Guerra Israele-Palestina: Israele vuole impossessarsi del giacimento multimiliardario di gas di Gaza

Seyed Hossein Mousavian

15 November 2023 Middle East Eye

Il conflitto ha di fatto congelato il piano per rilanciare un progetto di gas naturale da 1,4 miliardi di dollari che avrebbe potuto essere vantaggioso per Israele e i palestinesi.

Israele ha risposto con ferocia all’attacco dei combattenti palestinesi del 7 ottobre che aveva ucciso circa 1.200 persone e portato alla cattura di centinaia di ostaggi detenuti a Gaza.

In un mese di incessanti attacchi aerei ha finora sganciato su Gaza più di 18.000 tonnellate di bombe, uccidendo oltre 11.000 palestinesi – per lo più donne, bambini e anziani.

Un alto funzionario delle Nazioni Unite a New York ha recentemente rassegnato le dimissioni definendo gli eventi di Gaza un “caso da manuale di genocidio” di cui i governi occidentali sono “totalmente complici”. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha promesso che il suo Paese non si ritirerà finché Hamas non sarà eliminato.

Mentre il terribile attacco entra nella sua sesta settimana, la questione delle risorse energetiche potrebbe aggiungere alla guerra in corso un ulteriore livello di complessità.

Secondo la Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo (UNCTAD), al largo della Striscia di Gaza e altrove sotto la Cisgiordania occupata sono stati trovati importanti giacimenti di petrolio e gas naturale.

“I Territori Palestinesi Occupati si trovano sopra considerevoli riserve di petrolio e gas naturale, nell’Area C della Cisgiordania occupata e sulla costa mediterranea al largo della Striscia di Gaza. Tuttavia, l’occupazione continua a impedire ai palestinesi di sfruttare i propri giacimenti energetici in modo da estrarre e trarne vantaggio “, afferma lo studio condotto dall’UNCTAD nel 2019.

In questo contesto la questione della sovranità sui giacimenti di gas di Gaza è vitale per Israele.

L’Accordo di Oslo II firmato nel 1995 conferiva all’Autorità Palestinese (AP) la giurisdizione marittima sulle sue acque fino a 20 miglia nautiche dalla costa e pertanto l’Autorità Palestinese ha firmato un contratto di 25 anni per la ricerca del gas con il British Gas Group (BGG) nel novembre 1999.

Nel 2000 due pozzi trivellati dalla British Gas al largo della costa di Gaza hanno rivelato riserve di gas stimate in circa 40 miliardi di m3. Il 60% di queste riserve appartiene ai palestinesi.

Nel luglio 2000 il primo ministro israeliano ha concesso alla BGG l’autorizzazione di sicurezza per perforare il primo pozzo, Marine 1, come parte del riconoscimento politico da parte di Israele che il pozzo sia sotto la giurisdizione dell’Autorità Palestinese.

Opportunità di collaborare

Dopo l’invasione russa dell’Ucraina nel febbraio 2022 l’Europa ha cercato di assicurarsi forniture energetiche alternative alle russe e ha rilanciato un’iniziativa palestinese per estrarre gas naturale al largo delle coste di Gaza. Si sperava che il progetto da 1,4 miliardi di dollari – che coinvolge l’Autorità Palestinese, l’Egitto, Israele e Hamas – potesse avviare la produzione di gas entro marzo 2024.

Un progetto del genere avrebbe potuto gettare le basi per una collaborazione tra palestinesi e Israele vantaggiosa per tutti.

Ma con il drammatico intensificarsi del conflitto israelo-palestinese nelle ultime settimane il progetto non sembra più essere all’orizzonte, congelato per il prossimo futuro.

Invece il 29 ottobre, mentre la guerra continuava senza alcun cessate il fuoco in programma, il governo Netanyahu ha concesso 12 licenze a sei società tra cui BP e l’italiana ENI per la ricerca di gas naturale al largo dell’area nel bacino sul Mediterraneo.

Le nuove risorse di petrolio e gas naturale scoperte nel Mediterraneo orientale hanno il sorprendente valore di 524 miliardi di dollari. Tuttavia, secondo il rapporto delle Nazioni Unite, una parte significativa di tali beni dovrebbe provenire dai territori occupati della Palestina.

Inoltre, durante il vertice del G20 a Nuova Delhi lo scorso settembre, gli Stati Uniti e l’UE hanno annunciato il loro sostegno a un piano per costruire un corridoio economico che colleghi l’India con il Medio Oriente e l’Europa – un imponente progetto per contrastare l’iniziativa cinese Belt and Road.

Netanyahu lo ha descritto come “il più grande progetto di cooperazione della nostra storia”, aggiungendo: “Il nostro Paese, Israele, sarà un nodo centrale in questo corridoio economico; le nostre ferrovie e i nostri porti apriranno una nuova porta dall’India attraverso il Medio Oriente verso l’Europa e ritorno”.

Il piano di Israele è quello di diventare un importante esportatore di gas e anche di petrolio. Negli ultimi 20 anni, il paese si è trasformato da importatore netto di combustibili fossili a esportatore di gas naturale.

La dichiarazione di guerra di Netanyahu a Gaza nell’ottobre 2023 è la continuazione della precedente invasione israeliana di Gaza nel 2014, quando furono uccisi almeno 2.104 palestinesi di cui 1.462 civili. L’obiettivo militare soggiacente all’occupazione di Gaza è l’espulsione dei palestinesi dalla loro patria.

Il Ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant ha affermato che il piano è quello di “eliminare tutto” e un altro ministro, Gideon Sa’ar, ha affermato che Gaza “alla fine della guerra dovrà deve essere più piccola”. Inoltre, un “concept paper” del governo israeliano proponeva di trasferire i 2,3 milioni di abitanti della Striscia di Gaza nella penisola egiziana del Sinai.

Tuttavia, l’obiettivo finale non è solo demolire Hamas e/o escludere i palestinesi dalla loro patria, ma confiscare le risorse multimiliardarie di gas di Gaza.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

Seyed Hossein Mousavian è Esperto in Sicurezza Mediorientale e Politica Nucleare presso l’Università di Princeton ed ex Capo del Comitato per le Relazioni Estere della Sicurezza Nazionale iraniana. I suoi libri: Iran and the United States: An Insider’s view on the Failed Past and the Road to Peace (Iran e Stati Uniti: il punto di vista di un insider sul passato fallito e sulla strada verso la pace) è stato pubblicato nel maggio 2014 da Bloomsbury, A Middle East Free of Weapons of Mass Destruction (Un Medio Oriente libero dalle armi di distruzione di massa) è stato pubblicato nel maggio 2020 da Routledge. Il suo ultimo libro, A New Structure for Security, Peace, and Cooperation in the Persian Gulf (Una nuova struttura per la sicurezza, la pace e la cooperazione nel Golfo Persico) è uscito nel dicembre 2020 da Rowman & Littlefield Publishers.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)

 




I giornalisti occidentali hanno le mani sporche del sangue palestinese

Mohammed El-Kurd

20 ottobre 2023 – The Nation

La continua de-umanizzazione dei palestinesi da parte dei principali mezzi di comunicazione sta favorendo i crimini di guerra israeliani.

Il 9 ottobre l’ambasciatore dell’Autorità Palestinese in Gran Bretagna Husam Zomlot ha concesso un’intervista alla conduttrice della BBC Kirsty Wark. “Sono stati semplicemente bombardati. Il loro edificio è stato totalmente demolito,” le ha detto. Poche ore prima dell’intervista sei dei suoi familiari erano stati vittime dell’operazione militare israeliana che ha lanciato più bombe sulla stretta e densamente popolata Striscia di Gaza in meno di una settimana di quante ne abbiano sganciate gli Stati Uniti in un anno intero sull’Afghanistan. Che è 1.800 volte più grande di Gaza.

“Mia cugina Ayah, i suoi due figli, suo marito, sua suocera e altri due parenti sono stati uccisi sul colpo mentre altri due figli più giovani, gemelli di 2 anni, ora sono in terapia intensiva,” le ha raccontato Zomlot. I membri della sua famiglia sono tra le migliaia di persone uccise dall’attacco contro la più grande prigione all’aperto del mondo, dove due milioni di persone sono sotto assedio. Wark ha risposto: “Mi spiace per il suo lutto personale. Ma intendo, per essere chiara, che lei non possa giustificare l’uccisione di civili in Israele, vero?”

La risposta di Wark alla terribile perdita di Zomlot non è semplicemente insensibile. Rivela uno sconcertante fenomeno nei principali mezzi di comunicazione: la norma del settore è la de-umanizzazione dei palestinesi. La nostra sofferenza è insignificante, la nostra rabbia è infondata. La nostra morte è così quotidiana che i giornalisti la riportano come se parlassero del tempo che fa: cielo nuvoloso, lievi piogge e 3.000 palestinesi morti negli ultimi 10 giorni. E proprio come per il meteo, solo dio è responsabile, non coloni armati, non attacchi mirati con i droni.

Io e pochi altri palestinesi siamo passati da canali TV a stazioni radio per parlare delle atrocità che avvengono a Gaza, la maggior parte delle quali sono assenti dalle prime pagine, ed abbiamo incontrato la stessa ostilità. I responsabili dei programmi ci invitano, a quanto pare, non per intervistarci sulla nostra esperienza o analisi o sul contesto che possiamo fornire, ma per interrogarci. Testano le nostre risposte contro i preconcetti insiti nello spettatore, preconcetti ben alimentati attraverso anni di islamofobia e discorsi antipalestinesi. Le bombe che piovono sulla Striscia di Gaza assediata diventano secondarie, se non del tutto irrilevanti, per i processi che ci fanno in televisione.

Non mi aspetto la messa in onda di frasi di circostanza, ma voglio un racconto accurato. La scorsa settimana sulla rete radiofonica britannica LBC la conduttrice Rachel Johnson (sorella dell’ex-primo ministro) si è presa una pausa dall’interrompermi ripetutamente per interrogarmi, di fatto accusarmi, riguardo a informazioni non verificate e per sentito dire secondo cui combattenti palestinesi avrebbero “decapitato e stuprato” israeliani. Non ha citato i vari video di israeliani che mutilano, calpestano e urinano su cadaveri palestinesi, molti già disponibili per gli 83.000 abbonati a un canale Telegram israeliano denominato “I terroristi stanno morendo”.

Quelle affermazioni senza fondamento erano, e sono ancora, ovunque in rete. The Indipendent (edizione britannica) ha piazzato in prima pagina il reportage “impossibile da verificare” della sua corrispondente internazionale Bel Trew su “donne e bambini decapitati”. L’editorialista del Los Angeles Times Jonah Goldberg ha riportato, e poi cancellato, di “stupri”. Sulla CNN Sara Sidner, con le lacrime agli occhi, ha confermato dal vivo, sulla base di fonti ufficiali israeliane, che “bambini e neonati sono stati trovati con la testa tagliata,” poi si è scusata su Twitter (ora X) di essere stata indotta in errore dopo un comunicato, di nuovo di fonti ufficiali israeliane, che ammetteva che non c’erano informazioni che confermassero l’affermazione secondo cui “Hamas aveva decapitato bambini”.

Questo è un copione già noto. Un’affermazione viene fatta circolare senza prove; giornalisti occidentali la diffondono a macchia d’olio; diplomatici e politici la ripetono; si costruisce una narrazione; l’opinione pubblica ci crede e il danno è fatto.

Potrebbe sembrare irrilevante porre un tale peso sul modo in cui si uccide, dato che si è ucciso, ma tale linguaggio non è senza conseguenze. Lunedì un proprietario di casa dell’Illinois ha aggredito i suoi affittuari palestinesi-americani ferendo gravemente una donna e uccidendo suo figlio di 6 anni. “Voi musulmani dovete morire,” ha gridato mentre li accoltellava per decine di volte ognuno. Joe Biden ha detto di essere rimasto “scioccato e disgustato” dall’attacco, come se potesse dissociarsi dall’affermazione che aveva fatto qualche giorno prima secondo cui aveva visto “foto di terroristi che decapitavano bambini” (una dichiarazione che ha tranquillamente ritrattato qualche ora dopo).

Evocare stupri e decapitazioni alimenta luoghi comuni islamofobi. Nel contempo contribuisce alla strategia propagandistica del regime israeliano, che ha cercato di equiparare Hamas e ISIS nell’immaginario pubblico, risvegliando la cultura che ha prodotto la “guerra al terrorismo”. Potrebbe essere la nebbia della guerra che fa sì che i giornalisti ripetano invenzioni (o, quanto meno, riportino come fatti affermazioni non verificate), o forse è un errore di giudizio che li ha portati a equiparare l’attacco di Hamas all’11 settembre senza prendere in considerazione le conseguenze di tali analogie. O, si potrebbe supporre, si tratta di un malcostume giornalistico. In ogni caso, abbandonando l’etica professionale, i giornalisti stanno assecondando la brutalità che incombe sul popolo palestinese di Gaza: un possibile genocidio.

Non si tratta di un’ardita teoria cospirativa. Il 13 ottobre il Centro per i Diritti Costituzionali ha affermato che il regime israeliano, agendo per “distruggere del tutto o in parte un’organizzazione, anche uccidendo o creando condizioni di vita per determinare la sua distruzione” sta commettendo un genocidio nella Striscia di Gaza. Il giorno dopo l’Istituto Lemkin per la Prevenzione del Genocidio ha mandato un messaggio di allarme avvertendo che “senza immediati tentativi di pacificazione la comunità internazionale assisterà e sarà complice del genocidio di Gaza.” Raz Segal, professore di studi sull’Olocausto e il genocidio, lo ha definito un “caso da manuale di genocidio che avviene davanti ai vostri occhi”.

Se ciò suona assurdo è proprio perché i principali mezzi di comunicazione hanno evitato, o impedito, ai lettori e spettatori di conoscere le innumerevoli dichiarazioni fatte da politici israeliani che suggeriscono che è in corso un genocidio. Quando il New York Times ha informato sulle istruzioni del ministro della Difesa israeliano per stringere l’assedio contro Gaza bloccando acqua, elettricità e cibo nell’enclave, guarda caso l’articolo ha omesso la sua descrizione dei palestinesi come “animali umani”. Quando il presidente israeliano Isaac Herzog ha cercato di giustificare il violentissimo attacco contro Gaza con l’argomento genocidario che “un’intera nazione è responsabile,” il Financial Times inizialmente ha riportato la sua frase: “Non è vero questo discorso che i civili non erano informati, non hanno partecipato”. Ma il giornale ha rapidamente tolto dall’articolo quelle parole e il resto delle sue affermazioni rivelatrici.

Nel contempo un soldato israeliano ha “corretto” la presentatrice della CNN Abby D. Phillip dicendole che “la guerra non è solo contro Hamas” ma “contro tutti i civili,” tuttavia non ci sono stati titoli in prima pagina. Un famoso riservista israeliano che nel 1948 ha partecipato al massacro di Deir Yassin [la strage più nota di civili palestinesi della guerra del 1947-49, ndt.] ha detto alle truppe che i palestinesi sono “animali” le cui “famiglie, madri e figli” devono essere cancellati: “Se avete un vicino arabo, non aspettate, andate a casa sua e sparategli,” ha affermato – di nuovo, nessun titolo in prima pagina. E nella via più trafficata di Tel Aviv alcuni israeliani hanno appeso un cartello che afferma: “Genocidio a Gaza.” Nessuna notizia.

Ancora peggio delle dichiarazioni genocidarie sono le azioni genocidarie, anch’esse accolte con pochissima rilevanza: minaccia di bombardare l’invio di aiuti se dovessero tentare di entrare a Gaza; bombardamento reale di ambulanze; uccidere (e, secondo molti, prendere di mira) medici e giornalisti; bombardare ripetutamente il valico di Rafah; cancellare intere famiglie dall’anagrafe.

Si è informato poco sulle accuse secondo cui l’esercito israeliano ha usato bombe al fosforo bianco a Gaza e nel sud del Libano, nonostante il divieto internazionale contro il suo utilizzo in aree densamente popolate. E non ci sono stati titoli in prima pagina sulle amministrazioni comunali nella Cisgiordania occupata che hanno iniziato ad armare coloni israeliani (spesso già armati) con migliaia di fucili o sul fatto che il numero di palestinesi uccisi da coloni o soldati in Cisgiordania dal 7 ottobre ha superato di molto i 50. E chissà cos’altro sta per succedere.

Sinceramente dubito che l’americano medio sappia che l’esercito israeliano ha ordinato l’evacuazione di 22 ospedali palestinesi, o che ha colpito l’ospedale pediatrico Al Durrah a Gaza est con fosforo bianco, o che ha ordinato l’espulsione entro 24 ore di oltre 1 milione di palestinesi dalla parte settentrionale di Gaza, in violazione delle leggi umanitarie internazionali (l’ho inclusa solo perché i politici che fanno il tifo per questa aggressione amano citarla). Quando in migliaia hanno cercato di spostarsi da nord a sud, gli israeliani li hanno bombardati mentre scappavano. E quando MSNBC [canale statunitense di notizie via cavo, ndt.] ha informato di questo massacro, il canale ha messo in dubbio la loro innocenza chiamandoli “quelli che sembrano profughi”.

Nelle ultime settimane giornali come il Daily Telegraph hanno associato le immagini di edifici residenziali palestinesi distrutti dagli aerei da guerra israeliani a titoli che sembravano suggerire che si trattasse di costruzioni israeliane, mentre The Times (edizione britannica) ha pubblicato un’immagine di bambini palestinesi feriti con un titolo che suggeriva che fossero israeliani (solo uno sguardo attento alla didascalia scritta in piccolo rivela che si trattava di palestinesi).

E proprio oggi l’Associated Press ha pubblicato un articolo con varie frasi sorprendenti, che il sito di notizie poi ha tagliato, che descrivevano come i diplomatici americani “sono sempre più preoccupati” per i commenti genocidari fatti dalle loro “controparti” israeliane. Queste affermazioni riguardavano “la loro intenzione di negare acqua, cibo, medicine, elettricità e carburante a Gaza, così come l’inevitabilità di vittime civili,” e ha incluso osservazioni secondo cui “lo sradicamento di Hamas avrebbe richiesto metodi usati per sconfiggere le potenze dell’Asse nella Seconda Guerra Mondiale.”

Informare su una “guerra” senza presentarne le radici ai lettori è impreciso. Ignorare il blocco israeliano della Striscia di Gaza durato 17 anni o pretendere che il regime israeliano non abbia il controllo dei suoi confini e risorse (come evidenziato dalla possibilità per Israele di bloccare acqua, cibo ed elettricità) è subdolo. Omettere decenni di violenza colonialista è disonesto. Riguardo al rifiuto di riconoscere che il 70% dei palestinesi di Gaza proviene dalle terre in cui ora si trovano molti insediamenti israeliani e da cui le milizie sioniste li cacciarono… non ho aggettivi per questa omissione.

Sfortunatamente quando si tratta di Palestina, sono consentite omissioni e falsificazioni. Regna la forma passiva. Sparisce l’impegno per la verità, così come per la corretta verifica. Un tempo credevo che il giornalismo fosse il settore del “non fare del male” e “dire la verità al potere”. Ma i reporter troppo spesso sembrano stenografi e impiegati statali, che amplificano inconsciamente (o intenzionalmente) la propaganda israeliana.

E le loro mani grondano sangue.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Arrestare arabi e persone di sinistra: ecco come Israele intende reprimere il dissenso interno sulla guerra contro Gaza

Editoriale di Haaretz

14 novembre 2023 – Haaretz

Anche se alcune di queste affermazioni sono sgradevoli da ascoltare per gli israeliani, esse dovrebbero essere consentite purché non costituiscano vero incitamento

Lunedì un tribunale ha liberato, sottoponendolo ad alcune condizioni, Meir Baruchin, docente di educazione civica e storia, che aveva passato cinque giorni in carcere senza un atto di accusa. Solo pochi giorni fa la polizia aveva chiesto che fosse tenuto in prigione per “aver indicato la decisione di commettere tradimento,” un reato che prevede una condanna massima di 10 anni di carcere. Ma quello che in un post su Facebook è cominciato con un boato, citando “tradimento” e “giustificare le azioni di Hamas” in pochi giorni è finito in un sussurro.

Sia chiaro: Barichin è stato usato come strumento politico per mandare un messaggio politico. Il motivo del suo arresto è la deterrenza: mettere a tacere tutte le critiche o ogni accenno di protesta contro le politiche israeliane. Baruchin ha pagato un prezzo personale, è stato licenziato dalla scuola superiore dove insegnava e ha passato 5 giorni in carcere senza motivazioni.

La polizia aveva chiesto al pubblico ministero il permesso di indagarlo perché sospettato di incitamento. Ma dopo che questa richiesta è stata respinta, il reato è stato derubricato a decisione di commettere tradimento, un’accusa gravissima usata molto raramente.

La denuncia contro Baruchin è stata presentata dal comune di Petah Tikva che l’ha licenziato. Il pretesto sono i post in cui protestava contro l’operazione militare di Israele nella Striscia di Gaza e in cui parlava delle morti dei civili gazawi. È stato interrogato su circa 15 post, alcuni risalenti a prima dell’inizio della guerra del 7 ottobre. I post includevano foto di palestinesi morti, tra cui bambini piccoli, spesso accompagnate dalla didascalia “Questo agli ebrei non interessa.” E, a parte poche eccezioni, ha ragione. Persino in tempo di pace, l’opinione pubblica israeliana non ha quasi alcun interesse per le vittime palestinesi. In tempo di guerra l’opinione prevalente è che cose simili non succedono.

In un altro post dell’8 ottobre Baruchin ha elencato i nomi di sei palestinesi uccisi in Cisgiordania e la loro l’età, compresa fra i 14 e i 24 anni. “Sono nati e vissuti per tutta la vita sotto occupazione,” ha scritto. “Non hanno mai conosciuto un solo giorno di vera libertà … Sono stati ammazzati dai nostri fantastici ragazzi.” Venerdì scorso il giudice Oren Silverman ha giustificato il trattenimento in carcere per altri quattro giorni citando queste frasi. Secondo Silverman sono sufficienti per “stabilire un ragionevole sospetto.”

Ma il giudice Zion Saharay non è stato così convinto dalle argomentazioni della polizia. Nella sua decisione di liberare Baruchin ha anche ignorato un’altra affermazione della polizia che si basava su messaggi in un gruppo WhatsApp in cui l’esperto insegnante avrebbe giustificato gli stupri commessi dai terroristi di Hamas. 

Baruchin non è il solo. Durante lo scorso mese decine di arabi israeliani sono stati arrestati per supposto incitamento. Sia la polizia che il pubblico ministero fanno parte di questo movimento che limita in modo significativo la libertà di espressione in Israele. Anche se alcune di queste affermazioni sono sgradevoli da ascoltare per gli israeliani, esse dovrebbero essere permesse fintantoché non costituiscono vero incitamento.

In un momento in cui il governo sta cercando di zittire la gente, la polizia e il pubblico ministero non dovrebbero essere d’accordo mettere in atto tali persecuzioni. I tribunali le devono impedire per proteggere gli israeliani e le loro libertà.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Migliaia le persone intrappolate mentre l’esercito israeliano fa irruzione nell’ospedale al-Shifa di Gaza

Redazione di Al Jazeera

15 novembre 2023 – Al Jazeera

Il raid segue giorni di pesanti attacchi nell’area in cui migliaia di sfollati e pazienti cercano riparo.

Dopo giorni di pesanti attacchi nell’area circostante il complesso situato a Gaza City le forze israeliane hanno fatto irruzione nell’ospedale di al-Shifa, dove cercano riparo migliaia di palestinesi.

All’alba di mercoledì lesercito israeliano ha dichiarato che stava effettuando una operazione contro Hamas in una zona specifica” ad al-Shifa. Definendo lassalto una operazione mirata” contro la più grande struttura medica di Gaza, ha affermato che il raid faceva seguito ad informazioni dellintelligence israeliana e statunitense.

Israele accusa Hamas, il partito che governa Gaza, di utilizzare l’ospedale come base. Hamas respinge le accuse perché Israele non ha prodotto prove a sostegno di quanto affermato.

Decine di soldati israeliani sono entrati nella struttura mentre carri armati stazionavano nel cortile, ha riferito mercoledì Tareq Abu Azzoum di Al Jazeera dalla cittadina di Khan Younis. Secondo i dirigenti sanitari nellospedale ci sono circa 650 pazienti, di cui 22 in terapia intensiva e 36 neonati prematuri, oltre a circa 400 operatori sanitari e più di 2.000 sfollati.

Il dottor Munir al-Bursh, direttore generale degli ospedali nella Striscia di Gaza, ha detto ad Al Jazeera che le forze israeliane hanno perquisito il seminterrato di al-Shifa e sono entrate nei reparti chirurgici e di emergenza all’interno del complesso.

Secondo fonti interne ad al-Shifa i soldati israeliani usano gli altoparlanti per ordinare ai giovani di arrendersi. Sembra che circa 30 persone siano state portate nel cortile, spogliate, bendate e interrogate dai soldati. Le forze israeliane avrebbero anche fatto saltare in aria un magazzino di medicinali e dispositivi medici.

Il dottor Ahmed El Mokhallalati, un chirurgo all’interno della struttura, ha riferito che nel complesso si sono sentiti forti colpi di arma da fuoco ed esplosioni.

È un momento assolutamente spaventoso, è un momento orribile per le famiglie e i civili che si rifugiano in ospedale con i loro figli. È terribile per il personale che si prende cura dei pazienti e per gli stessi pazienti”, ha detto ad Al Jazeera.

Mokhallalati riferisce che in ospedale ci sono circa 700 pazienti, di cui circa 100 in condizioni critiche. Sul posto sono intrappolati anche più di 1.000 operatori sanitari, ma non sono in grado di curare i pazienti a causa della carenza di medicinali e carburante.

Allinterno dellospedale al-Shifa si trovano anche migliaia di civili sfollati a causa delle cinque settimane di bombardamento israeliano contro Gaza, che ha ucciso più di 11.200 palestinesi. Non vi sono indicazioni che ad al-Shifa sia detenuta qualcuna delle oltre 200 persone prese in ostaggio durante lattacco di Hamas del 7 ottobre, che ha ucciso circa 1.200 persone.

Gli ospedali non sono campi di battaglia’

Per settimane larea che circonda al-Shifa è stata martoriata da molteplici attacchi israeliani. Il governo israeliano ha avvertito di evacuare la struttura. Tuttavia, i dirigenti sanitari palestinesi hanno respinto lordine affermando di non poter abbandonare i loro pazienti.

Nel corso del raid il ministro della Sanità dellAutorità Palestinese Mai al-Kaila ha affermato in una dichiarazione pubblicata dallagenzia di stampa palestinese Wafa che le forze israeliane stanno commettendo un nuovo crimine contro lumanità, il personale medico e i pazienti”.

Il governo palestinese ritiene le forze israeliane responsabili della vita del personale medico, dei pazienti e degli sfollati nel complesso di al-Shifa”, ha aggiunto.

Hamas ha affermato di ritenere Israele e il presidente degli Stati Uniti Joe Biden responsabili delle implicazioni del raid, definendolo un crimine barbaro contro una struttura sanitaria protetta dalla quarta Convenzione di Ginevra”.

Il Sottosegretario delle Nazioni Unite Martin Griffiths si è detto sconvolto” dallassalto israeliano ad al-Shifa. Gli ospedali non sono campi di battaglia”, ha detto in un post su X.

Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, ha scritto su X che “le notizie sull’incursione militare nell’ospedale al-Shifa sono profondamente preoccupanti”.

Anche il Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR) si è detto estremamente preoccupato per limpatto sui malati e sui feriti, sul personale medico e sui civili” e che devono essere prese tutte le misure per evitare qualsiasi conseguenza su di loro”.

‘Nessuna prova’

Gli Stati Uniti hanno espresso parole di cautela attraverso le affermazioni di un portavoce del Consiglio di Sicurezza Nazionale della Casa Bianca: Non siamo favorevoli ad un bombardamento di un ospedale dall’alto e non vogliamo vedere uno scontro a fuoco in un ospedale dove persone innocenti, indifese, malate, che cercano di ottenere le necessarie cure mediche restino intrappolate in mezzo al fuoco incrociato”.

Allo stesso tempo, gli Stati Uniti hanno anche affermato di avere informazioni” secondo cui Hamas e la Jihad islamica palestinese utilizzano gli ospedali di Gaza, compreso quello di al-Shifa, per nascondere e sostenere le loro operazioni militari e trattenere ostaggi”.

Hamas ha negato di utilizzare gli ospedali come base e ha invitato le Nazioni Unite a inviare investigatori indipendenti per verificare “la falsità” delle affermazioni di Israele.

Ardi Imseis, esperto di diritto internazionale presso la Queens University in Canada, ha affermato che Israele ha lonere di produrre prove” e dimostrare la sua affermazione secondo cui lospedale sarebbe stato utilizzato da Hamas come base.

Lobiettivo dellattacco è civile. Fino a quando gli israeliani non forniranno una prova che giustifichi una sua conversione in obiettivo militare, la sua natura civile non cambierà”, dice.

Omar Shakir, direttore per Israele e Palestina di Human Rights Watch, ha dichiarato ad Al Jazeera che il governo israeliano non ha presentato alcuna prova che giustifichi la privazione degli ospedali delle loro protezioni speciali ai sensi del diritto umanitario internazionale”.

Anche se le giustificazioni di Israele per attaccare gli ospedali fossero accolte a scatola chiusa”, dice Shakir, il diritto internazionale umanitario consente di attaccare gli ospedali solo se si provveda a consentire unevacuazione sicura”, aggiungendo: La realtà è che qui a Gaza non esiste nessun luogo sicuro dove andare”.

(Traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Israele-Palestina: l’esercito israeliano effettua un nuovo raid mortale in Cisgiordania mentre cresce il bilancio di morti a Gaza

Fayha Shalash, Ramallah

14 Novembre 2023, Middle East Eye

Un attacco di 15 ore a Tulkarem provoca la morte di sette palestinesi e porta il bilancio delle vittime in Cisgiordania a quasi 200 in cinque settimane

Martedì le forze israeliane hanno ucciso sette palestinesi durante un raid di 15 ore nella città occupata di Tulkarem in Cisgiordania.

L’incursione ha comportato il bombardamento di una casa a colpi di droni, il lancio di gas lacrimogeni in un ospedale, il blocco delle ambulanze che soccorrevano i feriti e la distruzione massiccia di strade e negozi.

Questo nel contesto di un’escalation della violenza israeliana contro i palestinesi in Cisgiordania che procede insieme alla campagna di bombardamenti nella Striscia di Gaza dal 7 ottobre.

L’ultimo raid a Tulkarem, nel nord della Cisgiordania, è iniziato lunedì sera, quando le forze speciali israeliane hanno fatto irruzione nel campo profughi della città e sparato a due palestinesi all’interno di un bar.

Sono stati identificati come Mahmoud Hadaida, 25 anni, e Hazem al-Hosari, 29 anni, padre di tre figli e proprietario di un supermercato vicino al campo.

Abu Suhaib al-Hosari, suo zio, ha detto a Middle East Eye che Hazem era seduto con il suo amico in un noto bar quando le truppe israeliane li hanno presi di sorpresa e gli hanno sparato a distanza ravvicinata.

“Quando abbiamo ricevuto la notizia, ho lasciato il campo con il fratello di Hazem; siamo andati in ospedale e ho visto che era stato colpito al petto”, ha detto Abu Suhaib.

“Era ambizioso e sempre allegro, ma come tutti i palestinesi era oppresso dall’occupazione israeliana e dalla sua continua aggressione ovunque”, ha aggiunto.

Immediatamente dopo la sparatoria l’esercito israeliano ha inviato larghi rinforzi al campo, scatenando scontri con palestinesi armati.

Nella notte un attacco di droni ha colpito una casa nel campo, uccidendo almeno tre persone.

Nel frattempo, i bulldozer militari hanno raso al suolo le strade del campo, vandalizzando rotonde e vetrine di negozi, mentre i cecchini prendevano posizione sui palazzi più alti.

I residenti sono stati costretti a rimanere in casa durante il raid, compresa la famiglia di Hazem che per ore non è riuscita a raggiungere l’ospedale per dargli l’addio.

In un comunicato la Mezzaluna Rossa Palestinese (PRCS) ha dichiarato che al suo personale è stato impedito di raggiungere i feriti, ciò che ha causato la morte di molti.

In un caso, le jeep militari hanno fermato un’ambulanza della PRCS diretta all’ospedale, arrestando una persona ferita all’interno.

All’ingresso dell’ospedale Thabet Thabet le forze israeliane hanno sparato gas lacrimogeni, come mostrano i filmati pubblicati dai media locali.

Punizione colletiva”

Nelle ultime settimane Tulkarem è stata obiettivo frequente delle forze israeliane.

Il mese scorso l’esercito israeliano ha fatto irruzione nel campo profughi di Nur Shams, a est della città di Tulkarem, in un’operazione durata 24 ore che ha lasciato 13 palestinesi uccisi ed estese distruzioni.

Dal 7 ottobre le forze israeliane hanno ucciso 196 palestinesi in Cisgiordania, quasi lo stesso numero di persone uccise tra gennaio e settembre.

Hassan Khreisha, ex vicepresidente del Consiglio Legislativo Palestinese, ha affermato che l’esercito israeliano sta aumentando le sue aggressioni in Cisgiordania dato che l’attenzione del mondo è rivolta all’attacco su Gaza.

Distruggere le infrastrutture e radere al suolo le strade significa imporre una punizione collettiva e smantellare l’incubatrice popolare della resistenza”, ha detto Khreisha a MEE.

Eppure tutte le volte Israele fallisce e non elimina la resistenza all’interno dei campi”, ha aggiunto.

L’atteggiamento “isterico” con cui l’esercito agisce in Cisgiordania, ha spiegato Khreisha, è in parte dovuto al tentativo di inviare il messaggio che sostenere la lotta armata comporta pagare un prezzo.

Durante il raid di martedì l’esercito israeliano ha distribuito manifesti con la scritta “il terrorismo sta distruggendo il campo” nel tentativo di rivolgere l’opinione pubblica contro i combattenti della resistenza locale.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Secondo i funzionari sanitari Israele colpisce il più grande complesso ospedaliero di Gaza

Redazione di Al Jazeera

Al Jazeera 10 novembre 2023

L’esercito israeliano sostiene che Hamas opera ad al-Shifa, ciò che il gruppo armato e i funzionari dell’ospedale negano

Il Ministero della Sanità dell’enclave governata da Hamas ha detto che Israele ha attaccato quattro ospedali a Gaza, compreso il più grande complesso medico dell’enclave provocando pare numerose vittime.

Nel complesso ospedaliero di al-Shifa l’esercito israeliano ha colpito un cortile dove si erano rifugiati migliaia di palestinesi sfollati, ha detto venerdì il portavoce del Ministero della Sanità Ashraf al-Qudra.

Israele sta ora muovendo questi pericolosi attacchi contro gli ospedali per metterli completamente fuori servizio e di conseguenza sfollare le persone che vi si rifugiano, così come i pazienti e i medici”, ha detto al-Qudra ad Al Jazeera.

L’esercito israeliano ha affermato che Hamas gestisce un centro di comando nel sito dell’ospedale, compresi gli ingressi alla sua vasta rete di tunnel, cosa che Hamas e i funzionari dell’ospedale hanno sempre negato.

I funzionari israeliani non hanno commentato immediatamente le notizie sugli ultimi attacchi.

Mohammad Abu Salmiya, direttore generale dell’ospedale al-Shifa, ha detto che l’attacco ha colpito i civili che erano nel cortile accanto ad alcuni giornalisti ferendone quattro, di cui due in modo grave.

Ha causato molte vittime, compresi feriti gravi. Avrebbe potuto esserci un massacro per via del numero di persone presenti in questo complesso”, ha detto Abu Salmiya ad Al Jazeera.

“Prima avevano bombardato un edificio molto vicino all’ospedale. E ora ci sono pesanti scontri e bombardamenti vicino all’ospedale”.

Abu Salmiya ha detto che medici e pazienti erano terrorizzati a causa delle esplosioni quasi continue vicino alla struttura.

Non passa un secondo senza che cadano bombe vicino all’ospedale. Molte finestre dell’ospedale si sono rotte e c’è paura e ansia tra i medici, i pazienti e gli sfollati”, ha detto.

Questa è una guerra contro gli ospedali e una guerra contro tutti i cittadini [palestinesi]”.

Il video delle evidenti conseguenze dell’attacco mostra diverse persone che urlano e cercano riparo, e un uomo ferito che giace sul marciapiede in una pozza di sangue.

Al-Qudra ha affermato che venerdì anche due ospedali pediatrici, al-Rantisi e al-Nasser, sono stati colpiti da “attacchi e bombardamenti diretti”.

Anche il Ministero degli Esteri indonesiano ha riferito che durante la notte delle esplosioni hanno danneggiato l’ospedale indonesiano che si trova all’estremità settentrionale dell’enclave, vicino a cui migliaia di palestinesi feriti e sfollati si erano rifugiati.

“L’Indonesia condanna ancora una volta i selvaggi attacchi contro civili e obiettivi civili, in particolare le strutture umanitarie a Gaza”, ha affermato il Ministero in una nota.

Tenendo in mano le schegge missilistiche, Atef al-Kahlout, direttore dell’ospedale, ha dichiarato: “Questo è ciò che l’occupazione sta lanciando contro gli ospedali: proiettili a frammentazione!”.

Che il mondo sia testimone di quali sono gli obiettivi dell’occupazione. Tra 24 ore l’ospedale sarà fuori servizio. Sembra che le forze di occupazione israeliane non siano contente dell’esistenza dell’ospedale indonesiano né della determinazione della popolazione del nord di Gaza”.

Omar Shakir, direttore di Human Rights Watch per Israele e Palestina, ha affermato sui social media che le strutture mediche devono essere protette e che “Nessuna area è zona di fuoco libero”.

L’attacco ad al-Shifa è l’ultimo di una serie di attacchi segnalati nei giorni scorsi contro o nelle vicinanze dell’ospedale di Gaza City.

La settimana scorsa, secondo i funzionari palestinesi, l’esercito israeliano ha bombardato un’ambulanza fuori dall’ospedale, uccidendo 15 persone. Lunedì Al Jazeera e i media palestinesi hanno riferito che le forze israeliane avevano colpito i pannelli solari che fornivano elettricità al complesso medico, subito smentiti dai funzionari israeliani.

Funzionari militari israeliani hanno rilasciato immagini, mappe illustrate e registrazioni audio che, secondo loro, dimostrano che Hamas sta utilizzando la struttura per pianificare operazioni e nascondere i suoi combattenti.

I terroristi di Hamas operano all’interno e sotto l’ospedale [al-Shifa] e in altri ospedali di Gaza”, ha detto il mese scorso il portavoce dell’esercito israeliano contrammiraglio Daniel Hagari.

Hamas, le autorità sanitarie e i funzionari dell’ospedale al-Shifa hanno negato che il gruppo armato si nasconda all’interno o sotto il complesso.

L’esercito israeliano ha ripetutamente ordinato l’evacuazione dell’ospedale nelle ultime settimane, suscitando la condanna di gruppi umanitari che affermano che le strutture mediche devono essere risparmiate dai combattimenti.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Guerra Israele-Palestina: gli israeliani negano e sono impauriti mentre la loro società scivola verso il fascismo

Meron Rapoport da Tel Aviv, Israele

10 novembre 2023 – Middle East Eye

Studenti, accademici e medici palestinesi e dissidenti ebrei israeliani sono fra coloro che sono stati invischiati in una crescente ondata di repressione

Ci sono momenti in cui mi chiedo seriamente in che paese vivo. Ma soprattutto mi chiedo che tipo di Paese potrebbe diventare il giorno dopo la fine di questa guerra tremenda.

Lunedì mi sono collegato con un incontro su Zoom con l’Alto Comitato di Controllo per i Cittadini Arabi di Israele, un’organizzazione che rappresenta i cittadini palestinesi e che include fra i suoi membri politici, accademici e attivisti.

È stato un atto di tradimento? Potrebbe esserlo stato.

Giovedì è stato arrestato Mohammed Baraka, capo del comitato ed ex leader del partito di sinistra Hadash, deputato della Knesset per 16 anni.

Sono stati arrestati anche altri due alti esponenti politici, Sami Abu Shehadeh, leader ed ex parlamentare del partito Balad, e Haneen Zoabi, un altro ex deputato.

Il loro crimine: indire una piccola dimostrazione a Nazareth contro la guerra a Gaza.

Adesso guardare il canale di Hamas su Telegram è certamente un reato per il quale puoi passare un anno in prigione.

Si sta verificando un’epurazione di studenti e insegnanti palestinesi nelle università e nei college israeliani.

Adalah, il centro legale ed ente per i diritti umani guidato da palestinesi, segue già più di 100 casi di studenti e insegnanti sbrigativamente espulsi per ciò che avevano scritto a proposito di Gaza sui social media o persino in gruppi privati su WhatsApp.

Secondo Adalah alcuni di questi post citavano semplicemente dei versetti del Corano o pubblicavano liste di giornalisti presenti a Gaza.

Hasan Jabarin, il direttore generale di Adalah, ha raccontato al comitato di un‘insegnante convocata per aver postato che “non esiste altro dio all’infuori di Allah”, una frase pronunciata in occasione di un lutto.

Ha spiegato che la zia era morta e la scuola ha richiesto di vederne il certificato di morte e solo allora l’hanno “perdonata”.

La caccia alle streghe è cominciata all’Università di Haifa.

Lo stesso giorno dell’attacco di Hamas una studentessa ha ricevuto una lettera dal rettore che le comunicava che era stata sospesa dal corso e che il giorno dopo doveva liberare la sua stanza nella casa dello studente.

Era stata accusata di aver “sostenuto l’attacco terroristico contro gli insediamenti vicino a Gaza e l’uccisione di innocenti”, un’accusa che lei ha categoricamente negato.

C’è stata una protesta e una petizione firmata da 24 docenti che chiedevano un procedimento regolare e che il caso venisse esaminato da una commissione disciplinare.

Adalah si sta occupando del caso. L’espulsione della studentessa, ha affermato in una lettera all’università, è stata “arbitraria e irragionevole” e costituisce una “seria violazione dei diritti della studentessa a un procedimento equo, all’alloggio e alla libertà di espressione”.

Il caso è tuttora pendente.

E non sta succedendo solo ad Haifa. Una mia amica, Warda Saadeh, docente al Kaye College, un centro di formazione per insegnanti a Beersheba, ha postato che Gaza è stata sotto assedio per 16 anni, senza in alcun modo giustificare o lodare l’attacco di Hamas. Ha condannato chiaramente l’uccisione di civili. È stata licenziata dopo 30 anni di lavoro presso il college.

La stessa cosa sta avvenendo nel servizio sanitario israeliano dove i palestinesi costituiscono il 40% del personale in ospedali, centri medici e farmacie.

Nihaya Daoud, una studiosa di salute pubblica presso l’università Ben Gurion del Negev e direttrice della sotto-commissione per la salute del comitato di follow-up, ha raccontato di una campagna per espellere medici e operatori sanitari, talvolta anche per ciò che avevano scritto prima che iniziasse la guerra.

Abed Samarah, un cardiologo dell’ospedale Hasharon, è stato licenziato senza possibilità di difendersi perché aveva postato, un anno prima dell’attacco, la bandiera dell’Islam con una colomba che porta un ramo d’ulivo.

Daoud ha affermato che i palestinesi nel servizio sanitario sono vittime di molestie da parte di colleghi ebrei e che nessuna azione viene intrapresa dai sindacati o dalle associazioni mediche.

Gode di impunità anche la petizione firmata da centinaia di medici ebrei israeliani che hanno invocato il bombardamento dell’ospedale Shifa a Gaza City, una richiesta che, secondo Daoud, è senza precedenti sia in Israele che nel resto del mondo, sostenendo che è in diretta violazione sia delle Convenzioni di Ginevra che del giuramento di Ippocrate.

Psicopolizia’

Ancora più preoccupante è il fatto che molto di ciò non viene dall’alto, da un governo pieno di elementi di estrema destra.

Queste epurazioni da ‘psicopolizia’ sono fatte dall’università o dalle stesse autorità dell’ospedale.

Sono i colleghi ebrei di docenti e dottori palestinesi che sono in azione.

Cosa sta succedendo?

Primo, penso che sia una decisione consapevole e collettiva a livello ufficiale e non, per fuggire dalla realtà.

Lo scorso venerdì nessun canale televisivo israeliano ha trasmesso il discorso di Hasan Nasrallah, il leader di Hezbollah, con la motivazione che avrebbe aiutato il nemico.

Al Jazeera, al contrario, ha trasmesso dal vivo le quotidiane conferenze stampa dell’esercito israeliano.

Troppi ebrei israeliani vogliono estraniarsi dalla realtà, cioè che i due milioni di palestinesi che vivono in Israele sono solidali con la gente di Gaza. Ovviamente lo sono. Molti di loro, specialmente a Giaffa o Ramle, hanno famigliari a Gaza, rifugiati fuggiti da queste città nel 1948.

Ma Israele agisce come se il forte legame fra queste parti diverse del popolo palestinese scomparisse se nessuno ne parla.

Lo stesso mondo immaginario circonda il problema degli ostaggi. Due settimane fa, prima che cominciasse l’offensiva di terra, entrambe le parti erano vicine a un accordo per il rilascio di donne, minori e stranieri in cambio di donne e minori palestinesi in carceri israeliane.

Come riferito da Middle East Eye, c’erano dei problemi irrisolti sulla lunghezza del cessate il fuoco e su quali dei prigionieri israeliani dovessero essere rilasciati, ma le due parti erano state descritte dai negoziatori in Qatar come a “un centimetro” dall’accordo.

Accordo che è saltato quando è cominciata l’invasione di terra: allora la storia è cambiata.

Il portavoce dell’esercito israeliano e poi tutti i commentatori militari e corrispondenti hanno assunto la posizione secondo cui l’invasione di terra stava sottoponendo Hamas a una maggiore pressione per il rilascio degli ostaggi.

Alcune delle famiglie degli ostaggi sono chiaramente in disaccordo, ma non possono dirlo per timore di sembrare poco patriottici.

Nessuno pone mai la domanda: “Perché mai un’invasione di terra metterebbe una pressione maggiore su Hamas a favore del rilascio degli ostaggi? Come? Perché?”

Visione distorta

È solo un’altra domanda sepolta sotto le macerie di questa guerra. La stessa cosa vale per ciò che gli ebrei israeliani vedono e sentono di ciò che sta accadendo a Gaza. Non ci sono praticamente immagini delle atrocità.

Le imponenti dimostrazioni settimanali a Londra, Washington e altrove sono rappresentate come gente di sinistra in tutto il mondo che sostiene i massacri dei civili israeliani.

Il disgusto crescente in tutto il mondo per quello che Israele sta facendo a Gaza non viene riportato, e quando lo si fa è in un modo completamente distorto, come un enorme complotto antisemita contro gli ebrei e Israele.

L’epurazione non si limita ai palestinesi. Dissidenti ebrei stanno vivendo il controllo di massa.

Eran Rolnik, uno psichiatra che per anni ha scritto su Haaretz, è stato convocato mercoledì dalla Commissione dei dipendenti pubblici per gli articoli che aveva scritto contro Netanyahu.

Meir Baruchin, un insegnante di educazione civica che posta nomi e foto di civili palestinesi uccisi dall’esercito israeliano a Gaza o in Cisgiordania, è stato arrestato giovedì per “istigazione al tradimento”.

Israel Frey, un giornalista ultra-ortodosso di sinistra, che ha scritto che prega per i bambini vittime sia nei kibbutz che a Gaza, se ne sta ancora nascosto, dopo essere fuggito da casa quando una folla si è radunata lì davanti.

La domanda principale, e la mia maggiore paura, è: cosa succederà dopo?

Si può collocare questo attuale regno del terrore in un contesto di paura e vendetta, sentimento comprensibile anche se molto esagerato in seguito agli atroci attacchi di Hamas in conseguenza dei quali nessun ebreo israeliano si sente al sicuro a casa propria.

Ma questo regime viscerale di zittire e intimidire svanirà a guerra finita? O siamo sulla soglia di una vera e propria repressione contro i dissidenti palestinesi e israeliani?

Israele sta precipitando verso l’abisso del fascismo? Sfortunatamente non posso dare una risposta rassicurante.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Le azioni efferate di Israele in nome degli ebrei li rendono insicuri

A lungo intellettuali ebrei hanno messo in guardia che la dipendenza di Israele dall’appoggio politico degli ebrei dell’Occidente per garantirsi l’impunità per le violazioni dei diritti umani potrebbero contribuire all’antisemitismo negli Stati Uniti.

Philip Weiss 

10 novembre 2023 – Mondoweiss

La scorsa settimana il direttore dell’FBI ha affermato che le ostilità in Medio Oriente potrebbero estendersi agli Stati Uniti con attacchi contro musulmani ed ebrei, e la senatrice del Nevada Jacky Rosen, che ha subito minacce di morte di natura antisemita, ha detto: “Sto provando quello che provano gli ebrei in ogni parte del mondo, sotto attacco e minacciati.”

Anche se dovremmo essere scettici riguardo alle organizzazioni e agli individui filoisraeliani che confondono manifestazioni di antisemitismo con l’antisionismo, riconosco che il direttore dell’FBI ha ragione e che alcuni di questi episodi sono effettivamente antisemiti.

Il professore della Columbia [University] Rashid Khalidi [di origine palestinese, ndt.] “ha prontamente riconosciuto l’esistenza di un’ondata di recenti episodi di antisemitismo nei campus universitari,” ha scritto Michelle Goldberg sul Times. In un caso uno studente della Cornell [importante università statunitense, ndt.] è stato accusato di aver minacciato di attaccare una mensa kosher [cioè che offre cibi che rispettano le norme alimentari ebraiche, ndt.]. E vedo in rete e altrove molti ebrei che manifestano timore e vulnerabilità, e non metterei mai in dubbio tali affermazioni.

È tuttavia necessario affermare una questione, come ho già fatto molte volte in precedenza: a lungo intellettuali ebrei hanno avvertito che la dipendenza di Israele dall’appoggio politico degli ebrei statunitensi per garantirsi l’impunità per le violazioni dei diritti umani che molti nel mondo condannano – pulizia etnica, massacri e ora azioni genocide a Gaza – rappresentano un pericolo per quelle comunità. Quando le organizzazioni ebraiche statunitensi esibiscono un sostegno incondizionato a tali azioni e inoltre insistono sul fatto che essere ebrei significa appoggiare Israele in quanto “Stato ebraico” mentre uccide civili, questa dichiarazione di unanimità è di fatto pericolosa per gli ebrei.

E quindi rischia di fomentare l’antisemitismo, quando i leader ebraici come Ted Deutch, dell’American Jewish Committee [Commissione Ebraica Americana, storica organizzazione ebraica, ndt.] pubblica una lunga difesa delle azioni di Israele a Gaza in cui cita ripetutamente l’attacco di Hamas del 7 ottobre e non fa alcun cenno ai morti palestinesi. È così, non menziona neppure quelli che allora erano 9.000 morti, più di 3.000 dei quali minorenni. Tale indifferenza da parte di un leader ebraico ufficiale di fronte ai massacri da parte dello “Stato ebraico” provocherà risentimento verso gli ebrei.

“L’uccisione di migliaia di palestinesi a Gaza mette in pericolo gli ebrei sia in Israele che altrove,” ha scritto questa settimana lo studioso antisionista Yakov Rabkin. “Quando Israele afferma di essere lo Stato di tutti gli ebrei li trasforma in ostaggi delle sue azioni e politiche. Quando le organizzazioni della comunità ebraica dichiarano ‘Stiamo dalla parte di Israele!’ agiscono come rappresentanti di Israele invece che degli ebrei.”

All’inizio dell’anno ho citato vari intellettuali ebrei che hanno sostenuto posizioni simili. Ecco alcuni estratti di quelle affermazioni.

  • Ken Roth, ex-direttore di Human Right Watch, nel luglio 2021, dopo un massacro israeliano a Gaza:

“L’antisemitismo è sempre sbagliato e precede di molto la creazione di Israele, ma l’ondata di episodi antisemiti nel Regno Unito durante il recente conflitto a Gaza smentisce quanti sostengono che la condotta del governo israeliano non incide sull’antisemitismo.”

Roth ha spiegato che è vietato sostenere questo discorso perché suggerisce che il governo israeliano, che afferma di proteggere il popolo ebraico, stia in realtà danneggiando la sicurezza degli ebrei.

  • Nel 1944 Hannah Arendt, anticipando la creazione di Israele con l’appoggio degli ebrei americani, avvertì dei rischi di tale appoggio:

“Se nel prossimo futuro verrà costituita una Nazione ebraica, con o senza partizione [della Palestina], ciò sarà grazie all’influenza politica degli ebrei americani … Se la Nazione ebraica verrà proclamata contro la volontà degli arabi e senza l’appoggio dei popoli del Mediterraneo, per molto tempo saranno necessari non solo un aiuto finanziario, ma anche un sostegno politico. E ciò potrebbe rivelarsi veramente molto problematico per gli ebrei di questo Paese.”

  • Il sociologo di Harvard Nathan Glazer nel 1976 mise in guardia che gli americani sarebberopotuti diventare “ostili” agli ebrei americani per le loro pressioni a favore di Israele.

“Gli ebrei americani hanno potere solo perché i loro concittadini sono disponibili nei confronti del fatto che esercitano questo potere. Potrebbero diventarlo meno. Potrebbero anzi diventare ostili ad esso… Gli ebrei americani fanno spudoratamente pressione sul Congresso per misure a favore di Israele, e rendono politicamente scomodo essere contro Israele e persino prendere una posizione ‘imparziale’. Il personaggio politico che lo fa viene sottoposto a maggiori pressioni ed epiteti, alcuni dei quali decisamente ingiustificati. Ma, come ho detto, il potere deve essere visto nel contesto. Il contesto è che è stato consentito agli ebrei americani di fare quello che fanno.”

Il consiglio di Glazer era che la comunità ebraica statunitense dovesse fare pressione per la creazione di uno Stato palestinese, un consiglio che la comunità rifiutò.

  • Lo scrittore Eric Alterman ha avvertito ripetutamente che l’appoggio a Israele ha “svuotato” la vita ebraica negli USA. E ha affermato che ciò ha contribuito all’antisemitismo. Nel novembre 2022 ha detto ad Americans for Peace Now [organizzazione statunitense impegnata a favorire la soluzione del conflitto israelo-palestinese, ndt.]:

“Ad essere onesti, mentre è in corso un’impennata di antisemitismo negli Stati Uniti, di cui per inciso sono in gran parte responsabili persone adirate con Israele, non c’è davvero nessun problema ad essere ebreo in America come era una volta.”

  • Nel 2015, in un discorso a J Street [organizzazione statunitense moderatamente contraria all’occupazione della Cisgiordania, ndt.], l’ebreo britannico esperto di Medio Oriente Tony Klug affermò che la dipendenza di Israele dagli ebrei statunitensi per difendere l’indifendibile avrebbe contribuito a esiti “sinistri”, e a un’”ondata di antisemitismo”, rendendo forse “precaria” la vita degli ebrei.

“Se Israele non pone drasticamente fine all’occupazione e se la posizione delle organizzazioni ebraiche in altri Paesi sembra appoggiarla apertamente, ci sarà sicuramente  un’ondata di sentimenti antiebraici, scatenando potenzialmente impulsi più sinistri… Ovviamente non lo dico per giustificare tali tetri sviluppi futuri… Temo… che l’occupazione israeliana senza fine della terra e delle vite di un altro popolo non sia solo seriamente dannosa per Israele, per non parlare dell’aggravamento della disperazione dei palestinesi, ma che stia rendendo sempre più precaria anche la situazione degli ebrei in tutto il mondo.”

Questo problema è intrinseco nel sionismo. I suoi coloni ebrei erano dipendenti dal sostegno occidentale, soprattutto delle principali potenze (prima la Gran Bretagna e poi gli USA), e così le comunità ebraiche di quei Paesi vennero chiamate ad esercitare la loro influenza sui governi occidentali in appoggio a Israele. Di fatto nel 1900 molti ebrei inglesi si allontanarono da Herzl [il fondatore del sionismo politico, ndt.] perché si resero conto che l’appoggio a uno Stato ebraico stava minacciando la loro posizione in Gran Bretagna.

Una delle sorgenti storiche di antisionismo ebraico era la scelta di vivere in società diversificate, in cui i diritti di tutti venivano rispettati. Il sionismo ha corrotto questi principi. Ha fondato un’etnocrazia dipendente dall’influenza politica degli ebrei in Occidente.

Oggi ci sono molte buone ragioni per essere antisionisti. Ti preoccupi della vita dei palestinesi tanto quanto di quella degli altri. Ti opponi all’apartheid, alla pulizia etnica e al bombardamento di ospedali e campi di rifugiati. Ma un’altra ragione è che, quando la brutalità di Israele viene esibita al mondo come lo è oggi, il sionismo è un pericolo per gli ebrei in Occidente.

Sono preoccupato del futuro della vita degli ebrei. Non vedo come l’ebraismo che appoggia il genocidio possa sopravvivere spiritualmente. C’è bisogno di una crisi all’interno di quella comunità riguardo a quell’atteggiamento.

Oggi la “presa emotiva” del sionismo sulla comunità ebraica si sta spezzando, afferma Rabkin, in quanto in tutto il mondo giovani ebrei condannano il sionismo.

Oggi è più che mai importante che fiorisca l’antisionismo ebraico. Cosa ancor più importante, per il bene del popolo che viene massacrato da Israele una notte dopo l’altra, e anche per il bene della sicurezza degli ebrei qui.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Cosa vuol dire impadronirsi della Statua della Libertà

Centinaia di membri di Jewish Voice for Peace che chiedono un cessate il fuoco a Gaza hanno occupato il piedistallo della statua. Ecco come è successo.

Sophie Hurwitz

7 novembre 2023 – The Nation

Un traghetto pieno di turisti diretto alla Statua della Libertà si è fermato completamente alle 13:15 di lunedì. Le file di visitatori che speravano di entrare nella base della statua si sono bloccate. E’ stato detto loro che a Liberty Island si stava verificando un problema e che non avrebbero visitato la statua finché il problema non fosse stato risolto.

Sull’isola, a poche centinaia di metri di distanza, circa 400 manifestanti di Jewish Voice for Peace occupavano la base della statua. Hanno tenuto quello spazio per poco meno di un’ora e poi sono tornati indietro catturando l’attenzione di tutti sull’isola.

Jane Hirschmann, settantasette anni, era una delle manifestanti più anziane. Ha portato le sue due figlie adulte con lei ad appendere gli striscioni su Lady Liberty. La disobbedienza civile è diventata una sorta di nuova tradizione familiare, ha detto.

“Siamo stati arrestati nella rotonda [dell’edificio del Congresso] a Washington e nella Grand Central”, ha detto, riferendosi alle due azioni di disobbedienza civile di massa nelle ultime due settimane di ebrei che chiedevano la liberazione della Palestina. “A Grand Central avevo con me tutti i miei figli e tutti i miei nipoti. Eravamo un gruppo di 13. I nipoti se ne sono andati, non sono stati arrestati”. I suoi nipoti, alcuni di appena 1 anno, sono un po’ troppo piccoli.

La famiglia di Hirschmann non era certo l’unico gruppo intergenerazionale sull’isola. Intere famiglie si sono unite alla protesta perché, per molti, la loro storia familiare li obbligava a farlo. Hirschmann ha parlato di suo nonno, morto di infarto sulla barca diretta a Ellis Island mentre fuggiva dall’Olocausto. Ha visto la sua famiglia sparpagliata in giro per il mondo, costretta a lasciare le proprie case e, ha detto Hirschmann, “è morto di crepacuore”.

“Non ho mai avuto modo di incontrare quel nonno. Ma il suo ricordo è impresso nel mio cuore”, ha detto. Nello sfollamento di massa e nell’uccisione dei palestinesi, vede gli echi della storia di suo nonno. “Ha capito quando ha visto il fascismo che doveva proteggere la famiglia e fuggire. Ora stiamo andando verso il fascismo, in questo paese, e certamente in Israele. Questo genocidio deve finire”.

Portare centinaia di manifestanti in un pezzo di territorio federale fortemente sorvegliato non è un’impresa da poco. Le persone sono entrate in piccoli gruppi scaglionati in un periodo di diverse ore, giurando di mantenere il segreto assoluto su dove stavano andando. Alle 13:00 tutti e 400 erano riuniti sulla base di Lady Liberty e si sono tolte le giacche per mostrare le loro T-shirt con le scritte.

Alcuni manifestanti indossavano fasce con corona di Lady Liberty in schiuma verde, mentre altri interpretavano il ruolo di turisti in modo meno convincente. (Molti degli ebrei newyorkesi che partecipavano alla protesta hanno sottolineato di non essere stati alla Statua della Libertà da quando erano bambini in gita.)

Ogni giorno circa 10.000 persone attraversano il complesso della Statua della Libertà, rendendolo uno dei monumenti nazionali più frequentati del Paese, quindi ai manifestanti è stata garantita una grande folla di spettatori. Alcuni hanno manifestato la loro opposizione gridando contro il gruppo o mostrando il dito medio. Ma altri, come i visitatori scozzesi David e Sheila Miller, erano entusiasti.

La coppia ha deciso che scattare foto con i manifestanti sullo sfondo era più importante che cercare di inclinare la fotocamera per farsi un selfie con la parte superiore della torcia della statua.

“Penso che sia un ottimo messaggio che stanno inviando”, ha detto Miller. “È fantastico! Penso solo che sia bello essere qui a testimoniarlo. Quando siamo saliti sulla corona, pensavo che sarebbe stato il momento clou della giornata, ma invece è stato questo. Essere testimoni di questo evento in prima linea”.

Joe Biden ha appoggiato l’idea di una “pausa umanitaria” in cui le bombe israeliane smettono di cadere per un breve periodo non specificato per consentire agli aiuti umanitari di entrare a Gaza. Parlando con il primo ministro israeliano Netanyahu, le definisce “pause tattiche”. Biden, tuttavia, non ha sostenuto un cessate il fuoco totale. In caso di pausa umanitaria alla fine le bombe cadranno di nuovo.

Le proteste in tutto il mondo sono continuate quotidianamente dall’inizio dell’incursione israeliana a Gaza. Mentre gli attivisti di tutto il mondo sono stati accusati di antisemitismo per aver definito genocidio le azioni del governo israeliano, funzionari delle Nazioni Unite e studiosi dell’Olocausto hanno usato lo stesso termine per descrivere l’uccisione di massa e lo sfollamento di una popolazione civile imprigionata.

Le Nazioni Unite affermano che non è stato consentito l’ingresso di carburante a Gaza nel mese successivo agli attacchi di Hamas del 7 ottobre, il che significa che gli ospedali e altri servizi essenziali stanno lentamente chiudendo del tutto. In quel periodo sono stati uccisi oltre 10.000 palestinesi, tra cui più di 4.000 bambini.

La scrittrice Molly Crabapple faceva parte di un gruppo di artisti che hanno partecipato alla protesta vestiti in modo appariscente. Come molti operatori culturali ebrei di New York, è una firmataria della lettera aperta di Writers Against the War on Gaza. E per Crabapple, che ha lavorato a Gaza, questa guerra è anche un fatto personale.

“Ci sono persone a cui tengo che vivono a Gaza”, ha detto Crabapple. “Diecimila persone sono morte. Quattromila di loro sono bambini. Ogni giorno questo genocidio continua, altri bambini e altre brave persone stanno morendo. Questo genocidio deve finire adesso”.

Crabapple, la fotografa Nan Goldin e gli scrittori Raquel Willis e Tavi Gevinson erano tra gli artisti presenti. Si sono uniti alla protesta anche dei politici. Dopotutto la Statua della Libertà è stata teatro di clamorose azioni di disobbedienza civile sin dalla sua inaugurazione nel 1886. Zohran Mamdani membro del consiglio di quartiere dei Queens ha partecipato spesso alle manifestazioni pro-Palestina che si sono tenute in città dall’attacco di Hamas il 7 ottobre e si è unita al gruppo sul basamento della statua.

“Non posso votare sulla questione se debbano o meno essere stanziati altri 14 miliardi di dollari in finanziamenti militari. Ma io, come ogni altro politico locale, ho una piattaforma”, ha detto. “È con quella piattaforma che… ognuno di noi dovrebbe chiarire che non esiste un consenso di massa per l’uccisione di un bambino palestinese ogni 10 minuti. Gran parte della politica federale e della Casa Bianca in questo momento si basa sull’idea che gli americani, in massa, sostengano questo. Sappiamo che il 66% degli americani vuole un cessate il fuoco, la maggioranza di loro si oppone all’invio di ulteriori finanziamenti a Israele”. Ora, ha detto Mamdani, è tempo di fare in modo che la politica statunitense rifletta quella maggioranza.

L’occupazione della Statua della Libertà da parte della JVP è stata solo una delle numerose azioni contro la guerra nella giornata di lunedì. A St. Louis, 75 manifestanti contro la guerra del gruppo Dissenters hanno formato un cordone e bloccato gli ingressi ad uno stabilimento Boeing dove vengono costruite le bombe sganciate su Gaza. E a Tacoma, nello stato di Washington, i manifestanti hanno bloccato l’accesso al porto dove stava attraccando una nave da carico militare che si pensava fosse diretta in Israele. Alcuni attivisti sono addirittura saliti su canoe per fermare il movimento della nave.

Di ritorno a New York, le proteste si sono svolte su un diverso tipo di imbarcazione: un traghetto turistico.

Molti di quelli in fila hanno battuto le mani e scandito: “Cessate il fuoco adesso!” e “Non in nostro nome!”

Il gruppo è uscito lentamente dal complesso della Statua della Libertà verso le 14:30, una grande nuvola di persone in maglietta nera che scandivano: “Fine all’assedio di Gaza adesso!” lungo la via del ritorno su un traghetto. Una volta sulla barca, hanno riappeso i loro striscioni, salutando le persone che guardavano dalla riva. Hanno urlato e pestato i piedi così forte che la barca ha tremato per tutto il tragitto verso Manhattan.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Guerra Israele-Palestina: agenti israeliani torturano e umiliano i lavoratori palestinesi

Maha Hussaini – Gaza, Palestina occupata

6 novembre 2023 – Middle East Eye

Un lavoratore palestinese racconta a Middle East Eye la sua testimonianza diretta delle torture che avrebbe subito da parte dei soldati israeliani durante gli interrogatori e la detenzione prima del ritorno a Gaza

Dopo il suo rilascio dalla prigione di Ofer, in Israele, Khaled Ahmed è entrato nel rifugio della sua famiglia nel centro della Striscia di Gaza sorreggendosi sulla spalla del figlio e con una fascetta di plastica ancora avvolta attorno alla caviglia sinistra.

Il 7 ottobre, quando Israele ha dichiarato la guerra contro Gaza, Ahmed stava lavorando a Giaffa, prima di essere arrestato pochi giorni dopo insieme ad oltre 7.000 lavoratori palestinesi.

Venerdì è stato rilasciato insieme a circa 4.000 lavoratori e ha raggiunto la moglie e i quattro figli in una piccola casa dove hanno trovato rifugio in seguito al bombardamento israeliano del loro quartiere.

Ahmed ha riferito a Middle East Eye che durante il periodo di detenzione gli agenti israeliani “si vendicavano contro Gaza” torturando i suoi lavoratori in Israele.

“Lavoro in Israele da anni. Quando è successo tutto questo ero in possesso un permesso di lavoro valido,” riferisce a MEE Ahmed, 63 anni.

Quando Hamas e altri gruppi armati palestinesi hanno scatenato lattacco contro Israele molti lavoratori hanno lasciato Israele per recarsi in Cisgiordania, ma Ahmed non riteneva che ci fossero ragioni per andare via.

Spiega di aver deciso di restare in Israele dopo l’attacco del 7 ottobre perché, a differenza di questa volta, in occasione dei precedenti attacchi israeliani a Gaza vi si era trovato relativamente al sicuro.

“Nel periodo tra il 7 e il 10 ottobre i lavoratori potevano ancora spostarsi tra Israele e la Cisgiordania. Il 10 siamo rimasti intrappolati, senza possibilità di tornare a Gaza o andare in Cisgiordania”.

Per verificare lo stato di validità del loro permesso di lavoro i lavoratori palestinesi in Israele sono iscritti a unapplicazione israeliana per smartphone chiamata al-Monasseq (coordinatore in lingua araba).

Se il permesso di lavoro viene revocato vengono avvisati con un sms.

Ma pochi giorni dopo il lancio dell’attacco di Israele contro Gaza le autorità israeliane hanno revocato tutti i permessi di lavoro senza informare i lavoratori, per poi condurre contro di loro una campagna di detenzione su larga scala.

“Hanno fatto irruzione nei nostri dormitori, ci hanno ammanettati e bendati, poi ci hanno arrestati senza permettere a nessuno di noi di prendere qualcosa“, dice Ahmed. “Era circa mezzanotte quando siamo arrivati nel luogo dove siamo stati interrogati. Sono stato lasciato solo in una cella per otto ore prima di essere portato in una stanza dove un ufficiale israeliano mi ha interrogato per ore.”

“Mi ha chiesto dove abitassi a Gaza, gli ho risposto, poi mi ha mostrato la mia casa su un grande schermo per farmi vedere che sapeva già con precisione dove abitavo. Poi mi ha chiesto di Hamas e di altre fazioni palestinesi, gli ho risposto che non sapevo nulla.

“Ha provato a farmi pressione ma sinceramente non ho niente a che fare con loro quindi non ho potuto rispondere.”

Ahmed riferisce che durante le due ore di interrogatorio ha visto picchiare, torturare e umiliare molti colleghi di lavoro.

“Un ufficiale ha detto ad un mio collega: ‘Sembri un brav’uomo, vorrei offrirti qualcosa da bere. Preferisci tè o caffè?’. Lui ha risposto che voleva del tè. L’ufficiale ha fatto bollire l’acqua nel bollitore elettrico che aveva in ufficio, lo ha versato in un bicchiere di carta, poi glielo ha gettato sul viso,” racconta. “Prima di essere portato fuori aveva il volto ustionato e urlava di dolore.”

“Un altro collega durante l’interrogatorio ha detto all’ufficiale che non eravamo stati informati della revoca dei permessi e gli ha chiesto perché non avevano inoltrato gli SMS come di consueto. Lui ha ascoltato finché [il lavoratore] non ha finito di parlare, poi lo ha colpito duramente in faccia dicendogli: ‘Vuoi insegnarci cosa fare?'”

Ahmed racconta che un altro lavoratore è stato gettato a terra e preso a calci più volte all’addome da molti agenti. Quando è stato riportato in cella ha continuato a urlare di dolore per giorni.

“Ci hanno picchiato e umiliato come se si stessero vendicando per i fatti di Gaza”, dice Ahmed, accusando gli agenti di aver esercitato degli abusi nei loro confronti come rappresaglia per l’incursione del 7 ottobre da parte di gruppi armati palestinesi. Per quanto, afferma, lui e gli altri lavoratori “non avessimo nulla a che fare” con gli attacchi.

“Gli israeliani sanno benissimo che non abbiamo nulla a che fare con quello che sta succedendo. Siamo lavoratori che prima di ottenere il permesso di lavoro sono stati interrogati più volte e abbiamo subito diversi controlli di sicurezza “.

Middle East Eye ha precedentemente contattato l’esercito israeliano per un commento sulle accuse di tortura dei lavoratori palestinesi di Gaza, ma al momento della pubblicazione non ha ricevuto risposta.

Negazione di cure mediche

Ahmed è stato detenuto nella prigione di Ofer per 10 giorni. Durante questo periodo lui e i suoi colleghi sono stati tenuti in tende allestite appositamente per i lavoratori di Gaza.

Ahmed dice che, senza tetto né letti, la notte lui e i suoi colleghi “eravamo congelati”.

“Quando siamo stati condotti nelle celle ci hanno portato via tutto, compresi i nostri telefoni, i soldi e le giacche,” riferisce a MEE.

“Hanno dato a ciascuno di noi un materasso molto sottile insieme ad una piccola coperta e una giacca. Quando dormivo dovevo tenere le braccia sul corpo perché il materasso era molto piccolo e non conteneva tutto il mio corpo, e la cella era sovraffollata”, aggiunge.

“Di notte letteralmente tremavamo. Una notte ha cominciato a piovere e la situazione è peggiorata. Ci hanno portato un’altra coperta a testa perché altrimenti saremmo morti assiderati“.

Ad Ahmed, padre di quattro figli, affetto da diabete e ipertensione, per giorni non è stata permessa l’assunzione di pastiglie o insulina.

“Ho detto loro che dovevo prendere le mie pastiglie soprattutto perché durante tutto il periodo di detenzione non avevo mangiato bene. Mi hanno ammanettato, bendato e portato nella clinica della prigione. Ho dovuto essere perquisito più volte lungo il percorso. Mi hanno dato l’insulina solo una volta e dopo non mi è stato più permesso di assumerla,” continua.

“Quasi tutti avevamo la febbre a causa del freddo intenso, e alcuni dopo essere stati torturati urlavano di dolore. Chiunque chiedesse medicine veniva ignorato o gli venivano dati solo antidolorifici”.

Durante l’intero periodo di detenzione, i lavoratori non sapevano se la guerra contro Gaza fosse ancora in corso o se fosse finita.

“Non sapevamo nemmeno che ora fosse perché ci avevano portato via gli orologi. Ogni volta che chiedevamo a un ufficiale o a un soldato cosa stesse succedendo a Gaza, ci sgridavano o ignoravano la domanda”, dice Ahmed.

La corsa a casa

Venerdì mattina all’alba gli agenti israeliani hanno svegliato i lavoratori e hanno detto loro di togliersi le giacche ricevute. Poi li hanno bendati e ammanettati e gli hanno ordinato di mettersi in fila.

Ahmed ha chiesto in ebraico a una donna ufficiale dove li stessero portando. Lei ha risposto che stavano andando in un “posto molto caldo”, una risposta che Ahmed in seguito ha capito alludesse alla guerra a Gaza.

“Siamo stati portati su degli autobus e gli agenti hanno legato con fascette di plastica la caviglia di ogni lavoratore a quella del suo compagno seduto accanto. Eravamo bendati e le tende coprivano i finestrini dell’autobus, quindi non potevamo vedere nulla”, aggiunge.

“Ma sentivo il sole sul viso provenire da sud, quindi ho immaginato che stessimo andando verso il confine di Kerem Shalom [valico tra la Striscia di Gaza, Israele e Egitto, ndt.].”

Circa 90 minuti dopo lautobus si è fermato e gli agenti hanno tagliato le fascette di plastica alle mani e alle caviglie dei lavoratori, poi hanno ordinato loro di togliersi le bende dagli occhi.

“Siamo scesi dall’autobus e ci siamo messi in fila. I soldati ci hanno detto: ‘Ora vi lasceremo andare. Dovete correre più veloce che potete. Non guardate a destra o a sinistra. Verrà sparato a chiunque cerchi di guardare dietro di sé o si fermi per pochi secondi’”, ricorda Ahmed.

“Abbiamo corso per circa due chilometri senza sosta fino a raggiungere il confine di Kerem Shalom. Abbiamo oltrepassato il cancello e finalmente abbiamo trovato del personale palestinese che ci ha accolti.”

Senza documenti ufficiali, soldi o cellulare, Ahmed è tornato presso la sua famiglia nel rifugio dopo aver appreso che la sua casa era stata gravemente danneggiata dai bombardamenti in corso.

“Hanno preso tutti i nostri soldi. Alcuni agenti li hanno rubati per tenerseli. Avevamo risparmiato i nostri stipendi lavorando per mesi senza far rientro a Gaza.

Un mio collega aveva circa 100.000 shekel (23.600 euro). Aveva lavorato ogni giorno per diversi mesi e aveva messo da parte i soldi per la sua famiglia a Gaza. Volevano comprare una casa. Ora è tornato senza niente. Al contrario: è stato picchiato, è malato e non in grado di camminare”.

*I nomi degli intervistati sono stati modificati

(Traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)