Gli ebrei fondamentalisti sono più pericolosi di quelli laici? Chiedetelo alle loro vittime palestinesi

Joseph Massad

12 aprile 2023 – Middle East Eye

Non c’è nulla di quello che hanno chiesto gli ebrei sionisti fondamentalisti che i sionisti laici non abbiano già promesso o propugnato.

Per decenni i sionisti laici e persino gli antisionisti ci hanno messo in guardia contro il pericolo del fondamentalismo sionista ebraico. Le loro voci sono diventate più aspre negli ultimi mesi con la salita al potere del governo di destra di Benjamin Netanyahu, che include il maggior numero di ebrei fondamentalisti di sempre in un gabinetto israeliano.

La maggior parte dei laici sionisti pensa che gli ebrei fondamentalisti siano molto pericolosi per gli ebrei israeliani, altri che lo siano anche per i palestinesi, mentre alcuni, inclusi gli antisionisti laici, sostengono che sono una minaccia anche per tutto il mondo dei non ebrei.

Eppure sono sempre stati i sionisti laici a commettere i più orrendi massacri di palestinesi, che hanno conquistato e colonizzato le loro terre, discriminato gli ebrei mizrahi, [ebrei originari di Paesi arabi o musulmani, ndt.] che continuano ad essere amici di forze e regimi antisemiti in tutto il mondo, dall’Ungheria di Viktor Orbán e altri movimenti politici europei di destra ai fondamentalisti evangelici americani.

Sono i sionisti laici a continuare anche ad applicare in Israele la censura militare su tutti i media e che dal 1948 hanno continuato a governare il Paese con norme di emergenza. Sono i laici ad aver anche emanato le leggi razziste per cui Israele è tristemente noto.

Allora cosa rende gli ebrei sionisti fondamentalisti più pericolosi dei sionisti laici?

Il fondamentalismo laico

In realtà, molte delle disquisizioni fondamentaliste antiebraiche sono simili nei toni e nella faziosità agli scritti antimusulmani, per non parlare di quelli anti-islamisti, pubblicati dagli occidentali islamofobi e dai laici arabi e musulmani.

Sicuramente quello che i pamphlet fondamentalisti antiebraici hanno in comune con le tirate anti-musulmane e anti-islamiste è un impegno incondizionato al laicismo liberale dei bianchi protestanti europei usato come il principale punto di riferimento “illuminato” con cui islam, islamismo ed ebraismo fondamentalista (se non proprio l’ebraismo stesso) sono sempre paragonati e che lascia indietro tutti gli altri.

Un esempio rilevante è la lunga intervista che il quotidiano israeliano Haaretz ha pubblicato un paio di settimane fa sull’influenza di Yitzchak Ginsburgh, rabbino americano fondamentalista di origini israeliane. L’intervista è condotta da Motti Inbari, formatosi in Israele e ora docente di religione negli USA, studioso di Ginsburgh e del suo movimento. Da sionista laico Inbari avverte i suoi lettori che Ginsburgh vorrebbe trasformare Israele in un “Iran”, poiché cercherebbe di:“sradicare lo spirito sionista laico e di rovesciare il governo per poter instaurare un regime basato sulla Torah. La Corte Suprema, con le sue decisioni criminali, deve essere annientata. Non c’è bisogno di annientare l’esercito, non deve essere annientato, basta sottometterlo. In questo contesto è importante stabilire dei paragoni e va detto esplicitamente: l’ISIS e Al-Qaida la pensano allo stesso modo.”

Inbari aggiunge che Ginsburgh è pericoloso anche per i palestinesi e gli altri non-ebrei poiché crede che “il sangue ebraico valga più di quello dei gentili”, e che “gli ebrei siano al di sopra della natura e di conseguenza, nel caso in cui un gentile intenda uccidere un ebreo, il gentile deve essere liquidato per proteggere l’ebreo”.

Questi non sono affatto avvertimenti nuovi. In un libro pubblicato trent’anni fa sul fondamentalismo ebraico in Israele, Ian Lustick, lo studioso americano di scienze politiche filoisraeliano che si oppose all’occupazione del 1967 e sostenitore di negoziati per la pace, affermava che “il sistema di valori” degli ebrei fondamentalisti era “radicalmente diverso dall’ethos liberale umanitario condiviso dalla maggioranza di israeliani e americani”.

Lustick identificava i fondamentalisti come “l’ostacolo maggiore” a quello che lui definiva “negoziati seri”.  Egli sosteneva che, a differenza degli ebrei laici che si opporrebbero alla “pace” basandosi sulla “sicurezza”, i fondamentalisti lo fanno basandosi sull’”ideologia”. Sembrerebbe che i sionisti laici non abbiano un’ideologia a guidarli.

Lustick, preoccupato che le relazioni degli USA con Israele si sarebbero indebolite se al potere in Israele fosse andato il fondamentalismo ebraico, avvertiva che tale regime fondamentalista “avrebbe distrutto la relazione speciale con gli Stati Uniti” che si basa sulla “percezione di scopi etici, politici e culturali comuni”.

Questo Israele fondamentalista che possiede “un ampio e sofisticato arsenale nucleare”, concludeva Lustick, sarebbe una minaccia per gli interessi USA quanto la “rivoluzione islamica in Iran”.

L’adesione di Lustick e Inbari alla propaganda ufficiale USA riguardo al fatto che la struttura dello Stato iraniano sia “fondamentalista” o che costituisca una minaccia per gli USA, non viene messa in discussione, motivo per cui gli ebrei fondamentalisti sono paragonati da entrambi all’Iran, il peggior spauracchio dei laici occidentali.

Più pericoloso?

Per non essere da meno il defunto Shahak, attivista antisionista israeliano, è stato ancora più diretto nei suoi disperati attacchi anti-fondamentalisti. In un libro sull’argomento del 1999 di cui fu coautore aveva annunciato che gli ebrei fondamentalisti sono un pericolo non solo per i palestinesi, ma per “tutti i non ebrei “.    

Shahak, allo stesso modo di Inbari più recentemente, ha spiegato come il giudaismo fondamentalista consideri gli ebrei unici, per razza e genetica, con sangue ebraico speciale e DNA ebraico che quindi rendono la vita ebraica speciale e di maggior valore della vita dei non ebrei. Mentre Shahak era al corrente del razzismo laico sionista anti-arabo, radicato nel razzismo laico europeo, non è chiaro perché egli rappresenti il razzismo dei fondamentalisti ebrei come in un certo modo più pericoloso per palestinesi o altri gentili.

Inoltre Shahak si era spinto ad attribuire il razzismo laico sionista all’ebraismo stesso e non al razzismo laico europeo. Perciò l’atteggiamento suprematista ebraico prevalente fra i fondamentalisti, ci viene detto, è percolato nel sistema di pensiero degli ebrei laici al punto che i manifestanti israeliani contro il coinvolgimento militare israeliano in Libano non avevano mai citato i morti libanesi.

Ma tale omissione può essere spiegata in modo adeguato solo dal fondamentalismo ebraico? Negli USA, per esempio, si fa spesso riferimento ai circa 58.000 soldati americani uccisi in Vietnam senza citare gli oltre tre milioni di indocinesi uccisi dai soldati americani.

Quindi sarebbe anche colpevole non solo il fondamentalismo ebraico che privilegia le vite degli ebrei, ma anche un nazionalismo razzista laico e sciovinista che privilegia la vita dei bianchi europei, in vesti sioniste in Israele e camuffato da anticomunista e anti-asiatico negli USA a danno delle vite dei non-bianchi?     

Fin dall’inizio le opinioni di Shahak, simili a quelle di Lustick e Inbari, si basano su una griglia di paragoni fra l’ebraismo fondamentalista, da un lato e l’Europa protestante laica liberale e i suoi imitatori laici israeliani dall’altro. È all’interno di questo schema mentale che molti autori simili raccontano le loro storie di uno spaventoso fondamentalismo ebraico.

Il libro di Shahak continua come la maggioranza dei più recenti pamphlet occidentali sull’islamismo che esotizzano i musulmani e l’Islam per poi proseguire tirando le conclusioni più oltraggiose su di loro.

Ovviamente la differenza principale è che, a differenza degli esperti anti-Islam che fanno parte della propaganda egemonica occidentale contro i musulmani, il libro di Shahak sfida la riscrittura sionista egemonica e distorta della storia ebraica. Ciò che il libro condivide con i molti scritti anti-Islam è però la valutazione positiva a priori dell’Occidente protestante progressista e laico.

Shahak arriva al punto di affermare: “Le tensioni fra israeliani fondamentalisti e laici, perciò, derivano per la maggior parte dal fatto che questi due gruppi vivono in periodi temporali diversi”.

Tali rappresentazioni evoluzioniste e di darwinismo sociale sono caratteristiche di molti autori occidentali e di alcuni musulmani che scrivono sull’Islam e in generale sul Terzo mondo.

Razzismo ‘illuminato’

Il laico Shahak confonde devozione religiosa con fondamentalismo. A differenza dei laici ashkenaziti [discendenti degli ebrei provenienti dall’Europa centrale e orientale, ndt.] che sull’argomento dell’ebraismo e dell’autorità rabbinica sono rappresentati come “illuminati”, ci viene rifilata la descrizione paternalistica secondo cui “quasi tutti i politici [ebrei] orientali, incluse le Pantere Nere [gruppo di ebrei sefarditi che lottava contro il razzismo dell’élite ashkenazita e cercava un’alleanza con i palestinesi, ndt.] degli inizi degli anni ’70 e i membri dei minuscoli movimenti per la pace degli ebrei orientali, normalmente si inchinano e baciano le mani dei rabbini in pubblico”.

A parte la somiglianza tra questi pii gesti di questi non-fondamentalisti con i pii gesti con cui i pii musulmani arabi e cristiani trattano il loro clero, in Shahak questo panico orientalista è accostato alla descrizione dei movimenti per la pace mizrahi come “minuscoli” (come storicamente infatti sono stati), a suggerire che i movimenti per la “pace” ashkenaziti costituiscano movimenti popolari di massa (cosa che non sono mai stati).

Shahak aveva per lungo tempo predetto una guerra civile in Israele che non si è mai materializzata durante la sua vita. In questo libro aveva da fare previsioni ancora più allarmanti : “Non è irragionevole presumere che, se avesse il potere e il controllo, (il movimento dei coloni ebrei fondamentalisti) Gush Emunim userebbe armi nucleari in guerra per tentare di raggiungere i suoi scopi.”

Questo corrisponde esattamente alla propaganda USA sugli islamisti e alla presunta prontezza degli Stati “canaglia” a usare contro l’Occidente armi nucleari che non hanno, a differenza di Israele, specialmente perché, come Shahak ci spiega in gran dettaglio, i gentili non includono solo gli arabi, ma “tutti i non ebrei”.

In questo racconto manca il fatto che i primi ministri israeliani Levi Eshkol e Golda Meir, sionisti laici, nel 1967 e 1973 stavano per usare armi nucleari contro Egitto e Siria. Shahak, che ha scritto della potenzialità nucleare di Israele, certamente era a conoscenza di questi fatti.

Il punto non è che Gush Emunim negli anni ’90 o i fondamentalisti ebrei di oggi non userebbero armi nucleari (che Israele ha in abbondanza), ma che non le userebbero solamente basandosi sulla propria interpretazione fondamentalista dell’ebraismo, ma sulle convinzioni sioniste che caratterizzano in primo luogo la loro idea di ebraismo.

La cosa più straordinaria è che Shahak, Lustick e Inbari non vedano il colonialista fondamentalista ebreo-americano Baruch Goldstein che nel 1994 ha massacrato i palestinesi alla moschea al-Ibrahimi in occasione della festa di Purim, nel contesto di un sionismo laico razzista e colonialista e della miriade di massacri di palestinesi dagli anni ’30, ma piuttosto come parte di un impegno fondamentalista ebraico.  

Per contestualizzare il massacro, Shahak, per esempio, parla persino di “casi ben documentati di [ebrei che hanno commesso] massacri di cristiani e crocifissioni parodistiche di Gesù in occasione del Purim, la maggior parte avvenuta nel periodo tardoantico o nel Medioevo”.

Tuttavia, a differenza di tali eventi, massacri di palestinesi da parte di sionisti e israeliani laici sono continui e, piuttosto di alcune pratiche ebraiche medievali, offrono esempi più recenti da emulare per gente come Goldstein. Invocando alcuni esempi di uccisioni di cristiani da parte di ebrei durante il Purim, l’antisionista Shahak involontariamente discolpa il sionismo laico.

A oggi non c’è nulla che gli ebrei sionisti fondamentalisti chiedano che non sia stato già commesso o invocato dal sionismo laico. Probabilmente questo è stato espresso al meglio dal ministro della Sicurezza Nazionale di Israele, l’ebreo fondamentalista Itamar Ben Gvir nel 1994. quando era giovane.

In un’intervista rimproverava i suoi ipocriti interlocutori ebrei, laici di sinistra, che lo accusavano di sostenere i massacri per aver difeso Goldstein.

Alle loro urla di orrore, Ben Gvir astutamente e con sincera onestà ricordò ai suoi accusatori laici che tutti gli eroi dell’esercito israeliano e dell’Haganah, la milizia sionista precedente all’insediamento dello Stato, erano tali perché avevano assassinato dei palestinesi. Non si sbagliava.

Per quanto riguarda l’attuale campagna di propaganda, secondo cui gli ebrei fondamentalisti sono in un certo senso più pericolosi o violenti o sanguinari dei laici, basta chiedere alle vittime palestinesi sopravvissute che prontamente ribadiranno le giuste considerazioni di Ben Gvir.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

Joseph Massad è docente di storia politica e intellettuale araba moderna alla Columbia University di New York. È autore di diversi libri e articoli, sia accademici che giornalistici. Fra i suoi libri: ‘Colonial effects: the making of national identity in Jordan’, ‘Desiring Arabs’ e ‘The Persistence of the Palestinian Question: Essays on Zionism and the Palestinians’. Più di recente ha pubblicato ‘Islam in Liberalism’. I suoi libri e articoli sono stati tradotti in una decina di lingue.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)

 




Cosa significa lo “status quo” alla moschea Al-Aqsa di Gerusalemme?

Adam Sella

11 aprile 2023 Al Jazeera

Lo status quo del complesso della moschea di Al-Aqsa a Gerusalemme è il motivo per cui un singolo raid della polizia può far precipitare una guerra a tutto campo.

Lo status giuridico del complesso della Moschea Al-Aqsa di Gerusalemme, noto agli ebrei come il Monte del Tempio, è un punto critico ricorrente nel conflitto israelo-palestinese.

La scorsa settimana la polizia israeliana ha fatto irruzione nella moschea di Al-Aqsa, attaccando e arrestando i fedeli palestinesi che si trovavano all’interno della sala di preghiera. Per rappresaglia sono stati lanciati dei razzi contro Israele da Gaza e dal Libano, provocando una breve esplosione di violenza.

Nel 2021 un raid simile ha portato a un assalto israeliano di 11 giorni alla Striscia di Gaza.

Per capire come un singolo raid della polizia possa scatenare una guerra bisogna capire lo status quo che governa il complesso della moschea di Al-Aqsa.

Qual è lo status quo?

Per i palestinesi – e secondo il diritto internazionale – la questione è abbastanza semplice.

Israele non ha sovranità su Gerusalemme [est] e quindi non ha sovranità su Al-Aqsa”, che si trova nella Gerusalemme est occupata da Israele, afferma Khaled Zabarqa, un esperto legale palestinese della città e del complesso. Di conseguenza, afferma Zabarqa, il diritto internazionale impone che Israele non sia autorizzato ad attuare alcuno status quo.

Secondo Nir Hasson, un giornalista di Haaretz che si occupa di Gerusalemme, per i palestinesi e il Waqf, la fondazione nominata dalla Giordania che gestisce il complesso di Al-Aqsa, si tratta di uno status quo radicato nell’amministrazione del sito sotto l’Impero ottomano, che ordinava che i musulmani avessero il controllo esclusivo di Al-Aqsa.

Gli israeliani, invece, la vedono diversamente, nonostante il diritto internazionale non riconosca alcun tentativo da parte di una potenza occupante di annettere il territorio che ha occupato.

Hasson spiega che “Lo status quo di cui parlano gli israeliani è completamente diverso dallo status quo di cui parlano il Waqf e i palestinesi”.

Per Israele lo status quo fa riferimento a un accordo del 1967 formulato da Moshe Dayan, l’allora ministro della difesa israeliano. Dopo che Israele occupò Gerusalemme Est, Dayan propose un nuovo accordo basato in parte sullo status ottomano.

Secondo lo status quo israeliano del 1967 il governo israeliano consente al Waqf di mantenere il controllo quotidiano dell’area e solo i musulmani possono pregare lì. Tuttavia la polizia israeliana controlla l’accesso al sito ed è responsabile della sicurezza e i non musulmani possono visitare il sito come turisti.

Shmuel Berkovits, avvocato ed esperto di luoghi santi in Israele, afferma che lo status quo stabilito nel 1967 non è protetto da alcuna legge israeliana. Infatti afferma che nel 1967 Dayan stabilì lo status quo senza l’autorità del governo.

Dal 1967, la legislazione, le azioni giudiziarie e le dichiarazioni del governo israeliano hanno creato un quadro istituzionale per questo status quo. Berkovits spiega che, sebbene nessuna legge israeliana proibisca agli ebrei di pregare ad Al-Aqsa, la Corte Suprema israeliana ha deciso che il divieto è giustificato per mantenere la pace.

Per molti israeliani, alla luce della loro vittoria nella guerra del 1967, anche questo è considerato “generoso”.

Recenti modifiche allo status quo

Tra il 1967 e il 2000 i non musulmani potevano acquistare i biglietti dal Waqf per visitare il sito come turisti. Tuttavia, dopo lo scoppio della seconda Intifada, o rivolta, dei palestinesi nel 2000 in seguito alla controversa visita dell’ex primo ministro israeliano Ariel Sharon ad Al-Aqsa, il Waqf chiuse il sito ai visitatori.

Il sito è rimasto chiuso ai visitatori fino al 2003, quando Israele costrinse il Waqf ad accettare l’ingresso di non musulmani. Da allora i visitatori non musulmani sono stati ammessi dalla polizia israeliana in orari limitati e in giorni specifici.

Secondo Hasson, il Waqf non accetta questi visitatori e li considera “intrusi”.

Nel 2015 un accordo a quattro tra Israele, Palestina, Giordania e Stati Uniti ha riaffermato lo status quo del 1967. Come parte dell’accordo il leader israeliano Benjamin Netanyahu ha ribadito l’impegno del suo paese per lo status quo.

Mentre a parole la versione del 1967 dello status quo è ancora rispettata oggi, Zabarqa afferma: “Questo è [solo, ndt] un tentativo di ingannare l’opinione pubblica internazionale”.

Secondo Eran Zedekiah, dell’Università Ebraica di Gerusalemme e del Regional Thinking Forum dal 2017 agli ebrei è stato tacitamente permesso di pregare nel complesso.

Non tutti gli ebrei sono responsabili di queste violazioni. Infatti, i visitatori, prima di entrare nel complesso di Al-Aqsa passano davanti a un cartello che avverte gli ebrei che l’ufficio del Rabbino capo vieta loro l’ingresso a causa della santità del luogo.

Hasson afferma che sono soprattutto i sionisti religiosi, attualmente rappresentati nel governo israeliano da estremisti come il ministro della sicurezza di estrema destra Itamar Ben-Gvir, che pregano nel sito e fanno pressioni per cambiare lo status quo.

Per loro questa pressione ha dato i suoi frutti. Hasson afferma che dal 2017 la polizia ha concesso più libertà agli ebrei che pregano nel complesso di Al-Aqsa.

Zabarqa lamenta che le forze di polizia israeliane “si sono trasformate da un organismo professionale che preserva lo stato di diritto a un organismo che assicura protezione alle persone che violano la legge”.

Zabarqa afferma che, nel frattempo, i palestinesi vedono questi cambiamenti come un tentativo di “rendere il complesso ebraico e di cacciare i musulmani e l’Islam da Al-Aqsa”.

Per loro Al-Aqsa è l’ultimo piccolo angolo di Palestina non sotto la piena occupazione israeliana.

Hasson dice che i palestinesi sono quindi orgogliosi di resistere all’occupazione israeliana del sito, ma se i palestinesi perdono Al-Aqsa, sarà come se “è tutto perduto. Non è rimasto niente.”

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Soldati israeliani uccidono due palestinesi nei pressi di Nablus

Redazione di Al Jazeera

11 aprile 2023 – Al Jazeera

L’episodio è accaduto mentre Israele dichiarava che avrebbe bandito i visitatori ebrei da Al-Aqsa per il resto del Ramadan.

Il ministro della difesa Yoav Gallant ha dichiarato che dei soldati israeliani hanno ucciso due palestinesi.

“Elogio le azioni dei soldati che hanno eliminato due terroristi che hanno aperto il fuoco contro di loro vicino a Elon Moreh [nei pressi della città di Nablus in Cisgiordania]”, ha detto Gallant martedì su Twitter.

“Il successo della loro operazione ha impedito un attacco contro cittadini israeliani”, ha dichiarato in seguito Gallant. In precedenza, i militari avevano detto che le loro forze avevano “neutralizzato” due uomini e trovato sul posto fucili e pistole.

Fonti locali palestinesi di Nablus hanno riferito ad Al Jazeera che i corpi dei due uomini identificati come Mohammed Abu Dhraa e Soud al-Titi sono stati sequestrati dall’esercito israeliano.

Le fonti sostengono che Al-Titi era un membro delle forze di sicurezza dell’Autorità Nazionale Palestinese, mentre Abu Dhraa era un ex detenuto che ha trascorso sette anni in una prigione israeliana.

Israele trattiene i corpi dei palestinesi come politica punitiva da decenni. Tuttavia le organizzazioni per i diritti umani hanno affermato che dal 2015 si è verificata una crescita significativa di questa pratica.

Secondo il Jerusalem Legal Aid and Human Rights Center [ONG con sede a Ramallah che combatte contro le violazioni dei diritti umani fornendo sostegno legale gratuito, ndt] Israele attualmente trattiene almeno 105 corpi palestinesi negli obitori, un atto che si configura come punizione collettiva delle famiglie a cui, senza una sepoltura, viene spesso preclusa la possibilità di dare un estremo saluto.

Durante lo scorso anno l’esercito israeliano ha effettuato frequenti raid in tutta la Cisgiordania occupata.

Sotto il governo della destra più estrema nella storia di Israele, insediato alla fine dello scorso anno, i raid si sono intensificati, provocando un pesante tributo sui civili.

Da gennaio sono stati uccisi più di 90 palestinesi e sono morti almeno 19 tra israeliani e stranieri.

La tensione è particolarmente alta poiché il mese sacro musulmano del Ramadan e la Pasqua ebraica coincidono.

La scorsa settimana diverse incursioni della polizia israeliana nel complesso della moschea di Al-Aqsa a Gerusalemme e attacchi ai fedeli palestinesi hanno provocato dei lanci di razzi su Israele con conseguenti attacchi israeliani contro Gaza, il sud del Libano e la Siria.

Secondo una dichiarazione dell’ufficio del primo ministro Benjamin Netanyahu martedì Israele ha annunciato che avrebbe vietato ai visitatori e ai turisti ebrei di accedere al complesso della moschea di Al-Aqsa fino alla fine del Ramadan.

Anche negli anni scorsi Israele ha vietato le visite degli ebrei al complesso durante gli ultimi 10 giorni del Ramadan.

La scorsa settimana sospetti palestinesi armati hanno ucciso tre coloni e qualche ora dopo in un attacco è stato investito e ucciso un turista italiano. Nessuna organizzazione ha rivendicato la responsabilità di ambedue gli attacchi.

Lunedì dei palestinesi in lutto si sono ritrovati per il funerale di un ragazzo di 15 anni ucciso dalle forze israeliane durante un raid nel campo profughi di Aqabat Jaber, vicino a Gerico nella Valle del Giordano.

Il ministero della salute palestinese ha affermato che Mohammad Balhan ha riportato ferite da arma da fuoco alla testa, al torace e all’addome.

L’Associazione dei prigionieri palestinesi ha affermato che durante il raid l’esercito israeliano ha arrestato almeno due persone.

“Esortiamo il mondo a ritenere questo governo [israeliano] responsabile dei suoi crimini”, ha detto il primo ministro palestinese Mohammad Shtayyeh all’inizio della sessione settimanale del governo.

(Traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)

 

 




Un poliziotto per gli ebrei israeliani, uno diverso per gli arabi

Hanin Maiadli

11 aprile 2023 – Haaretz

La scorsa settimana il ministro degli Affari e del Patrimonio di Gerusalemme Amichai Eliyahu, figlio del rabbino Shmuel (“È vietato affittare appartamenti agli arabi”) Eliyahu, ha scritto sul suo profilo Twitter che la ventilata Guardia nazionale dovrebbe operare solo contro cittadini israeliani che si identificano con il nemico.

Prima di tutto, grazie per aver chiarito ogni possibile confusione sul suo obiettivo. Dal momento che il rinvio, il mese scorso, della legge di riforma giudiziaria è stato subordinato dal ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben-Gvir all’istituzione di una Guardia Nazionale, molti oppositori della riforma hanno erroneamente pensato che la Guardia Nazionale li avrebbe presi di mira.

È bene che si siano sbagliati. Abbiamo imparato che la legge e l’ordine vengono mantenuti come sempre e che i buoni e i cattivi rimangono gli stessi, sebbene anche gli ebrei stiano iniziando a scoprire che il loro “Paese democratico” è un bluff e che lo Stato è ancora fondato sulla razza.

Eliyahu si è spiegato dicendo che, a suo avviso, “la divisione dei poteri deve essere tale che la polizia si prenda cura della criminalità ordinaria e delle questioni di legge e ordine tra i cittadini comuni, mentre la Guardia Nazionale si può occupare della criminalità nazionalista”. Ha spiegato: “In questo modo non arriveremo a situazioni in cui si veda un commissario di polizia accusare dei cittadini ebrei di una rivolta”. Il problema non è la rivolta in sé ma accusare della rivolta gli ebrei, vero?

In altre parole, il ministro sta dicendo in effetti che gli ebrei sono gli unici veri cittadini, gli arabi sono sudditi, persone identificabili con il nemico, che per il momento sono considerati cittadini (e comunque senza pari diritti, quindi la cittadinanza è solo sulla carta), ma non per molto. Quindi gli ebrei, i cittadini, si rivolteranno? Perché, sono arabi? Al massimo gli ebrei protestano, manifestano, proclamano la pura verità. “Rivolte.” Queste appartengono agli arabi.

E cos’è, in realtà, un “crimine nazionalista” e in che cosa differisce da un “crimine ordinario”? L’eroina venduta da uno spacciatore ebreo è meno pericolosa di quella di uno spacciatore arabo? Un rapinatore di banche ebreo vuole solo rubare denaro mentre un rapinatore di banche arabo ha altre motivazioni? E nel caso di una banda di ladri mista come stabiliamo il movente?

Un’ evasione fiscale compiuta da un arabo è nazionalista? E un abuso edilizio? Una guida spericolata? Pizzo e spaccio di armi? È sotto l’autorità della Guardia Nazionale o della polizia regolare? E che dire dei crimini di cittadini arabi commessi contro altri arabi? È vero, non c’è una voce in bilancio per questo: 42 assassinati dall’inizio dell’anno, un record assoluto.

Ben-Gvir ed Eliyahu vogliono una milizia ebraica con poteri legali che operi solo contro gli arabi. La fase successiva potrebbe benissimo essere quella di decidere che ogni caso criminale che arriva ai tribunali attraverso la Guardia Nazionale richieda una punizione doppia rispetto a un caso giunto attraverso la polizia regolare. O forse serviranno meno prove per ottenere una condanna.

Non dovranno nemmeno lavorare sodo. Sarà sufficiente che un giudice veda che il detenuto viene condotto in aula da agenti che indossano uniformi diverse (sarebbero appropriate delle camicie brune) e la sentenza potrà essere pronunciata senza il fastidio di ascoltare le testimonianze. Un sistema legale separato basato su origine e razza, dove l’ho già sentito?

Secondo un’ottica di sviluppo potenzialmente correlata, questa settimana è stato riferito che Tel Aviv e Berlino stanno per diventare città gemelle. Mi chiedo se in tale contesto invieremo agenti di polizia in Germania per la formazione professionale.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Una tragedia anglo-israeliana nata dall’occupazione

Ben Reiff

11 aprile 2023 – +972 Magazine

Omettere il contesto violento in cui sono avvenute le uccisioni della famiglia Dee equivarrebbe a condannare innumerevoli altri palestinesi e israeliani allo stesso destino.

Tributi sono giunti ai notiziari tv e ai social media per Rina e Maia Dee,15 e 20 anni, le sorelle anglo-israeliane uccise lo scorso venerdì in attacco con armi da fuoco nella Cisgiordania occupata, e per la loro madre Lucy morta all’inizio della settimana in seguito alle ferite subite. Le tre viaggiavano in un’auto nelle vicinanze dello svincolo di Hamra nella valle del Giordano quando sarebbero state colpite da una violenta scarica di proiettili. L’esercito israeliano sta ora conducendo una caccia all’uomo per trovare i sospettati palestinesi. 

La famiglia Dee era emigrata nove anni fa dal Regno Unito nella colonia cisgiordana di Efrat: Leo, il padre delle ragazze e marito di Lucy, era stato in precedenza rabbino in due congregazioni ortodosse nel nord di Londra. “Non ci sono parole per descrivere la profondità del nostro sgomento e dolore nel ricevere la notizia dell’omicidio,” ha twittato il rabbino capo britannico Ephraim Mervis all’annuncio delle morte delle sorelle, aggiungendo che erano “molto amate” nel Regno Unito e in Israele. Alla notizia che anche Lucy era morta ha twittato: “Il nostro dolore indescrivibile è ancora più profondo.” 

Lunedì il rabbino Dee in lacrime ha detto ai media che “la nostra famiglia di sette persone si è ridotta a quattro,” dopo che Lucy, Maia, e Rina sono state sepolte nel cimitero regionale di Gush Etzion nella colonia di Kfar Etzion. Perdere un membro della famiglia, specie se giovane, è una tragedia insopportabile, non si può immaginare il dolore che il rabbino Dee e i figli rimasti stanno sopportando dopo averne persi tre in una volta. 

Pur riconoscendo tale perdita straziante, da quasi tutti questi tributi e racconti manca un dettaglio importante: l’occupazione militare israeliana. Inserire questo elemento non vuole giustificare l’assassinio delle Dee, al contrario. Ma ignorarlo significherebbe fraintendere il contesto in cui sono vissute e sono state uccise, e così condannare molti altri allo stesso destino.

Come centinaia di migliaia di israeliani che abitano in Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est, i Dee sono diventati parte integrante del progetto israeliano di espansione coloniale nei territori occupati. Colonie come Efrat, che sembra una normale cittadina o sobborgo israeliano serve ad ammassare i palestinesi in bantustan sempre più piccoli per massimizzare il territorio a disposizione degli ebrei, inclusi quelli che arrivano dall’estero. 

Dal 1967 Israele ha rubato oltre 2 milioni di dunam (200.000 ettari) di terre di proprietà privata palestinese in Cisgiordania per fondare centinaia di colonie e avamposti esclusivamente per ebrei, oltre alle infrastrutture necessarie per collegarli fra di loro e con il resto dello Stato. Ognuna di queste colonie è illegale ai sensi del diritto internazionale e viola la Quarta Convenzione di Ginevra che vieta esplicitamente alla potenza occupante di trasferire la propria popolazione civile nei territori occupati. 

Successivi governi israeliani hanno incoraggiato attivamente i propri cittadini a trasferirsi in queste zone offrendo ogni tipo di incentivi finanziari: edilizia sovvenzionata, scuole e trasporti, sgravi fiscali e persino stipendi più alti nel settore pubblico. Tutto ciò va ad aggiungersi a radicate ideologie religiose e suprematiste che ispirano i settori più radicali del movimento dei coloni, sebbene non sia un segreto che tali opinioni sono in molti casi concretamente indotte o facilitate dallo Stato. 

In Israele queste colonie illegali sono totalmente normalizzate e si sono espanse per ospitare circa tre quarti del milione dei suoi cittadini ebrei. Ma l’esistenza stessa delle colonie, oltre all’esteso furto di terre che ha reso possibile la loro costruzione ed espansione, richiede la costante sottomissione della popolazione palestinese dei territori. 

Questa violenza assume varie forme: un esercito che, dall’inizio dell’anno, ha già ucciso circa 90 palestinesi in Cisgiordania, compresi 18 minori, una vasta rete di checkpoint militari che limitano pesantemente la libertà di movimento dei palestinesi e un muro di separazione che penetra profondamente nella Cisgiordania, confiscando altre terre, una misura definita illegale dalla Corte Internazionale di Giustizia. 

Che un’oppressione di tal sorta generi resistenza, anche scoppi violenti, non dovrebbe sorprendere: è una verità vecchia come la storia che popoli sottomessi lottino contro le società che le opprimono mentre combattono per la libertà. In una pubblicità profetica pubblicata da Haaretz nel settembre 1967, solo pochi mesi dopo l’inizio dell’occupazione, attivisti israeliani affiliati al gruppo radicale di sinistra Matzpen si metteva in guardia: “Tenere i territori occupati ci trasformerà in una Nazione di assassini e vittime di assassini.” 

Quella frase sarebbe suonata vera anche due decenni prima, quando, durante la Nakba del 1948, forze sioniste espulsero oltre 750.000 palestinesi il cui ritorno Israele ha continuato a impedire con la forza sin d’allora costruendo città ebraiche sulle macerie dei villaggi palestinesi. L’obiettivo allora era lo stesso di oggi: mantenere la supremazia ebraica sulla terra.

È possibile ripudiare atti di violenza senza negare le condizioni che rendono tale violenza inevitabile. Eppure è esattamente quello che moltissime reazioni all’uccisione delle Dee stanno facendo, omettendo il brutale sistema di dominio imposto ai palestinesi e perciò rendendo le loro azioni incomprensibili, motivate esclusivamente da sete antisemita di sangue. Evitando di fare i conti direttamente con quel sistema, garantiscono che niente cambierà prima che il prossimo attacco faccia altre vittime.

Mantenere l’occupazione è una semplice questione di scelta, nonostante i complessi meccanismi e la burocrazia. Quante altre persone moriranno prima che Israele scelga di porvi fine?

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Il nuovo governatore dei coloni in Israele

Pietro Stefanini

10 aprile 2023 – Middle East Monitor

Nelle ultime settimane Bezalel Smotrich. il ministro delle Finanze israeliano, ha giustamente attirato grande attenzione per alcune delle sue dichiarazione pubbliche che si possono definire, senza voler esagerare, di carattere genocida. Per prima cosa, dopo che i coloni si sono scatenati violentemente nella Cisgiordania occupata, ha chiesto che la città palestinese di Huwara venisse “spazzata via”. Parlando poi a un evento in Francia, Smotrich ha di fatto rispolverato un vecchio mito sionista che nega l’esistenza dei palestinesi come popolo. Anche se al momento ci stiamo concentrando sulla ripresa della violenza israeliana contro i fedeli nella moschea di Al-Aqsa, è importante non perdere di vista dove probabilmente emergeranno i prossimi attacchi contro i palestinesi.

Smotrich, oltre al suo ruolo come ministro delle Finanze, occupa una posizione governativa cruciale che gli permette di mettere in pratica le sue parole. Infatti, con l’ultimo accordo di coalizione fra Sionismo Religioso [partito di estrema destra religiosa di Smotrich, ndt.] e il Likud di Netanyahu, a Smotrich era stato promesso il controllo su alcune funzioni chiave nell’amministrazione del COGAT (Coordinatore delle Attività Governative nei Territori), l’amministrazione militare-civile che governa sia i palestinesi non cittadini nei territori occupati che i coloni israeliani che abitano nell’Area C [sotto il pieno controllo israeliano, ndt.] della Cisgiordania.

Una di queste funzioni è la nomina del nuovo generale del COGAT, che normalmente ricade sotto l’autorità del capo di stato maggiore dell’esercito israeliano ed è poi approvata dal ministro della Difesa. L’accordo non solo scavalca il ministro della Difesa, Yoav Gallant, ma significa anche sottrarre parte dell’autorità all’esercito per darla invece a un ministro del governo.

Tuttavia il mese scorso, dopo una strenua opposizione da parte di Gallant, si è raggiunto un compromesso. Secondo i termini dell’accordo Smotrich avrà l’autorità di nominare un ” vicecapo civile” sottoposto al capo dell’Amministrazione Civile, un’importante unità militare nel COGAT responsabile di questioni civili che hanno enormi conseguenze sia per i palestinesi che per i coloni israeliani. Esse includono il catasto, la fondazione di colonie, demolizioni e progetti di infrastrutture. In altre parole, Smotrich, lui stesso un colono cisgiordano, nel suo nuovo ruolo supervisionerà l’implementazione del progetto coloniale israeliano in Cisgiordania e lo spossessamento continuo di milioni di palestinesi.

Il COGAT ha sempre giocato un ruolo centrale nel governo coloniale dei territori palestinesi occupati, abbinando la gestione della popolazione palestinese all’espansione per i coloni israeliani. Poco dopo la guerra dei Sei Giorni del 1967, Israele installò il COGAT per gestire la vita civile dei territori palestinesi appena conquistati. Israele doveva sviluppare un’amministrazione per governare una popolazione nativa indesiderabile dopo l’adozione di misure su larga scala riguardo agli assenti per espellere un gran numero di altri palestinesi, come già fatto nel 1948. Questa era la funzione iniziale del COGAT.

Dopo decenni di incremento delle funzioni amministrative, il COGAT e l’Amministrazione Civile sono diventati responsabili, fra altre cose, del controllo dell’importazione e dell’esportazione di beni, dell’allocazione di risorse naturali e della pianificazione e costruzione delle infrastrutture civili, accordando o negando ai palestinesi permessi per entrare in Israele per lavoro, per assistenza medica o per viaggiare all’estero. Queste sono alcune delle questioni principali che al momento i funzionari del COGAT concettualizzano come politiche “umanitarie” per i palestinesi che essi confinano in enclave simili a prigioni.

Dalle mie interviste con ex membri del COGAT emerge chiaramente che essi si vedono, in una certa misura, come il governo e i rappresentanti delle necessità dei palestinesi presso altri settori dell’esercito e dello Stato israeliano e [ritengono] che, senza di loro, i palestinesi “soffrirebbero di più.”

Storicamente, la narrazione egemonica a proposito di questa unità è che essa soddisfa le necessità dei palestinesi. Per esempio, l’attuale generale del COGAT, Ghasan Alyan, è un druso la cui presunta maggiore affinità con gli arabi palestinesi, stando ai colonialisti israeliani, è vista come più comprensiva e rappresentativa dei nativi sotto il loro dominio. Ora con Smotrich verosimilmente i coloni hanno uno dei loro vicino al centro del potere.

La nomina di Smotrich al COGAT segnala la volontà di calmare una base sempre più violenta di coloni espansionisti in Cisgiordania. In realtà i coloni e le loro ONG, come Regavim, di destra e di cui Smotrich fu uno dei fondatori, spesso protestano sostenendo che il COGAT violi i loro diritti e protegga troppo gli interessi dei palestinesi perché non fa progredire gli insediamenti coloniali nelle dimensioni e alla velocità che vorrebbero.

Allo stesso tempo i coloni della Cisgiordania si sentono stigmatizzati e non alla pari con i cittadini israeliani che abitano entro i confini della Linea Verde [il confine tra Israele e Cisgiordania prima dell’occupazione nel 1967, ndt.] perché vivono in parte in un regime militare, quindi nominare un governatore civile in Cisgiordania significa anche migliorare il loro status. Smotrich progetta di incoraggiare ulteriormente il progetto coloniale poiché vuole “sottrarre l’Amministrazione Civile all’esercito e collocarla sotto controllo civile”, affinché i coloni “cessino di essere cittadini di seconda classe che vivono in un regime militare e inizino a ricevere la qualità dei servizi civili di cui godono tutti i cittadini di Israele.”

Con Itamar Ben-Gvir, il ministro della Sicurezza Nazionale, che recentemente si è accordato con Netanyahu per sospendere la riforma della giustizia in cambio della formazione di una sua milizia privata, i palestinesi su entrambi i lati della Linea Verde sono a maggior rischio di un’escalation repressiva.

Spostare i poteri civili del COGAT da un generale a un ministro del governo significa anche accelerare l’annessione de jure della Cisgiordania. Con un ministro del governo direttamente responsabile in campo civile, la distinzione già fittizia fra Israele e i suoi territori occupati militarmente viene ufficialmente cancellata. Ora Smotrich è responsabile dell’apparato amministrativo che può cacciare palestinesi dalle loro terre.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor.

(tradotto dall’inglese da Mirella Alessio)




Dispaccio dalla Cisgiordania: lo stato di guerra dei coloni sionisti

Mondoweiss Ufficio Palestina

10 aprile 2023, Mondoweiss

I recenti attacchi ad Al-Aqsa, i continui arresti e omicidi di combattenti della resistenza e la marcia dei coloni sul monte Sbeih indicano un rinnovato impegno all’etica sionista delle origini. Ciò porterà inevitabilmente a uno scontro di ampia portata.

Principali sviluppi (7–10 aprile)

All’alba di lunedì mattina 10 aprile le forze israeliane hanno invaso il campo profughi di Aqbat Jabr e ucciso il diciottenne Mohammad Fayez Mohammad Oweidat. Durante l’invasione militare sono stati anche arrestati Yasin Omar Izzat Hunaifa e Mohammad Eid Abu Dahouk. Il mese scorso, le forze israeliane hanno invaso Aqbat Jabr e ucciso sei palestinesi.

Lunedì mattina 10 aprile a dir poco sette ministri israeliani hanno guidato migliaia di coloni in una manifestazione sul monte Sbeih nella città di Beita, 13 chilometri a sud-est di Nablus. Almeno un giornalista palestinese è rimasto ferito secondo i giornalisti locali presenti sulla scena, mentre secondo la Mezzaluna Rossa nelle prime due ore più di 121 palestinesi sono stati feriti. Dal 2021 i coloni israeliani hanno cercato di impossessarsi con la forza delle terre nell’area, ma sono stati ostacolati dall’opposizione organizzata dei palestinesi.

Durante il fine settimana l’aviazione israeliana ha lanciato attacchi aerei sulla Siria sostenendo di mirare ad agenti militari iraniani e ad un gruppo armato palestinese assadista [corrente politica del Partito Ba’th che sostiene le politiche di Àsad, ndt.] 

Nonostante gli accordi del comunicato congiunto mediato il mese scorso da Giordania ed Egitto, Israele ha approvato sei nuovi insediamenti in Cisgiordania.

Centinaia di coloni israeliani continuano nel quinto giorno della pasqua ebraica le incursioni armate nel sacro spazio di culto musulmano, il complesso di Al-Aqsa.

A seguito dello speronamento di un’auto venerdì che ha provocato la morte di un italiano e il ferimento di almeno altre quattro persone, la famiglia del palestinese ucciso ha negato la versione della polizia che si sia trattato di un attacco e afferma che si è trattato di un incidente automobilistico.

Approfondimento

La scorsa settimana l’assalto israeliano ai luoghi del Ramadan in Gerusalemme ha minacciato di trasformarsi nel corso della settimana in una guerra a tutto campo, con razzi lanciati dal Libano sulle zone settentrionali ai confini dello Stato israeliano in risposta alle provocazioni israeliane ad Al-Aqsa. Molti avrebbero potuto definire prevedibile questo sviluppo, poiché offre a Netanyahu una comoda scusa per sfuggire alla crisi interna sulla revisione giudiziaria proposta dal suo governo, forzando Israele all’unità di fronte a una minaccia esterna. La gente di Gaza lo prevedeva già da settimane, temendo che la striscia assediata sarebbe stata usata ancora una volta come pedina nelle battaglie interne del regime israeliano. Questo è ciò che ha portato alcuni a credere che la brutale repressione dei fedeli ad Al-Aqsa la scorsa settimana sia stata una deliberata provocazione israeliana per spingere Gaza a rispondere con il lancio di razzi. Quello che nessuno si aspettava era che i razzi provenissero dal Libano.

La direzione della sicurezza israeliana ha insistito sul fatto che non sia stato Hezbollah a lanciare i razzi, ma che ne fossero invece responsabili gli agenti di Hamas – qualsiasi cosa pur di evitare uno scontro diretto con il gruppo politico libanese dominante da cui Israele aveva subito una sconfitta militare durante l’invasione del Libano nel 2006. Gli analisti della sicurezza israeliani hanno fatto eco a questa opinione cauta anche se venata di isteria, ritenendo che l’incidente rappresenti la “situazione più pericolosa e complessa della sicurezza che Israele abbia dovuto affrontare sul suo confine settentrionale dalla seconda guerra del Libano nell’agosto 2006”.

L’esercito israeliano ha bombardato le aree circoscritte da cui erano stati lanciati i razzi; giorni dopo, l’8 e il 9 aprile, altri razzi sono stati lanciati dalla Siria sulle alture del Golan da un gruppo palestinese assadista. Come prima Israele ha risposto in modo insolitamente moderato sparando contro il punto da cui erano stati lanciati i razzi. Gaza, d’altra parte, è stata colpita più duramente poiché un fuoco di fila israeliano ha squarciato i siti di resistenza in diverse parti della Striscia di Gaza e ha alimentato i timori dello scoppio di un’altra guerra su Gaza – che rimane il paravento più conveniente per Israele, il deus ex machina delle crisi politiche israeliane.

Nonostante i disordini nella regione sono continuati gli assalti congiunti dell’esercito israeliano e del movimento dei coloni di destra contro le comunità palestinesi. L’esercito israeliano ha invaso il campo profughi di Aqbat Jabr a Gerico e il campo profughi di al-Ain a Nablus, uccidendo un combattente della resistenza e arrestandone molti, mentre nel villaggio di Beita migliaia di coloni israeliani guidati da Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich hanno marciato verso l’insediamento illegale di Evyatar evacuato (per rioccuparlo), e l’esercito israeliano ha ferito centinaia di contro-manifestanti palestinesi abitanti di Beita.

Il fatto che questo assalto di coloni e militari sia ostinatamente continuato senza badare alla minaccia di guerra dimostra due cose: in primo luogo che la presa da parte dei coloni sul governo israeliano ha reso il regime sionista più audace e più fedele all’ethos liberale sionista delle origini (“massimo di terra con un minimo di arabi”) rispetto a qualsiasi governo lo abbia preceduto, e in secondo luogo che questo impegno preventivo all’espansione coloniale a tutti i costi, privo della razionalità pragmatica della generazione sionista fondatrice – che, in certi momenti, si accontentò di limitare temporaneamente i progetti territoriali a favore del mantenimento della “purezza demografica” anche come tacita concessione alla resistenza armata palestinese – lancerà inevitabilmente e inesorabilmente Israele in uno scontro diretto non solo con i palestinesi ma con chiunque altro tenti di difenderli.

Questa eccezionale circostanza ha solo reso più reale la probabilità di uno scontro militare più ampio. Anche se né il governo israeliano né Hezbollah vogliono veramente tale conflitto, le forze sociali in gioco all’interno di Israele continueranno a creare le condizioni che lo rendono sempre più verosimile.

Tutto ciò è stato reso possibile da un unico filo rosso che passa dalla repressione ad al-Aqsa agli attacchi alla resistenza armata e alle marce dei coloni sul monte Sbeih: il sionismo ha raddoppiato il proprio sforzo verso il suo originale imperativo coloniale, e questo rinnovato impegno significa che l’imminente confronto, indipendentemente dalla forma che prenderà, è più vicino che mai.

Dati importanti

• Dall’inizio dell’anno, nel corso di 100 giorni, più di 98 palestinesi sono stati uccisi dalle forze armate e dai coloni israeliani. A marzo sono stati uccisi 14 israeliani.

• Nel primo trimestre del 2023 Israele ha rinnovato circa 800 ordini di detenzione amministrativa (AD – senza imputazione né processo, ndt.), raggiungendo il record più alto di arresti arbitrari da parte di Israele dal 2003.

• Dal 2021 più di 32.089 palestinesi sono stati feriti dalle forze e dai coloni israeliani, il 92% dei quali in Cisgiordania.

Da gennaio e fino al 30 marzo più di 413 palestinesi sono stati sfollati a seguito delle demolizioni israeliane in Cisgiordania e a Gerusalemme est.

• Dall’inizio dell’anno circa 100 palestinesi sono stati arrestati nella sola Gerico, la maggior parte degli arresti concentrati nel campo profughi di Aqbat Jabr – inclusa l’incarcerazione di parenti stretti dei palestinesi uccisi durante gli omicidi extragiudiziali israeliani.

(Traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Israele: un morto in seguito a una presunta aggressione con un auto a Tel Aviv

Redazione di MEE

7 aprile 2023 – Middle East Eye

La polizia uccide il guidatore che ha investito la folla, ma la famiglia nega sia stato un attacco

Secondo la polizia e i medici israeliani una persona è stata uccisa e sette altre sono state ferite venerdì a Tel Aviv dopo che un’auto si è schiantata sulla folla.

Le immagini mostrano una macchina che si lancia a tutta velocità verso i pedoni che camminano sul lungomare a Tel Aviv e poi si ribalta. Poliziotti e ispettori civili hanno poi sparato e ucciso il conducente. 

In una dichiarazione la polizia ha comunicato di aver fatto fuoco perché sembrava che l’autista stesse afferrando un “oggetto simile a un fucile”.

La polizia israeliana, che spesso fotografa e pubblica molto rapidamente armi usate negli attacchi, non ha postato alcuna prova dell’oggetto menzionato nel comunicato.

Secondo il quotidiano israeliano Haaretz una fonte della polizia ha detto che nell’auto è stata trovata una pistola giocattolo, non una pistola.

L’autista è stato identificato come Yousef Abu Jaber, 45 anni, un cittadino palestinese israeliano di Kafr Qasim, padre di cinque figlie. 

La sua famiglia ha detto ai media locali di dubitare che l’incidente sia stato un attacco premeditato. 

“Non crediamo che Yousef abbia potuto fare una cosa simile ed escludiamo che questo sia un attacco per motivi nazionalistici,” ha aggiunto un familiare.  

“Yousef aveva una famiglia, una moglie e cinque figlie da mantenere, era un buon padre, esemplare, e molti lo conoscevano per la sua gentilezza.”

Chi sono i cittadini palestinesi in Israele?

L’uomo ucciso nel presunto investimento è un italiano, il trentenne Alessandro Parini. Le altre sette persone ferite sono cittadini italiani o britannici. Tre sono in condizioni abbastanza serie e quattro sono feriti lievemente.  

Inizialmente la polizia israeliana ha definito l’incidente un “attacco terroristico” con “una sparatoria e uno speronamento da parte di un’auto”. Tuttavia Haaretz ha riferito che la polizia e lo Shin Bet, il servizio di sicurezza interna, stanno esaminando la possibilità che non si sia trattato di un attacco terroristico. 

L’incidente è avvenuto dopo l’uccisione in mattinata di due israeliane in una sparatoria nella valle del Giordano, nella Cisgiordania occupata.

La tensione in Israele e Palestina è molto alta dopo i ripetuti attacchi israeliani contro fedeli palestinesi nella moschea di Al-Aqsa, a Gerusalemme. 

Giovedì sono stati sparati razzi da Gaza e dal Libano verso Israele, a quanto pare come risposta agli attacchi contro i fedeli. A sua volta Israele ha lanciato un limitato numero di attacchi aerei. 

In seguito agli attacchi contro Al-Aqsa anche in Cisgiordania c’è stata un’impennata di attacchi con armi da fuoco da parte di palestinesi contro bersagli israeliani. Due soldati sono stati feriti in sparatorie separate mercoledì e giovedì a Hebron e Gerusalemme. 

Anche in vari paesi e città palestinesi in Israele, fra cui Umm Al-Fahm, Nazareth e Sakhnin, si sono svolte manifestazioni.

Temendo una ripetizione delle proteste di massa del 2021, la polizia israeliana ha stroncato violentemente le proteste e arrestato almeno 17 palestinesi cittadini in Israele. 

In precedenza il capo dell’esercito israeliano aveva affermato che, a causa dell’accrescere delle tensioni, sarebbero stati richiamati i riservisti. 

Kobi Shabtai, capo della polizia, ha anche chiesto che chi ha il porto d’armi cominci a portarle con sé.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Perché Israele attacca i fedeli nella moschea di Al-Aqsa?

Redazione di Middle East Eye

7 aprile 2023 MiddleEastEye

Le forze israeliane cacciano i fedeli palestinesi e incolpano i “rivoltosi” spianando la strada alle incursioni dei coloni

Questa settimana le forze israeliane hanno preso d’assalto per due notti consecutive la moschea di Al-Aqsa nella Gerusalemme est occupata, aggredendo e arrestando i fedeli e scatenando una condanna globale.

Martedì notte decine di militari pesantemente armati hanno fatto irruzione nell’area, lanciando granate stordenti e sparando gas lacrimogeni nella sala di preghiera Qibli dove centinaia di fedeli si erano fermati per pregare durante la notte.

Le truppe israeliane hanno picchiato i fedeli con manganelli e pistole antisommossa, ferendone decine per poi arrestarne diverse centinaia.

Ventiquattro ore dopo militari armati hanno nuovamente preso d’assalto la moschea mentre circa 20.000 fedeli palestinesi stavano recitando le preghiere notturne Taraweeh del Ramadan [speciali preghiere che durante il Ramadan seguono la preghiera serale, ndt.].

Hanno sparato proiettili rivestiti di gomma, gas lacrimogeni e granate stordenti per liberare la moschea e hanno poi inseguito le persone per picchiarle con i manganelli.

Quale giustificazione hanno fornito le autorità israeliane per azioni così violente e brutali nel terzo luogo più sacro dell’Islam durante il mese più sacro della fede musulmana?

Giro di vite sulla devozione del Ramadan

Martedì, dopo le preghiere notturne di Taraweeh, decine di fedeli sono rimasti ad Al-Aqsa per praticare l’Itikaf, atto religioso non obbligatorio comune durante il Ramadan che prevede il pernottamento all’interno delle moschee per pregare, riflettere e recitare il Corano durante la notte.

Le autorità israeliane non consentono ai fedeli di praticare l’Itikaf se non negli ultimi dieci giorni del Ramadan, un divieto che i palestinesi si rifiutano di rispettare.

Inizialmente gli agenti israeliani sono stati avvistati intorno alle 22 mentre entravano nella moschea di Al-Aqsa, dove hanno iniziato ad allontanare le persone dai cortili.

Mentre quelli seduti nei cortili venivano cacciati, molti altri fedeli si sono rinchiusi all’interno della sala di preghiera Qibli per sfuggire alla repressione israeliana.

La polizia ha detto di essere entrata nel complesso perché “centinaia di rivoltosi e dissacratori della moschea si erano barricati” all’interno della moschea.

“Quando la polizia è entrata è stata accolta da lanci di pietre, e fuochi d’artificio sono stati sparati dall’interno della moschea da un folto gruppo di agitatori”, si legge in un comunicato.

Il controllo israeliano sulla Gerusalemme Est occupata, inclusa la Città Vecchia, viola diversi principi del diritto internazionale che stabiliscono che una potenza occupante non ha sovranità sul territorio che occupa e non può apportare cambiamenti permanenti in tale territorio.

Dopo i raid di martedì il primo ministro palestinese Mohammad Shtayyeh ha detto: “Israele non vuole imparare dalla storia che al-Aqsa è per i palestinesi e per tutti gli arabi e i musulmani, e che l’assalto ha scatenato una rivoluzione contro l’occupazione”.

Strada spianata alle incursioni dei coloni

Mercoledì mattina presto le forze israeliane hanno nuovamente disperso i fedeli costringendoli a uscire dalla moschea.

Questa volta è stata un’azione delle forze armate per poter spianare la strada alle incursioni dei coloni israeliani, iniziate alle 7 del mattino.

Per facilitare queste quotidiane incursioni le truppe israeliane svuotano regolarmente la moschea dai palestinesi – fatte salve le cinque preghiere quotidiane.

Le associazioni del Temple Movement [movimento ebraico ortodosso estremista che vuole ricostruire il Terzo Tempio al posto della moschea Al-Aqsa e ripristinare la pratica del sacrificio rituale, ndt.] che sostengono la distruzione di Al-Aqsa hanno invocato attacchi di massa per tutta la settimana delle vacanze pasquali, iniziate giovedì.

La moschea di Al-Aqsa è un luogo islamico in cui sono vietate visite non sollecitate e preghiere e rituali da parte di non musulmani, secondo accordi internazionali pluridecennali.

Le associazioni israeliane, in coordinamento con le autorità, hanno da tempo violato il delicato assetto e agevolato irruzioni nel sito per officiare preghiere e riti religiosi.

Questa settimana gruppi ultranazionalisti ebraici hanno offerto ricompense in denaro a chiunque sacrifichi una capra all’interno di Al-Aqsa, atto proibito e altamente provocatorio.

Najeh Bkeirat, vicedirettore del Waqf islamico presso la moschea Al-Aqsa, ha affermato che la condotta della polizia di questa settimana sembra essere premeditata.

“Il governo israeliano sembra aver preso la decisione quest’anno di svuotare la moschea al-Aqsa e Gerusalemme dai palestinesi “, ha detto. “Vogliono solo ebrei in città. Non vogliono palestinesi e musulmani qui”.

I palestinesi temono che le restrizioni su quando loro possano entrare e l’apertura del sito ai coloni stiano gettando le basi per una divisione della moschea tra musulmani ed ebrei analoga alla divisione della moschea Ibrahimi a Hebron negli anni ’90.

Le violente aggressioni israeliane ai fedeli palestinesi in particolare durante il mese del Ramadan sono ormai all’ordine del giorno.

L’anno scorso nei raid israeliani nella moschea durante il mese sacro sono stati feriti oltre 170 palestinesi e più di 300 sono stati arrestati.

Nel maggio 2021 durante il Ramadan centinaia di palestinesi erano rimasti feriti quando le forze israeliane avevano preso d’assalto il complesso e attaccato i fedeli con gas lacrimogeni, proiettili d’acciaio rivestiti di gomma e granate stordenti.

Quegli attacchi, come le incursioni israeliane nel quartiere occupato di Gerusalemme Est di Sheikh Jarrah, erano stati la prima scintilla del grande attacco israeliano alla Striscia di Gaza assediata.

Almeno 256 palestinesi erano stati uccisi a Gaza, compresi 66 minori, mentre 13 persone erano state uccise in Israele.

(tradotto dall’inglese da Luciana Galliano)




La violenza israeliana è palesemente terrorista, smettiamo di chiamarla “scontri”

Belén Fernández

7 aprile 2023 – Al Jazeera

Fedeli aggrediti ad Al-Aqsa, Gaza di nuovo bombardata, ma i media occidentali continuano ancora a equiparare il collo e la ghigliottina.

Ci risiamo. Lo Stato di Israele sta commettendo una barbarie fuori controllo contro i palestinesi e i grandi media occidentali hanno deciso che tutto ciò si riduce a “scontri”.

L’ultima tornata dei cosiddetti “scontri”, scoppiati quando la polizia israeliana ha deciso di celebrare il mese sacro musulmano del Ramadan aggredendo ripetutamente i fedeli palestinesi nella moschea di Al-Aqsa a Gerusalemme, ha provocato come prevedibile un numero spropositato di vittime.

Centinaia di palestinesi sono stati arrestati e feriti quando le forze israeliane hanno ancora una volta ostentato la loro abilità con proiettili ricoperti di gomma, manganelli, granate stordenti e lacrimogeni. In cambio la polizia ha subito danni minimi, mentre si è impegnata anche ad accompagnare coloni israeliani illegali nel complesso della moschea.

Evidentemente non soddisfatto della violenza scatenata a Gerusalemme, Israele ha anche lanciato bombardamenti contro la Striscia di Gaza e il sud del Libano in seguito a un presunto lancio di razzi.

Come nel caso di tutti i precedenti esempi di “scontri” tra israeliani e palestinesi, la scelta dei media di utilizzare tale terminologia serve a nascondere il monopolio israeliano della violenza e il fatto che Israele uccide, ferisce e mutila a un ritmo astronomicamente superiore della sua presunta controparte negli “scontri”.

Ciò nasconde anche la realtà del fatto che la violenza palestinese è una risposta a una politica israeliana ormai da quasi 75 anni caratterizzata dalla pulizia etnica dei palestinesi, dall’occupazione della terra palestinese e dalla periodica perpetrazione di massacri – scusate, “scontri”.

Scegliete tra gli attacchi militari israeliani contemporanei e troverete iniziative come l’operazione Margine protettivo, un eufemismo per definire il massacro nella Striscia di Gaza nel 2014 di 2.251 persone, tra cui 551 minorenni. Durante un periodo di 22 giorni iniziati nel dicembre 2008, l’operazione Piombo Fuso è costata la vita a circa 1.400 palestinesi a Gaza, con tre civili israeliani morti.

Ci furono molti “scontri” anche nel 2018 quando, in risposta a proteste sul confine di Gaza, l’esercito israeliano uccise centinaia di palestinesi e ne ferì migliaia. E nel maggio 2021 un massacro israeliano durato 11 giorni, denominato operazione Guardiano delle Mura, uccise più di 260 palestinesi, circa un quarto dei quali minorenni. Si dà il caso che quest’ultima operazione sia stata innescata da, che altro, “scontri” nella moschea di Al-Aqsa.

Quel poco di curiosità ha spinto alcuni mezzi di comunicazione a preoccuparsi di ciò che l’attuale “vertiginoso aumento degli spargimenti di sangue” tra israeliani e palestinesi possa far presagire, un ulteriore altro slogan dei media che alla fine maschera il ruolo predominante di Israele nei massacri.

Ovviamente è difficile trovare una qualche equivalenza linguistica o etica all’ossessione dei media nel raccontare la spietatezza israeliana come “scontri”. Non si penserebbe a un alce che si “scontri” con il fucile di un cacciatore proprio come non si percepirebbe uno “scontro” tra il collo di un essere umano e una ghigliottina. Né si descriverebbe il bombardamento letale di un ospedale a Kunduz, in Afghanistan, da parte degli Stati Uniti come uno “scontro” tra una struttura sanitaria e un aereo da guerra AC-130.

Ma, benché chiaramente immorale, la deferenza dei media occidentali nei confronti della narrazione israeliana non è per niente nuova. Molto di questo riguarda il fervido appoggio, in particolare da parte degli USA, al punto di vista israeliano che descrive i persecutori come vittime e i massacri come autodifesa.

Forse la stessa fondazione dello Stato di Israele nel 1948, che vide migliaia di palestinesi massacrati e più di 500 villaggi palestinesi distrutti, in definitiva non fu altro che un grande “scontro”. Di certo la campagna propagandistica israeliana di lungo termine per confondere i palestinesi con il terrorismo continua a garantire considerevoli vantaggi.

È così persino tra i mezzi di informazione più chiaramente progressisti che sono disposti a denunciare i crimini israeliani ma che non riescono ancora a mettere i palestinesi sullo stesso piano di umanità degli israeliani. Per esempio, a febbraio di quest’anno Lawrence Wright, della rivista The New Yorker, ha twittato un video di soldati israeliani che spintonano e picchiano il pacifista palestinese Issa Amro mentre Wright lo sta intervistando a Hebron, città occupata della Cisgiordania. Il commento del giornalista del New Yorker: “Non posso smettere di pensare a quanto sia disumanizzante l’occupazione per i giovani soldati incaricati di imporla.”

In altre parole: i soldati israeliani sono vittime della degradazione morale e della disumanizzazione, mentre i palestinesi non arrivano mai ad essere realmente in primo luogo umani.

Ora, mentre le forze di sicurezza israeliane continuano a disumanizzare e ad essere disumanizzate a Gerusalemme e a Gaza, tutto il discorso relativo agli “scontri” non fa che confermare l’idea che la violenza israeliana, descritta come una semplice parte di una corretta competizione di azioni e reazioni tra due parti equivalenti, sia in fondo giustificata.

Nell’agosto 2022 un attacco di tre giorni dell’esercito israeliano contro Gaza uccise almeno 44 palestinesi, tra cui 16 minorenni, l’episodio più sanguinoso dall’operazione Guardiano delle Mura del 2021. Nessun israeliano venne ucciso in seguito agli eventi di agosto, eppure i media occidentali sono stati ancora diligentemente pronti senza alcun dubbio a raccontare affannosamente di “scontri”.

Come ho sottolineato all’epoca in un articolo su Al Jazeera la versione in rete del Cambridge Dictionary definisce il terrorismo come “(minacce di) un’azione violenta per fini politici”. E tanto più spesso ricordiamo a noi stessi che Israele sta letteralmente terrorizzando i palestinesi tanto prima, forse, potremo porre fine a tutto questo discorso sugli “scontri”.

Le opinioni espresse in quest’articolo sono dell’autrice e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

Belen Fernandez è autrice di Exile: Rejecting America and Finding the World [Esilio: rifiutare l’America e trovare il mondo”] e di “The Imperial Messenger: Thomas Friedman at Work” [“Il messaggero dell’impero: Thomas Friedman [giornalista del NYT noto per le sue posizioni filoisraeliane] al lavoro]. È una collaboratrice di “Jacobin” [“Giacobino”, rivista della sinistra radicale USA, ndt.].

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)