I palestinesi lottano per salvare un cimitero di Gerusalemme

I palestinesi lottano per salvare un cimitero di Gerusalemme dall’essere distrutto per far posto a un parco israeliano

Yumna Patel

29 ottobre 2021 – Mondoweiss

 

Venerdì forze israeliane hanno lanciato lacrimogeni e bombe stordenti contro i palestinesi all’esterno del cimitero di al-Yusufiyah nella Gerusalemme est occupata, l’ultima escalation sul posto, in quanto i palestinesi lottano per salvare il cimitero dall’essere distrutto per far posto a un parco israeliano.

Secondo informazioni locali, gruppi di palestinesi si sono riuniti fuori dal cimitero, situato nelle immediate vicinanze delle mura della Città Vecchia, per protestare contro la costruzione nella zona di un parco israeliano che minaccia di distruzione parecchie tombe palestinesi.

Video ripresi sul posto venerdì mostrano poliziotti di frontiera israeliani armati che lanciano lacrimogeni e granate assordanti contro la folla, mentre altri arrestano violentemente giovani palestinesi e minacciano con i manganelli persone che stanno filmando la scena.

L’attacco contro i manifestanti è avvenuto dopo che forze israeliane hanno chiuso il cimitero con lamiere e reticolati nel tentativo di impedire alle numerose famiglie di accedere al cimitero mentre i bulldozer israeliani stavano lavorando nella zona.

Video mostrano la polizia israeliana che tenta di cacciare con la forza le famiglie che insistono per rimanere lì e perché gli venga consentito di visitare le tombe dei propri cari.

Un video postato sulle reti sociali mostra un gruppo di donne palestinesi che cerca di aprire di forza i portoni, ma inutilmente.

Una delle donne è Ola Nababteh, che all’inizio di questa settimana è stata filmata mentre si aggrappava disperatamente alla tomba del figlio quando i poliziotti israeliani stavano cercando di strapparla dalla pietra tombale.

Il video, diventato virale sulle reti sociali, mostra Nababteh in lacrime supplicare i poliziotti dicendo “Andiamo, lasciatemi qui,” mentre i bulldozer spianavano la terra attorno a lei.

Secondo la Reuter [agenzia di stampa britannica, ndtr.], Arieh King, vice sindaco di Gerusalemme e leader del movimento di destra dei coloni a Gerusalemme, ha affermato che non c’è “alcun tentativo di rimuovere il cimitero e la polizia ha portato via Nababteh perché era troppo vicina ai lavori di costruzione.”

Ma Nababteh ha sostenuto tutt’altro, dicendo a Middle East Eye che nel corso degli anni, quando andava sulla tomba del figlio, era costantemente maltrattata dalle autorità israeliane, che le dicevano che non aveva avuto il permesso di seppellire suo figlio lì.

Quindi, quando all’inizio del mese, durante i lavori di costruzione israeliani sul posto, sono stati disseppelliti resti umani, lei e altri palestinesi con parenti sepolti nel cimitero hanno temuto che i loro cari potessero presto subire un destino simile.

Le autorità israeliane sostengono che i resti che sono stati disseppelliti appartenevano a tombe “non autorizzate” che nel corso degli anni erano state “illegalmente collocate” nel cimitero e che le tombe “autorizzate” non sarebbero state danneggiate.

Per anni i palestinesi hanno lottato contro i progetti israeliani di parchi e riserve naturali, che minacciano più di un cimitero musulmano in città.

Nel 2018 forze israeliane hanno scavato all’interno del cimitero di Bab al-Rahma, fuori dalla Città Vecchia, come parte del progetto di creare un percorso per turisti per il parco nazionale della Città di David [parco archeologico gestito da un’associazione di coloni, ndtr.], che passa attraverso il cimitero plurisecolare, luogo di riposo eterno per generazioni di palestinesi e di altri arabi.

Nel contempo Mustafa Abu Zahra, capo della Commissione per la Tutela dei Cimiteri Islamici di Gerusalemme, ha detto a Mondoweiss che le profanazioni di cimiteri musulmani in città sono iniziate fin dagli anni ’70.

Negli ultimi anni ogni tentativo da parte dei palestinesi di scavare nuove tombe nel cimitero è stato respinto con la forza dalle autorità israeliane, che hanno distrutto le sepolture e limitato l’accesso dei palestinesi alla zona.

“Questa è una violazione delle leggi internazionali e parte della continua ebraizzazione di Gerusalemme da parte di Israele. Questo cimitero rappresenta la nostra cultura, la nostra vita, la nostra storia, e Israele sta cercando di cancellare tutto ciò,” aveva detto allora.

Aviv Tatarsky, ricercatore dell’ong israeliana di sinistra “Ir Amim”, dice a Mondoweiss che “i parchi nazionali sono stati ampiamente utilizzati in modo improprio da Israele a Gerusalemme est come uno dei mezzi per limitare pesantemente le aree residenziali palestinesi al fine di realizzare la politica demografica israeliana di garantire una maggioranza ebraica a Gerusalemme,” e che la politica crea pressioni che “incoraggiano” gli abitanti di Gerusalemme est a lasciare la città.

 

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Israele approva 1.300 nuove unità abitative

 

Yumna Patel

26 ottobre 2021 – Mondoweiss

Israele approva 1.300 nuove unità abitative. Altri progetti in arrivo

Domenica Israele ha approvato progetti per 1.300 nuove unità di insediamento abitativo nella Cisgiordania occupata. Verso la fine di questa settimana l’Alto Comitato Israeliano di Pianificazione dovrebbe incontrarsi per portare avanti i progetti di altri 2.862 alloggi.

Israele ha approvato piani per 1.300 nuove unità abitative nelle colonie della Cisgiordania occupata, la prima mossa del genere da quando il presidente degli Stati Uniti Joe Biden è entrato in carica.

Il Ministero israeliano per l’Edilizia e gli Alloggi ha annunciato domenica che, in violazione al diritto internazionale, sono state pubblicate gare d’appalto per 1.355 nuove case nelle colonie in Cisgiordania.

L’annuncio di domenica rappresenta l’ultimo passaggio dell’iter prima che inizi effettivamente la costruzione delle abitazioni.

Secondo quanto ha riferito Haaretz, i piani regolatori hanno approvato 729 unità nella grande colonia di Ariel (distretto di Salfit), 324 a Beit El (Ramallah), 102 a Elkana (Salfit), e altre a Geva Binyamin (Ramallah), Immanuel, Karnei Shomron e Beitar Illit (Betlemme).

“Accolgo con entusiasmo la promozione di più di 1.000 unità abitative. Continuerò a potenziare (in Cisgiordania) l’insediamento ebraico”, ha detto dei progetti Zeev Elkin [del partito di destra Nuova Speranza, ndtr.], Ministro per l’Edilizia e gli Alloggi.

Secondo Haaretz, il ministero ha annunciato anche progetti per “raddoppiare la popolazione ebraica nella Valle del Giordano entro il 2026”, impegnandosi a promuovere 1.500 nuove unità abitative nell’area.

Sotto la guida dell’ex primo ministro Benjamin Netanyahu, Israele ha compiuto grandi passi nel tentativo di annettere illegalmente la Valle del Giordano, nonostante un’estesa riprovazione da parte della comunità internazionale.

L’annuncio ha suscitato immediata condanna da parte dei leader arabi palestinesi e della regione, che hanno invitato i loro interlocutori internazionali, in particolare gli Stati Uniti, a fare pressione su Israele affinché fermi i piani.

Tuttavia alla vigilia dell’annuncio gli Stati Uniti non hanno condannato esplicitamente l’espansione delle colonie, e il portavoce del Dipartimento di Stato Ned Price venerdì ha affermato che gli Stati Uniti sono “preoccupati” per i progetti e ha invitato sia la parte israeliana che quella palestinese ad “astenersi da passi unilaterali che esacerbino la tensione e minino i tentativi di far avanzare la soluzione negoziata dei due Stati”.

L’inviato delle Nazioni Unite per il Processo di Pace in Medio Oriente, Tor Wennesland, ha affermato in una dichiarazione di essere “profondamente preoccupato” per l’approvazione degli appalti e per la continua espansione delle colonie israeliane nei territori palestinesi occupati.

“Ribadisco che tutti gli insediamenti sono illegali secondo il diritto internazionale, rappresentano un ostacolo sostanziale alla pace e devono cessare immediatamente”, ha affermato Wennesland.

L’annuncio di domenica di portare avanti i progetti è arrivato sulla scia della decisione di Israele di etichettare sei organizzazioni della società civile palestinese come “istituzioni terroristiche”, una mossa che ha suscitato una rapida e diffusa condanna da parte di gruppi e leader per i diritti umani locali e internazionali.

Secondo Haaretz, la decisione di portare avanti i 1.300 progetti, insieme all’attacco alle organizzazioni della società civile, sta causando tensioni all’interno della coalizione di governo israeliana, guidata dal primo ministro di destra [estrema, ndtr.] Naftali Bennet.

Secondo quanto è stato riferito, i partiti di sinistra israeliani hanno espresso il loro disaccordo nei confronti di questa iniziativa, chiedendo che Bennet “freni” l’espansione delle colonie e e la possibile legalizzazione e riedificazione dell’avamposto di Evyatar a Beita, una mossa che i deputati di destra tuttora sostengono, afferma Haaretz.

In progetto ulteriori unità abitative nelle colonie

I capi della coalizione dovrebbero incontrarsi alla fine di questa settimana per “appianare” le differenze, mentre mercoledì è prevista un’altra riunione, durante la quale potrebbero essere approvate altre 2.862 unità abitative nelle colonie da costruirsi in Cisgiordania.

L’osservatorio di controllo degli insediamenti Peace Now ha dichiarato in un rapporto che questo mercoledì, 27 luglio 2021, l’Alto Consiglio di Pianificazione dell’Amministrazione Civile (HPC) si riunirà per discutere l’approvazione di 30 progetti per 2.862 unità nelle colonie.

Lo scorso agosto il ministro della Difesa Benny Gantz ha approvato la convocazione dell’HPC per discutere i progetti in questione anche se, a causa di uno sciopero dichiarato dai lavoratori dell’Amministrazione Civile [ente militare che gestisce i territori occupati, ndtr.], la discussione dei progetti è stata rimandata.

All’epoca i progetti ammontavano a 1.956 unità sparse nelle colonie della Cisgiordania. Questa volta, sono state aggiunte più di 1.000 nuove unità in progetto, per un totale di 2.862.

I piani da discutere mercoledì sono diversi rispetto a quelli delle 1.300 unità approvate domenica.

Secondo Peace Now, tra i progetti in discussione mercoledì c’è la legalizzazione retroattiva di due avamposti di coloni costruiti illegalmente senza alcun permesso ufficiale da parte del governo israeliano.

Tra gli avamposti da legalizzare ci sono i progetti per “Michmach East”, situato vicino al territorio di Khan al-Ahmar, il villaggio beduino palestinese che Israele ha ripetutamente tentato di demolire completamente, sostenendo che sia “illegale”.

Oltre ai progetti di 2.862 unità di insediamento, con un’iniziativa inedita l’HPC discuterà progetti per 1.303 unità abitative per i palestinesi dell’Area C – più del 60% della Cisgiordania, dove Israele ha vietato qualsiasi costruzione palestinese (pur consentendo la costruzione di colonie).

Peace Now ha tuttavia notato che la maggior parte delle unità palestinesi che sono all’ordine del giorno per l’approvazione sono già state costruite e stanno cercando di essere legalizzate, il che significa che i progetti vedranno di fatto la costruzione di pochissime nuove case per i palestinesi.

“È importante sottolineare che quasi tutti i progetti dell’HPC sono sul tavolo da molti anni e sono in attesa di approvazione, insieme a molti altri progetti per i palestinesi”, ha affermato Peace Now, aggiungendo che anche se i progetti verranno approvati, si tratterà di “una goccia nell’oceano rispetto ai reali bisogni di sviluppo dei palestinesi”.

“Va notato che anche le domande di permesso per i palestinesi nell’ambito dei progetti esistenti (di solito secondo i vecchi piani britannici) approvati sono quasi sempre respinte”, ha affermato l’associazione.

 

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Decine di feriti durante violente incursioni israeliane a Gerusalemme est.

Redazione di Al Jazeera

19 ottobre 2021 – Al Jazeera

Decine di feriti e arrestati nei raid israeliani contro palestinesi presso la Porta di Damasco e nelle zone circostanti.

Gerusalemme est occupata – Per il secondo giorno di seguito forze israeliane hanno fatto violentemente irruzione alla Porta di Damasco e nelle vie adiacenti a Gerusalemme est occupata durante una festa nazionale palestinese che ricorda la nascita del profeta Maometto.

Secondo media locali martedì almeno 22 palestinesi sono rimasti feriti e 25, in maggioranza minorenni, sono stati arrestati.

Immagini e video ampiamente diffusi mostrano le forze israeliane che lunedì hanno arrestato e aggredito con violenza giovani, maschi e femmine, picchiato passanti con manganelli, inseguito bambini e famiglie, fatto irruzione nella principale strada commerciale e lanciato indiscriminatamente lacrimogeni e granate assordanti contro la folla. Hanno aggredito anche personale sanitario.

Sia lunedì che martedì presso la Porta di Damasco, uno dei pochi spazi pubblici in cui i palestinesi della città si riuniscono, si svolgevano attività rivolte a famiglie e bambini per celebrare la nascita del profeta.

Secondo i media locali la situazione è palesemente peggiorata nella zona lunedì pomeriggio, quando le forze di occupazione israeliane hanno ferito almeno 49 palestinesi e ne hanno arrestati 10.

Le fonti di informazione locali hanno detto che lunedì il personale sanitario ha dovuto trattare ferite da proiettili di metallo ricoperti di gomma e 19 ferite da schegge di bombe stordenti, così come decine di vittime di aggressioni fisiche.

Almeno due giornalisti del posto sono stati violentemente arrestati mentre informavano sugli eventi.

Ci sono stati arresti giorno e notte presso la Porta di Damasco e nelle zone limitrofe, mentre la rabbia dei palestinesi montava a causa della profanazione di tombe nello storico cimitero musulmano presso la Città Vecchia, su parte del quale è stato costruito un parco nazionale. Il 10 ottobre il Comune di Gerusalemme, controllato da Israele, ha iniziato l’ultima serie di scavi nel cimitero.

Tuttavia negli ultimi giorni la situazione è peggiorata, in quanto le forze israeliane hanno fatto violentemente irruzione e cacciato i palestinesi dai pochi luoghi pubblici a loro accessibili nella Gerusalemme est occupata, compresa la Porta di Damasco e via Salah al-Din.

“La Porta di Damasco, nei pressi della Città Vecchia di Gerusalemme, è un luogo in cui i giovani palestinesi amano riunirsi alla sera e socializzare con gli amici, ma negli ultimi mesi la polizia israeliana e le forze speciali li hanno obbligati con la violenza a disperdersi per fare posto ai coloni israeliani che entrano nella Città Vecchia,” dice ad Al Jazeera Jawad Siam del Centro Wadi Helweh nella Gerusalemme est occupata, che monitora le violenze contro i palestinesi.

Siam afferma che nelle ultime due settimane il centro ha registrato l’arresto di più di 82 minori, un numero significativo dei quali con meno di 13 anni.

Durante l’espulsione forzata sono stati impiegati anche cani poliziotto e idranti di “skunk water”, che spruzzano acqua puzzolente molto persistente.

I palestinesi sono andati alla Porta di Damasco non solo per socializzare, si sono riuniti lì anche per decidere azioni di sfida contro l’occupazione israeliana e le sue leggi e pratiche discriminatorie che favoriscono i coloni ebrei rispetto ai palestinesi.

Siam ha affermato che un certo numero di palestinesi è stato anche arrestato, aggredito e cacciato dal complesso della moschea di Al-Aqsa nella Città Vecchia per aver gridato “Allahu Akbar” [Allah è grande] mentre coloni israeliani entravano e iniziavano a pregare sul terreno del terzo luogo più sacro per l’islam. L’iniziativa dei coloni ha violato l’“accordo sullo status quo” tra l’occupazione israeliana e l’autorità religiosa giordana del Waqf, che amministra il complesso della moschea.

Due poliziotti israeliani sono indagati dal Nucleo Investigativo della Polizia Israeliana per uso eccessivo della forza contro i palestinesi.

Non potete sedervi qui”

La scorsa settimana Hussein al-Zeer, 20 anni, del quartiere di Silwan a Gerusalemme, era seduto con i suoi amici nei pressi della Porta di Damasco a godersi una serata all’aperto.

Racconta ad Al Jazeera che una decina circa di poliziotti di frontiera israeliani armati di bastoni, bombe assordanti e candelotti lacrimogeni li ha aggrediti ed ha ordinato loro di disperdersi.

Quelli che si sono rifiutati di andarsene o hanno filmato l’aggressione sono stati picchiati, alcuni arrestati. “Fin dall’inizio sono stati aggressivi e non ci hanno neppure lasciato il tempo di andarcene. Mi hanno picchiato su tutto il corpo con il calcio dei fucili e a pugni,” ha ricordato al-Zeer.

“Hanno detto che non avevamo il permesso di stare seduti lì e se fossimo rimasti ci avrebbero arrestati. Quando un mio amico si è messo a discutere sul perché non potessimo stare seduti lì hanno iniziato a picchiarlo. Ce ne siamo andati ma poi siamo tornati. Perché è consentito solo ai coloni ebrei di sedersi e andare dove vogliono nella Gerusalemme est occupata?” chiede al-Zeer.

“Ti puoi immaginare le proteste a livello internazionale se un antico cimitero ebraico in Europa venisse profanato per costruirci un parco,” dice Siam.

Grandi disparità”

Secondo un rapporto del Programma di Sviluppo dell’ONU (UNDP) reso noto nel 2016 insieme all’Autorità Nazionale Palestinese (ANP), le autorità israeliane a Gerusalemme destinano solo il 10% del loro bilancio alla Gerusalemme est occupata, mentre il resto va a Gerusalemme ovest.

“Ci sono grandi disparità socio-economiche tra le due zone, fino al punto che potrebbero essere classificate in due categorie di sviluppo umano molto diverse,” afferma il rapporto.

In base alle leggi internazionali le colonie israeliane e il trasferimento di coloni in un territorio occupato sono illegali e l’annessione informale di Gerusalemme est è stata dichiarata nulla e non valida dalla risoluzione 478 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU.

“Le politiche che discriminano la popolazione palestinese sono prevalenti,” afferma il rapporto dell’UNDP. “Queste leggi sono state architettate specificamente per impedire ai palestinesi gerosolimitani di sviluppare una comunità unita, sicura e florida, con identità, cultura ed economia forti, basate sulla coesione sociale comunitaria.

“Al contrario un sistema discriminatorio di permessi e divisione in zone, una legge della cittadinanza ineguale, una limitata autonomia municipale, la costruzione della barriera di separazione e piani urbanistici escludenti hanno contribuito a creare una zona di Gerusalemme sempre più inabitabile.”

Una gioventù sicura di sé

L’attivista sociale e storico Ehab Jallad di Gerusalemme afferma che l’incontro di giovani nella Città Vecchia non riguarda solo la socializzazione e l’esercizio dei loro diritti, ma anche una presa di posizione politica. “Riguarda questa generazione di palestinesi che prende il controllo del proprio destino e resiste a livello di base,” dice Jallad ad Al Jazeera.

“Stanno adottando azioni non violente e di disobbedienza civile, dimostrando non solo agli israeliani, ma anche ad altri palestinesi, come perseguire la libertà lottando contro l’occupazione. Sono consapevoli della continua ebraizzazione di Gerusalemme est a spese della popolazione palestinese.”

Siam, del Centro Wadi Helweh, sostiene che dall’attacco israeliano di maggio contro Gaza i palestinesi sono diventati più sicuri di sé.

“Gli israeliani hanno perso il controllo della situazione e questa generazione, mentre è disposta al compromesso, non tornerà a farsi intimidire. La prossima generazione non sarà così disposta al compromesso,” afferma Siam. “A maggio abbiamo visto che siamo in grado di imporci e di lavorare per un futuro di libertà.”

Siam spiega che i palestinesi hanno resistito in modi diversi: alcuni hanno documentato gli scontri; altri hanno partecipato alle proteste; altri ancora hanno invece lanciato pietre contro i soldati israeliani. “Non aspettiamo che l’Europa e gli americani ci dicano cosa fare o ci ordinino come dobbiamo agire, mentre siamo stanchi di comportamenti di parte e di un trattamento di favore per Israele. Non ci aspettiamo neppure che il mondo arabo e i nostri correligionari musulmani ci sostengano. Al contrario, stiamo forgiando il nostro percorso a modo nostro.”

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Oppressione e razzismo: i principali fattori dell’immigrazione ebraica 

Motasem A Dalloul

18 ottobre 2021 – Middle East Monitor

Dati divulgati recentemente dal ministro dell’immigrazione e dall’Agenzia ebraica mostrano che nel 2021 l’immigrazione ebraica in Israele è aumentata del 31%. Rispetto ai primi nove mesi del 2020 i numeri rivelano un incremento del 41% degli afflussi dagli USA e un aumento del 55% dalla Francia.

Il considerevole aumento di arrivi provenienti da questi Paesi sicuramente non è un caso, ma è dovuto a una strategia premeditata di politiche di immigrazione ebraica gestita dallo Stato sionista in cooperazione con diverse organizzazioni internazionali ebraiche.

L’immigrazione ebraica ha alimentato il progetto sionista in Palestina, costringendo i palestinesi ad abbandonare le proprie case e sostituendoli con gli immigrati ebrei per creare lo Stato ebraico di Israele. Inoltre, questo progetto fondato su pilastri oppressivi è affetto da fattori spregevoli che il primo ministro israeliano Naftali Bennet ha rivelato recentemente.

“Dalla sua fondazione fino ai giorni nostri l’immigrazione ebraica ha plasmato la società israeliana e creato un mosaico unico e diverso da qualsiasi altro posto nel mondo,” ha dichiarato Bennett qualche giorno fa in una conferenza durante la settimana dell‘immigrazione e assimilazione. “Il nostro obiettivo è di portare 500.000 immigrati dalle grandi comunità negli USA, in Sudamerica e Francia,” ha affermato.

Anche se Bennett sostiene che la motivazione alla base di questo obiettivo sia stato l’aumento di “razzismo e antisemitismo” contro gli ebrei ovunque nel mondo, molti altri osservatori ebrei credono che questa sia solo una scusa. “Razzismo e antisemitismo dilagano in tutto il globo,” egli sostiene, “questo ci ricorda che Israele è la casa di tutti gli ebrei.”

Lo scrittore e giornalista israeliano Yossi Melman che è stato un corrispondente di affari strategici e intelligence di Haaretz [quotidiano israeliano di centro sinistra, ndtr.], afferma che Bennett “sta mantenendo le sue promesse” quando incoraggia l’immigrazione ebraica in Israele. Inoltre il famoso giornalista israeliano Gideon Levy mi dice che Bennett incoraggia tale immigrazione “per compensare la naturale crescita demografica dei palestinesi.”

Sicuramente questo è uno degli obiettivi più spregevoli dell’immigrazione ebraica per lo Stato di occupazione israeliano e per parecchie ragioni. La prima è che le autorità israeliane e le agenzie ebraiche stanno cooperando affinché la popolazione ebraica in Israele superi quella araba per mantenere una maggioranza degli ebrei. Perciò gli arabi continueranno a essere sottomessi a favore del progetto ebraico che va sempre contro i loro interessi nonostante siano i proprietari legali della terra.

Per far ciò le autorità israeliane adottano anche una politica discriminatoria riguardante l’espansione della popolazione araba, come le restrizioni sulle costruzioni di nuove case, trattando gli arabi come cittadini di seconda classe, facilitando invece le condizioni di vita quotidiana agli ebrei e rendendo al contrario tutto difficile per gli arabi, per cacciarli via dai loro villaggi e quartieri a favore delle comunità ebraiche.

I nuovi arrivati ebrei sono trasferiti nei territori palestinesi occupati della Cisgiordania e a Gerusalemme, come anche nei territori siriani occupati delle alture del Golan. Proprio alcuni giorni fa Bennett ha annunciato un grandioso progetto per sviluppare le colonie ebraiche delle alture di Golan occupate e ha detto che il suo governo sta pensando di insediarvi 250.000 coloni ebrei.

 Liran Friedmann, giornalista ebreo che scrive per Ynet News [sito di notizie israeliano in ebraico e in inglese, ndtr.] , ha affermato che, oltre a ciò, il piano di Bennett di incoraggiare 500.000 immigrati ebrei a immigrare in Israele dagli USA, dal Sudamerica e dalla Francia è una forma di discriminazione contro gli ebrei dell’est Europa i cui immigrati hanno, secondo lui, contribuito alla prosperità di Israele.

Riferendosi all’invito a immigrare in Israele rivolto agli ebrei di USA, Sudamerica e Francia, Friedmann si è espresso così: “Questo non è un appello per trasferirsi rivolto a quegli ebrei, ma più che altro un grido di aiuto per salvare il Paese dalla ‘invasione’ della Aliyah (immigrazione ebraica in Israele) proveniente dall’Europa dell’Est.”

Bennett, secondo Friedmann, crede che solo gli ebrei provenienti dagli USA, dal Sudamerica e dalla Francia siano veramente e legittimamente ebrei. Egli fa osservare che Bennett l’ha chiaramente spiegato dicendo: “L’immigrazione non solo ci rafforza come Paese, ma mantiene anche la nostra esistenza continuativa come ebrei di fronte a un’assimilazione crescente, specialmente negli Stati Uniti. Questo è un trend che dovrebbe preoccupare ciascuno di noi, indipendentemente dall’affiliazione religiosa.”

Secondo Friedmann “nonostante affermi di essere la casa di tutti gli ebrei, Israele mantiene ancora una mentalità razzista e segregazionista verso la diaspora che arriva dall’Europa dell’Est. Quei 20.000 che ogni anno migrano in Israele dall’est Europa sono fortunati se lo Stato fa loro la cortesia di chiamarli ebrei.”

Il giornalista ebreo Oren Ziv mi ha chiaramente ripetuto: “C’è molto razzismo contro l’immigrazione dall’est Europa e da molti Paesi come Etiopia e India. Appartengono a gruppi diversi. Queste persone possono immigrare in Israele e ottenere passaporti israeliani, ma si trovano comunque davanti a vari problemi sociali e al razzismo. Il sistema di immigrazione ebraica in Israele è razzista perché privilegia gli immigrati bianchi ashkenaziti rispetto agli altri.”

Spiegando ulteriormente il razzismo israeliano e la sua relazione con l’immigrazione ebraica menzionata da Bennett, Friedman aggiunge: “È difficile essere fieri di così tanti immigrati da Mosca, Tashkent o Minsk, che hanno fatto tanto per lo Stato, ma non sono così cool e alla moda come il loro correligionari di Parigi o New York.”

Un altro problema, secondo Ziv, è che ricchezza e povertà giocano un notevole ruolo: “Coloro che arrivano da USA, dal Sudamerica e dalla Francia sono più ricchi di quelli dell’est Europa e dell’Etiopia, che sono poveri.”

L’idea dell’occupazione sionista in Palestina che è principalmente basata sul presunto insegnamento del giudaismo è costruita sulla base dell’oppressione e del razzismo, non solo contro i palestinesi che sono i proprietari della terra, ma anche contro alcuni ebrei che sono usati per sostenere questo oppressivo progetto sionista.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Israele ha revocato la residenza a Gerusalemme di un noto avvocato franco-palestinese

Redazione di MEE

19 ottobre 2021 – Middle East Eye

Salah al-Hamouri ha passato più di otto anni nelle carceri israeliane e ora deve andarsene dalla sua città natale.

L’avvocato palestinese Salah al-Hamouri, ex-prigioniero politico che ha anche la cittadinanza francese, ha visto revocata la sua residenza a Gerusalemme est da parte delle autorità israeliane e ora non può più vivere nella sua città natale.

Hamouri è un abitante della Gerusalemme est occupata, che Israele ha conquistato nel 1967. Gli abitanti palestinesi dei quartieri orientali della città occupata in genere rifiutano la cittadinanza israeliana e quindi hanno carte d’identità da residenti rilasciate dal ministero dell’Interno israeliano.

Tuttavia questo status di residenti può essere revocato da Israele, cacciando i palestinesi dalle loro case con la revoca del loro documento d’identità per varie ragioni.

Hamouri, di padre palestinese e madre francese, in precedenza era stato informato che Israele stava cercando di togliergli la residenza quando a settembre 2020 ha ricevuto una lettera del ministero degli Interni. Secondo i media palestinesi lunedì il ministero ha confermato ufficialmente che la decisione era stata presa.

L’avvocato, preso di mira per il suo attivismo politico e in quanto membro del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (PFLP), un’organizzazione marxista-leninista della resistenza palestinese, ha passato più di otto anni nelle prigioni israeliane in periodi diversi.

Nel 2001 venne sottoposto a detenzione amministrativa [cioè senza accuse né condanna, ndtr.] per cinque mesi, e per quattro mesi nel 2004. Nel 2005 Israele lo condannò a sette anni di prigione per un presunto piano del PFLP per uccidere un rabbino di estrema destra, Ovadia Yousef, un’accusa che ha sempre respinto.

Più di recente, nel 2018 è stato liberato dalla detenzione amministrativa dopo 13 mesi di arresto senza accuse.

Dopo il suo rilascio, in un’intervista a Middle East Eye Hamouni ha dichiarato: “La prigione è di per sé un luogo difficile per qualunque essere umano, ma è stato particolarmente duro perché Israele ha anche scelto di arrestarmi proprio alla fine della mia formazione giuridica, pochi giorni prima di un viaggio per fare visita alla mia famiglia in Francia.”

Ed ha aggiunto: “Israele mi ha preso di mira durante questo particolare periodo della mia vita per ricordarmi che mi tiene d’occhio con molta attenzione.”

Nel 2018 Human Rights Watch [importante Ong internazionale, ndtr.] ha affermato che dal 1967 Israele ha revocato lo status di residenti ad almeno 14.595 palestinesi a Gerusalemme est.

“Il sistema discriminatorio spinge molti palestinesi a lasciare la loro città con quello che rappresenta un trasferimento forzato, una grave violazione delle leggi internazionali,” afferma HRW.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Prigioniero palestinese entra nell’88esimo giorno di sciopero della fame mentre la sua salute va peggiorando

MENA

17 Ottobre, 2021 Redazione The New Arab

**NOTA REDAZIONALE

Oggi 22 ottobre i prigionieri palestinesi hanno interrotto lo sciopero della fame ottenendo da parte dell’amministrazione israeliana le richieste portate avanti con la lotta: cessazione delle misure punitive dopo l’evasione dei sei palesinesi dalla prigione di Gilboa, fine dell’isolamento e ritorno dei detenuti nelle loro celle in compagnia . Non è chiaro invece la sorte di Miqdad Al-Qawashmeh in sciopero da oltre 88 giorni in quanto il prigioniero è in sciopero contro la sua detenzione amministrativa.

Il prigioniero, incarcerato da Israele in detenzione amministrativa, ha visto peggiorare le proprie condizioni di salute.

Il prigioniero palestinese Miqdad Al-Qawashmeh è entrato nell’88esimo giorno consecutivo di sciopero della fame per protestare contro la detenzione amministrativa in un carcere israeliano, mentre la sua salute continua a peggiorare e sua madre implora la sua liberazione.

Sabato la madre, Iman Badr, ha detto a Al-Jazeera in una trasmissione in diretta che il prigioniero ventiquattrenne, arrestato nel gennaio 2021, a settembre è stato trasferito nel Centro medico israeliano Kaplan, dove continua ad attuare l’assunzione di sola acqua.

Al-Qawashmeh è adesso tra i 400 prigionieri palestinesi che prendono parte a scioperi della fame per protestare contro le misure punitive imposte da Israele dopo l’evasione dal carcere di Gilboa a settembre.

Il suo corpo non resisterà a lungo se le persone libere non interverranno a salvarlo, lui difenderà il suo diritto fino alla fine…e vuole essere liberato dalla sua ingiusta detenzione amministrativa”, ha detto Badr, quando ha visitato il figlio nella sua stanza di ospedale.

Per favore fate di tutto per salvare la vita di mio figlio”, ha anche chiesto in un video postato su twitter dall’Organizzazione Araba per i Diritti Umani.

L’alta corte israeliana ha bloccato l’ordine amministrativo di detenzione di Al-Qawasmeh il 6 ottobre, ma ciò semplicemente interrompe l’ordine per il periodo delle sue cure e non lo libera dalla detenzione, secondo la rete Quds News.

All’inizio del mese la Croce Rossa Internazionale ha espresso “la sua profonda preoccupazione” riguardo al peggioramento della salute di Qawasmeh e alle “conseguenze potenzialmente irreversibili di uno sciopero della fame protratto così a lungo”.

Dopo l’evasione dal carcere di Gilboa ad inizio settembre, quando sei prigionieri palestinesi sono fuggiti da una sezione di alta sicurezza, le autorità israeliane hanno attuato un giro di vite sui detenuti, separandone e trasferendone centinaia all’interno del sistema carcerario israeliano.

L’Associazione dei Prigionieri Palestinesi ha affermato in una dichiarazione pubblicata da Quds Press che altri prigionieri palestinesi potrebbero partecipare agli scioperi della fame come parte di un “piano di resistenza”, se le loro richieste non saranno ascoltate e non saranno revocate le sanzioni che vengono loro imposte, che l’associazione afferma configurino una punizione collettiva.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Gli attacchi dei coloni devastano i terreni dei palestinesi durante la raccolta delle olive

Zena Al Tahhan

17 ottobre 2021 – Al Jazeera

I coloni israeliani attaccano quotidianamente con violenza i palestinesi impegnati nella raccolta stagionale delle loro olive.

Ramallah, Cisgiordania occupata – La scorsa settimana i coloni israeliani hanno perpetrato ogni giorno violenti attacchi contro i villaggi palestinesi e gli abitanti che raccolgono le loro olive.

Gli attacchi, pestaggi di agricoltori e distruzione di alberi inclusi, hanno preceduto l’inizio ufficiale della stagione della raccolta delle olive il 12 ottobre nella Cisgiordania occupata, ma si sono intensificati di numero nell’ultima settimana.

Secondo gli osservatori locali, le aree più colpite sono state nella Cisgiordania occupata settentrionale, intorno ai villaggi a sud della città di Nablus e Salfit.

Ghassan Daghlas, che monitora la violenza dei coloni nel nord della Cisgiordania, riporta ad Al Jazeera di aver registrato 58 attacchi dall’inizio della stagione, di cui nove nel solo villaggio di Burin a sud di Nablus.

Daghlas afferma: “Evidentemente c’è un aumento degli attacchi. Siamo al 30% nella stagione della raccolta delle olive e abbiamo già avuto 58 attacchi nel nord [della Cisgiordania]”, inoltre ha qualificato gli attacchi come “pianificati e non spontanei”.

La raccolta degli ulivi è un’attività economica, fondamentale per molti palestinesi, sia a livello familiare che dell’intera società. I palestinesi prendono giorni di ferie per curare le loro terre, quelle dei loro parenti, vicini o amici. Tra 80.000 e 100.000 famiglie si affidano alle olive e all’olio d’oliva come fonti di reddito primarie o secondarie.

Sebbene gli attacchi dei coloni siano una realtà frequente e quasi quotidiana per i villaggi palestinesi, il numero e l’intensità degli attacchi aumentano durante la stagione della raccolta delle olive che dura fino a novembre, quando i coloni prendono di mira le famiglie che lavorano nelle terre di loro proprietà.

Il 12 ottobre, nel villaggio di Sebastia, a nord di Nablus, i coloni hanno sradicato 900 alberelli di ulivi e albicocche e hanno rubato il raccolto delle olive. Altri 70 ulivi sono stati distrutti a Masafer Yatta, a sud di Hebron.

Ad Awarta, a est di Nablus, il 13 ottobre i coloni hanno abbattuto dozzine di ulivi e li hanno spruzzati con prodotti chimici. Hanno anche distrutto circa 70 alberi di ulivo, frutta e verdura ad al-Tuwani, a sud di Hebron, e hanno tagliato pneumatici e vandalizzati auto e muri nel villaggio di Marda vicino a Salfit.

“Gli attacchi sono iniziati presto”

Il 14 ottobre i coloni hanno abbattuto più di 80 ulivi nel villaggio di al-Mughayyer, a nord di Ramallah. Il giorno dopo, hanno attaccato con pietre la famiglia Hammoudeh nel villaggio di Yasuf vicino a Salfit, ferendone quattro. La famiglia e altri residenti sono stati attaccati di nuovo il 16 ottobre. Lo stesso giorno i coloni hanno anche picchiato a bastonate i residenti di Burin vicino a Nablus e dato alle fiamme uliveti, ferendo almeno 12 palestinesi.

Daghlas afferma che, mentre negli scorsi anni “gli attacchi sono iniziati una settimana dopo l’inizio della raccolta delle olive”, quest’anno “gli attacchi sono iniziati prima”, il che ha costretto i palestinesi a occuparsi dei loro alberi più in fretta del previsto”. Dalle fine di agosto 2021 i coloni hanno ferito almeno 22 palestinesi e distrutto più di 1800 alberi di proprietà dei palestinesi, compresi 900 alberi a Sebastia (Nablus) e 650 a Jamma’in (Nablus) e al-Taybe (Hebron).

Daghlas afferma che, oltre all’incendio e all’abbattimento degli alberi, gli attacchi hanno comportato il furto di olive, minacce e caccia agli agricoltori per allontanarli dalle loro terre e l’allagamento di parte dei terreni con liquami di fogna.

“I coloni e l’esercito ci stanno dando la caccia per privarci dei nostri mezzi di sussistenza, del nostro reddito, del nostro pane, del nostro sostentamento”, sostiene Daghlas.

I palestinesi affermano che i coloni israeliani molto spesso arrivano con la protezione dell’esercito e frequentemente sono armati, come documentato dalle organizzazioni per i diritti. A volte, i coloni e l’esercito lavorano insieme.

La costruzione strategica di insediamenti sulle cime delle colline in Cisgiordania rende facile per i coloni scendere nei villaggi palestinesi e nelle loro terre sottostanti. Inoltre i coloni godono di quella che le Nazioni Unite hanno definito “impunità istituzionale e sistematica” che consente loro di continuare perpetrare gli attacchi.

Le Nazioni Unite hanno descritto gli attacchi come “motivati ​​ideologicamente e principalmente progettati per impadronirsi della terra, ma anche per intimidire e terrorizzare i palestinesi”.

Secondo l’ultimo aggiornamento dell’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari (UN OCHA), i coloni hanno effettuato 20 attacchi tra il 21 settembre e il 4 ottobre, un notevole aumento con l’inizio della raccolta delle olive.

Tra il 7 e il 20 settembre ci sono stati 11 attacchi, mentre sei sono stati registrati tra il 24 agosto e il 6 settembre. Il più grande attacco degli ultimi tempi è avvenuto il 28 settembre. Un folto gruppo di coloni mascherati è sceso nel villaggio di al-Mufagara a sud di Hebron e ha attaccato i residenti con pietre, ferendo 29 palestinesi tra cui un bambino di tre anni che ha subito fratture al cranio e è stato ricoverato in ospedale. Secondo l’OCHA i coloni hanno anche danneggiato 10 case, 14 veicoli, diversi pannelli solari e serbatoi d’acqua e ucciso cinque pecore.

In una dichiarazione del 12 ottobre, il Comitato Internazionale della Croce Rossa (ICRC) afferma che i dati in suo possesso mostrano che nell’arco di un anno, tra agosto 2020 e 2021, più di 9.300 alberi sono stati distrutti in Cisgiordania. L’ICRC chiede la protezione degli agricoltori palestinesi.

L’IRC sostiene inoltre di aver “osservato un picco stagionale di violenza da parte dei coloni israeliani stanziati in alcuni insediamenti e avamposti in Cisgiordania nei confronti degli agricoltori palestinesi e delle loro proprietà nel periodo che precede la stagione della raccolta delle olive, nonché durante la stagione del raccolto”.

Els Debuf, capo della missione dell’ICRC a Gerusalemme, afferma che “gli agricoltori subiscono anche atti di molestie e violenza per impedire loro un raccolto economicamente conveniente, per non parlare della distruzione delle attrezzature agricole o dello sradicamento e dell’incendio degli ulivi”.

“Non siamo un esercito”

Mohammad al-Khatib è un attivista e fondatore di Faz’a, una coalizione di volontari formata lo scorso anno per proteggere e aiutare gli agricoltori palestinesi che ora riunisce più di 500 volontari.

La coalizione porta avanti diverse campagne, compreso il tentativo di proteggere i palestinesi che lavorano nei loro campi portando gruppi di volontari per dare una mano ed essere presenti sui terreni [come testimoni, ndt] sperando di scoraggiare i coloni.

Khatib è stato aggredito e arrestato nei giorni scorsi durante la sua presenza nei villaggi intorno a Nablus e Salfit [vedi  Zeitun del 17 ottobre 2021 n. 241, ndt]

Khatib dichiara ad Al Jazeera: “non siamo un esercito o gruppi preparati per la difesa. Lavoriamo in condizioni di sicurezza difficili in cui non è possibile utilizzare alcun mezzo di protezione”.

Ad esempio, non ci è permesso usare spray al peperoncino, né alcun tipo di strumento per l’autodifesa, mentre i coloni ci attaccano con le armi, sotto la protezione dell’esercito, con coltelli, bastoni, spray al peperoncino e ci scagliano addosso sassi” continua Khatib. Descrive i coloni come “terroristi sostenuti dallo stato e dall’esercito” con “l’obiettivo di impedire ai palestinesi di rimanere nelle loro terre e infine espellerli”. Khatib ritiene che gli attacchi dei coloni “aumentano sistematicamente ogni anno”.

L’espansione della colonizzazione

Nafez Hammoudeh e la sua famiglia, del villaggio di Yasuf vicino a Salfit, sono stati attaccati per due giorni di seguito e è stato impedito loro di raccogliere le olive. Hammoudeh afferma: “Venerdì sono stati i coloni e sabato l’esercito”. Dichiara ad Al Jazeera che i coloni il venerdì hanno picchiato una sua parente con pietre sulla testa e l’hanno spruzzata in faccia con spray al peperoncino. Hanno aggredito anche suo figlio e suo marito, e hanno rubato sacchi pieni di olive, oltre alla scala e ai telefoni cellulari.

Sabato l’esercito è arrivato con i coloni e li ha aggrediti mentre cercava di mandarli via dalle loro terre. “Siamo stati lì a malapena per un’ora in entrambi i giorni prima di essere cacciati”, ha detto Hammoudeh. “Non ci hanno fornito alcuna ragione – abbiamo detto loro che siamo i proprietari della terra, ma senza successo. È solo una dimostrazione di forza”.

Fino al 4 ottobre l’OCHA ha registrato un totale di 365 attacchi quest’anno, inclusi 101 attacchi che hanno provocato feriti palestinesi e 264 che hanno provocato danni alla proprietà. I numeri hanno già superato quelli dello scorso anno, che si era concluso con un totale di 358 attacchi, di cui 274 a proprietà, e 84 feriti.

Daghlas attribuisce l’aumento degli attacchi dei coloni alla continua espansione degli insediamenti illegali israeliani in Cisgiordania con conseguente violazione dei territori dei villaggi palestinesi. Ad esempio riporta come in passato l’insediamento di Yitzhar a sud di Nablus si trovasse di fronte al villaggio di Burin. Ora l’insediamento si è esteso ai vicini villaggi di Madama, Urif, Einabus e Huwara.

Allo stesso modo, prosegue, l’insediamento di Itamar un tempo si trovava di fronte al villaggio di Awarta a sud di Nablus, mentre ora si è esteso a Beit Furik e Aqraba. “In passato, avremmo concentrato la nostra attenzione sui villaggi vicino agli insediamenti, ma ora l’intera Cisgiordania è vicina agli insediamenti”, dice Daghlas, spiegando che “più gli insediamenti crescono, più la terra è minacciata”.

Ha detto che mentre vede una “resistenza” da parte del popolo palestinese “per affrontare [l’esercito e i coloni] e rimanere nelle loro terre”, gli attacchi dei coloni sono “una forma di pressione”.

Daghlas sostiene che “il numero dei coloni cresce continuamente, assieme a queste forme di terrorismo. La gente un giorno insorgerà e il mondo ne porterà la responsabilità”.

Imposta immagine in evidenza3″Se il popolo palestinese perde la speranza, si ribellerà e non c’è una sola potenza al mondo che sarà in grado di dissuaderlo”.

(Traduzione dall’inglese di Giuseppe Ponsetti)




Soldati israeliani picchiano e arrestano un attivista palestinese durante la raccolta delle olive

Oren Ziv

12 ottobre 2021 +972 MAGAZINE

Mohammed Khatib è stato brutalmente arrestato assieme a due israeliani di sinistra mentre cercava di proteggere i contadini palestinesi dalla violenza dei coloni e dell’esercito.

Soldati israeliani hanno arrestato brutalmente un importante attivista palestinese e due israeliani di sinistra durante l’annuale raccolta delle olive nella Cisgiordania occupata. L’arresto è avvenuto nella regione di Salfit, vicino all’avamposto illegale di Havat Nof Avi, eretto dai coloni lo scorso anno su un terreno appartenente ai palestinesi abitanti nell’area.

Un soldato è stato fotografato mentre prendeva a pugni e poi calpestava, dopo il suo arresto, Mohammed Khatib, attivista del Comitato di coordinamento della lotta popolare che aiuta a organizzare la resistenza non violenta all’occupazione e all’insediamento di Israele.

“Siamo arrivati ​​intorno alle 10 e abbiamo trovato molti soldati nella zona”, ha detto Abdullah Abu Rahmeh, un altro importante attivista palestinese del Comitato. “Hanno transennato l’area e l’hanno dichiarata zona militare chiusa”.

Diversi agricoltori palestinesi hanno cercato di ragionare con gli ufficiali e i rappresentanti dell’amministrazione civile – il ramo dell’esercito israeliano che governa la vita quotidiana di milioni di palestinesi sotto occupazione – per cercare di accedere alla loro terra, ha detto Abu Rahmeh. Mezz’ora dopo, quando né gli agenti né l’Amministrazione Civile si sono spostati, i contadini si sono incamminati lungo il tratto transennato per cercare di raggiungere i loro ulivi mediante un altro percorso.

“I soldati ci hanno seguito e ci hanno attaccato con i loro fucili”, ha ricordato Abu Rahmeh. “Portavamo gli attrezzi per il raccolto. Non stavamo protestando, ma ci offrivamo volontari per aiutare i contadini. Tuttavia, i soldati non ci hanno permesso di raccogliere”.

I volontari sono arrivati nel quadro dell’iniziativa Faz3a, che significa “sostegno” in arabo. Tale progetto è stato varato l’anno scorso. L’organizzazione assiste gli agricoltori palestinesi durante la raccolta delle olive per difenderli dalla violenza dei coloni e dei militari. “È una campagna annuale”, ha detto Abu Rahmeh. “In questa zona i contadini non hanno abbastanza tempo per completare il raccolto, quindi portiamo delle persone per aiutare. Cerchiamo di sostenerli e proteggerli dagli attacchi dei coloni”.

La stagione del raccolto in Palestina-Israele è iniziata la scorsa settimana e sono già stati segnalati diversi episodi di coloni che hanno vandalizzato gli ulivi. Secondo l’ONG israeliana Yesh Din,

venerdì un proprietario terriero palestinese del villaggio di Tarkumiya ha scoperto che i coloni avevano tagliato i suoi ulivi.

In una foto dell’arresto di Khatib, che viene dal villaggio di Bil’in ed è un membro di spicco del Faz3a, si vede un soldato israeliano colpire Khatib e afferrarlo per il collo. Più tardi, quando Khatib giace a terra a pancia in giù, si vede lo stesso soldato che lo calpesta.

“I soldati hanno preso a pugni Khatib, gli sono saliti sulla schiena, gli hanno coperto gli occhi e lo hanno portato verso l’avamposto [della colonia]”, ha detto Hillel Dahbash, un attivista israeliano che ha assistito agli arresti. “I soldati continuavano a lanciare granate stordenti. Ci siamo radunati per accedere all’area agricola e abbiamo cercato di raggiungere nuovamente il terreno, ma i soldati ci hanno buttato fuori a calci e ci hanno spinto verso le auto. Hanno poi sparato granate stordenti contro le auto, fino a quando l’ultimo veicolo ha lasciato l’area”.

La raccolta è avvenuta nell’area di Ar-Ras, a ovest di Salfit, dove nell’ultimo anno si sono svolte ogni venerdì, tutte le settimane, manifestazioni contro la costruzione del vicino avamposto. La scorsa settimana, Yesh Din ha documentato il furto di ulivi appartenenti ai palestinesi abitanti di Salfit da parte dei coloni.

L’avamposto è uno degli oltre 100 costruiti senza l’autorizzazione del governo israeliano e quindi illegale secondo la stessa legge israeliana. Secondo il diritto internazionale, tutti gli insediamenti in Cisgiordania sono da ritenere illegali.

“L’avamposto costruito l’anno scorso impedisce ai palestinesi di accedere alla terra di loro proprietà”, ha aggiunto Hillel, mentre i suoi confini sono proprio ai margini degli uliveti palestinesi.

Secondo gli attivisti sul posto, i soldati israeliani hanno detto ai contadini che, se avessero evitato le “provocazioni” arrivando da soli senza giornalisti israeliani, avrebbero avuto il permesso di accedere alla loro terra e raccogliere dai loro alberi. Ma, come in altre aree della Cisgiordania, molti palestinesi hanno paura di andare da soli, senza alcuna protezione dagli attacchi dei coloni, a occuparsi dei loro uliveti.

La polizia israeliana ha tenuto Khatib in detenzione da lunedì. Probabilmente sarà portato di fronte al tribunale militare alla fine di questa settimana. A differenza dei detenuti israeliani, che devono essere portati davanti a un giudice entro 24 ore dal loro arresto, la legge militare consente che palestinesi rimangano in detenzione fino a 96 ore senza un’udienza in tribunale.

Ai due attivisti israeliani che sono stati arrestati con Khatib, nel frattempo, è stato offerto il rilascio su cauzione con divieto di entrare nell’area vicino all’avamposto. Gli attivisti si sono rifiutati e hanno scelto di rimanere in detenzione in solidarietà con Khatib. Dopo essere stati portati martedì davanti alla Corte Petah Tikvah, agli israeliani è stato inflitto un divieto di recarsi nell’area di cinque giorni.

Martedì sera Khatib è stato portato davanti a un tribunale militare israeliano in Cisgiordania, dove un giudice israeliano ha stabilito che, sebbene avesse probabilmente commesso un reato, doveva comunque essere rilasciato, soprattutto alla luce del fatto che anche gli attivisti israeliani erano stati rilasciati quel giorno. Il giudice ha fissato la cauzione di Khatib a 1.000 NIS [267 euro, ndtr.] e lo ha bandito dalla zona per una settimana.

Una richiesta di commento sulla violenza dei soldati è stata inviata lunedì sera al portavoce dell’IDF [esercito israeliano, ndt.], ma non ha ancora risposto. La risposta sarà pubblicata se e quando la riceveremo.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




La Nike avverte i dettaglianti israeliani che cesserà di rifornirli nel 2022

Redazione The Palestine Chronicle

6 ottobre 2021 The Palestine Chronicle

Domenica la Nilke ha scritto quanto segue ai dettaglianti israeliani:

A seguito di una complessiva valutazione eseguita dalla società e in considerazione dell’evoluzione delle condizioni di mercato, è stato deciso che la continuazione delle relazioni commerciali tra lorsignori e la società non risponde più alle strategie e agli obiettivi della medesima”

Si ritiene che la decisione della Nike colpirà duramente i dettaglianti israeliani. Essendo uno dei marchi sportivi più popolari al mondo, i suoi prodotti costituiscono una parte rilevante delle vendite.

Questa decisione segue l’annuncio del luglio scorso del gigante dei gelati Ben & Jerry’s di por termine alle vendite dei suoi prodotti nei territori palestinesi occupati.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Prigioniero palestinese riarrestato inizia lo sciopero della fame

Zena Al Tahhan

5 ottobre 2021 – Al Jazeera

Mohammad al-Ardah, uno dei sei prigionieri evasi da un carcere israeliano il mese scorso, sta protestando contro le misure punitive in carcere.

Ramallah, Cisgiordania occupata – Il prigioniero palestinese riarrestato Mohammad al-Ardah, uno dei sei prigionieri evasi il mese scorso da una prigione israeliana, ha iniziato uno sciopero della fame a tempo indeterminato contro quelle che i suoi avvocati hanno descritto come “durissime condizioni di isolamento”.

L’avvocato di Al-Ardah gli ha fatto visita lunedì nella prigione meridionale di Asqalan (Ashkelon), dove egli è tenuto in isolamento da mercoledì.

“Ha annunciato uno sciopero della fame per chiedere condizioni di vita e di detenzione migliori e perché le autorità carcerarie ritirino le misure punitive adottate nei suoi confronti”, ha detto ad Al Jazeera l’avvocato Kareem Ajwa, della Commissione per gli Aaffari dei Ddetenuti dell’Autorità Nnazionale Ppalestinese.

Secondo Ajwa si è tenuta un’udienza all’interno della prigione, in seguito alla quale le autorità hanno imposto ad al-Adrah due settimane di isolamento e un divieto per due mesi delle visite dei familiari e dell’accesso alla mensa, oltre a sanzioni pecuniarie.

Aiwa ha affermato che, mentre i 14 giorni di isolamento costituiscono una punizione carceraria interna, è probabile che i tribunali israeliani emettano nei confronti di al-Ardah e di molti degli altri prigionieri ricatturati un ordine formale di isolamento, che può essere rinnovato ogni sei mesi. “Potrebbero affrontare anni di isolamento”, ha aggiunto.

La Commissione ha dichiarato che al-Ardah, di 39 anni, è detenuto in condizioni di durissimo isolamento”, in una cella non ventilata priva dei servizi elementari”, senza effetti personali o vestiti di ricambio, un cuscino o una coperta.

Ajwa ha affermato che la Commissione presenterà presto un’istanza per un miglioramento delle condizioni di detenzione di al-Ardah, che ha detto di sperare includa il trasferimento in una cella migliore e il permesso di avere con sé dei vestiti.

Al-Ardah è uno dei sei prigionieri palestinesi evasi dalla prigione di Gilboa, nel nord di Israele, all’alba del 6 settembre. Le autorità israeliane hanno annunciato di averlo ripreso insieme a Zakaria Zubeidi, 46 anni, la mattina dell’11 settembre, mentre Mahmoud Abdullah al-Ardah, 46 anni, e Yaqoub Mahmoud Qadri, 49 anni, erano stati riarrestati il giorno prima. Sono stati catturati dopo essere stati trovati vicino a Nazareth.

Gli ultimi due fuggitivi, Ayham al-Kamamji e Munadel Infaat, sono stati riarrestati il ​​19 settembre a Jenin, nel nord della Cisgiordania occupata, dopo una caccia all’uomo di due settimane.

Domenica la Commissione ha affermato che le autorità carcerarie israeliane hanno tenuto per Qadri un’udienza interna e hanno deciso di imporgli delle misure punitive, tra cui due settimane di isolamento e il divieto per sei mesi delle visite familiari e dell’accesso alla mensa, oltre a sanzioni pecuniarie.

Qadri è recluso in isolamento nella sezione dei detenuti per reati criminali della prigione di Rimonim, nel nord. Nel frattempo Mahmoud al-Ardah e Infaat sono tenuti in isolamento nella prigione di Ayalon a Ramla, Zubaidi nella prigione di Eshel e Kamamji nella prigione di Ohalei Kedar.

Prima di essere posti in isolamento i sei prigionieri sono stati sottoposti da parte della polizia e delle forze di intelligence israeliane a quelli che gli avvocati hanno descritto come durissimi interrogatori e molti di loro hanno denunciato abusi fisici e mentali.

Mohammad al-Ardah ha riferito di aver subito durante il suo interrogatorio delle torture, compresa la privazione del cibo, del sonno e delle cure mediche.

Quattro dei sei prigionieri prima dell’evasione stavano scontando l’ergastolo, mentre due erano detenuti in attesa di processo militare. I condannati sono stati arrestati tra il 1996 e il 2006 e condannati per aver compiuto attacchi contro obiettivi militari e civili israeliani. Cinque di loro sono affiliati al gruppo della Jihad islamica palestinese, mentre uno è un membro anziano del braccio armato di Fatah, organizzazione a capo dell’Autorità nazionale palestinese.

La maggior parte dei palestinesi, che vedono tutti i prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane come prigionieri politici nella lotta per la liberazione, hanno ovunque celebrato l’evasione.

Scioperi della fame contro la detenzione amministrativa

Inoltre lunedì il Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR) ha dichiarato di essere “seriamente preoccupato” per la salute di altri due prigionieri palestinesi che stanno affrontando uno sciopero della fame a tempo indeterminato contro la reclusione nelle carceri israeliane in regime di detenzione amministrativa – senza processo né accuse.

“Il medico del CICR ha visitato entrambi i detenuti, Kayed Nammoura (Fasfous) che è in sciopero della fame da 82 giorni e Miqdad Qawasmeh che lo conduce da 75 giorni, e ha monitorato attentamente le loro condizioni”, ha affermato Robert Paterson, responsabile sanitario del CICR.

“Siamo preoccupati per le conseguenze potenzialmente irreversibili per la loro salute e la loro vita di uno sciopero della fame così prolungato”.

Fasfous e Qawasmi sono detenuti all’ospedale di Kaplan e sono fra i sei prigionieri palestinesi in sciopero della fame contro la loro reclusione di mesi in regime di detenzione amministrativa.

Secondo la Commissione Alaa al-Araj ha raggiunto i 59 giorni; Shadi Abu Akar i 43 giorni;, Rayeq Bsharat i 44 giorni; e Hisham Hawwash i 49 giorni. I quattro sono detenuti presso il reparto medico della prigione di Ramle.

Attualmente Israele trattiene in detenzione amministrativa 520 prigionieri palestinesi – una politica che consente alla polizia e ai militari israeliani di tenere prigionieri i palestinesi a tempo indeterminato sulla base di “informazioni segrete” – senza sporgere denuncia formale o processarli, una pratica che risale ai tempi dell’occupazione britannica della Palestina.

Secondo Amany Sarahneh, portavoce della Associazione dei Pprigionieri Ppalestinesi (PPS), oltre ai due prigionieri citati dal CICR, anche Hawwash e al-Araj stanno affrontando gravi complicazioni per la loro salute.

Generalmente in questo stadio tutti gli organi vitali del corpo entrano in una condizione di rischio“, ha detto Sarahneh ad Al Jazeera, aggiungendo che i sei prigionieri sono “tutti in pericolo”.

Avvertono un’estrema debolezza fisica, alcuni di loro hanno disturbi oculari, altri della sfera cognitiva”, prosegue, aggiungendo che tutti loro si trovano su sedia a rotelle, ma che mancano ancora dei particolari sui problemi di salute che i prigionieri stanno affrontando.

Tutti i quattro detenuti nella clinica del carcere di Ramle, afferma Sarahneh, si trovano in condizioni di “isolamento molto duro”, in celle isolate, come misura punitiva per aver iniziato lo sciopero della fame. Riferisce che i prigionieri sono tenuti in stanze piccole e prive di igiene, alcune delle quali infestate da scarafaggi.

Secondo Sarahneh mercoledì alle 11 ci sarà un’udienza del tribunale militare israeliano per Qawasmi e al-Araj per sentenziare su una petizione presentata dal PPS che chiede il loro rilascio.

Altri prigionieri in detenzione amministrativa hanno scelto di interrompere l’assunzione dei loro farmaci, anche per malattie croniche, per fare pressione sulle autorità per il loro rilascio.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)