I disordini di Huwwara: il racconto in prima persona dell’attacco dei coloni israeliani contro una cittadina palestinese

Hussein al-Suwaiti a Huwwara, Palestina occupata

27 febbraio 2023 – Middle East Eye

Testimonianza resa a Ola Marshoud

Hussein al-Suwaiti descrive le scene dell’aggressione da parte di coloni israeliani violenti, che ha lasciato sul terreno macchine, edifici e autodemolizioni bruciati in tutta la sua cittadina

I coloni israeliani si sono riuniti presso l’incrocio di una colonia, sono scesi a Huwwara a piedi ed hanno dato fuoco a tutta la cittadina.

Sono arrivati sventolando bandiere per vendicarsi perché in precedenza quel giorno un palestinese aveva ucciso due coloni israeliani.

I coloni hanno incendiato case, negozi e autodemolizioni. Si sono diretti verso la strada principale della cittadina in cui abitiamo e prima hanno aggredito i nostri vicini. Hanno dato fuoco all’autosalone del mio vicino e all’autodemolizioni di fronte.

Poi si sono diretti contro la mia famiglia.

Hanno attaccato la nostra casa con pietre e pezzi di ferro ed hanno cercato di farvi irruzione. Hanno scagliato tutto quello che trovavano contro la nostra casa.

Huwwara aveva già subito attacchi dei coloni in precedenza, ma non così, non a questo livello di violenza. È stato indescrivibile.

Abbiamo iniziato a pregare e i miei figli si sono messi a piangere e a gridare.

Nel passato alcuni coloni si erano piazzati fuori dalla nostra casa, gridando e lanciando qualche pietra. Attaccavano una o due case alla volta, ma ieri si sono sparpagliati in città più di 250 coloni.

Non potevi neanche cercare rifugio dai tuoi vicini perché anche loro erano sotto attacco.

Ridotta in cenere

Vicino a me c’è un’officina di autodemolizioni, con dentro circa 25 macchine.

I coloni hanno incendiato le gomme, le hanno lanciate contro le auto e l’hanno ridotta in cenere.

Ne hanno bruciata anche un’altra vicino, più grande della mia, e il fumo ha riempito la strada. I soldati israeliani hanno sparato gas lacrimogeni contro i coloni, ma la maggior parte è finita nella nostra casa, che è sparita sotto tutto quel fumo e quei lacrimogeni. Stavamo soffocando. Non potevamo far altro che pregare, gridare aiuto e urlare contro i coloni.

Quando stavano davanti all’ingresso di casa cercando di fare irruzione ho iniziato a tirargli contro attraverso la finestra le scarpe dal porta scarpe che avevo vicino a me. Mentre ciò avveniva i soldati israeliani se ne stavano lì fermi a guardare.

Ho urlato verso i soldati e gli ho detto che i coloni stavano cercando di entrare a forza in casa mia. Mi hanno puntato contro le armi e mi hanno detto di tornare dentro.

Non c’era nessuno ad aiutarci. Il fuoco si stava avvicinando sempre di più e stavamo per bruciare vivi nella nostra casa. Il mio maggior timore era che mi incendiassero la macchina che avevo parcheggiato nel cortile davanti all’entrata. Se lo avessero fatto, saremmo rimasti bloccati in casa.

Ho scritto su Facebook un messaggio angoscioso: per l’amor di Dio, abbiamo bisogno di un’ambulanza e di un mezzo antincendio.

Il fuoco aveva attecchito nell’officina di autodemolizioni. Sono arrivati sul posto dei poliziotti palestinesi e hanno chiesto a noi e ai nostri vicini di lasciare le nostre case. Ci hanno messi su un’ambulanza palestinese e ci hanno portati in ospedale.

A mio figlio di sette anni hanno dovuto dare l’ossigeno per le inalazioni di fumo, mentre io ho ricevuto cure d’emergenza perché ho l’asma.

Sfrontatezza

Ho altri tre figli, di 15,14 e 13 anni. Il panico che abbiamo vissuto è indescrivibile.

L’attacco di ieri ha messo in discussione la sicurezza che si prova nella propria casa, nella propria città. Ora siamo in stato di allerta e ci aspettiamo che ritornino in qualunque momento.

Prima che iniziasse questo attacco i coloni erano arrivati a Huwwara con le loro famiglie, compresi i bambini, alcuni dei quali nei passeggini, e andavano in giro per la città.

Dietro a questa sfrontatezza c’è l’esercito. I coloni sanno di essere protetti dai soldati, per cui ovviamente fanno tutto quello che vogliono. Sono entrati nella cittadina sotto la protezione dell’esercito, che gliel’ha consentito.

In passato, quando arrivavano sul posto, i soldati contenevano la situazione e i coloni si disperdevano. Questa volta no.

Quando ho urlato ai soldati che non potevamo respirare, mi hanno puntato contro i fucili. Dobbiamo avere osservatori internazionali sul posto.

Come dice il proverbio, “il giudice e il boia sono la stessa identica persona”. Non c’è nessuno che ci protegga.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Dopo aver aiutato le vittime del terremoto, un palestinese è stato ucciso dalla furia israeliana

Fayha Shalash

27 febbraio 2023 – Middle East Eye

Sameh al-Aqtash era appena tornato dal volontariato in Turchia quando i coloni hanno attaccato il suo villaggio in Cisgiordania

Quattro giorni fa Sameh al-Aqtash è tornato dalla Turchia, dove aveva sostenuto le vittime del terremoto come volontario. Domenica sera il 37enne palestinese è stato ucciso da coloni israeliani che si sono scatenati nel suo villaggio, Zatara, nella Cisgiordania occupata.

Zatara si trova a sud di Nablus, vicino a un famigerato checkpoint militare israeliano dove, secondo gli abitanti, i soldati vessano quotidianamente i palestinesi. A Zatara vivono solo 100 persone e sono tutti membri della stessa famiglia. La maggior parte di loro sono donne e bambini.

Gli attacchi dei coloni israeliani sono iniziati dopo che domenica pomeriggio un presunto palestinese armato ha ucciso due coloni vicino alla città di Huwwara. In risposta, centinaia di israeliani hanno attaccato città e villaggi palestinesi, ferendo quasi 300 persone e bruciando le case.

Nonostante Zatara si trovi a circa sei chilometri da Huwara, dove i coloni sono stati uccisi e la violenza della folla ha raggiunto il massimo, un gruppo di israeliani ha attaccato il villaggio e ha iniziato a tentare di rimuoverne il principale cancello di ingresso.

Abdel Moneim, il fratello di Aqtash, era con lui mentre si precipitavano a fermare il vandalismo dei coloni.

“Ci siamo affrettati tutti, incluso Sameh, e abbiamo fermato i coloni al cancello e impedito loro di entrare”, ha detto a Middle East Eye.

Ma dopo poco tempo i coloni hanno attaccato di nuovo, questa volta con la protezione dei soldati israeliani. I colpi di arma da fuoco hanno iniziato a prenderci di mira e poi Sameh è caduto a terra”.

Coloni e soldati stazionano insieme dopo la furia devastatrice. (Reuters)

Con i soldati israeliani e i coloni che bloccavano le strade, nessuna ambulanza ha potuto accedere a Zatara, così i fratelli di Aqtash hanno dovuto usare un veicolo privato e trasportarlo su una strada sterrata fino al vicino paese di Beita.

Mentre correvano lungo la strada accidentata, il sangue è uscito da un foro di proiettile nell’addome di Aqtash, che ha iniziato a perdere conoscenza.

Al centro medico di Beita i fratelli di Aqtash sono scoppiati in lacrime quando il medico ha detto loro che egli era morto per le ferite. Lascia tre figli, il più piccolo è una bambina di quattro mesi.

Abdel Moneim afferma: “Non c’erano scontri quando i coloni ci hanno attaccato. Sameh era una persona gentile che amava aiutare la gente: due giorni prima di essere ucciso aveva parlato con i capi dei consigli locali della nostra regione per raccogliere donazioni per le vittime del terremoto in Turchia e Siria”.

Città in fiamme

Le cicatrici degli attacchi senza precedenti dei coloni alle città e ai villaggi a sud di Nablus saranno difficili da cancellare. Case, negozi e automobili sono stati distrutti e incendiati. I coloni hanno massacrato il bestiame dei palestinesi.

Elias Dmaidi, un bambino di otto anni residente a Huwwara, ha detto che pensava che sarebbe stata l’ultima della sua vita.

“Non ho mai visto un attacco così grave: centinaia di coloni urlavano, insultavano, distruggevano tutto ciò che incontravano e davano fuoco alle case mentre le famiglie erano dentro”, ha detto Dmaidi ai giornalisti.

Huwwara, una città divisa da una strada principale frequentata da coloni e soldati israeliani, ha avuto una storia di conflitti crescenti.

La maggior parte delle sue terre sono state confiscate da Israele per costruire colonie ebraiche illegali, con varie strade ad uso esclusivo degli israeliani costruite per servirli e garantire la loro sicurezza.

Mentre il caos inghiottiva la città, l’esercito israeliano ha chiuso tutti i checkpoint intorno a Nablus, bloccando i palestinesi all’interno e all’esterno dell’area. Nonostante gli attacchi dei coloni, gli abitanti hanno aperto le loro case a tutti coloro che non potevano andarsene.

Al sorgere del mattino il sole ha rivelato l’entità dei danni. Nere strisce carbonizzate macchiavano case, negozi e alberi. Anche la scuola era stata attaccata. Temendo per la propria vita gli studenti lunedì sono rimasti a casa.

Palestinesi ispezionano i danni causati dalla furia dei coloni (AP)

Durante i disordini al personale medico e ai vigili del fuoco è stato impedito di raggiungere le aree colpite, con il risultato che centinaia di palestinesi feriti sono stati curati molto tempo dopo essere stati aggrediti.

Ahmed Jibril, direttore delle ambulanze e del dipartimento di emergenza della Mezzaluna Rossa palestinese, ha affermato che i medici sono stati oggetto di numerosi abusi durante l’attacco a Huwwara.

Ha proseguito: “I paramedici sono stati attaccati ed è stato impedito loro di entrare in città, anche le ambulanze sono state colpite. L’ aggressione non è stata opera solo dei soldati, ma anche dei coloni, che hanno aggredito il personale medico mentre cercava di trasportare un ferito”.

Bersagliati dentro casa

Anche Brin, una cittadina vicina che si trova accanto a blocchi di colonie, è stata oggetto di furiosi attacchi.

Ayman Soufan era a casa con moglie e figli quando i coloni li hanno attaccati e hanno dato fuoco alla loro casa.

Ha raccontato a Middle East Eye: “Più di 100 coloni ci hanno attaccati e si sono divisi in due gruppi, uno ha sfondato finestre e porte e l’altro ha rubato le nostre cose e le pecore dalla parte anteriore della casa”.

Poi le hanno dato fuoco. La famiglia di mio fratello e io siamo fuggiti dall’altra parte per proteggerci. Mio figlio è stato colpito alla spalla da una pietra lanciata dai coloni.”

Quasi ogni mese vengono attaccati da coloni. protetti dai soldati israeliani, che vogliono prendere la loro casa e rubare la loro terra per espandere gli insediamenti vicini.

Soufan prosegue: “I coloni hanno cercato di bruciarci vivi all’interno della nostra casa, se non fossimo riusciti a scappare ora saremmo morti. Nonostante l’enorme incendio, i vigili del fuoco non sono riusciti a raggiungerci perché i soldati li hanno ostacolati e il fuoco è rimasto acceso finché non si è spento da solo. Dal 2000 viviamo la stessa spirale di aggressione”.

(traduzione dall’inglese di Giuseppe Ponsetti)




L’ambasciatore degli Stati Uniti Tom Nides afferma che i palestinesi non hanno bisogno di diritti, hanno solo bisogno di “soldi”

Philip Weiss

23 febbraio 2023 – Mondoweiss

La scorsa settimana l’ambasciatore degli Stati Uniti in Israele Tom Nides ha tenuto un’intervista con David Axelrod ed è stato quanto mai sincero – e il risultato è sorprendente: Israele ora è “in fiamme” e i palestinesi non hanno pari diritti. Ma i palestinesi non hanno bisogno di diritti, hanno solo bisogno di “soldi”.

E cosa tiene Nides sveglio la notte? Qual è la sua “più grande paura”? Israele ha “perso l’efficacia di una propria narrazione” nei campus universitari negli Stati Uniti, anche tra i giovani ebrei!

Quindi i palestinesi vengono uccisi in ogni dove perché resistono all’occupazione e la preoccupazione e il timore dell’ambasciatore è che nelle università non venga più diffusa la versione filo-israeliana. Che le persone che sostengono Israele abbiano paura di farsi avanti!

Non penso che si possa ottenere una dimostrazione migliore del ruolo narcisistico della lobby israeliana dello scambio Axelrod-Nides del 16 febbraio. Nides è un tipo simpatico, un affabile uomo d’affari di Duluth i cui legami familiari nella comunità ebraica ufficiale hanno spinto la sua carriera nel Partito Democratico, fino a un incarico di grande fiducia da parte di Joe Biden. E cosa gli interessa davvero? Promuovere Israele nelle università.

In realtà è solo un galoppino filo-israeliano, ma lo è anche Axelrod: entrambi questi potenti accoliti sessantenni si scavalcano a vicenda per mostrare il loro attaccamento emotivo a Israele in quanto presunta democrazia, tralasciando del tutto le uccisioni dei palestinesi. Forse la fase più sconvolgente di questa performance è il momento in cui Nides si vanta di andare a ogni shiva [rituale religioso ebraico in occasione di un lutto, ndt.] per ogni israeliano ucciso da “terroristi” e poi si lamenta che vengano uccisi anche dei palestinesi innocenti – senza alcun accenno ai loro funerali, perché non ci va.

Questo razzismo anti-palestinese è profondamente radicato nella nostra politica, ma il fatto che Nides se ne vanti dovrebbe essere imbarazzante. Ed è un liberal” [progressista, ndt.] ! Il quale ci dice che i palestinesi vogliono “denaro” non diritti.

Sentiamo cosa hanno da dire Nides e Axelrod.

Nides critica il governo Netanyahu per aver portato avanti i piani per privare la magistratura dei poteri e legalizzare gli insediamenti. “Stiamo dicendo al Primo Ministro, come dico ai miei figli, tira i freni, rallenta… Stai andando troppo veloce”. Questo era il titolo della notizia.

Axelrod afferma che le critiche di un ambasciatore e anche del presidente Biden sono “molto insolite”.

Nides si dice entusiasta della democrazia israeliana e spiega quanto sia importante questa percezione per il settore commerciale e per gli Stati Uniti che difendono Israele.

Prima di tutto, questa è una democrazia piena di vita, come dimostrano le decine di migliaia di persone che protestano ogni sabato… La realtà è che il 72% di questo Paese ha votato per la quinta volta in due anni. È incredibile. In America possiamo solo sognarlo…

Alla fine dei conti gli Stati Uniti non si trovano nella posizione di dire e dettare a Israele come scegliere la loro Corte Suprema. Per essere chiari, l’unica cosa che lega i nostri Paesi è un sentimento di democrazia, un senso delle istituzioni democratiche.

È così che difendiamo Israele alle Nazioni Unite, è così che difendiamo i valori che condividiamo.

E gli Stati Uniti non rinunceranno mai a difendere Israele. Lo dice Biden. Nides:

Senti, la cosa più importante è che questa relazione tra Stati Uniti e Israele sia indissolubile, che è l’indicazione che ho ricevuto dal presidente quando ho accettato questo lavoro. Come tu sai, David… Joe Biden si preoccupa davvero per Israele. Crede nel suo cuore e nella sua anima, nelle sue kishke [viscere in ebraico, ndt.], come diremmo noi ebrei…. Ha detto: non è necessario essere ebreo per essere sionista».

Noi ebrei” è un segnale; entrambi i personaggi si lasciano andare. Axelrod e Nides si scambiano la loro buona fede sionista e il reciproco “orgoglio per Israele”. Axelrod, 68 anni, ex braccio destro di Barack Obama, dice di essere cresciuto a New York in una famiglia di immigrati, che hanno messo insieme i soldi per mandare i loro nonni in Israele. “Qualcosa di cui io e la mia famiglia siamo sempre stati orgogliosi è questa democrazia piena di vita… una democrazia che prospera in una parte del mondo che in realtà non ha mai visto una democrazia”. E non danneggerebbe “l’anima di Israele” la perdita di indipendenza della magistratura?

“Ci tengo molto a Israele”, dice Nides. Ha visitato il Paese per la prima volta a 15 anni, alla fine degli anni ’70. E in questo momento gli ebrei americani sono preoccupati che i cambiamenti di Netanyahu possano minare la “democrazia” israeliana: “Gli ebrei americani e non solo gli ebrei liberal riformatori come me, ma anche gli ebrei moderati e conservatori sono piuttosto preoccupati”. (Per la cronaca, questa settimana sul New York Times Peter Beinart ha demolito il concetto di democrazia ebraica. “Non puoi salvare la democrazia in uno Stato ebraico”. Non tutti gli ebrei americani sono stupidi e venduti.)

Axelrod chiede se Nides si preoccupi della “sfilacciatura” di quel sostegno ebraico americano nel caso Israele prendesse una svolta antidemocratica e le politiche espansionistiche di Israele venissero proseguite (come è stato per 56 anni)? Questo è ciò che tiene Nides sveglio la notte:

“Quello che veramente mi preoccupa, David, che mi tiene sveglio la notte, è quanto succede nei campus universitari. Questo mi fa preoccupare davvero… E’ molto difficile per un ragazzo ebreo o non ebreo intervenire e parlare di Israele. Abbiamo perso l’efficacia della nostra narrazione nei campus universitari e dobbiamo concentrarci su questo… Ho fatto una registrazione su Hillel [antico rabbino ebreo, ndt.]… Ho detto: ascoltate ragazzi, abbiamo perso questa efficacia della nostra narrazione, potete essere a favore sia di Israele che del popolo palestinese! In qualche modo abbiamo perso questa efficacia di una nostra narrazione nei campus universitari. Si può sostenere la discussione dicendo di avere a cuore sia il popolo palestinese che Israele. Va bene, non c’è niente di sbagliato in questo!”

Axelrod interviene dicendo che si può essere “contrari al terrorismo e alla brutalità che gli israeliani hanno conosciuto ed essere critici quando vengono limitati i diritti umani dei palestinesi”. Limitati: bell’eufemismo!

Nides confessa la sua più grande paura:

“Ciò che mi preoccupa più di ogni altra cosa è la prossima generazione, ok? La prossima generazione di ragazzi che frequentano i campus universitari e i dottorati. Questa è la mia più grande paura. Sì, Israele deve realizzare un maggiore impegno nella comunicazione. Devono comunicare in modo che i giovani credano che Israele sia un Paese democratico, in cui i diritti delle persone sono protetti.”

I due esperti discutono della soluzione dei due Stati. “A questo punto sembra una tipologia di espressione vuota”, sostiene Axelrod; e Nides dice che si tratta di una “visione”, ma il denaro è più importante per i palestinesi.

“Ascolta, non sto sognando. Non sono un sognatore. Ecco perché mi concentro sulle cose che fanno la differenza, ragazzi. Mi sveglio ogni giorno e cerco di fare qualcosa che aiuti il popolo palestinese. E queste cose sono i soldi. Come ricorderai, sotto l’amministrazione Trump hanno tagliato tutti i fondi per i palestinesi, tutto. Sotto l’amministrazione Biden negli ultimi due anni abbiamo fornito loro circa 750 milioni di dollari di assistenza diretta al popolo palestinese. Questo è reale, è concreto. E’ qualcosa che fa davvero la differenza…”

Alla gente non interessa la politica ma i soldi: La persona media non si sveglia… e dice: oh dov’è la mia soluzione a due Stati? No, si sveglia e dice: dove trovo lavoro? posso guadagnarmi da vivere? posso comprare un’auto? Queste sono cose concrete.” Proprio come la convinzione di Trump/Kushner nella “pace economica”, non nei diritti.

Nides afferma in tono difensivo di trascorrere la maggior parte del suo tempo a cercare di portare cose concrete ai palestinesi.

“Mentre inseguiamo questo tipo di idea di una soluzione a due Stati . Io passo il 60% del mio tempo cercando di aiutare il popolo palestinese. OK? Trascorro il mio tempo cercando di far aprire il ponte Allenby [varco di confine tra Giordania e Territori Palestinesi Occupati, ndt.] 24 ore su 24, 7 giorni su 7… Spingo in modo aggressivo per ottenere un accordo sul 4g, in modo che i palestinesi abbiano 4g e non 2g sui loro telefoni… Si tratta di fare cose per il popolo palestinese. Dicono: ‘Oh Tom, sono piccole cose…’ Non mi interessa. Istruzione, assistenza sanitaria… Il palestinese medio si sveglia ogni giorno, proprio come l’israeliano medio, e tutto quello che vuole è sicurezza, lavoro, libertà e opportunità, niente di più…”

Nides pensa che Netanyahu si ritirerà a causa dell’economia: L’unica cosa che sta attirando l’attenzione del primo ministro, come dovrebbe essere, è l’impatto economico che questo può avere. Credo, forse sto sognando, forse, ma credo che prevarranno le menti più assennate.” (Proprio quello che fa il BDS quando prende di mira l’apartheid.)

Nides ripete che Israele è in fiamme. “Come ho detto 100 volte al primo ministro non possiamo dedicare tempo alle cose a cui insieme teniamo se il giardino è in fiamme”. E quando il ministro della polizia Itamar Ben-Gvir è salito al Nobile Santuario [la moschea di Al Aqsa di Gerusalemme, la seconda più antica moschea dell’Islam, ndt.] – “per creare problemi, a mio avviso … .. questo è il tipo di assurdità che a mio avviso infiamma le cose”.

Non preoccuparti, qualunque cosa faccia Israele, gli Stati Uniti lo difenderanno:

“Proprio su questo non esistono dubbi. Copriamo saldamente le spalle a Israele, sia per quanto riguarda la sua sicuerezza che alle Nazioni Unite.”

Nides poi si vanta:Mi sono recato allo shiva [servizio funebre, ndt.] di ogni famiglia di ogni israeliano ucciso da un terrorista nell’ultimo anno e mezzoCapisco la minaccia a cui si trova esposto Israele.”

E che dire di tutti i palestinesi uccisi? Axelrod fa riferimento all'”uso eccessivo della forza in Cisgiordania”.

“Mi si spezza il cuore, ok, mi si spezza il cuore quando un palestinese innocente viene ucciso, ma certamente mi si spezza il cuore quando un ebreo innocente esce da una sinagoga e viene falciato da un terrorista… È terribile.”

Quei palestinesi non hanno diritti, ma guai parlare di dar loro diritti perché questo metterebbe fine al sogno sionista. Nides:

“In definitiva, il motivo per cui sostengo una soluzione a due Stati è che salvaguarderebbe Israele come Stato democratico ebraico. Fino a quando qualcuno viene da me e dice: “Hey Tom, ho questa nuova idea che potresti avere uno Stato unico e salvaguardare uno Stato democratico ebraico – è fantastico, mostramelo. Non è possibile, e quando qualcuno mi esporrà un modo in cui far sì che 3 milioni di persone che vivono in Cisgiordania ottengano gli stessi diritti dei 9 milioni di persone che vivono in Israele, dimostrando che sia possibile, allora ne potremo discutere. Ma purtroppo non è così. Ed è per questo che è importante mantenere in vita la visione di una soluzione a due Stati.”

In conclusione: sono contro la parità di diritti. E 2 milioni di persone a Gaza sono al di là delle mie preoccupazioni. E io sono un liberal. E Joe Biden ha bisogno della lobby israeliana.

(traduzione dall’inglese di Aldo lotta)




“Catastrofe”: i palestinesi raccontano la mortale incursione israeliana a Nablus

Zena Al Tahhan

23 febbraio 2023 – Al Jazeera

Le forze israeliane hanno ucciso 11 palestinesi a Nablus in una delle incursioni più letali dalla rivolta del 2000-05

Ramallah, Cisgiordania occupata – Almeno 150 soldati israeliani su decine di mezzi blindati hanno attaccato Nablus mercoledì in quello che è diventato uno dei più letali raid militari nella Cisgiordania occupata dalla rivolta di massa palestinese, o Intifada, del 2000-05.

In quattro ore l’esercito israeliano ha ucciso 11 palestinesi e ferito più di 80 persone, alcune gravemente, con munizioni vere. Il raid avviene quasi un mese dopo che 10 palestinesi sono stati uccisi in un raid simile nel campo profughi di Jenin, a circa 41 km di distanza.

Jenin e Nablus, diventate i centri di una moderata resistenza palestinese, sono lo scenario di sempre più numerosi attacchi mortali israeliani.

Tra le vittime dei raid di mercoledì vi sono tre anziani – di 72, 66 e 61 anni – e un ragazzo di 16 anni, e centinaia di altre persone hanno inalato gas lacrimogeni.

Sparavano a destra e sinistra, a chiunque, chi aveva e chi non aveva armi. Io ero a due metri da un ragazzo, assistevo agli eventi, e lui è stato colpito e ferito proprio davanti a me”, dice a Al Jazeera Khaled Jamal, un abitante di 25 anni.

È stata una catastrofe. Tutti dentro e fuori dall’ospedale piangevano per la scena che si svolgeva davanti ai nostri occhi – uomini, donne, bambini. Anche le persone che erano in ospedale per dei controlli piangevano”, continua.

Forze israeliane sotto copertura sono entrate a piedi nella Città Vecchia di Nablus all’alba di mercoledì, vestite da religiosi musulmani e da donne velate e si sono nascoste dentro una moschea nel quartiere di al-Halabeh vicino ad una casa dove si rifugiavano due combattenti palestinesi.

I soldati israeliani sono rimasti nascosti nella moschea fino al mattino, quando decine di altri soldati si sono posizionati dentro e intorno alla casa e al quartiere – compresi cecchini sui tetti, a quanto affermano gli abitanti del luogo.

I due combattenti, Hossam Isleem di 24 anni e Mohammad Abdulghani di 23 (conosciuto anche come Mohammad Jneidi), appartenenti al gruppo armato Fossa dei Leoni di Nablus, si sono rifiutati di arrendersi. Pochi minuti dopo, secondo gli abitanti, le forze israeliane hanno attaccato la casa con granate lanciarazzi e droni armati, uccidendoli.

L’esercito israeliano sostiene che Isleem, con Osama Taweel e Kamal Joury, altri due combattenti in detenzione amministrativa, fosse coinvolto nella sparatoria che in ottobre ha ucciso un soldato israeliano vicino alla colonia illegale di Shavei Shomron.

“Inconcepibile”

Akram Saeed Antar, che abita nella zona di al-Halabeh dove si trovava la casa presa di mira, ha detto che i soldati israeliani sparavano indiscriminatamente.

Sono state almeno 3 ore di distruzione, esplosioni e proiettili veri che hanno preso di mira tutti gli abitanti della zona”, dice Antar. “Uccidevano persone anziane e bambini per strada”.

I combattenti della resistenza avevano semplici fucili, non potevano resistere a granate, missili e droni”, continua Antar.

Durante l’operazione intorno alla casa le forze israeliane hanno attaccato larghe folle di palestinesi in tutta Nablus in diversi luoghi accalcati usando proiettili veri e candelotti lacrimogeni che contenevano spray al peperoncino, e sparato anche da droni quando si sono estesi gli scontri con gli abitanti.

Inconcepibile! Lanciavano gas lacrimogeni contro donne, uomini, anziani, in ogni zona affollata di Nablus dove c’era tanta gente. Sono andato con un gruppo di giovani a instradare le persone con bambini, le famiglie, verso il principale centro commerciale in città – era il posto più sicuro”, dice Jamal, che ha anche sofferto per l’inalazione di gas lacrimogeno.

Non era normale gas lacrimogeno. Era mescolato con spray al peperoncino, per cui non solo soffochi, ma non puoi neanche aprire gli occhi. C’erano molte persone che camminavano cieche”.

Un altro testimone, che ha preferito restare anonimo per paura di rappresaglie, ha detto: “È stato un massacro.”

Tutti correvano per le strade gridando. L’esercito trattava le persone barbaramente – sparava alla gente nelle strade, nei negozi, ai carrelli della spesa nel mercato, distruggeva la merce”, dice ad Al Jazeera.

Serie di incursioni mortali

Il micidiale raid su Nablus è la terza grande operazione israeliana in Cisgiordania dall’inizio dell’anno e sotto il nuovo governo israeliano di estrema destra che ha giurato alla fine di dicembre.

Il 26 gennaio le forze israeliane hanno ucciso nove palestinesi, tra cui due bambini e una donna, nel campo profughi di Jenin, in quello che è stato anche descritto come un “massacro”. Il 6 febbraio l’esercito ha ucciso cinque uomini e ferito gravemente altri due nel campo profughi di Aqabet Jaber nella città di Gerico.

Le operazioni su larga scala arrivano a seguito del 2022, dichiarato dalle Nazioni Unite come l’anno più letale per i palestinesi dalla fine della seconda Intifada nel 2005.

Israele afferma di prendere di mira la limitata resistenza armata palestinese nel nord della Cisgiordania, ma molti civili, compresi i bambini, vengono spesso uccisi e feriti durante tali raid e le loro proprietà vengono distrutte.

Con 62 palestinesi, tra cui 13 bambini, finora uccisi quest’anno, e centinaia di altri feriti, i primi due mesi del 2023 sono stati i più letali dal 2000 rispetto allo stesso periodo.

Mercoledì il Ministero della Salute palestinese ha affermato in una dichiarazione che “l’inizio di quest’anno è il più sanguinoso nella Cisgiordania occupata almeno dall’anno 2000. Negli ultimi 22 anni non abbiamo mai registrato un tale numero di martiri [61] nei primi due mesi di un anno”.

I quasi giornalieri omicidi in Cisgiordania che continuano da più di un anno, così come altre politiche oppressive israeliane tra cui l’aumento delle demolizioni di case palestinesi e le misure punitive sui prigionieri, stanno ulteriormente rendendo esplosiva la situazione sul campo.

In migliaia hanno partecipato mercoledì pomeriggio ai funerali delle 11 persone uccise, con canti appassionati contro l’occupazione israeliana e in onore dei combattenti e dei civili uccisi. Erano presenti centinaia di combattenti con i fucili in mano.

Mercoledì notte gruppi di resistenza armata nella Striscia di Gaza assediata hanno lanciato razzi su Israele in risposta al raid di Nablus, cui Israele ha sollecitamente risposto lanciando raid aerei su Gaza.

La resistenza a Gaza è commisurata all’escalation dei crimini del nemico nella Cisgiordania occupata contro il nostro popolo, la cui pazienza si sta esaurendo”, ha detto Abu Obeida portavoce del movimento Hamas.

L’escalation della violenza fa temere un conflitto più ampio, e alcuni affermano che una terza Intifada sia inevitabile.

Tornando a Nablus, i residenti continueranno a lungo a subire lo choc per le conseguenze del micidiale attacco israeliano.

“È stato orribile. Ero seduto lì alla fine del giorno sul pavimento dell’ospedale con il sangue addosso, piangendo con un gruppo di giovani”, ha detto Jamal.

(traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Uno sponsor del Festival di Adelaide ritira l’appoggio alla settimana degli scrittori a causa degli autori palestinesi

Daniel Keane

21 febbraio 2023 – ABCnews

Un importante sponsor del Festival di Adelaide ha ritirato il suo pubblico sostegno all’evento di quest’anno in segno di protesta, affermando di essere preoccupato per la possibilità di “osservazioni razziste o antisemite” nella Settimana degli Scrittori.

Lo studio legale MinterEllison ha detto di aver “vivamente espresso” agli organizzatori dell’evento le proprie riserve riguardo alla presenza della scrittrice e studiosa Susan Abulhawa e del poeta Mohammed El-Kurd.

Gli organizzatori del festival hanno replicato dicendo che, pur rispettando la decisione dello studio, sono determinati a garantire che la Settimana degli Scrittori del mese prossimo resti un palcoscenico per “il dialogo civile e il confronto delle idee.”

La prevista partecipazione della signora Abulhawa è stata oggetto di polemiche la settimana scorsa quando l’Associazione degli Ucraini dell’Australia del Sud ha manifestato la propria contrarietà alla palestinese-americana, le cui dichiarazioni pubbliche hanno incluso reiterate critiche al presidente ucraino Volodymyr Zelenskyy.

El-Kurd è un critico del sionismo e ha descritto Israele come una “nazione terrorista e genocida” caratterizzata da una “sete inestinguibile di sangue e terra palestinese.”

In una dichiarazione lo studio legale MinterEllison ha affermato di essere un convinto sostenitore delle arti e di aver sponsorizzato il Festival di Adelaide per cinque anni, ma che ora stava riconsiderando la sua collaborazione.

Siamo venuti recentemente a conoscenza della partecipazione della signora Abulhawa e del signor El-Kurd al Festival degli Scrittori di Adelaide e, in particolare, di alcune dichiarazioni pubbliche fatte dalla signora Abulhawa e dal signor El-Kurd”, hanno detto.

Non siamo d’accordo con quelle opinioni. Abbiamo vivamente espresso le nostre riserve al Festival.

Abbiamo chiesto garanzie da parte del Festival che non saranno tollerate posizioni razziste o antisemite durante gli incontri con il signor El-Kurd o con la signora Abulhawa o in ogni altro incontro del Festival.”

Lo studio ha detto di aver preso la decisione, in vista dell’inizio del Festival il 3 marzo, di “ritirare la nostra presenza e coinvolgimento dal programma di quest’anno del Festival degli Scrittori.”

Inoltre, poiché quei relatori sono legati al Festival, ritireremo il nostro sostegno al programma generale del Festival (per quanto possibile). Stiamo valutando di riconsiderare la collaborazione futura.”

Lo studio legale pagherà comunque la sponsorizzazione, anche se il suo logo non comparirà più pubblicamente tranne che sul materiale già stampato.

Il Festival difende le decisioni della Settimana degli Scrittori

In risposta la direttrice generale del Festival Kath Mainland ha espresso disappunto per l’iniziativa di MinterEllison, ma ha difeso la Settimana degli Scrittori come palcoscenico per una pacifica discussione.

Pur se dispiaciuti per la loro decisione di rimuovere il logo dalla Settimana degli Scrittori di Adelaide e dagli eventi del Festival di Adelaide, rispettiamo comunque la loro scelta”, ha dichiarato la signora Mainland.

Il Festival di Adelaide ha come obiettivo di fornire un’opportunità di dialogo civile e confronto di idee.

Crediamo fermamente nell’importanza di consentire e agevolare la libertà di espressione delle idee, che potrebbero anche essere provocatorie o conflittuali, ma restano sempre degne di rispetto.”

La direttrice della Settimana degli Scrittori Louise Adler ha affermato che il principio della libertà di espressione è più importante della sponsorizzazione.

Possiamo solo sperare che i nostri sponsor condividano con noi le vicissitudini, ma a volte possono, a volte no”, ha detto a ABC Radio Adelaide.

Immagino che lo studio Minters ritenga di dover proteggere un marchio, ma certamente anche noi abbiamo un marchio da proteggere, che poggia sul principio di invitare gli scrittori per ciò che scrivono e non per i loro tweet, e perché crediamo che il loro lavoro di scrittori sia importante e interessante per le migliaia di persone che vengono nei nostri parchi.”

La signora Adler, che è ebrea, ha detto che le critiche allo Stato di Israele non corrispondono ad antisemitismo.

Ciò che qui è in gioco è la confusione tra le due cose”, ha detto.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Perché l’opposizione israeliana non vuole parlare del vero obiettivo della riforma giudiziaria

Michael Schaeffer Omer-Man

21 febbraio 2023 – +972 Magazine

Politici del governo hanno esplicitamente affermato che la riforma giudiziaria riguarda l’annessione. Gli oppositori non vogliono ammetterlo perché condividono lo stesso progetto.

Quasi esattamente 10 anni fa il ministro della Giustizia israeliano Yariv Levin, allora giovane stella nascente nel partito di Netanyahu, il Likud, parlò a una conferenza organizzata dal Movimento Israeliano per la Sovranità, sostenitore della totale annessione da parte di Israele dei territori palestinesi occupati. Prima di esporre un piano di quattro fasi per quello che molti hanno definito una “annessione strisciante” attraverso piccoli passi successivi nell’applicare la legge israeliana alla Cisgiordania, Levin mise in guardia il suo pubblico di ideologi.

Non ho dubbi che tra non molto riusciremo ad estendere la sovranità su tutta la Terra di Israele,” rassicurò i presenti. “È importante avere questo progetto perché a volte esso contrasta con le tattiche e i compromessi che devono essere fatti lungo il percorso. Dobbiamo attenerci a questo obiettivo in modo intelligente giorno dopo giorno, potrei persino dire talvolta con raffinatezza, per raggiungere alla fine il nostro obiettivo.”

Un anno dopo Levin parlò di nuovo alla conferenza. Oltre ai passi discreti e implacabili che aveva presentato nella sua precedente apparizione, il politico del Likud aggiunse due importanti prerequisiti per una totale annessione. Il primo, ammonì, era una lenta e paziente campagna per cambiare il modo in cui l’opinione pubblica israeliana, compresa la destra annessionista, pensava e parlava della questione palestinese dopo decenni in cui gli Accordi di Oslo e la soluzione a due Stati avevano caratterizzato il discorso.

La seconda condizione imprescindibile per l’annessione di cui parlò fu molto più audace: una totale riforma del sistema legislativo e giudiziario israeliano. “Non possiamo accettare l’attuale situazione in cui il sistema giudiziario è controllato da estremisti di sinistra, una minoranza post-sionista che si auto-nomina a porte chiuse, imponendoci i suoi valori, non solo sull’(annessione), ma anche su altre questioni,” spiegò Levin. “Un cambiamento del sistema giudiziario è essenziale perché ci consentirà e ci faciliterà il fatto di intraprendere passi concreti sul terreno che rafforzino il processo di promozione della sovranità.”

Molti nella destra israeliana vedono il sistema giudiziario del Paese, che in realtà ha appoggiato e consentito l’esistenza stessa e l’espansione delle colonie israeliane nei territori occupati, come ostile al movimento dei coloni. Vedono gli occasionali vincoli che la Corte ha introdotto, in particolare il fatto che essa abbia bocciato una legge che avrebbe legalizzato colonie costruite su proprietà privata palestinese rubata, come il principale impedimento alla possibilità di realizzare i sogni annessionisti, che per loro sono una combinazione di imperativi messianici e ideologici.

Passano 10 anni e Levin diventa il nuovo ministro della Giustizia di Israele, accelerando una totale riforma del sistema legislativo e giudiziario del Paese, in un processo che molti all’interno di Israele definiscono un tentativo di colpo di stato. La proposta di legge ha scatenato in Israele un massiccio movimento di protesta che ha visto manifestazioni settimanali, scioperi generali, minacce di fuga di capitali e importanti personalità che invocano la disobbedienza civile.

Nonostante la crescente rivolta, lunedì notte la Knesset [il parlamento israeliano, ndt.] ha approvato in prima lettura una legge che darebbe al governo un notevole controllo sulla commissione per la selezione dei giudici israeliani e impedirebbe alla Corte Suprema di esercitare il controllo giudiziario sulle Leggi Fondamentali del Paese. La proposta richiede altre due letture perché venga convertita in legge.

In un Paese con un ordine costituzionale caratterizzato dalle innumerevoli decisioni dei suoi leader di non prendere decisioni, la prospettiva di un risoluto governo di estrema destra che consolidi il potere e sovverta l’unico controllo istituzionale sulle sue pretese è indubbiamente terrificante. Quindi molti israeliani pensano di lottare per salvare la democrazia, le libertà e i diritti che hanno sperimentato nel loro Paese per più di 70 anni.

Ma ciò sollecita una domanda cruciale: perché il latente obiettivo ideologico e politico che promuove questa riforma dell’intero sistema di governo israeliano da parte dell’estrema destra, cioè l’annessione unilaterale dei territori occupati, è così assente dal discorso pubblico e dalle proteste nelle piazze?

Non è un progetto degli estremisti

Non c’è bisogno di vedere i video di 10 anni fa su YouTube per capire l’ossessione fanatica che la destra israeliana ha riguardo all’annessione. Solo qualche anno fa, in un governo non diverso da quello di oggi, Netanyahu disse che entro breve avrebbe ufficialmente annesso vaste aree della Cisgiordania occupata, un piano poi congelato in cambio della normalizzazione dei rapporti diplomatici con gli Emirati Arabi Uniti, seguiti dal Bahrein, dal Marocco e dal Sudan.

In seguito a quel disastro per la destra annessionista, nel 2020 l’allora presidente della Knesset Yariv Levin, insieme all’attuale ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, fondò il “Comitato per la Terra di Israele”. Pur mettendo in guardia i suoi sodali ideologici che come presidente della Knesset avrebbe dovuto parlare in “termini istituzionali”, durante il primo incontro Levin rassicurò i suoi alleati del comitato che avrebbe comunque lavorato per procedere verso l’annessione. “La sovranità su tutta la terra di Israele,” affermò, “è l’irrevocabile diritto del popolo ebraico. È nostro dovere, e non una questione di scelta, realizzarlo.”

È importante analizzare la leadership di Levin a favore dell’annessione per due ragioni. La prima è che egli si trova ora nella posizione di mettere le basi giuridiche per la sua realizzazione. La seconda è che i progetti annessionisti di questo governo, sia all’interno di Israele che a livello internazionale, tendono ad essere liquidati come un progetto di politici e partiti dei coloni estremisti che sono arrivati al governo e grazie ai quali Netanyahu è stato in grado di riprendere il potere dopo quattro elezioni inconcludenti e un breve periodo all’opposizione.

Il Comitato per la Terra di Israele, che Levin ha co-fondato per portare avanti strategie legislative e alleanze trasversali tra i partiti finalizzate all’annessione, è sempre stato dominato dal Likud. Nella 23esima Knesset, quando il comitato è stato fondato, i parlamentari del Likud rappresentavano il 44% dei membri, più di metà degli eletti del partito. Da allora nella 24esima Knesset, sciolta lo scorso novembre, l’87% dei deputati del Likud faceva parte del comitato ed essi rappresentavano il 57% di esso. Pochi anni prima il comitato centrale del Likud aveva votato per sostenere l’annessione come parte del proprio programma.

Nonostante la loro esplicita agenda, nel più vasto dibattito pubblico Netanyahu e il Likud sono percepiti come intenzionati a riformare il sistema di governo israeliano per ragioni diverse, di megalomania e corruzione. Il primo ministro, si afferma, attualmente è sotto processo per corruzione, la principale ragione citata dai suoi alleati storici per abbandonarlo, e l’unico modo per lui di garantirsi di non finire in galera è attraverso il controllo del potere giudiziario. All’interno di questa narrazione la riforma governativa è stata definita semplicemente come un abuso di potere, benché con conseguenze di vasta portata per l’economia, la posizione diplomatica, i diritti civili e per una delle linee di faglia più spinose di Israele: i rapporti tra Stato e religione.

Generalmente si attribuisce ai partiti più piccoli e radicali dell’ultimo governo Netanyahu, guidati da Itamar Ben Gvir e Bezalel Smotrich, l’uso della riforma giudiziaria per raggiungere finalmente il loro sogno di annessione, sfrenata espansione delle colonie ed espulsione del maggior numero possibile di palestinesi. Per gran parte dell’opposizione essi sono tutt’al più degli opportunisti che hanno individuato il momento in cui le loro fantasie messianiche convergono con gli interessi personali di Netanyahu e in cui finalmente hanno influenza perché senza di loro il governo crollerebbe.

Di conseguenza la lotta per salvare la democrazia israeliana dipinge la propria distopia in parallelo con la caduta nell’autoritarismo vista in Ungheria e in Polonia nello scorso decennio. Quindi bloccare l’“orbanizzazione” di Israele è diventata una sorta di parola d’ordine dell’opposizione.

Un ethos colonialista unificante

La ragione di questa dissonanza tra la narrazione dell’opposizione e il vero progetto del Likud è duplice. Primo, perché in parte è vera: in effetti Netanyahu ha bisogno di questi alleati di coalizione proprio per la sua stessa sopravvivenza politica e la sua libertà personale. La seconda ragione si riduce al fatto che l’opposizione israeliana e Netanyahu condividono la stessa ideologia, il sionismo, il cui fondamento è la convinzione che dio abbia dato la Terra di Israele al popolo ebraico, che gli ebrei abbiano il diritto di stanziarsi su ogni parte di quella terra e che la sopravvivenza del popolo ebraico dipenda dalla estrinsecazione fisica e politica di tale dottrina.

L’unica seria sfida a questo progetto, il fallito processo di Oslo che prevedeva la partizione e diversi livelli di limitata autonomia palestinese, non ha mai contrastato la fondamentale convinzione sionista che tutta la Terra di Israele sia del popolo ebraico. Quello su cui leader come Yitzhak Rabin e Ariel Sharon dissentivano riguardava il compromesso strategico, non l’ideologia. Loro e gli israeliani che ne seguivano i rispettivi percorsi non hanno mai visto la rinuncia alla piena applicazione di quello che è noto come sionismo massimalista o espansionista come una sua negazione.

Questo caposaldo del sionismo è la ragione per cui Rabin, Sharon, Shimon Peres, Ehud Olmert, Tzipi Livni e qualunque altro importante politico israeliano che ha proposto o inteso fare concessioni territoriali non si è mai sognato di rinunciare a tutte le colonie israeliane al di là della Linea Verde. A un decennio dall’ultimo processo di pace credibile, in Israele il sostegno persino a una limitata concessione territoriale è praticamente sparito.

A prescindere dalla sua veridicità storica, l’idea della sinistra israeliana di terra in cambio di pace è stata screditata dalla maggioranza degli israeliani sionisti come un errore comprovato. Persino quei partiti politici che ancora sostengono una soluzione a due Stati, anche solo in teoria, hanno interiorizzato da molto tempo l’inutilità di perseguirla. Un recente sondaggio ha rilevato che il sostegno degli ebrei israeliani a un regime di apartheid permanente, in cui Israele controlli tutto il territorio dal fiume Giordano al Mediterraneo ma non conceda pari diritti ai palestinesi, è raddoppiato negli ultimi due anni dal 15 al 29%. Nello stesso periodo il numero di ebrei israeliani che appoggiano i due Stati è sceso dal 43 al 34 %.

Cosa ancora più grave, una significativa sezione trasversale di quanti protestano contro il piano Netanyahu-Levin-Smotrich-Ben Gvir, e stanno anche avvertendo di un possibile spargimento di sangue nelle piazze, condivide il latente insieme di principi ideologici e obiettivi politici che il quel progetto intende raggiungere.

Per alcuni israeliani l’opposizione è personale: aborrono l’idea che governi il loro Paese qualcuno sotto processo per corruzione. Per altri, come Avigdor Lieberman [leader di un partito ultranazionalista laico, ndt.] e molti israeliani laici preoccupati dalle imposizioni religiose, si tratta dell’alleanza di Netanyahu con partiti religiosi ebraici. Per quanti sono più vicini al centro-sinistra, le differenze riguardano il prezzo per il vissuto ebraico democratico e quasi liberale di Israele.

Molti economisti e importanti uomini d’affari sono semplicemente terrorizzati dai previsti danni per l’economia israeliana derivanti dall’erosione dello stato di diritto e dell’indipendenza della magistratura.

Il problema con la “democrazia israeliana”

Dato che queste differenze non sono ideologiche, praticamente nessuno sta facendo i conti con la dissonanza tra la propria concezione della democrazia israeliana che starebbe cercando di salvare e l’intrinsecamente antidemocratico e illiberale regime di apartheid su cui la “sovranità ebraica” si è sempre fondata.

Il centro e buona parte della destra israeliani si oppongono all’annessione a breve termine della Cisgiordania perché pensano che in base alle attuali circostanze lo status quo di una “temporanea” occupazione militare di più di 55 anni sia più prudente dal punto di vista strategico. Secondo loro cancellare formalmente la distinzione tra i territori occupati e il vero e proprio territorio riconosciuto di Israele renderebbe troppo difficile convincere il mondo che Israele non è un regime di apartheid in cui a metà della popolazione, palestinese, vengono negati fondamentali diritti democratici, civili e umani.

Tale dissonanza risulta evidente se si considera che l’opposizione al piano di Netanyahu non sta offrendo un progetto alternativo. Non stanno suggerendo che Israele adotti una costituzione con garanzie formali di uguaglianza, diritti civili, democrazia o chiarezza sulla questione dei rapporti tra Stato e religione. Non hanno intenzione di denunciare le mire espansionistiche di Levin, Smotrich e Ben Gvir perché tali mire e la convinzione che la Terra di Israele sia del popolo ebraico è intrinseca all’ethos sionista. Non sono in grado di definire cosa effettivamente ne sia della democrazia israeliana se continua a governare in modo antidemocratico milioni di palestinesi senza concedere loro pari diritti.

Tuttavia il baratro che, come avvertono alcuni, potrebbe portare Israele a una guerra civile non riguarda visioni contrapposte del Paese. Il fatto è che un gruppo non si accontenta più di aspettare le “giuste condizioni” per realizzare il sogno sionista della sovranità ebraica su tutta la Terra di Israele, mentre l’altro preferisce attenersi alla tradizione politica di guadagnare tempo decidendo di non decidere.

Per Netanyahu, Levin, Smotrich e Ben Gvir le conseguenze della formalizzazione di un regime di apartheid che mini la nozione di Israele come una democrazia, e alcuni dei privilegi e vantaggi che questa definizione offre loro, valgono il costo, se pure il mondo è intenzionato a imporne uno. E proporre una vera visione alternativa richiederebbe all’opposizione un livello di riflessione su se stessa e una sfida a convinzioni fondamentali che praticamente nessuno intraprenderebbe volontariamente.

Michael Schaeffer Omer-Man è direttore di ricerca per Israele-Palestina al DAWN [Democracy for the Arab World Now, istituto di ricerca statunitense, ndt.]. Fino al 2019 è stato direttore di +972 Magazine. Ha lavorato anche con agenzie internazionali umanitarie e per i rifugiati nel contesto Israele/Palestina.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite esprime “sconcerto” per le colonie israeliane

Redazione Al Jazeera

20 febbraio 2023-Al Jazeera

La dichiarazione annacquata sostituisce la bozza di risoluzione che avrebbe condannato esplicitamente l’insediamento di colonie di Israele.

Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (UNSC) ha espresso “profonda preoccupazione e sconcerto” per l’insediamento di colonie di Israele in una dichiarazione annacquata che sostituisce una bozza di risoluzione che avrebbe condannato esplicitamente le politiche israeliane.

La dichiarazione presidenziale del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite – approvata lunedì da tutti i 15 membri del consiglio, compresi gli Stati Uniti – ha anche sottolineato quello che ha definito “l’obbligo dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) di rinunciare al terrorismo e combatterlo”.

“Il Consiglio di sicurezza ribadisce che le continue attività di insediamento israeliano stanno pericolosamente mettendo a rischio la fattibilità della soluzione dei due stati basata sui confini del 1967”, ha affermato il consiglio.

Il provvedimento simbolico è arrivato in risposta a una decisione del governo israeliano all’inizio di questo mese di autorizzare migliaia di unità abitative nella Cisgiordania occupata e di legalizzare retroattivamente gli avamposti delle colonie costruiti illegalmente [anche secondo la legge israeliana, ndt.].

L’inviato palestinese alle Nazioni Unite, Riyad Mansour, ha dichiarato lunedì ai giornalisti: “Siamo molto felici che ci sia stato un messaggio unitario molto forte da parte del Consiglio di sicurezza contro la decisione [di Israele] illegale e unilaterale”.

Ma secondo diversi organi di stampa statunitensi e israeliani, che citano fonti diplomatiche, l’ANP avrebbe accettato di abbandonare la sua ricerca del voto [su una vera e propria risoluzione dell’UNSC] per le pressioni del governo degli Stati Uniti, compresa la promessa di un pacchetto di aiuti finanziari.

Come parte dell’accordo le fonti hanno affermato che Israele sospenderà temporaneamente gli annunci di nuove unità di colonie e demolizioni di case palestinesi.

L’agenzia di stampa Reuters ha dichiarato lunedì che gli Emirati Arabi Uniti (EAU), che avevano redatto la risoluzione insieme ai funzionari dell’ANP, avrebbero informato il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che la risoluzione e il voto sarebbero stati ritirati.

La risoluzione avrebbe chiesto a Israele di “cessare immediatamente e completamente tutte le attività di insediamento nei territori palestinesi occupati”.

Israele ha conquistato la Cisgiordania, comprese Gerusalemme Est e Gaza, nel 1967. Da allora ha costruito insediamenti che ospitano centinaia di migliaia di israeliani nelle terre occupate che i palestinesi rivendicano come parte del loro futuro stato.

Il diritto internazionale vieta esplicitamente alle potenze occupanti di trasferire la loro popolazione civile nei territori occupati. Un esperto delle Nazioni Unite ha in passato definito le colonie israeliane un “crimine di guerra”.

La dichiarazione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite di lunedì ha invitato tutte le parti a “osservare la calma e la moderazione e ad astenersi da azioni provocatorie, incitamento e retorica incendiari”.

Ha inoltre sollecitato “il pieno rispetto del diritto umanitario internazionale, compresa la protezione della popolazione civile”.

“Il Consiglio di sicurezza riafferma il diritto di tutti gli Stati a vivere in pace all’interno di confini sicuri e riconosciuti a livello internazionale e sottolinea che sia il popolo israeliano che quello palestinese hanno diritto in egual misura a libertà, sicurezza, prosperità, giustizia e dignità”, continua la dicharazione, facendo eco al linguaggio che il presidente degli Stati Uniti Joe Biden e i suoi principali collaboratori utilizzano regolarmente.

Israele ha respinto la dichiarazione come “unilaterale”, criticando specificamente Washington per averla appoggiata.

L’ufficio del primo ministro Benjamin Netanyahu ha affermato: “La dichiarazione non avrebbe mai dovuto essere fatta e gli Stati Uniti non avrebbero mai dovuto aderirvi”.

Louis Charbonneau, direttore della delegazione presso le Nazioni Unite di Human Rights Watch, ha affermato che il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite dovrebbe condannare chiaramente le colonie.

Ha scritto Charbonneau in un tweet: “Sebbene sia utile che il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite critichi le violazioni dei diritti umani di Israele contro i palestinesi, la dichiarazione di oggi, attenuata sotto pressione degli Stati Uniti e di Israele, è ben lontana dalla condanna a tutto campo che la grave situazione merita”.

Lunedì, al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, l’inviata statunitense Linda Thomas-Greenfield ha espresso senza ambiguità l’opposizione degli Stati Uniti all’attività di colonie di Israele, ma non ha condannato la politica israeliana.

Rispetto all’annuncio di Israele sulle colonie ha affermato: “Queste misure unilaterali esasperano le tensioni e danneggiano la fiducia tra le parti”. “Essi minano le prospettive di una soluzione negoziata a due Stati. Gli Stati Uniti non sostengono queste azioni, punto e basta”.

Nella sua dichiarazione al Consiglio lunedì, Mansour, l’inviato palestinese, ha avvertito che la situazione potrebbe presto “raggiungere un punto di non ritorno”.

Ha affermato “Ogni azione che intraprendiamo ora conta. Ogni parola che pronunciamo conta. Ogni decisione che rimandiamo conta”.

Israele, accusato di imporre un sistema di apartheid dalle principali organizzazioni per i diritti umani come Amnesty International, riceve annualmente almeno 3,8 miliardi di dollari di aiuti statunitensi.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Facciamo chiarezza: Israele estende la facoltà di privare i palestinesi di cittadinanza e residenza

Adalah

 20 febbraio 2023 – +972 Magazine

Una nuova legge, approvata da una schiacciante maggioranza della Knesset, fa parte di un processo in corso di consolidamento di sistemi giuridici diversi per ebrei e palestinesi.

Il 15 febbraio la Knesset ha approvato un nuovo disegno di legge intitolato “Legge per la revoca della cittadinanza o dello stato di residenza a un terrorista che riceva fondi per aver commesso un atto di terrorismo, 2023”.

Secondo la legge, approvata con una netta maggioranza di 94 membri della Knesset sia della coalizione di governo che del blocco di opposizione e solo 10 voti contrari, il ministero dell’Interno israeliano sarà autorizzato a revocare la cittadinanza o la residenza a una persona se condannata o detenuta per aver commesso un’ ” azione terroristica”, a condizione che abbia percepito fondi, o che qualcun altro li abbia percepiti per suo conto, dall’Autorità Palestinese (AP). La legge consente inoltre l’espulsione di queste persone nella Cisgiordania occupata o nella Striscia di Gaza se soddisfano i criteri di cui sopra.

Nello stesso giorno il plenum della Knesset ha approvato in lettura preliminare un altro disegno di legge volto a deportare le famiglie dei “terroristi”, che il Comitato giuridico ministeriale aveva promosso all’inizio di quella settimana. È difficile stabilire se questo disegno di legge, a cui il procuratore generale si è opposto, possa andare avanti o meno; tuttavia, proprio come per l’altra legge, hanno votato a favore parlamentari sia della coalizione di governo che dell’opposizione.

È impossibile negare la portata delle violazioni di diritti fondamentali contenuti nella nuova legge, in particolare quelli dei cittadini palestinesi di Israele e dei residenti palestinesi di Gerusalemme est. Il diritto alla cittadinanza è noto come “diritto ad avere diritti”, da cui derivano i diritti civili più basilari.

La negazione di questo diritto fondamentale è una misura gravissima e renderà apolidi le persone, in violazione della Convenzione delle Nazioni Unite del 1961 sulla riduzione dell’apolidia. La revoca della residenza dei palestinesi a Gerusalemme Est contravviene anche alla Quarta Convenzione di Ginevra in quanto, secondo il diritto internazionale, Gerusalemme Est è un territorio occupato che è stato annesso illegalmente da Israele.

Oltre a queste violazioni la nuova legge amplia enormemente i motivi in base ai quali si potrà usare la misura. Ciò costituirà una punizione addizionale oltre a ogni condanna che un individuo riceverà dal sistema legale penale israeliano, costituendo quindi una doppia punizione che contravviene ai principi più basilari dello stato di diritto, inclusa la finalità dei procedimenti giudiziari.

Israele ha già un meccanismo legale che in sé è problematico e che è stato recentemente confermato dalla Corte Suprema, per cui lo Stato può revocare la cittadinanza dei palestinesi in Israele così come meccanismi legali aggiuntivi per revocare la residenza dei palestinesi di Gerusalemme est. Ma si pensa che la nuova legge approvata la scorsa settimana amplierà in modo significativo l’ambito di tali meccanismi e nel far ciò consoliderà ulteriormente due sistemi legali separati per ebrei e palestinesi su entrambi i lati della Linea Verde  [il confine tra Israele e Cisgiordania prima dell’occupazione nel 1967, ndtr.] .

Qual è stato finora il metodo di revoca della cittadinanza e residenza secondo la legge israeliana?

Secondo l’emendamento alla legge sulla cittadinanza del 2008 il ministero degli Interni israeliano è autorizzato, su raccomandazione del Procuratore Generale e con l’approvazione di un tribunale distrettuale, a revocare la cittadinanza a individui che abbiano commesso un atto che costituisce “una violazione della lealtà verso lo Stato di Israele.”

Questo emendamento era stato esaminato dalla Corte Suprema per la prima volta con una sentenza emanata nel luglio 2022 nel caso di Alaa Zayoud, in cui si concludeva che l’emendamento soddisfa i principi costituzionali israeliani anche se la revoca comporta apolidia di qualcuno, sempre che il ministero degli Interni gli conceda la residenza permanente in Israele. Sebbene lo Stato alla fine di quel caso non abbia privato Zayoud della cittadinanza, la sentenza della corte ha affermato e legittimato la disposizione razzista della legge che viola gravemente i diritti umani e contravviene al diritto internazionale, basandosi solo su norme giuridiche israeliane.

Un emendamento del 2018 alla Legge sull’ingresso in Israele ha portato a una disposizione simile riguardo alla revoca della residenza ai palestinesi di Gerusalemme est, dopo che la Corte Suprema aveva accettato un ricorso da parte di membri del Consiglio Legislativo palestinese, il parlamento dell’Autorità Palestinese a cui i permessi di residenza erano stati negati; piuttosto che emanare una decisione finale sul caso, la corte diede alla Knesset l’opportunità di creare una nuova legislazione che avrebbe soddisfatto i criteri costituzionali. La Knesset ha quindi approvato una legge che deve essere ancora rivista dalla Corte Suprema, ma che è già in vigore e che permette al ministero degli Interni di revocare la residenza di una persona dopo essersi consultato con un comitato creato dal ministero.

Ci sono ulteriori strade che consentono a Israele di revocare la residenza ai palestinesi di Gerusalemme est. Nel 1988 una commissione di giudici della Corte Suprema, presieduta da Aharon Barak, confermò la revoca della residenza di Mubarak Awad, un accademico e fondatore del Centro Palestinese per lo Studio della Nonviolenza, sulla base del fatto che aveva spostato il “centro della sua vita” lontano da Gerusalemme. Sulla scia di questa sentenza seguirono molte centinaia di casi simili.

Cosa costituisce “terrorismo” o altri reati che potrebbero essere motivo di revoca? 

Sia la Legge sulla Cittadinanza che la Legge sull’ingresso in Israele contengono tipologie di reati che costituiscono una “violazione della lealtà,” e una condanna per queste tipologie offre al ministero degli Interni la possibilità di approvare la revoca di cittadinanza o residenza. La prima è commettere un “atto di terrorismo,” come definito dalla Legge sul Controterrorismo del 2016; istigare o aiutare un tale atto; avere un ruolo attivo in un’organizzazione “terroristica” o in una organizzazione definita “terroristica”. La seconda categoria si riferisce ad atti che costituiscano “tradimento” o “spionaggio grave” ai sensi del codice penale. In casi di revoca della cittadinanza c’è anche una terza categoria: acquisire la cittadinanza di uno “Stato nemico” (la lista degli “Stati nemici” è la stessa usata per proibire la riunificazione familiare per i palestinesi).

L’uso frequente del termine “terrorista” nel contesto israeliano, sia nella revoca di cittadinanza e residenza che nel contesto di misure punitive aggiuntive contro i palestinesi, richiede ulteriori spiegazioni di come la legge israeliana definisca un “atto di terrorismo.” Non c’è una lista precisa di reati che sono definiti come inclusi nell’ambito della Legge sul controterrorismo, ma piuttosto una sorta di filtro che etichetta certi reati come “terrorismo” se soddisfano una combinazione di criteri: avere un motivo e commettere o minacciare di commettere un atto. Secondo questi criteri molto ampi un atto come lanciare pietre a una manifestazione può essere considerato “terrorismo.”

Considerare “atto terroristico” un reato, espone le persone accusate a trattamenti più severi nel processo giudiziario e nella pena e può anche essere applicato retroattivamente a precedenti condanne penali. Dopo l’emanazione della Legge sul controterrorismo Adalah [ong israeliana che difende i diritti dei palestinesi con cittadinanza israeliana, ndt.] ha messo in guardia che la definizione di “atto di terrorismo” previsto dalla legge era troppo ampia e vaga. Il documento sostiene che in base a questa definizione la Legge sul controterrorismo potrebbe includere atti commessi da palestinesi durante proteste politiche legittime, contro l’occupazione, la discriminazione, il razzismo, lo spossessamento e l’oppressione che affrontano.

Ci sono parecchi segnali che questa definizione è stata ideata per applicare sanzioni discriminatorie contro i palestinesi. Per esempio dati ufficiali del pubblico ministero relativi agli eventi del maggio 2021 confermano che la proporzione di imputati palestinesi accusati di aver commesso un “atto di terrorismo” era significativamente più elevata di quella degli imputati ebrei in circostanze simili.

Inoltre la clausola di revoca nella Legge sulla Cittadinanza chiaramente prende di mira i palestinesi. Come parte del procedimento nel caso di Zayoud il ministero dell’interno aveva passato dati alla Corte Suprema che mostravano che, dei 31 casi in cui lo Stato aveva preso in considerazione la revoca della cittadinanza, nessuno di essi riguardava un cittadino ebreo. Nonostante ciò, il presidente della Corte Suprema, Esther Hayut, dichiarò nella sentenza che, dato che solo tre richieste di revoca della cittadinanza erano state sottoposte dal ministero degli Interni all’approvazione della corte, non c’erano motivi sufficienti per provare la discriminazione.

Come la nuova legge cambia l’attuale quadro giuridico?

La legge approvata la scorsa settimana aggiungerà un ulteriore meccanismo per la revoca della cittadinanza e della residenza oltre a consentire l’espulsione in Cisgiordania o a Gaza. Con il nuovo meccanismo le persone che potranno essere soggette alla revoca includeranno individui condannati e incarcerati per aver commesso un atto di “terrorismo” o un atto di “tradimento,” e, ove sia “comprovato in modo soddisfacente per il ministero dell’Interno”, quanti vengano accusati di aver ricevuto fondi dall’Autorità Palestinese “per violare la lealtà [allo Stato di Israele, ndt.]”.

La legge include anche il presupopsto che chiunque riceva pagamenti dall’ANP non sia da considerare apolide perché avrebbe uno status nell’ANP. Questo è un chiaro tentativo di aggirare gli obblighi imposti dalla Corte Suprema sul ministero degli Interni nella sentenza Zayoud per assicurare che la persona la cui cittadinanza sia revocata mantenga uno status permanente in modo da non renderla apolide.

La legge inoltre non prevederà l’approvazione del procuratore generale, ma piuttosto quella del ministero della Giustizia e richiederà che la corte risponda entro 30 giorni alla richiesta del ministero dell’Interno per la revoca, a meno che la corte sia convinta che la richiesta sia ingiustificata. Nei casi in cui la residenza permanente sia revocata, l’individuo avrà solo sette giorni di tempo per opporsi alla condanna. Secondo la legge coloro che hanno seguito la procedura descritta saranno deportati quando la loro condanna al carcere sarà scontata.

Perché questa legge è razzista?

Questi reati di “violazione della lealtà” sono basati sulla definizione di un “atto di terrorismo” che in se stesso è un modo di prendere di mira in modo differenziato i palestinesi. Le condizioni che devono essere soddisfatte per dare come risultato l’espulsione sono dirette in modo evidente contro i palestinesi in virtù del requisito che abbiano ricevuto fondi specificatamente dall’AP.

I sostenitori della legge hanno dichiarato che essa intende impedire ai palestinesi condannati di un atto di terrorismo o ai membri delle loro famiglie di essere “ricompensati” per il loro atto. Tuttavia, ai sensi della legge esistente, il ministero della Difesa ha già la possibilità, che è frequentemente utilizzata, di confiscare tali fondi trasferiti dall’ANP, quindi è difficile non concludere che le disposizioni di questa legge vogliono ottenere uno scopo diverso.

Solo recentemente un’inchiesta ha rivelato la rete di raccolta fondi di un’organizzazione israeliana che sostiene finanziariamente gli assassini dell’ex primo ministro Yitzhak Rabin, della famiglia Dawabshe, di Shira Banki e altri ebrei condannati per crimini nazionalisti (l’organizzazione, inizialmente registrata con il nome Hanamel Dorfman, attuale capo del personale del ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben Gvir,). Questi prigionieri ebrei-israeliani e altri come loro non saranno colpiti dalle condanne imposte dalla nuova legge.

Distinzioni razziste di questo tipo sono già state sostenute in una sentenza del giudice Noam Sohlberg in risposta a un ricorso riguardante la demolizione della casa di cinque palestinesi. Sohlberg ha respinto le affermazioni secondo cui sarebbe stata applicata una politica discriminatoria e ha sostenuto che le ragioni per cui le case degli ebrei che hanno ucciso palestinesi non sarebbero state distrutte “è perché nel settore ebraico non c’è la stessa necessità di deterrenza generale che è la base delle demolizioni delle case.” Circa le uccisioni della famiglia Dawabshe e di Muhammed Abu Khdeir il giudice ha sostenuto che quando esse sono avvenute c’è stata una “potente e decisiva condanna da parte degli ebrei che non c’è dalla parte opposta (palestinese).”

Nelle prime discussioni dei comitati della Knesset lo scopo della legge appena approvata è stato apertamente dichiarato. Per esempio, il parlamentare del Likud Hanoch Milwidsky ha detto: “Non penso di dovermi giustificare sul fatto di essere nello Stato degli ebrei che preferiscono gli ebrei” e ha ulteriormente chiarito cosa intendesse dire nella risposta ad Ahmad Tibi, parlamentare di Ta’al [“Movimento arabo per il rinnovamento”, uno dei componenti della Lista Unita, ndtr.]: “Io preferisco i killer ebrei ai killer arabi.”

Durante la stessa discussione, Limor Son Har-Melech, parlamentare di Otzma Yehudit [Potere Ebraico, partito di estrema destra, N.d.T.] che era fra i promotori della legge, ha criticato persino l’idea che ricevere denaro dall’ANP sarebbe una condizione per l’espulsione. Secondo lei la cittadinanza dovrebbe essere revocata “a ogni terrorista che uccide un ebreo perché è un ebreo,” aggiungendo che la condanna appropriata per un tale delitto dovrebbe essere la condanna a morte.

L’accordo di coalizione di Otzma Yehudit con il Likud include una legge per la pena di morte ai “terroristi,” anch’essa intesa a colpire esclusivamente i palestinesi: l’accordo chiarisce che sarà applicata solo agli “atti di terrorismo mirati a danneggiare lo Stato di Israele come Stato del popolo ebraico.”

Conclusioni

La nuova legge dovrebbe essere vista come nient’altro che parte di un processo in corso per rafforzare sistemi legali separati per ebrei e palestinesi sotto il controllo israeliano. Questa tendenza è stata ulteriormente evidenziata dai principi guida dell’attuale governo e dall’accordo di coalizione firmato in occasione del suo insediamento, che include una lunga lista di misure aggiuntive per espandere ulteriormente sistemi separati di applicazione delle leggi ed esecuzione delle pene.

In uno studio pubblicato da Adalah che analizza i documenti fondanti della coalizione è chiaro che questi documenti vedono la supremazia ebraica e la separazione razziale come principi fondamentali del regime israeliano. Queste caratteristiche dell’apartheid sono chiaramene visibili nella nuova legge sulla revoca [della cittadinanza o della residenza, ndt.].

Uno degli iniziatori della legge, Yinon Azoulai, parlamentare di Shas [partito politico di ebrei ortodossi ashkenaziti, ndt.] spiegando il suo scopo ha detto alla Knesset: “Che tutti quelli che si ribellano contro di noi capiscano questo: in questo Stato noi, gli ebrei, siamo i signori della terra.” E, come ha detto il primo ministro Benjamin Netanyahu all’inizio di un incontro governativo la scorsa settimana, la nuova legge serve “ad affondare più profondamente le nostre radici nella nostra terra.” Ma è importante ricordare che il sostegno a questa legge, come a molte altre leggi razziste, in Israele arriva da ogni fazione sionista della Knesset, sia dalla coalizione di governo che dall’opposizione.

Adalah – Il centro legale per i diritti della minoranza araba in Israele è un’organizzazione indipendente per i diritti umani e un centro legale. Adalah lavora nei tribunali israeliani e presso gli organi decisionali internazionali per promuovere e difendere i diritti umani di tutti i palestinesi sottoposti alla giurisdizione dello Stato di Israele.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




È iniziata la guerra di Ben-Gvir a Gerusalemme

MARIAM BARGHOUTI e YUMNA PATEL

18 febbraio 2023 Mondoweiss   

Gli eventi degli ultimi giorni a Gerusalemme dimostrano che la guerra dichiarata da Ben Gvir a Gerusalemme Est [sezione palestinese della città, ndt.] è già iniziata, con le autorità israeliane che inaspriscono il controllo sui palestinesi in tutta la città.

La scorsa settimana tre israeliani sono stati uccisi quando un palestinese di Gerusalemme est ha diretto la sua auto contro una fermata dell’autobus nell’insediamento illegale di Ramot Alon.

L’irruzione in auto a Gerusalemme è stata l’ultima di una serie di attacchi di “lupi solitari” da parte di palestinesi nella città occupata, inclusa una sparatoria nell’insediamento di Neve Yaacov che ha ucciso sette israeliani il 27 gennaio, il giorno dopo che le forze israeliane avevano sparato e ucciso 9 palestinesi nel campo profughi di Jenin.

Dopo ogni incidente la risposta del governo israeliano è stata quasi identica: immediati appelli alla punizione collettiva della famiglia del palestinese autore dell’attacco, con arresti di massa e demolizioni punitive di case. Il governo ha anche chiesto l’espulsione delle famiglie dei palestinesi accusati di aver compiuto attacchi contro israeliani e l’allentamento delle norme sulle armi per rendere più facile portare armi agli israeliani.

In seguito all’irruzione di Ramot Alon, l’ultranazionalista israeliano e parlamentare di estrema destra Itamar Ben-Gvir ha chiesto alla polizia israeliana, sulla quale ha il controllo in qualità di Ministro della Sicurezza nazionale, di “riportare l’ordine a Gerusalemme est.”

La repressione proposta da Ben-Gvir a Gerusalemme Est include la richiesta di chiudere interi quartieri, erigere posti di blocco volanti, istituire blocchi e perquisizioni per tutti i palestinesi che entrano ed escono da determinati quartieri e accelerare la demolizione di case a Gerusalemme Est.

Sebbene si sia parlato di dissidi tra Ben-Gvir e il capo della polizia israeliana Kobi Shabtai su quando e come la polizia dovrebbe agire in base ai radicali ordini di Ben-Gvir, gli eventi degli ultimi giorni a Gerusalemme hanno segnalato che, indipendentemente dal fatto se ci sia o meno un accordo a livello governativo, la guerra dichiarata da Ben-Gvir a Gerusalemme est è già in corso.

È documentato che nei quartieri cittadini la polizia israeliana e le forze di polizia di frontiera molestano e attaccano i palestinesi senza essere provocati. Sono stati documentati diversi casi di minori fermati e perquisiti mentre andavano a scuola, passanti e negozianti palestinesi attaccati da agenti di polizia e, in un caso, un palestinese a cui le forze israeliane hanno sparato arbitrariamente e indiscriminatamente mentre guidava.

Nel frattempo le forze israeliane hanno intensificato la demolizione di case palestinesi a Gerusalemme est, con il pretesto che sono prive dei permessi di costruzione rilasciati da Israele.

Persecuzione e aggressioni ai civili

Negli ultimi giorni sono apparsi numerosi rapporti che documentano le punizioni e le vessazioni collettive sulla popolazione palestinese a Gerusalemme est.

Molti degli incidenti sono avvenuti dentro e intorno all’area di Shu’fat, dopo che nel campo profughi di Shu’fat le forze israeliane hanno sparato e ferito un adolescente palestinese che avrebbe tentato di accoltellare un soldato al posto di blocco fuori dal campo. Durante il presunto tentativo di accoltellamento un ufficiale della polizia di frontiera israeliana ha sparato e ucciso un collega.

Nei giorni e ore successive all’uccisione del soldato ad opera del collega, le forze israeliane hanno imposto la chiusura totale del posto di blocco, effettuato arresti e perquisizioni casuali dei residenti e hanno fatto irruzione nel campo profughi vessando e aggredendo i palestinesi nell’area.

In un video che è diventato virale sui social media, un ragazzo palestinese viene picchiato dalla polizia di frontiera israeliana a un posto di blocco fuori dal posto di blocco militare di Shu’fat dopo che gli agenti gli avevano ordinato di spogliarsi durante una perquisizione casuale.

In altri casi documentati sui social media si vedono le forze di polizia di frontiera israeliane aggredire una donna che passa nel campo profughi di Shu’fat, aggredire minori e impedire loro di attraversare un posto di blocco militare per recarsi a scuola, e fermare e perquisire bambini e i loro zaini nella Città Vecchia di Gerusalemme Est.

In un altro caso, un palestinese è stato ferito da proiettili veri quando agenti israeliani hanno crivellato la sua auto di proiettili affermando che aveva tentato di speronarli con il suo veicolo. I media palestinesi e i testimoni oculari hanno riferito che l’uomo stava semplicemente attraversando un’area in cui i soldati stavano conducendo un raid e che gli hanno sparato senza motivo.

L’anno scorso, prima di assumere l’incarico di ministro, Ben-Gvir aveva chiesto di allentare le regole di ingaggio contro coloro che “odiano Israele”.

Aumentano le demolizioni di case e le famiglie dei detenuti sono prese di mira

Venerdì 17 febbraio sei proprietari di case palestinesi sono stati informati dei piani del comune di Gerusalemme di distruggere le loro case nel quartiere di Issawiya a Gerusalemme Est, dove risiedeva Hussein Qaraqe, il palestinese che ha effettuato l’attacco con l’auto a Ramot Alon. 

Secondo Wafa News Agency, gli edifici non erano di nuova costruzione, alcuni hanno 25 anni. All’inizio della settimana un altro palestinese di Issawiya è stato costretto a demolire un ampliamento di due stanze della sua casa, e altre due case sono state demolite nel quartiere di Jabal al-Mukaber.

Al Jazeera ha riferito che dall’inizio dell’anno le forze israeliane hanno demolito almeno 47 strutture palestinesi a Gerusalemme Est e che al 7 febbraio almeno 60 palestinesi sono rimasti senza casa a causa delle demolizioni.

Secondo l’analisi di Mondoweiss sui dati OCHA delle demolizioni, tra il 2018 e il 2021 c’è stato un aumento del 156% delle espulsioni di palestinesi dalle loro case in Cisgiordania e a Gerusalemme. Nello stesso periodo, c’è stato un aumento del 99% delle espulsioni dei palestinesi dalle loro case nella sola Gerusalemme Est.

In aggiunta, giovedì a Gerusalemme le forze israeliane hanno saccheggiato le case di detenuti ed ex detenuti palestinesi, sequestrando alle famiglie denaro, oro e beni personali di valore.

Le forze israeliane hanno in passato preso di mira ex detenuti a Gerusalemme, dove le forze armate hanno fatto irruzione nelle case e preso con la forza tutto il denaro trovato. La casa della famiglia di Ahmad Manasra, processato come un adulto all’età di 13 anni, era una di quelle case.

Secondo Amjad Abu Asab, capo del Comitato per le famiglie dei prigionieri a Gerusalemme, prendere di mira i detenuti palestinesi e le loro famiglie serve a cacciare i palestinesi da Gerusalemme, come la demolizione delle case. “L’occupazione mira a compiacere i coloni e l’estrema destra razzista premendo per ulteriori politiche discriminatorie contro i detenuti”, ha detto Abu Asab in un’intervista ad Al-Qastal.

“Una nuova Nakba”

“Il governo israeliano fascista di destra sta lanciando un attacco senza precedenti contro il nostro popolo a Gerusalemme”, ha dichiarato giovedì 17 febbraio Qadura Faris, direttore dell’Associazione dei Prigionieri Palestinesi.

In un’escalation di campagne di perquisizioni e arresti, le forze israeliane continuano a detenere in massa palestinesi in Cisgiordania e a Gerusalemme. Il più alto tasso di arresti si concentra a Gerusalemme.

Secondo il dipartimento di monitoraggio dell’Associazione dei Prigionieri Palestinesi, a gennaio più di 255 palestinesi sono stati arrestati a Gerusalemme, facendo di Gerusalemme il luogo con il tasso più alto di arresti di palestinesi per mano delle autorità israeliane.

Nelle ultime settimane, le autorità israeliane hanno sequestrato il denaro fornito dall’Autorità Nazionale Palestinese alle famiglie dei detenuti politici palestinesi a Gerusalemme, che considerano pagamento da “entità ostili”.

L’ANP è incaricata della fornitura di stipendi e sostegno monetario ai detenuti palestinesi e alle loro famiglie in caso di detenzione da parte di Israele. Ciò è in gran parte dovuto alla considerazione che molti dei detenuti sono spesso il principale sostegno delle loro famiglie.

“Quello che sta accadendo nel prendere di mira le famiglie dei prigionieri e gli ex detenuti politici”, ha detto Faris, “è una nuova Nakba, che l’occupazione sta sviluppando con l’uso di nuovi mezzi tecnologici”.

Questo concentrarsi su Gerusalemme fa molto aumentare le preoccupazioni palestinesi che Gerusalemme venga espropriata alla comunità palestinese.

Dal 2021, i responsabili politici e il personale militare israeliani chiedono la revoca della residenza a Gerusalemme ai palestinesi come misura punitiva contro coloro che hanno partecipato alle proteste della Rivolta dell’Unità nel 2021 [contro lo sgombero di residenti palestinesi a Sheikh Jarrah, quartiere di Gerusalemme Est, ndt.].

Nel 2018 questo potere è stato affidato al Ministro degli Interni ad interim, che ha il potere di revocare la residenza permanente dei gerosolimitani, una politica che è stata applicata solo contro i palestinesi.

Proteste israeliane contro il governo mentre aumentano gli insediamenti

Il 13 febbraio decine di migliaia di ebrei israeliani si sono riuniti a Gerusalemme per protestare contro le nuove misure del Parlamento che cercano di indebolire la Corte Suprema israeliana, consolidando ulteriormente il potere delle forze armate israeliane.

Ciò è avvenuto il giorno dopo che il nuovo governo israeliano ha approvato e legalizzato nove avamposti in Cisgiordania. “È ora che il mondo punisca Israele per aver sfidato le risoluzioni delle Nazioni Unite e le politiche americane ed europee che chiedono di fermare gli insediamenti”, ha detto in una dichiarazione il primo ministro palestinese Mohammad Shtayyeh.

L’anno scorso l’esercito israeliano ha dotato gli avamposti e le colonie israeliane in Cisgiordania di tecnologia e supporto.

Questa ribellione contro il diritto internazionale e la legittimità internazionale deve essere perseguita con gravi ripercussioni”, ha proseguito Shtayyeh, chiedendo il boicottaggio di Israele “in quanto Stato al di fuori della legalità”.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Le aziende di Gaza sfruttano laureati e laureate alla disperata ricerca di lavoro

Yasmin Abusayma 

10 febbraio 2023 – The Electronic Intifada 

Rami Bulbul si è laureato nel 2021 in Scienze della comunicazione e media presso l’University College of Applied Sciences di Gaza risultando il migliore del suo corso.

Come molti laureati il ventiquattrenne sogna una vita migliore e come la maggioranza degli abitanti di Gaza ha ridimensionato i suoi sogni data la situazione che vive nella morsa dell’assedio israeliano che per oltre 15 anni ne ha distrutto l’economia.

Ma anche cosi è scioccato dal comportamento di alcune aziende a Gaza che, dice, hanno sfruttato al massimo la disponibilità di tantissimi laureati disoccupati fra cui scegliere stagisti senza pagarli.

Ho fatto il volontario in due agenzie lavorando di media dalle 9 del mattino alle 9 di sera e senza ricevere alcunché in cambio e anche se le aziende avevano delle opportunità lavorative noi eravamo esclusi dal processo di assunzione.”

Lo stage, o lavoro volontario, come si chiama talvolta a Gaza, è diventato sempre più comune. Le aziende sono senza soldi proprio come i lavoratori, e si dice che il volontariato avvantaggi entrambi: aiuta la comunità in termini di formazione, sostegno psicologico, persino ospitalità per alcuni, e copre posti vacanti che le imprese non riuscirebbero altrimenti a pagare.

Bulbul non è d’accordo e vuole leggi per impedire che le aziende se ne approfittino.

Lui ha fatto uno stage con una compagnia mediatica che non vuole nominare proprio per fare un tirocinio sul posto di lavoro e capire le sfide davanti alle quali potrebbe trovarsi nella sua carriera in futuro.

Ma durante l’attacco del 2021 contro la Striscia di Gaza il palazzo in cui l’agenzia aveva i propri uffici è stato bombardato e completamente distrutto. Con la pandemia del COVID-19 e il generale malessere economico la ditta non ha più riaperto e Bulbul ha perso il lavoro con altri 14 che facevano anche loro parte del gruppo di volontari.

Eravamo 15 stagisti che stavano imparando il mestiere e le sfide che i giornalisti devono affrontare. Nessuno di noi ha chiesto qualcosa.”

Ciò non ha impedito alla ditta di inserirli fra i dipendenti per garantirsi i risarcimenti da parte delle autorità. I soldi, mille dollari ciascuno, sono comunque andati direttamente agli stagisti.

Il manager che ci aveva assunto ha cominciato a minacciarci e continuava a chiederci i soldi,” dice Bulbul a The Electronic Intifada.

Comunque nessuno degli ex stagisti l’ha fatto. Nessuno di loro aveva mai ottenuto nulla dall’azienda.

Avevamo chiesto rimborsi per i trasporti, una paghetta o almeno l’opportunità di lavorare per la ditta in futuro. Non abbiamo ottenuto nulla.”

Bulbul dice che, anche se i volontari non vogliono soldi ma solo aiutare le loro comunità, le ditte dovrebbero almeno dimostrare un apprezzamento offrendo un ambiente di lavoro sicuro che garantisca i diritti dei volontari.

Lui sta cercando di ottenere delle sanzioni contro quelli che sfruttano i laureati. Le aziende dovrebbero come minimo rimborsare le spese e trattare le persone con un minimo di dignità.

Abbiamo bisogno di normative e di essere protetti dalle leggi,” continua Bulbul, ora uno stagista pagato dall’UNRWA, l’Agenzia ONU per i rifugiati palestinesi. “Il ministero del lavoro è responsabile delle violazioni dei manager incaricati delle assunzioni. I volontari non dovrebbero essere sfruttati solo perché hanno bisogno di un lavoro.”

È necessaria una riforma legislativa

Secondo l’ufficio centrale di statistica palestinese il tasso di disoccupazione dei giovani laureati fra i 19 e i 29 anni con una laurea breve o di grado più elevato è di poco inferiore al 50% nella Cisgiordania occupata e a Gaza.

Ma questa cifra nasconde la reale situazione di Gaza, dove la disoccupazione giovanile fra laureati è di oltre il 70%.

Wala Jonina ha conseguito una laurea in media digitali presso l’University College of Applied Sciences e fa la stagista dal 2019.

Eppure fino ad ora non ha ancora ricevuto un’offerta di lavoro nonostante l’importante esperienza che ha maturato nel corso degli anni.

Ho fatto il tirocinio in un’azienda di comunicazioni lavorando dalle 8 alle 4,” dice la trentaduenne con due figli a The Electronic Intifada. “Credevo veramente che lavorando duro i miei sforzi sarebbero stati ricompensati.”

Tutto invano, continua, scoprendo invece di essere stata facile preda di sfruttamento in tempi difficili.

Il manager mi incolpava di tutti gli errori. Talvolta dovevo lavorare da casa per finire tutti i miei incarichi. Una volta che ho chiesto un periodo di ferie mi ha detto che sarebbe stato sufficiente un giorno perché erano sotto pressione.”

Jonina è particolarmente delusa perché non ha potuto mantenere una promessa fatta al padre che con il suo magro stipendio di operaio l’aveva mantenuta all’università.

Gli avevo promesso che una volta laureata l’avrei ripagato e sostenuto economicamente. Sfortunatamente non posso.”

Ciononostante non ha rinunciato al suo sogno di aprire un’attività in proprio.

Non voglio più essere sfruttata e vorrei smettere di preoccuparmi per il mio futuro, essere indipendente e avere una vita decente.”

Alcuni invocano un cambiamento delle leggi sul lavoro.

L’avvocato Muhammad Abu Dayyah afferma che la legislazione palestinese sul lavoro non contiene alcuna norma in materia e dice a The Electronic Intifada che il suo studio legale, Alsalah, riceve regolarmente denunce da stagisti e volontari.

Sarebbe estremamente consigliabile considerare il volontariato come una promessa di una futura assunzione. Noi riceviamo molte proteste riguardo a società che sfruttano giovani laureati senza offrire neppure un contratto lavorativo alla scadenza del volontariato.”

Abu Dayyah suggerisce che la legge dovrebbe regolare gli obblighi delle aziende che assumono stagisti per porre fine a pratiche di sfruttamento.

Un lavoro dignitoso

Ahmad, 28 anni, ha un master in gestione aziendale ma non è riuscito a trovare un lavoro retribuito.

Per oltre tre anni ha invece fatto lo stagista come assistente amministrativo per varie imprese, senza risultato.

Qui a Gaza non abbiamo un futuro,” dice Ahmad che non ha voluto dare il suo vero nome per questo articolo. “Talvolta penso di emigrare in un posto dove trovare un lavoro che mi permetta di conservare la mia dignità.”

Ahmad crede che il settore del volontariato stia diventando una trappola per molti laureati e pensa inoltre che ci sia un problema in un sistema educativo che non include esperienze lavorative come parte dei requisiti per laurearsi.

Siamo sfruttati con la scusa che non abbiamo esperienza, eppure, anche dopo essermela fatta, il manager dell’azienda per cui facevo il volontario all’epoca mi ha detto che non poteva assumermi perché non avevano i fondi.”

Secondo uno studio condotto nel 2016 dall’Al-Quds Open University c’è un legame significativo tra stage organizzati dalle università e future prospettive di lavoro.

Ho studiato in tre università per la laurea, il master e la laurea breve,” ci dice Ahmad. “Nessuna delle università aveva programmi di volontariato per studenti.”

Ahmad sostiene che includere volontariato o stage come parte di un corso di laurea dovrebbe ridurre il tempo che i laureati passano lavorando gratis dopo aver finito gli studi.

Invece di perdere tempo dopo la laurea, le università dovrebbero includerlo nei loro curricula, così i laureati sarebbero pronti per il mercato del lavoro quando hanno finito [l’università],” conclude Ahmad.

Yasmin Abusayma è una scrittrice e traduttrice freelance di Gaza, Palestina.