Le forze israeliane aggrediscono e cacciano i fedeli palestinesi dalla moschea di Al-Aqsa

Redazione di MEMO

3 ottobre 2023 – Middle East Monitor

L’agenzia di notizie Wafa ha riferito che oggi le forze di occupazione israeliane hanno aggredito giornalisti palestinesi e obbligato i fedeli mussulmani a uscire dalla moschea di Al-Aqsa a Gerusalemme Est occupata.

Con il pretesto che disturbavano i coloni che hanno preso d’assalto la moschea di Al-Aqsa per effettuare rituali e preghiere talmudici per segnare la festa ebraica del Sukkot, i fedeli palestinesi sono stati assaliti e allontanati con la forza dai soldati dell’occupazione israeliana.

Sukkot è una festa che dura una settimana, cominciata il 29 settembre e che continua fino al 6 ottobre, chiudendo un periodo di feste ebraiche che è cominciato osservando la festa del Rosh Hashanah (Capodanno) il 15 settembre.

I palestinesi accusano lo Stato di Israele di lavorare sistematicamente per giudaizzare Gerusalemme Est, dove si trova Al-Aqsa, e per cancellare la sua identità araba e islamica.

Gli attacchi contro i palestinesi presso il complesso della moschea di Al-Aqsa sono avvenuti dopo una dichiarazione rilasciata dal dipartimento Islamic Wafq (fondazione religiosa) in cui si afferma che le forze israeliane hanno chiuso la porta Al-Mughrabi, a sud-ovest della moschea di Al-Aqsa, “dopo che avevano consentito a 602 estremisti ebrei” [di entrare] nel sito.

Le forze israeliane hanno cominciato a permettere ai coloni di penetrare nel complesso della moschea di Al-Aqsa nel 2003, nonostante ripetute condanne da parte dei palestinesi.

La moschea di Al-Aqsa è il terzo sito più sacro al mondo per i mussulmani. Gli ebrei chiamano l’area il “Monte del Tempio”, sostenendo che nell’antichitò fu il luogo in cui sorgevano due templi ebraici.

Israele ha occupato Gerusalemme Est, dove si trova Al-Aqsa, durante la guerra arabo-israeliana del 1967. Ha annesso l’intera città nel 1980, un passo mai riconosciuto dalla comunità internazionale.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Le forze israeliane aprono il fuoco in una scuola in Cisgiordania durante un raid

Redazione MEE

2 ottobre 2023 – Middle East Eye

Il Ministero dell’Istruzione ha sospeso le lezioni nel villaggio di Burqa dopo che un bambino è stato ferito dalle forze israeliane che avevano fatto irruzione nella scuola

Lunedì nel villaggio di Burqa, a nord-ovest della città occupata di Nablus, in Cisgiordania, sono state sospese le lezioni dopo che il giorno prima le forze israeliane avevano aperto il fuoco nella scuola.

I militari israeliani hanno fatto irruzione nella scuola sparando proiettili veri e gas lacrimogeni e hanno lasciato un bambino ferito e altre decine con intossicazione da inalazione di fumo.

Il governatore ad interim di Nablus, Ghassan Daghlas, ha affermato che la decisione di chiudere la scuola è stata presa per preservare la sicurezza degli studenti alla luce dell’aggressione israeliana.

Secondo i media locali a Masafer Yatta, situata a sud della città di Hebron in Cisgiordania, le forze israeliane hanno anche impedito agli insegnanti di accedere a 27 scuole.

Le forze israeliane hanno posizionato barriere e grandi cubi di cemento per bloccare le strade onde impedire l’accesso alle scuole e interdire l’uscita delle persone dall’area.

Secondo quanto riportato sui media locali i raid e l’iniziativa di bloccare l’accesso alle scuole facevano parte della ricerca da parte delle forze israeliane dell’autore di un attacco a fuoco che ha danneggiato le case dei coloni a Hebron.

Raid nella Città Vecchia

Il raid nella scuola e il blocco delle strade sono avvenuti lo stesso giorno in cui le forze israeliane hanno fatto irruzione in alcune parti della Città Vecchia di Gerusalemme.

I video online mostrano soldati armati fino a i denti picchiare e attaccare donne palestinesi anziane mentre camminano per la Città Vecchia.

Gli attacchi coincidono con la festa ebraica di Sukkot, durante la quale vengono rafforzate le misure di sicurezza per dare via libera ai fedeli ebrei per compiere i loro riti religiosi nella Città Vecchia.

Domenica e lunedì centinaia di coloni israeliani hanno preso d’assalto anche i cortili della moschea di al-Aqsa.

Le forze israeliane hanno imposto restrizioni all’ingresso dei fedeli nella moschea e hanno aggredito i palestinesi che cercavano di entrare nel sito.

(Traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




La Chiesa anglicana del Sud Africa solidarizza con la Palestina e dichiara Israele Stato di apartheid

Redazione

02 ottobre 2023-The New Arab

La Chiesa anglicana in Sud Africa ha dichiarato Israele uno “Stato di apartheid”, a seguito di una campagna condotta da attivisti palestinesi.

Mercoledì il Comitato permanente provinciale della Chiesa cristiana ha approvato una risoluzione che definisce Israele come uno Stato di apartheid e rivede [le modalità dei] pellegrinaggi in Terra Santa.

Amnesty International, insieme ad altre ONG, definisce le condizioni in cui vivono i palestinesi sotto l’occupazione israeliana come “apartheid”, riferendosi al sistema oppressivo di segregazione razziale in Sud Africa in vigore fino al 1994.

“Come persone di fede che sono angosciate dal dolore dell’occupazione della Cisgiordania e di Gaza – e che desiderano la sicurezza e una pace giusta sia per la Palestina che per Israele – non possiamo più ignorare la realtà sul terreno”, ha affermato sul suo blog il capo della Chiesa anglicana sudafricana, l’arcivescovo Thabo Makgoba.

“Quando i neri sudafricani che hanno vissuto sotto l’apartheid visitano Israele i parallelismi con l’apartheid sono impossibili da ignorare. Se restiamo a guardare e restiamo in silenzio saremo complici della continua oppressione dei palestinesi”.

L’arcivescovo ha chiesto la pace per palestinesi e israeliani, ma ha condannato le politiche oppressive dei successivi governi israeliani e ha affermato che stanno “divenendo sempre più estreme”.

In un messaggio audio ha detto: “Per i cristiani, la Terra Santa è il luogo dove Gesù è nato, è stato allevato, cresciuto e crocifisso. I nostri cuori soffrono per i nostri fratelli e sorelle cristiani in Palestina, il cui numero include anglicani ma sta rapidamente diminuendo”.

“Le persone di tutte le fedi in Sud Africa hanno sia una profonda comprensione di cosa significhi vivere sotto l’oppressione, sia l’esperienza di come affrontare e vincere un governo ingiusto con mezzi pacifici”.

La risoluzione della Chiesa sudafricana chiede anche di stabilire rapporti con i cristiani palestinesi, compresi incontri con la comunità laica e il clero durante i pellegrinaggi, e che si attiri l’attenzione sulla persecuzione dei palestinesi.

La risoluzione dichiara: “Le visite ai cristiani di Palestina per ascoltare le loro storie spesso non rientrano nel programma di questi pellegrinaggi e, inoltre, la parola ‘Palestina’ non è mai o quasi mai usata nel materiale pubblicitario o nella preparazione del pellegrinaggio”.

“L’occupazione militare della Palestina non è quasi mai menzionata o discussa in questi pellegrinaggi e le somiglianze con l’apartheid in Sud Africa [sono] raramente discusse.”

Da tempo i leader neri sudafricani e gli attivisti del movimento per i diritti civili del Sudafrica tracciano parallelismi tra le loro esperienze durante l’apartheid e le condizioni dei palestinesi oggi.

Dopo essere diventato presidente del Sudafrica post-apartheid Nelson Mandela disse: “Sappiamo fin troppo bene che la nostra libertà è incompleta senza la libertà dei palestinesi”.

Anche l’ex leader della Chiesa anglicana sudafricana, l’’arcivescovo emerito Desmond Tutu, ha ripetutamente utilizzato la sua piattaforma mediatica per difendere i diritti dei palestinesi prima della sua morte nel 2021.

Ha detto che per molti versi le condizioni dei palestinesi che vivono sotto l’’occupazione israeliana sono peggiori di quelle sopportate dai neri sudafricani durante l’’apartheid.

“Sono stato testimone dell’umiliazione sistematica di uomini, donne e bambini palestinesi da parte di membri delle forze di sicurezza israeliane”, ha detto ai media sudafricani nel 2014.

“La loro umiliazione è familiare a tutti i neri sudafricani che sono stati rinchiusi, molestati, insultati e aggrediti dalle forze di sicurezza del governo dell’apartheid”.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Rapporto: un sistema spionistico israeliano dietro al nuovo scandalo che ha preso di mira giornalisti russi

Redazione di Palestine Chronicle (PC, RT)

26 settembre 2023 – Palestine Chronicle

Il telefono del fondatore del sito di notizie lettone Meduza è stato hackerato prima di un incontro a Berlino tra giornalisti russi dell’opposizione.

Lunedì Galina Timchenko, una giornalista russa dell’opposizione che vive in Lettonia, ha raccontato a The Guardian che uno Stato europeo sconosciuto ha usato un programma di spionaggio israeliano per hackerare il suo telefonino.

Le autorità lettoni hanno negato qualsiasi ruolo nell’hackeraggio.

Timchenko, che ha fondato il sito di notizie Meduza contro il Cremlino, ha detto al giornale inglese The Guardian che all’inizio dell’anno ha ricevuto un messaggio da Apple che la informava che il suo telefono era stato hackerato prima di un incontro a Berlino tra giornalisti di opposizione russi.

Secondo il giornale, almeno quattro altri giornalisti russi – tre dei quali usavano SIM lettoni nei loro telefoni – sono stati colpiti allo stesso modo.

Timchenko ha affermato che inizialmente ha sospettato che ci fosse il Cremlino dietro all’hackeraggio, ma un’analisi della università di Toronto e di Access Now [associazione creata per difendere in diritti civili digitali, ndt.] hanno scoperto che probabilmente il responsabile è stato l’ente di uno Stato europeo che ha usato Pegasus, un programma di spionaggio sviluppato dall’israeliano NSO Group.

La Russia non usa Pegasus, mentre agenzie in molti Stati europei lo fanno – incluse Germania, Lettonia ed Estonia.

Pegasus può essere installato sul telefono della persona presa di mira indipendentemente dal fatto che l’utente clicchi o meno su un falso link. Una volta installato, Pegasus dà all’hacker la possibilità di leggere messaggi, guardare le foto, tracciare l’ubicazione della persona e anche accendere la videocamera e il microfono senza che il proprietario del telefono se ne accorga.

Secondo una lista di clienti di NSO che è trapelata nel 2021, più di 50.000 politici, giornalisti, attivisti ed esponenti del mondo degli affari sono stati spiati usando il programma di spionaggio.

È probabile che l’hackeraggio sia stato effettuato da qualche servizio di sicurezza europeo. Noi non sappiamo se sia stata la Lettonia o qualche altra Nazione, ma siamo più presenti in Lettonia” ha affermato Ivan Kolpakov, caporedattore di Meduza.

L’ambasciata lettone a Washington ha affermato che “non è a conoscenza di nessuna misura di sorveglianza elettronica presa contro la sig.ra Timchenko,” mentre in Germania, dove è avvenuta la compromissione, la polizia federale si è rifiutata di commentare.

Timchenko e Kolpakov hanno detto a The Guardian di avere ragioni per sospettare il coinvolgimento di Riga, indicando una disputa lo scorso anno tra lo Stato lettone e TV Dozhd [televisione indipendente russa, ndt.], un altro mezzo di comunicazione dell’opposizione russa.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Cosa hanno detto sulla Palestina i leader del mondo durante il dibattito all’assemblea generale dell’ONU?

Redazione di Palestine Chronicle

26 settembre 2023 – Palestine Chronicle

Nonostante i tentativi di USA e Israele di distrarre l’attenzione dall’occupazione israeliana della Palestina molti leader mondiali la pensano diversamente. Qui di seguito un estratto delle loro opinioni…

La discussione plenaria dell’assemblea generale delle Nazioni Unite è iniziata martedì 19 settembre ed è durata fino a martedì 26 settembre.

La Palestina e i diritti dei palestinesi sono stati citati, a volte diffusamente, da importanti leader mondiali, dalla Cina alla Russia, all’Arabia Saudita e al Sudafrica.

Ecco qui di seguito una selezione di alcune delle affermazioni di leader mondiali o alti rappresentanti dei rispettivi governi.

Cina: appoggio alla richiesta palestinese di giustizia

Han Zheng, vice presidente della Repubblica Popolare Cinese:

La questione palestinese è al centro della questione mediorientale. La soluzione fondamentale si trova nella soluzione a due Stati.

La Cina continuerà a sostenere il popolo palestinese nel perseguimento della giusta causa per recuperare i suoi legittimi diritti.

Dobbiamo rispettare la sovranità e l’integrità territoriale di ogni Paese e osservare gli intenti e i principi della Statuto dell’ONU. La Cina si oppone all’egemonismo.”

Russia: la Palestina sta aspettando

Sergei Lavrov, ministro degli Esteri della Russia: 

La piena normalizzazione della situazione in Medio Oriente è impossibile senza la soluzione del problema principale – la soluzione del prolungato conflitto israelo-palestinese sulla base delle risoluzioni dell’ONU e dell’Iniziativa di Pace Araba.

I palestinesi stanno aspettando da più di 70 anni la solenne promessa di uno Stato, ma gli americani, che hanno monopolizzato il processo di mediazione, stanno facendo tutto quello che possono per impedirlo. Invitiamo ogni Nazione responsabile a unire le forze e a preparare il terreno per negoziati diretti tra la Palestina e Israele.

È incoraggiante che la Lega Araba sia in fase di ripresa del suo ruolo nelle questioni regionali.”

Arabia Saudita: la stabilità risiede nella giustizia

Faisal bin Farhan, ministro degli Esteri dell’Arabia Saudita

La stabilità della regione risiede nella soluzione giusta e complessiva della causa palestinese e nella fondazione di uno Stato palestinese sulla base dei confini del 1967 con Gerusalemme est come capitale.” L’Arabia Saudita “respinge e condanna ogni passo unilaterale che costituisca una flagrante violazione delle leggi internazionali, che contribuisca al fallimento dei tentativi regionali e internazionali di pace e che ostacoli il cammino di una soluzione diplomatica.”

Sud Africa: Negazione della dignità

Cyril Ramaphosa, presidente del Sud Africa

Dobbiamo lavorare per la pace in Medio Oriente. Finché la terra palestinese rimarrà occupata, finché i loro diritti verranno ignorati e la loro dignità negata, tale pace rimarrà irraggiungibile.

Le azioni del governo di Israele hanno messo a rischio la possibilità di una soluzione a due Stati praticabile.

In questa situazione devono essere applicati i principi dello Statuto dell’ONU sull’integrità territoriale e sul divieto di annessione di terre attraverso l’uso della forza.”

Cile: non rimanere in silenzio

Gabriel Boric, presidente del Cile:

Il mondo non deve “rimanere in silenzio quando vediamo l’occupazione illegale della Palestina e l’impossibilità della Palestina di diventare uno Stato. Dobbiamo riconoscere i suoi diritti in base alle leggi internazionali.” Gli Stati membri devono appoggiare la “formazione di uno Stato palestinese indipendente.”

Colombia: Doppio standard

Presidente della Colombia Gustavo Petro:

La guerra in Ucraina gode del favore dei poteri mondiali, mentre il loro approccio alla Palestina è diverso.

Le Nazioni Unite dovrebbero tenere al più presto due conferenze di pace, una sull’Ucraina e l’altra sulla Palestina.

Ciò aprirebbe la strada per contribuire a portare la pace in ogni regione del pianeta, perché solo entrambe porrebbero fine all’ipocrisia come pratica politica.”

Brasile: Garanzie per la Palestina

È inquietante vedere che antichi conflitti non sono ancora stati risolti e che la loro minaccia è poco alla volta in aumento.

Ciò è chiaramente dimostrato dalla difficoltà di garantire la formazione di uno Stato per il popolo palestinese.”

Cuba: Solidarietà con la Palestina

Miguel Díaz-Canel Bermudez, presidente di Cuba:

Rinnoviamo la nostra solidarietà alla causa del popolo palestinese.”

Bolivia: autodeterminazione

Luis Alberto Arce Catacora, presidente della Bolivia:

Ha invitato la comunità internazionale a porre fine all’occupazione israeliana in Palestina e a consentire al suo popolo di esercitare i suoi diritti all’autodeterminazione in uno Stato libero, indipendente e sovrano con Gerusalemme occupata come sua capitale.

Le crisi attuali richiedono Nazioni Unite forti, coerenti con i principi che le hanno create, impegnate per la pace, che conservino il loro carattere intergovernativo e non siano subordinate ad alcun potere egemonico.”

Turchia: pace permanente

Recep Tayyip Erdogan, president della Turchia:

Una pace permanente in Medio Oriente è possibile solo attraverso una soluzione duratura del conflitto israelo-palestinese.

Continueremo ad appoggiare il popolo e lo Stato palestinesi nella lotta per i loro legittimi diritti sulla base delle leggi internazionali. Va ribadito nuovamente che senza la creazione di uno Stato indipendente e contiguo [a Israele] sulla base dei confini del 1967, è difficile anche per Israele trovare la pace e la sicurezza che desidera.

In questo contesto perseguiremo ogni tentativo in modo che venga rispettato lo status storico di al-Quds [Gerusalemme in arabo, ndt.] e soprattutto della Spianata delle Moschee.”

Giordania: il futuro della Palestina

Abdullah II, re di Giordania:

Nessuna costruzione della sicurezza e dello sviluppo regionali può fondarsi sulle ceneri fumanti di questo conflitto.

Senza chiarezza rispetto a quale sia il futuro dei palestinesi sarà impossibile accordarsi su una soluzione politica di questo conflitto.

Cinque milioni di palestinesi vivono sotto occupazione, senza diritti civili, senza libertà di movimento, per non parlare delle loro vite.

L’esigenza fondamentale per questo diritto è la fondazione di un loro Stato indipendente e sostenibile, sui confini del 4 giugno 1967 [cioè prima della guerra dei Sei Giorni, ndt.], con Gerusalemme est come capitale, che viva al fianco di Israele in pace, sicurezza e prosperità.”

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Attivisti di sinistra e palestinesi arrestati dopo lo scontro con coloni della Cisgiordania

Hagar Shezaf

26 settembre 2023 – Haaretz

Secondo la polizia lo scontro è iniziato quando gli attivisti sono arrivati nel villaggio palestinese di Khirbet Karameh, che si trova vicino a una colonia. L’incidente segue un periodo di rapida escalation di violenza sia in Cisgiordania che nella Striscia di Gaza.

Sei palestinesi e tre attivisti israeliani di sinistra sono stati arrestati martedì dopo essersi scontrati con i coloni nell’insediamento di Otniel, in Cisgiordania, sulle colline a sud di Hebron.

Secondo una dichiarazione rilasciata dalla polizia lo scontro è iniziato quando gli attivisti israeliani e palestinesi sono arrivati al villaggio palestinese di Khirbet Karameh che si trova in prossimità della colonia.

Le forze di polizia arrivate sul posto hanno arrestato tre attivisti israeliani di sinistra per interrogarli con l’accusa di aggressione e danneggiamento. Sono stati rilasciati nonostante la polizia avesse chiesto di prolungare la loro detenzione.

La polizia ha anche arrestato sei palestinesi sospettati di aggressione, danneggiamento e violazione di domicilio. Nella tarda giornata di martedì è fissata l’udienza davanti ad un tribunale per discutere la proroga della loro detenzione.

Lo scontro a Otniel segue un periodo di rapida escalation di violenza sia in Cisgiordania che nella Striscia di Gaza. Sabato un attacco di droni dell’esercito israeliano ha colpito una posizione di Hamas nel nord della Striscia di Gaza.

L’esercito israeliano ha affermato che l’attacco è stato condotto in risposta al fuoco di un militante che aveva sparato contro le truppe israeliane nella zona durante una manifestazione. Secondo l’esercito un miliziano di Hamas è stato colpito dal fuoco israeliano.

Domenica le organizzazioni palestinesi Hamas, Jihad islamica e il Fronte popolare per la Liberazione della Palestina hanno annunciato di aver concordato di continuare ad aumentare la tensione sulla sicurezza e le azioni violente contro Israele.

In una dichiarazione congiunta le fazioni hanno affermato di aver concordato di aumentare il coordinamento tra loro per “affrontare l’aggressione di Israele”. La decisione è stata presa nel corso di un incontro a Beirut a cui hanno partecipato alti funzionari dei gruppi militanti.

La settimana scorsa attivisti dell’organizzazione israeliana di estrema destra Im Tirtzu hanno importunato una delegazione di diplomatici stranieri in visita alle comunità palestinesi vicino a Ramallah in Cisgiordania guidata dal gruppo israeliano per i diritti umani B’Tselem.

Gli attivisti di estrema destra hanno molestato i diplomatici e hanno seguito il gruppo nella sua visita in un villaggio palestinese nell’’area B della Cisgiordania – un territorio sotto il controllo civile palestinese ma sotto controllo di sicurezza congiunto con Israele. Gli attivisti sono stati successivamente arrestati dalle forze di sicurezza dell’Autorità Nazionale Palestinese e trasferiti in Israele.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Grave attacco a Jenin, molte vittime e feriti

Palestine Chronicle Staff

19 settembre 2023 Palestine Chronicle

Con una drammatica escalation l’esercito israeliano ha attaccato il campo profughi di Jenin nel nord della Cisgiordania, mentre cecchini israeliani hanno aperto il fuoco contro dimostranti palestinesi a Gaza. Queste le ultime notizie.

Nella serata di martedì tre palestinesi sono stati uccisi e più di altri 30 feriti in seguito ad un attacco militare israeliano contro il campo profughi di Jenin nel nord della Cisgiordania.

Risulta che alcuni dei feriti versino in gravi condizioni.

Intanto un quarto palestinese è stato ucciso dalle forze israeliane vicino alla barriera di separazione nella Striscia di Gaza.

Raid mortale su Jenin

Il sanguinoso attacco su Jenin è iniziato quando un gran numero di forze di occupazione israeliane hanno circondato una casa sparandole contro dei razzi.

Quando la casa è stata data alle fiamme si sono verificati duri scontri in tutto il campo, poiché i militanti di tutti i gruppi della resistenza cercavano di allentare l’assedio imposto alle famiglie palestinesi intrappolate nel quartiere preso di mira.

Il quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth ha descritto l’assalto a Jenin come un “raid su larga scala dell’esercito israeliano”.

Un aereo militare israeliano sorvolava Jenin ed è stata interrotta l’elettricità in tutto il campo.

Testimoni oculari palestinesi hanno detto che un drone israeliano radiocomandato è esploso verso uno specifico obbiettivo nel campo. Resta poco chiaro quale obbiettivo Israele stesse cercando di eliminare.

Fonti locali palestinesi hanno riferito che i militanti della resistenza hanno scoperto l’unità militare speciale israeliana mentre tentava di infiltrarsi nel campo e hanno aperto immediatamente gli scontri, costringendo Israele a inviare rinforzi.

La rete informatica di Al Jazeera, citando fonti palestinesi, ha detto che la casa presa di mira all’interno del campo è quella di Ahmad Jaddoun, un prigioniero palestinese ferito che si trova attualmente in detenzione nelle carceri dell’Autorità Nazionale Palestinese.

In una dichiarazione le Brigate Al Qassam, l’ala armata del movimento Hamas, hanno affermato che i loro miliziani si stanno attualmente scontrando con un’unità militare israeliana all’interno del campo.

I nostri miliziani (…) hanno fatto esplodere con successo parecchi veicoli appartenenti all’esercito occupante, usando esplosivi contro le fiancate. Le esplosioni hanno direttamente provocato vittime e danni significativi. I nostri miliziani continuano a scontrarsi con l’esercito di occupazione su molteplici fronti per impedire che avanzi dentro il campo”, si legge nella dichiarazione.

Fonti palestinesi hanno altresì detto che il black out nel campo è stato causato dal fuoco dell’esercito israeliano contro la rete elettrica a Jenin.

L’ultimo raid contro Jenin ha fatto seguito a una massiccia invasione del campo il 3 luglio, che ha provocato l’uccisione di 12 palestinesi e il ferimento di più di 120.

Obbiettivo Gaza

Nella Gaza sotto assedio il 25enne palestinese Youssef Salem Radwan è stato ucciso e altri 11 palestinesi sono stati feriti quando l’esercito israeliano ha attaccato manifestanti palestinesi vicino alla barriera di separazione tra Gaza e Israele.

La risposta israeliana più violenta alle proteste palestinesi ha avuto luogo alla barriera est della città di Khan Yunis, nel sud della Striscia di Gaza.

Il corrispondente di Palestine Chronicle a Gaza ha detto che negli ultimi tre giorni i manifestanti palestinesi si erano radunati vicino alla barriera per protestare contro le reiterate incursioni alla moschea di Al-Aqsa da parte di coloni ebrei israeliani illegali.

Giovedì scorso cinque palestinesi sono stati uccisi ed altri feriti. Alcuni di loro sono stati uccisi da un ordigno esploso vicino alla barriera. Altri sono stati colpiti e feriti da spari israeliani. 

Gaza si trova sotto stretto assedio israeliano dal 2007 e la grande maggioranza della popolazione non può lasciarla o rientrarvi.

Durante tale periodo diverse importanti guerre israeliane sono state scatenate contro la Striscia assediata, provocando la morte e il ferimento di migliaia di palestinesi, soprattutto civili.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




A scuola a stomaco vuoto

Ruwaida Amer

18 settembre 2023 – Electronic Intifada

Khitam Salim non riesce a preparare il pranzo che i suoi figli dovrebbero portare a scuola.

Da quando il marito è morto di leucemia quattro anni fa è una mamma single con tre bambini che frequentano la scuola elementare a Rafah, la città più meridionale di Gaza. La scuola, gestita dall’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati Palestinesi (UNRWA), non riesce a fornire i pasti ai suoi studenti, che quindi devono portarsi dei panini da casa o comprare da mangiare alla mensa.

Per il pranzo dovrebbero spendere quasi un euro al giorno, una somma che la loro mamma non può permettersi.

Nessuno mi aiuta,” dice Salim, che è disoccupata e dipende dall’assistenza sociale. “Le condizioni in cui ci troviamo sono molto difficili. I bambini vedono i loro compagni comprare da mangiare durante l’intervallo e non farlo ha un effetto psicologicamente negativo su di loro.”

Faris Qishta ha cinque figli, tutti frequentano le scuole dell’UNRWA.

Avrebbe bisogno di soldi per comprare le uniformi e il cibo e dice che non riesce a farlo.

Se non fosse per i pacchi di aiuti alimentari che riceve, dice che “la mia famiglia sarebbe morta di fame”. Tuttavia gli aiuti non comprendono i pasti scolastici.

Qishta, che faceva il taxista, ora è disoccupato.

Sono sempre alla ricerca di lavoro anche per pochi shekel per soddisfare le necessità di base dei miei bambini,” aggiunge. “Ma non riesco a trovare niente. I miei figli sono pieni di sogni e quando me li raccontano mi intristisco. Non so se il loro sarà un futuro migliore o se continuerà come ora.”

A Gaza l’UNRWA gestisce una rete di 288 scuole, con circa 300.000 studenti.

Niente colazione

Migliaia di questi bambini vanno a scuola senza colazione e senza soldi per comprarsi da mangiare durante la giornata. Dato che non hanno una dieta appropriata, molti non riescono a concentrarsi adeguatamente durante le lezioni.

L’UNRWA gestiva un programma di pasti gratis nelle sue scuole, ma per limiti di bilancio, il programma generale per le scuole è stato interrotto nel 2014 e ora li offre solo in casi particolari.

Da allora è stata costretta a fare dei tagli di spesa a causa di una grave crisi dei finanziamenti.

Sebbene sia cominciata prima, la crisi si è acutizzata con la presidenza USA di Donald Trump che, per ingraziarsi una lobby filoisraeliana estremista, introdusse tagli drastici agli aiuti all’UNRWA.

Gli USA hanno adottato una posizione più favorevole nei confronti dell’agenzia da quando è arrivato alla Casa Bianca Joe Biden, il suo successore.

Ciononostante i contributi USA sono diminuiti se li si considera su un periodo più lungo: nel 2022 ammontavano a $344 milioni, meno dei $365 che dava annualmente prima dei tagli di Trump nel 2018.

Difficoltà di finanziamento

In tale contesto le difficoltà finanziarie dell’UNRWA restano gravissime.

L’agenzia offre servizi sanitari ed educativi a un totale di circa 6 milioni di rifugiati palestinesi nella Cisgiordania occupata e a Gaza, in Giordania, Siria e Libano.

Facendo affidamento su donatori internazionali l’UNRWA quest’anno avrebbe avuto bisogno di un finanziamento di $1,75 miliardi, di cui ad agosto era stato raccolto solo il 44%.

Philippe Lazzarini, commissario generale dell’UNRWA, all’inizio di questo mese ha dichiarato che l’agenzia ha bisogno di $170-190 milioni “per fornire i servizi essenziali fino alla fine dell’anno.” Altri $75 milioni sono necessari “per continuare a fornire gli aiuti alimentari salvavita a oltre metà della popolazione di Gaza.”

Secondo gli ultimi dati disponibili, Gaza, sottoposta dal 2007 a un blocco israeliano totale ha un tasso di disoccupazione del 46%.

Said Khalid, 10 anni, frequenta la quinta elementare in una scuola dell’UNRWA nel campo profughi Beach a Gaza City.

La sua famiglia non è riuscita a comprargli l’uniforme nuova e il materiale necessario per la scuola alla riapertura dopo le vacanze estive, e inoltre non ha i soldi perché si compri da mangiare alla mensa.

So che mio papà non è avaro,” dice Said. “Se avesse i soldi me ne darebbe un po’ così potrei comprare le cose come fanno i miei compagni di classe, ma lui non ha un lavoro.”

Iyad Zaqout dirige un dipartimento di salute mentale dell’UNRWA.

Ha notato una crescente riluttanza dei bambini a parlare dell’impatto della povertà con i loro counselor. “Alcuni provano un senso di vergogna a rivelare le durissime condizioni in cui vivono le loro famiglie,” dice.

Sarah Jaber, 9 anni, fa la quarta elementare nel campo profughi di Jabalia. Il padre è un falegname, ma è disoccupato da anni.

Chiedo sempre alla maestra se posso stare in classe durante gli intervalli,” dice. “Non voglio vedere gli altri mentre comprano alla mensa, mi fa sentire triste.”

Ruwaida Amer è una giornalista che si trova a Gaza.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Banca Mondiale: le restrizioni israeliane ostacolano l’accesso dei palestinesi all’assistenza sanitaria.

Redazione di The New Arab

18 settembre 2023- The New Arab

La Banca Mondiale ha affermato che le restrizioni israeliane e il peggioramento delle condizioni economiche nei territori palestinesi stanno ostacolando l’accesso dei palestinesi all’assistenza sanitaria.

Le restrizioni israeliane e i crescenti vincoli fiscali nei territori palestinesi stanno incidendo gravemente sulle condizioni economiche dei palestinesi e ostacolano il loro accesso a un’assistenza sanitaria salvavita tempestiva, ha affermato lunedì la Banca Mondiale.

In un rapporto intitolato “Racing Against Time” [corsa contro il tempo], la Banca Mondiale ha affermato che nel complesso l’economia palestinese sta sviluppandosi al di sotto del suo potenziale, con un reddito pro capite destinato a ristagnare.

La povertà nei territori palestinesi è in aumento, con un palestinese su quattro che vive al di sotto della soglia di povertà, ha affermato l’istituto di credito globale con sede a Washington.

Le restrizioni israeliane alla circolazione e al commercio nella Cisgiordania occupata, il blocco imposto alla Striscia di Gaza e la divisione tra i due territori palestinesi sono tra i diversi fattori che hanno messo ad alto rischio l’economia palestinese, afferma il rapporto.

In una dichiarazione rilasciata assieme al rapporto Stefan Emblad, direttore della Banca Mondiale per la Cisgiordania e Gaza, ha affermato: “I vincoli fiscali gravano pesantemente sul sistema sanitario palestinese e in particolare sulla sua capacità di far fronte al crescente peso delle malattie non infettive”.

Le restrizioni, comprese “le lungaggini del regime burocratico dei permessi”, spesso rendono difficile fornire una assistenza sanitaria salvavita tempestiva ai palestinesi, ha affermato.

L’accesso a cure mediche esterne per il trattamento di tumori, malattie cardiache e per le complicazioni della gravidanza e del parto è significativamente compromesso a causa di vincoli fisici e amministrativi, afferma la nota.

Si sostiene: “La situazione è particolarmente critica a Gaza, che soffre di una più limitata capacità del sistema sanitario e dove i pazienti faticano a ottenere tempestivamente i permessi di uscita richiesti per urgenti motivi medici”.

“I dati della ricerca mostrano che il quasi blocco di Gaza ha avuto un impatto sulla mortalità, dato che alcuni pazienti non sopravvivono alla durata del processo di autorizzazione”.

Israele occupa la Cisgiordania – che oggi ospita circa tre milioni di palestinesi – dalla Guerra dei Sei Giorni del 1967, quando conquistò anche la Striscia di Gaza, l’enclave costiera densamente popolata da cui si è poi ritirato.

L’anno scorso, secondo il COGAT, l’organismo del ministero della Difesa israeliano che sovrintende agli affari civili nei territori palestinesi, Israele ha rilasciato permessi di ingresso per oltre 110.000 visite mediche per i residenti in Cisgiordania.

Nello stesso periodo sono stati rilasciati più di 17.000 permessi di questo tipo ai palestinesi di Gaza, dove vivono 2,3 milioni di persone.

Un blocco imposto da Israele da quando il movimento islamista Hamas è salito al potere nel 2007 ha anche ostacolato le forniture mediche all’enclave.

La Banca Mondiale ha esortato Israele e le autorità palestinesi a gestire meglio questi casi medici e ad agevolare il processo di autorizzazione nel tentativo di fornire assistenza sanitaria tempestiva ai pazienti e ai loro accompagnatori.

Nel complesso, l’economia palestinese è rimasta stagnante negli ultimi cinque anni, ha detto Emblad, aggiungendo che non si prevede un miglioramento a meno che non cambino le politiche sul campo.

“Date le tendenze di crescita della popolazione si prevede che il reddito pro capite ristagnerà”, ha affermato la Banca Mondiale.

(traduzione dall’inglese di Giuseppe Ponsetti)




Un fotoreporter ferito dal fuoco israeliano è stato sottoposto a un’operazione chirurgica in Turchia

Redazione di MEMO

19 settembre 2023 – Middle East Monitor

L’agenzia Anadolu riferisce che un fotoreporter palestinese che ha subito una grave ferita alla mano mentre stava coprendo una protesta a Gaza ha subito un intervento chirurgico in Turchia.

Ashraf Amra, un freelance per Anadolu, l’agenzia di notizie ufficiale turca, è arrivato dal Cairo ad Istanbul lunedì su un volo della Turkish Airlines.

Venerdì stava coprendo una dimostrazione di protesta di palestinesi vicino alla barriera [di separazione tra Gaza e Israele, ndt.] nella regione di Khan Yunis a Gaza quando i soldati [israeliani, ndt.] hanno aperto il fuoco per disperdere la folla.

Dodici palestinesi sono stati feriti dall’esercito israeliano con l’uso di pallottole vere, proiettili ricoperti di gomma e candelotti lacrimogeni.

Amra è stato sottoposto ad un intervento chirurgico di due ore presso l’ospedale Basaksehir Cam e Sakura ad Istanbul.

Il dottor Okyar Altas, lo specialista della chirurgia della mano che ha effettuato l’operazione, ha affermato che essa ha avuto successo.

Da parte sua Amra ha ringraziato il presidente turco Recep Tayyip Erdogan e Anadolu per averlo accolto ad Istanbul.

Spero che le mie dita guariranno e che non ci sarà bisogno di amputarle.”

Egli ha aggiunto che i soldati che hanno visto che aveva in mano una macchina fotografica gli hanno deliberatamente sparato contro.

Anche il vicedirettore generale e caporedattore di Anadolu Yusuf Ozhan ha fatto visita ad Amra in ospedale, dove i dottori lo hanno ragguagliato sullo stato di salute del fotoreporter.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)