Il capo delle Nazioni Unite dice a Israele di fermare gli insediamenti illegali in Palestina

Redazione di Al Jazeera

20 giugno 2023- Al Jazeera

Il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres afferma che la costruzione di insediamenti israeliani illegali su territorio palestinese provocherà “tensioni e violenze”.

Il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha esortato Israele a “cessare immediatamente tutte le attività di insediamento” nel territorio palestinese occupato, definendo il piano di Israele di procedere alla costruzione di colonie israeliane una fonte di “tensioni e violenza” e un grave ostacolo ad una pace duratura.

Il commento del capo delle Nazioni Unite arriva dopo che cinque palestinesi– tra cui un ragazzo di 15 anni – sono stati uccisi e più di 90 sono rimasti feriti negli scontri più feroci degli ultimi anni scoppiati lunedì quando le forze israeliane hanno fatto irruzione nel campo profughi di Jenin nella Cisgiordania occupata. [il dato aggiornato è di 7 morti ndr]

Primo caso del genere in quasi 20 anni, Israele ha inviato elicotteri da combattimento che hanno sparato razzi contro degli obiettivi nel campo di Jenin, mentre i militanti palestinesi hanno combattuto per ore con armi leggere e ordigni esplosivi mettendo fuori uso diversi veicoli militari israeliani intrappolando i militari all’interno. Otto soldati israeliani sono rimasti feriti negli scontri durati quasi 10 ore secondo i testimoni.

“Il Segretario Generale ribadisce che le colonie sono una flagrante violazione del diritto internazionale”, ha dichiarato lunedì Farhan Haq, vice portavoce del Segretario Generale.

L’espansione di queste colonie illegali è una notevole causa di tensioni e violenze e accresce i bisogni umanitari”, ha affermato Haq.

“Rafforza ulteriormente l’occupazione israeliana del territorio palestinese, invade la terra palestinese e le risorse naturali, ostacola la libera circolazione della popolazione palestinese e mina i legittimi diritti del popolo palestinese all’autodeterminazione e alla sovranità”, ha affermato il capo delle Nazioni Unite, secondo Haq.

Haq ha affermato che Guterres è apparso “profondamente turbato” dalla decisione di Israele di modificare le procedure di pianificazione degli insediamenti per accelerare i progetti di nuove colonie nella Cisgiordania occupata, inclusa Gerusalemme est, nonché dallo sviluppo di oltre 4.000 unità abitative nelle colonie da parte dell’autorità di pianificazione israeliana.

Domenica scorsa il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha approvato piani per migliaia di nuove unità abitative nella Cisgiordania occupata, conferendo al ministro delle Finanze di estrema destra Bezalel Smotrich ampi poteri per accelerare la costruzione di colonie che secondo il diritto internazionale sono illegali.

I piani per l’approvazione di 4.560 unità abitative in varie aree della Cisgiordania sono stati inseriti nell’agenda del Consiglio supremo di pianificazione israeliano che si riunirà la prossima settimana.

L’espansione delle colonie israeliane sembra mettere Netanyahu in rotta di collisione con il suo più stretto alleato, gli Stati Uniti, che si sono detti “profondamente turbati” dal piano di espansione delle colonie e dalle notizie di modifiche ai processi di pianificazione e approvazione delle colonie nei territori palestinesi occupati.

Le associazioni palestinesi hanno anche espresso profonda preoccupazione per il fatto che l’intera Cisgiordania possa presto finire sotto il controllo israeliano.

Il Ministro degli Esteri palestinese ha affermato che approvare l’incremento di colonie è una “pericolosa corsa a completare l’annessione della Cisgiordania”.

Khaled Elgindy, membro senior del Middle East Institute [think tank e centro culturale senza scopo di lucro e apartitico, ndt.] con sede a Washington, ha dichiarato ad Al Jazeera che le gravi affermazioni del capo delle Nazioni Unite ora devono essere sostenute da azioni sul campo.

“Le azioni di questo governo israeliano hanno accelerato praticamente ogni possibile tendenza negativa, dalla violenza sul terreno all’espansione delle colonie, agli sgomberi, alla costruzione e all’allargamento delle colonie”, ha detto Elgindy.

“A meno che tali dure parole non siano seguite da una qualche azione da parte degli attori principali come gli Stati Uniti o l’Unione Europea, una sorta di conseguenza a quelle azioni, allora saranno semplicemente ignorate come lo sono sempre state”, ha affermato.

“È davvero necessaria un’azione sul campo per sostenere quelle parole forti, e non abbiamo visto niente”, ha aggiunto.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Riduzione del numero di permessi di costruzione concessi dallo Stato di Israele ai palestinesi

Redazione di MEMO

13 giugno 2023 – Middle East Monitor

L’agenzia Wafa news ha riferito che durante il primo trimestre di quest’anno la percentuale delle licenze edilizie che lo Stato di Israele ha concesso ai palestinesi nei territori occupati è diminuito del 10%.

L’ufficio centrale di statistiche palestinese ha affermato oggi che nel primo trimestre del 2023 sono stati rilasciati nei territori palestinesi occupati, in totale 2.530 permessi di costruzione, tra cui 1.625 licenze per nuove costruzioni.

I nuovi dati mostrano una diminuzione del 10% del numero di permessi concessi ai palestinesi in confronto all’ultimo trimestre dello scorso anno.

Ai palestinesi sono raramente concesse licenze edilizie dalle autorità israeliane di occupazione, specialmente a Gerusalemme Est occupata.

Inoltre l’istituto centrale di statistica palestinese ha aggiunto che i dati hanno rivelato che il numero dei permessi rilasciati durante il primo trimestre del 2023 è diminuito del 18% in confronto al quarto trimestre del 2022 e di un altro 23% in confronto al primo semestre del 2022.

Ciò è avvenuto dopo che l’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari (OCHA) ha riferito lo scorso mese che nel primo trimestre del 2023 le forze israeliane di occupazione hanno demolito, forzato la popolazione locale a farlo o sequestrato 290 strutture possedute da palestinesi in tutta la Cisgiordania e Gerusalemme Est.

“Tutte le strutture tranne 19 sono state colpite dai provvedimenti per la mancanza di permessi di costruzione che sono quasi impossibili da ottenere da parte dei palestinesi” ha spiegato l’OCHA. “Come conseguenza 413 persone, inclusi 194 bambini, sono stati deportati e le vite o l’accesso ai servizi di altre 11.000 sono state compromesse.”

I permessi di costruzione sono rilasciati a prezzi esorbitanti e insostenibili per la maggior parte dei palestinesi, creando un escamotage che consente allo Stato di Israele di annettere una maggior quantità di terra e lasciare i palestinesi in un limbo impedendo loro di sviluppare le infrastrutture. I palestinesi che fanno richiesta di permessi spesso non hanno risposta per anni oppure vedono la loro richiesta rifiutata.

L’OCHA ha aggiunto che “il numero di strutture colpite nel primo trimestre del 2023 è aumentato del 46% rispetto allo stesso periodo nel 2022, che ha visto già il numero più alto di demolizioni registrato nella Cisgiordania e a Gerusalemme dal 2016.”

La politica ampiamente praticata dallo Stato di Israele di demolizioni di case colpendo intere famiglie è un atto di punizione collettiva illegale e è in diretta violazione del diritto internazionale in materia di diritti umani.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Adam, Fuad, Abdullah, Omar: i 28 ragazzini palestinesi uccisi quest’anno dalle forze armate israeliane

Amira Hass

12 giugno 2023-Haaretz

A Gaza Tamin di cinque anni è morto letteralmente di paura durante un’incursione aerea, Mustafa è stato colpito al cuore mentre assieme ai suoi amici tirava pietre a soldati distanti 50 metri

Le forze israeliane, di solito l’esercito, quest’anno hanno ucciso finora 28 minori in Cisgiordania e a Gerusalemme:

1° gennaio: Fuad Abed, 17 anni. Colpito all’addome e alla coscia durante un raid volto a demolire delle case nel villaggio di Kafr Dan vicino a Jenin, una punizione per un precedente attacco da parte di uno dei membri della famiglia. I giovani si stavano scontrando con gli invasori.

3 gennaio: Adam Ayyad, 15 anni. Colpito alla schiena e al braccio durante un raid nel campo profughi di Deheisheh vicino a Betlemme. I giovani lanciavano pietre e molotov contro gli invasori.

5 gennaio: Amer Zeitoun, 16 anni. Colpito alla testa, al braccio e alla gamba durante un’incursione nel campo profughi di Balata, vicino a Nablus. I giovani si stavano scontrando con i soldati invasori.

16 gennaio: Amru al-Khmour, 14 anni. Colpito alla testa durante un’incursione nel campo profughi di Deheisheh. I giovani lanciavano pietre e molotov.

25 gennaio: Wadia Abu Ramouz, 17 anni. Colpito al cuore durante scontri con la polizia di frontiera a Silwan, Gerusalemme. Il suo corpo è stato restituito alla famiglia il 2 giugno. La polizia di frontiera ha il compito di proteggere gli ebrei che si impossessano di terreni e case nel quartiere.

25 gennaio: Mohammed Ali, 16 o 18 anni. Ucciso durante un raid volto a demolire una casa nel campo profughi di Shoafat. Aveva in mano una pistola giocattolo, l’ha gettata via, è fuggito ed è stato colpito alla schiena. Alla famiglia è stato permesso di seppellirlo il 5 febbraio.

26 gennaio: Abdullah Moussa, 17 anni. Colpito al petto durante un raid nel campo profughi di Jenin e uno scontro con uomini armati.

26 gennaio: Waseem Abu Jaouz, 16 anni. Colpito durante un’incursione nel campo profughi di Jenin. È stato investito da una jeep dell’esercito mentre i soldati stavano lasciando il campo.

26 gennaio: Naif al-Awdat, 10 anni, di Nuseirat a Gaza. È morto per le ferite riportate durante un attacco aereo del 6 agosto sul villaggio di Abasan mentre tornava a casa di suo nonno da un negozio di alimentari.

7 febbraio: Hamza Ashkar, 16 anni. Colpito al petto durante un’incursione nel nuovo campo profughi di Askar, dopo aver lanciato una sbarra di ferro contro una jeep blindata mentre l’esercito si stava allontanando.

8 febbraio: Muntaser al-Shawa, 16 anni. Colpito alla testa dopo aver sparato contro l’esercito e fedeli ebrei che avevano invaso Nablus vicino al campo profughi di Balata.

13 febbraio: Qusai Waked, 14 anni. Colpito all’addome durante un’incursione nel campo profughi di Jenin.

14 febbraio: Mahmoud Ayyad, 17 anni. Colpito a un occhio durante un’incursione nel campo profughi di Far’a. Stava correndo con un ordigno esplosivo in mano.

22 febbraio: Mohammed Farid, 16 anni. Colpito durante un raid a Nablus.

3 marzo: Mohammed Salim, 17 anni. Colpito alla schiena durante un’incursione nella città di Azzun vicino a Qalqilyah, dopo che lui e altri avevano lanciato molotov sulla strada.

7 marzo: Waleed Nassar, 15 anni. Colpito all’addome mentre lanciava pietre contro i soldati che invadevano il campo profughi di Jenin.

10 marzo: Amir Odeh, 14 anni. Colpito al petto dopo aver scavalcato la barriera di separazione al checkpoint di Eyal a Qalqilyah. Ha anche lanciato una molotov contro una torre di guardia fortificata dell’esercito. Nessun soldato è rimasto ferito.

16 marzo: Omar Awadeen, 14 anni. Colpito alla schiena da forze speciali sotto copertura mentre pedalava sulla sua bicicletta a Jenin.

10 aprile: Mohammed Balhan, 17 anni. Colpito alla testa, al torace, all’addome e al bacino durante un’invasione del campo profughi di Aqabat Jabr, mentre venivano lanciate pietre lanciate contro gli invasori.

28 aprile: Mustafa Sabah, 15 anni. Colpito al cuore dopo che lui e i suoi amici avevano lanciato pietre contro i soldati a 50 metri di distanza mentre le truppe si avvicinavano al villaggio di Tekoa vicino a Betlemme.

1° maggio: Mohammed al-Lad’a, 17 anni. Colpito alla testa durante un raid nel campo profughi di Aqabat Jabr durante scontri con i soldati.

9 maggio: Mayar Ezzeddin, 11 e Ali Ezzeddin, 8. Uccisi in casa nella gigantesca prigione conosciuta come la Striscia di Gaza durante un attacco aereo. L’obiettivo: il loro padre.

9 maggio: Hajar al-Bahtini, 5 anni. Ucciso in un attacco aereo su Gaza. Il bersaglio: suo padre.

9 maggio: Eman Addas, 17 anni (e sua sorella di 19 anni). Uccise in un attacco aereo su Gaza. L’obiettivo: un loro vicino.

10 maggio: Layan Mdoukh, 10 anni. Ucciso durante un attacco aereo nel quartiere di al-Tufah a Gaza.

10 maggio: Tamim Daoud, 5 anni. Morto letteralmente di paura durante un attacco aereo su Gaza.

10 maggio: Yazen Elian, 16 anni. Ucciso in un attacco aereo su Gaza.

6 giugno: Mahmoud Tamimi, 2 anni. Colpito alla testa nel villaggio di Nabi Saleh vicino a Ramallah da una torre di guardia dell’esercito, posta lì per proteggere l’espansione della colonia di Neveh Tzuf, costruita sulla terra di Nabi Saleh

Questo elenco si basa sui dati raccolti dall’attivista di sinistra Adi Ronen Argov e dall’organizzazione israeliana per i diritti umani B’Tselem, e sui resoconti dei media.

Dal 30 settembre 2000, inizio della seconda intifada, le forze israeliane hanno ucciso 2.252 minori palestinesi, 42 dei quali lo scorso anno. Il 44% dei 5 milioni di palestinesi che vivono in Cisgiordania e a Gaza (compresa Gerusalemme) ha meno di 18 anni.

Sono nati nella realtà violenta del potere militare che governa la loro esistenza e che si è insediato nella loro terra senza riguardo per le loro vite. Questi bambini maturano velocemente, vivendo senza alcuna speranza di normalità o di un presente o futuro decente.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Il Programma Alimentare Mondiale dell’ONU sospende gli aiuti alimentari a 8.000 famiglie di Gaza per carenza di fondi

Tareq S. Hajjaj

10 giugno 2023, Mondoweiss

Il Programma Alimentare Mondiale dell’ONU ha fornito aiuto alimentare a 8.000 famiglie di Gaza che soffrono di insicurezza alimentare, ma ora sta sospendendo gli aiuti a causa di tagli di bilancio. Il risultato sarà che molte famiglie di Gaza verranno ridotte alla fame.

A una ventina di metri dalla sua casa nella principale via al- Mansoura ad al-Shuja’iyya nella parte orientale di Gaza, il cinquantenne Ameen Qaddoum sta tutto il giorno accanto al suo carretto e vende caffè, the ed altre bevande calde ai passanti. E’ parcheggiato in un quartiere residenziale, per cui la gente della zona è vicina a casa propria e non ha particolarmente bisogno del carretto di Ameen. Quando si concede una breve pausa uno dei suoi figli adolescenti prende il suo posto. Sono circa le 6 del pomeriggio ed ha guadagnato 7 shekel (2 dollari) lavorando tutto il giorno. Ad Ameen serve il guadagno di tre giorni per comprare un pollo per la sua famiglia di 8 persone.

Ameen lavorava come facchino, ma è disoccupato da oltre 17 anni. E’ a capo di una grande famiglia di 6 figli, ma solo due di loro possono andare a scuola a causa della loro grave situazione economica. Il figlio più grande, Salama, di 17 anni, ha lasciato la scuola da anni.

La maggior parte delle famiglie di Gaza versa in situazioni simili a quella di Ameen. Molte di loro ricevono aiuti alimentari in quanto non sono in grado di procurarsi abbastanza per sopravvivere e sono state giudicate dal Programma Alimentare Mondiale dell’ONU (PAM) come aventi diritto agli aiuti alimentari. Secondo il PAM il 64% degli abitanti di Gaza soffre di insicurezza alimentare. Se passano l’esame vengono inseriti in un elenco che permette loro di utilizzare una carta del supermercato che assegna ad ogni membro della famiglia 10,30 dollari al mese.

Tuttavia questo mese il PAM ha comunicato che 200.000 persone che ricevono aiuto alimentare in Palestina “non riceveranno più assistenza alimentare a causa di una grave riduzione dei fondi.” Questo fatto è assolutamente devastante per migliaia di famiglie di Gaza che non dispongono di altre congrue fonti di cibo.

Questa carta mi dà la speranza di poter procurare qualcosa da mangiare per la mia famiglia, è una piccola somma, ma certo è meglio di niente”, dice Ameen. “Tutte le volte che crediamo ci sia qualche speranza siamo lasciati a morire di fame. Ma non dovrei lottare per il cibo se non fossimo sotto occupazione.”  

Per una famiglia come quella di Ameen è appena sufficiente per comprare alcune derrate di base, come olio per cucinare, riso, fagioli e lenticchie, prodotti in scatola, verdure surgelate e poche altre cose che si possono trovare nel supermercato più vicino. Ma il 29 maggio Ameen ha ricevuto un messaggio dal PAM che gli comunicava che il suo aiuto mensile sarebbe stato temporaneamente sospeso a partire dal prossimo mese.

Per noi significa vivere’

Il PAM ha riferito che il 53% della popolazione di Gaza vive sotto la soglia di povertà e per la maggior parte di quelle famiglie il cibo è la principale risorsa più difficile a procurarsi. Secondo il PAM a Gaza due persone su tre fanno fatica ad avere da mangiare.

Quando si avvicina la fine del mese il frigorifero di Ameen è normalmente vuoto e lui attende l’inizio del mese successivo per poter ripristinare le provviste. Questa volta non si sa quanto dovrà aspettare.

A voce bassa e guardandosi alle spalle, come timoroso che qualcuno possa sentirlo, dice: “Abbiamo solo zaatar e duqqa da mangiare.” Lo zaatar, un composto di spezie essiccate ed erbe, a base di foglie di timo, viene spesso mangiato col pane, mentre la duqqa è una mistura simile per la quale Gaza è molto nota, sostanzialmente composta da frumento macinato mescolato a spezie come lo zaatar ma più economica.

Dipendiamo da questi aiuti per vivere e sopravvivere. Non è così che vogliamo vivere. Datemi qualunque lavoro a Gaza, ed io vi andrò di sicuro, ma dove potrei procurarmi il cibo per la mia famiglia?”, dice a Mondoweiss.

Secondo l’ufficio del PAM a Gaza 8.000 famiglie hanno ricevuto messaggi di sospensione temporanea. L’ufficio di Gaza non ha comunicato ulteriori dettagli, tranne che l’abbandono di queste famiglie è dovuto al taglio di fondi subito dal PAM.

Le famiglie colpite da questa interruzione sono le più povere tra i poveri a Gaza e certamente non hanno altre fonti di entrate. Non è nemmeno la prima volta che il PAM sospende gli aiuti alimentari a delle famiglie di Gaza – ma quando è accaduto in passato hanno risarcito le famiglie per i mesi in cui sono rimaste senza aiuti. Questa volta non è altrettanto certo.

Nella stessa area di al-Shuja’iyya il gestore di un supermercato mi conduce presso sette famiglie in una piccola zona a cui è stato parimenti sospeso l’aiuto. La maggior parte di loro conta più di sei membri, soprattutto bambini.

Eman Naji, di 51 anni, è madre di sei figli, uno dei quali disabile. Suo marito Mohammed, di 53 anni, è disoccupato. Anche loro hanno ricevuto lo stesso terribile messaggio dal PAM.

Nessuno ci dà niente e non c’è lavoro per nessuno dei membri della mia famiglia, sono bambini. Questi aiuti significano la vita per noi, altrimenti moriremo di fame”, dice, seduta con tre bimbi in braccio sui gradini della sua casa ad al-Shuja’iyya.

E’ difficile e doloroso vivere in queste condizioni di insicurezza alimentare”, continua. “A volte riceviamo del cibo, a volte no. Che cosa dovremmo fare nei mesi in cui non riceveremo gli aiuti? Come daremo da mangiare ai bambini in questo periodo? Nessuno ci sostiene, siamo soli.”

Ma Dio non si dimenticherà di noi”.

Danno per le attività locali

Secondo l’ONU l’80% della popolazione di Gaza dipende dagli aiuti umanitari. Le famiglie sostenute dal PAM ricevono un ammontare totale di 3 milioni di dollari in collaborazione con 300 supermercati nella Striscia di Gaza.

Le famiglie di questa zona dipendono dagli aiuti del PAM. Prendono tutto quello di cui hanno bisogno nel supermercato e il PAM paga per loro. Alcune famiglie distribuiscono gli aiuti ricevuti nel corso del mese e acquistano i prodotti ogni settimana a debito, finché non viene ricaricata la loro carta”, dice Mohammed Ziad, gestore di un supermercato ad al-Shuja’iyya.

Con i tagli del PAM anche questi supermercati saranno colpiti negativamente dall’impossibilità della gente di pagare i prodotti.

Io ho più di 10 famiglie che sono state sospese questo mese e tutte mi hanno chiesto di dar loro cibo a debito finché il PAM non fornirà nuovamente gli aiuti”, dice Mohammed. “Non ho altra scelta che dare loro quello di cui hanno bisogno. Sono miei clienti e io devo sostenerli in queste condizioni. Ma ciò influirà negativamente sul mio supermercato, in quanto non sarò in grado di comprare nuovi prodotti.”

Tareq S. Hajjaj è corrispondente da Gaza per Mondoweiss e membro dell’Unione degli Scrittori Palestinesi. Ha studiato letteratura inglese all’Università Al-Azhar di Gaza. Ha iniziato la carriera di giornalista nel 2015, lavorando come giornalista e traduttore per il giornale locale, Donia al-Watan. Ha scritto per Elbadi, Middle East Eye e Al Monitor.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Mentre Israele è scossa dalle proteste un centro culturale cisgiordano cerca di ‘rappresentare la lotta palestinese’

Charlotte Jansen

5 giugno 2023 – The Art Newspaper

L’istituzione artistica Dar Jacir è stata fondata dall’artista Emily Jacir, nata a Betlemme, per dare una sede ai creativi palestinesi

Il Dar Yusuf Nasri Jacir per l’arte e la ricerca (Dar Jacir) in via Al Khalil a Betlemme è uno dei pochi spazi culturali ancora aperti e attivi in Cisgiordania ed è facile capire perché. 

Il caratteristico edificio sanasil [con muri a secco, ndt.] con un giardino ombreggiato da olivi si affaccia sulla barriera di separazione in cemento costruita dall’esercito israeliano durante la Seconda Intifada (2000-05). Nelle vicinanze si trova un checkpoint israeliano con polizia militare, parte di una rete di centinaia di posti di blocco attraverso cui gli abitanti della Cisgiordania devono passare ogni giorno. 

Dar Jacir è spesso sulla linea del fronte negli scontri fra i giovani e l’esercito israeliano,” dice la sua direttrice, l’artista Emily Jacir. Ma Jacir è abituata a lavorare in tale contesto e dice che le recenti e storiche proteste israeliane contro i piani del governo di coalizione di Benjamin Netanyahu per la riforma della magistratura hanno avuto un “impatto zero” sul loro lavoro.

Jacir, artista, Leone d’Oro alla Biennale di Venezia 2007, e sua sorella, la regista Annemarie Jacir, dal 2018 gestiscono Dar Jacir, dove ospitano workshop di artisti, tengono corsi, proiezioni e residenze.

La proprietà fu originalmente costruita come una grandiosa casa di famiglia dall’antenato di Jacir, al Mukhtar Yusuf Jacir, archivista della cittadina, alla fine degli anni ’80 dell’Ottocento durante il periodo ottomano della Palestina (un dominio durato 402 anni, fino al 1918). Nella sua posizione è stato testimone di un paesaggio politico in drammatico mutamento in Cisgiordania. Nel 1918 le forze britanniche presero il controllo della Palestina dando inizio a una nuova era di occupazione. Questo mese segna i 75 anni dalla fine del mandato britannico sulla Palestina terminato nel 1948. Lo Stato della Palestina fu diviso in tre, in base alle disposizioni della risoluzione ONU, e i leader ebraici dichiararono lo Stato indipendente di Israele.

Storia di sopravvivenza

Nella lunga storia di occupazione di Betlemme anche Dar Jacir è passato di mano. Fra il 1929 e il 1980 è stato usato come prigione, base militare e scuola. Ma alla fine è stato riacquistato dalla famiglia Jacir e, nel 2014, il padre di Emily Jacir, Yusuf Nasri Jacir, è diventato il solo proprietario e ha deciso di aprire l’edificio al pubblico come centro culturale. La notevole storia di sopravvivenza, trasformazione e resistenza dell’edificio ne fa una sede significativa per attività culturali che promuovono l’educazione diadica e gli scambi all’interno della Cisgiordania e con il resto del mondo. 

Oggi Dar Jacir è una sineddoche. “Rappresenta la lotta palestinese locale e generale, funge da promemoria importante che i palestinesi sono attivi e continuano a produrre e essere coinvolti in processi creativi anche nella più grave delle situazioni,” dice Jacir.

Il programma di workshop e residenze di Dar Jacir spazia dai laboratori visuali e residenze di arte, cinema, danza, letteratura e agricoltura ed è completamente gestito dagli artisti. È finanziato da donazioni di numerosi sostenitori privati e i suoi partecipanti e leader dei programmi arrivano da tutto il mondo: è l’unico spazio nella Cisgiordania meridionale a offrire educazione alle arti e programmi di residenze sia a palestinesi che a studenti e professionisti internazionali.

Dar Jacir è un “modello pedagogico alternativo”, dice Jacir, risponde “alle necessità della nostra comunità, inclusi i nostri vicini nei campi profughi e a coloro che altrimenti non potrebbero avere accesso a opportunità creative e artistiche”. Anche le necessità domestiche del centro ne improntano il programma: insieme i partecipanti cucinano e si occupano del giardino. “Noi ospitiamo persone,” dice Jacir. “L’importanza del nostro diritto a ospitare è cruciale ed è qualcosa che le forze di occupazione cercano di sottrarci.” 

L’artista palestinese Vivien Sansour, ex residente, ha disegnato per Dar Jacir un terrazzamento dove ha piantato della juta, una pianta usata nello stufato mloukheyeh, un piatto tipico della cucina palestinese associato a consolazione e conforto. Durante un workshop sono state raccolte le piante e con esse preparato il mloukheyeh distribuito da un food truck. “Noi incoraggiamo gli altri a condividere le loro storie di famiglia” dice Jacir.

Il programma di Dar Jacir è condotto da artiste donne, fatto importante, dice Jacir, perché esse capiscono l’oppressione di altre donne, particolarmente quelle che vivono nei territori occupati. “Noi condividiamo così tanto con altre donne che fronteggiano l’occupazione, dal Kurdistan al Sahara occidentale,” dice. “Abbiamo già offerto residenze ed eventi pubblici organizzati a parecchie artiste palestinesi a cui prima non erano mai state date opportunità simili.” Possono offrire una piattaforma e visibilità a una rete internazionale di artiste che vivono in condizioni simili, aggiunge. 

Noi viviamo in un ambiente molto patriarcale, quindi avere uno spazio guidato da donne offre loro opportunità e modi di lavorare che portano a dei cambiamenti. Noi cerchiamo di dare un esempio alla generazione di artiste più giovani e di incoraggiarle a diventare leader che possano mediare in questo conflitto.” dice Jacir.

Per lei, nata e cresciuta a Betlemme, non è stata una conquista facile. “Ho avuto un’infanzia molto dura, ero estremamente timida e spesso bullizzata dagli altri bambini,” ricorda. “Ero troppo spaventata per aprire bocca in classe e rispondere alle domande anche quando sapevo la risposta. Non riuscivo a farmi sentire, amavo l’arte che era l’unico mezzo con cui sentivo di poter esprimere me stessa.” Le cose sono cambiate quando ha vinto una borsa di studio per la migliore artista: “All’epoca è stato veramente significativo per me.”

Negli anni ’90 Jacir era impegnata in progetti importanti che hanno formato in modo significativo la scena artistica a Ramallah, che è ancora il centro culturale della Cisgiordania. È stata fra i fondatori dell’International Academy of Art Palestine e vi ha lavorato come docente a tempo pieno per oltre un decennio. È anche stata la co-curatrice del Video Festival Internazionale della Palestina, lanciato nel 2002, il primo del suo genere in Palestina. 

La manifestazione, dice Jacir, è nata dalla necessità di avere “uno scambio bidirezionale” e non focalizzarsi solo su “noi e le nostre sofferenze. Ci stava portando a una visione miope e volevo porvi fine.” 

Ciò è anche parte della motivazione dietro alla pratica di Dar Jacir in quanto istituzione. Aggiunge che deve affrontare anche un altro problema: “Oggi gli artisti sono troppo spesso dipendenti da istituzioni che non hanno fiducia in loro o non se ne prendono cura,” fa notare.

Dar Jacir è un modello istituzionale radicale in un contesto complesso che spera di ispirare altre istituzioni nel resto del mondo. Ma, insiste Jacir, coloro che vogliano capire il lavoro che fa e i problemi che affronta “devono venire e vedere cosa sta succedendo qui con i propri occhi”.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Ci sono stati dei feriti a causa di un attacco delle forze israeliane a palestinesi che stavano seguendo il funerale di un bimbo ucciso

Redazione di Palestine Chronicle (WAFA, PC)

6 giugno 2023 – Palestine Chronicle

Due giovani palestinesi sono stati trasferiti all’ospedale dopo essere stati colpiti e feriti dalle forze israeliane nel villaggio. Le loro condizioni di salute sono state definite moderatamente gravi.

L’agenzia di notizie ufficiale palestinese WAFA ha riferito che martedì un giovane palestinese è stato colpito e ferito a un piede e un altro è stato colpito in faccia da una pallottola di acciaio ricoperta di gomma nel villaggio di Nabi Saleh, vicino Ramallah, in seguito al corteo funebre di un bambino ucciso, Mohammed Tamimi.

Centinaia di persone hanno partecipato al funerale di Mohammad Haitham Tamimi di due anni, morto lunedì, quattro giorni dopo essere stato colpito alla testa da soldati israeliani nel villaggio di Nabi Saleh.

Un attivista locale contro le colonie e contro il muro ha affermato che due giovani sono stati trasferiti all’ospedale dopo essere stati colpiti e feriti dalle forze israeliane nel villaggio. Le loro condizioni di salute sono state definite moderatamente gravi.

Le forze israeliane hanno anche attaccato gli abitanti del villaggio con una raffica di candelotti di gas lacrimogeni e granate stordenti, causando problemi respiratori a decine di persone.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Proposta di legge israeliana per impedire ai cittadini palestinesi di vivere in ‘zone ebraiche’

Elis Gjievori

6 giugno 2023 – Middle East Eye

Associazioni per i diritti umani si sono impegnate a combattere contro la proposta di legge che vedrebbe molte altre città israeliane impedire ai palestinesi di comprare o affittare appartamenti

Il governo israeliano propone una legge per “ebraizzare” la Galilea, una regione nel nord di Israele con una considerevole popolazione palestinese. 

La mossa fa parte di un accordo concluso lo scorso anno per formare il nuovo governo israeliano con i politici di estrema destra Bezalel Smotrich e Itamar Ben-Gvir, che vogliono espandere la colonizzazione ebraica nella regione.

In quanto parte del piano per “salvare la colonizzazione ebraica in Galilea,” il primo ministro Benjamin Netanyahu progetta di rafforzare significativamente la controversa legge del 2011 che darebbe a piccole comunità il potere di esaminare (e scartare) i potenziali nuovi arrivati.

Quando la legge fu approvata lo scopo era di aggirare una sentenza della Corte Suprema che proibisce alle comunità residenziali di affittare le terre solo ad ebrei.

Suhad Bishara di Adalah, il Centro legale per i diritti della minoranza araba in Israele, sostiene che le leggi danno “una discrezionalità quasi completa” a queste piccole comunità di scegliere chi ci vive.

“In pratica questa disposizione è principalmente un mezzo per scartare i cittadini palestinesi e impedire loro di risiedere in queste comunità e costituisce un meccanismo giuridico per la segregazione residenziale in molte località dello Stato di Israele,” ha detto Bishara a Middle East Eye.

All’inizio di questo mese il ministro della Giustizia Yariv Levin [del partito di Netanyahu, il Likud, ndt.] ha detto che in Israele l’acquisto di case da parte di palestinesi in paesi e cittadine sta spingendo gli ebrei a andarsene da queste zone.

“Gli arabi comprono appartamenti in comunità ebraiche in Galilea e ciò costringe gli ebrei ad abbandonare queste città perché non sono disposti a vivere con gli arabi,” dice Levin.

Ora il governo israeliano “vuole espandere e rafforzare questo sistema,” dice Bishara.

Il governo si è impegnato ad aumentare il numero di città che possono selezionare i nuovi arrivati estendendolo da quelle con 400 nuclei familiari a quelle con un massimo di 1000.

L’estensione della legge è sostenuta anche da alcuni parlamentari dell’opposizione. La prima versione della legge, che avrebbe permesso a cittadine con un massimo di 600 case di esaminare chi vi si trasferisce è stata approvata dal governo precedente.

Ufficialmente la legge non permette ai comitati di accettazione di respingere candidati alla residenza per motivi di razza, religione, genere, nazionalità, disabilità, classe, età, parentela, orientamento sessuale, Paese di origine, opinioni o affiliazione a un partito politico.

Tuttavia il testo della legge del 2011 permette ai comitati di respingere candidati che essi ritengono “inadatti al tessuto sociale e culturale” della comunità.

Sfacciata violazione della legge per i diritti umani’

All’inizio di questo mese il governo israeliano ha anche discusso una nuova proposta per imporre “valori sionisti ” in politiche governative che i critici sostengono potrebbero permettere agli ebrei israeliani di ricevere un trattamento preferenziale nella definizione dei piani regolatori e nella costruzione di case.

Cittadini palestinesi di Israele che vivono nella regione del Negev (Naqab) hanno da tempo accusato il governo israeliano di tentare con varie tattiche di sradicarli.

Queste includono la confisca di terre ai palestinesi trasformando i proprietari in affittuari. Inoltre il governo israeliano è stato accusato di impedire l’espansione dei villaggi palestinesi circondandoli con nuove colonie ebraiche.

Si intende espandere la nuova legge anche alla Cisgiordania occupata in zone dove Israele ha annesso territori in cui vivono anche palestinesi.

Bishara ha aggiunto che, se la proposta di legge passasse così com’è, potrebbe “essere soggetta a una verifica di costituzionalità in relazione alla sua applicabilità in Israele.”

“Questa è una sfacciata violazione del diritto internazionale umanitario e delle leggi per i diritti umani che si applicano alla Cisgiordania in quanto territorio occupato,” ha segnalato Bishara.

“Se approvata rafforzerebbe il meccanismo dell’annessione de facto di territori occupati e potrebbe essere considerato parte di un processo di annessione de jure, in totale violazione delle leggi relative a territori occupati,” aggiunge.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Un bambino palestinese di due anni muore dopo essere stato colpito dal fuoco dei soldati

Maureen Clare Murphy

6 giugno 2023 – The Electronic Intifada

Un bambino palestinese è morto per le ferite riportate quattro giorni dopo essere stato colpito dalle truppe israeliane, lunedì, a Nabi Saleh, un villaggio vicino a Ramallah nella Cisgiordania centrale occupata.

Defence for Children International-Palestine ha affermato che Muhammad Haitham Ibrahim Tamimi, di 2 anni, era nel retro dell’auto di suo padre fuori dalla loro casa giovedì sera “quando le forze israeliane hanno aperto il fuoco indiscriminatamente”.

L’organizazione per i diritti umani ha aggiunto che il bambino è stato colpito alla testa e suo padre alla spalla. Muhammad è stato trasportato in aereo in un ospedale vicino a Tel Aviv, dove in seguito è morto.

L’esercito israeliano afferma che uomini armati palestinesi avevano aperto il fuoco su un insediamento vicino da Nabi Saleh e che le truppe di stanza in una postazione dell’esercito hanno risposto al fuoco.

Il Times of Israel ha affermato in un titolo che Muhammad sarebbe stato “colpito per errore”.

Ma anche se il soldato non intendeva ferire il bambino, l’uso indiscriminato delle armi da fuoco in una comunità palestinese dimostra uno scellerato disprezzo per le vite dei palestinesi.

Ayed Abu Eqtaish, direttore del programma per Defence for Children International-Palestina, ha affermato: “Sparare indiscriminatamente proiettili veri in un quartiere residenziale dove non vi è alcuna minaccia per la vita di un soldato israeliano è una chiara violazione delle stesse politiche dell’esercito israeliano”,

“Le uccisioni illegali di minori palestinesi sono diventate la norma poiché le forze israeliane sono sempre più autorizzate a usare la forza letale intenzionale in situazioni che non sono giustificate”, aggiunge Abu Eqtaish.

“Questo è un crimine di guerra senza conseguenze”.

L’agenzia di stampa ufficiale palestinese WAFA ha riferito lunedì che Hassan al-Tamimi, lo zio del bambino ucciso, ha dichiarato che la famiglia intende portare il caso di Muhammad alla Corte penale internazionale.

Diverse persone nel villaggio sono state uccise negli ultimi anni, di cui due in incidenti distinti nel 2022. Altre sono state gravemente ferite e imprigionate dalle forze israeliane in quanto gli abitanti resistono all’occupazione e agli insediamenti coloniali, in particolare Halamish, che è costruito sulla terra di Nabi Saleh.

Dall’inizio dell’anno le forze israeliane hanno ucciso almeno due dozzine di minori palestinesi, 20 dei quali in Cisgiordania.

Sei minori palestinesi sono stati uccisi durante l’offensiva militare israeliana a Gaza nel mese di maggio; i rapporti iniziali indicano che due di quei ragazzi e ragazze potrebbero essere morti a causa di un razzo che non ha raggiunto il suo obiettivo in Israele.

Inoltre un bambino di 10 anni è morto a causa delle ferite alla testa subite durante un attacco israeliano a Gaza nell’agosto 2022.

Dall’inizio dell’anno ventiquattro israeliani e persone di altre nazionalità sono stati uccisi dai palestinesi nel contesto dell’occupazione, o sono morti per ferite riportate in precedenza. Quattro di loro erano minori.

Sabato, inoltre, tre soldati israeliani sono stati colpiti e uccisi da un ufficiale egiziano lungo il confine tra i due paesi. L’ufficiale egiziano è stato ucciso in una sparatoria in seguito alla sua scoperta da parte delle truppe che setacciavano la zona.

Nel frattempo, domenica, i coloni israeliani hanno attaccato Burqa, una città nel nord della Cisgiordania, lanciando pietre contro gli abitanti e le loro case.

Alla fine del mese scorso i coloni hanno iniziato a spianare la terra a Homesh, un avamposto di coloni costruito su un terreno appartenente ai palestinesi di Burqa.

I coloni hanno invaso Burqa e dato fuoco a diverse strutture nel villaggio dopo che una delegazione di diplomatici a guida europea ha visitato la comunità.

Il gruppo di monitoraggio delle Nazioni Unite OCHA ha registrato quest’anno circa 300 attacchi di coloni in Cisgiordania che hanno provocato danni alla proprietà e più di 100 che hanno provocato feriti o morti.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Israele ha bombardato questa casa, riducendo in polvere un’antica collezione

Maram Humaid

5 giugno 2023 – Al Jazeera

Un abitante di Gaza ritorna nella sua casa distrutta da un bombardamento israeliano, sperando di recuperare la sua antica collezione di oggetti che risalgono a centinaia di anni addietro.

Gaza City – Da quando il 12 maggio la sua casa è stata distrutta da un bombardamento israeliano Hazem Mohanna vi si reca ogni giorno cercando tra le macerie per ritrovare la sua antica preziosa collezione.

Il sessantaduenne ha passatp 40 anni della sua vita collezionando, come hobby, antiche monete d’argento, pietre preziose e pezzi legati al patrimonio palestinese. La sua casa di quattro piani nel quartiere al-Sahaba, nella parte orientale di Gaza City è diventata “uno straordinario museo archeologico,” dice Mohanna.

Il 12 maggio, il terzo giorno dell’ultimo attacco militare contro Gaza, mentre se ne stava in casa con la sua famiglia, Mohanna ha ricevuto una telefonata dai servizi israeliani. “Mi hanno dato solo cinque minuti per lasciare la casa”, dice a Al Jazeera.

Ero sconvolto. Mia moglie, i miei figli sposati e i miei nipoti sono immediatamente corsi fuori dall’edificio di quattro piani”, dice il padre di quattro figli.

Ho potuto salvare me e la mia famiglia, ma non ho potuto salvare i miei beni, che ho collezionato e custodito per tutta la vita”, dice con volto visibilmente triste.

Nei diversi recenti attacchi Israele ha bombardato centinaia di case a Gaza, concedendo dovunque agli abitanti da qualche ora a solo pochi minuti di preavviso per uscire, suscitando le critiche delle organizzazioni per i diritti umani.

Nel maggio 2021 Israele ha bombardato un edificio di 11 piani che ospitava il nuovo ufficio di Al Jazeera, dopo aver dato un preavviso di circa un’ora. In 11 giorni di incessanti bombardamenti israeliani sono stati uccisi circa 250 palestinesi.

La mia antica collezione significava molto per me. Vi sono pezzi preziosi che datano centinaia di anni”, dice Mohanna, funzionario della sicurezza dell’Autorità Nazionale Palestinese in pensione.

Ci sono documenti di certificazione di molti Paesi, pezzi legati alla tradizione palestinese, come vestiti ricamati, valigie e manufatti in rame”, dice.

Ci sono oggetti e memorie che non possono essere risarciti da alcuna somma di denaro, per via del nostro attaccamento ad essi. Vorrei che i miei figli ereditassero il mio piccolo museo archeologico, ma l’occupazione israeliana perseguita ogni cosa, anche le nostre memorie e i nostri hobby.”

Il vecchio collezionista non riesce ancora a trovare una ragione o una giustificazione del bombardamento della sua casa. “Siamo tutti dei semplici civili”, dice Mohanna, che ora vive in un piccolo appartamento di due stanze in affitto con i 16 membri della sua famiglia, compresi i suoi figli sposati.

Insieme ad altre centinaia di persone, è preoccupato per la ricostruzione della sua casa. Secondo il Ministero dei Lavori Pubblici almeno 20 edifici, per un totale di 56 unità abitative, sono stati completamene distrutti e 940 unità abitative sono state danneggiate durante l’escalation militare israeliana.

Finora nessuno mi ha contattato per una compensazione o almeno per pagare l’affitto dell’appartamento”, dice Mohanna. “Ci sono case distrutte nelle precedenti offensive israeliane che non sono state ancora ricostruite, perciò quando arriverà il nostro turno?”

Basta guerre’

Sabah Abu Khater, di 60 anni, dice che l’ultima escalation militare israeliana ha tolto l’allegria a suo figlio, che si sarebbe sposato dopo un mese e mezzo.

Nel pomeriggio dell’11 maggio la sua famiglia di 10 persone stava guardando le notizie nella sua casa di Beit Hanoun nel nord della Striscia di Gaza quando ha ricevuto una telefonata che ordinava di lasciare la casa perché stava per essere bombardata.

Israele ha giustificato il bombardamento di case civili affermando che venivano utilizzate da gruppi armati –un’affermazione respinta dai palestinesi.

Ho sentito i vicini gridare ‘Uscite di casa! Stanno per bombardarla!’” dice Khater.

Siamo tutti usciti immediatamente. I miei figli, le loro mogli e i miei nipotini. Siamo corsi in strada con solo i vestiti che avevamo addosso”, dice cercando le sue cose tra le macerie della sua casa di due piani.

Abbiamo concordato la dote per la sposa di mio figlio e ci stavamo apprestando a completare l’accordo dopo che la situazione si fosse calmata, ma adesso siamo nuovamente daccapo”, dice Khater riferendosi alla cifra che uno sposo deve pagare alla moglie al momento delle nozze, in base alla legge islamica.

Sono triste e col cuore spezzato per mio figlio, che ha speso un sacco di soldi e di sforzi per mettere insieme la dote e costruire la sua casa”, dice.

La gente qui a Gaza è stufa di guerre e disgrazie.”

Il figlio 26enne di Khater, Bilal Abu Khater, che sta seduto demoralizzato sulle macerie della casa della sua famiglia, racconta di aver faticosamente raccolto la dote della sua promessa sposa e preparato una modesta casa per il matrimonio.

Sono stato costretto a fare lavoro straordinario per una paga bassa, non più di 20 shekel al giorno e anche meno, che corrispondono a circa 5 euro, in aggiunta all’aiuto inviato dai miei zii e parenti all’estero”, dice.

Oggi ho dovuto lavorare di più per aiutare a costruire una nuova casa e anche a sostenere le spese dei miei famigliari, rimasti tutti senza casa”, dice Bilal Abu Khater.

I giovani della Striscia di Gaza vivono condizioni difficili a causa della mancanza di opportunità di lavoro e del perdurante blocco”, dice riferendosi al blocco terrestre, aereo e marittimo dell’enclave palestinese imposto da Israele dal 2007.

Le guerre peggiorano le cose”, dice Bilal Abu Khater.

Ci sono voluti anni per costruire la nostra casa ed ora ci vorrà molto tempo per ricostruirla”, dice con la voce spezzata, per poi ringraziare dio che la sua famiglia sia salva. “I soldi si rimediano. La cosa importante è che nessuno di noi è stato ferito.”

Nell’attacco militare israeliano iniziato il 9 maggio gli aerei da guerra israeliani hanno preso di mira case e appartamenti in tutta la Striscia di Gaza. Hanno sostenuto che il bombardamento era diretto contro il movimento della Jihad islamica, ma i palestinesi e le organizzazioni per i diritti hanno affermato che nei cinque giorni di aggressione sono stati uccisi soprattutto civili. Le fazioni palestinesi hanno lanciato razzi su Israele, uccidendo un israeliano.

Al momento in cui è entrato in vigore un cessate il fuoco mediato dall’Egitto, il 12 maggio, erano stati uccisi almeno 33 palestinesi, compresi sei minori, e feriti 190, con perdite economiche stimate in 5 milioni di dollari.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)

 




Un israeliano ucciso in una sparatoria vicino ad una colonia in Cisgiordania

Redazione di MEE

30 maggio 2023 – Middle East Eye

L’esercito sta cercando due assalitori ed ha eretto barriere nell’area attorno alla colonia di Hermesh.

Medici e fonti ufficiali dell’esercito hanno affermato che martedì un civile israeliano è stato colpito a morte vicino ad una colonia nella parte settentrionale della Cisgiordania occupata.

L’esercito israeliano ha affermato che l’uomo, identificato come Meir Tamari, è stato colpito molte volte mentre stava guidando verso l’ingresso della colonia di Hermesh. Secondo funzionari locali Tamari, di 32 anni, era un abitante della colonia a sudovest di Jenin.

L’esercito ha anche affermato che delle truppe stanno cercando i due assaltatori, senza averli ancora identificati, ed hanno eretto delle barriere dell’area circostante.

Un affiliato alle Brigate dei Martiri di Al-Aqsa (legate ad Al-Fatah) ha affermato che l’attacco è stato realizzato per vendicare palestinesi uccisi dallo Stato di Israele.

Successivamente martedì coloni israeliani hanno indetto proteste in Cisgiordania.

Il funzionario del ministero israeliano della Difesa Yoav Gallant ha detto che in seguito alla sparatoria avrebbe “organizzato una valutazione della situazione insieme ad alti ufficiali delle istituzioni della difesa”.

In precedenza sempre martedì, le forze israeliane hanno arrestato cinque palestinesi durante molteplici incursioni in Cisgiordania.

Gli incidenti sono avvenuti perché il governo di estrema destra dello Stato di Israele adotta in modo crescente politiche a favore delle colonie in Cisgiordania, nel Naqab (Negev) e in Galilea a detrimento dei palestinesi, anche di quelli con cittadinanza israeliana.

Circa 700.000 israeliani vivono adesso nelle colonie della Cisgiordania e a Gerusalemme Est occupata che sono considerate illegali dalla comunità internazionale.

La scorsa settimana, coloni israeliani residenti nella colonia di Adei Ad a nord-est di Ramallah hanno aggredito agricoltori palestinesi che stavano lavorando la loro terra tra i villaggi di Turmus Ayya e al-Mughayyir, nella Cisgiordania centrale.

I coloni hanno lanciato pietre e sparato agli agricoltori ferendo almeno cinque persone.

Nel frattempo, dall’inizio dell’anno le truppe israeliane hanno effettuato incursioni quasi giornaliere in Cisgiordania

Da gennaio almeno 117 palestinesi sono stati uccisi dalle forze israeliane e nello stesso periodo sono stati uccisi da palestinesi 19 israeliani.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)