La falsa richiesta per la “parità di diritti” maschera le opinioni suprematiste di Ben-Gvir

Michael F. Brown

13 gennaio 2023 – Electronic Intifada

Non c’è niente di nuovo nel fatto che suprematisti bianchi e coloni si approprino della nozione di uguaglianza per giustificare il loro razzismo e potere illegittimo a spese di coloro che considerano essere meno che umani.

I razzisti americani hanno usato per molto tempo lo slogan “separati ma uguali” per mascherare il brutale sistema segregazionista delle leggi ’Jim Crow’ [in vigore nel sud degli USA fra il 1877 e il 1964 per mantenere la segregazione razziale dei servizi pubblici, N.d.T.] da loro imposte sui neri ridotti in schiavitù e sui loro discendenti.

E infine i governanti bianchi suprematisti sudafricani cercarono di vendere l’apartheid non come quel dominio e sfruttamento razzista e coloniale che era, ma sostenendo che lo “sviluppo separato” avrebbe permesso ai neri sudafricani di avere pieni diritti politici nei bantustan.

Così non sorprende che in Israele Itamar Ben-Gvir e i suoi compagni razzisti anti-palestinesi abbiano adottato una strategia simile.

Ora importanti membri del nuovo governo di Benjamin Netanyahu, Ben-Gvir e company hanno cercato di presentare l’accesso degli ebrei e l’annessione e la dominazione israeliana del complesso della moschea al-Aqsa, che gli ebrei chiamano il Monte del Tempio, come un tema di “uguaglianza di diritti”.

Ben-Gvir, un discepolo del rabbino genocida anti-palestinese Meir Kahane e un fan di Baruch Goldstein, il colono ebreo che nel 1994 assassinò decine di palestinesi nella moschea di Ibrahimi a Hebron, è ora il ministro della Sicurezza Nazionale di Israele.

A questo titolo il 3 gennaio egli ha visitato il sacro sito, ostentando il suo potere sui palestinesi e godendosi sia la paura che la rabbia provocate dalla sua visione suprematista.

Dallo stesso luogo, il razzista da sempre e capo del partito Otzma Yehudit (Potere Ebraico) ha sostenuto scandalosamente che “nel governo di cui io sono un membro non ci saranno discriminazioni razziste.”

Evidentemente non stava improvvisamente caldeggiando i diritti che Israele ha da sempre negato ai palestinesi, ma parlava in modo molto specifico del suo “diritto” di impossessarsi di territori occupati.

Il leader kahanista potrebbe farcela con gli stenografi di estrema destra a Fox News e Newsweek, dove l’opinionista Josh Hammer è un razzista antipalestinese che se la spassa con l’antisemita Viktor Orbán e proprio l’anno scorso si è divertito in compagnia di Donald Trump, l’antisemita e anti-palestinese negatore dei risultati elettorali.

(Verso la fine dello scorso anno Hammer aveva criticato Trump perché si era incontrato con gli antisemiti Nick Fuentes, Milo Yiannopoulos e Kanye West, ora conosciuto come Ye, dicendo nonostante ciò che la sua organizzazione filoisraeliana preferita, la Zionist Organization of America [Organizzazione Sionista d’America, ZOA, N.d.T.] aveva “giustamente onorato” Trump per il suo “incredibile contributo durante la sua presidenza per salvaguardare il benessere, l’incolumità e la sicurezza dello Stato ebraico e del popolo ebraico.” Hammer comunque ha anche sottolineato che tiene sempre fede a un articolo scritto nell’ottobre 2020 in cui definiva Trump “il presidente più filoebraico di sempre.”)

A novembre Hammer ha ringraziato Dio per il successo elettorale di Ben-Gvir, un tizio che è stato condannato per il suo sostegno a un’organizzazione terrorista e per incitamento al razzismo.

Né Ben-Gvir né nessun altro nel governo israeliano ha alcun interesse nell’uguaglianza dei diritti, certamente non se riguardano i palestinesi. Dopotutto questa è una coalizione che si è insediata sostenendo che “il popolo ebraico ha un diritto esclusivo e indiscutibile a tutte le aree della terra di Israele.” Netanyahu cerca in modo grottesco di rendere complici delle sue azioni tutti gli ebrei attraverso un discorso che prelude all’infrazione delle leggi da parte del suo governo.

Sui diritti Ben-Gvir sta solo blaterando. Questo governo sarà lealmente impegnato a opporsi all’autodeterminazione e ai pieni diritti per i palestinesi, al diritto al ritorno dei rifugiati palestinesi spossessati e al completo accesso ai luoghi religiosi a Gerusalemme. Il governo israeliano è determinato a strappare terre in favore dei coloni, negando nel contempo il diritto alla restituzione ai proprietari palestinesi di quantità sempre più grandi di terre, come accaduto a Gerusalemme Est e Ovest.

Quello che Ben-Gvir vuole, proprio come i segregazionisti americani, è il dominio perpetuo rietichettato come “uguaglianza.”

Da parte sua Zvika Fogel, parlamentare di Potere Ebraico, parlando della visita di Ben-Gvir ha minacciato il genocidio.

Se Hamas viola la pace vigente e apre il fuoco contro il territorio israeliano noi risponderemo come penso dovremmo, e sì, varrebbe la pena, perché questa sarà l’ultima guerra e dopo potremmo sederci e allevare colombe e tutti gli altri splendidi uccelli viventi.”

Tuttavia proporre il genocidio mina profondamente le affermazioni della destra estrema di essere interessata all’uguaglianza dei diritti.

Diritto internazionale e il Gran Rabbinato in Israele

Va anche ricordato che il complesso della moschea di al-Aqsa fa parte di Gerusalemme Est, territorio occupato di cui Israele si è impossessata con la forza nel 1967 e che poi ha annesso illegalmente. Come tale Israele non vi ha alcuna giurisdizione o sovranità legittima.

Ma i palestinesi sono ben consci che Israele usa fede e tradizioni ebraiche come mezzi per esercitare una sovranità politica illegittima e il controllo fisico, motivo per cui resistono alle abituali intimidazioni e violente incursioni promosse da Ben-Gvir e altri leader della destra nel complesso della moschea di al-Aqsa.

Nel 1994 dopo il massacro nella moschea Ibrahimi perpetrato da Baruch Goldstein, l’eroe di Ben-Gvir, Israele ha diviso la moschea con la forza e l’ha assegnata quasi tutta ai coloni: qui la violenza, la segregazione e la discriminazione anti-musulmana restano molto reali.

I palestinesi sanno che questo è il piano di Israele anche per Gerusalemme, specialmente poiché così tanti leader politici e religiosi ebrei israeliani sostengono il cosiddetto movimento del Tempio.

Questo movimento fanatico messianico che fruisce dei fondi del governo israeliano e del supporto dei principali leader politici e religiosi, mira a una completa acquisizione israeliana del complesso della moschea di al-Aqsa, alla distruzione delle moschee antiche che vi sorgono e alla loro sostituzione con un nuovo tempio ebraico.

Senza alcun dubbio i palestinesi ricordano bene come, immediatamente dopo l’occupazione di Gerusalemme Est nel 1967, Israele demolì il Quartiere Marocchino, risalente a 700 anni prima, che comprendeva una scuola islamica e una moschea del XII secolo per creare la cosiddetta piazza del Muro del Pianto.

È il desiderio di dominio, sovranità e controllo che guida Ben-Gvir e i suoi compari sostenitori dell’apartheid. Dalla prospettiva teologica ebraica, agli ebrei è vietato pregare o persino metter piede sul Monte del Tempio.

Infatti il Gran Rabbinato di Israele esplicitamente avverte i visitatori ebrei che “secondo la legge della Torah è severamente proibito entrare nell’area del Monte del Tempio a causa della sacralità del sito.”

In anni recenti gli attivisti di estrema destra hanno sfidato ed eroso questo divieto religioso per far progredire il loro progetto politico di impossessarsi del sito.

Ovviamente nulla di tutto ciò ha a che fare con “uguaglianza” o accesso paritario ai siti per persone di varie fedi religiose.

È un gioco di potere in linea con la determinazione di Ben-Gvir di far vedere ai palestinesi chi sono “i padroni di casa”.

Ali Abunimah ha contribuito con ricerche ed analisi.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Cosa accadrebbe nel caso in cui la CIG delegittimasse l’occupazione israeliana della Palestina?

Ramzy Baroud

10 gennaio 2023 – Middle East Monitor

Ancora una volta la Corte internazionale di giustizia (CIG) è in procinto di emettere un parere legale sulle conseguenze dell’occupazione israeliana della Palestina. Il 31 dicembre uno storico voto delle Nazioni Unite ha invitato la CIG a esaminare in termini giuridici l’occupazione, i diritti del popolo palestinese all’autodeterminazione e la responsabilità da parte di tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite di porre fine alla prolungata occupazione israeliana. Un accento particolare sarà posto sulla “composizione demografica, carattere e status” della Gerusalemme occupata.

L’ultima volta venne chiesto alla CIG di fornire un parere giuridico sulla questione fu nel 2004. Tuttavia allora il parere era in gran parte incentrato sulle “conseguenze legali derivanti dalla costruzione del muro [dell’apartheid israeliano]”.

Sebbene sia vero che la CIG concluse che la totalità delle azioni israeliane nei Territori palestinesi occupati è illegale ai sensi del diritto internazionale – la Quarta Convenzione di Ginevra, le relative disposizioni dei precedenti Regolamenti dell’Aia e, naturalmente, numerose risoluzioni della Assemblea generale e del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite – questa volta la corte esprimerà la sua opinione sul tentativo di Israele di rendere permanente quella che dovrebbe essere un’occupazione militare temporanea.

In altre parole, la CIG potrebbe – e molto probabilmente lo farà – delegittimare ogni singola azione intrapresa da Israele nella Palestina occupata dal 1967. Questa volta le conseguenze non saranno simboliche, come spesso accade nelle decisioni dell’ONU relative alla Palestina.

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, che ha fatto più di ogni altro leader israeliano per “normalizzare” l’occupazione della Palestina, si è comprensibilmente adirato dopo il voto delle Nazioni Unite. Lo ha descritto come “spregevole”.

I suoi partner di coalizione sono stati altrettanto intransigenti. “L’occupazione [israeliana] della Cisgiordania è permanente e Israele ha il diritto di annetterla”, ha detto il membro della Knesset Zvika Fogel il 1° gennaio in un’intervista sulla emittente israeliana Radio 103FM. Più di ogni altra cosa, le parole di Fogel riassumono la nuova realtà in Israele e Palestina. Sono finiti i giorni dell’ambiguità politica riguardo alle motivazioni ultime di Israele nei Territori palestinesi occupati.

In effetti Israele sta ora cercando di gestire una fase completamente nuova del suo progetto coloniale in Palestina, un’impresa iniziata propriamente nel 1947-48 e che, secondo i calcoli di Israele, sta per concludersi con la colonizzazione totale della Palestina. Questa è la versione israeliana di una “soluzione a uno Stato” basata su apartheid e discriminazione razziale.

Il partito di Fogel, Otzma Yehudit, è un membro importante della nuova coalizione di destra di Netanyahu. Le sue parole non riflettono semplicemente le sue opinioni personali o solo quelle del suo versante ideologico.

Il nuovo governo è pieno di estremisti del calibro, tra gli altri, di Bezalel Smotrich, Itamar Ben-Gvir e Yoav Galant – ed è ora impegnato in un’agenda contraria alla pace per una questione politica. Il 28 dicembre, subito dopo aver prestato giuramento, il nuovo governo ha annunciato che “avanzerà e realizzerà insediamenti in tutte le parti di Israele”. Non è stata fatta alcuna distinzione tra “Israele”, come riconosciuto dai Paesi di tutto il mondo, e i Territori palestinesi occupati. Nelle intenzioni della coalizione l’annessione è già avvenuta.

Ben-Gvir, il cui raid alla moschea di Al-Aqsa nella Gerusalemme est occupata ha suscitato molte critiche in tutto il mondo, sta inviando chiari messaggi ai palestinesi e alla comunità internazionale in generale: per quanto riguarda Israele, nessuna legge internazionale è rilevante, niente è sacro e nessun centimetro della Palestina è off limits.

Questa volta, però, non è come al solito. Sì, l’espansione territoriale di Israele a spese della Palestina occupata è stata il comune denominatore tra tutti i governi israeliani negli ultimi 75 anni, ma vari governi, comprese le prime presidenze di Netanyahu, hanno trovato modi indiretti per giustificare la costruzione di insediamenti coloniali illegali. Le cosiddette “espansioni naturali” e le “esigenze di sicurezza” erano solo due dei tanti pretesti forniti da Israele per giustificare la sua continua spinta all’acquisizione di terre con la forza.

In pratica, nulla di tutto ciò sarebbe stato possibile senza l’inesauribile sostegno finanziario, militare e politico degli Stati Uniti. Inoltre i veti statunitensi al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e l’incessante pressione sui membri dell’Assemblea generale dell’ONU hanno permesso a Israele di aggirare indenne il diritto internazionale. Esso è in grado di agire con totale impunità. Il risultato è la tragica realtà di oggi.

Secondo il sito web ufficiale delle Nazioni Unite attualmente ci sono quasi 700.000 coloni ebrei illegali che vivono in territorio palestinese occupato. La ONG israeliana Peace Now afferma che questi coloni ebrei vivono in 145 colonie illegali nella Cisgiordania occupata, oltre a 140 avamposti di insediamenti coloniali, illegali anche secondo la legge israeliana ma che probabilmente saranno ufficializzati dal nuovo governo.

La coalizione guidata da Netanyahu è stata costituita con il programma che in futuro gli avamposti saranno effettivamente legalizzati e quindi riceveranno finanziamenti governativi ufficiali. Ciò non dovrebbe rappresentare un grosso problema politico per Netanyahu che nel 2020 è riuscito a convincere la Knesset [parlamento, ndt.] israeliana sulla prospettiva dell’annessione di gran parte della Cisgiordania ed è ora determinato a portare avanti un processo di “annessione morbida”; annessione de facto che rischia di essere legalizzata in seguito come annessione de jure.

Né la piena colonizzazione della Palestina si rivelerebbe un problema giuridico. La legge israeliana sullo Stato-nazione del 2018 ha già fornito la copertura legale a Tel Aviv per violare il diritto internazionale e fare ciò che vuole in termini di colonizzazione di tutta la Palestina ed emarginazione dei legittimi diritti dei palestinesi. Secondo la nuova Legge Fondamentale di Israele, “Lo Stato di Israele è lo Stato-nazione del popolo ebraico in cui esso realizza il suo diritto naturale, culturale, religioso e storico all’autodeterminazione”. Proprio questo riferimento è stato citato nella dichiarazione del nuovo governo del 29 dicembre.

Non molti in Israele protestano contro tale situazione. In un recente articolo sul Palestine Chronicle lo storico israeliano Ilan Pappe ha spiegato come le attuali formazioni socio-politiche della società israeliana, oltre le tre correnti dominanti di destra ed estremiste impegnate nella Coalizione Netanyahu: ebrei ultraortodossi, ebrei religiosi nazionalisti ed ebrei laici del Likud, rendano quasi impossibile l’emergere di politiche alternative di rilevante consenso.

Ciò significa che il cambiamento in Israele non potrebbe mai venire dall’interno dello stesso Israele. Mentre i palestinesi continuano a resistere, i governi arabi e musulmani, e la comunità internazionale in generale, devono affrontare lo stato di occupazione, usando tutti i mezzi a loro disposizione per porre fine a questa farsa. L’opinione della CIG è molto importante ma senza un’azione significativa un’opinione legale da sola non capovolgerà la sinistra realtà dei fatti in Palestina, specialmente quando questa realtà è finanziata, appoggiata e sostenuta da Washington e dagli altri alleati occidentali di Israele.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor.

(Traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Calore umano e coraggio nel campo profughi di Jenin

Gideon Levy

12 gennaio 2023, Haaretz

Nel campo profughi di Jenin ho visto tante cose belle. Non libri di poesie di Rachel o di Natan Alterman, come il narrante di una canzone di Naomi Shemer diceva di aver trovato negli avamposti dell’esercito israeliano nel Sinai, ma un accampamento coraggioso, determinato, ben organizzato e intriso di uno spirito combattivo forse senza uguali nella storia.

Sono passati quattro anni dalla mia ultima visita. Da un anno le forze di difesa israeliane non osano invadere il campo ma solo la sua periferia. Per anni l’Autorità Nazionale Palestinese non è stata in grado di entrarvi. Né nessun giornalista israeliano, a parte Amira Hass, lo ha visitato o vi è stato accolto dopo tutte le delusioni che i giornalisti israeliani hanno inflitto ai residenti del campo.

Ma questa settimana ci sono tornato con il fotografo Alex Levac. È stata una visita molto emozionante, intima, commovente ma anche istruttiva.

Nella città di Jenin solo nell’ultimo anno sono stati uccisi 60 abitanti. Di questi, 38 erano residenti nel campo, il luogo più simile alla Striscia di Gaza sia nello spirito che nella sofferenza; si ritrova nel campo di Jenin lo stesso calore umano e lo stesso coraggio.

Una terza sezione del cimitero dei martiri è già piena e se ne deve trovare un’altra per le vittime a venire. Se le forze di difesa israeliane invaderanno il campo, dicono qui, ci sarà un massacro. Lo dicono senza ombra di paura o di vanto.

Dalla mia ultima visita il proprietario del negozio di hummus all’ingresso del campo ha subito un intervento chirurgico di bypass. La moglie di un alto funzionario di Hamas nel campo, che è imprigionato in Israele, ha perso la vista. Vicino al campo è stato aperto un moderno ospedale e Jamal Zubeidi, il più coraggioso e nobile di tutti, nell’ultimo anno ha perso sia suo figlio Naeem che suo genero Daoud. Daoud era fratello e nipote di Zakaria Zubeidi [leader rivoluzionario e artista fuggito nel 2021 dalla prigione israeliana e in seguito ricatturato – non è mai stato processato per il suo arresto originale del 2019, ma gli è stata inflitta un’ulteriore condanna a cinque anni per la fuga, ndt.]

Abbiamo visitato il campo nel 40° giorno di lutto per Naeem. Jamal sedeva da solo in una stanza e riceveva gli ospiti, proprio nel luogo in cui l’esercito israeliano gli ha già demolito due volte la casa, circondato da foto e manifesti dei sei membri della sua famiglia uccisi. Anche una delegazione della setta ebraica Neturei Karta in visita a Jenin si era recata qui per porgere le proprie condoglianze, ma uomini armati del campo li hanno fatti scappare a colpi di arma da fuoco.

Il figlio più giovane di Jamal, Hamoudi, che avevamo incontrato la prima volta quand’era un bambino birichino, è ora l’uomo del campo più ricercato da Israele; è membro della Jihad islamica. I figli degli uomini che avevano combattuto per il laico Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina ora combattono per la Jihad Islamica, l’organizzazione più potente del campo. E questa è in breve tutta la storia.

Gli uomini armati hanno sui loro cellulari un numero segreto che chiamano ogni volta che qualcuno vede le forze dell’esercito israeliano avvicinarsi alla città o al campo profughi. Quel numero di telefono fa suonare automaticamente un allarme in tutto il campo. Di solito succede di notte. L’intero campo viene svegliato e decine di uomini armati lasciano le loro case e si dirigono rapidamente verso gli ingressi del campo e della città. È così che sono stati uccisi 38 residenti del campo.

Le distinzioni tra le diverse organizzazioni militanti sono qui sfumate; collaborano tra loro più di quanto non facciano in qualsiasi altra parte della Cisgiordania o a Gaza. Reti mimetiche coprono alcuni vicoli per impedire ai droni dell’esercito israeliano di monitorare ciò che sta accadendo.

Un giovane tira fuori una fotografia aerea del campo che molto probabilmente è stata abbandonata in città dai soldati, anche se secondo la leggenda locale è stata rubata dalla tasca di un soldato. La foto è stata scattata durante la Coppa del Mondo e l’esercito israeliano ha etichettato alcuni dei vicoli del campo con i nomi dei paesi in competizione: vicolo Portogallo, vicolo Francia e vicolo Brasile.

Una casa nella foto è etichettata come habira; i giovani pensavano che si riferisse alla casa di un “amico” (“haver” in ebraico, che deriva dalla stessa radice ebraica) – in altre parole, un collaboratore.

L’auto più popolare nel campo è il SUV ibrido C-HR Toyota. Ne abbiamo visti diversi correre per i vicoli. Sono stati rubati a Israele quasi nuovi di zecca. Dopo tutto ciò che Israele ha rubato ai palestinesi, da ciò che resta delle loro terre a ciò che resta della loro dignità, c’è una giustizia poetica in queste Toyota rubate di cui i giovani sono così orgogliosi.

Non c’è qui una casa che non abbia subito un lutto, una famiglia che non abbia avuto un familiare reso permanentemente disabile o imprigionato. All’ingresso del campo, i giovani hanno eretto barricate di ferro brunito “come in Ucraina”. Non è ancora l’Ucraina, ma il campo profughi di Jenin potrebbe diventare un giorno, forse molto presto, una nuova versione della città ucraina di Bucha. Nessun israeliano dovrebbe rallegrarsene.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Cosa succederà in Cisgiordania col proseguire dei raid israeliani?

Zena Al Tahhan .

10 gennaio 2023, Al Jazeera

Gli analisti affermano che la Cisgiordania palestinese si sta avvicinando a un bivio nella lotta contro l’occupazione.

 

Ramallah, Cisgiordania occupata – L’incertezza incombe sulla vita dei palestinesi nella Cisgiordania occupata da Israele.

Ci si aspetta che nel prossimo futuro a un certo punto la situazione sul campo imploderà.

Non è possibile prevedere quando e come ciò succederà, o quale sarà il fattore scatenante, ma diversi sviluppi sul campo nell’ultimo anno indicano che la Cisgiordania occupata si sta avvicinando a un serio cambiamento del suo status quo – politico e della sicurezza – attualmente insostenibile.

“Un conflitto palestinese e una ripresa della lotta contro l’occupazione [israeliana] sono inevitabili”, ha detto ad Al Jazeera Belal Shobaki, capo del Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Hebron. “Credo sia verosimile che nel 2023 la situazione possa esplodere”.

Secondo le stime dell’apparato militare e di sicurezza israeliano, è inevitabile che la Cisgiordania vada alla fine verso la mobilitazione. Israele sta cercando di rimandare questo scenario il più a lungo possibile impiegando una strategia di contenimento e assorbimento”, prosegue.

Per ora dice: “Israele non sta concedendo una completa calma e non sta permettendo che le cose esplodano”.

Per quasi un anno la Cisgiordania occupata ha assistito a un aumento della violenza da parte dell’esercito israeliano con almeno 170 palestinesi, tra cui 30 bambini, uccisi nel 2022 durante i raid quasi quotidiani – il numero di vittime più alto in 16 anni secondo le Nazioni Unite. Anche gli attacchi sferrati contro i palestinesi da coloni ebrei nella Cisgiordania occupata sono notevolmente aumentati.

Le morti sono continuate nel 2023, con quattro palestinesi, tra cui tre bambini, uccisi nei primi cinque giorni durante i raid israeliani.

Molti degli uccisi nell’ultimo anno erano civili, mentre i raid e le uccisioni dell’esercito israeliano vengono ora condotti sotto la bandiera della repressione alla resistenza armata palestinese nella Cisgiordania settentrionale occupata.

Il nuovo governo israeliano di estrema destra insediatosi il mese scorso ha adottato misure punitive contro l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) e collocato figure controverse in posizioni chiave del controllo sui palestinesi, aumentando ulteriormente la prospettiva di un’esplosione sul campo.

Una nuova operazione militare?

Dal settembre 2021 si sono formati numerosi gruppi palestinesi armati relativamente piccoli e trasversali alle fazioni, principalmente nelle città di Jenin e Nablus. I gruppi sono limitati in termini di capacità e si concentrano sulla difesa delle aree in cui operano durante i raid militari israeliani, e compiono anche sparatorie ai posti di blocco militari israeliani.

Secondo il Ministero degli Esteri israeliano soltanto nel 2022 gli attacchi commessi dai palestinesi in Israele e nella Cisgiordania occupata hanno ucciso 29 persone.

Nell’ultimo anno è stata ripetutamente avanzata dagli osservatori la prospettiva che Israele lanci un’invasione su vasta scala delle città palestinesi come ha fatto nel 2002, o di una nuova Intifada (rivolta) palestinese.

Tuttavia, Abdeljawad Hamayel, accademico della Birzeit University, ha affermato di ritenere improbabile che Israele invada con tutta la sua forza a meno che non vi sia un cambiamento nella natura degli attacchi effettuati dai gruppi palestinesi.

La strategia [di Israele] è ora un misto di negoziazione e omicidi. I gruppi armati per parte loro non stanno effettuando attacchi in profondità in Israele. Ad esempio, se ci fossero attacchi nella zona costiera [dove sono città come Tel Aviv o Haifa, ndt.] allora potrebbero riconsiderare la cosa, perché allora avrebbero sufficiente volontà politica per eliminare questi gruppi”, ha detto Hamayel ad Al Jazeera.

I gruppi [armati] hanno creato zone di relativa libertà, ma non sono separati dal potere israeliano. Israele entra, arresta, compie omicidi e operazioni speciali in queste aree con la relativa immunità dei suoi soldati”, prosegue.

“Sì, stanno affrontando una potenza di fuoco e non possono arrestare le persone così facilmente come prima, ma queste zone sono comunque accessibili all’esercito israeliano che quindi non sente il bisogno di operare un’invasione su vasta scala”.

Per Shobaki, l’assenza di un reale coordinamento tra i gruppi armati e la violenza [israeliana] ancora in gran parte limitata alla Cisgiordania occupata significa che Israele è soddisfatto della sua attuale strategia.

La maggior parte dei punti di scontro sono stati nell’arena palestinese – all’interno dei villaggi e delle città, nei campi profughi, ai posti di blocco. Tutto questo sta accadendo in modo tale da non influire nella vita quotidiana dei coloni, e non è così costoso per l’occupazione israeliana quanto lo è per la vita dei palestinesi”, spiega.

Gaza e l’Autorità Nazionale Palestinese

Non è solo Israele che cerca di fermare qualsiasi sollevazione significativa nella Cisgiordania occupata.

Anche l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP), controllata dal partito Fatah, svolge un ruolo che la separa dagli altri gruppi palestinesi.

“Se guardiamo alla realtà della Cisgiordania occupata, abbiamo un gruppo di partiti che stanno cercando di cambiare la realtà anche se ciò significa un’esplosione nella Cisgiordania”, dice Shobaki. “Sono Hamas, la Jihad islamica e il Fronte popolare per la liberazione della Palestina (FPLP)”.

Sebbene molti membri dei nuovi gruppi armati siano affiliati a Fatah, rappresentano una forma di opposizione alla leadership dell’Autorità Nazionale Palestinese, che collabora con l’esercito israeliano nel coordinamento della sicurezza per contrastare gli attacchi e condanna pubblicamente gli attacchi armati.

“Potremmo vedere sacche del movimento Fatah disertare e entrare a far parte della lotta armata contro l’occupazione israeliana, [lasciando spazio a] Hamas, Jihad islamica e FPLP perché si inseriscano“, afferma Shobaki.

Invece, molti dei nuovi gruppi armati sono affiliati al braccio armato della Jihad Islamica Palestinese (PIJ) con sede a Gaza – le Brigate al-Quds.

Israele ha preso di mira il PIJ ad agosto con un bombardamento di tre giorni sulla Striscia di Gaza assediata, uccidendo almeno 49 palestinesi, la maggior parte dei quali civili di cui 17 bambini.

Ma la natura di breve durata di quel conflitto, e l’assenza di un reale seguito, hanno portato gli osservatori a credere che nel prossimo periodo sia improbabile un’altra guerra israeliana su Gaza.

Invece gruppi come il PIJ, che ha stretti legami con l’Iran, hanno puntato sulla Cisgiordania occupata e l’ondata di disordini per fronteggiare Israele.

Parlando con Al Jazeera, il portavoce del PIJ a Gaza Tareq Silmi ha affermato che nell’ultimo anno il suo gruppo ha svolto “un ruolo speciale” nell’emergere dei nuovi gruppi armati in Cisgiordania.

“Non è un segreto che le Brigate Jenin [uno dei nuovi gruppi] siano affiliate alle Brigate al-Quds, l’ala armata della Jihad islamica”, ha detto Silmi, che ha aggiunto che il PIJ sta lavorando “24 ore su 24… per sostenere il fenomeno della resistenza armata in Cisgiordania”.

Cambierà il ruolo dell’ANP?

A parte la prospettiva di grandi defezioni dal movimento Fatah, gli analisti dicono che un altro scenario possibile è che Israele cambi proprio il ruolo della ANP.

Figure di estrema destra nel governo israeliano come Itamar Ben-Gvir o Bezalel Smotrich hanno espresso il loro disinteresse al fatto che l’ANP continui ad esistere.

Il 28 dicembre l’allora governo israeliano entrante dichiarò che la sua massima priorità era quella di “promuovere e sviluppare insediamenti in tutte le parti della terra di Israele”, inclusa la Cisgiordania occupata, ammettendo nascostamente di non aver intenzione di consentire la creazione di uno Stato palestinese.

“L’ANP dovrebbe prendere sul serio questo governo”, dice Hamayel. “Vogliono una ANP che non abbia rivendicazioni nazionali e che faccia il suo lavoro di gestione delle questioni civili nell’area”.

Vogliono un’ANP senza la ‘P’”, ha spiegato, aggiungendo che il governo israeliano vuole che “i palestinesi accettino la sovranità israeliana in Cisgiordania e in tutto il Paese, o se ne vadano – ciò che rappresenta il nucleo del movimento sionista stesso”.

Tutto ciò getta incertezza sul prossimo anno.

Anche se ci si aspetta che la Cisgiordania occupata sia il centro di qualsiasi imminente confronto palestinese con Israele, potrebbe non essere necessariamente questo il fattore scatenante.

La scorsa settimana, quando è giunta notizia che Ben-Gvir aveva in programma di entrare nel complesso della moschea di Al-Aqsa, ci sono stati reali timori che la situazione esplodesse.

Alla fine, ciò non è accaduto e l’evento si è svolto senza alcuno scontro. Potrebbe non accadere lo stesso durante il prossimo incidente.

“La piazza si muove per ragioni emotive”, dice Shobaki. “Un singolo evento può spingerli [i palestinesi] a scendere in strada”.

Maram Humaid ha contribuito a questo articolo dalla Striscia di Gaza occupata.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Un altro eminente sionista ammette che il progetto è fallito

Philip Weiss

9 gennaio 2023 – Mondoweiss

Hillel Halkin si è trasferito in Israele dagli Stati Uniti 50 anni fa come sionista convinto. Ora lo scrittore confessa che il progetto è fallito perché non poteva far fronte alle richieste palestinesi, e che è stato ingenuo.

Abbiamo seguito con attenzione indizi sul fatto che la comunità ebraica si stia rivoltando contro Israele in seguito allo shock per il nuovo governo fascista, e questa è un altra testimonianza.

Hillel Halkin, un sionista convinto di 83 anni trasferitosi dagli Stati Uniti in Israele nel 1970, scrive su Jewish Review of Books che Israele è condannato. “Siamo sull’orlo di un baratro e stiamo precipitando.” E nulla salverà Israele dall’abissodella politica messianica di destra.

I leader israeliani hanno evitato la questione centrale dei diritti dei palestinesi, spiega Halkin, scrittore e traduttore. Quindi il problema è cresciuto e Israele è diventato sempre più di destra. E non solo di destra, ma di un estremismo religioso. Quando l’intero scopo del sionismo era quello di svezzare il popolo ebraico dalla religione e produrre una democrazia laica.

Così Jeremy Pressman [docente in Scienze Politiche presso l’Università del Connecticut ed esperto della questione israelo-palestinese, ndt.] si prende gioco su Twitter della rivelazione di Halkin: “‘Non avrei mai pensato che i leopardi mi avrebbero divorato la faccia’, singhiozza la donna che ha votato per il Leopards Eating People’s Faces Party [partito dei leopardi divoratori di facce umane]”. Molto arguto. Ma io faccio i complimenti ad Halkin. Ci sono molti sionisti che sono stati attratti dall’ideologia per un senso di idealismo/liberazione ebraica/chiusura mentale; e sebbene quasi tutti per decenni non si siano curati delle notizie dalla Palestina, almeno Halkin ammette umilmente di aver sbagliato.

Halkin inizia il suo racconto descrivendo un amico israeliano che dopo l’elezione di Begin nel 1977 percepì dei segnali di pericolo e iniziò a votare per i partiti palestinesi prima di trasferirsi in Portogallo 10 anni fa: “un antisionista dichiarato le cui terribili previsioni per il futuro di Israele ci hanno portato ad accese discussioni”. Quell’amico ha recentemente scritto ad Halkin per dirgli: te l’avevo detto. Halkin ha risposto:

Hai vinto. Da anni ormai Israele mi sembra un sonnambulo che cammina verso un baratro. In quel baratro ora stiamo precipitando.

Halkin nutre la speranza che Israele possa riprendersi, ma afferma che il nuovo governo radicale fa presagire “un caos politico”. E quando “i consolatori” dicono: “Questa è solo un’elezione, tra due anni tornerà il blocco centrista”, dice che è un pio desiderio. , ci saranno altre elezioni. E i mascalzoni probabilmente le vinceranno con margini maggiori di quelli con cui hanno vinto queste.

I dati demografici mostrano che Israele sta solo peggiorando. Ci sono sempre più giovani elettori ultraortodossi. “La politica israeliana è ora talmente consolidata intorno a linee identitarie di gruppo che i blocchi elettorali sono estremamente stabili… le correnti che spingono Israele costantemente verso destra persisteranno”.

La confisca senza fine della terra palestinese e l’espansione degli insediamenti coloniali spinge l’opinione pubblica israeliana sempre più a destra. Più questo conflitto diventa senza speranza, più guadagna la destra e i suoi alleati religiosi e perde il centro-sinistra”.

Il razzismo domina la cultura politica israeliana:

Secondo un sondaggio dello scorso anno un quarto di tutti gli israeliani non religiosi di età compresa tra i diciotto e i ventiquattro anni e la metà di tutti i credenti pensano che i cittadini arabi di Israele debbano essere privati del diritto di voto!

Questa è la popolazione votante nel futuro di Israele – ed è un futuro in cui è esclusa qualsiasi alleanza tra il centrosinistra e i partiti arabi di Israele che possa bilanciare il blocco religioso di destra. Lo stato di cronica esacerbazione delle relazioni arabo-ebraiche lo garantisce, dal momento che nessun partito ebraico può permettersi di essere visto come “amante degli arabi”…

La soluzione dei due Stati è fallita nel 2009, ma su questo tutti mentono. “Sebbene le sue virtù continuino a essere decantate da tutti, tale soluzione è irrealizzabile, resa tale dall’attuale presenza di centinaia di migliaia di coloni israeliani in Giudea e Samaria”. Tutti i principali partiti in Israele hanno adottato la politica di “gestione del conflitto”. Come se ciò fosse realizzabile, tanto meno auspicabile.

E ora Israele “va verso un disastro… un Israele bi-nazionale che inevitabilmente imploderebbe dall’interno o un Israele moralmente ripugnante ostracizzato dal mondo e abbandonato da molti dei suoi stessi cittadini”. Sì, ben un milione di laici vivono già all’estero. Altri se ne andranno.

Halkin dice che Israele sparirà entro 30 anni, se annetterà la terra – qualcosa che il Ministro delle Finanze Bezalel Smotrich vuole fare “con l’aiuto di Dio”. Sia i palestinesi che gli israeliani sono diventati più religiosi e il conflitto distrugge ogni speranza. “La costante deriva verso la religione nella vita israeliana degli ultimi decenni, così opposta alla tendenza nei paesi occidentali, è direttamente correlata all’impasse israelo-palestinese”.

Halkin spiega che il sionismo doveva essere antimessianico:

Il sionismo aspirava a svezzare il popolo ebraico dalla convinzione che Dio fosse dalla sua parte e che a lui si potesse affidare per essere salvato dalle situazioni difficili, che avrebbe dovuto fare affidamento su Dio piuttosto che su se stesso perché ciò era stato stabilito da Dio. Fu proprio per questo che la maggior parte dei rabbini d’Europa, dove sorse il sionismo, e specialmente dell’Europa orientale, dove trovò le sue radici più profonde, lo combatterono con le unghie e con i denti. La maggior parte dell’ultra-ortodossia è rimasta aspramente antisionista fino alla dichiarazione dello Stato di Israele…

E ora, con il traino di Benjamin Netanyahu, queste sono le forze che ci trascinano nell’abisso. [Gli antisionisti] hanno dato la colpa al sionismo, e io l’ho data all’ebraismo, delle cui fantasie e delusioni il sionismo ha cercato di curarci solo per esserne esso stesso infettato. Il sionismo voleva renderci un popolo normale. Ha fallito e si è snaturato nel processo.

Halkin ha la bontà di ammettere che altri lo avevano già previsto molto tempo fa.

Non ho mai creduto agli avvertimenti, lanciati da molti nel corso degli anni, che l’espansione delle colonie avrebbe portato Israele al punto di non ritorno. Credevo che alla fine, prima o poi, per quanto tempo ci fosse voluto, l’unica soluzione praticabile, l’unica soluzione ancora da provare, sarebbe stata colta [la soluzione dei due Stati]…

Sono stato (come spesso mi è stato detto) ingenuo. Siamo oltre il dirupo e stiamo precipitando, e nessuno sa quanto il baratro sia profondo.

Halkin ha 83 anni e devo credere che sia un esponente rappresentativo dei sionisti laici che cominciano ad avere terribili dubbi su una filosofia che hanno abbracciato. Il governo Netanyahu-Ben-Gvir-Smotrich offre loro l’opportunità di distaccarsene.

Non analizzerò qui l’argomentazione di Halkin (le sue giustificazioni per la Giudea e la Samaria, il suo biasimare i palestinesi, la sua incapacità nell’attribuire da subito ai palestinesi una comprensione del sionismo). Penso che abbiamo bisogno che più ebrei sionisti divengano ex sionisti e decolonizzino la mente ebraica e l’establishment statunitense, per aprire la strada alla democrazia. Quindi plaudo al coraggio e onestà di Halkin e al suo cambiamento.

(Traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Chiese di Gerusalemme nel mirino di un’escalation di attacchi estremisti: Consiglio delle Chiese

Agenzia Anadolu

7 gennaio 2023 – Middle East Monitor

Le chiese di Gerusalemme est sono sempre più preoccupate per l’aumento degli attacchi di estremisti israeliani contro le proprietà cristiane nella città.

Ex funzionari ecclesiastici e in carica hanno detto all’agenzia Anadolu che i frequenti attacchi alle proprietà cristiane si sono conclusi nella maggior parte dei casi senza una punizione dei colpevoli.

Domenica scorsa estremisti israeliani hanno distrutto e rovesciato le lapidi con croci di 30 tombe in un cimitero cristiano appartenente alla Chiesa episcopale evangelica a Gerusalemme est.

“Il Ministero degli Affari Esteri israeliano condanna l’atto di vandalismo al cimitero protestante del Monte Sion a Gerusalemme”, ha dichiarato mercoledì il Ministero degli Affari Esteri israeliano in un tweet.

Storia di un’aggressione

Il 27 dicembre 2022, dozzine di coloni hanno preso d’assalto il terreno di 5.000 m2 a Silwan, a sud della Città Vecchia di Gerusalemme, sotto la protezione della polizia israeliana.

Il Patriarcato greco-ortodosso ha denunciato il raid dei coloni come una “chiara violazione” delle sue proprietà a Gerusalemme.

“Questo gruppo radicale non ha alcun diritto o appiglio giuridico a suo favore che consenta loro di entrare o occupare la terra”, si legge in una nota.

Il Patriarcato ha fatto riferimento al fatto che, due anni fa, un’associazione di coloni ha tentato di impossessarsi degli hotel Imperial e Little Petra situati in piazza Omar Ibn Al Khattab nella Città Vecchia di Gerusalemme.

Condanna in attesa di punizione

L’ex vescovo della Chiesa evangelica luterana in Terra Santa, Munib Younan, ha dichiarato: “L’attacco a un cimitero che racconta la storia dei luterani dal XIX secolo è la prova dell’odio degli aggressori”.

Durante la sua intervista con l’agenzia Anadolu, Younan ha affermato che l’attacco al cimitero “è inaccettabile e non solo dovrebbe essere condannato, ma i responsabili devono essere anche puniti”.

Ha sottolineato che gli aggressori “miravano a impadronirsi della Porta di Hebron impossessandosi degli hotel Imperial e Petra, il che avrebbe portato al controllo del pellegrinaggio cristiano locale e internazionale alla Chiesa del Santo Sepolcro nella Città Vecchia”.

Restrizione deliberata

I recenti attacchi non si sono limitati ai beni della Chiesa luterana, ma hanno incluso anche quelli di altre denominazioni cristiane, comprese quelle di proprietà della Chiesa greco-ortodossa.

Il portavoce del Patriarcato greco-ortodosso, padre Issa Musleh, ha dichiarato: “Gli estremisti attaccano chiese e monasteri, così come la sacra moschea di Al-Aqsa”.

Musleh ha affermato che “la presenza di un governo di estrema destra in Israele non spaventa solo noi ma il mondo intero”.

Contro ignoti

Nel corso degli anni, Wadih Abu Nassar, portavoce del Consiglio dei responsabili delle Chiese cattoliche di Gerusalemme, ha seguito [le indagini su, ndt.] numerosi attentati insieme alle autorità israeliane.

“Non stiamo parlando di singoli attacchi ma piuttosto di decine di attacchi negli ultimi anni, la maggior parte dei quali”, ha osservato, “sono stati archiviati come contro ignoti”.

“Questa situazione non può essere accettata”, ha aggiunto Abu Nassar. “I migliori servizi di sicurezza devono essere utilizzati per fermare i crimini d’odio e consegnare i colpevoli alla giustizia”.

Ha messo in guardia contro lo sviluppo futuri attacchi e la loro violazione dei cimiteri.

“La continuazione degli attacchi porterà i loro autori a credere di essere intoccabili, i loro attacchi non si fermeranno ai cimiteri”, ha osservato Abu Nassar.

Ha anche sottolineato che “i crimini d’odio derivano da un problema educativo”, aggiungendo: “È necessaria una soluzione radicale”.

Attacchi con aggravanti di odio.

Abu Nassar racconta esempi di come le autorità israeliane affrontano con leggerezza i crimini di odio.

“Nel caso dell’attacco alla Chiesa della Grotta del Getsemani a Gerusalemme l’aggressore è stato arrestato, poi dichiarato infermo di mente”, sottolinea e spiega: “Le autorità israeliane si comportano in modo strano con tali crimini da parte di simili infermi di mente. Se l’aggressione è documentata attraverso le telecamere, le autorità dicono che i volti sono sfocati e quando gli aggressori vengono arrestati, sono sempre malati di mente”.

Aggiunge: “Non escludo che nel mirino ci sia la presenza cristiana, secondo alcuni fondamentalisti ebrei il cristiano è un nemico. Ci sono dimensioni ideologiche, non solo politiche, così come non escludo che per alcuni si tratti di odio”

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




La legge israeliana pensata per escludere gli arabi da certe comunità adesso è usata contro gli ebrei

Meirav Arlosoroff

7 gennaio 2023 – Haaretz

Potrebbe sembrare che il nuovo governo stia espandendo il numero di comitati di ammissione in piccole comunità per escludere gli arabi. In realtà si vuole evitare che altri ebrei competano con i locali per terreni a basso costo

Nell’ultimo rapporto biennale pubblicato due mesi fa dall’Ufficio Centrale di Statistica in Israele solo cinque autorità locali si collocano nel Gruppo 10, più alto dal punto di vista socio-economico. Omer, un consiglio comunale con una popolazione di 8.000 abitanti situato appena a nord di Be’er Sheva, è uno di questi cinque posti privilegiati. 

Pini Badash è stato sindaco di Omer per 32 anni ed è certamente un amministratore esperto e di successo. La scorsa settimana, in un’intervista a Makor Rishon [giornale di destra e vicino al movimento dei coloni, N.d.T.], ha detto: “Adesso c’è una nuova area destinata all’edilizia residenziale a Omer e ho deciso di destinarne una parte al personale di carriera dell’esercito che opera nella zona e un’altra parte ad abitanti che vivono già a Omer. Sono stati immessi sul mercato libero sei lotti [per una casa], ma se un beduino ne comprasse uno, io bloccherò la vendita.” 

Badash ha continuato dicendo che “ci sono cittadini israeliani qui, nostri vicini, con carte di identità come le nostre che, alla resa dei conti e in un momento di crisi, sono il nemico. Io ero a una riunione sulla sicurezza con un militare che ha descritto così la situazione: ‘Immagina di costruire una casa, una casa magnifica, di installarci videocamere e una recinzione, così nessuno può entrarci. Ma cosa succede? Le termiti della casa hanno divorato te.’ Questa è la nostra situazione. C’è un esercito forte, ci sono i servizi segreti, ma alla fine siamo annientati dall’interno.” 

The Marker [quotidiano economico in ebraico pubblicato in Israele dal gruppo Haaretz, N.d.T.] ha chiesto a Badash se volesse scusarsi per aver paragonato i beduini alle termiti e di ritrattare la sua dichiarazione in cui dice che intende impedire ai cittadini beduini di comprare terreni a Omer. Badash ha rifiutato di commentare.

Badash ha un problema. Ai sensi della legislazione attuale è vietato negare a chiunque il diritto di acquistare una casa nella comunità che governa o persino di mostrare preferenze sulla vendita di una casa a una persona più che a un’altra, eccetto in casi in cui si applichi una di queste due condizioni. 

La prima condizione è che l’acquirente sia un “nativo.” In altre parole, è una preferenza che consente ai membri della seconda generazione di vivere vicino ai propri genitori, sebbene anche questa sia parziale. Questa eccezione si applica ad alcuni, ma non a tutti i lotti che sono sul mercato a Omer e certamente non impedisce ai beduini di acquistare case per sé. La seconda condizione si applica solo a piccole comunità fino a un massimo di 400 famiglie che vogliono mantenere la propria individualità tramite i comitati di ammissione. 

Queste due eccezioni sono più o meno simili e sono intese a garantire che solo io e quelli come me hanno il diritto di vivere in certe zone. In pratica mi danno il diritto di discriminare gli altri unicamente perché non mi assomigliano. 

Ci sono molti “altri” che non riusciranno a superare gli ostacoli dei comitati di ammissione: mizrahi [ebrei originari di Paesi arabi o musulmani che vivono in Israele, N.d.T.] in una comunità ashkenazita [ebrei di origine europea, N.d.T.], persone religiosamente osservanti in un ambiente laico, laici in un contesto osservante, comunità che accettano solo vegani e, ovviamente, arabi. Del resto i comitati di ammissione sono sorti come risposta alla sentenza dell’Alta Corte di Giustizia nel 1995 sul caso Kaadan, quando la causa relativa a una famiglia araba di Baka al-Garbiyeh che aveva cercato di comprare una casa nella vicina comunità di Katzir e si era vista opporre un rifiuto si rivolse alla Corte Suprema che giudicò illegale la discriminazione. In seguito si trovò un modo per aggirare quella sentenza tramite la legge dei Comitati di Ammissione del 2011: la concessione a piccole comunità del diritto di esaminare le persone che vogliano trasferirvisi. 

Non è un caso che gli accordi della coalizione firmati dal Likud con Sionismo Religioso e Otzma Yehudit [entrambi partiti di estrema destra, N.d.T.], lo scellerato trio Smotrich, Ben-Gvir e Netanyahu, riguardino i comitati di ammissione. I due accordi con i due partner di coalizione includono una clausola che autorizza le comunità fino a 1000 famiglie (due volte e mezza il limite precedente di 400) a creare tali comitati. Il diritto di selezionare i candidati e limitare l’ammissione delle famiglie sta quindi per essere applicato come minimo a decine di altre comunità, colonie incluse. 

E come se questo non fosse abbastanza, l’accordo di coalizione Likud-Sionismo Religioso contiene anche un’altra clausola speciale che permette di insediare un comitato di ammissione in una cittadina che conti fino a 2000 famiglie, in questo caso Kasif, la città progettata nel Negev per gli haredi [ebrei ortodossi ed ultra-ortodossi, N.d.T.]. La clausola è pensata per garantire che tutte le prime 2000 famiglie di Kasif siano ebree (e fra loro neppure una beduina), come parte del fine dichiarato che Kasif, che si intende far sorgere nel cuore della zona in cui vivono i beduini e che alla fine offrirà una soluzione abitativa per 25.000 famiglie, sia una città esclusivamente ebraica. 

Comunque concentrarsi sull’odio contro gli arabi e sul desiderio di impedire loro di comprare case in insediamenti ebraici, un obiettivo che Badash ammette apertamente, fa perdere di vista il punto principale. Gli arabi raramente acquistano case in comunità ebraiche. Badash ammette che anche a Omer non ci sono che poche famiglie beduine benestanti. (“Al momento ci sono 25 famiglie beduine che vivono qui: giudici, medici, ingegneri e due ‘collaboratori’ [membri delle forze di sicurezza palestinesi] stipendiati dallo stato.”) 

Gli arabi preferiscono stare vicini alle proprie comunità anche solo per poter mandare i figli alle scuole arabe. Inoltre giustamente non vogliono vivere dove non sono graditi. Al contrario quelli che vogliono abitare in queste comunità ebraiche sono altri ebrei, meno abbienti di quelli che ambiscono alla qualità di vita dei quartieri residenziali. Il vero motivo dei comitati di ammissione è quello di tenere a debita distanza questi ebrei. 

Preservare i privilegi economici

A causa dei seri danni che possono causare, al momento la legge autorizza i comitati di ammissione solo in zone rurali di aree periferiche. Inevitabilmente finiscono per creare comunità omogenee, in cui solo io e quelli come me possono vivere, offrendo di fatto un permesso per discriminare. Costituiscono un grave colpo alla possibilità di alleviare la crisi degli alloggi, rendendo impossibile rimpolpare tali comunità (la maggioranza bloccata a 400 famiglie) e continuare a crescere. Hanno anche un basso tasso di utilizzo, dato che fungono da licenza per alcuni di arricchirsi a spese dei terreni demaniali.

L’ultimo punto è il più importante. I comitati di ammissione, come i diritti della “seconda generazione” o di un “nativo,” sono strumenti per arricchirsi. In fin dei conti sono formati da privati cittadini incaricati di distribuire le terre nelle loro comunità e di decidere chi, e se, le comprerà. È la loro occasione per speculare sul prezzo dei terreni nella comunità e anche un segnale di via libera a corruzione e abusi. 

Inoltre questo è uno stratagemma inteso a garantire che l’assegnazione dei lotti nella comunità sia esente da gare pubbliche aperte a tutti: verrà invece fatta una scelta personale tra chi avrà diritto alle proprietà e chi no. In tal modo si raggiungeranno due obiettivi fondamentali. Il primo è che saranno i compari dei membri del comitato che acquisteranno i lotti nella comunità (in pratica è anche possibile fare in modo che l’assegnazione agli abitanti locali ecceda il tetto stabilito per legge). Il secondo, il loro prezzo sarà inferiore in assenza della concorrenza per l’acquisto dei lotti. Così i membri della famiglia potranno acquistare case nella comunità a prezzi convenienti. 

Analogamente questo spiega perché è importante per Otzma Yehudit e Sionismo Religioso estendere il fenomeno dei comitati di ammissione anche alle colonie. Non perché i palestinesi cercheranno di comprare terreni nelle colonie, non lo faranno, ma perché i figli dei coloni potranno comprare lotti a prezzi bassi. Quindi, sia i coloni che molte decine di comunità che contino fino a 1000 famiglie, che non avranno più il loro status precedente, condizioneranno il costo dei terreni per ottenere per i propri figli un prezzo conveniente. 

Nonostante le urla e lo strepito di Badash, 25 famiglie beduine benestanti e istruite che possono permettersi i costi delle case a Omer non distruggeranno il carattere agiato della prestigiosa comunità. Badash, e come lui le piccole comunità facoltose del Consiglio Regionale di Misgav, a nord, che si sono aggregate ai kibbutz della Galilea, e il forum di estrema destra che sostiene le colonie ebraiche al grido di “salviamo la Galilea”, vogliono proteggere i loro privilegi economici. Vogliono creare una situazione in cui solo loro e i loro colleghi e amici avranno l’opportunità di acquistare proprietà nelle loro comunità e se è necessario usare razzismo e odio contro gli arabi per raggiungere l’obiettivo – allora tutto è lecito.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Ilan Pappe sulle formazioni socio-politiche dietro il governo neo-sionista di Israele

Ilan Pappe

6 gennaio 2023 – Palestine Chronicle

Due mesi dopo l’elezione del nuovo governo israeliano il quadro offuscato sta diventando più chiaro e sembra che si possano offrire alcuni spunti più informati riguardo alla sua composizione, alle personalità che ne fanno parte e alle possibili politiche e reazioni ad esse nel futuro.

Non sarebbe esagerato definire Benjamin Netanyahu il meno estremista di questo governo, il che la dice lunga sulle personalità e politiche di tutti gli altri.

Ci sono tre schieramenti principali nel governo, e qui non faccio riferimento ai vari partiti politici, ma piuttosto alle formazioni socio-politiche.

Sionizzazione degli ebrei ultraortodossi

Nel primo schieramento ci sono gli ebrei ultra-ortodossi, sia dell’ortodossia europea che di quella degli ebrei arabi. Ciò che li caratterizza è il processo di sionizzazione che hanno subito dal 1948.

Da un ruolo marginale in politica solo a favore delle loro comunità, ora fanno parte dei dirigenti di questo nuovo Stato. Da moderati e sostenitori dei sacri precetti ebraici che non riconoscevano la sovranità ebraica sulla Terra Santa, ora emulano la destra israeliana laica: appoggiano la colonizzazione della Cisgiordania, l’assedio contro la Striscia di Gaza, fanno discorsi razzisti nei confronti dei palestinesi ovunque essi siano, invocano politiche dure e aggressive e nel contempo cercano di occupare lo spazio pubblico e di giudaizzarlo in base alla loro versione rigida del giudaismo.

L’unica eccezione sono i Neturei Karata, fedeli al loro tradizionale antisionismo e alla solidarietà con i palestinesi.

Gli ebrei nazional-religiosi

Del secondo schieramento fanno parte gli ebrei nazional-religiosi, che vivono in maggioranza in Cisgiordania nelle colonie costruite su terre palestinesi espropriate e recentemente hanno creato dei “centri di formazione” di coloni nelle città miste arabo-ebraiche in Israele.

Essi appoggiano sia le politiche criminali dell’esercito israeliano che le azioni di gruppi di coloni vigilantes che vessano i palestinesi, sradicano le loro coltivazioni, sparano contro di loro e mettono in discussione il loro modo di vivere.

L’intento è di dare sia all’esercito che a questi vigilantes mano libera per opprimere la Cisgiordania occupata, nella speranza di spingere più palestinese ad andarsene. Questo gruppo è anche la spina dorsale dei centri di comando del servizio segreto israeliano e domina i ranghi degli alti ufficiali dell’esercito.

I due succitati schieramenti condividono la volontà di imporre un apartheid più stretto all’interno di Israele contro gli arabi del ’48 [i palestinesi rimasti durante e dopo la guerra del 1947-49 in quello che era diventato Israele, ndt.] e nel contempo iniziare una crociata contro la comunità LGBT chiedendo anche una più rigida marginalizzazione delle donne nello spazio pubblico.

Essi condividono anche una visione messianica e credono di essere ora nelle condizioni di metterla in pratica. Al centro di questo progetto c’è la giudaizzazione dei luoghi sacri che ora sono “ancora” islamici o cristiani. Quello più ambito è l’Haram al-Sharif [la Spianata delle Moschee, per gli ebrei il Monte del Tempio, ndt.].

Il prodromo è stato la provocatoria visita del ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben-Gvir sull’Haram. Il prossimo passo sarà a Pasqua, con un tentativo di invadere in massa l’Haram con preghiere e ministri ebrei. Azioni simili verranno attuate a Nablus, Hebron e Betlemme. È difficile prevedere fin dove arriveranno.

L’emarginazione degli ebrei laici del Likud

Il secondo gruppo è rappresentato anche nel partito di maggioranza del governo, il Likud. Ma la maggioranza dei suoi membri fa parte di una terza componente socio-politica: gli ebrei laici che aderiscono nel contempo alle tradizionali pratiche ebraiche.

Essi cercano di distinguersi sostenendo che il liberalismo economico e politico è ancora un importante pilastro del programma politico del Likud. Netanyahu soleva essere uno di loro, ma ora sembra averli abbandonati quando si è trattato di spartirsi il bottino, cioè nel governo li ha emarginati. Ha bisogno degli altri più che del suo stesso partito per evitare di essere processato e per rimanere al potere.

Il progetto sionista

I membri di spicco di tutti questi gruppi sono arrivati con iniziative legislative e politiche già pronte, tutte intese senza eccezioni, a consentire a un governo di estrema destra di annullare qualunque cosa sia rimasta della parodia chiamata democrazia israeliana.

La prima iniziativa è già iniziata, sterilizzando il sistema giudiziario in modo tale che non possa, se mai lo ha voluto, difendere i diritti delle minoranze in generale e quelli dei palestinesi in particolare.

Per la verità, tutti i precedenti governi israeliani sono stati caratterizzati dal complessivo disprezzo riguardo ai diritti civili e umani dei palestinesi. Questa è solo una fase in cui ciò viene reso più costituzionale, più generalmente accettato e più evidente, senza alcun tentativo di nascondere lo scopo che gli sta dietro: impossessarsi della maggior parte possibile della Palestina storica con il minor numero possibile di palestinesi.

Tuttavia, se si concretizzerà in futuro, ciò avvicinerà ulteriormente Israele al suo futuro neo-sionista, cioè il vero raggiungimento e la maturazione del progetto sionista: uno spietato progetto di colonialismo d’insediamento costruito su apartheid, pulizia etnica, occupazione, colonizzazione e politiche genocidarie.

Un progetto che finora è sfuggito a qualunque significativa opposizione da parte del mondo occidentale e che viene tollerato dal resto del mondo, anche se è censurato e respinto da molti nella società civile internazionale. Finora non è riuscito a trionfare solo per la resistenza e resilienza palestinese.

Fine dell’“Israele immaginario”

Questa nuova situazione evidenzia una serie di domande che ci si deve porre, anche se per il momento non possiamo dare una risposta.

I governi arabi e musulmani, che solo di recente si sono uniti alla legittimazione di questa farsa, si renderanno conto che non è troppo tardi per cambiare strada?

I nuovi governi di sinistra, come quello eletto in Brasile, saranno in grado di aprire la via, portare a un cambiamento di atteggiamento dall’alto, che rifletterebbe democraticamente quanto richiesto dal basso?

E le comunità ebraiche saranno sufficientemente scioccate da svegliarsi dal sogno dell’“Israele immaginario” e si renderanno conto del pericolo rappresentato dall’Israele di oggi, non solo per i palestinesi ma anche per gli ebrei e il giudaismo?

Sono domande a cui non è facile rispondere. Quello che possiamo sottolineare è, ancora una volta, l’appello all’unità palestinese in modo da estendere la lotta contro questo governo e l’ideologia che esso rappresenta. Tale unità diventerà una bussola per il poderoso fronte internazionale che già esiste, grazie al movimento BDS e che è intenzionato a continuare il suo lavoro di solidarietà e ad allargarlo ulteriormente e più ampiamente: mobilitare i governi, così come le società, e riportare la Palestina al centro dell’attenzione internazionale.

Le tre componenti del nuovo governo israeliano non hanno sempre convissuto facilmente, quindi c’è anche la possibilità di un precoce collasso politico, dato che in definitiva stiamo parlando di un gruppo di politici incompetenti quando si tratta di far funzionare un’economia così complicata come quella israeliana. Probabilmente non saranno in grado di bloccare l’alta inflazione, l’aumento dei prezzi e la crescente disoccupazione.

Tuttavia, anche se ciò avvenisse, non c’è una quarta componente socio-politica alternativa che possa guidare Israele. Quindi un nuovo governo sarebbe formato da un’altra combinazione delle stesse forze, con le stesse intenzioni e politiche.

Dovremmo trattarla come una sfida strutturale, non episodica, e prepararci a una lunga lotta, basata su una solidarietà internazionale ancora più ampia e una più stretta unità dei palestinesi.

Questo governo canaglia, e quello che rappresenta, non dureranno in eterno. Dobbiamo fare tutto il possibile per ridurre l’attesa per la sua sostituzione con un’alternativa molto migliore non solo per i palestinesi, ma anche per gli ebrei e per chiunque altro viva nella Palestina storica.

Ilan Pappé è docente all’università di Exeter. È stato in precedenza professore associato all’università di Haifa. È autore di La pulizia etnica della Palestina [Fazi, 2008], The Modern Middle East [Il moderno Medio Oriente], Storia della Palestina moderna. Una terra, due popoli [Einaudi, 2014] e Ten Myths about Israel [Dieci miti su Israele]. Pappé è considerato uno dei “nuovi storici” israeliani che, da quando all’inizio degli anni ’80 sono stati resi pubblici documenti ufficiali britannici e israeliani sull’argomento, hanno riscritto la storia della creazione di Israele nel 1948. Ha concesso questo articolo a The Palestine Chronicle.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Ben Gvir entra ad Al-Aqsa: perché è considerata una provocazione?

Redazione

3 gennaio 2023 – Al Jazeera

Il ministro della sicurezza nazionale israeliano di estrema destra era stato avvertito dall’ex primo ministro israeliano che la sua mossa avrebbe scatenato la violenza

Il ministro della Sicurezza Nazionale israeliano di estrema destra, Itamar Ben-Gvir, è entrato nel complesso della moschea di Al-Aqsa nella Gerusalemme est occupata con una mossa che i palestinesi hanno definito una “provocazione deliberata”, ignorando gli avvertimenti dei politici israeliani che la sua apparizione nel luogo sacro avrebbe infiammato le tensioni.

Ben-Gvir ha detto che non “si sarebbe arreso alle minacce di Hamas” dopo che il gruppo palestinese ha avvertito che il suo ingresso nel sito martedì avrebbe oltrepassato una “linea rossa”.

Il ministro, ampiamente considerato un provocatore, ha già chiesto l’espulsione dei palestinesi .

Vediamo perché il suo ingresso nel complesso della moschea di Al-Aqsa è così controverso:

Qual è lo status di Al-Aqsa?

  • Il complesso della Moschea Al-Aqsa (noto anche come al-Haram al-Sharif per i musulmani e Monte del Tempio per gli ebrei) è un’ampia piazza cinta da mura nel cuore della Città Vecchia nella Gerusalemme Est occupata. Include la Moschea Al-Aqsa e la Cupola della Roccia.

  • È considerato sacro sia dai musulmani che dagli ebrei ed è un simbolo nazionale palestinese.

  • Una delle mura del complesso, il Muro Occidentale, chiamato anche Muro del Pianto o Muro di Buraq [dal nome del cavallo che avrebbe portato in volo il profesta, ndt.], è un luogo sacro per la preghiera ebraica. Gli ebrei pregano indisturbati sul lato del muro che si trova all’esterno del recinto.

  • Israele occupa Gerusalemme Est dal 1967. L’occupazione è illegale secondo il diritto internazionale.

  • Il complesso è stato gestito ininterrottamente da musulmani, sotto un waqf (fondazione religiosa) da centinaia di anni.

  • Il waqf, finanziato dalla Giordania, ha continuato a gestire il sito dal 1967, mentre Israele ha il controllo della sicurezza. In base a un accordo di lunga data lo status quo del sito consente solo la preghiera musulmana e le visite di non musulmani sono consentite solo in orari specifici.

Perché il sito è così importante per i palestinesi?

  • I palestinesi sono attenti a qualsiasi tentativo di cambiare lo status quo di Al-Aqsa in quanto sito dal significato sia religioso che nazionale.

  • L’aumento del numero di ebrei ultranazionalisti che entrano nel complesso e i frequenti assalti al sito da parte delle forze di sicurezza israeliane, anche all’interno della sala di preghiera della moschea di Al-Aqsa, hanno aumentato la rabbia palestinese.

  • Scontri tra le forze di sicurezza israeliane e gruppi di coloni da una parte e palestinesi dall’altra si sono verificati numerose volte negli ultimi due anni, in particolare a seguito delle incursioni [dei coloni e dell’esercito, ndt.] ad Al-Aqsa.

  • I palestinesi vedono Al-Aqsa come uno dei pochi simboli nazionali su cui conservano un certo controllo. Ma temono una lenta invasione da parte di gruppi ebraici simile a quanto accaduto alla Moschea Ibrahimi [Abramo, ndt.] (Grotta dei Patriarchi) a Hebron, dove dopo il 1967 metà della moschea è stata trasformata in una sinagoga che è stata progressivamente ingrandita.

  • I palestinesi sono anche preoccupati perché i movimenti israeliani di estrema destra cercano di demolire le strutture islamiche nel complesso della moschea di Al-Aqsa e costruire un tempio ebraico al loro posto.

Gli ebrei pregano ad Al-Aqsa?

  • Tradizionalmente, gli ebrei ultraortodossi, comprese le autorità religiose di alto livello, hanno considerato inammissibile per ragioni religiose entrare nel complesso della moschea di Al-Aqsa, tanto meno pregarvi. Questo perché considerano il sito troppo sacro perché le persone possano calpestarlo.

  • Gli ebrei ultranazionalisti hanno cercato di pregare nel complesso con sempre maggiore insistenza, nonostante sia proibito dalle autorità israeliane.

  • Lo scorso maggio, un tribunale israeliano ha confermato il divieto dopo che era stato contestato da tre giovani ebrei che avevano ricevuto un’ordinanza restrittiva dopo aver pregato sul posto.

  • Tuttavia le forze di sicurezza israeliane hanno spesso chiuso un occhio davanti alla preghiera “silenziosa” degli ebrei scortati dalla polizia ad Al-Aqsa.

Cosa vuole Ben-Gvir?

  • Ben-Gvir fa parte del movimento ideologico israeliano del “sionismo religioso” nato per cercare di riconciliare gli ebrei religiosi e il sionismo. Molti ebrei religiosi erano sospettosi delle influenze secolari del sionismo.

  • Fa anche parte di un movimento in crescita in Israele, che ha sfidato le tradizionali restrizioni ebraiche sulla preghiera ad Al-Aqsa e invece vuole incoraggiarle.

  • In quanto membro dell’estrema destra israeliana, Ben-Gvir era visto da molti politici israeliani come troppo estremista per collaborare con lui, ma il primo ministro Benjamin Netanyahu è stato costretto a cercare alleati dell’estrema destra, tra cui Ben-Gvir, quando le forze più “rispettabili” della politica israeliana gli si sono opposte.

  • La posizione di Ben-Gvir nel governo, che include il controllo sulla polizia [di frontiera, che pattuglia i territori occupati, ndt.] israeliana, evidenzia la forza del movimento “religioso sionista” che vuole mantenere ed espandere il controllo israeliano sul territorio palestinese occupato.

  • Ben-Gvir è stato condannato per istigazione razzista contro gli arabi e sostegno al “terrorismo”. Ha anche manifestato favore nei confronti di Baruch Goldstein, un israeliano americano che ha ucciso 29 palestinesi nella moschea di Ibrahimi nel 1994.

Quale sarà la reazione palestinese?

  • Il portavoce di Hamas, Hazem Qassem, ha dichiarato ad Al Jazeera che l'”assalto” di Ben-Gvir ad Al-Aqsa è stato “una continuazione dell’aggressione dell’occupazione sionista contro i nostri luoghi santi e della sua guerra alla loro identità araba”.

  • Mentre sono stati fatti appelli generici per una risposta palestinese, nessun gruppo ha ancora chiesto specificamente attacchi contro obiettivi israeliani.

  • Gli analisti ritengono che, con Netanyahu in una posizione simile, Hamas e Fatah siano interessati ad evitare uno scontro armato con Israele.

  • Tuttavia, le tensioni, nella Cisgiordania occupata in particolare, potrebbero intensificarsi, tra i continui rastrellamenti israeliani, che hanno reso il 2022 l’anno più letale per i palestinesi nel territorio dal 2006, e la crescita di nuovi gruppi armati palestinesi.

  • Lunedì il leader dell’opposizione israeliana ed ex primo ministro Yair Lapid aveva avvertito che l’ingresso programmato di Ben-Gvir nel complesso avrebbe portato a violenze, definendola una “provocazione deliberata che metterà in pericolo vite”.

(traduzione dall’inglese di Giuseppe Ponsetti)




Dopo anni di inerzia diplomatica, cosa può offrire l’ICJ[ Corte Internazionale di Giustizia ndt] ai palestinesi?

Hugh Lovatt

1 gennaio 2023 – +972 Magazine

Il voto delle Nazioni Unite favorevole alla richiesta di una sentenza sull’occupazione è un atto d’accusa sull’incapacità di portare Israele di fronte alla giustizia e comporta sia rischi che opportunità.

Questo è stato un anno difficile e sanguinoso per i palestinesi, che hanno sopportato i dodici mesi più letali in Cisgiordania dal 2005 insieme ad una continua emarginazione sulla scena internazionale. L’Assemblea generale delle Nazioni Unite, tuttavia, ha offerto loro una vittoria dell’ultimo minuto, avviando la richiesta di una sentenza ad alto rischio da parte della Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) sulla legalità della prolungata occupazione israeliana dei territori palestinesi. Il voto del 30 dicembre da parte degli Stati membri ha anche chiesto alla Corte di delineare le responsabilità dei Paesi nel porre fine all’occupazione che Israele ha rafforzato profondamente dal 1967. La risposta della Corte potrebbe arrivare già nell’estate del 2023.

Funzionari palestinesi ed esperti di diritto internazionale stavano contemplando un simile passo da diversi anni. Ma la decisione di procedere sembra in gran parte dettata dalla crescente frustrazione del presidente Mahmoud Abbas per l’attuale inerzia diplomatica, il disimpegno degli Stati Uniti e l’elezione di un governo di estrema destra in Israele. Sebbene il parere consultivo non vincolante rischi di non essere all’altezza delle aspettative palestinesi, potrebbe comunque rappresentare un’importante pietra miliare negli sforzi per chiedere conto a Israele ai sensi del diritto internazionale della sua pluridecennale violazione dei diritti dei palestinesi.

L’ICJ è il principale organo giudiziario delle Nazioni Unite, con sede a L’Aja. Istituito nel 1945, è composto da 15 giudici eletti dall’Assemblea Generale e dal Consiglio di Sicurezza. Il tribunale decide sulle controversie tra Stati e può anche fornire pareri consultivi su questioni di diritto internazionale.

Ciò a differenza della Corte Penale Internazionale (ICC), anch’essa con sede a L’Aja, che processa individui per crimini internazionali come genocidio, crimini di guerra e crimini contro l’umanità ai sensi dello Statuto di Roma. Dal marzo 2021 l’ICC ha portato avanti le proprie lunghe indagini su possibili crimini di guerra commessi nei territori occupati e si avvarrà senza dubbio delle deliberazioni dell’ICJ.

Questa non è la prima volta che l’ICJ approfondisce il conflitto israelo-palestinese. In un parere storico del 2004 la Corte ha ritenuto che la costruzione del muro di separazione israeliano in Cisgiordania e il relativo quadro giuridico avessero de facto annesso il territorio occupato ostacolando il diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione. Di conseguenza, i giudici dell’ICJ hanno chiesto a Israele di smantellare la sua barriera e di fornire un risarcimento ai palestinesi come stabilito dal Registro dei danni delle Nazioni Unite (UNRoD). Israele ha rifiutato di conformarsi alla sentenza e ha persino attaccato l’ultimo richiamo come “arma di distruzione di massa palestinese nella loro guerra santa di demonizzazione di Israele”.

L’ipocrisia dell’Occidente

Gli Stati Uniti e Paesi europei come il Regno Unito e la Germania, che hanno votato contro la decisione, sostengono che sarebbe inappropriato per l’ICJ inserirsi in una disputa bilaterale su una questione così controversa senza il consenso di Israele. Questo è diventato un argomento standard che è stato utilizzato anche nel caso del parere espresso nel 2004, e di nuovo nel 2019 in un caso diverso, quando l’Assemblea Generale ha chiesto un parere della Corte Internazionale di Giustizia sulle conseguenze legali del controllo continuato del Regno Unito sulle isole Chagos nell’Oceano Indiano (che il Regno Unito ha separato dalle Mauritius prima di concedere a queste ultime l’indipendenza nel 1968). I giudici della Corte hanno regolarmente e fermamente respinto tali argomentazioni politiche e ci si può aspettare che lo facciano ancora.

Gli oppositori affermano inoltre che i deferimenti all’ICJ (e all’ICC) danneggiano la prospettiva di rilanciare i negoziati israelo-palestinesi e raggiungere una soluzione a due Stati. Tuttavia, la prima sentenza dell’ICJ nel 2004 non ha impedito i successivi colloqui, anche in vista della conferenza di Annapolis del 2007, durante la quale sono stati compiuti progressi sulle questioni relative allo status finale. Da allora, le prospettive di un significativo processo di pace sono svanite a causa dell’erosione della soluzione dei due Stati, in gran parte a causa dell’incontrollata attività di colonizzazione ed espropriazione dei palestinesi da parte di Israele. Sotto il nuovo governo israeliano queste dinamiche negative sono destinate ad accelerare.

Sullo sfondo della guerra della Russia contro l’Ucraina l’opposizione occidentale al ricorso palestinese al diritto internazionale suona ancora più in malafede. L’Europa in particolare ha fatto riferimento con entusiasmo alle norme internazionali nel respingere l’invasione e l’annessione del territorio ucraino da parte della Russia. Ciò include sanzioni di vasta portata insieme a una proposta dell’UE riguardo l’istituzione di un tribunale speciale per perseguire i crimini russi in Ucraina. Gli Stati occidentali hanno inoltre sostenuto i procedimenti dell’Ucraina contro la Russia.

Come voterà questa volta l’ICJ?

Ovviamente non c’è modo di sapere con certezza cosa deciderà l’ICJ. Ma la sua passata giurisprudenza in casi simili allude sia a rischi che a opportunità per i palestinesi.

Prendiamo, ad esempio, l’attuale elenco dei giudici dell’ICJ, due dei quali si sono opposti in passato ad interventi giudiziari. Durante l’udienza relativa alle Chagos la giudice statunitense Joan Donoghue ha sostenuto che l’ICJ avrebbe dovuto astenersi perché il Regno Unito non aveva acconsentito a una “soluzione giudiziaria” della sua controversia bilaterale con le Mauritius. Sebbene la sua all’epoca fosse una visione isolata, nel frattempo Denoghue è diventata la presidente della Corte.

Allo stesso modo, nel 2004 il giudice francese Ronny Abraham, nella sua precedente veste di rappresentante legale della Francia, ha esortato l’ICJ ad astenersi dall’udienza sul muro perché non sarebbe stata “propizia” alla ripresa del dialogo. Anche se queste opinioni potrebbero non influenzare la maggioranza dei giudici, Israele si avvarrà senza dubbio di qualsiasi dissenso di questo tipo per sfidare l’autorevolezza di un futuro giudizio.

Passando alla sostanza, la corte potrebbe estendere la sua precedente conclusione riguardo un’annessione de facto per comprendere, come minimo, tutta l’Area C [sotto esclusivo controllo israeliano, ndt.] (quasi il 60% della Cisgiordania) data la significativa estensione delle infrastrutture coloniali e l’esistenza di una legislazione nazionale israeliana sull’area dal 2004. Tuttavia, è meno chiaro se la Corte si spingerebbe fino a descrivere ciò come un’annessione de jure in assenza di una proclamazione ufficiale della sovranità israeliana, o una fine formale dell’amministrazione militare israeliana del territorio.

Un’incognita ancora più grande è se l’ICJ sceglie di ribadire le conclusioni, in numero crescente, da parte delle principali organizzazioni per i diritti umani e degli esperti di diritto internazionale, incluso il relatore speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati, secondo cui Israele ha imposto un sistema di apartheid contro i palestinesi. La scelta di non farlo darebbe senza dubbio energia alla campagna di Israele per diffamare, come antisemiti, coloro che usano tale terminologia.

Eppure il tribunale potrebbe ancora togliere il terreno da sotto i piedi dell’occupazione da parte di Israele, stabilendo che il suo persistente controllo non è né temporaneo né giustificato da necessità militari, ed è quindi diventato illegale e richiedendogli di porre immediatamente fine all’occupazione. Ciò si allineerebbe a giudizi espressi in altri casi, come le sue conclusioni del 1971 secondo cui la presenza del Sudafrica in Namibia, dove aveva replicato un sistema di apartheid, era illegale e doveva cessare immediatamente. Allo stesso modo nel 2019, quando invitò il Regno Unito a porre fine alla sua “amministrazione illegale” delle Chagos e restituire il territorio alle Mauritius.

Richiamare Israele a rispondere delle sue responsabilità

Tuttavia è soprattutto sulla questione delle responsabilità dello Stato che i palestinesi potrebbero rimanere delusi. La Corte ha storicamente evitato di approfondire troppo la questione, preferendo lasciarla all’Assemblea Generale e al Consiglio di Sicurezza. È quindi altamente improbabile che aderisca alla richiesta di Abbas di un “regolamento delle Nazioni Unite per la protezione internazionale del popolo palestinese”.

Invece, come ha fatto nel 2004, la Corte potrebbe limitarsi a un appello generale agli Stati membri affinché collaborino con le Nazioni Unite per porre fine alla situazione illegale creata da Israele. In tale prospettiva ci si può anche aspettare che riaffermi il dovere degli Stati terzi di non riconoscere o sostenere tali violazioni del diritto internazionale. Questo principio giuridico è sancito dalla risoluzione 2334 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ed è una pietra miliare di lunga data della politica dell’UE di differenziazione tra Israele e i suoi insediamenti.

L’ICJ non può costringere Israele a porre fine alla sua occupazione attraverso il suo parere consultivo. L’applicazione della legge internazionale in ultima analisi spetta ai membri delle Nazioni Unite, in particolare quelli con un seggio nel Consiglio di Sicurezza. Ma invece di dare ascolto alla prima sentenza della Corte gli Stati Uniti e gli Stati europei hanno cercato di proteggere il progetto di colonizzazione da parte di Israele da qualsiasi meccanismo di responsabilità internazionale – non solo l’ICC e l’ICJ, ma anche il database delle imprese con legami con gli insediamenti coloniali del Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite. Il ritorno della Palestina all’ICJ, il tribunale di ultima istanza, circa 20 anni dopo, è di per sé un atto d’accusa contro il continuo fallimento dell’Occidente nel chiedere conto a Israele del suo comportamento illegale.

Sebbene oggi la volontà internazionale sia gravemente carente, i precedenti storici possono offrire un po’ di conforto ai palestinesi riguardo gli sviluppi futuri. La sentenza dell’ICJ del 1971 ha inferto un duro colpo alle rivendicazioni illegali del Sud Africa sulla Namibia e, sebbene ci siano voluti quasi altri due decenni, alla fine ha segnato la fine del regime di apartheid attraverso il quale [il Sud Africa] ha soggiogato il territorio e la sua gente. E anche con l’equilibrio del potere internazionale saldamente a suo favore il rifiuto da parte del Regno Unito della sentenza della Corte del 2019 si è rivelato sempre più insostenibile. Londra alla fine, anche se a malincuore, è stata costretta ad aprire delle trattative con le Mauritius per la consegna delle Isole Chagos. Con il tempo il peso crescente della riprovazione giuridica internazionale potrebbe rivelarsi altrettanto inevitabile per Israele.

Hugh Lovatt è un consulente politico del programma Medio Oriente e Nord Africa presso il Consiglio europeo per le relazioni estere (ECFR).

(Traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)