Ebrei di estrema destra irrompono ad Al-Aqsa, palestinesi arrestati e feriti

Redazione

26 settembre 2022-Al jazeera

Ebrei ultranazionalisti entrano con la protezione della polizia israeliana nel luogo santo occupato a Gerusalemme est, vengono imposte restrizioni all’ingresso dei palestinesi.

Centinaia di ebrei ultranazionalisti sono entrati nel complesso della Moschea di Al-Aqsa nella Gerusalemme est occupata – sotto la protezione delle autorità israeliane – per il secondo giorno consecutivo, mentre la polizia israeliana ha attaccato i palestinesi radunati nel complesso e ha impedito ad altri di entrare.

La Mezzaluna Rossa palestinese afferma che almeno tre palestinesi sono stati feriti lunedì dalle forze israeliane, mentre i giornalisti riferiscono che altri 10 sono stati arrestati dentro e intorno al complesso. Le forze israeliane sono state viste usare manganelli per attaccare donne palestinesi e uomini anziani, nonché giornalisti.

I giornalisti palestinesi riferiscono che lunedì 264 israeliani ultranazionalisti sono entrati nel complesso – uno dei luoghi più sacri dell’Islam e un simbolo della nazione palestinese – nella Città Vecchia di Gerusalemme, che Israele ha occupato e annesso illegalmente nel 1967. Domenica ne sono entrati più di 400.

Il numero di ebrei ultranazionalisti – sostenitori del movimento dei coloni israeliani – che sono entrati nel complesso della moschea di Al-Aqsa è aumentato domenica e lunedì in occasione del Rosh Hashanah, o capodanno ebraico, che quest’anno cade tra il 25 e il 27 settembre.

Alcuni di coloro che sono entrati hanno pregato nel sito, nonostante esista un consenso generale tra gli ebrei ortodossi che la preghiera ebraica non sia permessa nel complesso della moschea di Al-Aqsa. La preghiera ebraica nel sito, noto anche come il Monte del Tempio per gli ebrei, è vista come dai palestinesi come una provocazione e come la fine di un’intesa decennale [tra palestinesi e israeliani, ndt.] di non consentire questa pratica.

Ciò ha portato a una tensione crescente con i palestinesi che temono tentativi da parte degli ebrei di estrema destra di impossessarsi del sito. Alcuni ebrei di estrema destra hanno apertamente espresso il desiderio di demolire le strutture musulmane nel complesso di Al-Aqsa per far posto a quello che viene chiamato il Terzo Tempio.

I palestinesi si erano radunati nel complesso nel tentativo di difendere il sito.

Un anziano palestinese, Abubakr al-Shimi, è stato ricoverato in ospedale dopo aver riportato ferite alla testa essendo stato spinto a terra dalla polizia israeliana in un incidente che è stato filmato.

Le forze israeliane hanno respinto il personale medico che tentava di curare al-Shimi.

John Hendren di Al Jazeera, riferendo dalla Gerusalemme est occupata, afferma che le violenze sono avvenute “in modo pianificato” e “con tutta evidenza non necessarie”.

Anche membri della stampa sono stati attaccati: il capo dell’ufficio dell’Agenzia turca Anadolu a Gerusalemme, Anas Janli, è stato gettato a terra in durante un alterco con la polizia.

Le forze israeliane hanno iniziato a limitare l’ingresso dei palestinesi nel complesso dopo le preghiere musulmane dell’alba alle 6 del mattino (03:00 GMT). L’ingresso di ebrei ultranazionalisti è iniziato circa un’ora dopo ed è proseguito nel pomeriggio, fino alle 14:00 circa (11:00 GMT).

Ai palestinesi di età inferiore ai 40 anni è stato vietato l’ingresso nella moschea, mentre a decine si sono radunati alla Porta delle Catene (Bab al-Silsila) e alla Porta del Leone (Bab al-Asbat) dove hanno pregato e protestato.

L’Autorità Palestinese (ANP) ha condannato quello che ha definito “l’attacco” al complesso della moschea.

Il portavoce della presidenza dell’Autorità Nazionale Palestinese, Nabil Abu Rudeineh, ha affermato che “l’attacco alla moschea di Al-Aqsa da parte dell’occupazione e dei suoi coloni rientra nel quadro dell’escalation israeliana contro il nostro popolo, la sua terra e i suoi luoghi santi” e ha avvertito che la “continuazione di queste pratiche porterà a un’esplosione della situazione con il crescere della tensione e della violenza”.

Abu Rudeineh ritiene il governo israeliano “totalmente responsabile di questa pericolosa escalation e delle sue ripercussioni”.

Altrove, nella città di Hebron occupata nel sud della Cisgiordania, i palestinesi hanno dovuto affrontare ulteriori restrizioni legate al capodanno ebraico.

Walid al-Omari di Al Jazeera riferisce che la famosa moschea Al-Ibrahimi [di Abramo, ndt.] della città, divisa tra palestinesi e coloni ebrei, è stata completamente chiusa ai palestinesi durante Rosh Hashanah: la quarta chiusura della moschea quest’anno.

La moschea è conosciuta dagli ebrei come la “Tomba dei Patriarchi”.

L’anno scorso, le crescenti tensioni per l’espulsione delle famiglie palestinesi dalle loro case a Gerusalemme sono state il catalizzatore di diffuse proteste palestinesi in Israele e nei territori palestinesi occupati.

I raid alla moschea di Al-Aqsa da parte delle forze di sicurezza israeliane durante il mese sacro del Ramadan hanno ulteriormente acuito le tensioni e quattro giorni dopo è iniziato l’assalto israeliano a Gaza durato 11 giorni.

Hendren di Al Jazeera afferma che nei prossimi giorni ci si aspetta un aumento delle scorte armate di ebrei ultranazionalisti [nel complesso di Al-Aqasa, ndt.] dato che “questi sono i giorni santi nel calendario ebraico”.

“La prossima settimana c’è Yom Kippur, il giorno più sacro nel calendario ebraico, il giorno dell’espiazione, quindi possiamo aspettarci più visite alla moschea [di Al-Aqsa]”, ha detto Hendren.

(traduzione dall’inglese di Giuseppe Ponsetti)




“Ingegneria razziale” dietro alle nuove restrizioni di Israele in Cisgiordania

Maureen Clare Murphy

26 settembre 2022 – The Electronic Intifada

Quando verranno imposte il mese prossimo, le nuove restrizioni del Ministero della Difesa israeliano all’ingresso degli stranieri nella Cisgiordania occupata violeranno i diritti fondamentali dei palestinesi, inclusa la vita famigliare.

Secondo una rete di associazioni palestinesi per i diritti umani, la procedura di 97 pagine è funzionale all’ “ingegneria razziale” della popolazione della Cisgiordania, “all’interno dello schema del regime di apartheid, che costituisce un crimine contro l’umanità”.

Queste associazioni affermano che le restrizioni limitano la libertà di movimento dei palestinesi, la possibilità di ricevere assistenza umanitaria e per lo sviluppo e di ospitare medici specialisti e altri esperti.

Queste misure colpiscono i diritti sovrani del popolo palestinese, compreso il diritto ad ospitare studiosi, artisti, atleti, studenti, turisti e volontari.”

Le associazioni chiedono all’Unione Europea di fare pressione su Israele perché “sospenda le crescenti restrizioni”. Chiedono anche che si istituisca da parte del Consiglio ONU sui Diritti Umani una missione permanente di accertamento dei fatti “per indagare su questa misura come grave violazione che rientra nella categoria della discriminazione razziale”.

Le nuove restrizioni, pubblicate all’inizio di questo mese, entreranno in vigore il 20 ottobre. Non si applicheranno agli stranieri in visita a Gerusalemme est occupata, che Israele ha annesso illegalmente ed è governata dalla legislazione civile dello Stato [di Israele].

Gli stranieri che intendono visitare la Cisgiordania, esclusa Gerusalemme est, devono farlo attraverso il confine del ponte di Allenby con la Giordania, invece che dall’aeroporto internazionale di Israele vicino Tel Aviv.

Secondo la rete delle associazioni per i diritti, coloro che intendono lavorare o studiare in Cisgiordania “devono richiedere il visto d’ingresso 45, 60 o fino a 153 giorni prima dell’arrivo e anche consegnare un dettagliato questionario relativo al loro CV (in sintesi) e a qualunque legame familiare o coniugale in Cisgiordania”.

Una precedente bozza delle restrizioni avrebbe richiesto agli stranieri di comunicare all’esercito israeliano se fossero fidanzati, sposati o conviventi con una persona palestinese.

Secondo le associazioni palestinesi per i diritti, “questa previsione scandalosa è stata in seguito rimossa dietro pressioni internazionali”.

Tuttavia le procedure modificate prevedono ancora che ogni rinnovo del visto a chi sia in possesso di visto per lavoro o per altro speciale motivo debba essere accompagnato dalla comunicazione, se è così, riguardo all’ avere un rapporto di coppia con una persona palestinese registrata all’anagrafe in Cisgiordania”.

Draconiane”

Le nuove procedure draconiane per l’ingresso e la residenza degli stranieri in Cisgiordania comprometteranno la libertà accademica delle università palestinesi e danneggeranno l’economia e la società locale”, secondo HaMoked, un’associazione israeliana per i diritti umani che ha avviato un’azione legale contro la precedente bozza di restrizioni.

Secondo HaMoked, “le visite brevi in Cisgiordania sono limitate ai parenti di primo grado dei palestinesi, agli uomini d’affari, agli investitori e ai giornalisti accreditati.

La procedura non consente le visite di altri familiari o amici in Cisgiordania, né quelle di turisti, pellegrini o a carattere culturale.”

Chiunque voglia entrare in Cisgiordania per lavorare, fare volontariato, insegnare o studiare, o chi è coniuge straniero di un palestinese, deve pagare cauzioni dal costo proibitivo” fino a 20.000 dollari, aggiunge HaMoked.

Queste direttive si applicano al personale e ai volontari delle agenzie dell’ONU e delle organizzazioni internazionali. Perciò esse impediscono “il flusso dell’assistenza umanitaria e allo sviluppo…necessaria per far fronte alle terribili condizioni di vita create dalle azioni discriminatorie di Israele”, affermano le associazioni palestinesi per i diritti.

Le nuove restrizioni distruggeranno la vita familiare di migliaia di palestinesi.

Secondo HaMoked, esse stabiliscono che Israele ha l’autorità di approvare le richieste di coniugi stranieri di risiedere in Cisgiordania e affermano che tali richieste sono “soggette a valutazioni politiche del governo israeliano.”

Israele ha congelato per oltre due decenni il processo di ricongiungimento familiare, costringendo migliaia di persone, soprattutto i coniugi stranieri di palestinesi, a vivere in Cisgiordania senza uno status legale.

Le nuove norme renderanno impossibile a uno straniero sposato con un palestinese ottenere un visto per lavoro o per studio.

Inoltre ai sensi della procedura tutti i visti verranno valutati alla luce del ‘rischio di radicamento in Cisgiordania’”, afferma HaMoked.

Con le nuove restrizioni il Ministero della Difesa di Tel Aviv ha anche l’autorità di valutare i titoli accademici dei docenti presso istituzioni della Cisgiordania.

I visti a studenti e docenti possono essere rinnovati per un massimo di 27 mesi e non c’è possibilità di garantire la titolarità della cattedra per i docenti stranieri.

Le nuove restrizioni non si applicano agli stranieri che si recano nelle colonie israeliane in Cisgiordania. Secondo HaMoked chiunque voglia studiare o insegnare all’università di Ariel nella colonia per la quale viene nominato “continuerà ad essere sottoposto alle norme molto più permissive stabilite dal Ministero dell’Interno di Israele”.

Il ministero della Difesa inoltre “stabilirà i criteri economici per l’ingresso degli uomini d’affari e degli investitori e deciderà quali professioni e progetti ‘sono importanti per la regione’”, afferma l’associazione per i diritti.

Gli stranieri possono fare volontariato presso le istituzioni palestinesi per soli 12 mesi e poi dovranno rimanere all’estero per un anno prima di poter rientrare in Cisgiordania.

Discriminatorie”

In base alle nuove restrizioni i cittadini di Giordania, Egitto, Marocco, Bahrein e Sud Sudan sono esclusi dall’ingresso in Cisgiordania, nonostante i rapporti diplomatici di questi Paesi con Israele.

Ai fini di questa procedura questa esclusione discriminatoria si applica anche a chi ha doppia nazionalità: per esempio, chi possiede sia un passaporto USA che uno giordano verrà trattato come giordano”, afferma HaMoked.

I cittadini di questi Stati devono passare attraverso “un processo separato limitato a casi eccezionali ed umanitari”.

Questa politica potrebbe causare frustrazione a Washington riguardo al trattamento discriminatorio da parte di Israele dei palestinesi americani che cercano di entrare in Israele e in Cisgiordania.

L’amministrazione Biden ha cercato di assicurarsi l’accondiscendenza israeliana con il Programma ‘US Visa Waiver’ [esonero USA dai visti], e l’ambasciatore Tom Nides a giugno ha affermato di aver lavorato “24 ore al giorno dal mio arrivo per aiutare Israele a soddisfare tutti i requisiti” per entrare nel programma.

Il programma richiede reciprocità di trattamento per i cittadini USA ad ogni passaggio di confine.

Le associazioni palestinesi per i diritti umani sottolineano che le nuove restrizioni all’ingresso in Cisgiordania coincidono con “un’escalation senza precedenti in tutto il territorio palestinese occupato, compresi trasferimenti forzati su entrambi i lati della Linea Verde”.

Le misure repressive di Israele hanno lo scopo di indebolire “le potenzialità della società palestinese, la sua resilienza e sopravvivenza e le organizzazioni della società civile”, affermano.

L’anno scorso tre delle organizzazioni firmatarie – Al-Haq, Addameer e Defense for Children International-Palestine – sono state dichiarate organizzazioni terroriste dal Ministero della Difesa israeliano ed in agosto i loro uffici in Cisgiordania sono stati assaltati dall’esercito e ne è stata ordinata la chiusura.

Maureen Clare Murphy è caporedattrice di The Electronic Intifada.

(traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Decine di soldati sono entrati in un villaggio palestinese nel cuore della notte per un “Tour Selichot”

Amira Hass

21 settembre 2022 – Haaretz

I soldati hanno assistito ad una conferenza tenuta da un civile in un sito archeologico di a-Tuwani, dove i coloni affermano che un tempo sorgesse una sinagoga. Nelle ultime notti le IDF hanno fatto ripetute irruzioni nel villaggio, per cui all’arrivo dei soldati molti erano svegli.

Da 20 a 30 soldati del genio militare, accompagnati da una forza di polizia di frontiera, sono entrati nel cuore della notte nel villaggio di al-Tuwani, nelle colline meridionali di Hebron, per effettuare una visita presso uno scavo archeologico all’interno di un’area residenziale come parte di un “tour selichot[visita rituale accompagnata da preghiere, ndtr.].

I soldati sono giunti al villaggio intorno all’una della notte tra mercoledì e giovedì della scorsa settimana, sono rimasti per circa 90 minuti e hanno assistito alla conferenza di un archeologo civile, accompagnato da un uomo e una donna in abiti civili. I selichot sono preghiere ebraiche per il perdono recitate tradizionalmente durante il mese precedente al Rosh Hashanah [capodanno civile ebraico, ndt.].

Di recente l’esercito ha spesso fatto delle irruzioni notturne nel villaggio, per cui all’arrivo dei soldati molti abitanti erano svegli non volendo essere sorpresi dalle irruzioni dei soldati nelle loro case, come ha affermato un abitante. All’interno delle case che circondano gli scavi la tensione era particolarmente alta. Un poliziotto di frontiera ha impedito agli attivisti israeliani e americani, che si oppongono all’occupazione e soggiornano permanentemente ad al-Tuwani, di avvicinarsi al luogo della conferenza.

I partecipanti erano ufficiali di stato maggiore e sottufficiali del battaglione regolare del genio di stanza presso le colline a sud di Hebron che, come riportato lunedì su Haaretz, dovevano prendere parte al tour selichot di preghiera durante un’esercitazione di diversi giorni del battaglione. A tal fine hanno tenuto i loro soldati disarmati, schierati allo scoperto nella Cisgiordania meridionale, con la presenza di un solo giovane ufficiale armato. Mentre i soldati dormivano sono stati rubati loro effetti personali ed equipaggiamento protettivo.

In uno scavo condotto ad a-Tuwani circa 11 anni fa, durante il processo di approvazione urbanistica riguardante il villaggio, sono state scoperte le rovine di un edificio pubblico. Nonostante l’assenza di iscrizioni o del simbolo della menorah [lampada ad olio a sette bracci che veniva accesa all’interno delle sinagoghe, ndt.] un’ipotesi sostiene che si tratti di una sinagoga del I o II secolo d.C. Secondo l’archeologo Yonathan Mizrachi altri resti archeologici nel villaggio testimoniano la presenza di un insediamento del periodo bizantino e del primo periodo musulmano.

Lo scorso mese, durante Tisha BAv [giorno di lutto e digiuno nel calendario religioso, ndt.], decine di israeliani hanno pregato in mezzo alla zona di scavo, che si trova nel cuore della zona abitata dai palestinesi. L’esercito ha bloccato gli ingressi al villaggio dalle 3:30 del mattino e i soldati sono saliti sui tetti per proteggere i fedeli ebrei, giunti ​​circa due ore dopo. Per diversi anni i coloni hanno cercato di etichettare il luogo come sacro per gli ebrei e gli abitanti del villaggio temono che ciò faccia parte di un piano per sfrattarli e impossessarsi delle terre del villaggio.

Le forze di difesa israeliane hanno risposto che si è trattato di un tour pianificato condotto sotto la guida di un archeologo in un’antica sinagoga situata nell’area C [in base agli accordi di Oslo sotto totale ma temporaneo controllo israeliano, ndt.], all’interno del villaggio di a-Tuwani nell’area regionale di Yehuda. Il tour è stato condotto a scopo didattico e si è concluso senza attriti con gli abitanti del villaggio”.

Due giorni prima della lezione notturna l’abitante del villaggio Hafez al-Hureini, un uomo sulla cinquantina, è stato arrestato, dopo aver difeso se stesso e altri da cinque israeliani, alcuni dei quali mascherati, i quali, giunti nella sua terra dal vicino avamposto coloniale di Havat Maon, armati di bastoni e un fucile, li avevano attaccati e avevano sparato in aria. Uno degli assalitori ha riportato una grave ferita alla testa e nell’incidente al-Hureini ha subito la frattura di entrambe le braccia. L’ episodio è stato ripreso per intero in un video, ma da allora la detenzione di al-Hureini è stata prolungata più volte, mentre gli israeliani coinvolti nell’aggressione non sono stati finora né arrestati né convocati per essere interrogati.

La notte in cui al-Hureini è stato arrestato l’esercito ha fatto irruzione due volte nel villaggio. Durante la prima incursione sono stati anche effettuati intensi lanci di granate assordanti e gas lacrimogeni nelle case. Nel corso del secondo raid alla periferia del villaggio 10 uomini sono stati arrestati e interrogati per diverse ore.

Secondo il sito web della rivista +972 [rivista indipendente e senza scopo di lucro gestita da un gruppo di giornalisti palestinesi e israeliani, ndt.] un ufficiale del servizio di sicurezza Shin Bet [agenzia di intelligence per gli affari interni dello Stato di Israele, ndt.] ha minacciato di “colpire il villaggio con il pugno di ferro” e li ha avvertiti di non invitare nel villaggio attivisti di sinistra o il ricercatore di B’tselem [ONG israeliana che raccoglie e diffonde dati sulla violazione dei diritti umani nei territori occupati, ndt.], in quanto “sono fonte di guai”. (Lo Shin Bet non ha risposto alle richieste di commento sulla questione da parte di +972 Magazine).

Il villaggio di a-Tuwani sopporta da oltre 20 anni intimidazioni, attacchi violenti e tentativi di acquisizione delle terre dei suoi abitanti da parte di israeliani che abitano o visitano l’avamposto coloniale di Havat Maon. La persistenza di questi abusi è la ragione per cui, su ordine del Comitato della Knesset [parlamento israeliano, ndt.] per il benessere dei minori, negli ultimi 18 anni le IDF sono obbligate ad accompagnare i bambini dei villaggi di Tuba e Mughayer al Abeed alla scuola di a-Tuwani. La scorsa settimana, in seguito al fatto violento, le IDF hanno annullato la scorta militare e i bambini sono stati costretti a rimanere a casa e a saltare le lezioni per due giorni.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




A Gerusalemme le scuole palestinesi scioperano contro i libri di testo imposti da Israele

Zena Al Tahhan

19 settembre 2022 – Al Jazeera

Centinaia di scuole palestinesi scioperano per protestare contro i tentativi israeliani di imporre i libri di testo israeliani.

Gerusalemme est occupata – Le scuole palestinesi nella Gerusalemme est occupata stanno facendo uno sciopero di protesta contro i tentativi del Comune israeliano di Gerusalemme di censurare e modificare i libri di testo palestinesi e di imporre a lezione un programma israeliano.

Lunedì mattina centinaia di scuole hanno chiuso i battenti come ultimo di una serie di recenti iniziative organizzate durante le scorse settimane dai genitori, che hanno incluso proteste e il rifiuto di insegnare sui libri di testo imposti da Israele.

Domenica, in un comunicato stampa congiunto, il comitato unitario dei genitori e del Forze Nazionali e Islamiche Palestinesi di Gerusalemme ha invocato uno sciopero generale e ha chiesto alle istituzioni internazionali un intervento per proteggere l’educazione palestinese.

Giornalisti e abitanti hanno condiviso decine di immagini di classi vuote e scuole chiuse il lunedì mattina.

Ziad al-Shamali, 56 anni, rappresentante del comitato unitario dei genitori, ha detto ad Al Jazeera che se i tentativi di Israele avranno successo, “controllerà l’educazione del 90% dei nostri studenti a Gerusalemme.”

Secondo al-Shamali a Gerusalemme ci sono più di 280 scuole palestinesi, con circa 115.000 studenti dall’asilo alle superiori. Egli sostiene che circa il 90-95% delle scuole sta scioperando.

Al-Shamali afferma che dall’inizio dell’anno Israele sta cercando di imporre una “versione distorta del programma dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP)” alle scuole private palestinesi.

“Lo stanno facendo con il pretesto che concedono l’accreditamento alle scuole private e che le finanziano,” dice al-Shamali, che vive nel quartiere di al-Tur nella Gerusalemme est occupata.

Le scuole per palestinesi che si trovano in città, gestite dal Comune, hanno già iniziato a insegnare la versione modificata del programma dell’ANP, prosegue, mentre le nuove scuole costruite dall’amministrazione comunale sono state obbligate ad adottare il programma israeliano.

“Ciò che sta preoccupando i genitori è che sono stati messi alle strette tra i programmi palestinesi modificati e quelli israeliani,” dice al-Shamali.

“È in corso un’israelizzazione dell’educazione palestinese,” continua, in corso dagli ultimi 10-12 anni, ma si è intensificata negli ultimi 3 anni.

“Ora stanno aggiungendo i loro contenuti come “Yossi è il vicino di Mohammed,” riguardo alle colonie, alla coesistenza,” dice al-Shamali. “Hanno giocato con i libri di testo in arabo, con la religione, la storia e ogni altro riferimento nazionale.”

Domenica notte sulle reti sociali sono stati condivisi video di abitanti che esponevano poster che dicevano “sciopero generale – sì al programma palestinese, no al programma modificato.”

In luglio le autorità israeliane hanno revocato l’accreditamento permanente a sei scuole palestinesi a Gerusalemme, sostenendo che i loro libri di testo incitano alla violenza contro lo Stato e l’esercito israeliani. Hanno avuto il permesso di restare aperte per un anno se il programma scolastico viene modificato.

La metà orientale di Gerusalemme venne occupata militarmente da Israele nel 1967 e annessa illegalmente. Circa 350.000 palestinesi attualmente vivono nella Gerusalemme est occupata, e 220.000 israeliani risiedono tra loro nelle colonie illegali.

Oggi l’86% della Gerusalemme est occupata è sotto il diretto controllo di Israele e dei coloni.

L’annessione di Gerusalemme Est non è riconosciuta da alcun Paese del mondo, salvo gli Stati Uniti, in quanto viola le leggi internazionali che stabiliscono che una potenza occupante non ha sovranità sui territori che occupa.

Nel 2009 l’amministrazione comunale di Gerusalemme ha adottato un piano generale “per guidare e delineare lo sviluppo della città nei prossimi decenni.” L’idea, come affermato nel progetto, è di creare una maggioranza demografica ebraica in modo che gli ebrei israeliani rappresentino il 70% della città e i palestinesi solo il 30%. Questo rapporto è stato in seguito modificato a 60% contro 40%.

Al-Shamali afferma che il comitato dei genitori sta progettando di continuare a protestare o intensificare le iniziative se le sue richieste non saranno accolte o se le autorità israeliane inizieranno a imporre con la forza i libri di testo modificati.

“È probabile che continueremo con lo sciopero e lo inaspriremo,” afferma. “Continueremo anche con le nostre proteste davanti alle scuole e chiederemo alle istituzioni internazionali di intervenire.”

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Una ditta israeliana taglia l’acqua in modo illegale a un villaggio beduino non riconosciuto.

Nati Yefet

19 settembre 2022 – Haaretz

La ditta Meimei Hanegev ha lasciato senz’acqua 50 famiglie della comunità di Rahma nel sud di Israele che non avevano pagato le bollette dell’acqua – ha ripreso la fornitura dopo l’intervento di Haaretz.

Una società che fornisce acqua a una parte della regione meridionale israeliana del Negev ha interrotto il servizio a decine di residenti di un villaggio beduino per non aver pagato puntualmente le bollette.

Secondo la legge l’approvvigionamento idrico non può essere interrotto per mancato pagamento se non in circostanze estreme e solo con l’approvazione di un comitato consultivo dell’Autorità idrica governativa. Dopo che Haaretz ha iniziato a indagare sulla questione il servizio è stato ripristinato.

Il provvedimento ha riguardato circa 50 membri della famiglia allargata di Awawdeh Kalab a Rahma, un villaggio beduino a est di Yeruham. Il villaggio è stato costruito senza l’autorizzazione del governo e rimane non autorizzato.

Venerdì pomeriggio è stato interrotto agli abitanti il servizio idrico perché Kalab era in arretrato di 1.900 shekel ($ 550). Afferma di essere andato a un ufficio postale il giorno prima a Yeruham per pagare 1.500 shekel di arretrato per ridurre il saldo a 400 shekel, ma di essere stato informato che l’ufficio postale non poteva accettare il pagamento a causa di un problema tecnico.

“Non ho l’intero importo ora, ma non ho intenzione di eluderlo e pagherò”, Kalab sostiene riguardo al debito. “Ho quattro bambini piccoli. Ho animali: cani, gatti, capre, cammelli, asini. Ho un cavallo. Dipendono tutti dall’acqua e pago [per l’acqua] da tre anni, quindi perché per 400 shekel mi tagliano fuori?” Kalab si lamenta anche del fatto che la disconnessione è avvenuta poco prima del fine settimana, quando gli uffici della compagnia idrica sono chiusi.

“Perché interrompono per la seconda volta la fornitura di venerdì, quando non c’è nessuno con cui parlare fino a domenica?” chiede. La fornitura d’ acqua gli è stata interrotta due volte nelle ultime settimane, afferma, una volta per due giorni e poi di nuovo per cinque giorni, fino a quando Haaretz non ha chiesto informazioni sul caso.

A seguito di una sentenza del 2004 dell’Alta Corte di Giustizia i servizi idrici possono interrompere le forniture solo in circostanze eccezionali. Nel 2015 sono state definite normative che stabiliscono le procedure che le ditte devono seguire prima di poter tagliare il servizio per mancato pagamento.

Oltre a una raccomandazione del comitato consultivo dell’Autorità idrica, [queste procedure, ndt] richiedono l’approvazione del direttore dell’Autorità idrica. In ogni caso, tali procedure sono limitate ai casi in cui sono presenti una serie di circostanze, tra cui la mancata collaborazione del debitore, il fallimento degli sforzi per riscuotere il debito e la prova della capacità del debitore di pagare. Il servizio può essere interrotto solo in relazione a debiti di almeno 1.000 shekel.

Il presidente del comitato consultivo dell’Autorità idrica sin dalla sua costituzione, il prof. Yossi Korazim, ha detto ad Haaretz che dal 2018 il comitato si è riunito solo due volte, l’ultima più di un anno fa e da allora l’Autorità idrica non ha ricevuto richieste. Nella sua risposta a questo articolo, l’autorità sostiene che il comitato si è riunito raramente a causa del numero limitato di richieste ricevute. Aggiunge di non essere a conoscenza dei casi riportati in questo articolo.

Sulla base delle informazioni fornite ad Haaretz dalle famiglie interessate a Rahma, le disconnessioni non hanno soddisfatto i requisiti dei regolamenti.

Anche Hamad Kalab, padre di sei figli che lavora come autista di trattori, ha scoperto venerdì che la sua fornitura d’acqua era stata interrotta. Ha mostrato ad Haaretz una ricevuta del martedì precedente che indicava di aver saldato un debito di 1.400 shekel con Meimei Hanegev. Tuttavia afferma di essere stato successivamente lasciato senza approvvigionamento idrico per tre giorni. “Questa è la terza volta che mi hanno tagliato l’acqua negli ultimi tre mesi.”

Meimei Hanegev nega di aver scollegato l’acqua a Hamad Kalab e conferma che aveva “pagato il suo debito e non c’era motivo di disconnetterlo”. Per quanto riguarda Awadeh Kalab, la società afferma di avere un conto in sospeso per quattro mesi di 2.250 shekel “e che tutti gli avvisi e le richieste per saldare il suo debito sono rimasti senza risposta”. Nella sua risposta ad Haaretz, la società afferma che intende presentare una richiesta all’Autorità idrica per interrompere il suo servizio.

La ditta sostiene di fornire acqua a 1.320 famiglie in villaggi beduini non riconosciuti “e nel corso degli anni non ha disconnesso i consumatori per i debiti idrici. I nostri ispettori dell’acqua sono incaricati di rispettare, servire, assistere e aiutare il pubblico dei consumatori, ed è quello che facciamo”.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)

 

 




I palestinesi del Cile celebrano la cancellazione da parte di Boric della cerimonia delle credenziali dell’ambasciatore israeliano e si aspettano altro ancora

Eman Abusidu

17 settembre 2022 – Middle East Monitor

Giovedì mattina il trentaseienne Gabriel Boric, il più giovane presidente cileno che sia mai stato eletto, ha rifiutato di ricevere il nuovo ambasciatore israeliano in Cile, Gil Artzyeli, che è stato convocato presso il palazzo presidenziale cileno per presentare le sue credenziali.

La notizia è stata riferita dal giornale cileno Ex-Ante, tuttavia il governo cileno ha negato il fatto, dichiarando che la presentazione dei documenti diplomatici è stata semplicemente rimandata: “Non è stato sospeso, ma gli è stato chiesto di rimandare fino alla seconda settimana di ottobre”. Ex-Ante ha confermato che la decisione è stata presa in considerazione: “a causa dell’uccisione di minori da parte dello Stato di Israele nella recente escalation in Cisgiordania e la crescente attività militare israeliana contro i palestinesi”.

In risposta ad una domanda da parte di Ex-ante, il ministero degli Esteri cileno ha dichiarato: “La presentazione delle credenziali dello Stato di Israele è stata riprogrammata per la seconda settimana di ottobre perchè oggi è un giorno molto sensibile a causa dell’uccisione di un ragazzo nella Cisgiordania”. Artzyeli afferma che il ministero degli Esteri cileno si è scusato con lui e con il governo israeliano per il rinvio [della cerimonia, ndt.].

Il rifiuto di Boric di ricevere il nuovo ambasciatore israeliano è stato accolto calorosamente dalla comunità palestinese in Cile. La comunità palestinese si è precipitata a complimentarsi per la decisione di Boric mediante una dichiarazione firmata dal suo presidente, Maurice Khamis Massu. La dichiarazione afferma: “La comunità palestinese del Cile apprezza molto la decisione del presidente Gabriel Boric Font di rimandare la cerimonia di accettazione delle credenziali diplomatiche del nuovo ambasciatore israeliano, perché l’esercito di occupazione israeliano ha ucciso l’adolescente Oday Salah, abitante di Kafr Dan a Jenin, nei territori palestinesi occupati.”

Massu ha anche ringraziato il presidente per il suo continuo appoggio a favore della Palestina: “Crediamo fermamente che fino a quando il mondo continuerà a trattare Israele e i suoi diplomatici come se niente fosse, la situazione dei palestinesi non migliorerà. Israele commette sistematicamente crimini di guerra, crimini contro l’umanità, violazioni dei diritti umani e sottomette la popolazione palestinese ad un regime di apartheid.




Le forze israeliane arrestano il direttore del Freedom Theatre di Jenin

Sheren Falah Saab

12 settembre 2022 Haaretz

Il Ministro della Cultura palestinese condanna l’arresto di Bilal al-Saadi al posto di blocco di Za’atara: “Fa parte della politica di abusi e oppressione che l’occupazione esercita quotidianamente”

Il direttore del consiglio di amministrazione del Freedom Theatre di Jenin è stato arrestato domenica dalle forze israeliane mentre attraversava un posto di blocco militare in Cisgiordania, come ha riferito l’agenzia di stampa palestinese Wafa. La direzione della sicurezza israeliana ha confermato che Bilal al-Saadi è stato effettivamente arrestato, “ma in questo momento non possiamo fornire ulteriori dettagli “.

Secondo una dichiarazione rilasciata dai rappresentanti del teatro, al-Saadi stava attraversando il posto di blocco militare di Za’atara tra Ramallah e Nablus insieme al produttore del teatro, Mustafa Sheta. “Entrambi stavano tornando da un incontro con il Ministro della Cultura a Ramallah. Il Freedom Theatre è in contatto con associazioni per i diritti umani che sono state messe al corrente della situazione. Stiamo cercando ulteriori informazioni e consigli e poi daremo indicazioni alle persone su come fare campagna per il rilascio di Bilal”.

Il fratello di Bilal, Yasser al-Saadi, ha confermato questi dettagli in una conversazione con il quotidiano palestinese Al Quds. Dopo che al posto di blocco le forze israeliane hanno controllato la carta d’identità di Bilal, ha detto, “lo hanno arrestato e portato via”.

Il Ministro della Cultura palestinese Atef Abu Saif ha rilasciato una dichiarazione in cui condanna l’arresto di al-Saadi. “Questo arresto fa parte della politica di abuso e oppressione che l’occupazione esercita quotidianamente contro i figli e le figlie del nostro popolo. Esercita ogni forma di oppressione e ostacolo delle istituzioni culturali palestinesi”.

Ha detto anche che al-Saadi ha contribuito a fondare il Freedom Theatre e ne è una figura chiave. “Lui e i suoi collaboratori non hanno mai smesso di immaginare un futuro nelle difficili condizioni del campo profughi e hanno contribuito a consolidare la narrativa nazionale e la denuncia dei crimini dell’occupazione”.

Al-Saadi, 48 anni, residente nel campo profughi di Jenin, ha lavorato come consigliere nel consiglio di amministrazione del teatro sin dall’inizio. È anche membro del Palestine Performing Arts Network [Sistema delle arti dello spettacolo in Palestina], che promuove collaborazioni nel campo della danza, della musica e del teatro. Un post sulla pagina Facebook del teatro riporta che Al-Saadi “crede nel ruolo dell’arte e della cultura nel portare avanti la lotta nazionale palestinese contro l’occupazione israeliana. Per lui il teatro è una voce importante nel far sentire in tutto il mondo un messaggio contro l’ingiustizia della situazione palestinese”. Nel 2011 al-Saadi era stato arrestato dall’esercito israeliano in seguito all’assassinio dell’attore arabo-ebreo Juliano Mer-Khamis, socio fondatore del teatro e suo direttore artistico.

Il Freedom Theatre è stato fondato nel 1990 da Arna Mer-Khamis, madre di Juliano. Nel 2002, al culmine della seconda Intifada, il teatro era stato chiuso e demolito dall’esercito israeliano. Nel 2006 è stato riaperto da Juliano Mer-Khamis, insieme all’ex militante Zakaria Zubeidi. Il teatro è stato istituito per insegnare ai bambini e agli adolescenti palestinesi a recitare e per aiutarli a esprimersi attraverso l’arte. Juliano Mer-Khamis ha anche istituito un consiglio internazionale per sostenere l’attività del teatro, che vanta membri di spicco come la filosofa Judith Butler e lo scrittore Elias Khoury. Prima dell’omicidio di Mer-Khamis, il teatro era stato ripetutamente vandalizzato dagli islamisti e c’erano stati due tentativi di incendiarlo; l’assassinio di Juliano rimane irrisolto.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Tribunale israeliano prolunga per la quinta volta l’arresto di una giornalista palestinese con due figli

Redazione di PNN

12 settembre 2022 – Palestine News Network

Secondo fonti locali, oggi un tribunale israeliano ha esteso per la quinta volta la detenzione di una giornalista palestinese residente a Gerusalemme est occupata e madre di due bambini.

Dopo due udienze, oggi la corte ha esteso fino a domenica prossima la detenzione della giornalista palestinese Lama Ghosheh.

Secondo il Palestinian Prisoner’s Society (PPS) [organizzazione che si occupa delle condizioni dei detenuti, n.d.t.] Ghosheh è stata portata ammanettata all’udienza e si è lamentata delle difficili condizioni della sua detenzione in isolamento nella prigione israeliana di Hasharon. È stato riportato che la giornalista ha pianto e ha implorato di essere rilasciata per riunirsi ai suoi bambini.

Lama Ghosheh, di 32 anni, sposata, madre di due bambini di due e cinque anni, laureata alla università di Birzeit, è stata posta agli arresti domiciliari nella sua casa di Sheikh Jarrah a Gerusalemme Est occupata il 4 di questo mese, quando il suo cellulare e il suo computer sono stati sequestrati.

Si ritiene che la sua detenzione sia collegata al suo lavoro di giornalista e alla difesa delle case di Sheikh Jarrah contro l’occupazione da parte dei coloni israeliani.

Il numero di giornalisti attualmente detenuti nelle prigioni israeliane è salito a 17, con tre giornaliste donne, ha affermato il PPS.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Il capo di stato maggiore delle IDF afferma che sono stati arrestati 1.500 palestinesi

Redazione di MEMO

6 settembre 2022 – Middle Est Monitor

Media locali hanno riferito che il capo di stato maggiore delle forze armate israeliane Aviv Kohavi ha dichiarato che circa 1500 ricercati palestinesi sono stati arrestati nella Cisgiordania occupata e centinaia di attacchi sono stati sventati finora come parte dell’operazione ‘Rompere l’onda’, che è stata iniziata alla fine di marzo.

Durante una riunione militare Kohavi ha aggiunto che l’incremento delle operazioni ha origine nella inefficacia dei meccanismi di sicurezza della Autorità Nazionale Palestinese (ANP) che causa la mancanza di controllo in certe aree della Cisgiordania.

Come sempre, anche di fronte a questo cambiamento della situazione, il nostro compito è proteggere i cittadini di Israele e la nostra missione è di contrastare il terrorismo. Raggiungeremo ogni città, quartiere, vicolo, casa o scantinato per quello scopo. La nostra attività continuerà e siamo preparati ad intensificarla secondo le necessità”, è stato citato dal Times of Israel.

La nostra attività continuerà e siamo preparati ad incremementarla in base alle necessità” ha aggiunto.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Dopo 12 anni in cui mi è stato insegnato a odiare, oggi andrò in prigione per dire “No”

Naveh Shabtai Levine 

6 settembre 2022, Haaretz

Lo Stato di Israele gestisce un sistema di apartheid. Gli studi di organizzazioni per i diritti umani come Amnesty International pubblicati negli ultimi anni che l’hanno accertato sono solo la conferma finale di una situazione che è chiara già da anni. Dall’occupazione dei territori nel 1967, sotto il dominio israeliano si è consolidato un intrinseco regime di discriminazione che antepone un gruppo etnico rispetto a un altro.

Nella società israeliana ebraica, quella dalla parte giusta dell’apartheid, c’è un alto livello di libertà di espressione e libertà di stampa. E nonostante ciò, l’opposizione all’apartheid all’interno della società è un fenomeno marginale, quasi impercettibile. Nell’attuale campagna elettorale, ad esempio, nessuno dei partiti della “sinistra sionista” sta ponendo al centro della sua campagna la scottante questione del controllo israeliano sui palestinesi. Al contrario, tutti cercano di sfuggire alla questione dell’apartheid come dal fuoco.

Perché l’opposizione pubblica è così scarsa? Perché in Israele non c’è un grande e influente numero di ebrei che dice “basta”. Com’è possibile che una società tecnologicamente avanzata, ben istruita e ricca non abbia espresso quasi alcuna opposizione a quello che è chiaramente un crimine orribile? Uno dei motivi principali è l’indottrinamento di cui ci nutrono da bambini e adolescenti. Avendo appena concluso 12 anni di studio posso dire che mattina, mezzogiorno e sera il sistema scolastico ci alimenta di ultranazionalismo, militarismo e violenza.

Nelle lezioni di storia ci insegnano che il popolo ebraico emigrò in Terra d’Israele e iniziò a costruire uno Stato in una “terra vuota”, grazie ai pionieri che prosciugarono le paludi e costruirono i kibbutz. In mezzo a questa terra vuota si presentarono all’improvviso degli arabi, ai quali per ragioni incomprensibili non piaceva la nostra presenza qui. Diventano violenti e intraprendono gli “eventi” (gli scontri tra ebrei e arabi nel periodo pre-statale).

Un’opportunità mancata

La storia del terrorismo palestinese inizia così. Non ci parlano dell’aggressività dei coloni ebrei, non ci insegnano l’equilibrio di potere tra gli immigrati europei che ricevevano un enorme sostegno economico dal resto del mondo e il popolo palestinese composto per la maggior parte da contadini poveri e tenaci in una remota parte dell’Impero Ottomano. Non ci dicono che l’idea del “lavoro ebraico” è un mezzo per opprimere i lavoratori arabi. E poi, quando ci insegnano che i palestinesi erano contrari al Piano di Partizione, l’unica conclusione logica è che i palestinesi siano cattivi.

Già allora – lo Stato di Israele non era ancora stato fondato e gli arabi non hanno perso l’occasione di perdere un’occasione.

Alle cerimonie del Memorial Day [dal 1963 giorno ufficiale della memoria dedicato ai soldati caduti e alle vittime del terrorismo, ndt.] ci insegnano che ogni soldato morto a causa del sanguinoso ciclo dell’occupazione israeliana è un eroe che “con la sua morte ci ha chiesto di vivere”. Ci insegnano che tutti coloro che sono caduti in battaglia lo hanno fatto per il bene del Paese, piuttosto che a causa sua e della sua politica. Nelle lezioni di educazione civica ci insegnano che lo Stato di Israele è un Paese ebraico e democratico – proprio così, semplice ed evidente, come un assioma chiaro ed eterno.

La militarizzazione raggiunge l’apice al liceo: i soldati visitano le scuole, abbiamo ore di discussioni preparatorie sull’esercito, la scuola ci prepara a essere buoni soldati. Non si accontentano solo della teoria, ci forniscono anche un’esperienza pratica con il Gadna, un programma che prepara gli studenti delle scuole superiori al servizio militare. Ci mandano in Polonia per conoscere l’Olocausto, ma lì dobbiamo alzare la bandiera israeliana “per rafforzare il senso del dovere per la continuazione della vita ebraica e l’esistenza sovrana dello Stato di Israele”. Ci insegnano nelle scuole una situazione fittizia e unilaterale secondo cui il popolo palestinese è una nazione di terroristi che ci odia senza motivo, mentre noi stiamo solo cercando di difendere la nostra casa.

C’è qualcuno che, con grande difficoltà, riesce a superare tutto questo, a volte con l’aiuto dei genitori, a volte in maniera autonoma. Sono riuscito a vedere la realtà dietro la propaganda con l’aiuto di mia madre, che mi ha portato a Sheikh Jarrah a Gerusalemme per manifestare contro le ingiustizie dello Stato ebraico. I miei amici ed io oggi rifiuteremo di arruolarci, e probabilmente passeremo del tempo in prigione perché vogliamo dire ai nostri compagni di scuola, ai giovani israeliani, che c’è una verità completamente diversa dietro la dieta di ultranazionalismo di cui siamo stati nutriti. E per chiunque stia iniziando l’anno scolastico, ho solo un suggerimento: tapparsi bene le orecchie.

L’autore è un obbiettore renitente alla leva per motivi politici.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)