L’operazione Al-Aqsa ha cambiato il rapporto tra Palestina e Israele 

Ramzy Baroud

10 ottobre 2023 Middle East Monitor

A prescindere dalla precisa strategia del Movimento di Resistenza Islamico Palestinese, di Hamas, o di qualsiasi altra fazione palestinese in generale, l’audace campagna militare all’interno di Israele di sabato 7 ottobre è stata possibile solo perché i palestinesi sono semplicemente stufi. Israele, ricordiamolo, ha imposto alla Striscia di Gaza un assedio totale da 17 anni.

La storia dell’assedio è per lo più presentata in due modi nettamente diversi. Per alcuni si tratta di un atto disumano di “punizione collettiva”; per altri è un male necessario affinché Israele possa proteggersi dal cosiddetto terrorismo palestinese. Nel racconto, tuttavia, manca del tutto il fatto che 17 anni sono sufficienti perché un’intera generazione cresca sotto assedio, si arruoli nella Resistenza e combatta per la libertà.

Secondo Save the Children, quasi metà dei 2,3 milioni di palestinesi che vivono oggi a Gaza sono minori. La cosa è spesso citata per definire la sofferenza di una popolazione che non è mai uscita dalla piccola e impoverita Striscia di 365 chilometri quadrati [corrispondente alla provincia di Prato, ndt.]. Di nuovo, anche se i numeri possono sembrare precisi, vengono spesso utilizzati per raccontare una piccola parte di una storia complessa.

Questa generazione di Gaza, cresciuta o nata dopo l’imposizione dell’assedio, ha vissuto almeno cinque importanti e devastanti guerre, in cui bambini come loro, insieme alle loro madri, ai padri e fratelli sono stati il bersaglio principale e quindi le vittime principali.

Nemmeno i tentativi di protestare pacificamente contro l’ingiustizia dell’assedio radunandosi in gran numero presso la recinzione che separa Gaza assediata da Israele sono stati autorizzati dallo Stato occupante. Le proteste di massa, conosciute come la Grande Marcia del Ritorno hanno ricevuto come risposta i proiettili dei cecchini israeliani. Immagini di giovani che trasportavano altri giovani che sanguinavano per ferite da arma da fuoco e gridavano “Dio è grande” erano diventate una scena normale lungo la recinzione. Man mano che le vittime aumentavano, nel tempo l’interesse dei media per la storia semplicemente svaniva.

Le centinaia di combattenti che all’alba di sabato scorso sono entrate in Israele attraverso quattro diversi punti di ingresso erano gli stessi giovani palestinesi che non conoscono altro che la guerra, l’assedio e il bisogno di proteggersi a vicenda. Hanno anche imparato a sopravvivere a tutti i costi, nonostante la scarsità o la totale mancanza di quasi tutto a Gaza, comprese l’acqua pulita e un’adeguata assistenza medica.

È qui che la storia di questa generazione si interseca con quella di Hamas, della Jihad islamica e di altri gruppi palestinesi.

Certo, Hamas ha scelto i tempi e la natura della sua campagna militare inserendola in una strategia molto precisa. Questo, tuttavia, non sarebbe stato possibile se Israele non avesse lasciato a questi giovani palestinesi altra scelta se non quella di contrattaccare.

I video che circolavano sui social media mostravano combattenti palestinesi che urlavano in arabo, con quel caratteristico, spesso aspro accento di Gaza: “Questo è per mio fratello” e “Questo è per mio figlio”. Hanno gridato queste e molte altre affermazioni rabbiose mentre sparavano contro coloni e soldati israeliani in preda al panico. Molti di questi ultimi, a quanto pare, avevano abbandonato le loro postazioni e si erano dati alla fuga.

L’impatto psicologico di questa guerra supererà sicuramente quello dell’ottobre 1973, quando gli eserciti arabi ottennero rapide conquiste contro Israele, anche allora a seguito di un attacco a sorpresa. Questa volta l’impatto devastante sul pensiero collettivo israeliano si rivelerà essere un punto di svolta, dal momento che la “guerra” coinvolge un solo gruppo palestinese, non un intero esercito o tre messi insieme.

L’attacco a sorpresa dell’ottobre 2023, tuttavia, è direttamente collegato alla guerra arabo-israeliana dell’ottobre 1973. Scegliendo il cinquantesimo anniversario di quello che gli arabi considerano un grande trionfo contro Israele, la Resistenza palestinese ha voluto inviare un messaggio chiaro: la causa palestinese è ancora la causa di tutti gli arabi. Tutte le dichiarazioni rilasciate dagli alti comandanti militari e dai leader politici di Hamas erano cariche di questo simbolismo e di altri riferimenti ai paesi e ai popoli arabi.

Il discorso pan-arabo non è casuale ed è comparso nelle dichiarazioni di Mohammed Deif, comandante delle brigate Al-Qassam, di al-Arouri comandante fondatore di Al-Qassam Saleh, del capo dell’Ufficio politico di Hamas Ismail Haniyeh e di Abu Obeida, il portavoce mascherato delle Brigate. Tutti hanno esortato all’unità e hanno insistito sul fatto che la Palestina non è che una componente di una più ampia lotta araba e islamica per la giustizia, la dignità e l’onore collettivo. Hamas ha chiamato la sua campagna “Al-Aqsa Flood” ricentrando l’unità palestinese, araba e musulmana attorno ad Al-Quds [nome arabo di Gerusalemme, ndt.], Gerusalemme e tutti i suoi luoghi santi.

Tutti sembravano scioccati, compreso proprio Israele, non dall’attacco di Hamas in sé ma dal coordinamento e dall’audacia di un’operazione relativamente massiccia e senza precedenti. Invece di attaccare di notte, la Resistenza ha attaccato all’alba. Invece di colpire Israele utilizzando i numerosi tunnel sotto Gaza, hanno semplicemente guidato, fatto parapendio, remato via mare e, in molti casi, attraversato a piedi il preteso confine.

L’elemento sorpresa è diventato ancora più sconcertante quando i combattenti palestinesi hanno messo in discussione i fondamenti stessi della guerriglia: invece di combattere una “guerra di manovra” hanno combattuto, anche se temporaneamente, una “guerra di posizione”, mantenendo per molte ore le aree di cui avevano ottenuto il controllo dell’interno di Israele.

In effetti, per i gruppi di Gaza, l’aspetto psicologico della guerra era essenziale quanto il combattimento fisico. Centinaia di video e immagini sono diventate virali sui social media, come se si sperasse di ridefinire il rapporto tra palestinesi, solitamente le vittime, e Israele, l’occupante militare.

L’insistenza sul non uccidere anziani e bambini è stata sottolineata dai comandanti sul campo. Questo non era destinato solo ai palestinesi. È stato anche un messaggio al pubblico internazionale, che la Resistenza Palestinese si atterrà alle regole universali della guerra.

Il numero di palestinesi che Israele uccide, e ucciderà in futuro, come rappresaglia per l’operazione Al-Aqsa sarà tragico, ma non salverà la reputazione a brandelli di un esercito indisciplinato, una società divisa e una leadership politica concentrata esclusivamente sulla propria sopravvivenza.

È troppo presto per giungere a conclusioni generali sugli esiti di questa guerra senza precedenti. Ciò che è chiarissimo, tuttavia, è che il rapporto di fondo tra l’occupazione israeliana e i palestinesi occupati di qui in poi è cambiato, probabilmente in modo permanente.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Guerra Israele-Palestina: questa umiliazione ha profondamente scosso la psiche degli israeliani

Tariq Dana

10 ottobre 2023 – Middle East Eye

Per gli israeliani l’esercito è un motivo di orgoglio nazionale, una forza inespugnabile che garantisce la sostenibilità del progetto sionista del colonialismo di insediamento. Non più.

La recente operazione militare contro Israele lanciata da Hamas da Gaza rappresenta un potenziale punto di svolta nel conflitto e potrebbe sostanzialmente riconfigurare le annose dinamiche di potere fra la resistenza palestinese e Israele.

Descritta da un funzionario israeliano come una “data che per la sua infamia perdurerà in Israele”, l’operazione, soprannominata in codice Alluvione Al-Aqsa è riverberata profondamente in Israele e ha sollevato timori fra i suoi alleati sia nella regione che a livello internazionale.

Il 7 ottobre i gruppi della resistenza palestinese a Gaza hanno iniziato una complessa operazione militare con lancio di razzi contro Israele, un massiccio attacco via terra che ha sfondato le barriere difensive israeliane intorno a Gaza.

I combattenti palestinesi sono riusciti a impadronirsi di colonie israeliane e siti militari confinanti con Gaza.

Secondo Hamas, l’operazione ha causato centinaia di morti e migliaia di feriti fra gli israeliani e oltre 100 ostaggi portati a Gaza. Il numero finale delle vittime israeliane potrebbe essere più elevato di quello riferito fino ad ora. 

Se non si sono ancora avvertite tutte le implicazioni, le dimensioni e il coordinamento dell’attacco suggeriscono una capacità operativa audace e avanzata della resistenza palestinese.

L’impatto psicologico sullo status quo, e la sua distruzione, è stato profondo. Israele, la sua aura di supremazia militare scossa, sta vivendo la sua peggiore sconfitta strategica di fronte alla resistenza palestinese dalla sua creazione 75 anni fa.

Umiliazione

L’operazione non ha solo ribaltato le norme stabilite che governano il conflitto di carattere coloniale, ma anche evidenziato la futilità dell’approccio che da tempo Israele ha verso i palestinesi nel mutevole contesto regionale.

Il quadro offerto dai media su questo evento, uno “shock per gli israeliani”, è rivelatore per parecchi motivi.

In primis evidenzia le crescenti capacità della resistenza palestinese di umiliare l’esercito israeliano fortemente sostenuto dagli USA. Questo livello di innovazione tattica fra i gruppi della resistenza palestinese suggerisce un cambio di paradigma.

Storicamente gli scontri fra le fazioni palestinesi e le forze israeliane hanno seguito uno schema ciclico: azioni di rappresaglia e il ritorno a uno status quo fragile, ma in qualche modo prevedibile.

Ma questa operazione è sfuggita a queste norme. Ha mostrato un livello senza precedenti di coordinamento e di pianificazione strategica, tecniche avanzate di guerra elettronica, operazioni psicologiche e tattiche di guerriglia che hanno annullato efficacemente la superiorità tecnologica e la sproporzionata potenza di fuoco di Israele.

La causa immediata di questo crollo va oltre i soli fallimenti di intelligence e sicurezza, perché questi fallimenti derivano dalle tattiche innovative impiegate dai gruppi di resistenza palestinesi.

Esse sono riuscite ad attraversare la “recinzione che uccide automaticamente” a più livelli, disattivando il suo sistema “Vedi-Spara”, una complessa rete di mitragliatrici automatiche e cecchini robot progettati per rafforzare l’area vietata.

I combattenti palestinesi hanno rapidamente smontato, eluso e neutralizzato questa costosa infrastruttura di sicurezza israeliana tanto magnificata, rendendola inefficace e permettendo ai combattenti palestinesi un accesso illimitato nei territori palestinesi sotto il controllo israeliano.

Quindi la dottrina della deterrenza israeliana è completamente crollata.

Reazione a catena

In secondo luogo la destabilizzazione psicologica seguita a questa operazione potrebbe, in molti modi, essere impattante quanto il danno fisico.

Per gli israeliani l’esercito è un motivo di orgoglio nazionale, una forza inespugnabile che garantisce la sostenibilità del progetto sionista del colonialismo di insediamento. Questa patina di invincibilità si è seriamente incrinata, sollevando domande che potrebbero avere conseguenze a lungo termine per la psiche nazionale israeliana e persino per il suo senso di identità.

L’impatto psicologico di questo evento sulla fiducia di Israele nella sua superiorità militare potrebbe potenzialmente penetrare attraverso molti aspetti della sua società. In una cultura dove il militarismo e il servizio militare obbligatorio sono profondamente intrecciati con la vita quotidiana, uno scossone di queste proporzioni potrebbe portare a una profonda crisi di fiducia tra gli israeliani.

Potrebbe avere effetti sul livello di arruolamento, sulla fiducia pubblica nella leadership politica e militare e persino sull’economia israeliana, dato che questa si fonda in modo significativo sulle esportazioni delle sue tecnologie militari e di sicurezza.

La reazione a catena di questo colpo al morale degli israeliani potrebbe essere di vasta scala, andando a colpire il tessuto complessivo della società israeliana.

Terzo, e forse il punto più importante, l’operazione serve come potente testimonianza della perdurante rilevanza e resilienza della causa palestinese sia nelle politiche regionali che in quelle internazionali, nonostante i sistematici sforzi di relegarle ai margini. 

Alcune autocrazie arabe che avevano normalizzato le relazioni con Israele si erano schierate strategicamente avevano liquidato la lotta palestinese come una questione datata e non più centrale nella politica regionale. 

Tuttavia questa audace operazione prova che la determinazione della resistenza palestinese resta cruciale, influenzando non solo le politiche regionali ma anche con ripercussioni su scala internazionale.

La lotta palestinese è spesso stata vista come la cartina al tornasole di posizioni politiche e morali nella regione, influenzando collaborazioni, alleanze e persino politiche interne di Paesi ben oltre le sue immediate vicinanze. 

La ricerca palestinese di giustizia e autodeterminazione continuerà ad avere un enorme impatto sugli affari mediorientali. La ricaduta di questa operazione potrebbe costringere attori regionali e globali a riconsiderare le politiche che hanno minimizzato le aspirazioni palestinesi.

Mentre alcuni hanno sottovalutato la centralità della causa palestinese tra le mutevoli questioni geopolitiche, gli eventi in corso hanno dimostrato che la lotta anticolonialista mantiene ancora un peso significativo nella formazione delle realtà regionali.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

Tariq Dana è professore associato per i conflitti e gli studi umanitari dell’Istituto di Studi post-universitari di Doha. È anche consulente politico di Al-Shabaka, la Rete Politica Palestinese.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Guerra Israele-Palestina: come Gaza ha ribaltato la situazione a discapito dei suoi carcerieri

David Hearst

9 ottobre 2023 – Middle East Eye

La responsabilità dell’assalto di questo fine settimana ricade su tutti coloro che da tempo hanno smesso di considerare i palestinesi come persone

Nelle ultime 48 ore uno Stato abituato a esercitare un controllo totale su sette milioni di palestinesi ha subito una drammatica inversione di ruoli.

I combattenti palestinesi hanno preso il posto dei coloni armati che terrorizzano gli abitanti dei villaggi palestinesi riuscendo a prendere il controllo di alcuni insediamenti coloniali adiacenti a Gaza.

Invece degli abitanti di Huwwara o Nablus o Jenin, traumatizzati ogni notte dagli attacchi dei coloni e dalle incursioni dellesercito israeliano, sono stati quelli di Sderot a doversi nascondere rannicchiandosi nei loro scantinati e chiedersi quando il loro esercito sarebbe giunto per proteggerli.

I combattenti palestinesi hanno sequestrato decine di soldati e civili israeliani, che ora si trovano negli scantinati di tutta Gaza.

Nessuno dovrebbe vantarsi di questo. Sono stati uccisi civili innocenti; sono state terrorizzate madri incinte e sono morti bambini. Lattacco ha travolto chiunque si trovasse sul suo cammino, indipendentemente dalle appartenenze politiche, dal sesso o dalletà.

Conosco una donna aspramente contraria al trionfalismo nazionalista religioso di destra e convinta sostenitrice dei diritti umani dei palestinesi che è stata trascinata in uno scantinato a Gaza.

Ma le scene sulle quali il mondo ha perso l’uso della parola non sono queste. Sono quelle di soldati israeliani che portano via palestinesi per farli scomparire in galera per periodi indefiniti di detenzione amministrativa.

Secondo gli ultimi rapporti a Gaza potrebbero esserci quasi 100 prigionieri. Lesercito e le forze di polizia meglio equipaggiati del Medio Oriente hanno subito perdite inaudite (lultimo bilancio, compresi i civili, è di 600 morti e più di 1.500 feriti)[al 12ott i morti israeliani sono 1200 e i feriti oltre 2700, ndt] mentre sono rimasti bloccati in violenti scontri a fuoco strada per strada nei villaggi e nelle città attorno a Gaza.

Colossale fallimento dellintelligence

Questa è la prima volta che si assiste a scene del genere dalla guerra del 1948 che diede origine alla prima Nakba e allo Stato di Israele. Per gli israeliani queste scene sono molto peggiori della guerra arabo-israeliana del 1973, scatenata quasi 50 anni fa.

Nel 1973 abbiamo combattuto con un esercito addestrato, ha detto l’esperto analista israeliano Meron Rapoport a Middle East Eye. E qui parliamo di persone che non hanno altro che un Kalashnikov. È inimmaginabile. È un fallimento militare e di intelligence dal quale Israele impiegherà molto tempo per riprendersi in termini di fiducia in sé stesso”.

Lo sfondamento della recinzione meglio difesa e sorvegliata lungo l’intero confine di Israele e unincursione di queste dimensioni insieme alla cattura del quartier generale militare della divisione dellesercito che controlla Gaza rappresentano il peggior fallimento che i servizi di intelligence israeliani hanno subito nella loro storia.

Hamas ha raggiunto l’obiettivo della totale sorpresa. La famosa unità di intelligence militare israeliana, la 8200, in grado di ascoltare ogni conversazione telefonica a Gaza è stata colta di sorpresa, così come lo Shin Bet, il servizio di sicurezza interna.

Gli israeliani si chiedono come il loro esercito abbia potuto commettere un errore talmente grande da schierare 33 battaglioni nella Cisgiordania occupata per proteggere i coloni lasciando il confine meridionale vulnerabile agli attacchi.

Tutto ciò ha innescato unonda durto delle dimensioni di uno tsunami che ha investito una nazione così abituata a impersonare i Signori della Terra. In realtà sono loro che dovrebbero far scattare le sorprese, non i loro sudditi.

Rinascere più forti

Solo due settimane fa il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha sventolato davanti allAssemblea generale delle Nazioni Unite una mappa in cui tutti i territori palestinesi erano stati cancellati.

Sono convinto che ci troviamo sulla soglia di una svolta ancora più epica: una pace storica tra Israele e Arabia Saudita. Una pace di questo tipo contribuirà notevolmente a porre fine al conflitto arabo-israeliano, ha affermato Netanyahu.

I funzionari statunitensi non la pensavano diversamente, dal momento che una figura di alto livello dellamministrazione ha affermato che da molti anni a questa parte la regione è pressoché stabile”.

Come in un unico coro Washington, Tel Aviv e Riad hanno parlato della prospettiva che lArabia Saudita firmasse un accordo di normalizzazione con Israele, quasi che questo fosse di per sé la via verso la pace.

Erano tutti diventati così convinti di escludere i palestinesi da questa equazione, come se lintera popolazione palestinese un giorno avrebbe potuto cancellare la propria bandiera e identità nazionale e avrebbe accettato il ruolo di Gastarbeiter [lavoratore ospite in tedesco, ndt.] nella terra di qualcun altro.

Ora è stato inviato un messaggio molto chiaro: i palestinesi esistono e non sono affatto in procinto di venire sottomessi.

Ogni volta che sono stati annientati come forza combattente, nel 1948, 1967, 1973 e in ogni operazione successiva, rinasceva più forte una nuova generazione di combattenti. E nessuna versione passata di Hamas o Hezbollah è più forte di quelle che Israele si trova ad affrontare oggi.

Hamas ha definito il suo attacco al sud di Israele il diluvio di Al-Aqsa per unottima ragione. Questo attacco non è venuto dal nulla.

Lo status quo di Al-Aqsa

L’8 ottobre 1990, esattamente 33 anni fa, un gruppo di coloni e i Fedeli del Monte del Tempio, un gruppo di estrema destra che pretendeva di svolgere un sacrificio rituale sul Monte del Tempio, un atto proibito dal rabbino capo di Israele, tentarono di porre una prima pietra per la costruzione del Terzo Tempio presso la Moschea di Al-Aqsa.

La popolazione palestinese della Città Vecchia oppose resistenza, lesercito israeliano aprì il fuoco e in pochi minuti vennero uccisi più di 20 palestinesi, con altre centinaia di feriti e arrestati.

Da allora i leader israeliani sono stati continuamente avvertiti di mantenere lo status quo in un luogo sacro rivendicato da entrambe le religioni, e ogni anno hanno ignorato quegli ammonimenti forzando il divieto.

E così anche oggi, quando Al-Aqsa è stata presa dassalto ripetutamente per consentire ai fedeli ebrei laccesso al sito islamico dove visite, preghiere e rituali non graditi da parte dei non musulmani sono vietati sulla base di accordi internazionali pluridecennali.

Un tempo queste violente incursioni erano opera di quelli che tra gli ebrei erano considerati gruppi marginali di estremisti. Ora non più. Adesso sono guidati da Itamar Ben Gvir, che sfila con il titolo di ministro della sicurezza nazionale israeliana.

Giorno dopo giorno, con il sostegno dei parlamentari del Likud, come Amit Halevi, viene elaborata una politica volta a dividere la moschea di Al-Aqsa tra ebrei e musulmani, proprio come fu divisa la moschea Ibrahimi a Hebron negli anni 90.

Ben Gvir, il ministro con il potere di nominare il capo della polizia israeliana, non ha risparmiato i cristiani dalle sue politiche fasciste. Quando cinque ebrei ortodossi sono stati arrestati dalla polizia con laccusa di aver sputato contro i fedeli cristiani nella Città Vecchia di Gerusalemme, il ministro ha risposto: Continuo a pensare che sputare contro i cristiani non sia un reato penale. Penso che dobbiamo intervenire attraverso listruzione e leducazione. Non tutto giustifica un arresto”.

Silenzio internazionale

La pressione continua ad aumentare, sia ad Al-Aqsa che nello spaventoso bilancio quotidiano delle vittime palestinesi, la maggior parte dei quali giovani. Human Rights Watch ha rilevato che nell’arco di più di 15 anni questultimo, fino alla fine di agosto, è stato il più sanguinoso per i minorenni palestinesi nella Cisgiordania occupata, con almeno 34 minori uccisi.

E ciò viene accolto con il silenzio della comunità internazionale, la cui attenzione resta concentrata solo sugli scambi commerciali tra il Mar Rosso e Haifa.

Se c’è qualcuno responsabile dello spargimento di sangue di questo fine settimana e dei massacri di civili che, come è vero che la notte segue il giorno, sono destinati a verificarsi a Gaza mentre lesercito israeliano lancia unoffensiva di terra, sono tutti i leader stranieri che dicono che Israele condivide i loro valori. Tutti questi leader permettono a Israele di dettare la politica, anche se questa danneggi palesemente la loro.

Qualunque cosa accada nei prossimi giorni e settimane a Gaza, e Israele ha già scatenato una vendetta selvaggia a prescindere dallassenza di un obiettivo militare, Hamas ha senza dubbio segnato una vittoria significativa.

Ha portato con sé giornalisti e operatori televisivi che hanno registrato tutto ciò che è accaduto. Queste riprese parleranno a ogni giovane palestinese e arabo che le vedrà.

Le riprese mostrano i palestinesi che ritornano nelle terre da cui i loro padri erano stati cacciati. I rifugiati costituiscono il 67% della popolazione di Gaza, provenienti principalmente dalle terre intorno a Gaza che Hamas ha temporaneamente liberato.

Questo fine settimana hanno esercitato con la forza delle armi il diritto al ritorno che era stato tolto dal tavolo delle trattative 23 anni fa.

Le immagini diranno a tutti i palestinesi che la resistenza non è una causa persa contro un nemico estremamente potente. Diranno che la loro volontà di resistere è più potente di quella del loro oppressore.

Lo scenario è cambiato per sempre

Non ho dubbi che ora i civili palestinesi pagheranno un prezzo enorme mentre Israele persegue la sua vendetta biblica. Ai più di due milioni di persone nella Striscia è stata già tagliata lelettricità.

Ma non ho neanche dubbi che dopo questi eventi le cose non torneranno più come prima.

Dopo aver negato per generazioni lesistenza della Nakba, i parlamentari israeliani ne stanno ora programmando apertamente unaltra. Ariel Kallner ha twittato: Cancellate il nemico adesso! Questo giorno è la nostra Pearl Harbor. Impareremo ancora dalle lezioni. Ora un obiettivo: la Nakba!

Netanyahu non è da meno con il suo appello a tutti i palestinesi di Gaza affinché lascino le loro case, come se ci fosse un posto dove andare.

Se Israele volesse davvero scatenare una guerra regionale un tentativo di ripetere quanto accaduto nel 1948 sarebbe il modo più rapido per farlo. Né lEgitto né la Giordania lo tollererebbero, e i loro accordi di pace con Israele diventerebbero nulli.

Una guerra regionale coinvolgerebbe il movimento di resistenza meglio equipaggiato della regione: Hezbollah, che domenica ha iniziato uno scontro a fuoco con Israele al confine libanese, potrebbe essere riluttante a farsi coinvolgere ma potrebbe anche esservi trascinato dentro. Hezbollah segnala da tempo che unincursione di terra a Gaza costituirebbe per loro una linea rossa.

Nel corso dell’anno i leader politici di Hamas hanno visitato Beirut e hanno avuto incontri con il segretario generale di Hezbollah, Hassan Nasrallah. Secondo alcune fonti sarebbe già stata presa una decisione riguardo ad una mobilitazione generale. Da tutto ciò si può supporre che il dito di Hezbollah sia sul grilletto.

Israele dovrà anche fare i conti col fatto che Hamas detiene decine di ostaggi. La Direttiva Annibale, un ordine militare top-secret secondo il quale Israele dovrebbe colpire i propri soldati per evitare che cadano nelle mani del nemico, non è più in vigore.

Né lo è lidea che a Gaza 2,3 milioni di persone possano essere rinchiuse in una gabbia costrette a seguire una dieta a basso contenuto proteico e che il loro carceriere butti via le chiavi.

Questa è l’esplosione che io e altri avevamo da tempo avvertito sarebbe arrivata. Ho detto che se Israele non avesse invertito la rotta avviando negoziati seri su una soluzione giusta a questa crisi con la concessione ai palestinesi degli stessi diritti degli ebrei ci sarebbe stata una risposta. Ora è successo. Quando tutto sarà finito lo scenario non sarà più lo stesso.

Mentre tre famiglie allargate di Gaza venivano spazzate via dal colpo diretto sulle loro case da parte delle bombe di precisione israeliane, Rishi Sunak, il primo ministro del Paese che ha più responsabilità di ogni altro per questo conflitto, ha detto che la Gran Bretagna è inequivocabilmente dalla parte di Israele, e ha illuminato Downing Street con una stella di David. Nel frattempo il suo ministro degli Interni ha detto che chiunque venga sorpreso a manifestare per le strade in solidarietà con la Palestina sarà arrestato. Di conseguenza il Regno Unito ha abbandonato qualsiasi suo possibile ruolo futuro nel porre fine a questo terribile conflitto.

La responsabilità di quanto accaduto lo scorso fine settimana ricade su tutti coloro che si sono illusi di pensare che le successive generazioni di leader israeliani avrebbero potuto cavarsela impunemente nel fare quello che volevano. La responsabilità ricade su tutti coloro, compresa la maggior parte dei dittatori arabi, che hanno smesso di considerare i palestinesi come un popolo. Nelle settimane e mesi a venire ognuno imparerà una lezione dolorosa.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

(Traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Guerra Israele-Palestina: gli è stato detto di lasciare le loro case. Lo hanno fatto. Eppure sono stati bombardati.

Maha Hussaini, Gaza City, Palestina occupata

9 ottobre 2023 – Middle East Eye

Ai palestinesi di Beit Hanoun è stato intimato dall’esercito israeliano di lasciare le proprie case e dirigersi al centro città. Ore dopo il centro città è stato preso di mira.

Domenica i palestinesi di Beit Hanoun sono stati svegliati da esplicite istruzioni da parte dell’esercito israeliano: lasciate le vostre case e recatevi in centro città.

L’avviso, che normalmente precede la maggior parte dei bombardamenti aerei israeliani, non è stato una gran sorpresa, dato che le bombe israeliane erano piovute sulla Striscia di Gaza assediata per tre giorni di seguito.

Molti a Beit Hanoun, un’area densamente popolata nel nordest di Gaza, hanno seguito il consiglio.

Sono andati verso ovest, a circa due chilometri di distanza, verso il campo profughi di Jabalia, nella speranza di trovare un luogo relativamente sicuro.

Invece hanno trovato la morte.

Gli aerei da combattimento israeliani hanno bombardato due edifici nel principale mercato del campo, uccidendo almeno 50 persone, a detta del Ministero della Salute di Gaza.

Stavo guidando la macchina e mi ero quasi immesso in strada, improvvisamente il cielo si è infiammato di una immensa luce”, ha detto a Middle East Eye Muhammed Lubbad, un abitante di Gaza, poco dopo gli attacchi.

Improvvisamente c’erano persone sul tetto della mia macchina, la gente è stata letteralmente scaraventata in aria. Alcuni corpi sono stati trovati sui tetti degli edifici. Nelle strade c’erano corpi di bambini, qualche testa mozzata, la testa gettata fuori dall’edificio e il corpo all’interno”, ha aggiunto.

Mentre lui cerca di ricomporsi, l’auto di Lubbad reca i segni del devastante raid, con il sangue dei passanti sparso ovunque.

Ancora non mi rendo conto di cosa è successo”, dice. “Sono state uccise decine di persone, compresi autisti di taxi, pedoni e commercianti. Quasi tutti quelli che si trovavano dentro il centro commerciale di Rabaa sono stati uccisi. Nessuno vi è rimasto vivo.

E’ un massacro che nessuno immaginava potesse accadere.”

Israele ha lanciato attacchi aerei su Gaza sabato dopo che combattenti del territorio assediato e impoverito hanno scatenato un attacco senza precedenti contro la barriera di sicurezza che controlla i movimenti dei palestinesi in ingresso e in uscita da Israele.

Dopo aver lanciato migliaia di razzi e mandato centinaia di combattenti al di là del confine per terra, aria e mare, i combattenti palestinesi hanno ucciso almeno 800 israeliani e preso oltre 100 ostaggi.

Solo nelle ultime 24 ore l’aviazione di Israele ha lanciato almeno 2.000 munizioni e più di 1.000 tonnellate di esplosivi sulla Striscia assediata.

Edifici residenziali di molti piani, attività commerciali, moschee, ospedali e banche sono stati tutti presi di mira, con almeno 560 palestinesi morti confermati e più di 2.900 feriti.

Molti a Gaza hanno detto a MEE di essersi rassegnati ad ulteriori uccisioni.

Da un luogo preso di mira ad un altro’

Muhammed Abdallah, abitante del campo profughi di Jabalia, si trovava in casa quando è avvenuto l’attacco.

Gli attacchi aerei hanno fatto tremare la casa, i miei nipoti sono stati scaraventati contro il muro e i vetri delle finestre in frantumi li hanno feriti. Li abbiamo presi in braccio e siamo scesi in strada cercando un’ambulanza o qualche assistenza, solo per scoprire che l’intera zona era disseminata dei corpi degli uccisi”, ha detto Abdullah a MEE.

Mucchi di corpi, centri commerciali in fiamme, case abbattute, auto distrutte. In strada c’erano più di 50 corpi. Non sapevamo che cosa fare.

Chi di noi poteva trasportare delle vittime mentre fuggiva dalla zona, lo ha fatto.”

Abdullah ha detto che la maggioranza delle persone uccise si erano spostate dalle zone vicine dopo aver ricevuto messaggi dalle forze israeliane che li esortavano a recarsi in centro città.

Abbiamo preso dei taxi per l’ospedale per curare quelli [dei nostri bambini] che erano feriti e abbiamo evacuato gli altri nel quartiere di Rimal. E adesso abbiamo appena ricevuto messaggi che ci spingono a lasciare la zona di Rimal. Li abbiamo portati da un luogo preso di mira ad un altro che sarà preso di mira”, ha detto.

Ora non sappiamo dove portarli.”

Densamente popolata

Le zone prese di mira erano vicino ad una scuola gestita dall’agenzia ONU che si occupa dei rifugiati palestinesi (UNRWA). Più di 20.000 palestinesi hanno cercato rifugio in 44 scuole gestite dall’UNRWA.

Più del 60% dei palestinesi a Gaza sono rifugiati, in seguito all’espulsione delle famiglie da altre parti della Palestina nel 1948.

Affiancata da Israele ed Egitto sulla costa mediterranea, la Striscia di Gaza è una delle aree più densamente popolate al mondo.

Circa il 97% dell’acqua potabile di Gaza è contaminata e gli abitanti sono costretti a vivere con costanti interruzioni di elettricità a causa di una rete elettrica che è stata gravemente danneggiata in ripetuti attacchi israeliani.

Al tempo stesso quasi il 60% dei palestinesi vive in povertà e la disoccupazione giovanile è al 63%.

Secondo l’UNRWA gli anni di conflitto e assedio hanno reso l’80% della popolazione di Gaza dipendente dall’assistenza internazionale.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Perché il gruppo palestinese Hamas ha lanciato un attacco contro Israele?

Redazione.

7 ottobre 2023– Al Jazeera

Decine di morti, centinaia di feriti dopo il lancio di razzi da parte di Hamas, combattenti in Israele che ha iniziato a bombardare Gaza.

Israele e Hamas sembrano essere sull’orlo di un altro conflitto dopo l’attacco a sorpresa di sabato con operazioni aeree, marittime e terrestri, avviate dal gruppo palestinese dalla Striscia di Gaza. Israele ha risposto con un pesante bombardamento dell’enclave costiera sottoposta a blocco.

Cosa sappiamo:

Cosa è successo e quando?

Il gruppo armato palestinese Hamas ha lanciato contro Israele l’“Operazione Alluvione Al-Aqsa”, l’escalation più grave dal 2021 quando Israele e Hamas hanno combattuto una guerra durata 11 giorni.

Hamas ha detto di aver lanciato 5.000 razzi, mentre Israele ha confermato che i combattenti del gruppo erano entrati nel suo territorio.

Daniel Hagari, portavoce dell’esercito israeliano, ha detto che il gruppo ha attaccato da terra, mare e aria.

Il primo lancio di razzi è partito alle 06:30 ora locale (le 5:30 in Italia).

L’esercito israeliano ha anche affermato di aver lanciato l’operazione “Spade di ferro” contro Hamas nella Striscia di Gaza.

Gli attacchi mattutini si sono verificati durante Simchat Torah, una festività che cade l’ultimo giorno della festa ebraica di una settimana conosciuta come Sukkot, o Festa dei Tabernacoli.

Dove sono avvenuti gli attacchi?

I razzi sono stati lanciati fino a Tel Aviv. Hamas ha anche inviato combattenti nel sud di Israele.

I media israeliani hanno affermato che uomini armati hanno aperto il fuoco sui passanti nella città di Sderot, e i filmati che circolano sui social media sembrano mostrare scontri nelle strade della città e uomini armati in jeep che vagano per le campagne. Un rapporto sostiene che i combattenti di Hamas hanno preso il controllo di diversi centri israeliani occupati da civili, dove gli abitanti hanno chiesto aiuto al loro governo.

L’esercito israeliano afferma che dozzine di aerei da combattimento stanno effettuando attacchi contro obiettivi di Hamas nella Striscia di Gaza.

Il Times of Israel ha riferito che attualmente, gli scontri a fuoco si stanno svolgendo dentro e intorno alle città di Kfar Aza, Sderot, Sufa, Nahal Oz, Magen, Be’eri e alla base militare di Re’im.

I luoghi dove sono in corso alla sera del 7 ottobre combattimenti tra milizie palestinesi e IDF

Quante vittime ci sono state in Israele e in Palestina?

Le fonti mediche a Gaza riferiscono che almeno 160 palestinesi sono stati uccisi e più di 1000 feriti.

I dirigenti sanitari israeliani affermano che a causa degli attacchi di Hamas almeno 40 israeliani sono stati uccisi e 750 feriti

Perché Hamas ha attaccato Israele?

Khaled Qadomi, il portavoce di Hamas, ha detto ad Al Jazeera che l’operazione militare del gruppo è una risposta a tutte le atrocità che i palestinesi hanno dovuto affrontare nel corso dei decenni.

Vogliamo che la comunità internazionale fermi le atrocità a Gaza, contro il popolo palestinese e contro i nostri luoghi santi come Al-Aqsa, ecco le ragioni per cui abbiamo iniziato questa battaglia”, ha detto.

“Questo è il giorno della più grande delle battaglie per porre fine all’ultima occupazione sulla terra”, ha detto Mohammed Deif, comandante militare di Hamas, aggiungendo che sono stati lanciati 5.000 razzi.

Chiunque abbia un’arma dovrebbe tirarla fuori. È giunto il momento”, ha detto Deif, secondo alcune fonti.

In una dichiarazione postata su Telegram Hamas ha invitato “i combattenti della resistenza in Cisgiordania” così come “le nostre nazioni arabe e islamiche” a unirsi alla battaglia.

Cosa dice il governo israeliano?

L’esercito israeliano ha avvertito gli israeliani che vivono vicino a Gaza di restare nelle loro case o di recarsi nei rifugi.

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu afferma che il suo Paese è impegnato in una guerra che “vincerà”.

Il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant ha affermato che Israele “vincerà questa guerra. Questa mattina Hamas ha commesso un grave errore lanciando una guerra contro lo Stato di Israele.”

Ultimi aggiornamenti

Secondo il Times of Israel l’esercito israeliano sta affrontando i combattenti di Hamas in sette località nel sud di Israele, vicino alla recinzione con la Striscia di Gaza.

Il gabinetto israeliano dovrebbe tenere una riunione alle 13:00 presso la sede del Ministero della Difesa.

Il ministero della Salute a Gaza ha lanciato un appello per donazioni di sangue per gli ospedali dell’enclave.

Quali sono state finora le reazioni internazionali?

Il governo ceco ha condannato Hamas per aver lanciato “attacchi terroristici” contro Israele, tradizionale alleato di Praga.

Il capo degli Esteri dell’Unione Europea, Josep Borrell, ha espresso solidarietà a Israele.

Il ministero degli Esteri francese ha affermato che la Francia condanna gli “attacchi terroristici in corso contro Israele e la sua popolazione” e che la Francia ha espresso la sua piena solidarietà a Israele.

Il Regno Unito “condanna inequivocabilmente” l’attacco a sorpresa di sabato del gruppo islamico palestinese Hamas contro Israele, ha detto il ministro degli Esteri James Cleverly.

L’Egitto ha messo in guardia sulle “gravi conseguenze” di un’escalation in una dichiarazione del ministero degli Esteri diffusa sabato dall’agenzia di stampa statale. Ha chiesto di “esercitare la massima moderazione ed evitare di esporre i civili a ulteriori pericoli”.

Sabato il gruppo libanese Hezbollah ha rilasciato una dichiarazione affermando di seguire da vicino la situazione a Gaza e di essere in “contatto diretto con i leader della resistenza palestinese”.

Al Jazeera e Agenzie di stampa

Traduzione dall’inglese di Giuseppe Ponsetti




Le forze israeliane aprono il fuoco in una scuola in Cisgiordania durante un raid

Redazione MEE

2 ottobre 2023 – Middle East Eye

Il Ministero dell’Istruzione ha sospeso le lezioni nel villaggio di Burqa dopo che un bambino è stato ferito dalle forze israeliane che avevano fatto irruzione nella scuola

Lunedì nel villaggio di Burqa, a nord-ovest della città occupata di Nablus, in Cisgiordania, sono state sospese le lezioni dopo che il giorno prima le forze israeliane avevano aperto il fuoco nella scuola.

I militari israeliani hanno fatto irruzione nella scuola sparando proiettili veri e gas lacrimogeni e hanno lasciato un bambino ferito e altre decine con intossicazione da inalazione di fumo.

Il governatore ad interim di Nablus, Ghassan Daghlas, ha affermato che la decisione di chiudere la scuola è stata presa per preservare la sicurezza degli studenti alla luce dell’aggressione israeliana.

Secondo i media locali a Masafer Yatta, situata a sud della città di Hebron in Cisgiordania, le forze israeliane hanno anche impedito agli insegnanti di accedere a 27 scuole.

Le forze israeliane hanno posizionato barriere e grandi cubi di cemento per bloccare le strade onde impedire l’accesso alle scuole e interdire l’uscita delle persone dall’area.

Secondo quanto riportato sui media locali i raid e l’iniziativa di bloccare l’accesso alle scuole facevano parte della ricerca da parte delle forze israeliane dell’autore di un attacco a fuoco che ha danneggiato le case dei coloni a Hebron.

Raid nella Città Vecchia

Il raid nella scuola e il blocco delle strade sono avvenuti lo stesso giorno in cui le forze israeliane hanno fatto irruzione in alcune parti della Città Vecchia di Gerusalemme.

I video online mostrano soldati armati fino a i denti picchiare e attaccare donne palestinesi anziane mentre camminano per la Città Vecchia.

Gli attacchi coincidono con la festa ebraica di Sukkot, durante la quale vengono rafforzate le misure di sicurezza per dare via libera ai fedeli ebrei per compiere i loro riti religiosi nella Città Vecchia.

Domenica e lunedì centinaia di coloni israeliani hanno preso d’assalto anche i cortili della moschea di al-Aqsa.

Le forze israeliane hanno imposto restrizioni all’ingresso dei fedeli nella moschea e hanno aggredito i palestinesi che cercavano di entrare nel sito.

(Traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Non ci si può fidare che il capo della Corte Penale Internazionale metta sotto processo i criminali di guerra israeliani

David Cronin

2 ottobre 2023 – Electronic Intifada

La Corte Penale Internazionale smetterà mai di fare giochetti?

Lo scorso dicembre Karim Khan il procuratore capo ha dichiarato che aveva l’obiettivodi visitare la Palestina questanno.

Ora siamo a ottobre e Khan non ha ancora intrapreso un viaggio del genere.

Quando ho contattato la corte chiedendo se ne fosse stato programmato uno, lufficio di Khan ha risposto che starebbe facendo ogni sforzo per raggiungere questo obiettivo”.

Il rifiuto della Corte Penale Internazionale di rispondere a una semplice domanda con un sì” o un no” è sintomatico di un problema più grande. Anche se a volte Khan può gettare qualche briciola ai palestinesi, non ha nessuna fretta di concedere qualcosa che somigli alla giustizia.

Un esame delle circostanze in cui Khan ha ottenuto il suo attuale incarico potrebbe spiegare il suo disinteresse.

Formalmente proposto per la carica dalla Gran Bretagna, Khan ha ottenuto la promozione in seguito ad una votazione tenutasi presso la sede delle Nazioni Unite a New York il 12 febbraio 2021.

Esattamente una settimana prima i giudici della CPI avevano dato il via libera a unindagine sui crimini di guerra commessi nella Cisgiordania occupata (compresa Gerusalemme Est) e a Gaza.

Boris Johnson era primo ministro britannico quando il suo governo nominò Khan.

Nell’aprile 2021 Johnson rispose alle lamentele sulla CPI espresse dal gruppo di pressione Conservative Friends of Israel.

Johnson scrisse che la Gran Bretagna desiderava apportare cambiamenti positivialla CPI, sostenendo che la nomina di Khan a procuratore capo contribuirà a realizzare la riforma. Johnson dichiarò in seguito: Ci opponiamo alle indagini della CPI sui crimini di guerra in Palestina”.

Ho presentato una richiesta sulla base della libertà di informazione al Foreign Office di Londra, chiedendo se la Gran Bretagna avesse qualche accordo particolare con Khan. “Il governo britannico non ha concluso un accordo con il signor Khan prima della sua nomina”, ha dichiarato il Ministero degli Esteri.

Forse il Ministero degli Esteri dice la verità.

Forse non si è ritenuto necessario specificare per iscritto cosa la Gran Bretagna si aspettasse da Khan.

Antenne politiche

Khan, avvocato britannico a cui era stato conferito il titolo formale di avvocato esperto del consiglio della regina, fa parte integrante dellestablishment. Quindi era improbabile che avrebbe agito contro gli interessi sensibili della Gran Bretagna.

E indipendentemente dal fatto che avesse un accordo formale con Khan la Gran Bretagna ha espresso la sua fiducia in lui. Il comunicato ufficiale britannico di nomina elogia le antenne politichedi Khan.

Il principale rivale di Khan per la carica di procuratore capo della CPI era Fergal Gaynor, un avvocato irlandese.

Nella sua domanda di promozione Gaynor ha fatto menzione di essere stato primo avvocato di un gruppo di vittime palestinesidurante dei procedimenti presso la Corte Penale Internazionale nel 2020. Tali procedimenti hanno aperto la strada allannuncio, lanno successivo, che la corte avrebbe aperto unindagine sulla Palestina.

Gaynor avrebbe portato avanti l’indagine se la sua candidatura alla carica di procuratore capo avesse avuto esito positivo? È impossibile dirlo.

Tuttavia è significativo il fatto che la Gran Bretagna con un governo ostile alla semplice ipotesi di ritenere Israele responsabile dei suoi crimini abbia appoggiato Khan, sapendo che il suo principale rivale (Gaynor) era stato determinante nel garantire unindagine su quei crimini.

Quello che sappiamo per certo è che Khan da quando ha assunto lincarico di procuratore capo della CPI ha generalmente evitato di dire qualsiasi cosa in pubblico sulla Palestina.

“Mi dispiace, sono occupato”

Nel maggio di questanno Kristen Saloomey di Al Jazeera si è rivolta a Khan chiedendogli se la CPI avrebbe preso in esame luccisione della sua collega Shireen Abu Akleh da parte di Israele 12 mesi prima.

La risposta di Khan? “Mi dispiace, sono occupato.”

La sua reticenza sullaggressione israeliana contrasta con il duro approccio adottato nei confronti dellinvasione russa dellUcraina.

Non solo la CPI ha aperto [un procedimento] poche settimane dopo linvasione del febbraio 2022, ma ha anche emesso un mandato di arresto nei confronti di Vladimir Putin, il presidente russo.

E’ successo con una rapidità fulminea considerando che ci sono voluti anni perché il tribunale decidesse finalmente di aprire formalmente unindagine sulla situazione in Palestina, unindagine che non ha prodotto un solo atto daccusa e sembra nel suo complesso in una fase di stallo.

Sebbene gli Stati Uniti abbiano respinto il documento costitutivo della CPI, lo Statuto di Roma, stanno collaborando allindagine della Corte sullUcraina.

L’indagine è guidata da Brenda Hollis, un colonnello in pensione dell’aeronautica americana.

Il fatto di detenere il grado di colonnello in un esercito noto per condurre guerre non provocate dovrebbe automaticamente escludere quella persona dall’incarico di investigatore su crimini di guerra.

Perché la CPI tarda a indagare su Israele e agisce invece rapidamente quando la Russia attacca lUcraina?

Quando ho chiesto spiegazioni alla Corte lufficio di Khan ha dichiarato che dopo aver assunto il suo incarico di procuratore egli ha messo in piedi una squadra specifica che portasse avanti le indagini sulla Palestina”.

Nel 2022 l’ufficio di Khan aveva richiesto risorse aggiuntiveai governi che sostengono la CPI. L’ufficio ha aggiunto che starebbe ancora alla ricerca di un aumento significativo delle risorse nel suo bilancio per il 2024 per una serie di pratiche, inclusa quella riguardante lo Stato palestinese.”

Sembra poco incoraggiante.

Lungi dallessere un procuratore davvero indipendente, Khan è alla mercé dei donatori.

La Gran Bretagna, uno Stato che vuole proteggere Israele da indagini e agisce costantemente come un cagnolino per gli Stati Uniti, è tra i quattro principali finanziatori della Corte.

Nelle indagini della CPI sullAfghanistan Khan ha condotto un intervento palesemente di parte citando dei vincoli finanziari.

Il risultato è che lindagine si concentrerà solo sui nemici dellOccidente: i talebani e lo Stato islamico. Gli Stati Uniti la faranno franca riguardo la violenza inflitta nell’arco di due decenni ai civili afghani.

Cosa intendeva esattamente il governo britannico quando elogiava le antenne politichedi Khan? Stava dicendo che ci si poteva fidare di lui perché non mettesse in imbarazzo lOccidente, verso cui Israele rivendica un forte legame?

Se Karim Khan fatica a raggiungere un obiettivo talmente fondamentale come una visita in Palestina, sembra estremamente improbabile che porrà sotto processo i criminali di guerra israeliani.

(Traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




La Chiesa anglicana del Sud Africa solidarizza con la Palestina e dichiara Israele Stato di apartheid

Redazione

02 ottobre 2023-The New Arab

La Chiesa anglicana in Sud Africa ha dichiarato Israele uno “Stato di apartheid”, a seguito di una campagna condotta da attivisti palestinesi.

Mercoledì il Comitato permanente provinciale della Chiesa cristiana ha approvato una risoluzione che definisce Israele come uno Stato di apartheid e rivede [le modalità dei] pellegrinaggi in Terra Santa.

Amnesty International, insieme ad altre ONG, definisce le condizioni in cui vivono i palestinesi sotto l’occupazione israeliana come “apartheid”, riferendosi al sistema oppressivo di segregazione razziale in Sud Africa in vigore fino al 1994.

“Come persone di fede che sono angosciate dal dolore dell’occupazione della Cisgiordania e di Gaza – e che desiderano la sicurezza e una pace giusta sia per la Palestina che per Israele – non possiamo più ignorare la realtà sul terreno”, ha affermato sul suo blog il capo della Chiesa anglicana sudafricana, l’arcivescovo Thabo Makgoba.

“Quando i neri sudafricani che hanno vissuto sotto l’apartheid visitano Israele i parallelismi con l’apartheid sono impossibili da ignorare. Se restiamo a guardare e restiamo in silenzio saremo complici della continua oppressione dei palestinesi”.

L’arcivescovo ha chiesto la pace per palestinesi e israeliani, ma ha condannato le politiche oppressive dei successivi governi israeliani e ha affermato che stanno “divenendo sempre più estreme”.

In un messaggio audio ha detto: “Per i cristiani, la Terra Santa è il luogo dove Gesù è nato, è stato allevato, cresciuto e crocifisso. I nostri cuori soffrono per i nostri fratelli e sorelle cristiani in Palestina, il cui numero include anglicani ma sta rapidamente diminuendo”.

“Le persone di tutte le fedi in Sud Africa hanno sia una profonda comprensione di cosa significhi vivere sotto l’oppressione, sia l’esperienza di come affrontare e vincere un governo ingiusto con mezzi pacifici”.

La risoluzione della Chiesa sudafricana chiede anche di stabilire rapporti con i cristiani palestinesi, compresi incontri con la comunità laica e il clero durante i pellegrinaggi, e che si attiri l’attenzione sulla persecuzione dei palestinesi.

La risoluzione dichiara: “Le visite ai cristiani di Palestina per ascoltare le loro storie spesso non rientrano nel programma di questi pellegrinaggi e, inoltre, la parola ‘Palestina’ non è mai o quasi mai usata nel materiale pubblicitario o nella preparazione del pellegrinaggio”.

“L’occupazione militare della Palestina non è quasi mai menzionata o discussa in questi pellegrinaggi e le somiglianze con l’apartheid in Sud Africa [sono] raramente discusse.”

Da tempo i leader neri sudafricani e gli attivisti del movimento per i diritti civili del Sudafrica tracciano parallelismi tra le loro esperienze durante l’apartheid e le condizioni dei palestinesi oggi.

Dopo essere diventato presidente del Sudafrica post-apartheid Nelson Mandela disse: “Sappiamo fin troppo bene che la nostra libertà è incompleta senza la libertà dei palestinesi”.

Anche l’ex leader della Chiesa anglicana sudafricana, l’’arcivescovo emerito Desmond Tutu, ha ripetutamente utilizzato la sua piattaforma mediatica per difendere i diritti dei palestinesi prima della sua morte nel 2021.

Ha detto che per molti versi le condizioni dei palestinesi che vivono sotto l’’occupazione israeliana sono peggiori di quelle sopportate dai neri sudafricani durante l’’apartheid.

“Sono stato testimone dell’umiliazione sistematica di uomini, donne e bambini palestinesi da parte di membri delle forze di sicurezza israeliane”, ha detto ai media sudafricani nel 2014.

“La loro umiliazione è familiare a tutti i neri sudafricani che sono stati rinchiusi, molestati, insultati e aggrediti dalle forze di sicurezza del governo dell’apartheid”.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Dissipare la nebbia della hasbara*

Recensione di Steve France

2 ottobre 2023 – Mondoweiss

Una nuova guida cerca di disinnescare e combattere “ l’israelese”, la rete di ingannevoli cliché e stereotipi che ha profondamente radicato la narrazione sionista nella coscienza degli americani.

 

* sforzi propagandistici per diffondere all’estero informazioni positive sullo Stato di Israele, ndt.]

Prima o poi, forse fra poco, gli americani cominceranno a porre molte più domande su Israele e Palestina. Quando succederà gli attivisti dovranno essere pronti. Specialmente in questo momento di dubbi e divisioni crescenti fra i sostenitori di Israele dobbiamo suscitare un dibattito che li metta di fronte a questa realtà razzista.

Fino a poco tempo fa avrei detto che stavo facendo il possibile per accelerare l’arrivo del giorno in cui questi dibattiti abbondassero. Non mi sembra di aver avuto molto successo nel risvegliare la gente all’importanza e urgenza di pari diritti per i palestinesi. Troppo spesso noto un’espressione distante e inquieta negli occhi di quelli che spero di illuminare. Ho la sensazione che anche altri sostenitori lottino per ampliare il cerchio di chi ha capito oltre al “coro” di quelli già convinti.

Tuttavia ora vedo che il mio approccio manca di efficacia. Invece di tentare di spiegare agli individui la verità come la conosco io, dovrei prima chiedere la loro opinione su Israele e Palestina, e poi ascoltare attentamente, persino con empatia. Invece di insegnare, dovrei fare delle domande indagatrici basate su fatti chiave sul posto e sulla storia per rivelare le inconsistenze inerenti al concetto di Israele quale “Stato ebraico e democratico.”

Potreste chiamare il nuovo approccio “Non dire. Chiedi.” È esposto chiaramente in un volumetto auto-pubblicato nel 2021, intitolato When They Speak Israel: A Guide to Clarity in Conversations about Israel (Quando parlano ‘israelese’: una guida alla chiarezza nel dibattito su Israele) di Alex McDonald, un quacquero, attivista di lunga data, che si batte per pari e pieni diritti per i palestinesi, incluso quello al ritorno per i rifugiati.

McDonald è un texano cresciuto accettando senza farsi domande la narrazione israeliana. Tuttavia, qualche anno fa, ormai adulto, si è imbattuto in un intoppo che l’ha incuriosito: in teoria la “recinzione di sicurezza” israeliana doveva tenere i palestinesi fuori da Israele e lontano dai civili israeliani. Eppure si è espansa profondamente dentro la Cisgiordania, ingoiando moltissimi tratti di terra palestinese, e quindi nella zona israeliana si trovano più palestinesi, non meno. Cercando di far ordine si è imbattuto in ulteriori inconsistenze e, ben presto, è diventato uno sfacciato antisionista critico della complicità USA. 

Il suo ripensamento è profondo, “come in Matrix”, il film di azione/fantascienza del 1999 in cui, ingerendo una “pillola rossa”, si spezza l’incantesimo che inganna la maggior parte dei personaggi e quindi si rivela l’odiosa verità: il loro mondo e le loro stesse vite non sono altro che mere illusioni. Ma McDonald si trova davanti ad un’altra sfida. Mentre cercava di far aprire gli occhi sulla verità su Israele ai suoi amici e familiari, loro gli facevano capire che “volevano porre termine a quelle conversazioni o smettere di leggere le mie email e scritti.” Si è trovato fra le fila degli attivisti solidali con i palestinesi i cui sforzi per informare la gente sono raramente ben accolti.

Il tentativo di capire questa profonda resistenza alle critiche a Israele l’ha portato a identificare un fenomeno che chiama “israelese,” cioè la rete di cliché e stereotipi fuorvianti che ha profondamente radicato la narrazione sionista nelle menti e nei dibattiti degli americani. Come prendere la “pillola blu” in Matrix che fa credere ai personaggi che le loro vite totalmente simulate sono reali, l’israelese illude gli ascoltatori, spesso facendo ricorso al non detto e alle emozioni.

Gli attivisti per i diritti umani per i palestinesi hanno gran familiarità con l’israelese. Il libro di McDonald elenca molti stratagemmi e confutazioni. “Israele non ha forse il diritto all’autodifesa?” (o il “diritto di esistere?”). E anche “La tua opinione è sbilanciata,” “Perché stai prendendo di mira Israele?” “Noi dovremmo sostenere l’unica democrazia del Medio Oriente.” “Quando Israele diede Gaza ai palestinesi essi hanno risposto lanciando razzi contro Israele,” oltre alle accuse e insinuazioni di antisemitismo che fanno sempre capolino.

McDonald risponde all’israelese con un processo in due fasi: primo, mettiti in contatto con gli ascoltatori diventando tu stesso un buon ascoltatore. Trova le convinzioni specifiche e i ragionamenti che stanno alla base del loro sostegno a Israele e della loro sfiducia verso i palestinesi. Questa fase può sembrare quella che Jonathan Kuttab [cofondatore di Nonviolence International e del gruppo palestinese per i diritti umani Al-Haq] ha definito ‘normalizzazione’, quelle conversazioni cioè che “mettono insieme ebrei e arabi in condizioni altamente controllate che apparentemente mirano a promuovere la coesistenza, senza veramente affrontare o mettere in dubbio l’ingiustizia sottostante.” Tuttavia l’approccio di McDonald va ben oltre questo primo passo.

La fase due del processo si fa più complicata. Adesso, l’obiettivo è, con gentilezza ma fermezza, di portare alla luce i fatti che rivelano il razzismo di Israele e chiedere come tali fatti possano conciliarsi con la nozione che Israele è giusto nei confronti dei palestinesi. Continuando il parallelo con Matrix, spiega che alcune particolari pillole blu (fatti, convinzioni e logiche infondati) stanno alla base delle posizioni sioniste del tuo interlocutore e poi offri gli antidoti appropriati, la pillola rossa.

Ecco, per esempio, come neutralizzare, anzi “ribaltare” la seguente frasetta in israelese: “Perché stai prendendo di mira e criticando Israele” (in un mondo pieno di altri governi che violano i diritti umani)?

Primo, assicurati che il tuo interlocutore “sappia che Israele viola i diritti umani,” implicito nella domanda stessa in israelese; (2) chiarisci che tu, in realtà, critichi gli altri violatori; (3) chiedi se loro proteggono dalle critiche altri violatori che non siano Israele e in ultimo, (4) chiedi perché si concentrano su Israele per la protezione. Come sempre devi essere chiaro che tu sei contro tutte le forme di razzismo, incluso il razzismo antiebraico e che non sei “pro-palestinese,” solo “pro-uguaglianza.”

È divertente vedere come McDonald dissolva vecchie battute sioniste con una gragnuola gentile, ma persistente, di confutazioni e contestualizzazioni. In effetti il libro offre una splendida parata di “fregato!”.” Comunque McDonald vuole evitare questo atteggiamento. Non importa quanto gli attivisti siano tentati, ogni presa in giro danneggia le possibilità di uno scambio proficuo. È determinato a intrattenere conversazioni sincere e rispettose con i sionisti e i loro simpatizzanti se anche loro parlano in buona fede. Consiglia i lettori di non perdere tempo con persone “che pur consapevoli del razzismo di Israele, comunque sostengono lo Stato.” Secondo lui lascia fuori molti potenziali interlocutori perché “la maggior parte dei sionisti sono brave persone,” sinceramente contro il razzismo, ma a cui è stato inculcato che sostenere Israele è giustificato, anzi un solenne dovere morale. Devono ancora rendersi conto che Israele ha cominciato e si dedica attivamente al razzismo e alle violazioni dei diritti umani.

McDonald si rende conto che potrebbe volerci del tempo per i sostenitori di Israele per accettare che Israele è razzista fino al midollo. Scrive che potrebbero dover passare attraverso le “cinque fasi del dolore: diniego, rabbia, contrattazione, depressione e infine accettazione,”. I difensori devono mostrare empatia senza tentennare nella loro posizione a favore di uguaglianza e diritti umani.

Il vostro interlocutore potrebbe essere confuso o rendersi conto di essere stato turlupinato” dalle false formule dell’israelese, precisa. “Dategli tempo e spazio. È davanti a una situazione molto difficile: buoni amici danno una cattiva notizia ai loro amici con dolcezza.” Ma continuano a dare la notizia: l’unico modo per una vera pace passa dall’uguaglianza dei diritti per tutti.

McDonald ci spinge a una specie di ri-orientamento “copernicano” per aprire le menti di individui e piccoli gruppi. Ci spinge verso un discorso che si basi sulla persona con cui stiamo parlando e non su noi stessi o sull’informazione che stiamo tentando di impartire, pur se di grande importanza. In un certo senso il punto focale della conversazione non è tanto come è Israele per l’altra persona ed esattamente perché lui o lei non vedono le clamorose diseguaglianze del dominio di Israele sui palestinesi. Così pur “amando” la persona con cui stai parlando devi essere forte abbastanza per combatterla.

Considerando la mia esperienza mi sono reso conto che il mio approccio è spesso stato troppo timido e troppo aggressivo. Ho cercato di dimostrare la mia conoscenza della storia pertinente e delle circostanze presenti. Mi sono concentrato sulle dichiarazioni in astratto delle altre persone, non sulle loro convinzioni errate, ma sincere. Ancora più sconcertante, il mio desiderio che la persona davanti a me avrebbe capito quanto sia razzista Israele verso i palestinesi non è espresso direttamente, ma resta sospeso in aria. Ho presunto che fosse trasmesso implicitamente, ma la connessione da persona a persona che mi avrebbe permesso di esprimerlo direttamente e personalmente manca.

Usare l’approccio di McDonald richiede sforzo. I passi sono semplici ma, come in un balletto, devono essere armoniosi, precisi e seguire la giusta sequenza. Eppure promettono di rendere la difesa meno stressante e frustrante. Una delle intuizioni più innovative di McDonald è che “Noi [critici di Israele] non dobbiamo portare delle prove alla nostra storia. Dobbiamo solo chiedere di spiegarci la loro” nel quadro di fatti noti e innegabili come, fra gli altri: il linguaggio decisamente razzista della Legge Fondamentale dello Stato-Nazione di Israele, il muro di separazione brutalmente invadente, il sostegno governativo ai coloni in Cisgiordania e l’impunità per la loro violenza contro i palestinesi, la sistematica detenzione in Israele dei minori secondo il diritto militare.

Il metodo di McDonald libera anche i difensori dalla necessità di conseguire una conoscenza enciclopedica sulla Palestina. Infatti egli ci mette in guardia dal farci coinvolgere in domande confuse su fatti che richiederebbero tempo prezioso e sono impossibili da risolvere. Attenetevi ai fatti più importanti. “La maggior parte delle persone a cui parlate di Israele sapranno che offre un trattamento preferenziale agli ebrei e discrimina contro i non ebrei, specialmente contro i palestinesi,” dice. “L’esempio più facile da sottolineare è la cittadinanza. Solo gli ebrei hanno il diritto alla cittadinanza entro 48 ore dall’arrivo in Israele.”

Sulla differenza che ha sperimentato usando il suo nuovo approccio dice: “La grande differenza è che, da quando ho interiorizzato il fatto che io sono a favore dell’uguaglianza per tutti e contro le discriminazioni contro chiunque, non sono più sulla difensiva sulle accuse di antisemitismo. Se si solleva il tema chiedo come sia possibile che sostenere l’uguaglianza per tutti possa discriminare qualcuno.”

Il gran sollievo che adesso prova è la chiave: “Il mio obiettivo è metterti più a tuo agio durante queste conversazioni,” conclude, “e sottolineare… i difetti logici nei messaggi che spesso potresti ascoltare sulla situazione Israele-Palestina.”

WHEN THEY SPEAK ISRAEL
A Guide to Clarity in Conversations About Israel
Alex McDonald
156 pp. Great Tree Publishing, $12.95

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




“Furto” israeliano: ecco quanti soldi Tel Aviv “detrae” ogni mese dal bilancio dell’Autorità Palestinese

Redazione The Palestine Chronicle

2 ottobre 2023, The Palestine Chronicle

Il Ministero delle Finanze palestinese ha smentito oggi quanto pubblicato dai media israeliani secondo cui il governo israeliano fornirebbe assistenza finanziaria all’Autorità Nazionale Palestinese

Il Direttore Generale delle Dogane, delle Accise e dell’Imposta sul Valore Aggiunto del ministero Louay Hanash ha affermato in una dichiarazione che l’attuale governo israeliano ha di fatto raddoppiato illegalmente le detrazioni unilaterali dal denaro dei contribuenti palestinesi, contrariamente a quanto va sostenendo la stampa israeliana.

Senza spiegazione

Hanash, responsabile della contabilità con la controparte israeliana, ha affermato che le detrazioni mensili da Israele sulle tasse vanno da 240 a 260 milioni di shekel israeliani (oltre 60 milioni di euro), equivalenti al 25% delle entrate dell’Autorità palestinese, sottolineando che Israele non fornisce dettagli o spiegazioni a riguardo.

Hanash ha affermato che Israele trattiene anche il 3% dei fondi di compensazione come commissione di riscossione, cioè oltre 35 milioni di shekel mensili (quasi 9 milioni di euro), aggiungendo che questa commissione ha superato i tre miliardi di shekel negli ultimi dieci anni.

Hanash ha sottolineato ciò che il Ministro delle Finanze Shoukry Bishara aveva chiesto all’incontro con i donatori tenutosi a New York il mese scorso, quando aveva ribadito le precedenti richieste palestinesi relative alla necessità di abolire completamente questa commissione sugli acquisti di carburante.

Nell’incontro Bishara aveva rafforzato la sua dichiarazione con i rapporti emessi dalla Banca Mondiale e dal Fondo Monetario Internazionale sulla necessità di annullare la commissione, poiché tutte le transazioni per quegli acquisti vengono effettuate elettronicamente e direttamente tra le società israeliane e l’Autorità Petrolifera Palestinese.

Ha osservato che non basta ridurre la commissione all’1,5%, additando la portata del “furto israeliano in questa procedura”.

Il ministro delle Finanze ha posto l’accento anche sulla richiesta di ridurre la commissione di riscossione che Israele impone su tutti gli altri beni in base al costo, affermando che la Banca Mondiale ha stimato, in uno dei suoi rapporti, che non dovrebbe superare un massimo dello 0,6%.

Durante l’incontro con i donatori Bishara ha affermato che risolvere anche solo cinque dei numerosi dossier finanziari in sospeso tra Israele e l’Autorità Palestinese consentirebbe di raggiungere l’equilibrio finanziario nel bilancio palestinese.

Ulteriori “detrazioni”

Nel contempo Hanash ha illustrato che da parte israeliana è stato trattenuto punitivamente e illegalmente un importo di 2,8 miliardi di shekel (circa 700 milioni di euro) a “compenso” di quanto l’Autorità Palestinese provvede alle famiglie delle persone colpite dall’occupazione israeliana e alle famiglie di martiri, prigionieri e feriti.

Ha affermato che queste detrazioni sono ancora in corso.

Inoltre, ha detto Hanash, Israele opera ogni mese delle detrazioni dai fondi palestinesi, sottolineando che questa politica è in corso da molti anni e costituisce una violazione di tutti gli accordi.

Ha rivelato che il governo israeliano ha recentemente aggiunto una trattenuta mensile di 20-30 milioni di shekel per i debiti della Jerusalem Electricity Company, nonostante si tratti di una società privata.

Comunque, ha aggiunto, l’Autorità Palestinese aiuta l’azienda a pagare i suoi prestiti, fornisce sovvenzioni per l’elettricità oltre a sostenere il pagamento delle bollette dei campi.

Hanash ha sottolineato che i tagli dimostrano chiaramente che Israele è responsabile della crescente crisi finanziaria dell’Autorità Palestinese, affermando che questi tagli sono il principale ostacolo allo sviluppo dell’economia palestinese.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)