In attacchi separati alcuni coloni hanno aggredito attivisti palestinesi e israeliani di sinistra in Cisgiordania

Hagar Shezaf

11 settembre 2023 – Haaretz

Nel primo incidente i coloni hanno colpito un pastore palestinese con una mazza, rompendogli una mano. Nel secondo i coloni hanno aggredito attivisti di sinistra arrestati dalla polizia. “È stato il peggio incidente in cui sia mai stato coinvolto,” afferma uno degli attivisti.

Sabato in Cisgiordania coloni israeliani hanno aggredito e ferito un palestinese e attivisti di sinistra in due incidenti separati

La prima aggressione è avvenuta nel nord della Valle del Giordano, dove coloni mascherati si sono avvicinati e hanno colpito con una mazza un pastore palestinese, rompendogli una mano.

Il secondo incidente si è svolto sulle Colline Meridionali di Hebron, nei pressi della colonia di Otniel, dove i coloni hanno attaccato militanti di sinistra mentre venivano arrestati dalla polizia. Secondo gli attivisti i coloni hanno colpito anche il poliziotto che si trovava sul luogo.

Due coloni sono stati arrestati in quanto sospettati di essere coinvolti nel secondo incidente, ma sono stati rilasciati dopo essere stati interrogati.

Nella Valle del Giordano, Ahmad e suo figlio sono usciti dalla loro casa nei pressi di Ein al-Sakut nel pomeriggio per portare le loro pecore a pascolare con tre militanti di sinistra che li accompagnavano per proteggerli.

Mentre stavano camminando hanno visto un gruppo di circa 10 uomini mascherati diretto verso di loro dalla colonia di Shadmot Mehola. Ahmad “ha visto un gruppo comparso improvvisamente, come in un film dell’orrore, con magliette bianche, tzitzit (frange rituali ebraiche tradizionalmente portate dagli uomini) e con in mano delle mazze,” dice Gali Hendin, una degli attivisti che facevano da scorta e testimone oculare dell’incidente.

Mentre gli attivisti cercavano di contattare l’esercito e la polizia, “Ahmad è corso avanti, perché stavano cercato di prendere alcune delle sue pecore. È stato colpito con una sbarra di ferro, e poi siamo corsi avanti e li abbiamo fronteggiati.” Ahmad racconta ad Haaretz che uno degli uomini lo ha colpito con una mazza. “In passato ci avevano spaventati, ma non era mai successo niente del genere,” aggiunge Hendin.

Gli attivisti hanno registrato lo scontro con gli uomini mascherati. Nella registrazione uno degli uomini dice: “Questa è casa mia. Andatevene dalla mia casa. Via. Io l’ho comprata.”

Ahmad è stato portato all’ospedale nella città palestinese di Tubas, dove gli è stata diagnosticata una frattura alla mano. Due degli attivisti hanno detto che un’ambulanza israeliana è arrivata sul posto e lo ha portato via, ma, poiché è palestinese e di conseguenza non gli è consentito entrare nella colonia, dichiarata area militare chiusa, l’ambulanza ha dovuto viaggiare su strade sterrate sconnesse per portarlo all’ospedale.

Hanno aggiunto che anche il responsabile della sicurezza della colonia ha assistito all’incidente, ma non ha fatto niente.

C’è una guardia che li lascia andare e venire,” dice Ahmad, commentando altri incidenti. “Ora sono a casa. All’ospedale mi hanno detto che non posso uscire al pascolo per 40 giorni, e i miei figli non possono andare a scuola perché sono io che li accompagno.”

Questo è stato il peggior incidente da sempre in cui siamo stati coinvolti,” afferma Herdin. “Ciò che mi dà più fastidio è come il loro contesto lo accetta. Ci sono persone di Shadmot Mehola che dicono che forse era successo qualcosa prima. È arrivata una soldatessa e ha detto lo stesso. Quella che è inquietante è la normalizzazione della situazione.”

La polizia ha affermato che “appena ricevuta l’informazione sull’incidente agenti e forze militari sono arrivati sul posto ed è stata aperta un’inchiesta, che è ancora in corso.”

Nel secondo incidente, nelle Colline Meridionali di Hebron, un militante che ha chiesto di rimanere anonimo ha affermato di essere arrivato sul posto, nei pressi di Otniel, insieme ad altri attivisti e a palestinesi dopo aver ricevuto l’informazione che coloni avevano piazzato tende su terra palestinese proprietà di un privato.

Poi si sono presentati dei soldati che hanno mostrato agli attivisti un ordine in cui si dichiarava la terra zona militare chiusa, e hanno sparato granate stordenti e lacrimogeni, che hanno appiccato un incendio. Ma secondo gli attivisti i soldati non hanno cacciato i coloni che si trovavano sul posto. Hanno invece arrestato due militanti e li hanno consegnati a un poliziotto arrivato dopo.

L’agente “ci ha detto di andare con lui alla sua macchina per portarci alla stazione di polizia,” afferma l’attivista. “Lungo il percorso, mentre stavamo camminando con lui, sono arrivati quattro o cinque coloni e chissà perché hanno iniziato a martellarci di colpi micidiali. Tutto ciò è avvenuto dopo che eravamo stati arrestati, ci trovavamo sotto la protezione della polizia e l’agente era a circa mezzo metro da noi.” E continua: “Il poliziotto ha afferrato il giovane che guidava l’aggressione,” aggiungendo che il colono ha colpito anche l’agente. L’attivista ha subito una ferita alla testa.

Successivamente i militanti arrestati sono stati portati alla stazione di polizia e interrogati in quanto sospettati di aver violato l’ordine che dichiarava il luogo zona militare chiusa. Uno è stato rilasciato a condizione che si tenga lontano dalla zona, mentre il ferito è stato rilasciato senza condizioni e portato allo Shaare Zedek Medical Center di Gerusalemme, dove è stato visitato e poi dimesso.

La polizia afferma che durante l’incidente quattro israeliani, due coloni e due militanti di sinistra, sono stati arrestati. Secondo il comunicato tutti e quattro sono stati rilasciati dopo essere stati interrogati.

Il portavoce dell’Israeli Defence Forces [Forze di Difesa Israeliane, l’esercito israeliano, ndt.] afferma che “vari israeliani e palestinesi si sono scontrati con alcuni abitanti dell’insediamento di Otniel, sottoposto alla giurisdizione della brigata della Giudea. I militari delle IDF che sono arrivati sul posto hanno chiesto ai presenti di andarsene, e quando questi non hanno acconsentito è stato usato equipaggiamento per il controllo dell’ordine pubblico. A causa di ciò sul luogo è scoppiato un incendio, ma è stato spento subito dopo.”

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Meta rimuove il profilo di un presentatore di Al Jazeera dopo una trasmissione critica nei confronti di Israele

Redazione di Al Jazeera

10 settembre 2023 – Al Jazeera

La puntata di Tip of the Iceberg ha analizzato come Facebook prende di mira contenuti palestinesi relativi a Israele.

Il profilo Facebook di Tamer Almisshal, presentatore arabo di Al Jazeera, è stato cancellato da Meta 24 ore dopo che il suo programma Tip of the Iceberg [Punta dell’iceberg] ha trasmesso The Locked Space [Lo Spazio Blindato], un’indagine sulla censura dei contenuti palestinesi attuata da Meta.

L’inchiesta del programma andato in onda venerdì includeva l’ammissione da parte di Eric Barbing, ex capo dei sistemi di cybersicurezza di Israele, che la sua organizzazione tenta di rintracciare i contenuti palestinesi secondo criteri come i “like” sotto una foto di un palestinese ucciso dall’esercito israeliano.

Poi l’agenzia si mette in contatto con Facebook sostenendo che quel contenuto dovrebbe essere rimosso.

Secondo Barbing di solito Facebook accoglie le richieste e gli apparati di sicurezza di Israele danno seguito al caso, anche avviando un’inchiesta giudiziaria.

Alle ammissioni di Barbing l’inchiesta faceva seguire interviste a vari esperti di diritti umani e digitali che concordavano sul fatto che c’è un’evidente disparità nel modo in cui sono limitati i contenuti palestinesi.

Nel programma si intervistava anche Julie Owono, che fa parte dell’organo di vigilanza di Facebook, che ha ammesso che c’è una discrepanza nel modo in cui le regole sono interpretate e applicate ai contenuti palestinesi, aggiungendo che sono state inviate a Facebook delle raccomandazioni per modificare la situazione.

Al Jazeera ha chiesto a Facebook il motivo della chiusura del profilo di Almisshal senza un preavviso o una spiegazione. Al momento della pubblicazione non ha ricevuto alcuna risposta.

Colpire un giornalista’

Almisshal afferma che il profilo rimosso è la sua pagina personale, che ha aperto nel 2006 ed è controllata. Ha almeno 700.000 follower.

Dopo l’enorme successo della puntata ho scoperto che il mio profilo personale Facebook era stato disabilitato senza spiegazioni,” dice ad Al Jazeera. “Sembra proprio una specie di vendetta per il programma. Non abbiamo ancora ricevuto una riposta da Facebook.”

La redazione del programma aveva iniziato un’inchiesta su quanto ampia sia la differenza fra i post palestinesi e quelli israeliani e su come i rispettivi materiali sono trattati da Facebook.

Per farlo si è ideato un esperimento costruendo due pagine differenti, una con un punto di vista filopalestinese e l’altra con uno filoisraeliano, e ha fatto delle prove. Il team ha concluso che in effetti c’era una notevole discrepanza su quanta attenzione veniva dedicata ai post delle due pagine e su come le regole vi erano applicate.

Non è chiaro perché Facebook abbia scelto di rimuovere la pagina di un singolo individuo in risposta a un programma.

Non ci sono state spiegazioni o avvertimento,” dice Almisshal. “Non ci sono mai stati problemi prima con nessuno dei contenuti della mia pagina. Nessun messaggio che dicesse che avevo infranto una regola.”

Almisshal difende il suo programma.

Lo scorso marzo Facebook aveva imposto delle limitazioni al mio account, ed era successo altre volte, ma normalmente la situazione veniva risolta,” conclude. “Questo era un progetto giornalisticamente valido e l’abbiamo comunicato a Meta per dar loro l’opportunità di parlare durante l’inchiesta.

Ma invece prendere di mira un singolo giornalista… non me lo sarei mai aspettato.”

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Soldatesse israeliane costringono delle donne palestinesi a spogliarsi utilizzando un cane da combattimento

Amira Hass

5 settembre 2023 – Haaretz

Durante un raid a Hebron cinque donne della stessa famiglia sono state costrette a spogliarsi sotto la minaccia di un cane dell’unità cinofila e dei fucili dei soldati

A luglio nella città di Hebron in Cisgiordania due soldatesse israeliane mascherate, armate di fucili e con un cane da attacco, hanno costretto cinque donne facenti parte di una famiglia palestinese a spogliarsi, ognuna separatamente. Le soldatesse hanno minacciato di liberare il cane se le donne non avessero obbedito, dichiara la famiglia.

Durante lirruzione nella casa i soldati hanno perquisito i maschi della famiglia ma non hanno chiesto loro di togliersi i vestiti.

I militari erano in possesso di informazioni secondo cui in quella casa sarebbero state presenti delle armi e il portavoce dellunità delle forze di difesa israeliane ha detto ad Haaretz che sono stati trovati un fucile M16 e munizioni, il che ha richiesto una ulteriore perquisizione degli occupanti.

Un totale di 26 persone, tra cui 15 minori dai 4 mesi ai 17 anni, vivono in tre appartamenti adiacenti nella casa della famiglia Ajluni, nella zona sud di Hebron. La famiglia dice che il 10 luglio all’1:30 di notte circa 50 soldati con almeno due cani hanno circondato la casa.

Secondo la famiglia circa 25 – 30 soldati hanno preso posizione all’interno degli appartamenti passando da una stanza all’altra dopo aver svegliato gli occupanti con torce elettriche, forti colpi alle porte e minacce di sfondarle.

La maggior parte dei soldati erano mascherati e si vedevano solo gli occhi. Uno, che sembrava essere l’ufficiale in comando ed era senza maschera, indossava pantaloni militari ma una normale camicia a maniche corte. Le donne non sapevano chi fosse.

Alle 5:30 del mattino, i soldati hanno lasciato la casa, portando con sé il primogenito della famiglia, Harbi, che hanno arrestato. La famiglia ha subito scoperto che i gioielli d’oro che il fratello più giovane, Mohammed, aveva acquistato in vista del suo matrimonio, erano scomparsi. Valevano 40.000 shekel [9.800 euro, ndt.]. Gli uomini si sono precipitati alla stazione di polizia israeliana nel vicino insediamento di Kiryat Arba per sporgere denuncia.

La polizia ha detto che non era stato rubato nulla, ma il giorno successivo un agente ha telefonato a Mohammed e gli ha detto di venire a ritirare il suo oro. Gli è stato detto che i soldati avevano pensato che si trattasse di proiettili. Lunità del portavoce delle IDF [esercito israeliano, ndt.] afferma che i gioielli si trovavano in una borsa nera chiusa con del nastro adesivo, aperta successivamente in una stanza investigativa.

La moglie di Harbi, Diala, ha scoperto che mancavano anche 2.000 shekel che si trovavano in un cassetto, ma il denaro non è stato restituito. I portavoce dell’esercito affermano di non essere a conoscenza di tale accusa.

Costretta a spogliarsi davanti ai suoi figli

Le donne costrette a denudarsi sono Ifaf, 53 anni, sua figlia Zeinab, 17 anni, e le tre nuore di Ifaf: Amal, Diala e Rawan, che hanno circa 20 anni. Una dopo laltra sono state portati nella cameretta rosa e viola dei figli di Amal; ,un orsacchiotto rosa faceva la guardia.

La prima a essere chiamata nella stanza è stata Amal, 25 anni, costretta a spogliarsi in presenza di tre dei suoi quattro figli, che si erano appena svegliati. Piangendo, urlando e terrorizzati dal cane e dai fucili, hanno visto delle soldatesse mascherate ordinare a gesti e in un arabo stentato ad Amal di togliersi l’abito da preghiera.

Amal se lo è sfilato. Quindi le è stato chiesto di togliersi il resto dei vestiti. Lei ha protestato, facendo presente che non poteva avere nulla nascosto sotto i pantaloncini e la canottiera. Racconta che allora hanno liberato il grosso cane, che le si è avvicinato ma senza toccarla.

I bambini atterriti urlavano per tutto il tempo. Amal ha detto alle soldatesse di tirare indietro il cane perché i bambini ne avevano paura; poi si è tolta il resto dei vestiti. I bambini hanno anche dovuto assistere all’ordine dato alla madre, una volta denudata, di voltarsi, mentre singhiozzava per l’umiliazione. Circa 10 minuti dopo lei e i bambini sono stati portati fuori dalla stanza pallidi e tremanti.

La seconda ad essere chiamata è stata Ifaf, la più anziana della famiglia. Non ha voluto parlare molto del suo calvario, anche se ha raccontato che le soldatesse le hanno ordinato con gesti e in un arabo stentato di togliersi i vestiti. Basta, voltati, rivestiti.

Nel frattempo gli altri membri della famiglia venivano trattenuti in altre due stanze dello stesso appartamento. Le donne e i bambini erano in una stanza e gli uomini nell’altra. Due o tre soldati armati erano appostati davanti alla porta di ogni stanza e ordinavano agli Ajluni di non parlare.

Di tanto in tanto compariva un altro soldato e riferiva qualcosa ai colleghi. Mentre erano tenuti prigionieri nelle stanze i membri della famiglia hanno sentito le urla di Amal e dei figli, seguite da quelle delle altre donne.

Sentivano anche i soldati frugare negli appartamenti adiacenti, dare colpi, aprire i cassetti e lasciarli cadere sul pavimento, oltre alle loro risate.

Silenzio sul trauma

Non sono molte le segnalazioni riguardanti donne palestinesi costrette a denudarsi durante un raid dellesercito nella loro casa. Manal al-Jabari nei suoi 15 anni nel ruolo di ricercatrice sul campo a Hebron per l’organizzazione israeliana per i diritti BTselem ha registrato circa 20 casi simili. Ma ritiene che tali episodi svoltisi sotto la minaccia del fucile siano aumentati negli ultimi mesi. La maggior parte delle donne rifiuta di essere intervistata dai giornalisti sul trauma subito, dice Jabari.

Ma le donne della famiglia Ajluni hanno accettato di essere identificate per nome a patto di non essere fotografate. Alla stessa Jabari è stato intimato di togliersi tutti i vestiti durante una massiccia perquisizione notturna delle case a Hebron dopo l’uccisione il 21 agosto di una donna nel vicino insediamento coloniale di Beit Hagai. Jabari ha notato una telecamera sulla fronte di una soldatessa e si è rifiutata di spogliarsi.

In seguito alle mie insistenze la soldatessa ha rimosso la telecamera. Comunque mi sono rifiutata di spogliarmi. Hanno ceduto, forse perché faccio parte di BTselem”, afferma. Ma i soldati hanno saccheggiato la sua casa, rotto diversi oggetti e lasciato un tale disordine che Jabari non sapeva da dove cominciare a rimettere tutto a posto. Questo è quello che fanno spesso i soldati ed è quello che hanno fatto a casa degli Ajluni.

Parlando ad Haaretz il 27 agosto, le donne della famiglia Ajluni hanno sentito da Jabari, anche lei presente, il racconto della sua personale disavventura. A quel punto hanno ricordato di aver visto anche loro qualcosa sulla fronte delle soldatesse, ma di non sapere cosa fosse. Ora, oltre al trauma della perquisizione, erano tormentate dal dubbio che le soldatesse le avessero filmate mentre erano nude.

L’esercito ha sostenuto con una dichiarazione che le soldatesse non indossavano telecamere, al contrario del cane, ma [hanno aggiunto che] quella era spenta.

In un primo momento le donne hanno detto di non essere sicure se le soldatesse fossero mascherate, ma poi hanno concluso che dovevano esserlo. “Quando ciascuna di noi entrava nella stanza, le soldatesse spostavano un po’ i loro berretti… così abbiamo potuto notare che avevano i capelli lunghi, il che significava che erano donne”, ricordano Diala e Zeinab, completando a vicenda il racconto.

Delle cinque donne costrette a spogliarsi solo Amal non era a casa quando le altre hanno parlato con Haaretz. Era andata a comprare degli oggetti per il matrimonio. La vita riprendeva, l’anno scolastico era iniziato e poco a poco il sorriso tornava sui volti delle donne e dei loro bambini.

Jabari, la ricercatrice sul campo di BTselem, ha registrato i resoconti delle donne un giorno dopo il raid, descrivendo il terrore e lo shock che le Ajluni avrebbero ancora provato settimane dopo. Per circa quattro settimane i bambini si svegliavano spaventati nel cuore della notte e bagnavano il letto. Spesso le donne avevano la sensazione che i soldati fossero ancora in casa e sussultavano ogni volta che sentivano un rumore provenire da fuori.

Soldati davanti alla casa

La notte del raid Diala, 24 anni, si è svegliata sentendo suo marito, Harbi, litigare con qualcuno e chiedere che non entrassero in camera da letto perché lì c’era sua moglie. “Mi sono resa conto che erano soldati e mi sono alzata velocemente per coprirmi e mi sono vestita in fretta con un abito da preghiera”, ha detto.

Continua dicendo che in quel momento hanno fatto irruzione nella stanza i soldati e due grossi cani con la museruola. Le tre ragazze che dormivano nella camera dei genitori si sono svegliate e hanno visto i fucili, i cani e gli occhi che scrutavano da sopra le maschere.

Mio marito ha urlato ai soldati, in ebraico e arabo, di allontanarsi e di portare via i cani. Le mie figlie strillavano, piangevano e tremavano di paura. Lujin, che ha 4 anni, se l’è fatta addosso. I soldati hanno ordinato a mio marito di non parlare con me, gli hanno puntato i fucili alla testa e lo hanno trascinato in cucina”, racconta Diala.

Lo avrebbe rivisto solo diversi giorni dopo, al tribunale militare di Ofer, dove la sua detenzione è stata prolungata più volte. È sospettato di possedere un’arma, dice.

La notte del raid lei e le figlie sono state lasciate in camera da letto per 10 – 15 minuti; poi i soldati le hanno ordinato di attraversare il cortile per recarsi dove era stata obbligata a raccogliersi tutta la famiglia. Era l’appartamento di suo cognato Abdullah e di sua moglie Amal. Diala ha chiesto di poter prendere i soldi dal cassetto, ma lufficiale in maniche corte non lo ha permesso, dice.

Il cortile è solo parzialmente asfaltato ed è pieno di sassi, spine e pezzi di vetro. Lufficiale non le ha permesso di mettere le scarpe alle figlie e ha fatto segno che dovevo portarle in braccio”, dice Diala. Ma lei ha preso in braccio solo Ayla, di 17 mesi e mentre uscivano Lujin e Lida, che ha 5 anni, rimanevano aggrappate alla loro mamma.

“Stavo morendo di paura quando sono passata accanto al cane”, ha detto. Le sue figlie le saltellavano accanto, scalze e piangenti. Ha pensato che nel cortile ci fossero anche altri cani.

A quel punto Abdullah ha chiesto il permesso di recarsi nell’appartamento in cui suo fratello Mohammed si sarebbe trasferito dopo il matrimonio. Abdullah voleva prendere i gioielli d’oro, ma i soldati hanno rifiutato. Lui si è ribellato, quindi lo hanno ammanettato da dietro, bendato e portato nella cucina di Diala e Harbi.

Hanno fatto lo stesso con suo cugino di 17 anni, Yamen. Le donne li hanno trovati in cucina dopo che i soldati sono andati via con Harbi. Hanno tagliato le manette di plastica con un coltello.

Dopo la perquisizione intima di Ifaf, è stata la volta di Diala. Un soldato è entrato nel soggiorno e le ha detto di andare con lui. “Sono entrata in una stanza e, avendo tanta paura del grosso cane, sono rimasta vicino alla porta e ho cercato di uscire”, racconta. Le soldatesse mi hanno urlato contro e mi hanno ordinato di restare nella stanza”.

Quando si è rifiutata di togliersi gli indumenti sotto l’abito da preghiera la soldatessa con il cane ha minacciato di liberare l’animale. Anche Diala una volta nuda ha dovuto girare intorno a se stessa in presenza delle soldatesse, e anche lei ha pianto.

La diciassettenne Zeinab si è ribellata. Quando i soldati hanno chiesto a tutti di consegnare i propri telefoni lei è riuscita a nascondere il suo sotto un cuscino. Ha raccontato che, mentre i membri della famiglia erano ancora seduti in soggiorno con i bambini, un soldato mi ha indicato e mi ha detto [in arabo] Tu, vieni e mi ha condotto nella stanza dei bambini.

Le soldatesse mi hanno mostrato i capelli per farmi capire che erano donne e mi hanno ordinato di mettermi in un angolo della stanza. Poi il soldato ha aperto con rabbia la porta, ha sbirciato dentro, ha agitato il mio telefono, ha sollevato il fucile e lo ha puntato contro di me. Era arrabbiato perché non lo avevo consegnato quando me lo ha detto. Ho urlato. Per fortuna non mi ero ancora tolto lhijab”.

(A quel punto Diala interviene dicendo che le altre donne l’hanno sentita urlare e non sapendo cosa stesse succedendo erano molto preoccupate.)

“Pensavo che ci avrebbero esaminato con apparecchiature elettromagnetiche”, dice Zeinab. Quando la soldatessa mi ha ordinato in un arabo stentato di spogliarmi sono rimasta sorpresa. Ho detto: “Cosa?”. Lei ha risposto: “I vestiti”. Ho detto: “Non voglio”. E lei mi ha intimato: “Togliti tutto”.

Ho deciso di urlare mostrando che non avevo niente addosso e lei ha insistito perché mi togliessi tutto. Quando mi sono opposta si sono avvicinate a me in modo minaccioso con il cane. Ho sentito Diala urlarmi dall’esterno della stanza di fare quello che diceva la soldatessa.

Dopodiché mi sono spogliata. La soldatessa mi ha detto di voltarmi. Mi sono voltata solo a metà e allora lei ha avvicinato di nuovo il cane. Tremavo e piangevo”.

Ad un certo punto i bambini sono stati lasciati soli in soggiorno, senza le loro madri e in presenza dei soldati armati. Dopo essere state perquisite, le madri sono state condotte in un corridoio adiacente. I bambini erano spaventati e piangevano.

I soldati hanno in parte accolto le richieste delle madri e hanno permesso loro di prendere i due bambini più piccoli. Ifaf e uno dei suoi nipoti raccontano che i soldati hanno cercato di calmare i bambini rimasti soli in soggiorno. Hanno fatto il batti pugno con i pugnetti di alcuni di loro.

Il portavoce dell’unità delle IDF ha dichiarato: Secondo lintelligence è stato trovato un lungo M16, oltre a munizioni e un caricatore. Dopo il ritrovamento dell’arma è stato necessario controllare le altre persone presenti nell’abitazione per escludere la possibilità di trovare altre armi. Secondo le istruzioni degli investigatori della polizia di Hebron le soldatesse [dell’unità cinofila] hanno perquisito le donne presenti nella casa in una stanza chiusa, ognuna individualmente. Le soldatesse non indossavano telecamere.

Il cane, che non era presente nella stanza durante l’ispezione, aveva una telecamera montata sulla schiena per scopi operativi e in quel momento non era accesa. Nel corso delle perquisizioni è stata rinvenuta e portata via insieme all’arma una borsa nera nascosta, chiusa con del nastro adesivo. La borsa è stata aperta nella stanza delle indagini e si è capito che si trattava di gioielleria.

Il giorno dopo la perquisizione è venuto il fratello dellarrestato, ha firmato [una dichiarazione secondo cui] si trattava di gioielli di famiglia e se li è ripresi. Non siamo a conoscenza dell’affermazione relativa ai 2.000 shekel. Non ci risulta alcuna lamentela riguardo al caso. Qualora pervenga verrà presa, come di consueto, in considerazione”.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Israele uccide due palestinesi e distrugge ancor di più il campo di Nur Shams

Redazione di Al Jazeera

5 settembre 2023 – Al Jazeera

Ayed Abu Harb è stato ucciso durante un’incursione su vasta scala del campo di Nur Shams a Tulkarem, prima di un altro palestinese ucciso da Israele nella Valle del Giordano.

Tulkarem, Cisgiordania occupata – Forze israeliane hanno ucciso un giovane palestinese e ne hanno ferito gravemente un altro durante una massiccia incursione contro il campo profughi nella città di Tulkarem, nel nord della Cisgiordania occupata, danneggiando alcune infrastrutture del campo.

Sempre martedì qualche ora dopo un altro palestinese è stato ucciso dopo che avrebbe aperto il fuoco contro soldati israeliani in una colonia ebraica illegale in Cisgiordania.

Il ministero palestinese della Sanità ha annunciato che l’uomo ucciso a Tulkarem è il ventunenne Ayed Samih Khaled Abu Harb, affermando che è stato colpito alla testa. Alle 11 si è svolto il corteo per il suo funerale.

All’alba forze israeliane con trattori blindati hanno fatto irruzione da varie direzioni nel sovrappopolato campo profughi di Nur Shams. provocando la resistenza armata da parte di combattenti palestinesi.

Hanno disselciato la strada che porta al campo, a pochi minuti dalla città di Tulkarem, e prima di ritirarsi tre ore dopo hanno distrutto alcune case e negozi, così come infrastrutture.

Hanno distrutto ogni cosa”

Taha al-Irani, presidente del comitato popolare del campo, ha parlato martedì con Al Jazeera del livello di devastazione e dello shock per l’uccisione di Abu Harb e il ferimento di un altro uomo.

Ti assicuro che il martire [Ayed] era semplicemente in piedi davanti alla porta di casa quando è stato ucciso, e l’uomo in condizioni critiche è un taxista che stava andando al lavoro,” afferma al-Irani, 50 anni.

C’è una devastazione totale nel campo… La strada principale che lo collega ad altre città – Tulkarem, Nablus, Ramallah – è stata parzialmente distrutta.”

Il campo profughi di Nur Shams, sorto nel 1952, è uno dei due campi di Tulkarem ed è stato costruito per accogliere rifugiati palestinesi della zona di Haifa in seguito alla Nakba, o pulizia etnica della Palestina da parte delle milizie sioniste nel 1948.

Mohammad Abu Talal, trentanovenne proprietario di un supermarket, dice ad Al Jazeera: “L’esercito è entrato con scavatrici e trattori. Hanno distrutto il negozio, hanno distrutto ogni cosa.”

In un comunicato il provveditorato agli studi di Tulkarem ha annunciato che avrebbe sospeso le lezioni martedì.

Quest’anno sono stati uccisi 233 palestinesi

Più tardi sempre martedì nella Valle del Giordano forze israeliane hanno affermato di aver ucciso un palestinese che aveva aperto il fuoco verso un centro commerciale in una colonia illegale nei pressi della Route 90, la principale autostrada della regione.

Il palestinese è stato identificato dal ministero palestinese della Sanità come il diciassettenne Mohammed Zubaidat.

Prima di essere ucciso Zubaidat avrebbe ferito un soldato israeliano.

Con la morte di Abu Harb e Zubaidat il numero di palestinesi uccisi dall’esercito israeliano dall’inizio dell’anno è salito a 233.

L’esercito israeliano ha affermato di aver arrestato nella sola nottata di martedì 21 palestinesi “ricercati sospetti”. In totale sono migliaia i palestinesi detenuti in varie forme da Israele.

L’esercito israeliano occupa militarmente da 56 anni la Cisgiordania, dove vivono circa tre milioni di palestinesi.

Negli ultimi due anni la resistenza armata palestinese si è riorganizzata ed è cresciuta per rilevanza, soprattutto nel nord della Cisgiordania occupata. Come risposta Israele ha cercato di schiacciare questa resistenza con incursioni quasi quotidiane, che hanno provocato pressoché ovunque vittime, contro le città, villaggi e campi profughi palestinesi

Nur Shams è stato preso di mira il 24 luglio in un altro recente attacco israeliano su larga scala, durante il quale sono stati feriti almeno 13 palestinesi, di cui 4 da proiettili veri e 9 da granate. Durante l’incursione le forze israeliane hanno anche danneggiato seriamente infrastrutture, obbligando l’Autorità Nazionale Palestinese a destinare una parte del proprio bilancio alla ricostruzione del campo.

Grazie a dio non avevamo ancora pubblicato bandi di appalto per la ricostruzione di strade e infrastrutture (dopo i primi raid),” afferma al-Irani.

Il 5 agosto l’esercito israeliano ha fatto incursione nel campo e ha colpito alla testa da distanza ravvicinata il diciottenne Mahmoud Abu Sa’an uccidendolo, ha affermato il ministero della Sanità. Abu Sa’ad si era appena diplomato all’esame di maturità.

Se gli israeliani pensano di poter ottenere la sicurezza e la pace con l’oppressione e i crimini che commettono stanno delirando. Ciò non avverrà finché i palestinesi non avranno ottenuto i loro diritti per vivere in dignità nel loro Stato,” afferma al-Irani.

Interviste di Ayman Nobani nel campo profughi di Nur Shams.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




La Palestina denuncia la ‘pirateria’ di Israele dopo la riduzione dell’ammontare delle tasse

Redazione di MEMO

5 settembre 2023 – Middle East Monitor

L’agenzia Anadolu riferisce che martedì il primo ministro palestinese Mohammad Shtayyeh ha denunciato come “pirateria” la riduzione dell’ammontare delle tasse da parte di Israele.

Martedì il ministro delle Finanze israeliano ha affermato che dedurrà una quota di denaro dai fondi che Tel Aviv riscuote per conto dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) per rimborsare i debiti per l’elettricità palestinese con la Israel Electric Corp (IEC).

Questi sono pirateria e furto sistematici del nostro denaro,” ha affermato Shtayyeh in una dichiarazione.

Queste riduzioni sono una dichiarazione di guerra finanziaria che fa parte della guerra politica in corso contro il popolo palestinese,” ha aggiunto.

Il premier palestinese ha sollecitato l’amministrazione statunitense e l’Unione Europea “a intervenire per fermare tutte queste politiche”, preavviso di “pericolose ripercussioni” della decisione di Israele.

Secondo i mezzi di comunicazione israeliani, il debito palestinese con la IEC è stimato in circa due miliardi di shekel (circa 526 milioni di euro).

Tuttavia la controparte palestinese afferma che i suoi debiti sono solo di 800 milioni di shekels (210.5 milioni di euro).

Negli ultimi anni l’ANP sta affrontando molteplici difficoltà economiche come risultato delle decisioni israeliane di ridurre o di bloccare il trasferimento delle entrate fiscali palestinesi raccolte da Israele.

Il gettito fiscale – conosciuto in Palestina e Israele come maqasa –viene raccolto dal governo israeliano per conto della ANP sulle importazioni ed esportazioni palestinesi. Israele in cambio incassa una commissione del 3% delle entrate fiscali raccolte.

Gli introiti fiscali, che costituiscono la fonte principale delle entrate della ANP, sono stimati intorno ai 30-33 milioni di euro al mese.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Palestinese ucciso nello scontro a fuoco durante il raid israeliano in una città della Cisgiordania

Redazione Al Jazeera

1° settembre 2023- Al Jazeera

Le forze israeliane hanno preso d’assalto Aqaba e distrutto un edificio dopo averlo assediato, ma non sono riuscite ad arrestare un palestinese ricercato

Un palestinese è stato ucciso a colpi di arma da fuoco dalle forze israeliane durante un raid in una città occupata della Cisgiordania a seguito di uno scontro che ha provocato la distruzione di un edificio.

Abdul Rahim Fayez Ghannam, 36 anni, è stato colpito alla testa ad Aqaba, a nord di Tubas, e dichiarato morto venerdì all’ospedale locale.

Nidal Odeh, direttore dei servizi di emergenza ad Aqaba, ha riferito ai media locali che le forze israeliane hanno impedito alle ambulanze di raggiungere i feriti e che un’ambulanza è stata chiaramente colpita da proiettili veri.

Le forze israeliane hanno fatto irruzione nella città alla ricerca di Ahmad Walid, che accusano di aver effettuato il mese scorso un attacco armato vicino a un posto di blocco nella Valle del Giordano.

Il testimone Saleh Abu Arra ha detto ad Al Jazeera che i soldati israeliani pensavano che Walid si nascondesse in uno degli edifici, ma non c’era.

Il raid è iniziato intorno alle 5 del mattino. I miei due fratelli vivono con le loro famiglie nell’edificio che è stato circondato dalle forze israeliane”, ha riferito il 39enne.

Uno dei suoi fratelli, Bakr Abu Arra, è stato arrestato dagli israeliani.

Saleh Abu Arra ha affermato che “Gli hanno urlato attraverso gli altoparlanti di uscire con la sua famiglia e poi lo hanno picchiato con i fucili e insultato, terrorizzando sua moglie e i figli”, ha detto.

Dopo mezz’ora le forze israeliane hanno iniziato a lanciare bombe assordanti e lacrimogeni contro l’edificio, poi hanno preso di mira il secondo e il terzo piano con granate anticarro che hanno distrutto anche una sala nuziale adiacente.

Nelle cinque ore successive si sono verificati scontri violenti, ha riferito Amir al-Qasem, un altro testimone, con i soldati israeliani che sparavano contro l’edificio in rovina con proiettili veri e gli abitanti palestinesi che lanciavano oggetti contro i veicoli militari.

Anche palestinesi armati hanno preso di mira il convoglio israeliano con proiettili veri.

Al-Qasem ha riferito che “Il martire Fayez è rimasto intrappolato nello scontro a fuoco”; “È un contadino e stava andando nei suoi campi”.

Al-Qasem ha affermato che gli israeliani hanno fallito nella loro missione di arrestare Walid, e quindi hanno iniziato a sparare a caso sulla casa distrutta e sulle aree circostanti.

Ha detto anche di non aver “mai visto una tale quantità di bossoli all’interno di un edificio”.

Le forze israeliane hanno arrestato i due fratelli Bakr e Mohammed Abu Arra e il padre Abdelrazeq.

Il fratello di Ahmad Walid, Mushrif, ha detto ad Al Jazeera di essere rimasto sorpreso quando l’intelligence israeliana lo ha chiamato al telefono

“Mio fratello è operaio in Israele e va via per due settimane o un mese alla volta”, ha precisato Mushrif.

Abbiamo detto agli israeliani che non era qui, ma loro hanno costretto i miei genitori anziani a uscire, li hanno portati all’edificio di Abu Arra e li hanno costretti a gridare con gli altoparlanti ad Ahmad di arrendersi”.

In un comunicato l’esercito israeliano ha affermato che è scoppiato uno scontro a fuoco tra combattenti armati e soldati e “uno degli uomini armati è stato colpito”.

Inoltre afferma che le truppe hanno anche “utilizzato missili a spalla e granate” e successivamente hanno trovato ordigni esplosivi improvvisati e altre armi nell’edificio.

I raid militari israeliani, quasi quotidiani, hanno provocato alcuni dei peggiori combattimenti nella Cisgiordania occupata dall’inizio degli anni 2000.

Più di 200 palestinesi sono stati uccisi da Israele dall’inizio di quest’anno, e le Nazioni Unite affermano che il 2023 sarà l’anno più letale per i palestinesi da quando questo organismo ha iniziato a registrare le vittime palestinesi nel 2006.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




“Noi non staremo in silenzio”: le forze dell’autorità palestinese effettuano una incursione a Tulkarem e uccidono un combattente.

Redazione di Palestine Chronicle (PC)

30 agosto 2023 – Palestine Chronicle

Mercoledì un giovane palestinese è stato ucciso quando le forze dell’Autorità Palestinese (AP) si sono scontrate con i combattenti della resistenza palestinese nel campo profughi di Tulkarem nella Cisgiordania occupata.

Secondo la rete di notizie palestinese Quds News Network (QNN), gli scontri sono scoppiati quando le forze dell’AP hanno cercato di rimuovere le barricate erette nel campo dai combattenti della resistenza palestinese per impedire che le forze dell’occupazione israeliana facciano incursioni dell’area.

Secondo quanto riferito, le forze dell’AP hanno aperto il fuoco contro i combattenti, causando la morte di un palestinese venticinquenne.

QNN ha identificato la vittima come Abdelqader Zakdah.

Talal Dweikat, un portavoce per l’agenzia per la sicurezza palestinese, ha fatto un resoconto diverso rispetto a quello dei testimoni oculari.

In una dichiarazione rilasciata alla WAFA, l’agenzia di notizie ufficiale palestinese, ha sostenuto che “l’uomo armato ha aperto il fuoco dopo che le forze di sicurezza hanno rimosso materiali pericolosi e barriere da dentro il campo, le cause per cui le forze di sicurezza sono intervenute”.

Molti palestinesi ritengono che l’AP serva gli interessi dell’occupazione israeliana. Negli ultimi mesi si é saputo di scontri tra combattenti palestinesi e forze di sicurezza dell’AP in varie parti della Cisgiordania.

Un anonimo combattente palestinese ha affermato all’agenzia di notizie Reuters che la resistenza “non rimarrà in silenzio.”

Egli ha accusato l’AP di “aiutare le forze di occupazione ad arrestare giovani che sono sulla lista dei ricercati (di Israele).

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




La polizia israeliana ferisce decine di lavoratori palestinesi che protestano vicino al valico

Fayha Shalash, Ramallah

29 agosto 2023 MiddleEastEye

I palestinesi protestano contro le autorità israeliane che impediscono agli autobus di portarli al lavoro in Israele.

Martedì mattina la polizia di frontiera israeliana ha attaccato i lavoratori palestinesi vicino al valico settentrionale della città di Qalqilya, nella Cisgiordania settentrionale occupata, ferendone decine.

Decine di lavoratori avevano bloccato parte della Route 55 adiacente al valico di Eyal, uno dei principali posti di blocco tra Israele e Cisgiordania, dopo che la polizia israeliana aveva impedito ad autobus e altri veicoli di trasportarli ai loro luoghi di lavoro in Israele.

Centinaia di guardie di frontiera israeliane sono arrivate sul posto per reprimere la protesta, ferendo decine di lavoratori e proprietari di veicoli che sono stati poi trasferiti all’ospedale governativo Darwish Nazzal di Qalqilya.

Le autorità israeliane hanno fermato gli autobus che, secondo loro, circolano senza licenza o trasportano lavoratori senza permesso.

Senza autobus e altri appositi veicoli i palestinesi che lavorano in Israele non hanno mezzi a disposizione per raggiungere il posto di lavoro dopo aver attraversato il posto di blocco.

Come ogni mattina, Zuhdi Abu Taha, 34 anni, si stava recando al valico per andare al lavoro. È rimasto sorpreso dalla presenza di decine di lavoratori sulla strada principale e di un gran numero di soldati israeliani.

All’improvviso i soldati hanno iniziato a lanciarci contro granate assordanti e lacrimogeni. Ho sentito qualcosa colpirmi il viso e il sangue riempirmi la bocca con un dolore forte e insopportabile, quando una granata stordente mi è esplosa accanto”, ha detto Abu Taha a Middle East Eye.

Abu Taha è stato prima trasferito all’ospedale governativo con una lacerazione al labbro inferiore, un ampio taglio a quello superiore, una mascella rotta e denti rotti. Ma a causa della gravità delle ferite, è stato portato in un ospedale privato a Nablus per un intervento chirurgico urgente.

Più di 20 lavoratori hanno riportato soffocamento e contusioni durante l’attacco, che ha causato scontri nella zona durati più di un’ora.

Secondo Abu Taha l’assalto ai lavoratori non è una novità, anche se possiedono i permessi necessari.

Ogni mattina i lavoratori aspettano diverse ore al valico prima di poter entrare, il che li porta a soffrire spesso di affanno e, in alcuni casi, di attacchi di cuore.

I lavoratori palestinesi accusano Israele di abusi e maltrattamenti intenzionali e di trascurare i loro diritti come lavoratori e le misure di sicurezza pubblica, la cui mancanza mette le loro vite in costante pericolo.

Shaher Saad, segretario generale della Federazione Generale dei Sindacati Palestinesi, ha definito brutale l’attacco contro i lavoratori palestinesi che cercano di guadagnarsi da vivere in circostanze difficili.

In un comunicato stampa ha affermato che le autorità israeliane hanno soppresso gli autobus che trasportano i lavoratori come forma di punizione collettiva.

Ha inoltre invitato l’Organizzazione Internazionale del Lavoro e la Confederazione Internazionale dei Sindacati a intervenire immediatamente e a proteggere con urgenza i lavoratori che entrano in Israele per lavoro.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Gli USA si oppongono alla rivelazione dell’incontro Libia-Israele perché ‘affossa’ lo sforzo di normalizzazione

Redazione MEE

28 agosto 2023 – Middle East Eye

La ministra degli Esteri libica Najla al-Mangoush che si era incontrata con l’omologo israeliano è fuggita in Turchia per motivi di sicurezza dopo essere stata rimossa.

Axios [sito di notizie statunitense, ndt.], citando funzionari israeliani e USA, ha riportato che durante il fine settimana gli Stati Uniti hanno protestato presso il governo israeliano per la decisione del ministro degli Esteri Eli Cohen di rivelare pubblicamente l’incontro segreto con la sua omologa libica.

La scorsa settimana la ministra degli Esteri libica Najla al-Mangoush si è incontrata in Italia con l’israeliano Cohen nonostante i due Paesi non abbiano relazioni ufficiali. Cohen si è vantato in una dichiarazione “del grande potenziale della cooperazione tra i due Paesi”.

Le dimensioni e la posizione strategica della Libia le conferiscono una grande importanza per i suoi contatti e costituiscono un enorme potenziale per Israele,” ha aggiunto Cohen.

Un funzionario USA ha riferito ad Axios che l’amministrazione Biden è rimasta sorpresa quando Cohen ha svelato l’incontro dicendo che l’idea di Washington era che dovesse restare segreto.

Axios ha riferito che sabato alcuni funzionari USA hanno parlato con Cohen e altri israeliani protestando per la gestione del caso da parte del ministero degli Esteri.

Un collaboratore di Cohen ha detto che si pensava che prima o poi l’incontro sarebbe stato reso pubblico e ha deciso di fare una dichiarazione dopo che la stampa israeliana aveva chiesto del meeting al suo ufficio.

‘Affossa’ la normalizzazione Libia-Israele

La rivelazione israeliana ha causato diffuse proteste in Libia e il governo di Tripoli è stato lasciato solo ad occuparsi di domare la rivolta. Il ministro degli Esteri libico ha rilasciato una dichiarazione in cui afferma che lo scambio non ha incluso “discussioni, accordi o consultazioni”, e ha definito il meeting “un incontro casuale e non preparato”.

Il premier libico ha sospeso e poi rimosso Mangoush che a quel che si dice è fuggita in Turchia temendo per la propria sicurezza.

La Libia si è da sempre opposta alla normalizzazione dei rapporti con Israele e sostiene la causa palestinese. Le proteste aggiungono un ulteriore livello di instabilità al Paese petrolifero, diviso tra due governi rivali.

Il primo ministro Abdulhamid al-Dbeibah guida il governo con sede a Tripoli, a occidente, ed è giunto al potere nel febbraio del 2021 al termine di un processo appoggiato dall’ONU per unificare la Libia e prepararla alle elezioni. Dbeibah sta incontrando una pressione crescente affinché si dimetta, mentre l’élite politica libica ostacola il processo elettorale.

La Libia orientale è comandata da un governo sostenuto dal generale Khalifa Haftar che guida l’Esercito Nazionale Libico (LNA). Da parte sua Haftar si è messo in contatto con Israele. Nel novembre 2021 Saddam Haftar, suo figlio e comandante militare con un ruolo chiave nel LNA, ha visitato Israele.

La reazione nelle piazze libiche all’incontro di Cohen con Mangoush ha anche causato un inconsueto rimprovero a Israele, che si era abituato a rivelare pubblicamente i propri legami con gli Stati arabi.

Dal 2020 Israele ha normalizzato i suoi rapporti con Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Marocco e Sudan tramite una serie di accordi mediati dagli Stati Uniti. Anche l’Arabia Saudita sembra stia prendendo in considerazione la normalizzazione dei suoi legami e ha pubblicamente preso parte a esercitazioni militari con Israele.

Egitto e Giordania hanno stabilito relazioni diplomatiche con Israele decenni fa. Sebbene i legami pubblici siano ridotti al minimo, sono spesso annunciati incontri tra leader e funzionari. 

Tre funzionari USA e israeliani hanno riferito ad Axios che l’amministrazione Biden stava lavorando da due anni alla normalizzazione delle relazioni della Libia con Israele.

Secondo i rapporti la prospettiva di normalizzazione era stata discussa in un incontro fra Dbeibah e il direttore della CIA William Burns, che aveva visitato il Paese a gennaio. Un funzionario ha riferito ad Axios che ora, dopo la reazione negativa all’incontro in Libia, questi sforzi e quelli per normalizzare i rapporti di altri Paesi arabi con Israele sono stati danneggiati.

Ha poi concluso: “L’amministrazione Biden è preoccupata che la rivelazione dell’incontro e gli scontri ad esso seguiti non solo danneggeranno gli sforzi di normalizzare le relazioni fra Israele e Libia, ma anche quelli in corso con altri Paesi arabi”.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Bombardare i palestinesi è una “funzione pubblica”, sentenzia la Suprema Corte olandese

Ali Abunimah

25 agosto 2023 – The Electronic Intifada

 

Venerdì la Corte Suprema olandese ha confermato che due alti comandanti dell’esercito israeliano godranno dell’immunità giudiziaria riguardo ad una causa civile relativa al loro ruolo nell’uccisione da parte di Israele nel 2014 di una famiglia palestinese nella Striscia di Gaza.

La decisione conferma una sentenza del 2021 del tribunale di grado inferiore, secondo cui in base al diritto consuetudinario internazionale i funzionari di uno Stato straniero godono dell’immunità per cause civili presso i tribunali olandesi per qualunque atto compiuto nello svolgimento di una “funzione pubblica”.

Questa cosiddetta immunità funzionale rispetto alla responsabilità civile si applica anche nei casi in cui i funzionari potrebbero essere processati penalmente per crimini di guerra per le stesse presunte azioni.

Siamo delusi e arrabbiati per la sentenza odierna”, ha detto a The Electronic Intifada Ismail Ziada, il ricorrente nella causa. “La corte ancora una volta ha agito in modo codardo e vergognoso ed ha scelto di porre la politica al di sopra delle persone, bloccando l’accesso alla giustizia. La sentenza odierna non fa che aggravare l’ingiustizia che abbiamo subito.”

Ziada, un cittadino palestinese-olandese, ha denunciato Benny Gantz, capo dell’esercito israeliano all’epoca, e Amir Eshel, allora capo dell’aviazione, per la decisione di bombardare la casa della sua famiglia durante l’aggressione di Israele a Gaza nel 2014.

Da allora Gantz è stato Ministro della Difesa di Israele e vice Primo Ministro ed ora è un importate politico dell’opposizione.

Ziada chiede centinaia di migliaia di dollari di danni ai comandanti israeliani.

L’attacco israeliano ha completamente distrutto l’edificio di tre piani nel campo profughi di al-Bureij.

Ha ucciso l’anziana madre settantenne Muftia, i suoi fratelli Jamil, Yousif e Omar, la cognata Bayan ed il nipote dodicenne Shaban, oltre ad una settima persona che era in visita alla famiglia.

Nel 2019 Gantz ha condotto una campagna elettorale celebrando l’attacco del 2014 a Gaza, che uccise più di 2.200 palestinesi, compresi 551 minori.

Si vantava presso i suoi elettori di aver riportato Gaza all’ “età della pietra”.

Funzione pubblica”

L’avvocata per i diritti umani Liesbeth Zegveld, che rappresenta Ziada, ha sostenuto che l’immunità funzionale non è assoluta.

Per esempio, nel 2010 la Corte Europea dei Diritti Umani ha stabilito che “nei casi in cui l’applicazione dell’immunità di Stato rispetto alla giurisdizione limita l’esercizio del diritto di accesso ad un tribunale, la Corte deve accertare se le circostanze del caso giustificano tale limitazione.”

Ziada ha argomentato che la concessione della totale immunità civile ad uno Stato straniero e ai suoi funzionari costituirebbe una limitazione sproporzionata dei suoi diritti ai sensi della Convenzione Europea sui Diritti Umani, poiché in quanto palestinese della Striscia di Gaza non ha altro foro competente se non i tribunali olandesi dove possa fare ricorso.

Tuttavia la decisione della Corte Suprema olandese respinge tale argomentazione, il che significa che Gantz e Eshel non devono rispondere dell’uccisione dei familiari di Ziada.

E’ indiscutibile che gli accusati furono coinvolti nel bombardamento nell’esercizio della loro funzione pubblica”, stabilisce la Corte Suprema olandese. Gantz e Eshel hanno perciò “diritto all’immunità dalla giurisdizione, a prescindere dalla natura e dalla gravità della condotta denunciata nei loro confronti.”

Ma i giudici olandesi avrebbero potuto scegliere un’altra strada, aprendo un nuovo orizzonte per la protezione dei diritti umani.

Avrebbero potuto riconoscere che i tribunali olandesi devono essere accessibili a Ziada in quanto foro competente di ultima istanza e avrebbero potuto fare riferimento alla posizione del governo olandese espressa in una dichiarazione del 2016, non collegata a questo caso, secondo cui “La perpetrazione di crimini internazionali, per definizione, non può costituire una funzione ufficiale.”

L’occupazione, l’assedio e il bombardamento della Striscia di Gaza da parte di Israele costituiscono numerose, ben documentate, flagranti e gravi violazioni del diritto internazionale, che sono attuate perseguendo un intrinseco scopo illegittimo: il mantenimento di un sistema di apartheid e supremazia razziale sul popolo palestinese.

Determinati”

Ziada ha sottolineato che a maggio il Primo Ministro olandese Mark Rutte ha impegnato l’Olanda a perseguire le responsabilità per crimini di guerra in tutto il mondo, ma soprattutto in Ucraina.

Oggi si dice ai palestinesi che questo impegno non è né assoluto né universale”, ha affermato Ziada. “L’Olanda applicherà una giustizia selettiva ed offrirà l’immunità quando i palestinesi chiederanno giustizia nei confronti dei criminali di guerra israeliani.”

Certo, invece di perseguire la responsabilità penale nei confronti di coloro che hanno perpetrato presunti crimini di guerra contro i palestinesi, il governo olandese attua una politica di condivisione e gratificazione verso di loro, firmando accordi di cooperazione militare con Israele.

Ziada ha detto che la sua causa civile, iniziata cinque anni fa, “è stata una lunga ed impegnativa battaglia legale per la famiglia.”

Tuttavia siamo determinati a vedere condotti davanti alla giustizia questi criminali di guerra”, ha aggiunto.

Ziada sta riesaminando la sentenza di venerdì con i suoi avvocati e sta valutando se portare il caso alla Corte Europea dei Diritti Umani.

Speriamo che un giorno potremo ottenere giustizia per il massacro della nostra famiglia e di migliaia di altre famiglie palestinesi che hanno sofferto per mano dei criminali di guerra israeliani”, ha detto Ziada.

Ali Abunimah

Co-fondatore di The Electronic Intifada e autore di The Battle for Justice in Palestine, appena distribuito da Haymarket Books.

Ha scritto anche One country: a bold proposal to end the israeli-palestinian impasse.

Le opinioni sono esclusivamente sue.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)