operazioni su larga scala … e come se ciò non bastasse avverti continuamente dei segnali, cose che ti ricordano gli eventi traumatici che accadono intorno a te. Ascolti il ​​telegiornale e vedi come sia critica la situazione. Guardi il cielo e senti di continuo i rumori intensi dei droni e tutto ciò ti fa tornare alla mente i brutti ricordi.

Poi, nel periodo successivo… non c’è un vero ritorno alla vita normale. C’è di nuovo la vita come al solito sotto l’occupazione, sotto i droni, sotto il blocco ecc. Direi che la tradizionale nozione occidentale di disturbo da stress post-traumatico non è applicabile ad un posto come Gaza, ma direi che la situazione a Gaza è più grave di così. Non possiamo davvero descriverlo semplicemente come un disturbo da stress post-traumatico nel significato comune del termine. No, è molto di più“.

Nel 1991 Israele ha ratificato la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia, che afferma che tutti i minorenni hanno i diritti fondamentali alla vita, alla sopravvivenza, allo sviluppo, alla protezione dalla violenza e a un’istruzione che consenta loro di realizzare il proprio potenziale.

Eppure, sotto il suo [regime di] apartheid Israele viola impunemente questa convenzione in tutta la Palestina. Nello stesso Israele le scuole palestinesi o arabe ricevono spesso un finanziamento per ogni alunno quasi sei volte inferiore rispetto alle scuole per studenti ebrei poiché non possono essere ammesse al finanziamento da parte dell’istituzione sionista. Successivamente subiscono discriminazioni nel mercato del lavoro e sono anche soggetti alle 65 leggi razziste di Israele.

In Cisgiordania i minorenni palestinesi sono soggetti a leggi e pratiche discriminatorie. Viene loro regolarmente negato il diritto all’istruzione nel momento in cui vengono costretti ad aspettare ai posti di blocco e le loro lezioni possono essere interrotte in qualsiasi momento dall’esercito israeliano.

Secondo [l’Associazione] Defense for Children International, in Palestina ogni anno circa 500-700 minorenni palestinesi, alcuni dei quali di appena 12 anni, sono detenuti e perseguiti nei tribunali militari israeliani illegali. L’accusa più comune contro di loro è il lancio di pietre.

Il disprezzo di Israele per i diritti più fondamentali dei bambini palestinesi, incluso il diritto stesso alla vita, rivela il proposito di Israele di raggiungere una pace futura per ciò che è veramente, una palese bugia.

Ma non solo,: il travolgente silenzio della comunità internazionale mostra che la disumanizzazione dei bambini palestinesi si estende ben oltre l’apartheid di Stato di Israele.

All’indomani dell’ultimo attacco il presidente Biden ha elogiato Israele per aver “difeso il suo popolo” e i suoi sistemi militari per “aver salvato innumerevoli vite”.

Nel frattempo, questa settimana, i politici conservatori britannici in competizione per diventare il prossimo Primo Ministro, Rishi Sunak e Liz Truss, sembrano entrambi favorevoli al trasferimento dell’ambasciata a Gerusalemme.

Da parte dell’Occidente continua ad essere all’ordine del giorno l’istigazione in luogo delle sanzioni, senza che nulla venga proposto per scoraggiare, ogniqualvolta si verifichino, ulteriori brutali bombardamenti da parte di Israele. Le armi continuano ad affluire e la protezione diplomatica continua a fare scudo contro la giustizia.

Eppure i minori palestinesi, che saranno gli artefici di un futuro veramente stabile, dimostrano continuamente di desiderare ardentemente una vita migliore, libertà, e di niente di meno che una totale liberazione.

Con tassi di alfabetizzazione tra i più elevati a livello mondiale, formazione di compagnie di danza, società di parkour e produzione di artisti di talento come l’astro nascente rapper tredicenne MC Abdel, i minori palestinesi a Gaza stanno offrendo insegnamenti di vita al resto del mondo mentre camminano tra le macerie:

Mi piace sempre sottolineare quel lato positivo di noi che viviamo in una prigione a cielo aperto. Stiamo facendo del nostro meglio qui. Come ho detto, non abbiamo molte opportunità, ma dall’altra parte stiamo cercando di tirar fuori quelle opportunità da tutte le macerie tra cui viviamo da più di 15 anni”, dice Hind a Palestine Deep Dive.

Anche il dottor Yasser Abu Jamei illustra in maniera limpida su Palestine Deep Dive questa verità, raccontando come ha visto i bambini di Gaza indossare con orgoglio gli abiti dell’Eid [Eid Al Fitr, letteralmente “festa della rottura del digiuno”, che segna la fine del Ramadan, ndt.] che non erano stati in grado di indossare nel maggio 2021 a causa degli attacchi di Israele:

Era un abbinamento paradossale. Guidi la tua macchina o cammini per strada, vedi da un lato le macerie, le rovine e le case distrutte, e dall’altro bambini molto ben vestiti che, in mezzo alle macerie, cercano di andare a scuola e ottenere la licenza media ”.

Naturalmente, l’emergenza riguardo alla salute mentale a Gaza e le continue ingiustizie del brutale apartheid e della colonizzazione di Israele non si limitano ai minorenni, ma colpiscono i palestinesi di tutte le età.

Tuttavia ultimamente ciò che è diventato del tutto chiaro è che ogni bomba sganciata da Israele e ogni giorno che l’assedio di Gaza da parte di Israele continua, costituisceono un’ingiustizia intollerabile contro coloro che sono universalmente considerati i più innocenti: i minorenni.

Sotto l’assedio di Israele Gaza continua ad essere una prigione di un milione di minorenni e attendiamo da troppo tempo che i governi di tutto l’Occidente riconoscano finalmente questa verità per porre fine all’impunità di Israele, e che le istituzioni internazionali, comprese le Nazioni Unite, agiscano senza esitazione contro questa situazione.

Omar Aziz è Direttore Associato di Palestine Deep Dive. Ha scritto questo articolo per The Palestine Chronicle.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Israele chiude alcune ong e uccide un palestinese nella Cisgiordania occupata

Zena Al Tahhan

18 agosto 2022 – Al Jazeera

Forze israeliane colpiscono a morte un palestinese a Nablus e chiudono gli uffici di sette organizzazioni della società civile.

Ramallah, Cisgiordania occupata – L’esercito israeliano ha chiuso varie organizzazioni della società civile palestinese in Cisgiordania poche ore dopo che un palestinese era stato colpito a morte durante scontri armati scoppiati in seguito a un’incursione israeliana nella città di Nablus, a nord della Cisgiordania occupata.

Secondo Wafa, l’agenzia di notizie ufficiale [palestinese, ndt.], il giovane ucciso giovedì è stato identificato come il ventenne Waseem Nasr Khalifa, del campo profughi di Balata nella periferia della città di Nablus.

L’esercito afferma che le forze israeliane hanno fatto irruzione a Nablus poco dopo mezzanotte per garantire l’ingresso di coloni ebrei nel sito sensibile della [presunta, ndt.] Tomba di Giuseppe, a est di Nablus.

Durante il raid sono scoppiati violenti scontri a fuoco con combattenti palestinesi. Almeno altri quattro palestinesi, tre dei quali pare siano in condizioni critiche, sono rimasti feriti con proiettili veri.

L’esercito israeliano ha affermato che Khalifa era armato e stava sparando ai soldati, un’affermazione negata dai palestinesi.

In un altro incidente, giovedì all’alba un consistente contingente militare israeliano ha fatto irruzione nella città di Ramallah, nella zona centrale della Cisgiordania occupata.

Le forze israeliane sono entrate negli uffici di sette associazioni della società civile e per i diritti umani e le hanno chiuse.

Sei di queste associazioni nell’ottobre 2021 sono state messe fuorilegge da Israele in quanto organizzazioni “terroriste” e accusate di legami con il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP) [storico gruppo marxista della resistenza armata palestinese, ndt.].

Esse includono Addameer Prisoner Support and Human Rights Association [Associazione Addameer per il sostegno e i diritti umani dei prigionieri], Al-Haq per i diritti umani, the Union of Palestinian Women Committees (UPWC) [Unione dei Comitati delle Donne Palestinesi], the Union of Agricultural Work Committees (UAWC) [Unione dei Comitati del Lavoro Agricolo], the Bisan Center for Research and Development [Centro Bisan per la Ricerca e lo Sviluppo] e la sezione palestinese dell’associazione con sede a Ginevra Defence for Children International [Protezione Internazionale dei Minorenni].

La settima organizzazione in cui è avvenuta l’incursione è l’Union of Health Work Committees (UHWC) [Unione dei Comitati per la Salute Pubblica].

Gli uffici delle associazioni sono stati messi a soqquadro e le loro attrezzature sono state confiscate. Le porte sono state sigillate e vi è stato affisso un ordine militare israeliano che dichiara “illegali” le associazioni.

Mazen Rantisi, capo del comitato direttivo dell’UHWC, che dirige vari ospedali e decine di ambulatori in tutta la Cisgiordania occupata, ha affermato che le chiusure sono parte di una consolidata politica israeliana. “Hanno fatto irruzione nei nostri uffici all’alba, hanno sfondato le porte, preso documenti e computer, stiamo ancora verificando quello che è stato portato via. Hanno devastato i locali e hanno sigillato le porte con un saldatore,” racconta Rantisi ad Al Jazeera.

“Abbiamo trovato un documento scritto solo in ebraico affisso sulla porta in cui si dice che questa è un’associazione chiusa, dove non possiamo entrare, senza specificare per quanto tempo.”

La chiusura significa che in base alla legge militare israeliana è illegale che i dipendenti entrino nei loro uffici. “Lo scopo è ostacolare la società civile in modo che non possa svilupparsi, è parte della distruzione della società palestinese e per far sentire le persone sconfitte,” afferma Rantisi.

“Ciò avrà decisamente un impatto sui servizi che offriamo, ma troveremo il modo per continuare il nostro lavoro.”

Su Twitter l’associazione per i diritti dei detenuti Addameer ha affermato che l’esercito ha lasciato un’ordinanza che dichiara l’organizzazione “chiusa con la forza in nome della sicurezza nella regione e per combattere le infrastrutture del terrorismo.”

“Questo è un attacco sconvolgente contro il nostro necessario lavoro per i diritti umani,” afferma l’organizzazione.

Le associazioni portano avanti un lavoro critico per i diritti umani nella Cisgiordania occupata, anche fornendo aiuto legale ai detenuti, documentando le violazioni israeliane dei diritti umani, svolgendo attività di sostegno locale e internazionale e lavorando con la Corte Penale Internazionale (CPI) e le Nazioni Unite.

Le organizzazioni prese di mira hanno convocato per giovedì a mezzogiorno un presidio di fronte agli uffici di Al-Haq nel centro di Ramallah per protestare contro le incursioni e la chiusura dei loro uffici.

La definizione israeliana di queste organizzazioni [come gruppi terroristici, ndt.] nell’ottobre 2021 è stata ampiamente condannata dalla comunità internazionale e dalle associazioni per i diritti umani in quanto “ingiustificata” e “senza fondamento”.

Nessuna prova è stata trovata o fornita dal governo israeliano per sostenere le sue accuse riguardanti le sei organizzazioni.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Reportage: Israele ammette la responsabilità del raid contro Gaza che ha ucciso dei minorenni

Redazione di Al Jazeera

16 agosto 2022 – Al Jazeera

Contraddicendo le prime affermazioni, fonti ufficiali hanno detto al quotidiano Haaretz che Israele è responsabile del l’attacco del 7 agosto nei pressi del campo rifugiati di Jabalia.

Secondo un nuovo reportage, contraddicendo precedenti dichiarazioni fatte a media locali da importanti funzionari militari, fonti ufficiali della difesa israeliana hanno confermato che durante l’attacco di inizio agosto un raid israeliano contro un cimitero di Gaza ha ucciso cinque minorenni palestinesi.

Varie fonti della difesa hanno detto al quotidiano Haaretz che un’indagine dell’esercito sull’attacco del 7 agosto ha concluso che cinque minori – Jamil Najm al-Deen Naijm, 4 anni, Jamil Ihab Najim, 13, Mohammad Naijm e Hamed Naijm, 17, e Nazmi Abu Karsh, 15 anni – sono stati uccisi da un raid aereo israeliano contro il cimitero di Al-Faluja, nei pressi del campo profughi di Jabalia nel nord della Striscia di Gaza.

All’indomani dell’attacco, avvenuto durante l’aggressione israeliana di tre giorni dal 6 all’8 agosto contro l’enclave assediata, alcuni ufficiali israeliani avevano detto ad Haaretz che probabilmente le morti erano state causate da un razzo della Jihad Islamica fuori traiettoria.

L’esercito non ha pubblicamente assunto la responsabilità delle morti e non ha risposto a una richiesta di commenti sull’ultimo resoconto da parte di Al Jazeera.

Martedì, qualche ora dopo la pubblicazione del reportage di Haaretz, la famiglia Najim ha tenuto una veglia presso il cimitero di Gaza e ha chiesto che Israele risponda di queste accuse davanti alla Corte Penale Internazionale. Quattro minori della famiglia sono rimasti uccisi nel raid.

Decine di persone hanno partecipato all’evento, e alcuni dei presenti hanno esposto cartelli che dicevano: “I nostri figli hanno il diritto di vivere in pace e sicurezza.”

Ihab Najim, padre di quattro dei minori uccisi nell’attacco, ha detto ad Al Jazeera che la famiglia era sicura che Israele fosse responsabile della morte dei figli dopo aver sentito i racconti di testimoni oculari.

“I nostri figli erano giovani innocenti, e si trovavano nel cimitero davanti a casa nostra in visita alla tomba del nonno. Sono stati uccisi a sangue freddo. Chiediamo a tutti i partiti di stare dalla nostra parte e sostenere la causa dei nostri figli presso i tribunali internazionali.”

“Per noi l’ammissione di responsabilità di Israele non è una notizia,” ha aggiunto. “Era chiaro fin dal primo momento in cui i nostri quattro figli e quello dei nostri vicini sono stati uccisi che il missile era israeliano, secondo i testimoni oculari.”

In un altro incidente avvenuto il giorno prima dell’attacco al cimitero l’esercito israeliano aveva subito incolpato il Jihad islamico dopo che otto persone, tra cui minorenni, erano stati uccisi in un’esplosione nel campo profughi di Jabalia.

L’esercito israeliano aveva affermato di non aver effettuato nessun bombardamento al momento dell’attacco, e in seguito ha reso pubblico un filmato in cui si vedevano vari razzi lanciati da Gaza, uno dei quali caduto troppo presto a metà volo.

Dei 49 palestinesi uccisi nell’attacco di tre giorni, descritto da Israele come un’“operazione preventiva” in seguito all’arresto il giorno prima di un dirigente della Jihad islamica nella Cisgiordania occupata, i minorenni sono stati 17.

Parlando con Al Jazeera dopo le uccisioni del 7 agosto, la madre di Hamed Najim ha segnalato che l’attacco è arrivato a poche ore dall’entrata in vigore del cessate il fuoco, che è stato in seguito rispettato.

“Solo due ore prima che venisse annunciata la tregua lui mi ha detto che sarebbe uscito per cinque minuti con i suoi cugini,” ha affermato. “Passato qualche minuto abbiamo sentito un’esplosione. Siamo corsi fuori per cercare mio figlio e i suoi tre cugini. Erano tutti ridotti in pezzi.”

Il Norwegian Refugee Council [Consiglio Norvegese per i Rifugiati, ong indipendente che si occupa dei diritti dei profughi, ndt.] ha affermato che prima della morte tre dei ragazzini uccisi nell’attacco stavano seguendo una terapia per i traumi subiti.

Secondo i dati raccolti dal Norwegian Refugee Council, dal 2000, anno d’inizio della Seconda Intifada, almeno 2.200 minori sono stati uccisi dall’esercito e da coloni israeliani nei Territori Palestinesi Occupati.

Maram Humaid ha contribuito a questo reportage da Gaza.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Palestinese in sciopero della fame si appellerà alla Corte Suprema israeliana

Redazione di Al Jazeera

16 agosto 2022 – Al Jazeera

Il prigioniero palestinese Khalil Awawdeh continua uno sciopero della fame durato 165 giorni contro la sua detenzione senza accuse né processo

Secondo la sua legale, il prigioniero palestinese in sciopero della fame Khalil Awawdeh si appellerà alla Corte Suprema israeliana contro la sua detenzione dopo che un tribunale militare israeliano ha respinto una richiesta di rilascio per problemi di salute.

Awawdeh – che secondo la sua famiglia è in sciopero della fame per protesta da 165 giorni – sta contestando il fatto di essere detenuto senza accuse né processo in base a quella che Israele definisce “detenzione amministrativa”.

L’avvocatessa Ahlam Haddad sostiene che la salute del suo cliente sta peggiorando e di aver chiesto che venga rilasciato.

“A quest’uomo non è stata fatta giustizia,” ha detto Haddad riguardo alla sentenza del tribunale militare israeliano. “Ci rivolgiamo alla… Corte Suprema di Gerusalemme per ottenere forse la giusta soluzione, cioè il suo rilascio dalla detenzione amministrativa.”

Awawdeh, quarantenne con quattro figli, è uno dei numerosi prigionieri palestinesi in prolungato sciopero della fame che nel corso degli anni hanno protestato contro la detenzione amministrativa.

Israele sostiene che questa politica contribuisce a mantenere le strade sicure e consente al governo israeliano di detenere i sospettati senza divulgare informazioni di intelligence riservate.

Chi lo critica afferma che questo modo di agire nega il giusto processo ai prigionieri palestinesi.

Israele sostiene che Awawdeh è membro di un gruppo armato, un’accusa che tramite la sua avvocatessa egli ha strenuamente respinto.

Miliziani palestinesi del Jihad Islamico hanno chiesto il rilascio di Awawdeh come parte di un accordo di cessate il fuoco mediato dall’Egitto che ha posto fine all’attacco di tre giorni contro la Striscia di Gaza assediata da parte di forze israeliane all’inizio di questo mese. L’organizzazione non lo ha riconosciuto come un suo membro.

Israele attualmente tiene in carcere circa 4.450 prigionieri palestinesi.

Al momento sono in detenzione amministrativa circa 670 palestinesi, un numero in aumento in marzo quando Israele ha iniziato a effettuare retate quasi ogni sera nella Cisgiordania occupata.

Secondo gli ultimi dati resi pubblici dall’associazione per i diritti dei detenuti Addameer, delle migliaia di palestinesi nelle prigioni israeliane 175 sono minorenni e 27 sono donne.

Haddad ha affermato che, secondo la sua famiglia, durante lo sciopero della fame il suo cliente non ha mai mangiato, salvo che in un periodo di 10 giorni in cui ha ricevuto iniezioni di vitamine.

Il servizio di sicurezza interna israeliano Shin Bet non ha fatto commenti sul suo caso.

Israele ha affermato che la detenzione amministrativa garantisce un giusto processo e imprigiona principalmente chi minaccia la sua sicurezza, benché un piccolo numero di prigionieri sia composto da detenuti per reati minori.

I palestinesi e le associazioni per i diritti umani affermano che il sistema è inteso a reprimere l’opposizione all’occupazione militare israeliana delle loro terre durata 55 anni e che non accenna a finire.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Come Israele ha finanziato una guerra giudiziaria contro i cittadini palestinesi dopo la rivolta del maggio 2021

Janan Abdu

16 agosto 2022 – Middle East Eye

Un anno dopo la campagna israeliana di arresti di massa i cittadini palestinesi di Israele sono di fronte a misure più severe e addirittura più repressive contro le loro proteste nei confronti delle politiche israeliane

Il 24 maggio 2021 Israele ha lanciato una campagna di arresti di massa per fermare la rivolta dei palestinesi all’interno della cosiddetta Linea Verde (linea di confine tra Israele e alcuni Paesi arabi stabilita dall’accordo del 1949, ndtr.) all’insegna di “Legge e Ordine”.

La polizia ha comunicato che entro 48 ore 500 persone sarebbero state arrestate. Al 10 giugno Israele aveva arrestato più di 2.150 persone, il 91% delle quali erano cittadini palestinesi di Israele. Forze di polizia, unità speciali, guardie di confine e polizia segreta hanno preso d’assalto le città a predominanza araba, reprimendo i manifestanti palestinesi.

Hanno deliberatamente preso di mira i minori con violenti arresti arbitrari e li hanno sottoposti a detenzione e interrogatori prolungati da parte di agenti dello Shin Bet (servizi di sicurezza interni israeliani, ndtr.)

Di fronte a questi arresti di massa centinaia di avvocati palestinesi residenti nei territori occupati del 1948 si sono organizzati e si sono offerti volontari accanto ad associazioni per i diritti umani e a comitati popolari, in uno sforzo coordinato per difendere i detenuti, fornire loro assistenza legale nelle stazioni di polizia e monitorare le flagranti violazioni dei diritti umani da parte delle forze di sicurezza israeliane.

Io facevo parte di una di queste associazioni, “Donne in difesa dei diritti umani dei detenuti”. Non ci è voluto molto tempo per organizzare campagne di raccolta fondi per sostenere i detenuti e le loro famiglie attraverso la copertura delle loro spese legali.

Flagranti violazioni dei diritti

Alcune delle violazioni israeliane che abbiamo riscontrato comprendono: violenta dispersione delle proteste e arresti arbitrari; confisca dei cellulari personali; aggressione di giornalisti e attivisti che filmano e documentano gli attacchi; rapimento di minori da parte di forze speciali di squadre sotto copertura; eccessivo uso della forza durante gli arresti e i trasferimenti ai centri detentivi; condizioni carcerarie disumane; rinvio di cure mediche urgenti per i detenuti fino al termine degli interrogatori.

Molte violazioni dei diritti dei detenuti – soprattutto di minori – sono avvenute nelle stazioni di polizia: uso di terribile violenza fisica, minacce e violenza psicologica; negazione di diritti fondamentali come la consulenza legale prima dell’interrogatorio; rifiuto di condurre gli interrogatori in lingua araba; rifiuto ad un genitore o un tutore del diritto di essere presente durante l’interrogatorio del figlio; per molti di loro durata degli interrogatori di moltissime ore, in violazione della legge.

Inoltre la polizia cerca in vari modi di ostacolare il lavoro degli avvocati. In molti casi la polizia chiude l’ingresso del centro di detenzione per impedire ai legali di conoscere il nome e il numero dei detenuti.

Altre tattiche comprendono rifiutare agli avvocati una corretta informazione sui loro clienti e impedire loro di fornire consulenza.

In una stazione di polizia di Nazareth gli agenti israeliani notoriamente gestivano una “stanza di tortura” in cui i palestinesi arrestati, dai manifestanti agli astanti e persino agli avvocati, venivano sottoposti a violenza fisica, verbale e psicologica. A Umm al-Fahm la stazione di polizia ha chiuso del tutto e ha smesso di rispondere alle telefonate, dopo che gli avvocati hanno insistito nel pretendere i diritti dei detenuti, soprattutto di quelli che necessitavano di cure mediche.

La polizia israeliana spesso ha preso misure punitive allo scopo di estenuare gli avvocati, come rinviare gli interrogatori fino alle prime ore del mattino, o lasciarli in attesa per ore prima di fargli incontrare i loro clienti, come io e i mei colleghi abbiamo sperimentato alla stazione di polizia di Haifa.

Spesso il rilascio dei detenuti palestinesi è avvenuto alla condizione che essi si impegnassero a non partecipare a future manifestazioni. Molti sarebbero stati tenuti agli arresti domiciliari per lunghi periodi, mentre altri sarebbero stati trasferiti lontano dalle loro zone di residenza o luoghi di studio. Tra i trasferiti vi erano studenti universitari.

La maggior parte dei giudici non tiene conto della violenza della polizia, delle aggressioni ai detenuti, delle tremende conseguenze della violenza fisica, dei diritti dei minori e persino delle norme costituzionali sul diritto dei cittadini a protestare.

Prendere di mira i minori

E’ evidente che i procuratori israeliani hanno deliberatamente incrementato il loro accanimento sui minori palestinesi attraverso ricorsi aggressivi contro il loro rilascio e mantenendoli volutamente in detenzione nonostante la loro età e situazioni.

La rivolta palestinese del 2021 ha subito una politica di punizione. Essa è stata annunciata dall’ufficio del procuratore di Stato nelle sue dichiarazioni e relazioni periodiche ed è stata ribadita nel rapporto sull’operazione israeliana “Guardiano delle mura”, che sintetizza lo sforzo dello Stato per reprimere le proteste di massa contro l’aggressione israeliana a Gaza nel maggio 2021.

In alcuni casi la pubblica accusa ha vinto il ricorso, che riteneva la sentenza troppo clemente e chiedeva una punizione più severa, che poi il giudice ha concesso.

Dal 21 aprile l’ufficio del procuratore di Stato israeliano ha inoltrato 397 denunce contro 616 imputati, 545 dei quali sono arabi, compresi 161 minori. In altri termini, la percentuale di arabi tocca l’88,5% e i minori costituiscono il 26% – un numero altissimo che ricade sotto la punizione collettiva.

E’ stato preparato un “preambolo unificato” per tutte le incriminazioni contro gli imputati palestinesi. La procura ha voluto conferire un carattere generale a tutte le accuse in modo collettivo e preventivo. Ha anche creato una speciale sede centrale con lo scopo di unificare le politiche di punizione, che la procura considera “sulla base di una missione nazionale”. E in tutte le istanze ha richiesto l’arresto fino al termine delle procedure, che sono durate parecchi mesi prima che venisse emessa la sentenza.

La procura ha adottato una politica e criteri rigidi, rifiutando di rilasciare i detenuti e prendendo di mira i minori; invece di cercare alternative all’incarcerazione li ha sottoposti a processo come gli adulti e li ha tenuti in detenzione. La sua politica si è riflessa nella presentazione di gravi imputazioni e nell’adozione di disposizioni di “atti terroristici”, “contesto razzista” e “crimini di odio”, che raddoppiano le sentenze per la stessa accusa.

Delle 397 imputazioni, 239 sono state ritenute “aggravate” – l’85% contro arabi e il 20% contro minori – richiedendo una effettiva incarcerazione per anni. Accuse di terrorismo sono state avanzate contro 94 imputati, il 90% dei quali arabi; 95 imputati, l’87% dei quali arabi, sono stati accusati di terrorismo sulla base di motivazioni razziste.

Sono state elevate accuse su “base razzista” contro 50 imputati, il 70% dei quali arabi. Non abbiamo bisogno di ulteriori analisi sulle politiche discriminatorie basate sul procedere ad incriminazioni prima di eseguire gli arresti.

Fino ad ora sono state emesse sentenze in 80 casi, e tutte prevedevano il carcere. In alcuni casi la pubblica accusa ha vinto il ricorso, sostenendo che la sentenza era troppo indulgente e chiedendo una pena più severa, che poi il giudice ha concesso.

Infatti la procura inquadra gli arabi palestinesi come nemici ed ha scritto nel suo rapporto: “Gli arabi hanno compiuto atti di sabotaggio e violenza contro ebrei e loro proprietà, a fronte di un esiguo numero di aggressioni da parte di cittadini ebrei contro arabi.”

Questo è un capovolgimento della verità, poiché tutte le aggressioni a quartieri residenziali sono state compite da gruppi di ebrei contro quartieri arabi.

Rapporto del Revisore di Stato

Un rapporto del Revisore di Stato del 27 giugno 2022 conferma che le città miste fanno parte del panorama israeliano e ciò che vi accade riflette le complessità della società israeliana.

Il rapporto si occupa della rivolta del maggio 2021 e la descrive in base a quanto accaduto in alcune di queste città miste, comprese Haifa, Accri, Lod e Jaffa.

Afferma che questi incidenti, durante i quali sono stati uccisi tre cittadini israeliani (due di loro cittadini palestinesi di Israele), hanno portato alla luce le tensioni esistenti tra i diversi gruppi di popolazione e hanno sottolineato la necessità di prendere provvedimenti a livello pubblico e locale. (Il rapporto) ha anche evidenziato l’importanza di analizzare quanto in queste città venga applicata la legge.

Il rapporto si occupa delle “carenze nell’attività della polizia” in tutte le fasi, quella preparatoria e nel corso degli scontri con incidenti e sottolinea che gli incidenti mostrano anche la debolezza e lo squilibrio nella ripartizione di ruoli e responsabilità tra la polizia e lo Shin Bet, dovuti all’impreparazione della polizia a gestire gli incidenti.

In altri termini, ritiene insufficiente la punizione collettiva dei palestinesi cittadini di Israele durante questi incidenti e chiede misure più repressive nei loro confronti da parte della polizia e pene detentive più severe da parte dei tribunali.

Il rapporto ritiene che la soluzione passi attraverso i bilanci comunali. E’ come se il rimedio alla ingiustizia storica e alle conseguenze della catastrofe palestinese, o Nakba, come anche alle leggi razziste discriminatorie nei loro confronti, consistesse nell’aumentare le previsioni di spesa per i palestinesi in queste storiche città palestinesi.

Oltre un anno dopo la campagna israeliana di arresti di massa è chiaro che lo Stato è determinato all’escalation, dato che i palestinesi cittadini di Israele rappresentano un rischio demografico.

Non c’era perciò da stupirsi, recentemente, del fatto che, mentre Israele stava ancora una volta attaccando Gaza, i suoi poliziotti e guardie di frontiera, raddoppiati di numero, insieme a violente bande di destra, fossero pronti a finanziare una campagna di repressione contro i manifestanti palestinesi.


Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autrice e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

Janan Abdu è un’avvocata e un’attivista per i diritti umani che vive a Haifa. E’ attiva nel suscitare attenzione e mobilitare il sostegno internazionale per i prigionieri politici palestinesi. I suoi articoli sono comparsi su: il Giornale di Studi Palestinesi; il trimestrale del Centro Studi sulle Donne dell’università Birzeit; al-Ra’ida (AUB); L’Altro Fronte (Centro di informazione alternativa); Jadal (Mada al-Carmel). Le sue pubblicazioni includono le organizzazioni di donne e femministe palestinesi nelle zone del 1948 (Mada al-Carmel, 2008).

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)