Palestinese ucciso dopo essere stato pugnalato al cuore da un colono israeliano

Shatha Hammad

21 giugno 2022 – Middle East Eye

Ali Hassan Harb, 27 anni, è stato accoltellato al cuore vicino al villaggio palestinese di Iskaka, afferma il Ministero della Salute

Il Ministero della Salute palestinese riferisce che un palestinese è stato ucciso martedì dopo essere stato pugnalato al cuore da un colono israeliano.

Ali Hassan Harb, 27 anni, è stato dichiarato morto quando è arrivato all’ospedale Martyr Yasser Arafat di Salfit, nella Cisgiordania occupata, ha detto il Ministero della Salute.

Lo zio della vittima, Naim Harb, presente sulla scena dell’incidente quando è avvenuto, dichiara a Middle East Eye che la famiglia ha ricevuto una telefonata secondo cui un gruppo di coloni stava attaccando la terra della famiglia, che è adiacente all’insediamento israeliano di Ariel e che stavano distruggendo un capanno di legno che la famiglia vi aveva costruito.

Harb ha aggiunto che la famiglia e un certo numero di abitanti del villaggio – circa 10, tra cui Ali – si sono precipitati su quel terreno per difenderlo.

I coloni se ne sono andati quando li hanno visti avvicinarsi, ma sono tornati pochi istanti dopo accompagnati da membri della sicurezza dell’insediamento, che hanno iniziato a sparare in aria. Con loro è arrivato anche un soldato israeliano.

“Lo scontro all’inizio era leggero. Abbiamo cercato di mantenere le distanze e di non avvicinarci troppo a loro. Abbiamo cercato di controllarci”.

I coloni hanno quindi ripreso i loro attacchi, aggredendo gli uomini palestinesi prima che improvvisamente uno dei coloni si avvicinasse ad Ali e lo pugnalasse direttamente al cuore.

Naim conferma che l’esercito israeliano ha trattenuto Ali per circa mezz’ora e ha impedito alla famiglia di trasportarlo in ospedale, provocandone la morte.

Aggiunge a MEE: “Tutto ciò è successo sotto la protezione dell’esercito israeliano e degli agenti della sicurezza dell’insediamento, che hanno assistito all’assalto dei coloni e non li hanno fermati”, ha detto a MEE.

“I coloni e l’esercito sono una macchina per uccidere diretta contro noi palestinesi”.

Gli uliveti della famiglia Harb, parte dei quali sono stati confiscati, sono adiacenti al recinto dell’insediamento di Ariel. Naim ha sottolineato che la famiglia ha lavorato su quella terra per anni e ancora la gestisce come principale fonte di reddito.

Aggiunge che Ali era un tecnico elettrico che aveva terminato i suoi studi alla Al-Quds University tre anni fa. Aveva un lavoro come tecnico ma lavorava ancora nella terra di famiglia quando aveva tempo.

“Questa è una terra che abbiamo ereditato di nonno in padre. La lavoriamo e la custodiamo costantemente e la difendiamo e la nostra presenza su di essa oggi è il segno dell’appartenenza a questa terra”.

Riafferma che le azioni dei coloni hanno costituito una pericolosa escalation contro i palestinesi di Iskaka: “Quello che speriamo oggi è di unirci come palestinesi contro l’occupazione israeliana e di schierarci con la resistenza e di affrontare i coloni che hanno versato il nostro sangue e rubato le vite dei nostri giovani”.

“Teppisti assetati di sangue.

Hanan Ashrawi, ex membro del comitato esecutivo dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, ha condannato l’omicidio, affermando su Twitter che mentre Harb è stato accoltellato, le guardie armate dell’insediamento israeliano di Ariel hanno sparato ai palestinesi che cercavano di raggiungerlo

Ashrawi ha definito i coloni che hanno accoltellato Harb “teppisti assetati di sangue”.

La violenza dei coloni in Cisgiordania ha visto un aumento “allarmante” dal 2021, secondo gli esperti delle Nazioni Unite.

Nel 2021 sono stati registrati circa 370 attacchi di coloni che hanno causato danni alla proprietà e altri 126 attacchi hanno causato vittime.

Finora quest’anno sono state documentate più di 541 ferite ai palestinesi causate dai coloni. La violenza perpetrata dai coloni include l’uso di munizioni vere, aggressioni fisiche, attacchi incendiari e lo sradicamento degli ulivi.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Tre palestinesi uccisi dalle forze israeliane in un raid a Jenin

Redazione di Al Jazeera

17 giugno 2022, Al Jazeera

Altri dieci feriti nell’ultimo mortale raid israeliano nella Cisgiordania occupata.

Tre palestinesi sono stati uccisi e dieci feriti durante l’irruzione delle forze israeliane a Jenin nella Cisgiordania occupata, come ha riferito il Ministero della Salute palestinese.

Circa 30 veicoli militari israeliani hanno fatto irruzione a Jenin nelle prime ore di venerdì e hanno circondato un’auto nell’area di al-Marah, a est della città, sparando ai quattro uomini seduti all’interno. Tre di loro sono stati uccisi e un quarto gravemente ferito.

L’agenzia di stampa palestinese Wafa ha identificato gli uomini uccisi come Baraa Lahlouh (24 anni), Yusuf Salah (23) e Laith Abu Suroor (24).

L’esercito israeliano ha affermato in un breve messaggio in ebraico che stava conducendo un’operazione per localizzare armi in due luoghi diversi e di essere stato attaccato.

“Sono stati accertati spari contro i soldati che hanno sventato i piani dei terroristi di colpirli”, ha sostenuto l’esercito, aggiungendo di aver trovato sul posto delle armi, tra cui due fucili d’assalto M-16 e delle cartucce.

I residenti di Jenin hanno affermato di ritenere che gli israeliani avessero intenzione di demolire la casa di Raed Hazem, che il 7 aprile aveva effettuato un attentato a Tel Aviv uccidendo tre israeliani prima di essere ucciso da un colpo di arma da fuoco.

L’esercito israeliano ha intensificato i raid all’interno e intorno al campo occupato di Jenin, nel tentativo di reprimere la crescente resistenza armata palestinese.

Dilagano i timori di una possibile invasione israeliana su larga scala del campo, dove sono attivi i gruppi armati della Jihad islamica palestinese e dei movimenti di Fatah.

Secondo il Ministero della Salute palestinese, quest’anno più di 60 palestinesi sono stati uccisi dalle forze israeliane, molti dei quali in raid simili.

Da marzo una serie di attacchi palestinesi ha ucciso anche 19 persone in Israele.

La giornalista Shireen Abu Akleh, un’importante giornalista televisiva di Al Jazeera, è stata uccisa dalle forze israeliane il mese scorso a Jenin mentre stava seguendo un’operazione dell’esercito israeliano.

Un’indagine palestinese ha affermato che la giornalista – che quando è stata colpita indossava un giubbotto antiproiettile con sopra la scritta “stampa” e un elmetto da giornalista – è stata uccisa a colpi di arma da fuoco in quello che è stato descritto come un crimine di guerra.

Israele ha fatto marcia indietro rispetto alla iniziale insinuazione secondo cui Abu Akleh potrebbe essere stata uccisa da un uomo armato palestinese, ma ha ora affermato che non porterà avanti alcuna indagine penale.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




La commissione ONU sulla Palestina invita a cercare nuovi metodi per obbligare Israele a rispettare le leggi internazionali

Redazione di MEM

Martedì 14 giugno 2022 – Middle East Monitor

La commissione d’inchiesta internazionale indipendente delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati ha affermato ieri che la comunità internazionale deve urgentemente esplorare nuovi metodi per garantire che lo Stato di Israele rispetti il diritto internazionale.

L’ex commissaria ONU per i diritti umani Navy Pillay ha inviato al Consiglio per i diritti umani il primo rapporto della commissione sui territori palestinesi occupati e Israele.

Ha affermato che “anche noi siamo fermamente convinti che la continua occupazione del territorio palestinese, includendo Gerusalemme Est e Gaza, i 15 anni di assedio di Gaza e la pluriennale discriminazione all’interno dello Stato di Israele sono tutte collegate e non possono essere considerate separatamente”.

Dato il netto rifiuto da parte dello Stato di Israele di adottare concrete misure per implementare le conclusioni e le raccomandazioni delle precedenti commissioni, la comunità internazionale deve urgentemente esplorare nuove modalità per garantire l’ottemperanza al diritto internazionale.

L’ex giurista sudafricana ha affermato che la comunità internazionale non è riuscita a prendere significative misure per garantire il rispetto del diritto internazionale a parte di Israele obbligarlo a porre fine all’occupazione.

Pillay ha affermato che lo stato di “perpetua occupazione” della Palestina e la duratura discriminazione sia nello Stato di Israele sia in Palestina è la causa fondamentale della continua violenza.

L’ex responsabile della commissione ha affermato che “le minacce di deportazione forzata, le demolizioni, la costruzione ed espansione delle colonie, la violenza dei coloni e l’assedio di Gaza hanno contribuito e continueranno a contribuire a cicli di violenza.”

Ha affermato che la realtà perdurante da decenni porta ad un generale senso di disperazione e alla mancanza di ogni speranza tra i palestinesi in Palestina, Israele e nella diaspora.

Essi sono lasciati senza speranza di un futuro migliore che garantisca loro l’intero spettro dei diritti umani senza discriminazioni,” ha affermato Pillay.

La perdurante situazione di occupazione e discriminazione, ha spiegato, è usata dai palestinesi “che ricoprono incarichi di responsabilità” per giustificare le loro violazioni e irregolarità in violazione del diritto internazionale, incluso il fatto che l’autorità palestinese non sia riuscita a tenere le elezioni legislative e presidenziali.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Il Museo della Tolleranza di Gerusalemme ha poco a che fare con i musei o la tolleranza

Nir Hasson

12-giugno-2022-Haaretz

In contrasto con il Museum of Tolerance di Los Angeles, il museo di Gerusalemme costruito su un antico cimitero musulmano — non tratterà dell’Olocausto. Il grandioso progetto ospiterà invece convegni, sagre e concerti.

Negli ultimi 18 anni i gerosolimitani sono stati tenuti fuori dall’enorme complesso che si trova tra le strade di Hillel e Menashe Ben Yisrael, nel cuore della città. Solo dopo una serie infinita di lamentele – tra scandali, crisi e liti legali – l’enorme Museo della Tolleranza è stato finalmente completato e si è avuta una graduale risoluzione dell’enigma: qual è il vero scopo del grande edificio bianco?

Il termine “museo” qui è fuorviante. Anche i direttori del sito lo ammettono. Il complesso comprende due piccoli musei, ma costituiscono solo una piccola parte dello spazio assegnato e degli scopi designati per il centro. La maggior parte delle attività previste qui saranno culturali ed educative: spettacoli, convegni, proiezioni di film ed eventi legati al cibo. “Faremo rivivere il centro della città”, promettono i responsabili del museo. Nel frattempo, devono risolvere un’altra controversia con il comune.

La storia del Museo della Tolleranza è iniziata nel lontano 2004, a seguito di un accordo tra l’allora sindaco Ehud Olmert e il rabbino Marvin Hier per l’assegnazione di terreni per un nuovo progetto speciale. Hier è il direttore del Simon Wiesenthal Center e uno dei fondatori del Museum of Tolerance di Los Angeles. Ha ampi legami con donatori: politici e celebrità statunitensi. La visione originale era quella di costruire un museo progettato dal famoso architetto Frank Gehry su un lotto vuoto, tra Independence Park e la colloquialmente chiamata Cats’ Square.

Alla cerimonia di posa della pietra angolare partecipò l’allora governatore della California Arnold Schwarzenegger, che promise che i musei della tolleranza avrebbero promosso l’idea di tolleranza proprio come le palestre promuovono la salute. Ma, nonostante il fascino hollywoodiano, il progetto incontrò problemi sin dall’inizio: la posa delle fondamenta della struttura rivelò che il vecchio parcheggio era stato costruito su una parte dell’antico cimitero musulmano della città, con centinaia di scheletri che spuntavano. Ciò ritardò la costruzione del museo di diversi anni dopo che il Movimento islamico si rivolse all’Alta Corte di giustizia.

La corte alla fine permise la continuazione della costruzione. Gli scheletri furono rimossi con un controverso scavo archeologico e il museo iniziò a prendere forma. Poi arrivò la crisi economica del 2008 che fece sì che il Centro Wiesenthal incontrasse difficoltà finanziarie. Gehry decise di abbandonare il progetto a causa delle controversie finanziarie e venne sostituito dagli architetti israeliani Bracha e Michael Hayutin. Anche loro ebbero dissapori con gli impresari e abbandonarono il progetto, venendo sostituiti dall’architetto Yigal Levi. La costruzione riprese e il grande edificio bianco crebbe verso l’alto.

Il progetto ha subìto un’altra crisi in seguito allo scoppio del coronavirus. Mentre altre società di costruzioni hanno continuato a lavorare nonostante la pandemia, i lavori al museo si sono interrotti per quasi due anni perché veniva costruito senza l’utilizzo di una ditta appaltatrice. Gli impresari hanno acquistato una società di costruzioni israeliana e hanno costruito la struttura utilizzando lavoratori ed esperti provenienti principalmente dalla Cina. Quando è scoppiata la pandemia, i lavoratori erano bloccati in Cina, impossibilitati a tornare in Israele. L’anno scorso i lavori sono ripresi e l’edificio era quasi ultimato.

Nella costruzione del museo sono state utilizzate tecniche innovative e all’avanguardia. Ad esempio, dal Portogallo sono state importate decine di migliaia di pietre che ricoprono l’esterno. Rimangono appese con un sistema di ganci, con scale che sembrano sospese a mezz’aria. I direttori del museo sono orgogliosi dell’alta qualità della finitura, sconosciuta negli edifici pubblici israeliani.

Inoltre vengono utilizzati un intonaco acustico speciale importato dalla Germania, pavimenti laminati importati dagli Stati Uniti, eleganti bagni accessibili, con illuminazione all’ultimo grido, sistemi audio e multimediali all’avanguardia, nonché mobili esclusivi importati dall’Italia e dalla Spagna, finestre intelligenti, porte insonorizzate, un auditorium polifunzionale in grado di adattarsi a diversi scopi, soffitti mobili ed altro ancora. Fonti del Wiesenthal Center non dicono quali siano stati i costi totali fino ad ora, ma sono stimati in oltre mezzo miliardo di shekel (150 milioni di dollari).

Il carattere sfarzoso dell’edificio serve a sottolineare l’incertezza lunga anni sui suoi usi. In contrasto con il Museum of Tolerance di Los Angeles, dedicato principalmente allo studio dell’Olocausto, il museo di Gerusalemme, sulla base delle richieste di Yad Vashem, starà lontano dall’argomento. Con il proseguimento dei lavori i funzionari del municipio si sono resi conto che non si trattava di un normale museo, ma di una combinazione di un centro culturale, una sala congressi, un luogo di intrattenimento e una piazza cittadina.

In un’intervista con Haaretz i direttori del museo rivelano i loro progetti futuri, chiedendo un po’ più di pazienza ai residenti di Gerusalemme, promettendo che la sede diventerà il cuore pulsante della città. “Saremo una casa per tutti, dalla tenda di Abramo all’arca di Noè. Immagina di prelevare il Peres Center for Peace da Jaffa e trasportarlo a Gerusalemme”, afferma Jonathan Riss, il cui titolo è responsabile delle operazioni ma che segue questo progetto da 21 anni. “Il museo farà rivivere il centro della città”, promette.

Secondo il piano strategico preparato da Ayelet Frisch, ex consigliere di Shimon Peres, l’edificio fungerà da centro culturale con annesso luogo di intrattenimento. Nella parte anteriore c’è un giardino che commemora leader e premi Nobel. Dal giardino si accede ad un anfiteatro con una capienza di 1.000 persone.

Tra i sedili e il palco c’è un pavimento in vetro, che ricopre parti di un antico acquedotto scoperto durante i lavori. Sul palco c’è un sistema audiovisivo. L’anfiteatro si trasformerà in un cinema all’aperto, uno spazio per eventi e spettacoli e un’area meeting. All’interno dell’edificio si trova un altro teatro con 400 poltrone importate dall’Italia. Nelle pareti e nel soffitto è presente un sistema di illuminazione che può cambiare l’atmosfera nell’auditorium. L’auditorium, secondo i costruttori, sarà un centro conferenze che ospiterà eventi aziendali e allestimenti di spettacoli. Dietro il palco ci sono stanze per artisti. Altre destinazioni d’uso dell’edificio sono feste enogastronomiche, eventi per bambini e laboratori artistici.

L’edificio ha altri auditorium, aule per conferenze, uno spazio per un negozio di articoli da regalo, un ristorante, tre gigantesche cucine (carne, latticini e pareve [cibo non contenente né carne né latticini e quindi consumabile con uno degli altri due, ndt]), balconi con vista sul cimitero musulmano e sul Parco dell’Indipendenza, una sala di studio religioso con un piano separato per le donne e anche un’area per la polizia, destinata a contrastare possibili beghe provenienti da Cats’ Square. I livelli dell’edificio sono collegati tramite un sistema di scale sospese e un ascensore con una capacità di 80 persone. Le pareti dell’ascensore sono ricoperte da schermi a LED.

I due piani inferiori ospiteranno i due musei, il Museo della Tolleranza per i bambini e un Museo della Tolleranza per gli adulti. Conterranno ologrammi e sistemi multimediali che racconteranno la tolleranza nella società israeliana. Questi due spazi sono quelli più lontani dal completamento. I funzionari del museo affermano che anche se l’edificio verrà aperto presto, ci vorrà un altro anno e mezzo prima che parti del museo vengano aperte al pubblico. Il museo spera che il sito diventi una destinazione per alunni, soldati e poliziotti a Gerusalemme, un punto di riferimento per l’attività economica e culturale locale.

I funzionari del museo respingono le accuse secondo cui lo scopo dell’edificio è gradualmente cambiato nel corso degli anni e che, invece di un museo della tolleranza, Gerusalemme ha acquisito un elegante centro congressi. Dicono che tutti gli usi attualmente previsti fossero nei piani originali presentati quasi 20 anni fa. Ammettono che il nome “museo” è alquanto fuorviante e che i principali usi finali non saranno legati al museo.

Volevamo diventare un luogo che attirasse Paul McCartney a Gerusalemme, un luogo che aprisse una porta culturale nella città. Se non fosse stato per i ritardi causati dalla pandemia e dalla burocrazia l’edificio sarebbe ormai frequentatissimo, con sagre gastronomiche, spettacoli ed eventi adatti a una madre ultraortodossa e a un bambino musulmano”, afferma Frisch.

Il museo respinge un’altra affermazione: che sia legato all’ala destra dello schieramento politico. Otto mesi fa vi si è tenuto il primo evento, una cerimonia che segnava l’istituzione del Friedman Center for Peace. David Friedman era l’ambasciatore degli Stati Uniti in Israele durante l’amministrazione Trump. All’evento c’era un elenco di alti funzionari di quell’amministrazione. Un corrispondente della CNN ha descritto l’evento come “cadere nello specchio di Alice nel Paese delle Meraviglie”, in una realtà alternativa in cui Trump è ancora presidente e Benjamin Netanyahu, che ha partecipato alla cerimonia, è ancora primo ministro.

Il fatto che il museo si sia impegnato ad affrontare la tolleranza nello sport e nei sistemi sanitari e educativi, sebbene apparentemente riluttante ad affrontare i problemi reali di Gerusalemme, come l’occupazione, la discriminazione e le violazioni dei diritti umani, ha contribuito alla sua immagine di istituzione di destra. “Non ignoro il problema arabo”, dice Riss.

Il nostro obiettivo è aiutare le persone a comprendere il disagio degli altri. Non posso intraprendere la missione di cambiare la società israeliana, ma sto cercando di trovare un ponte per il dialogo culturale attraverso film e multimedia”. I direttori del museo promettono che ci sono alcuni progetti in cantiere che contrastano con la loro immagine destrorsa. Chiedono di non pubblicare i nomi delle persone che hanno l’intenzione di partecipare, solo di rilevare che provengono dal lato “liberal” dello schieramento politico americano.

Nel frattempo il museo si è trovato in un altro conflitto con il Municipio di Gerusalemme. Molte persone al comune sono stufe della lentezza del completamento del museo. Dicono che il Centro Wiesenthal ha ottenuto il terreno più desiderabile e costoso della città, ma che rimane chiuso dietro le recinzioni, inaccessibile ai gerosolimitani da troppo tempo. “Il divario tra le loro dichiarazioni e azioni è molto grande”, afferma un alto funzionario della Città.

A causa di questa frustrazione è scoppiato un conflitto su Cats’ Square, di fronte al museo. Il progetto originale prevedeva che questa piazza facesse parte del complesso museale, con un altro auditorium costruito su di essa. Ma questo avrebbe richiesto alla città di trasferire la piazza ai costruttori del museo, cosa che si rifiuta di fare. L’anno scorso il museo si è rivolto al tribunale distrettuale, chiedendo che ordinasse al comune di trasferire il terreno. Mentre continuano i procedimenti legali, la scorsa settimana la città ha approvato una dura mozione contro il museo.

La mozione rivendica la nullità dell’accordo con il museo per il trasferimento della piazza. Il consiglio comunale ha chiesto l’apertura del museo entro quattro mesi. I funzionari della Città ammettono che non possono costringere i costruttori ad aprire, ma hanno affermato che potrebbero rendere loro le cose difficili. Nel frattempo la Città si rifiuta di consentire lo svolgimento di ulteriori eventi nel luogo. Una grande festa per il Giorno dell’Indipendenza che era stata programmata lì è stata cancellata. Di fronte a questi problemi, le imprese non si impegnano a fissare una data di apertura, ma affermano che accadrà entro mesi, non anni.

“Il museo ha infranto una serie di impegni”, afferma la componente del consiglio comunale Laura Wharton (Meretz). “Non solo non hanno rispettato i tempi, hanno cambiato la finalità principale di costruire un museo, per la quale era stato concesso il terreno. I costruttori ora ammettono che l’edificio fungerà da centro congressi, con un possibile uso secondario come museo. Non c’è trasparenza sui contenuti, che fino ad ora rimangono segreti. Lasciando da parte la questione se un cimitero musulmano sia un luogo appropriato per un museo della tolleranza, che dire se un centro città sia adatto per un centro congressi o luogo per eventi sfarzosi?”

Gli impresari sono convinti che il conflitto con il municipio sarà risolto. Elogiano il sindaco Moshe Leon, promettendo che, dopo tutti questi anni, la costruzione dell’edificio è giunta alla fase conclusiva. “Ciò che rende una città una capitale è la sua attività sociale ed economica: questo è ciò che stiamo contribuendo a dare a Gerusalemme e sarà sorprendente”, afferma Riss.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Un detenuto palestinese entra nel novantaseiesimo giorno di sciopero della fame, nonostante le condizioni di salute critiche.

Redazione di Middle East Monitor

Martedì 7 giugno 2022 – Middle East Monitor

In Israele un detenuto palestinese, Khalil Awawdeh, si trova in gravi condizioni di salute in quanto è arrivato al novantaseiesimo giorno di sciopero della fame per protestare contro la sua detenzione amministrativa, senza processo o accuse.

Khalil, padre di quattro figli, è stato imprigionato il 27 dicembre 2021 e messo in detenzione amministrativa – una norma che permette alle autorità israeliane di tenere in carcere chiunque per un periodo di sei mesi senza accuse o processo e che può essere esteso indefinitamente.

Secondo la Palestinian Prisoner Society (PPS) [organizzazione non governativa, N.d.T.], il prigioniero palestinese di quaranta anni ha difficolta a parlare e a comunicare. Soffre anche di forti dolori in tutto il corpo, specialmente agli arti inferiori e ai muscoli.

In seguito alla visita alla prigione di Ramleh, nella zona centrale di Israele, un legale della PPS, Jaward Boulos, ha riferito che oltre alle difficoltà alla vista, Khalil sta anche vomitando sangue e ha difficoltà di respirazione.

In precedenza era stato trasferito in ospedale, ma poi, nonostante le sue condizioni di salute, è stato riportato nell’infermeria della prigione di Ramleh.

Ieri i palestinesi hanno organizzato una manifestazione nella Striscia di Gaza per esprimere solidarietà a Khalil e a un altro detenuto in sciopero della fame, Raed Rayan, che sta protestando anche lui per la detenzione amministrativa.

Organizzata dal Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP) [storico gruppo marxista della resistenza armata palestinese, N.d.T.], la manifestazione si è tenuta fuori dall’ufficio della Croce Rossa Internazionale a Gaza City.

Lo Stato di Israele è pienamente responsabile per la vita dei palestinesi in sciopero della fame,” ha detto alla manifestazione Awas Al-Sultan, un membro del FPLP.

Egli ha invitato le organizzazioni internazionali che si occupano di diritti umani ad inviare squadre di medici per esaminare le condizioni dei palestinesi in sciopero della fame e “per fare luce sulle sofferenze dei detenuti nelle carceri israeliane”.

Secondo l’organizzazione non governativa Palestine Prisoner Society nelle carceri israeliane ci sono circa 4.700 detenuti, di cui 600 senza accusa o processo.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Israele vuole il “completo controllo ” della terra palestinese: il rapporto delle Nazioni Unite

Redazione Al Jazeera

7 giugno 2022-Al Jazeera

La commissione indipendente istituita dal Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite afferma che Israele deve porre fine all’occupazione e cessare di violare i diritti umani dei palestinesi.

Una commissione d’inchiesta indipendente istituita dal Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite dopo l’assalto israeliano del 2021 alla Striscia di Gaza assediata ha affermato che Israele deve fare di più oltre che porre fine all’occupazione della terra che i leader palestinesi vogliono per un futuro Stato.

Secondo il rapporto pubblicato martedì, in cui si sollecita l’adozione di ulteriori azioni per garantire l’uguale godimento dei diritti umani per i palestinesi, “La fine dell’occupazione da sola non sarà sufficiente”

Il rapporto produce prove di come Israele “non ha intenzione di porre fine all’occupazione”.

Israele sta perseguendo il “completo controllo” su quello che il rapporto chiama Territorio Palestinese Occupato, inclusa Gerusalemme Est, conquistata da Israele nella guerra del 1967 e successivamente annessa con una mossa mai riconosciuta dalla comunità internazionale.

Il governo israeliano, ha affermato la commissione, ha “agito per alterare la demografia attraverso il mantenimento di un contesto repressivo per i palestinesi e un contesto favorevole per i coloni israeliani”.

Citando una legge israeliana che nega la cittadinanza ai palestinesi sposati con cittadini israeliani, il rapporto accusa Israele di offrire “stato civile, diritti e protezione legale diversi” ai cittadini palestinesi di Israele.

Più di 700.000 coloni israeliani ora vivono in insediamenti e avamposti in Cisgiordania e Gerusalemme est, dove risiedono più di tre milioni di palestinesi. Gli insediamenti israeliani sono complessi residenziali fortificati per soli ebrei e sono considerati illegali dal diritto internazionale.

Le principali organizzazioni per i diritti umani, tra cui Human Rights Watch e Amnesty International, hanno equiparato le politiche israeliane contro i palestinesi all’apartheid.

Alle radici del conflitto.

L’inchiesta e il rapporto delle Nazioni Unite hanno preso avvio dall’offensiva militare israeliana di 11 giorni nel maggio 2021 durante la quale più di 260 palestinesi a Gaza sono stati uccisi e 13 persone sono morte in Israele.

Nel maggio 2021 Hamas ha lanciato razzi contro Israele dopo che le forze israeliane avevano attaccato i fedeli palestinesi nel complesso della Moschea di Al-Aqsa, il terzo luogo sacro dell’Islam, con decine di feriti e arresti. La cosa ha fatto seguito anche alla decisione del tribunale israeliano di espellere con la forza delle famiglie palestinesi da Sheikh Jarrah, un quartiere a Gerusalemme est.

L’ambito dell’inchiesta includeva indagini su presunte violazioni dei diritti umani prima e dopo l’assalto di Israele contro Gaza e cercava anche di indagare sulle “cause profonde” del conflitto.

Hamas ha accolto favorevolmente il rapporto e ha esortato a perseguire penalmente i leader israeliani per quelli che ha definito “crimini” contro il popolo palestinese.

Anche l’Autorità Nazionale Palestinese ha elogiato il rapporto e ha richiesto anche di chiamare Israele a rendere conto dei suoi atti, “in modo da mettere fine all’impunità di Israele”.

Il Ministero degli Affari Esteri israeliano ha definito il rapporto “uno spreco di denaro e fatica”, niente più che una caccia alle streghe.

Israele ha boicottato l’indagine, accusandola di parzialità e vietando agli investigatori l’ingresso in Israele e nei territori palestinesi, costringendoli a raccogliere testimonianze a Ginevra e in Giordania.

Il rapporto sarà discusso al Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite con sede a Ginevra la prossima settimana. Gli Stati Uniti hanno lasciato il Consiglio nel 2018 per quello che hanno descritto come un “cronico pregiudizio” contro Israele e sono rientrati completamente solo quest’anno.

La commissione, guidata dall’ex capo delle Nazioni Unite per i diritti umani Navi Pillay, è la prima ad avere un mandato “permanente” dall’agenzia per i diritti umani delle Nazioni Unite.

I suoi sostenitori affermano che la commissione è necessaria per tenere sotto controllo le continue ingiustizie affrontate dai palestinesi durante decenni di occupazione israeliana.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Il contrastato disegno di legge sulla Cisgiordania non viene approvato al primo voto – un colpo alla coalizione governativa di Israele.

Redazione

6 giugno 2022 – Haaretz

Due membri della coalizione di Bennett rompono i ranghi e votano contro l’estensione dei regolamenti di “emergenza” che applicano la legge israeliana alla Cisgiordania.

La coalizione di governo israeliana lunedì non è riuscita a far approvare un disegno di legge che prolunghi la durata della normativa che estende la legge israeliana ai coloni in Cisgiordania: 58 deputati hanno votato contro la legislazione e 52 l’hanno approvata.

Il disegno di legge aveva lo scopo di estendere la normativa “di emergenza” in vigore dal 1967 e rinnovata da allora ogni cinque anni.

La coalizione di governo può provare a riproporre il disegno di legge ad un altro voto entro il primo luglio, dopodiché decadrà.

Il governo aveva considerato di porre la fiducia per costringere tutti i deputati della United Arab List e la deputata di Meretz Ghaida Rinawie Zoabi a sostenere il disegno di legge. Alla fine, la legge è stata sottoposta a una votazione normale [senza la fiducia, ndt.]

Fonti governative hanno fatto sapere che la coalizione aveva deciso di non permettere a Rinawie Zoabi di raggiungere alcun risultato politico significativo nella speranza di convincerla a dimettersi dalla Knesset, aggiungendo che questa decisione deriva dal suo comportamento nelle ultime settimane e dalle sue ripetute minacce di non votare con il resto della coalizione, inclusa l’estensione della normativa in questione.

Il deputato Idit Silman – le cui improvvise dimissioni dalla coalizione ad aprile la hanno privata della sua esigua maggioranza – era assente dal voto e Rinawie Zoabi ha votato contro la legge.

Rinawie Zoabi in seguito ha dichiarato di aver votato contro il disegno di legge poiché “è mio dovere essere dalla parte giusta della storia delegittimando l’occupazione e sostenendo il diritto fondamentale del popolo palestinese a fondare un paese accanto allo Stato di Israele”.

Se la misura decadrà alla fine di giugno gli israeliani che commettono crimini in Cisgiordania saranno portati davanti ai tribunali militari israeliani e sconteranno la pena in Cisgiordania. Inoltre la polizia israeliana non potrà più indagare su presunti crimini commessi da israeliani in Cisgiordania, né su coloro che hanno commesso crimini all’interno di Israele e sono fuggiti in Cisgiordania.

Inoltre gli israeliani che vivono in Cisgiordania probabilmente non avranno più diritto alla Sanità statale, all’appartenenza all’Ordine degli avvocati israeliani o a godere di altri diritti e privilegi a cui hanno diritto per la legge israeliana. La mancata estensione della normativa avrebbe conseguenze anche sull’ingresso in Israele, sul reclutamento militare, sulla tassazione, sul registro della popolazione, sull’adozione di bambini e altre questioni.

Il partito Yamina del primo ministro Naftali Bennett ha rilasciato una dichiarazione in cui afferma che i deputati ebrei ortodossi e arabi hanno unito le forze contro i residenti [i coloni, ndt.] della Cisgiordania, aggiungendo che “il Likud vedrà il paese in fiamme per gli interessi di Bibi” chiamando il leader dell’opposizione Benjamin Netanyahu con il suo soprannome.

Commentando la fallita votazione il ministro della Difesa Benny Gantz ha dichiarato: “Abbiamo meno di un mese per assicurarci che la Cisgiordania non si trasformi nel selvaggio West a causa di interessi politici” e ha invitato tutti i membri della Knesset ad agire in modo responsabile e a “mettere Israele al primo posto”.

Il leader della Lista Araba Unita e membro della coalizione Mansour Abbas, anch’egli assente dal voto, ha affermato che “ogni coalizione affronta delle sfide, ma per noi è importante andare avanti”. “Ci sono buone probabilità che il governo non cada, è troppo presto per definirlo un esperimento fallito”, ha aggiunto.

Il ministro delle finanze Avigdor Lieberman ha twittato che, mentre Netanyahu ha “abbandonato” i coloni, la coalizione continuerà a sostenerli “e farà qualsiasi cosa in nostro potere per approvare la legge la prossima settimana”.

Il deputato di destra Bezalel Smotrich ha dichiarato: ” Questa sera il governo ha dimostrato ancora una volta che si appoggia agli antisionisti e che non può prendersi cura dei bisogni e dei valori più elementari dei cittadini israeliani”.

(traduzione dall’ Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Pacifisti israeliani usano i bulldozer per combattere l’occupazione

Oren Ziv e Haggai Matar

1 giugno 2022 – +972 Magazine

Una manifestazione contro un avamposto di coloni mostra come gli attivisti israeliani dopo le proteste contro Netanyahu adottino sempre di più interventi radicali.

“Veniamo a smantellare l’avamposto di Homesh!” afferma lo slogan diffuso sui social media due settimane fa da un gruppo di organizzazioni israeliane di sinistra, che annunciava l‘intenzione di presentarsi sabato scorso, 28 maggio, armato di un bulldozer, presso l’insediamento coloniale non autorizzato nella Cisgiordania settentrionale.

Come molti si aspettavano, l’esercito ha impedito al bulldozer di entrare in Cisgiordania e ha arrestato l’autista nel parcheggio della stazione ferroviaria di Rosh Ha’ayin, dove gli attivisti si erano radunati sabato mattina prima di proseguire verso Homesh. Ma i manifestanti non si sono arresi senza combattere: hanno circondato l’auto della polizia per cercare di impedire l’arresto del conducente del bulldozer, e si sono sdraiati sulla strada costringendo gli agenti di polizia a rimuoverli ripetutamente con la forza.

Alla fine gli attivisti hanno proseguito verso Homesh, ma l’esercito e la polizia hanno fermato i loro autobus fuori dall’insediamento di Kedumim, a diversi chilometri di distanza dal loro obiettivo. Così gli attivisti hanno deciso di tenere lì la manifestazione.

Sabato, al di là dell’evidente ostinazione degli attivisti, il concetto stesso di “prendere in mano la legge” ha rappresentato un notevole cambiamento tattico da parte di determinati gruppi che hanno avviato l’azione, suscitando grande scalpore sui media e online tra i commentatori di destra e di sinistra.

Prima dell’azione di protesta gli organizzatori hanno affermato che tale cambiamento tattico è il risultato dell’immissione nel campo contrario all’occupazione di attivisti provenienti dal movimento di protesta “Balfour” del 2020-21, che cercava di estromettere l’ex primo ministro Benjamin Netanyahu dall’incarico (e così chiamato per la via in cui si trova la residenza del Primo Ministro a Gerusalemme). Infatti, coloro che per molti anni hanno partecipato alle proteste di sinistra a Sheikh Jarrah, nelle colline a sud di Hebron o a Lydd, o hanno accompagnato i pastori palestinesi nella Valle del Giordano rischiando interventi violenti di militari o coloni, hanno salutato l’arrivo di volti nuovi provenienti dalle proteste del Balfour dello scorso anno, pieni di energia e nuovi spunti di azione.

Ora, dopo aver assorbito i nuovi attivisti dalle proteste di Balfour, i gruppi contro l’occupazione coinvolti nella manifestazione di Homesh stanno iniziando ad adottare le tattiche di protesta che li avevano caratterizzati. Gli attivisti hanno rimarcato come la loro insoddisfazione verso il cosiddetto governo del cambiamento” – che ha sostituito Netanyahu un anno fa giustifichi la richiesta di un approccio diverso alla questione palestinese, il che costituirà una sfida più dura al sistema.

“Questa protesta [di sabato] è una continuazione delle tattiche e della mentalità che abbiamo visto con Balfour”, afferma Dana Mills, direttrice esecutiva ad interim di Peace Now [Pace adesso, movimento progressista pacifista non-governativo israeliano, ndtr.]. In quelle manifestazioni, continua, era presente una sfida nei confronti dei limiti imposti dalla legge, una testimonianza sul fatto che la nostra voce non viene ascoltata e che il sistema non funziona. Quello che sta succedendo nei territori occupati è illegale e immorale, e io voglio contestare la legge”.

Oltre a Peace Now, la protesta è stata sostenuta dalle organizzazioni per i diritti umani Breaking the Silence, Combatants for Peace e Machsom Watch, i gruppi di sinistra Mehazkim, Zazim, Harvest Coalition e Jordan Valley Activists e da tre gruppi che si sono formati all’interno o sulla scia delle proteste di Balfour: Ministro del crimine, Madri contro la violenza e Guardare negli occhi l’occupazione.

Una tradizione di azioni mirate

L’azione mirata degli attivisti israeliani in Cisgiordania non costituisce una novità: attivisti di gruppi di sinistra radicale come Anarchists Against the Wall [Anarchici contro il Muro, ndtr.] e Ta’ayush [Insieme in arabo, ndtr.] hanno iniziato a unirsi alle proteste dei palestinesi e ad accompagnare i pastori nelle aree rurali già all’inizio degli anni 2000. In questi giorni attivisti di molti dei gruppi che sabato hanno partecipato alla manifestazione di Homesh partecipano regolarmente alle proteste e alla raccolta delle olive con i palestinesi.

Tuttavia la sensazione ora è che questo genere di visione si sia spostato dalla sinistra radicale all’opinione corrente della sinistra sionista, motivo per cui questo evento ha attirato in anticipo un’attenzione e una copertura più ampie ed è apparso in primo piano nei principali siti di notizie sabato mentre si svolgevano gli eventi.

“Questo è per noi sicuramente un passo avanti”, aggiunge Mills. “È un cambio di tattica. Non vogliamo lavorare solo nell’ambito delle regole costituite. Peace Now era in passato un movimento i cui attivisti bloccavano le strade o si sdraiavano davanti ai bulldozer”.

Mills ritiene che il cambiamento di approccio rifletta la disillusione nei confronti del cosiddetto “governo del cambiamento”. “Questo governo è più a destra rispetto ai governi precedenti senza [i partiti di sinistra] Meretz e Labour, sta costruendo più unità abitative negli insediamenti coloniali rispetto ai suoi predecessori e, per sopravvivere, non mantiene nessuna delle sue promesse riguardo all’occupazione, prosegue. I partiti di sinistra non vogliono agitare le acque. Quindi la domanda è: qual è il nostro ruolo qui?”

La scelta di puntare su Homesh per questa azione non è stata casuale. Non solo l’avamposto non è autorizzato, ma si trova anche in un’area in cui la legge proibisce agli israeliani di insediarsi. Inoltre, nel 2013 l’Alta Corte ha stabilito che agli agricoltori palestinesi della zona dovrebbe essere consentito l’accesso alla loro terra, ma da allora si sono verificati numerosi attacchi violenti contro i palestinesi da parte dei coloni. Proprio la scorsa settimana il ministro della Difesa Benny Gantz e il ministro degli Esteri (e primo ministro supplente) Yair Lapid hanno ribadito che l’avamposto coloniale deve essere demolito.

Dopo che nel dicembre 2021 Yehuda Dimentman, studente ebreo della Yeshiva [istituzione educativa ebraica che si basa sullo studio dei testi religiosi tradizionali, ndtr.] di Homesh (che i coloni hanno edificato senza autorizzazione) è stato ucciso a colpi di arma da fuoco da palestinesi, la presenza ebraica nell’area è aumentata. I coloni hanno tenuto diverse marce di protesta illegali con la partecipazione di membri della Knesset , che l’esercito non solo non ha impedito, ma ha presidiato e accompagnato. Il movimento dei palestinesi nell’area, nel frattempo, è stato fortemente interdetto.

É una necessaria evoluzione

“Sono contento che queste organizzazioni abbiano adottato un nuovo approccio: è importante”, ha affermato Yishai Hadas, che è stato uno degli attivisti più importanti del movimento di Balfour e tra i fondatori di Ministero del crimine. Sabato mattina Hadas è stato arrestato preventivamente dalla polizia mentre si recava in auto alla protesta per sospetto di disturbo della quiete.

“Siamo consapevoli che ripetere le stesse cose non porti dei risultati, quindi è tempo di fare qualcosa di leggermente diverso per raggiungere il generale dibattito pubblico”, continua Hadas. “Le cose potrebbero non cambiare immediatamente, ma è impossibile che una parte [la destra] sia iperattiva e una parte [la sinistra] sia calma e gentile e continui come se tutto fosse normale”.

Alec Yefremov, direttore degli interventi pubblici di Peace Now, è lui stesso un’incarnazione del passaggio dalle proteste di Balfour a quelle contro l’occupazione. “C’è una marea di persone che si sono ritrovate in questa lotta, e ha molto senso”, continua. “Le persone si sono riunite nell’emergenza di una battaglia contro la minaccia immediata di una dittatura [all’interno di Israele], e quando quella minaccia è stata dissolta sono passate alla successiva questione più scottante”.

Secondo Yefremov, questo afflusso non solo ha portato nuove persone, ma anche un modo diverso di lottare rispetto a quello che ha caratterizzato in precedenza il vecchio campo politico di una sinistra un po’ assopita. Con Balfour ci siamo resi conto che non basta stare accanto alla polizia e manifestare in piazza all’interno delle loro regole. Si deve lanciare una sfida, essere tenaci e forzare i limiti. Queste tattiche sono trasmigrate: c’è una balfourizzazione della lotta contro l’occupazione».

Hadas concorda sull’influenza delle proteste di Balfour. “È limpido come il sole”, dice. Ed è positivo: è un’evoluzione necessaria. La questione dell’occupazione è stata messa da parte per più di 20 anni e ora si parla di “ridurre il conflitto” invece di affrontare i problemi. Non abbiamo scelta, dobbiamo agire. È impossibile sedersi a bordocampo quando l’estremismo è diventato la norma”.

A differenza delle proteste di Balfour, dove le bandiere israeliane erano onnipresenti, gli attivisti dei gruppi che hanno organizzato la manifestazione di sabato si sono premurati di non portare bandiere. Tuttavia, un paio di manifestanti ha portato delle bandiere israeliane, il che deve aver creato confusione nei passanti palestinesi che hanno visto sventolare la stessa bandiera sia da parte dei partecipanti alla manifestazione della sinistra contro l’occupazione che dei coloni che avevano organizzato una contro-manifestazione spontanea nelle vicinanze.

Ce l’abbiamo fatta allora, ce la faremo anche adesso

Guy Hirschfeld, un veterano delle proteste nella Valle del Giordano, ha partecipato all’accampamento permanente durante le proteste di Balfour. È anche uno dei fondatori di Looking the Occupation in the Eye [Guardare negli occhi l’occupazione, organizzazione per i diritti umani attiva nelle aree rurali della Cisgiordania, ndtr.] e ha portato molti attivisti di Balfour in tournée in Cisgiordania. “C’è un nuovo vento di cambiamento, portato da attivisti che sono venuti da Balfour con un nuovo stile e una nuova energia, e questo è ottimo“, afferma.

Looking the Occupation in the Eye organizza campi di protesta settimanali davanti al complesso governativo di Tel Aviv, porta attivisti solidali per sostenere i palestinesi a rischio di violenza da parte dei coloni in Cisgiordania e organizza ogni sabato piccole proteste sui ponti delle principali autostrade. Quest’ultima idea è stata ispirata dalle proteste di Balfour continuate durante il lockdown per il coronavirus, quando gli attivisti manifestavano sui ponti vicino alle loro case perché non potevano riunirsi come al solito fuori dalla residenza del Primo Ministro a Gerusalemme.

Hirschfeld crede che la stessa partecipazione alle proteste di Balfour, dove ogni settimana era presente un gruppo che protestava contro l’occupazione e si organizzavano persino marce dal quartiere palestinese di Silwan a Balfour, ha fatto sì che più persone si convincessero della necessità di combattere l’occupazione. “Improvvisamente, le persone con una consapevolezza sociale e politica si sono svegliate”, sostiene. “La gente mi dice che fino ad oggi non era a conoscenza [della realtà nei territori occupati], perché nelle notizie pubbliche [i palestinesi, ndtr.] vengono chiamati tutti terroristi”.

Ora, secondo Hirschfeld, quegli attivisti stanno infondendo nuovo vigore alla lotta contro l’occupazione. La gente di Balfour è arrivata con la sensazione che ‘ce l’abbiamo fatta allora, ce la faremo anche adesso.’ Certo è diverso, ma hanno portato energia. Molti di loro sono pieni di determinazione e speriamo di continuare a crescere ancora”.

Rispondendo alle critiche contro il “prendere in mano le leggi” e all’affermazione che voler demolire un avamposto sia un’azione violenta, Yefremov ha detto prima della manifestazione:

Faremo qualcosa che metterà fine alla situazione illegale. È impossibile combatterla attraverso i post su Facebook; occorre agire sul campo. Arrivare con un bulldozer in una struttura illegale non è violento. Anche secondo Israele, l’occupante, loro [i coloni, ndtr.] sono lì illegalmente.

Nessuno alzerà una mano né contro un agente di polizia né contro un colono, continua, e non esiste una legge che vieti lo smantellamento di una struttura illegale. Per coloro che ci criticano dall’interno [del campo della sinistra], la scelta è tra fare questo e non fare nulla”.

Tuttavia, nonostante le proteste della sinistra radicale in Cisgiordania, solo gli israeliani vi hanno preso parte. “È chiaro che se i palestinesi tentassero di fare una cosa del genere, andrebbero incontro a proiettili veri”, dice Mills. “Stiamo qui approfittando dei nostri privilegi.”

Yefremov aggiunge che dietro le quinte gli attivisti stavano in stretta e continua collaborazione con i palestinesi. Seguivamo i consigli del villaggio di Burka e di Bazaria [due dei villaggi sulle cui terre è stato costruito l’avamposto dei coloni], e loro ci supportavano. Abbiamo chiesto loro se non avessero paura che la protesta potesse danneggiarli, e hanno risposto che vivono in uno condizione di costante pericolo e l’azione non avrebbe potuto peggiorare la loro situazione.

Oren Ziv è un fotoreporter e membro fondatore del collettivo fotografico Activestills [organizzazione di fotografi e fotoreporter arabi ed israeliani che utilizza le immagini fotografiche come strumento di lotta per i diritti umani e civili dei palestinesi, ndtr.].

Haggai Matar è un giornalista pluripremiato e attivista politico israeliano, oltre a ricoprire il ruolo di direttore generale di “972 – Advancement of Citizen Journalism” [Promozione di un giornalismo partecipativo, ndtr.], l’organizzazione no profit che pubblica la rivista +972.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Gaza: Israele uccide anche le colonie di api

Amany Mahmoud

31 maggio 2022 – Chronique de Palestine

Gaza assiste al collasso della sua popolazione di api e accusa Israele di utilizzo irresponsabile, o meglio doloso, di insetticidi.

La Striscia di Gaza è testimone di una drammatica riduzione delle api che un tempo popolavano i terreni agricoli e i giardini in tutta l’enclave costiera.

Molti abitanti di Gaza accusano Israele di uccidere e allontanare deliberatamente le api spruzzando pesticidi tossici vicino ad alveari e alberi in fiore nelle zone vicine alla barriera di separazione, che sono anche state pesantemente devastate dai bulldozer col pretesto della sicurezza.

La produzione di miele costituisce un’attività agricola importante nella Striscia di Gaza. È anche uno dei prodotti di più facile produzione, non necessitando che del nettare delle piante in fiore.

Ma il settore è anche uno dei più colpiti dalle attività israeliane, in quanto la maggior parte della produzione si trova nei pressi della barriera di separazione da Israele (la Palestina del 1948).

A causa dell’espansione urbana e della carenza di terreni agricoli a Gaza, molti apicultori sistemano gli alveari al confine orientale con Israele, dove sul lato israeliano vi sono parecchie coltivazioni.

Le api attraversano liberamente il confine e ritornano, impollinando anche le colture all’interno della Striscia di Gaza.

A Gaza ci sono due stagioni per il miele, la primavera e l’estate. La stagione primaverile, quando la fioritura è abbondante, produce miele di miglior qualità e in grande quantità.

In estate i fiori sono quasi inesistenti e gli apicultori devono nutrire le api con lo zucchero, il che limita la qualità e la quantità del miele.

Secondo il Ministero dell’Agricoltura di Gaza, finora l’anno 2022 ha registrato un calo della produzione di miele, con sole 50 tonnellate rispetto alle 200 abituali degli anni precedenti.

Secondo il Ministero il calo è dovuto a diverse ragioni, di cui la principale è che Israele prende di mira gli alveari e le fattorie adiacenti con pesticidi tossici e spiana i terreni, sommandosi alle fluttuazioni meteorologiche che hanno provocato la morte di alcune colonie di api e la migrazione di altre.

L’apicultore Ahmed Wafi possiede 55 arnie. Dice a Al-Monitor che quest’anno ha potuto produrre solo 5 chili di miele, contro circa 13 dello scorso anno.

Le pratiche israeliane sono la principale causa del degrado della stagione produttiva delle api. Le attività dei bulldozer sui terreni agricoli e i pesticidi spruzzati sugli alberi e sui fiori hanno fatto morire un gran numero di api, il che ha notevolmente ridotto la produzione”, lamenta.

Wafi ha aggiunto che il calo di produzione nuocerà a tutti i consumatori che aspettano con impazienza il nuovo raccolto, perché molti di loro usano il miele locale per cucinare e anche come cura delle malattie e sono restii ad acquistare miele di importazione, che considerano di peggior qualità rispetto al prodotto locale.

Le attività israeliane nella regione rischiano di far scomparire la professione a Gaza. Vi è anche stato un enorme rialzo dei prezzi delle arnie, oltre a rischi e pericoli cui gli agricoltori devono far fronte lungo la barriera di separazione [con Israele, ndt.], dove rischiano di essere colpiti da soldati israeliani là dispiegati.

L’agricoltore Jamal al-Daya possedeva 130 arnie, ma ha dovuto lasciare questa attività dopo che il suo alveare è stato distrutto da aerei da guerra israeliani durante l’ultima serie di attacchi israeliani nel maggio 2021.

Non penso di riprendere lo stesso mestiere. La produzione di miele è diminuita con la morte di migliaia e migliaia di api, per non parlare dell’aumento dei prezzi delle arnie: il prezzo di un’arnia arriva a 600 shekel israeliani (180 dollari), contro i 200 (60 dollari) di prima”, spiega a Al-Monitor.

Imad Ghazal, responsabile della Società cooperativa degli apicultori di Gaza, dichiara che l’apicultura è uno dei settori agricoli più importanti della Striscia di Gaza e occupa circa 320 apicultori.

Aggiunge che l’enclave costiera ospita circa 18.000 arnie disposte lungo i confini orientali, con una produzione annuale di 200 tonnellate di miele, una quantità che soddisfa l’80% della domanda locale.

La produzione è notevolmente diminuita a causa delle angherie israeliane”, ha detto Ghazal a Al-Monitor.

Il miele palestinese è considerato uno dei migliori al mondo, soprattutto quello di sidr [giuggiolo, ndt.]. La Palestina è anche una meta per le popolazioni di api, in quanto il clima è temperato e le colture agricole sono abbondanti. Israele tuttavia ha cercato deliberatamente di distruggere questo settore.”, aggiunge, accusando le attività dell’occupante del forte calo della produzione e del peggioramento della qualità del miele.

Sempre secondo Ghazal il calo di produzione del miele quest’anno era atteso, per via della reiterata irrorazione di pesticidi sulle colture agricole da parte degli aerei israeliani.

Le quantità potrebbero diminuire ancor di più se si considera la situazione di tensione a Gaza e la possibilità di un’escalation militare che minaccia la distruzione della maggior parte delle arnie,” dice.

Ci sono decine di apicultori che negli ultimi anni hanno rinunciato al loro mestiere a causa della ripetuta distruzione delle loro arnie, e del fatto che Israele impedisce l’importazione di trattamenti fungicidi, in particolare contro la varroa [acaro che attacca le api, ndt.], col pretesto del doppio uso di questi prodotti, che potrebbero presumibilmente essere utilizzati nella resistenza armata. Di conseguenza, migliaia di api sono morte, la produzione ha subito un duro colpo e la resa economica è stata ridotta”, conclude.

Amany Mahmoud è una giornalista palestinese indipendente e una giovane militante che si occupa di questioni politiche e sociali.

(Traduzione dal francese di Cristiana Cavagna)




Le forze israeliane uccidono una giornalista palestinese vicino ad un campo profughi nella Cisgiordania

Redazione di Middle East Eye

Mercoledì 1 giugno 2022 – Middle East Eye

La famiglia di Ghufran Harun Warasneh di 31 anni afferma che lei si stava dirigendo verso la sede di una rete multimediale locale dove aveva cominciato un nuovo lavoro quando è stata colpita da un soldato israeliano.

Mercoledì nella città di Hebron, nella Cisgiordania occupata, le forze di sicurezza israeliane hanno colpito a morte una giornalista palestinese mentre si stava recando nella sede di un media locale dove aveva cominciato un nuovo lavoro.

Il ministero della sanità palestinese ha affermato che Ghufran Harun Warasneh, di 31 anni, è stata colpita al torace vicino al campo profughi di al-Arroub e dichiarata morta successivamente in ospedale.

Un testimone anonimo ha affermato all’agenzia palestinese di notizie Wafa che Warasneh stava camminando verso la strada principale quando due soldati che presidiavano un checkpoint militare le hanno chiesto di avvicinarsi prima che uno di loro la colpisse.

L’esercito israeliano ha affermato in una dichiarazione che “un aggressore armato di coltello si è diretto verso un soldato che stava facendo gli ordinari controlli di sicurezza sulla Route 60. I soldati hanno risposto sparando”.

La Mezzaluna rossa palestinese ha affermato che le forze di sicurezza israeliane presenti sulla scena hanno impedito ai suoi medici di raggiungere Warasneh per 20 minuti prima che riuscissero a trasferirla all’ospedale al-Ahli di Hebron.

Warasneh aveva iniziato a lavorare con l’agenzia locale di notizie Dream questa settimana e si suppone che mercoledì fosse al suo terzo giorno del nuovo lavoro.

Laureata alla scuola di giornalismo della università di Hebron, Warasneh aveva lavorato con alcune agenzie locali prima di passare alla Dream.

Sua madre ha riferito all’agenzia Wafa che Warasneh era stata precedentemente arrestata e detenuta per tre mesi per il suo servizio su una manifestazione pro-Palestina a gennaio e la sua attrezzatura fotografica era stata distrutta.

La madre di Warasneh (che è rimasta anonima) ha riferito all’agenzia Wafa che “Ghufran ha lasciato la casa presto per arrivare al lavoro in orario.

Ma poco dopo abbiamo sentito che gli occupanti [le forze israeliane, ndt.] avevano colpito a morte una donna all’ingresso del campo, ma abbiamo saputo molto tempo dopo che era mia figlia

La notizia è stata scioccante.”

Obiettivo: giornaliste donne

La giornalista palestinese Merfat Sadiq ha detto a Middle East Eye che la morte di Ghufran è stata “dolorosa” e parte della intensificazione degli attacchi contro i giornalisti palestinesi nell’ultimo anno.

Sadiq ha detto che “sembra che in particolare le giornaliste donne siano considerate un obiettivo più facile, Abbiamo osservato questo due giorni fa con ripetuti attacchi contro giornaliste donne che stavano seguendo la marcia delle bandiere a Gerusalemme e a Nablus.

La giornalista Ranin Sawaftah è stata colpita direttamente con una raffica di gas lacrimogeni.

L’accusa di un tentativo di aggressione non è credibile, il soldato avrebbe potuto arrestarla o spaventarla. Lei era vicina a loro, tuttavia è stata colpita nella parte superiore del corpo come le immagini hanno mostrato. È stato un assassinio premeditato,” ha aggiunto.

Il ministero degli esteri palestinese ha condannato l’assassinio come una “esecuzione sul campo”.

Stava andando verso il luogo di lavoro e lì non c’erano incidenti né pericoli per i colpevoli [della sua uccisione, ndt.]”, ha affermato in un comunicato.

Finora quest’anno le forze di sicurezza israeliane hanno ucciso più di 50 palestinesi nella Cisgiordania occupata, inclusa la famosa giornalista Shireen Abu Akleh.

Venerdì le forze israeliane hanno colpito a morte un quindicenne palestinese vicino Betlemme, dopo uno scontro scoppiato tra gli abitanti di al-Khader e i soldati che hanno preso d’assalto la città per “mettere in sicurezza un incrocio vicino alla colonia illegale di Efrat”, secondo i media israeliani.

Ghonaim è il quindicesimo adolescente palestinese ucciso dal fuoco israeliano quest’anno.

Due giorni prima Gaith Yamin, di 16 anni, è stato ucciso dai soldati israeliani mentre proteggevano l’arrivo dei coloni israeliani alla tomba di Giuseppe, nei sobborghi di Nablus, città della Cisgiordania, un sito venerato da musulmani ed ebrei e un continuo luogo di conflitto tra palestinesi e israeliani.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)