Dirigo l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi. La storia ci giudicherà tutti se non ci sarà un cessate il fuoco a Gaza

Philippe Lazzarini

26 ottobre 2023-The Guardian

Philippe Lazzarini è commissario generale dell’UNRWA (United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees in the Near East)

Ormai da più di due settimane riceviamo da Gaza immagini insopportabili della tragedia dei suoi abitanti. Donne, bambini e anziani vengono uccisi, ospedali e scuole vengono bombardati, nessuno viene risparmiato. Mentre scrivo l’UNRWA, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi, ha già tragicamente perso 35 membri del suo personale, molti dei quali uccisi mentre erano nelle loro case con le loro famiglie.

Interi quartieri vengono rasi al suolo sulle teste dei civili in uno dei luoghi più sovraffollati della Terra. Le IDF [Forze di Difesa Israeliane, ndt.] hanno avvertito i palestinesi di Gaza di spostarsi nella parte meridionale della Striscia mentre bombardano il nord; ma i bombardamenti continuano anche al sud. Non c’è nessun posto sicuro a Gaza.

Quasi 600.000 persone trovano rifugio in 150 scuole e altri edifici dell’UNRWA dove sopravvivono in pessime condizioni igieniche, con poca acqua pulita, poco cibo e medicine. Le madri non sanno come pulire i propri figli. Le donne incinte pregano per non dover affrontare complicazioni durante il parto perché gli ospedali non hanno la capacità di accoglierle. Intere famiglie ora vivono nei nostri edifici perché non hanno nessun altro posto dove andare. Ma le nostre strutture non sono sicure: 40 edifici dell’UNRWA, tra cui scuole e magazzini, sono stati danneggiati dai bombardamenti. Molti civili che si sono rifugiati al loro interno sono stati tragicamente uccisi.

Gaza è stata descritta negli ultimi 15 anni come una grande prigione a cielo aperto, con un blocco aereo, marittimo e terrestre che soffoca 2,2 milioni di persone in un raggio di 365 kmq. La maggior parte dei giovani non ha mai lasciato Gaza. Oggi questa prigione sta diventando il cimitero di una popolazione intrappolata da guerra, assedio e mancanza di tutto.

Negli ultimi giorni frenetici negoziati ai massimi livelli hanno finalmente consentito l’ingresso nella Striscia di forniture umanitarie molto limitate. Anche se la svolta è benvenuta, questi camion rappresentano un rivolo piuttosto che il flusso di aiuti che una situazione umanitaria di questa portata richiede. Venti camion carichi di cibo e medicinali sono una goccia nell’oceano per i bisogni di oltre 2 milioni di civili. Il carburante, però, è stato fermamente negato a Gaza. Senza di esso non ci sarà alcuna risposta umanitaria, nessun aiuto potrà raggiungere le persone bisognose, nessuna elettricità per gli ospedali, niente acqua, niente pane.

Prima del 7 ottobre Gaza riceveva ogni giorno circa 500 camion di cibo e altre forniture, inclusi 45 camion di carburante per alimentare le auto della Striscia, gli impianti di desalinizzazione dell’acqua e i panifici. Oggi Gaza viene strangolata e i pochi convogli che stanno entrando non placheranno la consapevolezza della popolazione civile di essere stata abbandonata e sacrificata dal resto del mondo.

Il 7 ottobre Hamas ha commesso massacri indicibili di civili israeliani che potrebbero costituire crimini di guerra. L’ONU ha condannato questo atto orribile con la massima fermezza. Ma non vi può essere ombra di dubbio: ciò non giustifica i crimini in corso contro la popolazione civile di Gaza, un milione di bambini compresi.

La Carta delle Nazioni Unite e i nostri impegni sono un vincolo per la nostra comune umanità. I civili – ovunque si trovino – devono essere protetti allo stesso modo. I civili di Gaza non hanno scelto questa guerra. Le atrocità non dovrebbero essere seguite da altre atrocità. La risposta ai crimini di guerra non è altri crimini di guerra. Il quadro del diritto internazionale su questo punto è molto chiaro e ben consolidato.

Saranno necessari sforzi autentici e coraggiosi per affrontare le radici di questa situazione di stallo mortale e offrire opzioni politiche che siano praticabili e possano creare un ambiente di pace, stabilità e sicurezza. Fino ad allora dobbiamo assicurarci che le norme del diritto umanitario internazionale siano rispettate e che i civili siano risparmiati e protetti. È necessario attuare un cessate il fuoco umanitario immediato per consentire un accesso sicuro, continuo e senza restrizioni a carburante, medicine, acqua e cibo nella Striscia di Gaza.

Dag Hammarskjöld, il secondo segretario generale dell’ONU, una volta disse: “L’ONU non è stata creata per portarci in paradiso, ma per salvarci dall’inferno”. La realtà oggi a Gaza è che non è rimasta molta umanità e l’inferno sta prendendo il sopravvento.

Le generazioni a venire sapranno che abbiamo visto questa tragedia umana svolgersi sui social media e sui canali di notizie. Non potremo dire che non lo sapevamo. La storia si chiederà perché il mondo non ha avuto il coraggio di agire con decisione e fermare questo inferno sulla Terra.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Israele ha ucciso la famiglia del corrispondente di Al-Jazeera qualche giorno dopo che Blinken aveva chiesto ai giornalisti del canale di “abbassare i toni”.

Mohammed El-Kurd 

 25 ottobre 2023 – Mondoweiss

Oggi il caporedattore di Al-Jazeera Wael El-Dahdouh stava trasmettendo in diretta da Gaza quando un attacco aereo israeliano ha ucciso sua moglie e due figli. Ora anche altri giornalisti temono che le loro famiglie possano essere prese di mira solo perché fanno il proprio lavoro.

Wael El-Dahdouh, caporedattore di Al-Jazeera a Gaza, stava trasmettendo in diretta quando un attacco aereo israeliano ha preso di mira l’edificio nel sud di Gaza in cui si era rifugiata la sua famiglia, uccidendo sua moglie, il figlio, la figlia e un nipote.

L’informazione è giunta poche ore dopo che Axios [sito web informativo statunitense, ndt.] ha dato la notizia che il segretario [di Stato] Antony Blinken ha detto ai dirigenti ebrei statunitensi di aver chiesto al Qatar di “abbassare il tono della copertura informativa di Al Jazeera” sulla campagna genocidaria israeliana nella Striscia di Gaza, accusando la rete di essere “anti-israeliana”.

Mondoweiss ha contattato giornalisti a Gaza che hanno condiviso il timore che le loro famiglie possano cadere vittime di un bombardamento punitivo solo perché fanno il proprio lavoro.

“Ho iniziato a sentire di essere un pericolo per quelli che mi stanno attorno,” ha confessato un giornalista. “Ho provato questa sensazione fin dall’inizio della guerra, da quando la mia voce ha iniziato ad essere udita… Ci sono tanti innocenti vicino a me, gente che non ha niente a che fare con me, con quello che scrivo o con il mio lavoro.”

Il giornalista, anonimo per timore di rappresaglie, ha affermato: “Prendere di mira la famiglia di qualcuno è più doloroso che prendere di mira solo quella determinata persona.” Ed ha aggiunto: “Forse questo è il messaggio che vogliono mandare a ogni giornalista: ‘Non sei l’unico che prenderemo di mira, possiamo far bruciare il tuo cuore colpendo la tua famiglia e rubarti la voglia di continuare a vivere.’”

Stamattina presto Mohammed Farra, un altro giornalista palestinese, ha ricevuto la notizia che, mentre lui si trovava a Ramallah, a molte miglia e molti checkpoint da Gaza, sua moglie e i suoi figli sono stati uccisi in un attacco aereo israeliano contro Khan Yunis.

“Ogni persona di cui si sente la voce o che ha raggiunto una visibilità internazionale è costretto a pagarne il prezzo,” ha detto a Mondoweiss il giornalista che si trova a Gaza. “Puoi percepire l’intenso controllo su ogni cosa che esce da Gaza. E chiunque dice qualunque cosa, anche una frase o una parola, che Israele non vuole sentire sarà preso di mira, lui e la sua famiglia.”

Questa testimonianza è in linea con il fatto che sono presi di mira studenti, attivisti e normali utenti delle reti sociali nella Gerusalemme occupata e nei territori del 1948 [ossia Israele, ndt.], accusati di incitamento a causa dei loro post su social media.

Dal 7 ottobre il regime israeliano ha ucciso 20 giornalisti palestinesi a Gaza e uno libanese nel sud del Libano.

El-Dahdouh, un esperto giornalista, è stato ripreso mentre, inginocchiato per terra, accarezzava il volto sanguinante di suo figlio quindicenne, Mahmoud, che voleva diventare un giornalista. “Si stanno vendicando con l’uccisione dei nostri figli,” ha detto Dahdouh, circondato da un gruppo di suoi colleghi. Altri membri della sua famiglia sono ancora sotto le macerie.

Durante la conversazione di Mondoweiss con il giornalista che si trova a Gaza, questi ha ricordato un video in inglese che i figli di Dahdouh avevano appena realizzato e messo in rete. “Descrivevano quello che succede a Gaza. Parlavano di come interi quartieri sono stati distrutti e come nessun luogo fosse sicuro. Chiedevano cosa avessero da dire a questo proposito le leggi internazionali e i diritti umani. E finivano il loro video con il messaggio: ‘Aiutateci a rimanere in vita.’ E il mondo li ha abbandonati.”

In Qatar un presentatore di Al Jazeera si è messo a piangere quando ha dato la notizia che l’intera famiglia del suo collega era stata uccisa nel bombardamento aereo del campo profughi di Nuseirat, nel cuore della Striscia assediata, dove Dahdouh e la sua famiglia si erano rifugiati.

La famiglia era stata cacciata dal nord di Gaza dopo che il suo quartiere era stato bombardato, insieme a 1.4 milioni di palestinesi che sono stati obbligati a fuggire dalle proprie case dopo le minacce dell’esercito israeliano, secondo cui chi fosse rimasto nel nord dell’enclave avrebbe potuto essere “trattato come membro di un’organizzazione terroristica.” “La vostra presenza nella valle di Gaza aumenta le vostre possibilità di morire,” dicevano migliaia di volantini lanciati su Gaza da aerei da guerra israeliani.

Si è detto che il 43% degli edifici della Striscia sono stati danneggiati o distrutti dai bombardamenti israeliani. “Questa è l’area ‘sicura’ di cui parla l’esercito occupante,” ha detto El-Dahdouh ai media fuori dall’ospedale dei Martiri di Al-Aqsa a Deir el-Balah.

“[I figli di Dahdouh] stavano cercando di far sentire la loro voce e denunciare i crimini di Israele. Onestamente ciò mi terrorizza. Ora la mia voce raggiunge le persone e ho un gran numero di risposte da israeliani con post su Twitter. Mi attaccano personalmente e dicono che non hanno neppure iniziato,” ha detto a Mondoweiss il giornalista che si trova Gaza.

La rete televisiva Al-Jazeera ha condannato “l’attacco indiscriminato da parte delle forze israeliane che ha provocato la tragica perdita della moglie, del figlio e della figlia [di Dahdouh], mentre il resto della famiglia è sepolto sotto le macerie.”

Alla fine della conversazione, il giornalista anonimo ha detto a Mondoweiss: “Se il prezzo di compiere il tuo dovere professionale o il dovere giornalistico a Gaza significa perdere tutta la tua famiglia, allora penso che non ci vorrà molto prima che la maggioranza dei giornalisti lascino il lavoro per garantire la sicurezza della loro famiglia.”

“Comincio a pensare che forse io rappresento un pericolo per le loro vite, e anche per la mia, ma come ti ho detto, quando perdi la tua vita non te ne accorgi. Non lo so, non lo so proprio.”

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Guerra Israele-Palestina: un secondo palestinese muore in due giorni in una prigione israeliana

Redazione di MEE

24 ottobre 2023 – Middle East Eye

L’autorità giudiziaria ha affermato che martedì un detenuto palestinese di 25 anni è morto nella prigione di Ofer. È il secondo prigioniero a morire in carcere da lunedì.

La Commissione per gli Affari dei Detenuti ed Ex-detenuti Palestinesi ha identificato il prigioniero in Arafat Hamdan originario della città di Beit Sira, nella parte settentrionale della Cisgiordania occupata. Hamdan è stato arrestato domenica.

Dal 7 ottobre, quando combattenti palestinesi hanno lanciato a sorpresa un attacco per terra, aria e mare s sud di Israele, uccidendo 1.400 israeliani, Israele ha effettuato una campagna di arresti di massa in tutta la Cisgiordania.

Le autorità israeliane in precedenza avevano affermato che il prigioniero non si era sentito bene ed era stato trasferito per esami nell’infermeria del carcere, “dove il dottore ha dichiarato la sua morte”.

La Commissione ha affermato che “l’occupazione ha cominciato una operazione di assassinio sistematico contro i prigionieri nel contesto di una campagna di aggressione totale contro il nostro popolo.”

Un giorno prima il prigioniero palestinese Omar Darghmeh, che Hamas ha dichiarato essere un suo membro, è morto in prigione in circostanze non chiare.

Israele ha affermato che Darghmeh è morto per motivi di salute, ma i palestinesi hanno restituito al mittente l’affermazione, dicendo che è morto per tortura.

Daraghmeh era stato incarcerato con suo figlio il 9 ottobre in Cisgiordania.

La morte dei detenuti è avvenuta perché dall’inizio della guerra Israele ha incrementato la sua repressione contro i prigionieri palestinesi.

Le autorità giudiziarie hanno implementato una serie di misure punitive che hanno visto i detenuti confinati nelle loro celle senza accesso ai cortili, ai dispositivi elettronici e alle visite della famiglia e dell’avvocato.

Le testimonianze del Club dei Prigionieri Palestinesi e di carcerati riferiscono che i detenuti sono anche soggetti giornalmente ad essere picchiati duramente, intimiditi, sottoposti a incursioni e a danneggiamenti o confische dei beni.

Le autorità giudiziarie hanno chiuso i negozi di cibo e ai prigionieri si è ridotto il cibo a due pasti al giorno con porzioni ridotte.

Il portavoce del Club dei Prigionieri, Amani Sarhana, ha affermato a Middle East Eye che i detenuti stanno attraversando uno dei “periodi più difficili e crudeli” dato che devono sopportare isolamento, oppressione e fame.

Sono state interrotte anche le cure mediche. Non stiamo più parlando di prigionieri soggetti a cure mediche insufficienti, ma piuttosto del taglio completo dell’assistenza sanitaria,” ha affermato Sarhana.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Ostilità nella Striscia di Gaza e in Israele

Aggiornamento Flash n.18 del 24 ottobre 2023

OCHA

VITTIME PALESTINESI

Nella striscia di Gaza uccise 5.791 persone

ferite 16.297

in Cisgiordania uccise 95

ferire 1.833

VITTIME ISRAELIANE

In Israele uccise 1.400 persone

ferite 5.431

In Cisgiordania uccisa 1

ferite 11

PUNTI CHIAVE

Secondo il Ministero della Sanità (MoH) di Gaza, nelle ultime 24 ore (alle 18:00 del 24 ottobre), sono stati uccisi un totale di 704 palestinesi, tra cui 305 minori. Questo è il numero di vittime più alto registrato, in un solo giorno, a Gaza, durante questa tornata di ostilità. Secondo il Ministero della Salute, il numero complessivo di palestinesi uccisi a Gaza ha raggiunto i 5.791, di cui il 68% sono minori e donne. Circa 1.550 persone, tra cui 870 minori, risultano scomparse e potrebbero essere ancora sotto le macerie. Ciò consegue ai bombardamenti e agli attacchi aerei israeliani più intensi su Gaza dall’inizio dell’escalation.

L’UNRWA, di gran lunga il più grande fornitore umanitario a Gaza, ha avvertito che se non verrà consentito immediatamente l’ingresso di carburante a Gaza, l’Agenzia sarà costretta a sospendere tutte le operazioni, a partire dalla notte di domani, 25 ottobre. Dall’11 ottobre, Gaza è stata completamente in blackout elettrico, rendendo gli ospedali e le strutture idriche dipendenti da generatori di riserva alimentati a carburante.

A causa dei danni causati dalle ostilità o della mancanza di carburante, oltre un terzo degli ospedali di Gaza (12 su 35) e quasi due terzi delle cliniche di assistenza sanitaria di base (46 su 72) hanno chiuso.

Il 24 ottobre, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha consegnato 51 pallet di medicinali salvavita, attrezzature chirurgiche e altre forniture all’ospedale Shifa, il più grande centro medico di Gaza, situato nella città di Gaza. Questo è uno dei sette ospedali che hanno beneficiato delle forniture mediche consentite a Gaza attraverso il valico di Rafah, tra il 21 e il 23 ottobre.

Il 22 ottobre sono state fatte entrare 44.000 bottiglie di acqua in bottiglia, rispondendo al bisogno di bere di 22.000 persone per un giorno. Tre dei camion entrati a Gaza il 23 ottobre, attraverso il valico di Rafah, trasportavano 4.000 taniche di acqua potabile (10 litri ciascuna), 2.400 kit igienici e 2.000 dispositivi per la depurazione dell’acqua. L’acqua coprirà il fabbisogno potabile di circa 13.000 persone per un solo giorno. Undici dei 20 camion entrati a Gaza attraverso il valico di Rafah, il 23 ottobre, trasportavano generi alimentari, tra cui pacchi alimentari, tonno in scatola e farina di frumento. Nel complesso, le scorte alimentari, l’acqua e i beni non alimentari entrati tra il 21 e il 23 ottobre sono stati distribuiti principalmente nei rifugi dell’UNRWA DES nel sud di Gaza.

Si stima che a Gaza siano 1,4 milioni le persone sfollate interne (IDP), di cui circa 590.000 trovano rifugio nei 150 rifugi di emergenza (DES) designati dall’UNRWA. Il sovraffollamento è una preoccupazione crescente, poiché il numero medio di sfollati interni per rifugio ha raggiunto 2,6 volte la capacità prevista; quello più sovraffollato ha raggiunto 11 volte la capacità prevista.

È continuato il lancio indiscriminato di razzi da parte dei gruppi armati palestinesi contro i centri abitati israeliani, raggiungendo, secondo quanto riferito, anche la Cisgiordania settentrionale. Complessivamente, secondo le autorità israeliane, dal 7 ottobre sono stati uccisi circa 1.400 israeliani e cittadini stranieri, la maggior parte il primo giorno.

Secondo le autorità israeliane, almeno 220 persone sono tenute prigioniere a Gaza, tra cui israeliani e cittadini stranieri. Il Segretario generale delle Nazioni Unite ha invitato Hamas a rilasciare gli ostaggi immediatamente e senza condizioni. Due ostaggi con cittadinanza statunitense sono stati rilasciati il 20 ottobre e due israeliani il 23 ottobre.

Non sono state registrate vittime palestinesi in Cisgiordania dal pomeriggio del 23 ottobre (alle 21:00 del 24 ottobre). In totale, dal 7 ottobre, 95 palestinesi sono stati uccisi dalle forze o dai coloni israeliani, tra cui 28 minori.

Traduzione di Assopace Rivoli




500 arrestati al Campidoglio tra gli attivisti ebrei che chiedono il cessate il fuoco a Gaza

Michael Arria

19 ottobre 2023 – Mondoweiss

Se non recuperiamo la nostra comune umanità non credo che potremo mai tornare indietro da tutto questo”, ha detto ai manifestanti la deputata Rashida Tlaib. “E al nostro Presidente: voglio che sappia che come palestinese-americana e persona di fede musulmana, non dimenticherò. E credo che molte persone non dimenticheranno.”

Cinquecento persone, comprese due dozzine di rabbini, sono state arrestate mercoledì a Washington quando attivisti ebrei hanno guidato una protesta dentro e fuori Capitol Hill. I manifestanti chiedevano ai deputati di appoggiare un cessate il fuoco a Gaza.

Centinaia di manifestanti sono entrati nella rotonda dell’edificio principale della Camera dei Rappresentanti dove hanno cantato, scandito slogan ed esposto cartelli che chiedevano un immediato cessate il fuoco. Gli attivisti indossavano magliette con davanti la scritta “Non in nostro nome” e “Gli ebrei dicono cessate il fuoco adesso”.

La polizia del Campidoglio ha comunicato che stava chiudendo le vie intorno al Campidoglio per garantire la sicurezza dei manifestanti all’esterno.

Al mattino presto più di 5.000 ebrei americani e loro alleati si sono radunati sul National Mall (il viale monumentale). La folla era guidata dalle deputate Rashida Tlaib (del Minnesota) e Cori Bush (del Montana). “Ringraziamo la nostra comunità ebraica per essere qui a dire ‘Mai più’ “, ha detto Bush.

Il 16 ottobre Tlaib, Bush e diversi altri rappresentanti progressisti hanno presentato una risoluzione che chiede all’amministrazione Biden di premere per un immediato cessate il fuoco a Gaza.

L’impegno legislativo è appoggiato da decine di associazioni per i diritti umani, comprese Adalah Justice Project, American Muslims for Palestine (AMP) e U.S.Campaign for Palestinian Rights (USCPR).

Se non recuperiamo la nostra comune umanità non credo che potremo mai tornare indietro da tutto questo”, ha detto Tlaib. “E al nostro Presidente: voglio che sappia che come palestinese-americana e persona di fede musulmana, non dimenticherò. E credo che molte persone non dimenticheranno.”

Jewish Voice for Peace’ ha messo in evidenza l’azione in un post su Twitter:

Oggi 500 ebrei sono stati arrestati e 10.000 sono scesi in strada per sostenere e chiedere un cessate il fuoco e la fine del genocidio palestinese. Fermiamo il congresso per attirare una massiccia attenzione alla complicità degli USA nella continua oppressione di Israele sui palestinesi. Ma il nostro lavoro non è finito.

Possiamo fermare il genocidio a Gaza e lo faremo. Ma questa orribile situazione è stata resa possibile solo grazie al lavoro di fondo condotto dallo Stato israeliano da 75 anni. Dal 1948 il governo israeliano ha costruito un sistema di apartheid e di occupazione illegale.

Così come chiediamo la fine del genocidio a Gaza, dobbiamo compiere lo stesso sforzo per smantellare il sistema di sionismo, apartheid e colonialismo che ci ha portati a questa situazione.

L’unica strada per la pace e la sicurezza – per tutti – passa attraverso la giustizia e l’uguaglianza per tutti. Ciò significa essere solidali con i palestinesi. Significa costruire un mondo al di là del sionismo. Significa creare sistemi di sicurezza attraverso la solidarietà. Volete unirvi a noi?

La manifestazione di mercoledì si è svolta solo due giorni dopo che attivisti ebrei avevano bloccato tutti gli ingressi alla Casa Bianca, chiedendo a Biden di sostenere un cessate il fuoco.

Fin da bambini molti di noi si sono detti che non sarebbero stati a guardare se fossero mai stati testimoni di violenza genocida. Ci siamo detti che avremmo alzato la voce. Ci siamo detti che avremmo frapposto i nostri corpi. Abbiamo promesso che tali orrori non sarebbero mai più avvenuti sotto i nostri occhi”, ha detto la scrittrice e attivista Naomi Klein, che ha parlato anch’essa ai manifestanti. “Il ‘mai più’ di tutta la nostra vita sta accadendo proprio adesso a Gaza. E noi ci rifiutiamo di stare a guardare.”

La sezione di Washington della Anti-Defamation League (ADL) [associazione ebraica contro l’antisemitismo, fondata negli USA, ndt.] ha calunniato i manifestanti in una dichiarazione e ha affermato che gli anti-sionisti sono antisemiti. L’amministratore delegato dell’ADL Jonathan Greenblatt in un tweet ha paragonato gli attivisti ai suprematisti bianchi.

L’ADL è spaventata perché loro, come altre organizzazioni ebraiche istituzionali, hanno la sensazione di perdere il controllo di chi può parlare a nome degli ebrei americani”, ha scritto Ben Lorber, un membro di IfNotNow (Se non ora) e JVP (Jewish Voice for Peace). “Francamente, fanno bene a spaventarsi. Il loro fallimentare centrismo è il passato e le associazioni come IfNotNow e JVP sono il presente e il futuro.”

Michael Arria è il corrispondente USA per Mondoweiss.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)





Guerra Israele-Palestina: coloni e soldati “commettono gravi abusi” su palestinesi e attivisti

Redazione di MEE

19 ottobre 2023 – Middle East Eye

Sulla base di un report di Haaretz tre palestinesi e cinque attivisti israeliani di sinistra detenuti, legati, picchiati e umiliati sessualmente dalle forze israeliane

Uno degli uomini, Mohammed Matar, 46 anni, noto come Abu Hassan, ha riferito ad Haaretz che quanto hanno vissuto è stato simile alle torture e agli abusi sui prigionieri perpetrati dalle forze statunitensi nella prigione irachena di Abu Ghraib.

I palestinesi sono stati rilasciati in serata da funzionari dellAmministrazione Civile, lorgano di governo israeliano nella Cisgiordania occupata. Sono stati portati all’ospedale di Ramallah gravemente feriti e dopo aver subito il furto della maggior parte delle cose in loro possesso, tra cui un’auto e dei contanti.

Un portavoce dell’esercito israeliano ha detto ad Haaretz che è stata aperta un’indagine sull’incidente e che come risultato un comandante è stato rimosso.

I Palestinesi denudati e torturati dai coloni. Foto (social media)

Lo stesso giorno degli attivisti israeliani di sinistra giunti sul posto con un bambino sono stati aggrediti e trattenuti per diverse ore.

I soldati e i coloni hanno minacciato di ucciderli e hanno continuato a picchiare alcuni di loro. Gli attivisti, che sono stati rilasciati dopo tre ore di prigionia, hanno raccontato che a un certo punto un giovane colono in abiti civili è stato incaricato di sorvegliarli.

La violenza dei coloni

Abu Hassan e Mohammed Khaled, 27 anni, entrambi dipendenti dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) che avevano trascorso sette settimane a Wadi al-Siq in aiuto degli abitanti, hanno riferito al giornalista di Haaretz Hagar Shezaf che erano già saliti in macchina per lasciare il villaggio quando sono arrivati i coloni e i soldati in uniforme militare, tutti armati e per la maggior parte a volto coperto”.

Secondo quando riferito da Abu Hassan e Khaled i coloni, dopo averli catturati, bloccati a terra e legate le loro mani con delle corde hanno iniziato a picchiarli con le armi, tenendo la loro testa bloccata al suolo e calpestandoli.

Sono stati mostrati alcuni coltelli, secondo i coloni e i soldati di proprietà dei palestinesi, ma che secondo questi ultimi erano stati introdotti nei loro bagagli.

I prigionieri palestinesi hanno detto ad Haaretz che durante la loro prigionia ad un certo punto è sopraggiunto del personale che ha dichiarato di far parte dello Shin Bet, lagenzia di sicurezza interna israeliana, che li ha interrogati e commesso abusi su di loro. Lo Shin Bet ha negato le accuse.

I tre palestinesi detenuti e torturati hanno riferito che era difficile distinguere i coloni dai soldati.

I prigionieri affermano che dopo una prima fase della detenzione sono stati condotti con gli occhi bendati e le mani legate con filo d’acciaio in un edificio vuoto.

“Ci hanno messo a pancia in giù e uno di loro ha portato un coltello e ci ha strappato i vestiti”, dice Abu Hassan ad Haaretz. Siamo rimasti solo in mutande”.

Hanno continuato a picchiarci, afferma Khaled. Ci hanno picchiati anche con un tubo di ferro e dei coltelli. Mi hanno colpito ovunque, sulle mani, sul petto e sulla testa. Ovunque. Ci hanno spento addosso le sigarette, hanno cercato di strapparmi le unghie”.

Abu Hassan dice che la sua faccia è stata sbattuta nella spazzatura ed escrementi che coprivano il pavimento dell’edificio. Sono stati interrogati e gli è stato chiesto ripetutamente dove intendessero “effettuare l’attacco con i coltelli” che sostenevano fossero in nostro possesso. Riferiscono di aver anche subito domande personali sulle loro famiglie.

La violenza è continuata per tutto il tempo, dice Abu Hassan ad Haaretz. Ci hanno versato addosso dellacqua, ci hanno urinato addosso. Dopodiché qualcuno con in mano un bastone ha provato a ficcarmelo nel sedere. Ho resistito con tutte le mie forze finché non ha desistito”.

Secondo i due palestinesi dopo circa sei ore sono stati portati fuori dall’edificio pieno di escrementi, a piedi nudi e in mutande. Non erano a conoscenza della presenza di un terzo palestinese, Majed, che era stato legato con una corda e a cui era stato sequestrato il telefono e che in seguito ha trascorso due notti in ospedale.

I tre palestinesi sono stati rilasciati in serata.

“Tutti gli arabi sono una merda”

Secondo il report nel frattempo cinque attivisti israeliani di sinistra sono stati trattenuti per ore dai coloni.

Quando ci hanno visto, hanno iniziato a inseguirci, ha riferito ad Haaretz uno degli attivisti. “Alcuni di loro erano in uniforme, o per metà in uniforme e per metà in abiti civili, ma i veicoli erano civili.”

Abu Hassan dice ad Haaretz che pensava di essere stato preso di mira e sottoposto ad abusi così gravi in quanto conosciuto tra i coloni come attivista che aiuta le comunità di pastori della zona.

“Hanno voluto trasmettere due messaggi: primo, che gli ebrei sono furiosi in seguito [ai fatti riguardanti, ndt.] la Striscia di Gaza, secondo, che noi arabi non dobbiamo osare a metterci contro di loro”, prosegue.

Ho detto loro che ero contro Hamas e contro la Jihad islamica palestinese ma a loro non interessava. Hanno detto che tutti gli arabi sono una merda e che dovremmo essere mandarli in Giordania. Ciò che è accaduto non ha nulla a che fare con la legge, lordine o la condotta di un Paese civile. Si tratta semplicemente di gang coordinate”.

Gli eventi si svolgono in un contesto di crescente violenza e tensione in Cisgiordania a causa della guerra israelo-palestinese in corso.

Le forze israeliane hanno imposto un rigido blocco in tutta la Cisgiordania, chiudendo le città, posizionando barriere e blocchi di cemento agli ingressi di villaggi e città e sparando sui manifestanti.

Dal 7 ottobre, dopo lo scoppio della guerra a seguito di un attacco a sorpresa condotto da Hamas contro Israele, hanno ucciso decine di civili palestinesi e ne hanno arrestato almeno 870. Allo stesso tempo, gli attacchi dei coloni sono aumentati del 40%.

Dallo scoppio della guerra nella Cisgiordania occupata sono state uccise almeno 72 persone mentre a Gaza sono morte almeno 3.785 persone e 1.400 in Israele.

Martedì scorso, due giorni prima dellattacco contro i palestinesi e gli attivisti di sinistra, il ministro israeliano di estrema destra della sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir ha annunciato che il suo ministero è in procinto di acquistare 10.000 fucili per armare le squadre di sicurezza civile anche negli insediamenti coloniali in Cisgiordania.

(Traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Cambio di passo: un funzionario del Dipartimento di Stato si dimette a causa della politica su Gaza

MICHAEL ARRIA 

19 ottobre 2023, Mondoweiss

Il funzionario del Dipartimento di Stato Josh Paul si è dimesso a causa della politica su Gaza dell’amministrazione Biden. Nella dichiarazione in cui annunciava il suo abbandono ha definito la politica americana “miope, devastante, ingiusta e contraddittoria rispetto agli stessi valori che sosteniamo pubblicamente “.

Dimissioni al Dipartimento di Stato nella crescente preoccupazione per la politica di Biden su Gaza

Il funzionario del Dipartimento di Stato Josh Paul si è dimesso dalla sua carica a causa della politica dell’amministrazione Biden su Gaza. Lavorava presso l’Ufficio di Stato per gli Affari Politico-militari.

Sono fermamente convinto che in tali conflitti, quelli in cui siamo terzi, la parte con cui schierarsi non è quella di uno dei combattenti, ma quella delle persone intrappolate nel mezzo, e quella delle generazioni ancora a venire”, ha scritto Paul in un post su Linkedin annunciando il suo abbandono. “È nostra responsabilità aiutare le parti in conflitto a costruire un mondo migliore. Mettere al centro i diritti umani, non cercare di accantonarli o eluderli attraverso programmi di crescita economica o manovre diplomatiche. E, quando accadono, essere in grado di denunciare gravi violazioni dei diritti umani, indipendentemente da chi le commette, ed essere in grado di riconoscerne gli autori responsabili quando sono avversari, il che è facile, ma soprattutto quando sono partner. “

“Non posso lavorare a sostegno di una serie di importanti decisioni politiche incluso l’invio di più armi a una parte del conflitto, decisione che ritengo miope, devastante, ingiusta e contraddittoria proprio rispetto ai valori che sosteniamo pubblicamente”, ha continuato.

Le dimissioni di Paul sono avvenute poco dopo che l’HuffPost ha pubblicato un articolo di Akbar Shahid Ahmed sui membri dello staff di Biden che si sentono messi a tacere sulle loro preoccupazioni per i palestinesi.

Sto cercando di informare le persone sulla Palestina attraverso i social media, ma ho paura di perdere il mio certificato di sicurezza [che determina l’affidabilità e l’idoneità a ricoprire una posizione sensibile, ndt.] per aver criticato il presidente o biasimato gli Stati Uniti per il massacro di civili”, ha detto al sito web un membro dello staff. “Sento che non c’è più posto per me in America, e sono sul filo del rasoio per il mio certificato [di sicurezza] a causa del mio retaggio e perché mi importa se la mia gente muore.”

Ci si sente come dopo l’11 settembre, quando ci sentivamo come se i pensieri fossero controllati e c’era davvero paura di essere visti come antiamericani o antisemiti”, ha detto un altro funzionario.

La scorsa settimana Ahmed ha riferito di una nota interna del Dipartimento di Stato che ordinava ai diplomatici di utilizzare precisamente tre frasi: “riduzione dell’escalation/cessate il fuoco”, “fine alla violenza/spargimento di sangue” e “ripristino della calma”.

Gli Stati Uniti pongono il veto alla risoluzione del Consiglio di Sicurezza su Gaza

Mercoledì gli Stati Uniti hanno posto il veto a una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sostenuta dal Brasile che chiedeva “tregue umanitarie” a Gaza per consentire l’ingresso degli aiuti.

L’ambasciatrice USA alle Nazioni Unite Linda Thomas-Greenfield ha affermato che gli Stati Uniti non possono sostenere la misura perché “non fa menzione del diritto all’autodifesa di Israele”.

“Anche se non abbiamo potuto sostenere questa risoluzione, in futuro continueremo a lavorare a stretto contatto con tutti i membri del Consiglio su questo urgente problema”, ha aggiunto. “Così come continueremo a ribadire la necessità di proteggere i civili, compresi i lavoratori dei media, gli operatori umanitari e i funzionari delle Nazioni Unite”.

L’ambasciatore brasiliano Sérgio França Danese ha espresso frustrazione per il veto. “Abbiamo accolto un appello con un senso di urgenza e responsabilità, a nostro avviso il Consiglio di Sicurezza doveva agire e operare molto rapidamente”, ha affermato. “La paralisi del Consiglio di fronte a una catastrofe umanitaria non è nell’interesse della comunità internazionale”

Attivisti ebrei protestano davanti all’ufficio di Warren

Almeno sei attivisti ebrei sono stati arrestati davanti all’ufficio di Boston della senatrice Elizabeth Warren (Massachusetts), dove più di 100 manifestanti le chiedevano di fare pressione per un cessate il fuoco a Gaza.

Il Boston Globe ha riferito che gli attivisti sono entrati nell’edificio federale John Fitzgerald Kennedy e hanno tentato di organizzare un sit-in nell’ufficio.

La senatrice Warren ha il potere di chiedere il permesso di far entrare gli oltre 100 camion di aiuti umanitari bloccati fuori Gaza”, ha detto Mira Revesz, membro di If Not Now Boston [movimento di ebrei americani che chiede la fine del sostegno statunitense al sistema di apartheid israeliano, ndt.] “Ma tutto ciò che la senatrice Warren ha fatto finora è stato chiedere a Israele di ridurre al minimo i danni ai civili. Gli ultimi quattro giorni hanno dimostrato in modo straziante che Israele non sta affatto minimizzando i danni ai civili”.

Apprezzo che delle persone siano venute nel mio ufficio a condividere le loro opinioni ed esperienze: ecco in cosa consiste la democrazia. Israele ha sia il diritto di difendersi dagli attacchi terroristici sia l’obbligo di proteggere i civili innocenti secondo le leggi internazionali di guerra”, ha affermato Warren in una dichiarazione successiva. “I civili palestinesi hanno diritto agli aiuti umanitari comprendenti cibo, acqua, alloggio e medicine. C’è urgente bisogno di corridoi sicuri a Gaza per fornire aiuti umanitari e continuerò a sottolineare l’imperativo di proteggere i civili”.

500 arresti a Washington fra gli attivisti ebrei che chiedono il cessate il fuoco

Mercoledì cinquecento ebrei americani e loro sostenitori, tra cui più di venti rabbini, sono stati arrestati all’interno del Campidoglio. I manifestanti chiedevano che i parlamentari adottassero alla Camera una risoluzione per il cessate il fuoco a Gaza.

Gli attivisti indossavano magliette con davanti la scritta “Non nel nostro nome” e “Gli ebrei dicono cessate il fuoco adesso”. Cantavano, scandivano slogan e esponevano cartelli.

Migliaia di persone hanno protestato per le strade di Washington per poi entrare nella rotonda del Cannon House Office [il più antico edificio del Congresso a Washington, ndt.]

Se non recuperiamo la nostra comune umanità non credo che ci riprenderemo mai più da tutto ciò”, ha detto alla folla la deputata Rashida Tlaib, sostenitrice della risoluzione. “E al nostro Presidente: voglio che sappia che, in quanto palestinese-americana e di fede musulmana, non dimenticherò. E penso che molte persone non dimenticheranno”.

L’ADL calunnia gli attivisti ebrei

La sezione di Washington dell’Anti-Defamation League (ADL) [associazione ebraica negli Stati Uniti dal 1913 di contrasto all’antisemitismo, ndt.] ha insultato in una dichiarazione i manifestanti del Campidoglio e ha affermato che l’antisionismo è antisemitismo. Il CEO di ADL Jonathan Greenblatt è arrivato al punto di paragonare in un tweet gli attivisti ebrei ai suprematisti bianchi.

Questa settimana, in una delle sue numerose apparizioni nei notiziari via cavo, Greenblatt ha affermato che “l’antisionismo è in realtà un preludio al genocidio”. In un’altra intervista è stato ancora più diretto: “l’antisionismo è un genocidio”, ha dichiarato.

Con i funzionari dell’ADL che compaiono sulle televisioni di tutto il mondo denunciando [come antisemite] le tante manifestazioni che chiedono la fine della violenza genocida di Israele contro i palestinesi stiamo assistendo all’esito più pericoloso della lunga storia dell’ADL di affermarsi come gruppo per i diritti civili”, scrive Emmaia Gelman sul sito.

La propria definizione dell’ADL come baluardo contro i pregiudizi è completamente smentita dalla sua difesa della politica islamofobica, dal suo lavoro per promuovere la polizia militarizzata e l’iper-sorveglianza, e dal suo ruolo chiaramente espresso a sostegno delle politiche israeliane, compreso l’apartheid. L’ADL strumentalizza grossolanamente le reali preoccupazioni del pubblico riguardo all’antisemitismo, producendo statistiche scandalosamente gonfiate che elencano centinaia di proteste contro la violenza israeliana come ‘episodi di antisemitismo’. Come risultato di questo atteggiamento ipocrita, l’ADL viene consultata come esperta su questa guerra”.

Gli attivisti hanno raccolto alcuni materiali per i genitori preoccupati del fatto che i loro figli tornino a casa dalla scuola con materiale ADL.

(Traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Quello che sappiamo finora dell’attacco mortale ad un ospedale di Gaza

Redazione di Al Jazeera

18 ottobre 2023 – Al Jazeera

Funzionari palestinesi affermano che almeno 500 persone sono state uccise in un raid aereo israeliano sull’ospedale arabo Al-Ahli a Gaza.

Almeno 500 persone sono state uccise in un attacco aereo israeliano contro l’ospedale arabo Al-Ahli nella Striscia di Gaza assediata, hanno detto funzionari palestinesi.

Il ministero della Sanità di Gaza ha affermato che l’esplosione nell’ospedale è stata causata da un raid aereo israeliano. Israele ha attribuito l’esplosione ad un lancio difettoso di un razzo da parte del gruppo armato della Jihad islamica palestinese (PIJ). La PIJ ha negato l’accusa.

Al Jazeera non è stata in grado di verificare in modo indipendente i resoconti.

Mentre la tensione continua a crescere, ecco cosa sappiamo finora dell’esplosione:

Centinaia di morti

Il ministero della Sanità di Gaza afferma che almeno 500 persone sono state uccise nell’esplosione, di gran lunga il più alto numero di vittime di qualsiasi singolo incidente avvenuto a Gaza durante l’attuale guerra tra Israele e Hamas.

Il ministero ha detto che centinaia di altre vittime sono rimaste sotto le macerie.

Hamas ha affermato che l’esplosione ha ucciso soprattutto sfollati.

Il ministro della Sanità dell’Autorità Nazionale Palestinese, Mai Alkaila, ha accusato Israele di aver compiuto “un massacro”.

Situato nel centro di Gaza l’ospedale, gestito dalla diocesi episcopale di Gerusalemme, è stato colpito mentre era ultra affollato da migliaia di palestinesi in cerca di rifugio nel mezzo di una campagna di brutali attacchi aerei israeliani su gran parte della Striscia di Gaza assediata.

Come ha reagito il mondo?

I leader mondiali hanno denunciato il bombardamento e i leader di tutto il Medio Oriente hanno rilasciato le dichiarazioni più ferme.

Inoltre proteste sono scoppiate in tutto il Medio Oriente compresa la Giordania e la Cisgiordania occupata da Israele dove le proteste palestinesi si sono scontrate con le forze di sicurezza dell’Autorità Nazionale Palestinese.

La Giordania ha annullato il vertice previsto nella capitale Amman con il presidente degli Stati Uniti Joe Biden e i leader arabi.

Il ministro degli Esteri giordano Ayman Safadi ha affermato che l’incontro si terrà in un momento in cui tutti i presenti potranno concordare di lavorare per porre fine alla “guerra e ai massacri contro i palestinesi”.

Il presidente egiziano Abdel Fattah el-Sisi, che avrebbe dovuto partecipare al vertice, ha dichiarato di condannare “nei termini più forti possibili” il bombardamento israeliano dell’ospedale di Gaza.

Anche l’Arabia Saudita ha rilasciato una ferma dichiarazione, condannando “nei termini più forti possibili l’atroce crimine commesso dalle forze di occupazione israeliane con il bombardamento dell’ospedale battista Al Ahli a Gaza”.

I leader occidentali non hanno incolpato Israele per l’attacco, il presidente francese Emmanuel Macron ha affermato in un post sui social media che “niente può giustificare un attacco contro un ospedale” e ha aggiunto che “bisogna far luce sulle circostanze”.

Biden in un comunicato ha espresso “le più sentite condoglianze per le vite innocenti perse nell’esplosione dell’ospedale di Gaza”.

Cosa dice Israele?

Le autorità israeliane hanno detto che l’ospedale è stato colpito da un razzo vagante lanciato dalla Jihad islamica palestinese che opera all’interno della Striscia di Gaza.

“Un’analisi compiuta dai sistemi operativi dell’IDF [l’esercito israeliano] indica che una raffica di razzi è stata lanciata da terroristi a Gaza, passando in prossimità dell’ospedale Al Ahli di Gaza nel momento in cui è stato colpito”, ha detto il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu in un post sui social media.

Le informazioni provenienti da molteplici fonti che in nostro possesso indicano che la Jihad islamica è responsabile del fallito lancio di un razzo che ha colpito l’ospedale di Gaza”.

Il portavoce militare israeliano, il contrammiraglio Daniel Hagari, ha detto ai giornalisti che i razzi lanciati dalla PIJ sono passati vicino all’ospedale al momento dell’attacco che, secondo lui, ha colpito il parcheggio della struttura.

Hagari ha affermato che non c’è stato alcun attacco diretto sulla struttura e che le riprese dei droni militari hanno mostrato “una sorta di impatto nel parcheggio”.

Ha detto che in effetti nel momento dell’esplosione all’ospedale i militari avevano un’operazione dell’aeronautica israeliana in corso nell’area “ma è stato impiegato un tipo diverso di munizioni che non… si adatta al filmato che abbiamo [dell’] ospedale”.

Cosa dice PIJ?

La PIJ ha respinto l’accusa israeliana secondo cui sarebbe stata responsabile dell’attacco.

In un comunicato ha affermato: “Il nemico sionista sta facendo del suo meglio per eludere le proprie responsabilità per il brutale massacro commesso con il bombardamento dell’Ospedale nazionale arabo battista di Gaza attraverso la sua consueta fabbricazione di bugie e puntando il dito contro il movimento della Jihad islamica in Palestina”.

Il comunicato prosegue: “Affermiamo quindi che le accuse avanzate dal nemico sono false e infondate”

Imran Khan, giornalista di Al Jazeera, ha notato che alcuni osservatori hanno messo in dubbio la versione israeliana degli eventi e inoltre hanno sottolineato che Israele ha una lunga storia di false attribuzioni degli atti compiuti dalle sue stesse forze a gruppi armati palestinesi.

Martedì Khan ha affermato; “Abbiamo già visto questo tipo di cose da parte degli israeliani”.

Prendiamo ad esempio l’uccisione della nostra collega Shireen Abu Akleh. All’inizio gli israeliani hanno incolpato i combattenti all’interno del campo di Jenin per la sua morte. Solo più tardi hanno ammesso che era stato uno di loro”.

(Traduzione dall’inglese di Giuseppe Ponsetti)




Striscia di Gaza: 371 massacri commessi da Israele contro famiglie palestinesi

Redazione di MEMO

17 ottobre 2023 – Middle East Monitor

Ieri l’ufficio dei media governativi a Gaza ha affermato che dall’inizio dell’aggressione contro la Striscia di Gaza il 7 ottobre l’occupazione israeliana ha commesso 371 massacri contro famiglie palestinesi, le cui case sono state bombardate mentre vi si trovavano senza un precedente avvertimento o preavviso, provocando 1981 martiri, per la maggior parte minori e donne.

Secondo l’ufficio dei media governativi, il numero dei martiri varia in ogni massacro.

Alcune di queste famiglie sono state completamente cancellate dall’anagrafe, come accaduto per le famiglie Shihab, Al-Najjar, Al-Muqaranah, Nawfal e Al-Dallu, ha aggiunto.

L’ufficio ha spiegato in un comunicato stampa che il grande numero di massacri in questo breve periodo di tempo mostra la brutalità ed il livello criminale dell’occupazione israeliana e l’intensità dei bombardamenti che hanno colpito interi quartieri residenziali. Tale numero rivela anche il fallimento della comunità internazionale, che è rimasta in silenzio di fronte a questi massacri contro civili innocenti e privi di difesa.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




I coloni approfittano della guerra di Gaza per lanciare pogrom in Cisgiordania

Yuval Abraham

13 ottobre 2023 – +972 Magazine

Coloni e soldati israeliani hanno ucciso 51 palestinesi [questo numero è in costante aumento, ndt.] in Cisgiordania la scorsa settimana, con due villaggi completamente spopolati dopo gli attacchi

Questo articolo è stato prodotto in collaborazione con Local Call e The Intercept.

Mentre il mondo si concentra sul massacro di Hamas nel sud di Israele e sul massiccio bombardamento israeliano della Striscia di Gaza, i coloni nella Cisgiordania occupata stanno approfittando del caos per attaccare ed espellere i palestinesi da una serie di piccoli villaggi.

Secondo il Ministero della Sanità palestinese a Ramallah da sabato soldati e coloni israeliani hanno ucciso 51 palestinesi in Cisgiordania. Almeno due villaggi, Al-Qanub e Wadi Al-Sik, sono stati completamente spopolati a causa delle violenze dei coloni israeliani.

Un palestinese di At-Tuwani, villaggio nella regione di Masafer Yatta sulle colline a sud di Hebron, è in condizioni critiche dopo che un colono, accompagnato da un soldato israeliano, ha invaso la comunità venerdì e gli ha sparato a bruciapelo. L’attacco è stato documentato dall’organizzazione israeliana per i diritti umani B’Tselem.

I soldati israeliani stanno istituendo nuovi posti di blocco per bloccare i movimenti degli abitanti dei villaggi palestinesi. Giovedì sera, vicino a Yabrud, a nord-est di Ramallah i soldati hanno sparato contro un veicolo che trasportava una famiglia palestinese, secondo i membri della famiglia. Randa Abdullah Abdul Aziz Ajaj, 37 anni, è stata uccisa e suo figlio, Ismail Ajaj, è stato colpito a un piede e a una spalla. A bordo del veicolo c’erano anche il marito e un altro bambino, ma non sono rimasti feriti. Un portavoce dell’esercito israeliano ha affermato che i soldati hanno aperto il fuoco perché l’auto “guidava all’impazzata” e i soldati si sentivano minacciati.

In tutta la Cisgiordania gli abitanti palestinesi stanno assistendo a una crescente presenza di coloni armati intorno ai loro villaggi, a più blocchi stradali militari e a restrizioni di movimento più severe. Un residente del villaggio di Qaryut ha riferito: “In questo momento viviamo effettivamente sotto assedio. La maggior parte dei villaggi in Cisgiordania sono chiusi da cumuli di terra ed è impossibile uscirne”. “Ci sono coloni ovunque. Ogni volta che ci avviciniamo alle case vicine a un insediamento ci sparano. Stanno approfittando della situazione della sicurezza a Gaza per vendicarsi sulla Cisgiordania. Perché nessuno ora fa attenzione alla Cisgiordania”.

Mercoledì, nel villaggio di Qusra vicino a Nablus, tre palestinesi – Moa’th Odeh, Musab Abu Rida e Obida Abu Sarur – sono stati uccisi a colpi di arma da fuoco, mentre una bambina di 6 anni è stata ferita alla parte superiore del corpo. Non è chiaro chi abbia aperto il fuoco su di loro. Secondo tre testimoni oculari e il personale medico che ha curato i feriti sul posto l’attacco è iniziato con coloni mascherati che sparavano contro le case del villaggio. Le riprese video mostrano sei uomini mascherati, armati di pistole e fucili M-16, che aprono il fuoco all’interno del villaggio. Più tardi quello stesso giorno, secondo testimoni oculari, anche un altro abitante, Hassan Abu Sarur, 13 anni, è stato ucciso a colpi di arma da fuoco quando i soldati sono entrati dopo che i coloni si erano ritirati dal villaggio.

I media palestinesi hanno riferito giovedì che i coloni hanno attaccato i funerali dei quattro residenti di Qusra che erano stati uccisi il giorno prima. Secondo il Ministero della Sanità palestinese i coloni hanno ucciso a colpi di arma da fuoco padre e figlio, Ibrahim e Ahmed Wadi.

Nei due giorni precedenti i coloni di Esh Kodesh e dell’area circostante avevano inviato messaggi di avvertimento agli abitanti di Qusra in cui minacciavano di vendicarsi in risposta all’assalto di Hamas nel sud di Israele. In una foto, inviata agli abitanti pochi giorni fa, si vede un gruppo di uomini mascherati con in mano serbatoi di carburante, una sega elettrica e asce, con una didascalia in ebraico e arabo: “A tutti i topi di fogna del villaggio Qusra, vi stiamo aspettando e non ci dispiacerà per voi. Il giorno della vendetta sta arrivando”.

Secondo un abitante di Qusra, che ha chiesto di essere identificato solo con il suo nome, Abed, “Tutto è iniziato a mezzogiorno, quando 20 uomini mascherati hanno invaso il villaggio e hanno preso a sassate le case delle famiglie che vivevano ai margini del villaggio. Provenivano dall’avamposto di Esh Kodesh. Siamo corsi lì per far uscire le famiglie dalle loro case, perché i coloni hanno cercato di dare fuoco a una delle case. Dentro c’erano una madre, un padre e una ragazza. Mentre cercavamo di far uscire di casa la bambina, hanno iniziato a spararci addosso colpendo la bambina. Hanno ucciso tre persone”.

Secondo testimoni oculari, almeno 15 palestinesi sono rimasti feriti da colpi di arma da fuoco. Il personale medico che ha curato i feriti ha affermato che le condizioni di alcuni di loro erano critiche.

Bashar al-Kariyuti, un autista di ambulanza palestinese arrivato sul posto durante l’attacco ha riferito: “Ho evacuato una ragazza a cui hanno sparato; è rimasta ferita all’interno della sua casa e stava sanguinando, anche il padre della ragazza è stato colpito in faccia. Era impossibile riconoscerlo”.

Ahmed, un terzo testimone oculare dell’incidente che ha chiesto che il suo cognome fosse omesso per motivi di sicurezza, ha raccontato che i militari sono rimasti all’interno del loro posto di osservazione mentre i coloni aprivano il fuoco contro i residenti di Qusra. Ha affermato: “Mio cugino è stato colpito alla testa, mio fratello è stato colpito proprio all’ingresso di casa sua, poi i soldati hanno preso il [videoregistratore digitale] che registrava tutto; un’ora dopo l’evento sono entrati e hanno confiscato le telecamere. Sono sicuro che lo hanno fatto per cancellare le prove”.

Gli abitanti di Qusra hanno riferito che un piccolo numero di soldati ha accompagnato i coloni durante l’attacco. Secondo loro quando gli abitanti del villaggio hanno lanciato pietre contro i coloni per respingerli i soldati hanno sostenuto i coloni con le armi da fuoco.

Commentando l’attacco un portavoce militare israeliano ha detto: “Una forza dell’esercito che operava alla periferia di Qusra ha riferito di aver sentito degli spari. Si sta indagando sulla denuncia secondo cui i palestinesi sarebbero stati colpiti da colpi di arma da fuoco”.

Secondo Yesh Din, un gruppo israeliano per i diritti umani, oltre a Qusra dall’assalto di Hamas di sabato i coloni hanno attaccato almeno 18 villaggi palestinesi in tutta la Cisgiordania. L’esercito ha annunciato che, a causa della situazione di sicurezza, la polizia distribuirà fucili M-16 ai coloni in Cisgiordania. Le organizzazioni mediatiche affiliate ai gruppi di coloni estremisti della zona hanno invitato i coloni a prepararsi a “conquistare i villaggi vicino a voi” e a “distruggere chiunque si unisca al nemico”.

Lunedì la violenza dei coloni ha portato all’espulsione di tutti gli abitanti di Al-Qanub: un piccolo villaggio a nord di Hebron che comprende otto famiglie e che si trova vicino agli insediamenti di Ma’ale Amos e Asfar. Gli abitanti del villaggio hanno detto che i coloni hanno bruciato tre case – fatte di tondini di ferro ricoperti di panno spesso – con tutti i loro averi all’interno.

“[I coloni] sono venuti da noi, mi hanno afferrato e hanno detto che avevamo un’ora per lasciare il villaggio”, ha detto Abu Jamal, un abitante di Al-Qanub. “Poi sono arrivati circa 10 coloni, hanno versato benzina e hanno dato fuoco alla mia casa. Là vivevano sette persone. Gli armadi, il cibo, tutto ha preso fuoco. Hanno anche bruciato la casa di mio figlio e hanno rubato tutte le mie pecore e i miei mezzi di sostentamento. Non torneremo lì. Ho 67 anni e i miei figli sono psicologicamente traumatizzati”.

Wa’ed, un’abitante del villaggio, ha preso i suoi figli e si è nascosta in una valle vicina. Ha riferito: “Ho dei figli, un bambino di 6 mesi, uno di 2 anni e uno di 5 anni, sono corsa a nascondermi con loro nella valle quando sono entrati i coloni. Ho sentito il rumore delle esplosioni e ho pensato che avessero ucciso mio marito. Quando se ne sono andati ho visto che avevano bruciato tutte le nostre cose”.

Le famiglie che vivono alla periferia di Turmus Ayya, vicino all’insediamento di Shiloh, hanno affermato che otto coloni armati e parzialmente vestiti con uniformi militari hanno ordinato loro di lasciare le loro case; hanno anche istituito una sorta di checkpoint che presidiano da quel momento. Abdullah, un abitante del posto, ha detto: “Il primo giorno di guerra un gruppo di coloni ha costruito una postazione a pochi metri dalle nostre case, ha chiuso la strada di accesso alle case e da allora è sempre stato lì. Siamo 25 persone, molti bambini e donne, che non possono uscire né entrare nel villaggio. Raggiungiamo le nostre case attraverso gli uliveti. Chiunque esce di casa, comprese le donne, viene fermato e perquisito”.

Martedì in una zona montuosa nel sud di Hebron i coloni hanno attaccato violentemente i residenti di due minuscoli villaggi e i coloni hanno demolito due case nel villaggio di Simri precedentemente abbandonato dai suoi abitanti a causa della violenza dei coloni.

Tre coloni sono venuti per i miei figli. Uno con un’arma dell’esercito, il secondo con una pistola, il terzo con un coltello”, ha detto un anziano residente ricoverato in ospedale con ferite alla schiena e alle gambe, che ha chiesto di rimanere anonimo per paura che i coloni si vendicassero di lui. “Mi hanno detto di stare zitto e hanno iniziato a picchiarmi con il calcio di un fucile. Mi hanno buttato a terra, hanno chiuso la porta di casa ai bambini e hanno picchiato anche mia moglie al petto. Hanno detto che ormai è una guerra e che se dico qualcosa ai media torneranno di notte e bruceranno la mia famiglia. Ho gridato loro che sono un pastore e che non sono collegato alla guerra di Gaza”.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)