I sionisti liberal hanno smesso di credere che Israele si redimerà da solo

Philip Weiss

22 agosto 2023 – Mondoweiss

Per anni la posizione dei sionisti liberal [progressisti e moderatamente di sinistra, ndt.] è stata: “Stiamo con il meglio della natura di Israele, che si redimerà da solo.” Quello che hanno ottenuto in cambio di questa convinzione sono fascismo, razzismo violento e occupazione.

Adesso ciò sta cambiando. Grazie all’arroganza e al fascismo del governo di Netanyahu, i sionisti liberal americani si stanno rivoltando contro Israele. Stanno denunciando l’“apartheid” israeliana e chiedono boicottaggio e sanzioni contro Israele per le sue violazioni dei diritti umani.

Ovviamente i palestinesi e gli antisionisti dicono queste cose da molti anni. I sionisti liberal lo possono fare ora perché altri ebrei gli stanno dando il permesso di dirle. Ma, qualunque cosa uno pensi di tali politiche etnocentriche, nella comunità ebraica è in corso un cambiamento significativo (e certamente avrà conseguenze all’interno del Partito Democratico e, in ultima analisi, sulla politica USA).

Guardiamo come stanno le cose.

In primo luogo, c’è stata quella lettera del 5 agosto di studiosi ebrei/israeliani secondo cui Israele pratica “apartheid”, “suprematismo ebraico” e pulizia etnica con il beneplacito dei dirigenti degli ebrei americani. Ed è ora che gli ebrei americani chiedano un cambiamento. La lettera è nota perché uno dei firmatari è Benny Morris, uno studioso che ha giustificato l’espulsione dei palestinesi da parte di Israele durante la Nakba [la pulizia etnica durante la guerra del 1947-49, ndt.] come necessaria per la creazione di Israele.

Ora la lettera ha più di 1.900 firme, tra cui quella del 97enne Yehuda Bauer, uno studioso israeliano dell’Olocausto e presidente onorario in pensione dell’International Holocaust Remembrance Alliance [Alleanza Internazionale per il Ricordo dell’Olocausto, composta da 24 Paesi, per lo più europei, ndt.], che ha emanato la falsa definizione di antisemitismo che include le dure critiche a Israele. E c’è il docente di filosofia Avishai Margalit dell’Università Ebraica, un amico di Michael Walzer ( che non ha firmato).

La Finestra di Overton [che definisce la gamma di idee accettabili nel dibattito sulle politiche pubbliche, ndt.] di una discussione accettabile si sta spostando rapidamente, evidenzia Peter Beinart [famoso editorialista e commentatore politico USA, ndt.], che ha firmato. Altri firmatari statunitensi sono Riva Hocherman, direttrice esecutiva di Metropolitan Books [importante casa editrice statunitense, ndt.], Dan Fleshler di Ameinu [organizzazione sionista legata al partito Laburista israeliano, ndt.], il rabbino Michael Lerner [politico e religioso californiano moderatamente critico con Israele, ndt.], David Nasaw, storico presso la CUNY [l’università della città di New York, ndt.], lo studioso Stephen Zunes [docente di relazioni internazionali contrario all’occupazione israeliana, ndt.] e il rabbino Arthur Waskow (mio collega studente al college della città di Baltimora).

All’inizio di questo mese, dopo che il parlamento israeliano ha sfidato le proteste di massa e ha votato per ridurre fortemente il potere della Corte [suprema] a favore del governo, vergogna riguardo a Israele, indignazione e richieste di agire sono argomenti di una discussione tra ebrei americani afflitti pubblicata da “Americans for Peace Now” [associazione USA affiliata all’omonima organizzazione pacifista israeliana, ndt.].

Queste sono alcune delle opinioni più taglienti:

Diane Blumson ha affermato che è tempo che i dirigenti dell’ebraismo statunitense chiamino Israele a rispondere delle violazioni dei diritti umani che risalgono a 75 anni fa:

“Provo una grande sofferenza e rabbia. Voglio sentire dai pulpiti di tutti i nostri rabbini e cantori che dobbiamo smettere di difendere Israele in quanto vittima come modo per giustificare le violazioni che hanno angariato i palestinesi fin dalla nascita dello Stato.”

Heidi Feldman ha osato condannare gli ignobili aspetti della formazione dell’identità ebraica:

“E’ come leggere la Bibbia, le parti imbarazzanti in cui gli israeliti sono bellicosi, insensibili, prepotenti e aggressivi sia nei confronti delle tribù attorno a loro che di chi tra loro è scettico. Non è l’ebraismo in cui io credo, io credo in un ebraismo in cui amiamo il nostro vicino, amiamo persino lo straniero.”

Harry Appelman ha invocato finalmente l’emancipazione dei palestinesi:

“Dobbiamo portare i cittadini palestinesi fuori dai margini e nel dibattito (e nell’elettorato), concentrando le proteste e le discussioni sull’occupazione.”

Anche Robert Snyder ha reso onore al potenziale politico dei palestinesi:

“(Dobbiamo) lavorare sempre più con i palestinesi all’interno di Israele e in Cisgiordania. Gli ebrei progressisti e liberal ora condividono molti interessi con i palestinesi all’interno di Israele e dovrebbero votare insieme per costruire una nuova maggioranza.” Ho più volte affermato che questo pensiero porta inevitabilmente a invocare uno Stato unico democratico e il BDS [movimento per il Boicottaggio, il Disinvestimento e le Sanzioni contro Israele, ndt.].

Questo è un ragionamento di Michael Rahimi a favore del boicottaggio:

“Domani vado a Tel Aviv a trovare i miei parenti e accomiatarmi da loro. Finché le cose non cambieranno non tornerò in Israele. Non posso più sopportare quello che il Paese è diventato ed è un crimine quello che ne hanno fatto negli ultimi 20 anni… Lo stanno trasformando in un abominio.”

Ci sono state varie richieste a Biden di agire. Sembra la posizione di J Street [associazione filo-israeliana moderatamente contraria all’occupazione e legata al Partito Democratico, ndt.]. Dannazione, Biden deve fare qualcosa. Ma cosa? Non lo sappiamo! Da un anonimo:

“Penso che tutti sappiamo che c’è bisogno della voce di Biden. Temo che finora la risposta di Biden sia stata piuttosto moderata.”

Elliot Feldman chiede delle sanzioni:

È finito il tempo in cui erano sufficienti i discorsi. Le azioni di Israele devono avere delle conseguenze. L’amministrazione Biden potrebbe iniziare tornando indietro rispetto alla dottrina Pompeo [ministro degli Esteri dell’amministrazione Trump, ndt.]. Potrebbe aprire un ufficio consolare a Gerusalemme est. Potrebbe ri-destinare parte dell’aiuto militare a Israele per ricostruire case, comunità e infrastrutture palestinesi. Potrebbe mostrare un’opposizione più vigorosa nei confronti dell’ambiguità di Israele riguardo all’Ucraina.”

Robert O. Freedman vede favorevolmente un colpo di stato militare!

“Finché questo processo non verrà fermato o da uno sciopero generale che blocchi il Paese… o persino da un colpo di stato da parte dei generali israeliani che non vogliono veder svanire il potere di deterrenza delle IDF [l’esercito israeliano, ndt.], il futuro di Israele sembra piuttosto cupo.”

Parecchie voci parlano di guerra civile: “Sento che lo scenario da incubo di ebrei contro ebrei è arrivato,” dice uno.

Ricordo che quando questo sito iniziò ad esistere le persone dicevano abitualmente a me e ad Adam Horowitz [direttore esecutivo di Mondoweiss, ndt.]: “Perché presentate ogni giorno cattive notizie su Israele, sembrate ossessionati.” E io rispondevo: “Beh, noi siamo ossessionati, questo è un grande problema ebreo/americano, ci impedisce di vedere il sole.” Quindi non ce ne staremo zitti e a volte essere dissonanti è una virtù. Oggi sembra che ogni minuto che passa abbiamo sempre più compagnia.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Un anno difficile aspetta 1,3 milioni di studenti palestinesi che tornano a scuola

Redazione di Palestine Chronicle (PC, WAFA)

22 agosto 2023 – Palestine Chronicle

Questa settimana e la prossima più di 1,3 milioni di minori palestinesi ritorneranno a scuola in Cisgiordania, incluse Gerusalemme Est e la Striscia di Gaza.

Questo sta accadendo durante un anno tumultuoso, ha affermato Lynn Hastings, la coordinatrice residente e umanitaria delle Nazioni Unite nel territorio palestinese occupato.

Le scuole dovrebbero essere un rifugio in cui i minori imparano, crescono e sono protetti. È dove le giovani menti sono incoraggiate a informarsi, esplorare e sviluppare tutto il loro potenziale. Ma per i minori nel territorio palestinese occupato, il 2023 è stato un anno molto brutto”, ha affermato in una dichiarazione citata dall’agenzia palestinese di notizie WAFA.

I minori hanno perso settimane di apprendimento quest’anno come risultato di prolungati scioperi dell’UNRWA [l’agenzia dell’ONU per i rifugiati palestinesi, ndt.] e degli insegnanti in Cisgiordania, della spirale [di violenza] di maggio a Gaza e delle operazioni delle forze israeliane nei campi profughi palestinesi in Cisgiordania,” ha affermato.

Quanto più tempo i minori perdono relativamente all’istruzione, più difficile sarà compensare e rimediare quella perdita; tutte le comunità ne sentiranno l’impatto.”

Ma diventa sempre peggio,” ha aggiunto la coordinatrice umanitaria delle Nazioni Unite.

Dall’inizio dell’anno 45 minori palestinesi sono stati uccisi, 35 in Cisgiordania inclusa Gerusalemme Est e altri sette nella Striscia di Gaza. In Cisgiordania il numero totale di bambini palestinesi uccisi quest’anno è quasi pari a quello dei bambini uccisi in tutto il 2022.”

Guerra contro i minorenni

La WAFA ha riferito che nei primi sei mesi del 2023 le Nazioni Unite hanno registrato più di 423 incidenti che hanno avuto un impatto sui minori palestinesi e sulla loro istruzione, incluse le forze israeliane che hanno sparato contro scuole o studenti, condotto operazioni e demolito scuole, i maltrattamenti da parte dei coloni e ritardi ai posti di controllo che hanno riguardato circa 50.000 minori.

Tre scuole sono state demolite dalle autorità israeliane negli ultimi 12 mesi, la più recente delle quali il 17 agosto, nel villaggio di Ein Samiya, solo pochi giorni prima dell’inizio del nuovo anno scolastico.

Cinquantotto altre scuole sono sottoposte a ordinanze di parziale o completa demolizione o di blocco dei lavori.

Tutti gli attori devono adempiere ai loro obblighi di proteggere i minori e di prevenire la loro esposizione ad ogni forma di violenza. L’accesso sicuro all’istruzione è un diritto fondamentale di tutti i minori e deve essere protetto e salvaguardato in tutti i momenti, e ovunque,” ha affermato Hastings.

Ha aggiunto:

E noi, come comunità internazionale, dobbiamo fare di più per assicurare che ci siano sufficienti risorse per l’autorità palestinese e l’UNRWA, e supportare il piano per la risposta umanitaria per fornire una istruzione regolare, sicura e di alto livello a tutti i minori palestinesi.”

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Adolescente palestinese ucciso in un raid israeliano al nord della Cisgiordania occupata

Redazione di Al Jazeera

22 agosto 2023 – Al Jazeera

Circa 50 palestinesi arrestati dalle forze israeliane, fra cui due sospettati di essere coinvolti nell’attacco armato di lunedì.

Le autorità sanitarie palestinesi hanno comunicato che durante un raid al nord della Cisgiordania occupata le forze israeliane hanno colpito e ucciso un adolescente palestinese.

Il ministero della Salute ha detto che Othman Abu Khoruj, 17 anni, è stato colpito alla testa e ucciso durante un attacco contro la città di Zababdeh, a sud di Jenin.

L’agenzia di stampa Wafa ha riferito che le forze israeliane sono entrate a Zababdeh per effettuare un arresto.

Yousef Sharqawi, un palestinese che lavora in un supermercato locale, ha detto ad Al Jazeera che 12 veicoli militari israeliani sono entrati in città per cercare il cugino più giovane, Yazan Sharqawi.

Hanno circondato due delle case della nostra famiglia, poi sono entrati per cercare Yazan,” ha affermato Sharqawi. “Suo padre ha detto che non era in casa e l’hanno costretto a telefonargli.”

Il più giovane dei Sharqawi, 24 anni, stava lavorando in una panetteria ed è stato subito arrestato appena arrivato a casa.

Un testimone ha riferito che, nello scontro che ne è seguito, mentre i giovani palestinesi stavano cercando di respingere i soldati israeliani, Othman Abu Khuroj è stato colpito due volte, una alla testa e la seconda alla spalla.

Atef, il padre di Abu Khuroj, stava lavorando nei campi quando ha sentito del ferimento del figlio.

Sono arrivato in ospedale e mi hanno detto che se ne era andato,” ha detto il cinquantasettenne. “Mio figlio lavorava in panetteria dalle 8 del mattino alle 7 di sera, l’ho visto il giorno prima. Scherzava, mi ha rubato una sigaretta, era il mio figlio minore.”

Othman, che come molti altri giovani palestinesi aveva dovuto lasciare la scuola per aiutare economicamente la famiglia, all’inizio dell’anno era stato incarcerato per un mese dagli israeliani.

Chiedi in paese, tutti gli volevano bene,” conclude il padre.

L’ala armata del Jihad islamico, la brigata al-Quds, ha rilasciato un comunicato in cui sostiene che Othman Abu Khuroj era uno dei suoi combattenti.

Ribadiamo che il sangue dei martiri alimenterà la nostra continua resistenza e che questi sacrifici fatti dai nostri eroici combattenti non saranno inutili,” si legge nella dichiarazione.

L’esercito israeliano ha detto che i suoi soldati hanno aperto il fuoco dopo che “ordigni esplosivi” erano stati lanciati verso di loro.

Una persona colpita è stata identificata,” si dice in una dichiarazione.

Le truppe israeliane compiono di routine dei raid in zone come Jenin, nominalmente sotto il controllo civile e di sicurezza dell’Autorità Palestinese del presidente Mahmoud Abbas.

Arresti e interrogatori

Nella Cisgiordania meridionale l’esercito israeliano ha catturato due palestinesi sospettati di aver sparato il giorno prima vicino ad Hebron contro un’auto uccidendo un colono israeliano e ferendone gravemente un altro.

In una nota l’esercito israeliano ha affermato che forze di esercito, del servizio di sicurezza dello Shin Bet e di commando della guardia di frontiera, noti come Yamam, insieme hanno arrestato i due sospettati che sono imparentati tra loro.

L’esercito israeliano ha detto che durante l’interrogatorio i due sospettati hanno confessato di essere coinvolti nell’attacco. Le forze di sicurezza israeliane hanno detto anche di aver confiscato il fucile usato per sparare contro l’auto lunedì.

I media palestinesi hanno identificato i due sospettati arrestati vicino a Hebron come Saqer e Mohammed al-Shantir.

L’attacco è avvenuto due giorni dopo l’uccisione di padre e figlio israeliani a un autolavaggio nella città cisgiordana di Huwara.

In questo caso, nonostante un’operazione di ricerca con raid di truppe nei villaggi e perquisizioni casa per casa, Israele non ha ancora arrestato nessuno.

L’esercito israeliano ha affermato di aver compiuto perquisizioni su larga scala e arresti in Cisgiordania nella notte di martedì.

Secondo il Club dei prigionieri palestinesi [una ong palestinese, ndt.] sono stati arrestati almeno 50 palestinesi, per la maggior parte ex prigionieri delle carceri israeliane.

Questa campagna di arresti è considerata una delle più vaste dall’inizio dell’anno,” dice una nota, precisando che le detenzioni sono accompagnate da “abusi sistematici, pestaggi di detenuti e delle loro famiglie, minacce e atti di vandalismo”.

La Cisgiordania occupata è scossa da violenze fin dall’inizio dell’anno scorso, con ripetuti attacchi mortali da parte dell’esercito e violenze dei coloni contro comunità palestinesi, come anche da una serie di attacchi di palestinesi contro bersagli israeliani.

Secondo le Nazioni Unite dall’inizio dell’anno sono stati uccisi più di 200 palestinesi, il numero di vittime più elevato dal 2005. Nello stesso periodo sono stati uccisi 30 israeliani.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Israele: il movimento dei coloni si sente più forte e assapora la possibilità di “ebraicizzare” la Galilea

Ben Lynfield – Ramat Arbel, Israele

21 agosto 2023 – Middle East Eye

Oltre alle colonie illegali nella Cisgiordania occupata gli attivisti di estrema destra vogliono formare maggioranze ebraiche in aree con grandi comunità di palestinesi provvisti di cittadinanza israeliana

Lestrema destra religiosa israeliana, galvanizzata dal governo più a destra della storia, sta portando avanti la sua campagna per ebraicizzare” aree con consistenti comunità palestinesi.

Mentre lattenzione internazionale è focalizzata principalmente sullespansione degli insediamenti coloniali nella Cisgiordania occupata, le aree con una vasta popolazione araba allinterno dei confini israeliani precedenti al 1967 [confini stabiliti con l’armistizio del 1949 e oltrepassati da Israele in seguito alla guerra dei sei giorni del 1967, ndt.] stanno diventando sempre più il fulcro di unoffensiva demografica.

Fa parte di queste aree la regione settentrionale della Galilea, che ospita un gran numero di palestinesi con cittadinanza israeliana presi di mira da attivisti aderenti alla stessa ideologia che cerca di espandere il processo di colonizzazione nella Cisgiordania occupata.

Gi insediamenti coloniali in Galilea, Giudea, Samaria e nel Negev sono tutti eccellenti”, ha detto a Middle East Eye lattivista di destra Orit Spitz. Hanno tutti lo stesso valore, fanno tutti parte della Terra dIsraele”.

Il termine Giudea e Samaria” è spesso usato dagli israeliani per descrivere la Cisgiordania occupata.

Seguendo lesempio dei coloni ebrei in Cisgiordania, più di un anno fa Spitz ha contribuito a creare un avamposto coloniale illegale vicino alla città araba di Eilabun, in Galilea.

In Cisgiordania tali avamposti sono legalizzati retroattivamente, soprattutto sotto lattuale governo, in cui il leader di estrema destra del partito Sionismo Religioso, Bezalel Smotrich, detiene un ampio potere. Sembra che ora stia cominciando ad accadere lo stesso in Galilea.

Il mese scorso il governo di Netanyahu ha deciso che Ramat Arbel, l’avamposto coloniale la cui realizzazione ha visto l’impegno di Spitz, diventerà una città.

Agli occhi del movimento dei coloni la città servirà come punto di partenza di una missione nazionale volta ad alterare l’attuale equilibrio tra ebrei e arabi all’interno della popolazione della Galilea e raggiungere nell’area una netta predominanza ebraica.

Dobbiamo riempire la Galilea [di coloni] perché attualmente è a maggioranza araba”, spiega Spitz.

Condivisione di interessi e ambizioni

Lidea di incrementare la presenza ebraica in Galilea non è nuova. Ma oggi è supportata da un governo israeliano più ricettivo alle richieste dellestrema destra che in qualsiasi altro momento della storia dello Stato.

La deferenza di Netanyahu verso l’estrema destra deriva da una condivisione di interessi e valutazioni. Egli ha bisogno del sostegno dellestrema destra per mantenere intatta la sua coalizione, mentre lestrema destra condivide il suo obiettivo politico centrale di rimuovere la facoltà della Corte suprema israeliana di controllare il potere della coalizione.

Con la neutralizzazione della Corte lestrema destra avrebbe una libertà ancora maggiore nell’espropriare i palestinesi in Cisgiordania e degradare lo status dei cittadini palestinesi allinterno di Israele.

Considerando il passato di destra radicale di Netanyahu e il fatto che abbia conferito legittimità allestrema destra prima e dopo le elezioni dello scorso anno i critici ritengono che sarebbe un errore pensare che abbia dei dubbi riguardo a questi obiettivi.

Tra le figure chiave del governo ci sono il leader di Potere Ebraico e ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben-Gvir, che ha fatto una campagna con la promessa di espellere gli “sleali” cittadini arabi e ebraici di sinistra, e il leader di Sionismo Religioso e ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, che ha invitato a cancellare” un villaggio della Cisgiordania, Huwwara, e ha minacciato di tagliare i finanziamenti alle località arabe.

È chiaro che questo governo sta intensificando gli atteggiamenti razzisti discriminatori che favoriscono la comunità ebraica”, afferma Yousef Jabareen, ex membro della Knesset [parlamento israeliano, ndt.].

Quest’ultimo usa il termine apartheid strisciante” per descrivere misure governative tra cui lapprovazione di un disegno di legge che aumenta il numero di comunità ebraiche che possono escludere di fatto i cittadini arabi dalla residenza.

Il 1° agosto Ben-Gvir e altri “guru” dell’estrema destra, tra cui il deputato Aryeh Kellner del partito Likud di Netanyahu, hanno preso parte ad una celebrazione della decisione del governo di promuovere [la fondazione di] Ramat Arbel. Uno Spitz sorridente osservava i politici di sesso maschile ballare con i giovani coloni religiosi.

Un altoparlante annunciava che Ramat Arbel sarebbe diventata una grande città”. Ma non tutti gli ebrei che vivono nelle vicinanze sono entusiasti di questa prospettiva, soprattutto perché persone come Ben-Gvir sono considerati da molti come acerrimi nemici per aver sostenuto il tentativo di Netanyahu di accrescere i suoi poteri, come evidenziato da politiche come la riforma giudiziaria.

Spitz e i politici hanno affermato che Ramat Arbel è solo il primo seme di quella che il governo chiama la “ebraicizzazione della Campagna della Galilea”. I cittadini palestinesi affermano che liniziativa è unulteriore manifestazione del suprematismo e razzismo ebraico.

Secondo Spitz e Moshe Solomon, membro della Knesset per il partito Sionismo Religioso, è prevista la costruzione di una serie di nuove comunità ebraiche. Ciò mentre i cittadini palestinesi si trovano ad affrontare la scarsa disponibilità di terra, i tagli al bilancio e la mancanza di piani regolatori, fattori che hanno come conseguenza la demolizione delle case.

Nel sud il governo rifiuta di riconoscere i villaggi beduini e allinizio di questa settimana nel villaggio di Ras Jrabah centinaia di beduini hanno ricevuto lavviso che avrebbero dovuto lasciare le loro case per far posto alla costruzione di un quartiere a maggioranza ebraica nella città di Dimona [città israeliana adiacente a Ras Jrabah, ndt.]

Qui la maggioranza non è ebraica’

A Ramat Arbel, mentre i politici ballavano, più di un migliaio di manifestanti antigovernativi provenienti dalle zone ebraiche vicine hanno manifestato contro la presenza di politici di estrema destra. Sventolando bandiere israeliane gridavano Vergogna”, suonando corni e tamburi per sovrastare i canti festosi.

Ma dal frastuono affiorava, a mo’ di incitamento, una delle canzoni preferite dei coloni della Cisgiordania: Ti espanderai verso il mare, lest, il nord e il sud”. Daniella Weiss, un’influente leader dei coloni della Cisgiordania, scattava delle foto.

Questi sono momenti esaltanti per i membri della destra religiosa come Weiss. Recentemente lesercito ha permesso al suo gruppo Nachala di rioccupare un insediamento coloniale vicino alla città di Nablus, in Cisgiordania, su quella che secondo le organizzazioni per i diritti umani è una proprietà privata palestinese rubata.

I danzatori sorreggevano un cartello con l’emblema di Nachala, una mappa che comprende tutto il territorio che va dalla penisola egiziana del Sinai, Israele, i territori occupati, alla Giordania, la Siria e l’Iraq.

Solomon si è preso una pausa dalle danze per rispondere alle domande su dove sta andando la Galilea sotto il governo di estrema destra.

La ebraicizzazione della Galilea è un valore supremo. C’è un consenso nella società israeliana sulla colonizzazione, e sulla ebraicizzazione della Galilea. È un’area molto significativa. Siamo stati qui fin dai tempi della Bibbia ma con nostro rammarico qui la maggioranza non è ebrea”, ha detto Solomon allorgano di informazione australiano Plus61J Media.

Riferendosi ai cittadini palestinesi di Israele, dice: la loro presenza non è un problema ma vogliamo stabilirci qui, fondare colonie e portare le famiglie in questo bellissimo posto affinché ci siano abbastanza ebrei che possano vivere in pace.

Chiunque viva qui e non è ebreo va perfettamente bene finché non danneggi gli ebrei”, afferma Solomon.

Aggiunge che è importante che la Galilea abbia unaimpronta” ebraica.

Dove c’è una colonia ci sarà un’impronta ebraica. Dove c’è l’agricoltura ci sarà un’impronta ebraica. Dove passa laratro ci sarà un’impronta ebraica”.

Solomon sostiene che Israele fu costretto a lasciare la Striscia di Gaza e le aree della Cisgiordania settentrionale perché gli insediamenti coloniali ebraici lì non erano abbastanza forti. I luoghi in cui non eravamo abbastanza presenti ci sono stati portati via”, dice.

Più ebrei ci saranno qui, più ci saranno lavoro, cultura, istruzione e sicurezza”, aggiunge.

Ma gli arabi in Israele si sentono già più insicuri, preoccupati per i segnali che indicano che la coalizione è intenzionata ad attuare la legislazione razzista del 2018, la Legge sullo Stato Nazione che ha consacrato linsediamento coloniale ebraico come valore nazionale e che ai loro occhi, e a quelli dei critici, ha formalizzato lo status degli arabi come cittadini di seconda classe.

Quando non si lavora per migliorare le condizioni di vita dei villaggi e città esistenti e si creano nuove città e insediamenti coloniali moderni, questa è discriminazione”, afferma Reem Hazzan, leader di Arab Hadash, principale partito nella città settentrionale di Haifa.

Questo per non parlare del fatto che nella per la nostra memoria collettiva queste terre furono confiscate e appartenevano ai palestinesi. Invece di godere congiuntamente di queste terre, il loro usufrutto va esclusivamente agli ebrei”.

Anche Amir Wohl, uno dei manifestanti ebrei contro Ben-Gvir, esprime inquietudine.

“Sono preoccupato per una presa di potere da parte dei fondamentalisti ebrei. Ogni volta che i ministri vengono al nord, noi protestiamo contro di loro. Vogliamo vivere in una democrazia e loro vogliono uno Stato di diritto ebraico ortodosso senza arabi.”

Di Ramat Arbel, Wohl dice: Questa è solo una provocazione. Ci sono già molti insediamenti per ebrei in Galilea”.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Israele prende di mira gli operatori del pronto soccorso palestinese nella Cisgiordania occupata

Redazione di Al Jazeera

20 agosto 2023 – Al Jazeera

Le Nazioni Unite dicono che quest’anno 77 operatori sanitari sono stati feriti e 30 ambulanze sono state danneggiate mentre cercavano di soccorrere i palestinesi.

Il più recente attacco israeliano dello scorso mese contro il campo profughi di Jenin, nella zona settentrionale della Cisgiordania occupata, è stato descritto come un “massacro” da funzionari e abitanti locali e condannato dalle Nazioni Unite, ma è lungi dall’essere unico per ampiezza e crudeltà.

Sabato, in occasione della Giornata Mondiale dell’aiuto umanitario, la coordinatrice umanitaria dell’ONU Lynn Hastings ha rilasciato una dichiarazione in cui si dice che 77 operatori sanitari sono stati feriti e 30 ambulanze sono state danneggiate durante attacchi, proteste o anche solo in giorni normali.

Hastings ha precisato che il primo soccorso è costituito da ong con volontari, medici, infermieri, addetti comunali e altri che spesso rischiano le proprie vite mentre portano aiuto.

Hastings continua dicendo che sono ostacolati “dall’occupazione israeliana, da divieti di spostamento, divisioni politiche, conflitti ricorrenti e persino dai tentativi di denigrare il loro lavoro”.

Nel corso di vari anni innumerevoli testimoni sul campo hanno documentato deliberate azioni israeliane che prendono di mira gli addetti al soccorso che non mostrano di volersi fermare.

Personale medico bersagliato

Omar Azzam, coordinatore legale degli aiuti umanitari internazionali presso la società palestinese della Mezzaluna Rossa ha riferito ad Al Jazeera che dall’inizio del 2023 ad oggi ci sono state 193 reati delle forze israeliane a danno del personale medico nella Cisgiordania occupata.

Continua poi dicendo che si tratta di aggressioni dirette sul campo, attacchi contro ambulanze, accessi vietati e ostruiti e feriti e malati presi di mira.

Solo a luglio sono stati registrati 10 attacchi diretti contro il personale medico, con uso di gas e proiettili veri, come nel caso di un volontario nel campo di Askar che stava offrendo assistenza” afferma Azzam “Aveva con sé un badge, ma gli hanno sparato a un piede, quindi intenzionalmente.”

A Gerusalemme il team di Azzam ha documentato 314 casi fino alla fine di giugno in cui al pronto soccorso è stato impedito di andare sul posto o sono stati costretti a cambiare veicolo senza tenere in considerazione la salute dei pazienti.

Hanno anche riferito di 80 casi di paramedici a cui le forze israeliane hanno negato completamente l’accesso ai feriti e 41 casi in cui hanno subito ritardi o sono stati ostacolati.

Inoltre nove pazienti sono stati rapiti mentre ricevevano cure mediche, cosa avvenuta persino dentro le ambulanze.

Azzam ha detto che durante il raid più recente a Jenin “un paziente, in condizioni critiche, è stato interrogato dentro l’ambulanza e poi, dopo che i paramedici sono stati aggrediti, è stato arrestato e trasferito su un veicolo militare di pattuglia.”

Strisciavo per terra’

Hamza Abu Hajar, un volontario della società palestinese di soccorso medico a Nablus, ha pagato un caro prezzo durante i sei anni in cui ha prestato assistenza.

Il ventisettenne ha detto ad Al Jazeera che lo scorso dicembre durante un raid israeliano a Nablus gli hanno sparato al petto con proiettili veri ed è rimasto tra la vita e la morte in un reparto di terapia intensiva per parecchi giorni.

Otto mesi dopo sto ancora soffrendo per le complicanze causate dalle pallottole entrate nel petto e uscite dalla schiena,” ha continuato.

Nel corso degli anni ho subito varie aggressioni da parte delle forze di occupazione. e sono stato colpito da proiettili, lacrimogeni e bombe assordanti per impedirmi di raggiungere i feriti, o sono stato attaccato persino da pattuglie dell’occupazione.”

Lo scorso mese le forze israeliane hanno sparato ad Amir Ahmad Amir, un volontario della Mezzaluna Rossa a Nablus.

Il venticinquenne, diventato padre tre mesi fa, era al campo profughi di Askar a Nablus per cercare di prestare assistenza medica a un minore quando i cecchini israeliani gli hanno sparato tre volte ad entrambe le gambe.

A carponi ho cercato di raggiungere un muro ma mi sparavano contro direttamente e deliberatamente. Alcuni hanno sparato alle scarpe che indossavo,” ha detto ad Al Jazeera dall’ospedale dove sarà operato per danni neurologici.

Dopo l’operazione di luglio a Jenin Israele ha detto che “garantisce l’assistenza umanitaria e non applica alcun limite all’accesso del personale medico, eccetto in luoghi dove le loro vite sono in pericolo a causa di uno scontro a fuoco”.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Basta ai palestinesi poter accedere alle proprie terre due volte all’anno?

Amira Hass

20 agosto 2023 Haaretz

L’Alta Corte di Israele ha respinto la petizione degli abitanti del villaggio di Anin per poter lavorare i propri terreni oltre il muro di separazione ogni giorno, ed ha stabilito che due volte a settimana fosse sufficiente. Ora l’esercito israeliano dice che gli agricoltori potranno accedere ai propri terreni solo due volte all’anno.

I contadini del villaggio di Anin vogliono lavorare la propria terra ogni giorno, perciò hanno chiesto che il varco nella barriera di separazione che divide i loro campi dal villaggio venisse aperto quotidianamente, non due volte a settimana. Hanno inoltrato questa richiesta nel 2007, circa cinque anni dopo che Israele ha costruito il muro sulla loro terra, ma è stata respinta.

Un anno fa hanno nuovamente fatto la richiesta, di nuovo rifiutata e in marzo hanno presentato una petizione all’Alta Corte di Giustizia. Allora l’esercito ha informato loro e la Corte che in realtà sta programmando di rendere “stagionale” l’apertura del varco: invece di due volte alla settimana, verrà aperto due volte all’anno per l’aratura e la raccolta delle olive. E se i contadini sono così desiderosi di recarsi sul proprio terreno ogni giorno potranno guidare per 25 chilometri, sia per andare che per tornare, attraverso un altro varco. Quindi l’Ufficio del Procuratore di Stato ha raccomandato alla Corte di respingere la petizione.

I giudici non hanno nemmeno tenuto un’udienza con i richiedenti e la loro avvocata, Tehila Meir dell’associazione israeliana per i diritti HaMoked. Nella prima settimana di agosto hanno semplicemente emesso la sentenza: due giorni alla settimana sono ampiamente sufficienti, ha scritto la giudice Ruth Ronnen in accordo con i suoi colleghi Yael Willner e Alex Stein. Se davvero il varco diventasse stagionale i richiedenti potrebbero tentare un ricorso legale, ha precisato.

Dei circa 17.000 dunam (4.200 acri) del villaggio in Cisgiordania, 11.000 sono incastrati tra il muro di separazione e la Linea Verde, in un’enclave di 31.000 dunam. E’ l’enclave di Barta’a, che ospita 7.000 palestinesi in sette villaggi, il più grande dei quali è la stessa Barta’a. Ci vivono anche circa 3.000 coloni in quattro insediamenti; c’è pure una zona industriale israeliana.

E’ difficile dire che è la Cisgiordania e non Israele. I lavori di costruzione e altri lavori per lo sviluppo nei villaggi palestinesi sono pesantemente limitati. I palestinesi che non vivono nell’enclave sono impossibilitati ad entrare, anche se pochi privilegiati ricevono un permesso speciale. Sono i residenti dei villaggi ad est del muro, i cui terreni si trovano ad ovest del muro di cemento (fino a poco tempo fa una staccionata), come gli abitanti di Anin.

Viaggio estenuante, lunga attesa

I soldati aprono il varco a Anin solo il lunedì e il mercoledì e solo due volte al giorno per brevi periodi: dalle 6,50 alle 7,10 del mattino e dalle 15,50 alle16,10 del pomeriggio. Il varco si trova a 5 minuti di cammino dalle case dei richiedenti e la loro terra dista dai 5 ai 20 minuti dal varco.

Prima del 1948 Anin aveva 45.000 dunam”, dice al telefono a Haaretz il capo del consiglio del villaggio Mohammed Issa. Circa 27.000 di essi sono finiti in Israele. Dal 2002 la maggior parte della terra coltivabile che ci è rimasta è al di là del muro. Ogni famiglia ha il terreno là.”

Ottenere un permesso per entrare nei terreni coltivabili è una procedura molto complicata; i permessi sono concessi solo agli abitanti i cui documenti di proprietà soddisfano le condizioni dell’Amministrazione Civile israeliana in Cisgiordania. Inoltre occorre provare la parentela diretta con i proprietari (cioè coniugi e figli; i nipoti non ottengono i permessi). Tutto ciò è sottoposto ad un rigoroso controllo burocratico e di sicurezza. Il permesso va rinnovato ogni pochi mesi, ogni anno o ogni due anni, a seconda del tipo di permesso.

Gli abitanti di Anin che fanno la procedura attraverso il controllo dell’Amministrazione Civile e il servizio di sicurezza dello Shin Bet possono raggiungere la loro terra attraverso il varco di Barta’a, 25 chilometri a sud. Questo varco è aperto tutti i giorni, ma è un viaggio di circa un’ora e mezza da Anin e la strada è in parte costituita da pista sterrata che solo un trattore o un veicolo fuoristrada possono percorrere.

Questo lontano posto di blocco è utilizzato da centinaia di palestinesi di altri villaggi che vivono nell’enclave di Barta’a o hanno dei permessi per attraversarla, perciò per passare di là vi sono lunghe attese specialmente al mattino – il momento migliore per l’attività agricola.

Tanto per cominciare, passare con un trattore richiede un permesso che spinge i richiedenti ad una corsa a ostacoli burocratica. I contadini che portano attrezzi da lavoro attraverso il varco di Barta’a devono subire un lungo controllo di sicurezza – e poi, dopo circa due ore in strada, devono tornare di nuovo verso nord per guidare fino al loro terreno che è a portata di vista e di cammino dalle loro case.

Anche gli alti costi del viaggio spaventano i richiedenti: 80 shekel (21,20 dollari) al giorno con il proprio veicolo, oppure 60 shekel al giorno col trasporto pubblico, che non è disponibile a tutte le ore del giorno.

Tutte queste argomentazioni, dettagliate nella petizione da Meir di HaMoked, non hanno convinto i giudici. Ronnen si è allineata all’esercito e all’Amministrazione Civile in ogni aspetto, affermando che “le uniche colture attualmente esistenti nei terreni sono uliveti che richiedono una coltivazione solo stagionale durante le stagioni dell’aratura e della raccolta.” Ha aggiunto che “i richiedenti non contestano questa affermazione”.

Invece i richiedenti la hanno contestata. Una replica di Meir alla risposta dell’Ufficio del Procuratore di Stato alla petizione afferma che prima della costruzione del muro di separazione i contadini del villaggio coltivavano cereali come grano e frumento e verdure come pomodori, cipolle, sesamo e cetrioli. La costruzione del muro e la limitazione dei giorni in cui si può attraversarlo hanno costretto gli agricoltori a rinunciare alle colture che necessitano di irrigazione, cura e sorveglianza quotidiane, ha detto Meir.

La linea dura della Corte

Durante una visita al varco a maggio, su iniziativa dell’esercito e dell’Ufficio del Procuratore di Stato dopo che è stata presentata la petizione, gli agricoltori hanno spiegato la situazione agli alti funzionari, come documentato da Meir, che ha partecipato all’incontro con altre persone di HaMoked. Meir ha allegato alla sua risposta un parere di Bimkom, un’associazione israeliana per i diritti che perora l’uguaglianza nella pianificazione ed ha lavorato per molti anni con le comunità palestinesi nell’enclave di Barta’a.

Fornendo dati e fotografie aeree, Bimkom dimostra che molti degli appezzamenti di terra di Anin, che prima del 2000 erano intensamente coltivati, sono inariditi a causa delle restrizioni all’ingresso. Gli alberi negli uliveti di Anin, che non necessitano di irrigazione, sono meticolosamente curati.

Alla domanda se gli abitanti del villaggio sperassero di tornare a coltivare verdura, grano e cereali, Issa, il capo del consiglio del villaggio, ha risposto a Haaretz: “Adesso stiamo parlando di come mantenere e salvare ciò che abbiamo, gli alberi che abbiamo.”

E’ indignato dalla sentenza secondo cui il varco sarà aperto solo due volte all’anno. “Una mandria di buoi (da un vicino villaggio israeliano nell’area di Wadi Ara) raggiunge i nostri alberi e li danneggia, perciò dobbiamo essere là ogni giorno”, ha detto Issa.

Il timore è che ciò che succede in altri luoghi dove l’esercito e l’Amministrazione Civile concede l’ingresso ai contadini solo due o tre volte all’anno avverrà anche ad Anin: gli uliveti verranno invasi dai cardi selvatici e devastati da frequenti incendi boschivi e la loro produzione diminuirà drasticamente.

Nella loro risposta alla petizione gli avvocati dell’Ufficio del Procuratore di Stato, Yael Kolodny e Jonathan Berman, hanno sostenuto a nome dell’esercito e dell’Amministrazione Civile che il varco viene usato dagli abitanti di Anin con permessi agricoli soprattutto per entrare senza autorizzazione in Israele. Hanno detto di sostenere questo sulla base di un filmato di un drone e di una improvvisa visita al varco alla fine di marzo, quando sono state interrogate le persone che lo attraversavano. Hanno detto che molti avevano con sé un cambio di abiti e alcuni erano “vestiti elegantemente”. Nessuno aveva attrezzi da lavoro, hanno aggiunto gli avvocati.

In risposta i contadini hanno detto a Meir che alcuni di loro effettivamente escono di casa in abiti puliti e si cambiano in tenuta da lavoro, che indossano anche per riparare veicoli, per costruire, per tinteggiare le case e svolgere altre attività. Inoltre i lavoratori che attraversano il varco normalmente lasciano i loro attrezzi nell’appezzamento piuttosto che portarli avanti e indietro. Meir ha scritto, citando Bimkom, che gli uliveti curati dimostrano che i contadini si recano regolarmente dove sono gli alberi e se ne prendono cura con dedizione.

Quanto al filmato del drone, Meir ha scritto che è stato ripreso in Cisgiordania e non mostra nessuno che entra in Israele. I richiedenti, che hanno notato il drone, dicono che il filmato è selettivo, mostra persone che salgono nelle auto (che secondo l’esercito le portano in Israele), ma non mostra quelli che continuano a piedi fino ai loro appezzamenti. I richiedenti aggiungono che alcuni contadini trovano dei passaggi in auto israeliane (di proprietà di palestinesi cittadini dello Stato) per arrivare più in fretta ai loro terreni.

Meir ha detto a Haaretz che la sentenza mostra un drastico peggioramento nel rispetto da parte della Corte degli obblighi dello Stato verso i palestinesi danneggiati dal muro di separazione. Ha sottolineato che la Corte ha approvato la costruzione del muro all’inizio del 2000 dopo che lo Stato si è impegnato a ridurre i danni ai palestinesi separati dai loro terreni al minimo indispensabile, consentendo loro un accesso ragionevole alle loro terre.

Ora che accade che l’accesso non sia ragionevole, la Corte respinge l’appello dei contadini senza un’udienza, ha precisato. “E’ triste vedere quanto poco costi considerare giustificabile danneggiare i diritti umani dei palestinesi che cercano di lavorare i propri terreni”, ha detto Meir.

HaMoked ha anche evidenziato un altro inquietante aspetto della sentenza: i giudici hanno stabilito che queste terre “formalmente” appartengono all’ “area di Giudea e Samaria”, la Cisgiordania, che è occupata da Israele dal 1967. Questa affermazione indica che nella sostanza, al contrario che nella forma, questo territorio palestinese, noto in gergo militare come “zona di congiunzione”, non fa parte dell’ “area di Giudea e Samaria.”

Così c’è soltanto un passo tra la sentenza della Corte ed il suo assenso all’annessione della terra oltre il muro. I giudici sanno bene che solo gli israeliani e i turisti stranieri hanno libero accesso a questa area, mentre i palestinesi ne sono del tutto impediti, e che solo le colonie e l’Amministrazione Civile vi possono mettere in atto piani edilizi, mentre le autorità locali palestinesi, che posseggono questa terra, non possono. Del resto la Corte ha approvato questo stato di cose nel 2011.

Fondamentalmente oltre 500 chilometri quadrati di terra (9,4% dell’intera Cisgiordania) sono imprigionati tra il muro di separazione e la Linea Verde. Quindi la realtà è che un’enorme fetta di terra è stata sostanzialmente annessa ad Israele senza una dichiarazione “formale”.

Per adempiere alla promessa dello Stato di permettere ai contadini di lavorare la propria terra sono stati costruiti 79 varchi nel muro di separazione. Solo cinque sono aperti tutto il giorno, 11 sono aperti per poco tempo due o tre volte al giorno e 10 sono aperti per alcuni brevi intervalli due o tre giorni alla settimana.

Con la chiusura del varco di Anin questo numero scenderà a 9 e il varco di Anin si aggiungerà a 53 altri “varchi stagionali”, aperti solo alcuni giorni all’anno per l’aratura, la raccolta e a volte per diserbare. La gente di Anin ha tempo fino a lunedì per fare appello contro la decisione di chiudere il loro varco.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Due israeliani sono stati uccisi in un attacco con armi da fuoco in Cisgiordania

Redazione di MEE

19 agosto 2023- Middle East Eye

L’ incidente mortale è avvenuto vicino alla città palestinese di Huwwara, teatro di recenti attacchi selvaggi da parte dei coloni israeliani.

L’esercito ha dato la notizia che due israeliani sono stati uccisi sabato da presunti palestinesi armati nella Cisgiordania occupata.

La sparatoria è avvenuta vicino alla città settentrionale di Huwwara, teatro di numerosi attacchi selvaggi da parte di coloni ebrei israeliani negli ultimi mesi.

I servizi di emergenza israeliani hanno detto che un uomo sulla trentina e un uomo sulla sessantina sono stati colpiti da due aggressori in un autolavaggio. Non si conoscono ancora le identità degli assalitori. Secondo i primi resoconti citati dai media israeliani, l’attacco avrebbe avuto “motivazioni criminali”.

L’esercito israeliano comunica di aver chiuso diverse strade nella zona e che è in corso una caccia all’uomo.

Huwwara, che gli israeliani attraversano per raggiungere gli insediamenti illegali, è diventata quest’anno un punto critico a seguito dei precedenti attacchi mortali contro israeliani e delle violente incursioni dei coloni israeliani “in cerca di vendetta”.

A febbraio a Huwwara e in altre città e villaggi della Cisgiordania un palestinese è stato ucciso e quasi 400 feriti sotto la furia dei coloni, come riportato dai funzionari sanitari palestinesi.

I coloni hanno bruciato almeno 35 case, ne hanno parzialmente danneggiate altre 40 e molti edifici sono stati dati alle fiamme mentre i loro abitanti palestinesi si erano rifugiati all’interno.

Inoltre più di 100 auto sono state bruciate o distrutte in altro modo.

Negli ultimi due anni la Cisgiordania ha registrato un picco della violenza a seguito dell’aumento delle incursioni israeliane e degli attacchi dei coloni.

Solo questa settimana due palestinesi sono morti per le ferite riportate in precedenza durante i raid delle forze israeliane.

Secondo un conteggio di Middle East Eye in un anno almeno 215 palestinesi sono stati uccisi dal fuoco israeliano, tra cui 37 minori: un tasso di quasi una vittima al giorno.

Da gennaio in Cisgiordania e a Gerusalemme Est sono morte in totale 179 persone, rendendo il 2023 uno degli anni più sanguinosi nella Palestina occupata. Altre 36 persone sono state uccise nella Striscia di Gaza.

Nel frattempo i palestinesi, nello stesso periodo, hanno ucciso 28 israeliani, tra cui sei minori.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Truppe israeliane uccidono due palestinesi, di cui un minorenne, nel corso di un raid a Gerico

Redazione di Middle East Eye

15 agosto 2023 Middle East Eye

Qusai al-Walaji, 16 anni, e Mohammed Najum al-Omar, 25 anni, uccisi a colpi d’arma da fuoco nell’ultima operazione militare nel campo profughi di Aqbat Jabr.

Il Ministero della salute palestinese ha dichiarato che martedì mattina le truppe israeliane hanno ucciso due palestinesi nel corso di un raid nel campo profughi di Aqbat Jabr, nella città occupata di Gerico, in Cisgiordania.

Qusai al-Walaji, 16 anni, e Mohammed Najum al-Omar, 25 anni, sono stati colpiti da proiettili veri dopo che le forze israeliane hanno preso d’assalto il campo con violente irruzioni in diverse case e arresti degli abitanti.

Walaji e Omar sono stati portati al Jericho Government Hospital, dove poco dopo sono stati dichiarati morti.

“Due giovani sono stati portati d’urgenza in ospedale con dei proiettili nel torace”, ha riferito alla Reuters il direttore dell’ospedale.

Durante il raid sono scoppiati scontri armati tra gli abitanti del campo e le forze israeliane, ma non è chiaro se i due uomini fossero coinvolti, hanno detto i residenti a Reuters.

Secondo la Associazione dei Prigionieri Palestinesi di Gerico durante l’operazione le forze israeliane hanno arrestato un palestinese di 20 anni.

Aqbat Jabr ospita circa 30.000 persone ed è in termini di superficie il più grande campo profughi della Cisgiordania occupata.

Venne istituito nel 1948 per ospitare i rifugiati sfollati in seguito alla Nakba, o catastrofe, quando 750.000 palestinesi furono espulsi per far posto alla costituzione dello Stato di Israele.

Ultimissima irruzione nel campo di Aqbat Jabr

Negli ultimi mesi il campo è stato un obiettivo regolare dei raid militari israeliani, nonostante Gerico sia una città turistica meno soggetta alla violenza israeliana rispetto ad altre parti della Cisgiordania.

A febbraio soldati israeliani hanno ucciso cinque membri del gruppo di resistenza Brigata Aqbat Jabr durante quello che è stato descritto come un “raid di 15 minuti”.

Da allora sono stati uccisi nel campo dalle forze di sicurezza israeliane altri quattro palestinesi, tra cui due minorenni: il diciassettenne Jibril Muhammad al-Lada’a e il quindicenne Mohamed Faiz Balhan.

Il raid di martedì porta a 11 il numero di palestinesi uccisi quest’anno dalle forze israeliane nel campo profughi.

Middle East Eye ritiene che quest’anno almeno 212 palestinesi, di cui 37 minori, siano stati uccisi dal fuoco israeliano: un tasso di quasi un decesso al giorno.

Quest’anno sono morte in Cisgiordania e Gerusalemme Est 176 persone in totale, rendendo il 2023 uno degli anni più sanguinosi nei territori palestinesi occupati. Altre 36 persone sono state uccise nella Striscia di Gaza.

Nel frattempo nello stesso periodo i palestinesi hanno ucciso 26 israeliani, di cui sei minori.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




I coloni volevano il potere supremo. Hanno invece avuto una ribellione

Meron Rapoport

15 agosto 2023 +972

Il movimento religioso sionista da due decenni è largamente penetrato nello Stato e nella società israeliani. La riforma giudiziaria potrebbe far crollare tutto.

Sembra strano se si pensa che alla vigilia delle ultime elezioni israeliane Benjamin Netanyahu e il suo partito Likud non hanno dato molto peso alla riforma giudiziaria che sta ora dilaniando il Paese. In effetti, il partito non ha fatto campagna elettorale sulla riforma e il Primo Ministro vi ha appena fatto cenno nella prima riunione di governo dopo le elezioni.

Che il graduale disfacimento del sistema giudiziario sarebbe stato l’ultimo disperato tentativo di Netanyahu di evitare il possibile carcere per i suoi scandali di corruzione è ormai risaputo. Ma il vero motore dietro la riforma non è mai stato il Likud: era e rimane il progetto di punta del settore nazional-religioso, su cui si è concentrata l’agenda del Partito Religioso Sionista (PRS) che cerca di “riavviare il sistema legale”.

Nei giorni che hanno preceduto le elezioni il capo del PRS Bezalel Smotrich e il presidente del Comitato Costituzione, Legge e Giustizia della Knesset Simcha Rothman hanno resa nota quasi ogni singola clausola di quella che sarebbe diventata la riforma presentata dal ministro della Giustizia Yariv Levin. I due sono stati estremamente franchi sull’annullamento della clausola di ragionevolezza [conseguente al principio di uguaglianza impone che le disposizioni normative siano adeguate o congruenti al fine, ndt.], sulla politicizzazione dei consulenti legali del governo, sulla subordinazione del comitato per la nomina dei giudici ai capricci dei politici e, naturalmente, sulla clausola di deroga [in base alla quale una norma giuridica non trova applicazione oppure viene disapplicata in luogo di altra norma, ndt.]

Smotrich e Rothman non si sono preoccupati di nascondere i motivi razzisti e suprematisti della loro proposta di riforma. Attraverso la clausola di deroga, che consentirebbe alla Knesset di ribaltare con una maggioranza semplice qualsiasi decisione emessa dalla Corte Suprema, il governo potrà, secondo il suo programma, “rimandare gli intrusi [cioè i richiedenti asilo africani] al loro paesi di origine utilizzando il metodo della ‘selezione naturale’ [non si spiega cosa si intenda con questa asserzione biologica]; emanare una legge sulla coscrizione [per esentare gli ultra-ortodossi dal servizio militare]; rimettere in vigore la legge di regolarizzazione [emanata nel 2017 e revocata dalla Corte Suprema nel 2020, ndt.] che correggerà un’ingiustizia di lunga data e consentirà di legalizzare le colonie israeliane in Giudea e Samaria, stabilite in buona fede e con il coinvolgimento del Governo su terreni privati [palestinesi], fornendo un equo risarcimento a coloro che dimostrano dei diritti su quelle terre; emanare una legge di conversione di Stato [collegata alla legge sul ritorno per gli ebrei, ndt.] che impedirà l’assimilazione [agli ebrei] e la minaccia di una politica di immigrazione, e altro ancora “.

Contrariamente a quanto i suoi sostenitori possano affermare oggi, la riforma non riguarda ciò che Rothman ha chiamato in seguito “riparare le tubature”. È invece un’ambiziosa revisione che è stata progettata, prima di tutto, per stabilizzare l’apartheid nei territori occupati e sancire la supremazia religiosa e nazionale ebraica all’interno di Israele.

Proprio perché la riforma giudiziaria è in gran parte un progetto del movimento dei coloni – Rothman vive in un avamposto illegale a Gush Etzion e Smotrich a Kedumim nel nord della Cisgiordania – dovrebbe sorprendere che Makor Rishon, il giornale più identificato con la destra dei coloni, si sia espresso a favore di un blocco totale della riforma giudiziaria. “Con il consenso o senza il consenso, con la parola o con il silenzio, la riforma deve essere abbandonata”, ha scritto Hagai Segal, redattore del giornale e fino a poco tempo fa caporedattore. “Dobbiamo abbandonarla immediatamente e annunciare alla nazione: stiamo fermando tutto”.

Le parole di Segal sono state riprese da altri giornalisti di Makor Rishon. Suo figlio, Amit Segal, uno dei giornalisti più influenti del Paese, è arrivato persino a scrivere che Netanyahu è stato “trascinato” nella riforma dal Ministro della Giustizia Levin. Nel frattempo, in seguito all’approvazione il mese scorso del disegno di legge che abolisce la clausola di ragionevolezza, la destra dei coloni ha lanciato una campagna di love bombing [bombardamento amoroso, tentativo di influenzare le persone con dimostrazioni di attenzione e affetto, possibile parte di un ciclo di abusi, ndt.] per cercare di riunire israeliani di fazioni politiche opposte in un dialogo.

Nel complesso è chiaro che la riforma giudiziaria è al centro di un fallimento nelle pubbliche relazioni anche all’interno dell’estrema destra israeliana.

L’elite isreliana nel 2023

Per essere chiari, la destra dei coloni non ha riserve sulla riforma stessa. Come ha scritto Hagai Segal, se combattere la “tirannia dell’Alta Corte” è una necessità, è più importante “l’armonia domestica”, in modo che la nazione possa dedicarsi a compiti altrettanto importanti come “la sorveglianza dell’Area C in Giudea e Samaria [la Cisgiordania] e mantenere la meshilut [gestione] all’interno della Linea Verde”. In altre parole, andare avanti con la riforma può effettivamente interferire con la continuazione dell’occupazione.

Questo è un punto chiave. Per il movimento dei coloni il trauma del disimpegno da Gaza nel 2005 è stato più grave della rimozione di 9.000 coloni e lo smantellamento delle loro colonie; la ferita che non si è mai rimarginata, ai loro occhi, è l’idea che il movimento delle colonie sia stato lasciato solo nella lotta per il “Grande Israele”. La società in generale, compresi i tradizionali elettori di destra del Likud, era sembrata abbastanza disinteressata al progetto.

Infatti la maggioranza dell’opinione pubblica israeliana era favorevole al disimpegno, come fu manifesto nelle elezioni del 2006: i partiti di destra contrari al ritiro da Gaza registrarono un minimo storico di 32 seggi (di cui 12 per il partito Yisrael Beiteinu di Avigdor Liberman, i cui elettori non erano troppo coinvolti nella lotta). Oggi, in confronto, il Likud e il Partito Religioso Sionista hanno un totale di 46 seggi alla Knesset.

La lezione per il movimento nazional-religioso fu che per mantenere la sua iniziativa nei territori occupati avrebbe dovuto lasciare la Cisgiordania e “stabilirsi nei cuori” della società ebraica. Questo è stato il progetto principale negli ultimi 15 anni: normalizzare gli insediamenti e rendere invisibili la Linea Verde e l’occupazione.

Questa mossa si è manifestata con una sempre maggiore presenza di ufficiali nazional-religiosi nell’esercito, una presenza molto ampia nella funzione pubblica a tutti i livelli (l’attuale commissario della funzione pubblica e il supervisore dei conti, l’ex procuratore generale e l’ex commissario di polizia provengono tutti dal settore nazional-religioso, e questa è solo la punta dell’iceberg), un ingresso massiccio nel panorama dei media e la creazione di una rete di think tank di destra, il più noto dei quali è il Kohelet Forum, un artefice della riforma.

Difatto se c’è un gruppo omogeneo che può valere come élite israeliana nel 2023 sono i coloni e i nazional-religiosi. Sette dei 33 ministri del governo provengono da questo settore, più due ministri non religiosi che vivono in Cisgiordania. La loro egemonia è evidente anche nel discorso pubblico: oggi è impossibile trovare parole come “occupazione”, “Cisgiordania” o persino “hitnahlut” [comune termine ebraico per le colonie nei territori occupati] nei media più popolari in Israele.

Ma è proprio la riforma giudiziaria – che i coloni hanno concepito per le loro urgenze nazionaliste-religiose e che avrebbe dovuto portarli all’apice del potere – che minaccia di distruggere ciò che erano riusciti a ottenere dal disimpegno di Gaza.

Ciò che è iniziato a gennaio con le educate manifestazioni della classe medio-alta israeliana si è trasformato in una ribellione non solo contro la riforma e l’attuale governo ma contro l’intero regime di destra e contro il nazionalismo teo-etnocratico che ne è alla base.

Di fronte a questa ribellione il movimento dei coloni si trova in una situazione particolarmente vulnerabile. I partiti ultra ortodossi (Haredi), che sono stati partner a pieno titolo nella riforma, possono ancora chiedere di correggere la rotta e sognare di partecipare ad un potenziale futuro governo guidato da Benny Gantz. Anche il Likud può fantasticare di un governo di unità nazionale, in particolare se Netanyahu finirà per firmare un patteggiamento sui suoi casi di corruzione. I nazional-religiosi sono entrati così a fondo nella destra fascista che se cade l’attuale governo, cadranno anche loro.


Rompere i tabù

È difficile per i nazional-religiosi legarsi al discorso anti-élite che sentiamo arrivare da certe correnti del Likud per screditare i manifestanti. Se i piloti e i lavoratori tecnologici sono già etichettati come “privilegiati ashkenaziti [ebrei di provenienza europea, ndt.]”, come saranno etichettati i sionisti religiosi la cui leadership è chiaramente ashkenazita, che in realtà godono di privilegi che non ha nessun altro gruppo nella società israeliana e che sono stati parte integrante del governo sin dalla fondazione dello Stato?

Ma, anche più importante, i coloni hanno inconsapevolmente creato un collegamento diretto tra la sfacciata violenza contro i palestinesi in Cisgiordania e il colpo di stato giudiziario. Il pogrom di Huwara, seguito dall’appello di Smotrich a spazzare via la città, è stato uno spartiacque nel modo in cui il movimento di protesta si è rapportato all’estrema destra. Slogan come “Dov’eri a Huwara?” diretti agli agenti di polizia sono diventati parte del repertorio delle proteste, anche tra coloro che in precedenza non avevano mai pensato molto all’occupazione.

I pogrom che sono seguiti hanno ulteriormente rafforzato questo legame. Oggi è difficile trovare un solo oratore che salga sul palco delle proteste a Tel Aviv e non faccia un collegamento tra la riforma giudiziaria, i pogrom in Cisgiordania e la supremazia ebraica – un collegamento che fino a poco tempo fa era tracciato esclusivamente dalla sinistra radicale. Il velo con cui il sionismo religioso ha cercato di nascondere la realtà dell’occupazione e dell’oppressione dei palestinesi è stato strappato.

Mentre le proteste continuano a sfidare il dominio della destra e i politici di estrema destra iniziano a sostenere apertamente la violenza dei coloni, la destra stessa è diventata oggetto della rabbia dei manifestanti. L’uccisione all’inizio di questo mese da parte dei coloni di Qosai Jammal Mi’tan, un palestinese del villaggio di Burqa, ha portato questa connessione al culmine. “Falangi di ebrei fascisti intrisi di un falso senso di superiorità compiono pogrom nei villaggi arabi”, ha detto Shikma Bressler, leader de facto del movimento di protesta, sul palco di Tel Aviv. “Milizie assassine al servizio del governo che ci sta portando alla distruzione”.

Brothers in Arms, un’organizzazione di riservisti dell’esercito israeliano contrari alla riforma giudiziaria, di cui alcuni membri hanno attaccato il mese scorso gli attivisti del blocco anti-occupazione, ha definito i pogromisti a Burqa “braccio militare di Otzma Yehudit [partito politico di estrema destra, kahanista e anti-arabo, ndt.] – un corpo che dovrebbe essere dichiarato organizzazione terrorista.” Il generale di brigata Ilan Paz, ex capo dell’Amministrazione Civile, l’organo militare che sovrintende alla vita quotidiana in Cisgiordania, si è pubblicamente chiesto quando verrà il giorno in cui invocherà il rifiuto di massa a prestare servizio nei territori occupati.

E sebbene Hagai Segal abbia scritto il suo articolo prima dell’uccisione a Burqa, lui e altri nel campo nazional-religioso si rendono conto che il movimento di protesta non solo è molto più forte di quanto si rendessero conto all’inizio, ma che è disposto a infrangere tabù che nessuno immaginava si potessero infrangere, come l’obiezione di coscienza. Ai loro occhi, il mantenimento della riforma giudiziaria significa la continuazione delle proteste. E la continuazione delle proteste potrebbe erodere ulteriormente la volontà di molti nella società israeliana di continuare a finanziare il progetto delle colonie e rischiare la vita per difenderlo. Pertanto, è meglio rinviare le riforme fino a data da destinarsi.

Naturalmente i coloni sono tutt’altro che deboli. Smotrich sta rafforzando il suo controllo in Cisgiordania, la violenza dei coloni sta espellendo le comunità palestinesi e la probabilità che gli assassini di Mi’tan vengano processati è molto bassa. E nemmeno significa che vedremo un consenso, da Gantz a Bressler, per smantellare le colonie o un riconoscimento che l’obiettivo finale della riforma è preservare l’occupazione e l’apartheid – che devono essere entrambi smantellati per stabilire una vera democrazia tra il fiume (Giordano) e il mare (Mediterraneo). Ma è possibile a questo punto affermare che il movimento dei coloni non può più “stabilirsi nei cuori” della società israeliana.

Questo articolo è stato originariamente pubblicato in ebraico su Local Call. Meron Rapoport è redattore di Local Call.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Sempre più sionisti stanno infine ammettendo l’apartheid israeliano, ma poi cosa succede?

Jonathan Ofir

14 agosto 2023 – Mondoweiss

Il generale israeliano in pensione Amiram Levin e il giornalista sudafricano Benjamin Pogrund sono gli ultimi a intervenire sull’apartheid israeliano. Adesso sorge la domanda: che cosa intendono fare in proposito?

Ora che vi è consenso all’interno della comunità dei diritti umani sul fatto che Israele sia uno Stato di apartheid, molti incominciano ad ammetterlo, persino alcuni insigni israeliani e apologeti di Israele. Ma anche se affermano ciò che è evidente, cercano comunque di limitare il danno e al tempo stesso di celare la propria personale responsabilità e provare a circoscrivere i possibili rimedi.

E’ cominciato forse all’inizio di quest’anno, quando lo storico giornalista israeliano di centro Ron Ben Yishai ha messo in guardia dall’incombente apartheid come il principale obbiettivo delle riforme giudiziarie dell’attuale governo. Ora il generale israeliano in pensione Amiram Levin ha rilasciato un’intervista alla radio Kan in Israele in cui ha fatto riferimento al “totale apartheid” nella Cisgiordania occupata:

Da 56 anni non vi è democrazia. Vige un totale apartheid. L’IDF (esercito israeliano), che è costretto a gestire il potere in quei luoghi, è in disfacimento dall’interno. Osserva dal di fuori, sta a guardare i coloni teppisti e sta iniziando a diventare complice dei crimini di guerra.”

In Israele Levin è considerato un liberale ed ha un passato scandalosamente razzista. In passato ha minacciato di “fare a pezzi i palestinesi” e “cacciarli in Giordania”, ha detto che “i palestinesi hanno meritato l’occupazione” e che nella maggioranza i palestinesi sono “nati per morire comunque, noi semplicemente li aiutiamo a farlo”. Eppure sì, egli vede un “totale apartheid”.

L’intervista viene sulla scia di una recente lettera agli ebrei americani che li rimprovera di ignorare l’apartheid, l’“elefante nella stanza”. Molti accademici e personaggi pubblici israeliani hanno firmato questa lettera che al momento ha ottenuto più di 1500 firme. Tra i firmatari vi sono anche convinti sionisti come Benny Morris. La lettera contiene suggerimenti di azione, compresa una richiesta al governo USA di sanzionare Israele:

Si chiede che i leader eletti negli Stati Uniti agevolino la fine dell’occupazione, impediscano che gli aiuti militari americani vengano usati nei Territori Palestinesi Occupati e mettano fine all’impunità israeliana alle Nazioni Unite e in altre organizzazioni internazionali.”

Un chiaro appello all’azione che, volutamente o no, riecheggia gli appelli che gli attivisti del BDS (Boicottaggio, Disinvestimento, Sanzioni) lanciano da quasi 20 anni. Ma non tutti approvano che il BDS si rafforzi come naturale risposta a questo apartheid.

La settimana scorsa Benjamin Pogrund, che è stato giornalista nel Sudafrica dell’apartheid, ha scritto un articolo su Haaretz intitolato “Per decenni ho difeso Israele dalle accuse di apartheid. Non posso più farlo.” Pogrund spiega di essere stato interpellato nel 2001 dall’allora Primo Ministro israeliano Ariel Sharon per far parte della delegazione governativa di Israele alla Conferenza Mondiale Contro il Razzismo a Durban: “Il governo Sharon mi invitò a causa della mia esperienza di un quarto di secolo come giornalista in Sudafrica; la mia specializzazione era riferire in dettaglio sull’apartheid.” Ma dice di non poterlo più difendere. Cita la legge razzista dello ‘Stato-Nazione’ del 2018, che codifica i diritti esclusivi per chi ha nazionalità ebrea. Poi c’è l’occupazione:

Israele non può più addurre la sicurezza come motivo del nostro comportamento in Cisgiordania e dell’assedio di Gaza. Dopo 56 anni la nostra occupazione non può più essere definita temporanea in attesa di una soluzione del conflitto con i palestinesi. Stiamo andando verso l’annessione, con la richiesta di raddoppiare i 500.000 coloni israeliani già presenti in Cisgiordania.”

Purtroppo Pogrund ha già “annesso” Gerusalemme est, che fa parte della Cisgiordania, che aggiungerebbe circa 250.000 persone al numero di coloni citati. Ma la sua osservazione sulla temporaneità è valida – è una parte importante del perché non può essere definita occupazione, che si presume essere temporanea. E poi, sorprendentemente, si scaglia contro il movimento per il Boicottaggio, Disinvestimento, Sanzioni per quello che definisce “ignoranza e/o malevolenza”:

In Israele sono ora testimone dell’apartheid in cui sono cresciuto. Israele sta facendo un regalo ai suoi nemici del movimento Boicottaggio, Disinvestimento, Sanzioni e ai loro alleati, soprattutto in Sudafrica, dove la negazione dell’esistenza di Israele è forte tra molti neri, nei sindacati e negli ambienti comunisti e musulmani. Gli attivisti del BDS continueranno a lanciare le loro accuse, frutto di ignoranza e/o malevolenza, diffondendo menzogne su Israele. Hanno trasformato ciò che è già negativo in grottesco, ma ora lo rivendicano. Israele gli sta dando ragione.”

Pogrund è stizzito. Questi attivisti BDS sono arrivati prima di lui nel chiedere di redarguire Israele, ma vuole avere il controllo su quando definire qualcosa apartheid e quando no, quando difenderlo e quando no. Gli attivisti BDS utilizzano una strategia consolidata per isolare lo Stato dell’apartheid. Pogrund non vuole che ciò accada, ma sa che è destinato ad accadere, perché Israele alla fine li legittimerà.

Che prospettiva confusa.

Sia Pogrund che Levin sono arrabbiati, ma è chiaro che la loro rabbia non è dovuta al crimine contro l’umanità che si compie contro i palestinesi, ma a ciò che accade a loro. Levin, un veterano dell’apparato di sicurezza di Israele e responsabile proprio del sistema che ora critica, si scaglia contro l’attuale governo. Non addita le proprie responsabilità e fa di tutto per dire che non sta esprimendo preoccupazione per i palestinesi.

Non sto dicendo questo perché mi importa dei palestinesi. Mi importa di noi. Ci stiamo uccidendo dall’interno. Stiamo disfacendo l’esercito, stiamo disfacendo la società israeliana”, dice. Ed è tutta colpa di “Bibi” (il soprannome di Netanyahu). “Bibi ha fallito”.

Ciò è estenuante: il tipico narcisismo israeliano. Non ci importa dei palestinesi. Guardate che cosa provoca a noi questa occupazione. 

E’ interessante come si stia diffondendo il riconoscimento dell’apartheid, ma dobbiamo stare attenti ai sionisti che cercano di prendere il controllo della narrazione e limitare il dibattito. L’apartheid israeliano non è qualcosa che accade “da qualche parte”. E’ l’apartheid dal fiume (Giordano) al mare (Mediterraneo); è dovunque. E queste risposte sono anche un buon promemoria del perché la supremazia ebraica non porrà fine a sé stessa dall’interno, l’unica risposta è dall’esterno.

Jonathan Ofir

Musicista israeliano, conduttore e blogger che vive in Danimarca.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)