Israele ha ucciso altri 124 palestinesi in 24 ore

Redazione di Middle East Monitor

5 marzo 2024 – Middle East Monitor

Ieri il ministero palestinese della Sanità ha affermato che nelle ultime 24 ore, fino a lunedì mattina, l’esercito israeliano ha commesso 13 nuovi massacri contro famiglie nella Striscia di Gaza, uccidendo 124 persone e ferendone altre 210.

Gli aerei da guerra israeliani hanno colpito in tutta la Striscia di Gaza mentre la guerra all’enclave assediata è entrata nel 150esimo giorno. Nel frattempo al Cairo sono continuati i colloqui tra una delegazione di Hamas e mediatori provenienti da Qatar, Egitto e Stati Uniti per raggiungere un accordo per il cessate il fuoco nel territorio occupato.

Gli attacchi aerei contro Rafah, nella parte meridionale della striscia di Gaza, sono stati intensificati, uccidendo decine di persone nel campo profughi d Nuseirat. L’artiglieria israeliana ha bombardato aree residenziali e rifugi nei campi di Jabalia, Khan Yunis, Deir Al-Balah e Tal Al-Zaatar.

Finora dal 7 ottobre Israele ha ucciso almeno 30.534 palestinesi a Gaza ne ha feriti altri 71.920. Attualmente è accusato di genocidio presso la Corte Internazionale di Giustizia.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Israele cambierà il testo della canzone presentata all’Eurovision dopo l’intervento del suo Presidente

Redazione

4 marzo 2024-Middle East Eye

Su richiesta del Presidente israeliano rivisto il testo della canzone presentata al concorso che conteneva riferimenti all’attacco di Hamas del 7 ottobre.

Israele ha accettato di cambiare il testo della canzone con cui intende partecipare all’Eurovision Song Contest dopo che gli organizzatori hanno contestato gli evidenti riferimenti alla guerra a Gaza.

L’emittente nazionale Kan è responsabile della scelta delle candidature nazionali per la competizione, che si svolgerà a Malmö, in Svezia, dal 7 all’11 maggio.

La principale proposta israeliana è October Rain, una ballata dell’artista solista Eden Golan.

Il testo originale della canzone, secondo Kan, include versi come “Non c’è più aria per respirare” e “Erano tutti bravi bambini, ognuno di loro”.

I testi sono evidenti riferimenti all’attacco a sorpresa dei combattenti palestinesi nel sud di Israele il 7 ottobre.

Kan ha annunciato domenica di aver chiesto agli autori di October Rain e del secondo classificato, Dance Forever, di modificare i testi “preservando la loro libertà artistica”.

A seguito delle revisioni, Kan presenterà ufficialmente la canzone israeliana al comitato dell’Eurovision.

La canzone October Rain verrà ribattezzata Hurricane, ha annunciato l’emittente. Il testo modificato non è stato ancora rivelato.

Kan inizialmente aveva detto che non avrebbe cambiato il testo, ma ha accettato di farlo su richiesta del Presidente israeliano Isaac Herzog.

“Il Presidente ha sottolineato che in questo particolare momento, in cui coloro che ci odiano cercano di emarginare e boicottare lo Stato di Israele in ogni modo, Israele deve far risuonare la sua voce con orgoglio e a testa alta e alzare la sua bandiera in ogni forum mondiale, soprattutto quest’anno”, ha scritto l’emittente Kan in una nota.

“Non politico”

Gli organizzatori di Eurovision, la European Broadcasting Union (EBU), affermano che il concorso è un evento non politico e che i concorrenti possono essere squalificati per aver violato le regole.

Il mese scorso hanno annunciato che stavano indagando sui testi della proposta israeliana, ma che le procedure erano riservate.

“Se una canzone è ritenuta inaccettabile per qualsiasi motivo, alle emittenti viene data l’opportunità di presentare una nuova canzone o un nuovo testo, secondo le regole del concorso”, ha affermato l’EBU.

Diversi musicisti – tra cui artisti provenienti da Svezia, Danimarca, Norvegia, Finlandia e Islanda – hanno chiesto che Israele venga sospeso dal concorso per l’uccisione dei palestinesi a Gaza dal 7 ottobre.

Due anni fa la Russia fu squalificata dalla competizione per l’invasione dell’Ucraina.

L’EBU ha sostenuto che la situazione a Gaza è diversa da quella dell’Ucraina e ha resistito alle richieste di rimuovere Israele.

Israele ha gareggiato all’Eurovision dal 1973, vincendo la competizione in quattro occasioni.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Guerra a Gaza: un bambino palestinese muore di fame e malnutrizione a Gaza

Nadda Osman

4 marzo 2024 – Middle Est Eye

Yazan al-Kafarna, un bambino di 10 anni affetto da paralisi cerebrale infantile, è morto all’ospedale al-Najjar a Rafah per le conseguenze della malnutrizione

Un bambino di Gaza, identificato come Yazan al-Kafarna, è stato uno degli ultimi a morire di fame e malnutrizione nell’enclave assediata dall’inizio della guerra il 7 ottobre.

Secondo quanto riportato dai media locali Kafarna è morto all’ospedale al-Najjar di Rafah lunedì, portando il numero totale di bambini morti per malnutrizione a 16 da ottobre.

Immagini e video di Kafarna diffusi dal 2 marzo lo mostrano disteso in un letto di ospedale con le guance scavate.

In un video suo padre mostra una foto del figlio, in evidenti condizioni di salute, risalente a prima della guerra.

Prima della guerra stava bene, poteva usufruire di tutto il cibo e le cure mediche di cui aveva bisogno. Quando è iniziata la guerra tutto è stato interrotto…questo è successo perché gli è mancato il nutrimento e il cibo necessario”, ha detto, aggiungendo che la foto di suo figlio era stata scattata solo una settimana prima dell’inizio della guerra.

La famiglia di Kafarna è stata sfollata da Beit Hanoun a (nord-est di) Gaza a Rafah nel sud.

In un’intervista i familiari hanno detto a Al Jazeera in versione araba che Kafarna è arrivato a un punto in cui sopravviveva con solo qualche boccone di pane.

Viveva dei pezzi di pane che trovavamo con molta difficoltà e compravamo a costi altissimi. Se non riuscivamo a trovare del cibo gli davamo dello zucchero perché potesse restare in vita. La ragione principale per cui ha raggiunto uno stadio in cui sembra uno scheletro è la mancanza di cibo”, ha detto Mohammed al-Kafarna, un membro della famiglia.

Secondo Kafarna Yazan è arrivato a un punto in cui aveva bisogno di cibo e di nutrienti specifici perché si mantenesse in vita dopo aver perso così tanto peso corporeo, tuttavia la famiglia non poteva procurarsi ciò di cui necessitava.

Yazan era affetto da paralisi cerebrale infantile fin dalla nascita, il che significa che aveva dovuto seguire una dieta speciale e assumere integratori alimentari. Tuttavia la famiglia ha detto che dall’inizio della guerra non aveva avuto più accesso a queste cose.

I giornalisti a Gaza hanno documentato la morte di altri bambini a causa di malnutrizione e fame.

La guerra della fame’

Hossam Shabat, un giornalista di Gaza, ha detto che una bambina è morta per mancanza di latte, mentre un’altra, Heba Ziadeh, è morta all’ospedale Kamal Adwan nel nord di Gaza per disidratazione e malnutrizione.

La scorsa settimana il portavoce del Ministero della Sanità di Gaza, Ashraf al-Qudra, ha affermato che “l’occupazione israeliana sta conducendo una nuova guerra contro gli abitanti di Gaza, la guerra della fame”, aggiungendo che il numero delle persone che muoiono di fame e malnutrizione è in crescita, soprattutto tra i bambini.

Ha spiegato che il sistema sanitario nel nord di Gaza ora è del tutto incapace di soddisfare le necessità del territorio assediato, soprattutto dopo che l’ospedale Kamal Adwan è stato occupato dalle forze israeliane. 

Gaza è sull’orlo della carestia, ha avvertito a fine febbraio il capo dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati Palestinesi (UNRWA).

L’ultima volta che l’Unrwa è stata in grado di fornire aiuti alimentari nel nord di Gaza è stata il 23 gennaio”, ha scritto Philippe Lazzarini sui social media.

Almeno 500.000 persone stanno affrontando la carestia mentre quasi l’intera popolazione di Gaza, 2.3 milioni di persone, sta patendo una grave penuria di alimenti, come mostrano i dati dell’ufficio ONU per il Coordinamento degli Affari Umanitari.

A fine febbraio almeno due neonati sono morti per malnutrizione e disidratazione a Gaza.

Le organizzazioni di aiuti hanno avvertito che il blocco di cibo e acqua verso l’enclave palestinese può configurare un crimine contro l’umanità.

Randa Ghazy dell’ONG Save the Children ha affermato che Gaza sta subendo “il peggior livello al mondo di malnutrizione”.

Le donne incinte non ricevono il nutrimento e le cure di cui necessitano, il che le rende più vulnerabili alle malattie e al crescente rischio di morte durante il parto”, ha detto a Middle East Eye.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Coloni israeliani entrano a Gaza per fondare un avamposto ‘simbolico’

Oren Ziv

1 marzo 2024 – +972 Magazine

Decine di coloni e attivisti di destra hanno assaltato il valico di Erez e costruito due strutture di legno senza che soldati e polizia intervenissero.

Ieri pomeriggio oltre 100 israeliani hanno assaltato il valico di Erez nel nord di Gaza nel più significativo tentativo di ristabilire colonie ebraiche nella Striscia dall’inizio della guerra. Un gruppetto è riuscito a penetrare a Gaza per parecchie centinaia di metri prima di essere intercettato da soldati israeliani, mentre circa altri 20 sono entrati nell’area fra i due muri che costituiscono la barriera che cinge la Striscia. Là hanno stabilito un “avamposto” nello stile che si vede comunemente in Cisgiordania, costruendo per parecchie ore senza interventi da parte di esercito o polizia. 

Dai primi momenti della guerra è stato chiaro che i politici israeliani di destra e i leader dei coloni hanno percepito l’opportunità di cambiare radicalmente lo status quo in Israele-Palestina. Per mesi ci sono state richieste sempre più pressanti, non ultima a gennaio in un’importante conferenza a Gerusalemme in cui alti funzionari hanno presentato i loro piani per rioccupare Gaza, spesso mentre si chiedeva contestualmente di espellere dalla Striscia i suoi 2.3 milioni di abitanti palestinesi. In parallelo attivisti di destra, quasi tutti giovani, hanno cominciato regolarmente a dimostrare contro l’ingresso di aiuti umanitari nella Striscia nei pressi della recinzione di Gaza. Tuttavia l’azione di ieri ha marcato un nuovo picco nelle loro attività. 

Verso le 14 gli attivisti hanno cominciato a riunirsi in una stazione ferroviaria a Sderot, città nel sud di Israele vicino a Gaza. In quel punto di incontro iniziale per quella che era ufficialmente una “protesta” per rendere onore a Harel Sharvit, un colono ucciso mentre prestava servizio a Gaza, l’atmosfera era calma, persino sonnolenta. Un’auto della polizia è passata nei pressi senza reagire a quanto stava avvenendo. Da qui gli attivisti si sono mossi in auto private verso il checkpoint di Erez, l’unico valico civile fra Israele e la Striscia di Gaza, classificato dall’esercito israeliano come “zona militare chiusa” da quando è stata brevemente occupata dai palestinesi nel corso dell’attacco guidato da Hamas nel sud di Israele il 7 ottobre. 

Arrivati vicino al posto di blocco gli attivisti sono usciti dalle loro auto e hanno iniziato una manifestazione. A questo punto hanno incontrato un altro convoglio di veicoli pieni di “giovani delle colline”, giovani coloni violenti che regolarmente stabiliscono nuovi avamposti in Cisgiordania e attaccano i palestinesi per costringerli a lasciare le loro terre. Almeno due di loro erano armati di fucili come quelli usati dall’esercito, e hanno portato materiali da costruzione per erigere un avamposto. 

A un certo punto alcuni di loro hanno cominciato a correre verso il posto di blocco e sono riusciti ad attraversarlo non ostacolati dai pochi soldati presenti incapaci di fermarli. Nello spazio fra i due muri che circondano la Striscia circa una ventina di loro ha cominciato a erigere due strutture usando i materiali che avevano portato: assi e pali di legno e lamiere di ferro per i tetti. Nel frattempo un gruppetto di giovani coloni è penetrata di corsa ancora più dentro Gaza, sempre senza che i soldati glielo impedissero.

Le radio dei soldati hanno ricevuto il messaggio che un certo numero di persone era entrato a Gaza e sono stati mandati jeep militari e persino due carri armati per cercarli. Circa mezz’ora dopo una jeep militare ha riportato i giovani sul lato israeliano del valico senza arrestarli. Sono usciti dalla jeep fra gli applausi degli altri attivisti, unendosi al gruppo più grande che cantava “È nostra.”

Per parecchie ore chi era arrivato nello spazio fra i due muri ha continuato senza impedimenti a costruire l’avamposto che hanno chiamato New Nisanit, come una delle colonie di Gaza abbandonate come parte del “disimpegno” del 2005. Come in Cisgiordania i soldati sono rimasti nei pressi a offrire protezione invece di cercare di fermarli.

Questo è il nostro Paese’

Amiel Pozen e David Remer, entrambi diciottenni, sono due dei coloni che sono riusciti a penetrare per circa 500 metri entro Gaza. Dopo essere stati prelevati e riportati al posto di blocco dall’esercito israeliano hanno parlato con +972

Non avevamo paura di entrare (a Gaza), il Santo è con noi e le Forze di difesa israeliane erano lì per aiutarci,” ha detto Remer. “Noi siamo venuti qua (perché) vogliamo tornare a casa. Io vivo in una comunità di deportati da Gush Katif (blocco di insediamenti ebraici a Gaza sfollato nel 2005) e abbiamo voluto ritornarci. Dopo tutto quello che è successo non c’è dubbio che dobbiamo ritornarci. 

La sensazione è molto bella, come tornare a casa,” ha continuato Remer. “È nostra. Il Santo, che Egli sia benedetto, ha detto che è nostra. Se non ci saremo noi sappiamo cosa ci sarà.”

Pozen ha aggiunto: “Siamo venuti in rappresentanza dell’intera popolazione, del popolo ebraico. Noi vogliamo ritornare in tutta la Terra di Israele, in tutte le parti della nostra Terra Santa. Non ci sono ‘due stati per due popoli’, è sbagliato. Il popolo di Israele appartiene alla Terra di Israele.”

Riguardo alla possibilità di persuadere il governo a sostenere il reinsediamento a Gaza Pozen ha affermato: “Vorrei che il governo capisse (ciò che) la maggioranza delle persone ha già capito: noi siamo qui. È nostra. Non ci sono ostacoli politici o internazionali. Non dobbiamo tenere nessun altro in considerazione. È una questione interna. Dobbiamo andare a Gaza, distruggere tutti i terroristi là e costruirvi noi.”

Un altro dei coloni fermati dall’esercito dopo essere penetrato in profondità dentro Gaza ha mostrato ai suoi amici sul cellulare la foto di una pianta di fragole in un orto palestinese dicendo: “Guardate com’è bello il Paese.”

Nel corso della serata i giovani coloni hanno continuato ad aggirare l’esercito e a correre verso l’avamposto. Molti l’hanno fatto strisciando in un buco nella recinzione probabilmente creato durante gli eventi del 7 ottobre, finché i soldati non hanno portato un bulldozer per chiuderlo con del terriccio.

Molti dei giovani erano delle stesse organizzazioni che hanno passato parecchie delle scorse settimane cercando, spesso senza successo, di impedire agli aiuti umanitari di raggiungere Gaza. Ai loro occhi c’è un legame fra il trattenimento degli aiuti per i palestinesi e la rifondazione di colonie ebraiche a Gaza: entrambi sono visti come un mezzo per ottenere una “vittoria” decisiva.

Mechi Fendel, un’attivista di destra di Sderot, ha detto a +972: “Siamo venuti qui ad affermare che il giorno dopo la fine della guerra dobbiamo insediarci ed espandere le città ebraiche su tutta la Striscia di Gaza. Perché se non lo facessimo diventerà come un nido di vespe. Non si può lasciare un vuoto. Non c’è motivo per volere che si ripeta. Io vivo a un chilometro dalla Striscia di Gaza. Non posso avere dei terroristi come vicini e il 7 ottobre ci hanno fatto vedere di cosa sono veramente capaci.”

Per quanto riguarda la costruzione di un avamposto vicino alla recinzione ha spiegato: “Far vedere che abbiamo costruito due case è un atto simbolico. Sono venuti con queste grosse assi di legno e in pratica hanno costruito due strutture qui nella Striscia di Gaza. Naturalmente è simbolico perché non ci passeranno la notte. Ma il punto è: qui è dove dobbiamo stare. Questo è il nostro Paese. Non possiamo lasciare disabitata un’intera striscia di terra.”

E cosa succederebbe ai palestinesi di Gaza se si stabilissero delle colonie ebraiche? “Se sono disposti ad accettare la giurisdizione israeliana, a lasciarci entrare e controllare il loro sistema educativo e aiutarli finanziariamente, allora, se sono pacifici, lasciamoli stare,” ha sostenuto Fendel. “Fino ad ora non ho mai trovato un palestinese che sia pacifico. Come ho scritto, i lavoratori palestinesi (che lavorano in Israele) per decine di anni sono diventati terroristi in un secondo.

Penso che il governo quando vedrà che noi siamo con loro, che il popolo lo vuole, sarà d’accordo,” ha continuato. “Perché neanche il governo vuol vedere nascere un nido di vespe. Penso che se noi abbiamo le persone e la volontà e facciamo vedere di essere là, siamo coraggiosi e vogliamo farlo, il governo ci aiuterà.”

Prima gli assalti dei soldati, adesso dei coloni’

Le dinamiche hanno ricordato le tipiche scene in Cisgiordania, con i coloni a cui viene data la libertà di azione mentre i soldati restano a guardare nonostante siano in una zona militare chiusa e alcuni di loro entrino persino in una zona di combattimento. Si sono visti alcuni dei soldati abbracciare gli attivisti. Un soldato ha detto a +972 che loro li sostengono e che il problema sono “i media che vogliono azione per filmare i soldati che picchiano ebrei.”

Anche se i soldati hanno l’autorità di sottoporre a fermo dei cittadini israeliani, e lo hanno fatto con giornalisti e altri civili che negli ultimi mesi si sono avvicinati alla recinzione, invariabilmente evitano di trattenere coloni che infrangono la legge in Cisgiordania, e è successo anche ieri. Uno degli attivisti, che ha detto a +972 di essere un soldato non in servizio che portava la sua arma militare su abiti civili, ha riferito di aver lasciato prima l’area perché i soldati l’hanno avvisato che l’avrebbero “buttato fuori dall’esercito.”

 I soldati parlano con calma con gli attivisti, fra cui il ben noto Baruch Marzel, un kahanista [seguace del defunto rabbino estremista Meir Kahane ndt.] arrivato in un momento successivo. “Sono come i soldati che hanno fatto irruzione [a Gaza], adesso sono loro (i giovani coloni) a fare irruzione,” dice Marzel a uno dei soldati. 

Più tardi, mentre se ne stavano andando, Marzel ha detto a +972 che l’azione gli ha ricordato “la prima colonia a Sebastia”, un villaggio vicino a Nablus, in Cisgiordania, dove circa 50 anni fa un gruppo di coloni del movimento Gush Emunim (Blocco dei Fedeli) [movimento dei coloni nazional-religiosi sorto nel 1974, ndt.] tentò di stabilire una colonia ebraica sfidando i tentativi del governo di cacciarli fino a quando non cedette. Egli aggiunge che il problema principale per lui non è insediarsi a Gaza, ma deportare i palestinesi in “tutti i Paesi che li sostengono.” 

Un funzionario della sicurezza presente sulla scena ha espresso a +972 il suo disappunto su come gli attivisti siano riusciti ad attraversare con tale facilità il posto di blocco. “Se sono riusciti a entrare a Gaza ciò significa che anche (i palestinesi) possono entrare dalla direzione opposta,” ha detto. 

Funzionari di polizia arrivati sul posto si sono comportati con la stessa indifferenza dei soldati. Sembrava non avessero fretta di intervenire e all’inizio hanno arrestato solo uno dei manifestanti. Dopo il tramonto, verso le 19, alcuni attivisti hanno cominciato ad andarsene e in seguito il resto è poi stato disperso dalla polizia. La scorsa notte un totale di nove persone è stato arrestato e portato a una stazione di polizia.

La scorsa notte, in risposta alle domande di +972, un portavoce della polizia ha dichiarato: “Le forze della polizia israeliana sono state chiamate nel pomeriggio vicino al valico di Erez in seguito all’arrivo di manifestanti e alla penetrazione di un gruppetto nella Striscia di Gaza attraverso la recinzione, violando l’ordine di un generale. Alla luce di un pericolo reale per le vite dei manifestanti le forze di polizia sono state costrette ad agire nel territorio della Striscia di Gaza dove alcuni di loro li hanno affrontati e si sono rifiutati di andarsene, non lasciando alla polizia altra scelta che arrestarne nove per aver violato l’ordine di un generale e non aver (obbedito) a un ufficiale di polizia.

I manifestanti sono stati portati a una stazione di polizia per essere interrogati, dopo di che si deciderà chi di loro verrà deferito domani alla Corte di Appello per discutere la loro causa.” Oggi la polizia non ha risposto a un’altra richiesta di informazioni circa quali degli arrestati siano stati accusati, ma sembra che siano stati tutti rilasciati la scorsa notte.

Oren Ziv è una fotogiornalista e reporter di Local Call e fra i fondatori del collettivo di fotografi Activestills.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Guerra a Gaza: Il “massacro” israeliano uccide oltre 100 palestinesi in cerca di cibo a Gaza City

Mohammed al-Hajjar a Gaza City, Palestina occupata e Nader Durgham a Beirut

29 febbraio 2024 Middle East Eye

I testimoni raccontano a MEE di essere stati attaccati indiscriminatamente mentre si concentravano intorno a un convoglio di aiuti.

Almeno 104 palestinesi sono stati uccisi e altre centinaia sono stati feriti giovedì quando le forze israeliane hanno sparato contro le persone che si trovavano presso un convoglio di aiuti in al-Rasheed Street a Gaza City, ha dichiarato il Ministero della Sanità palestinese, definendo l’incidente un “massacro”. I residenti di Gaza City si erano riuniti in cerca di cibo, avendo le forze israeliane tagliato fuori completamente l’area dagli aiuti. Le ONG e gli esperti delle Nazioni Unite hanno espresso il timore di una carestia nel nord di Gaza e ci sono state segnalazioni di persone, tra cui bambini, morte di fame. Fares Afana, capo del servizio ambulanze dell’ospedale Kamal Adwan di Gaza, ha detto che i medici hanno trovato “decine o centinaia” di corpi stesi a terra appena giunti sul posto.

Ha detto che alcuni feriti hanno dovuto essere trasportati negli ospedali su carri trainati da asini, poiché non c’erano abbastanza ambulanze per accogliere tutti i morti e i feriti.

Gli ospedali nel nord di Gaza, la maggior parte dei quali sono fuori uso a causa dei ripetuti attacchi israeliani, non sono in grado di gestire il grande afflusso di pazienti.

Ahmad, un 31enne che ha fornito solo il suo nome di battesimo, ha raccontato a Middle East Eye che i camion degli aiuti hanno raggiunto la strada alle 4 del mattino e che le forze israeliane hanno sparato contro le persone che cercavano di raggiungere il convoglio. Ahmad è stato colpito al braccio e alla gamba.

“Gli spari sono stati indiscriminati, la gente è stata colpita alla testa, ai piedi, allo stomaco”, ha detto. Un uomo è stato ucciso e travolto da un carro armato. “L’esercito israeliano ha accusato i palestinesi di essere responsabili di una calca di massa, affermando che: “I residenti hanno circondato i camion e hanno saccheggiato i rifornimenti consegnati. A causa delle spinte, dei calpestamenti e dell’investimento dei camion, decine di gazawi sono rimasti uccisi e feriti”. I video dall’alto mostrano la disperazione dei palestinesi accalcati intorno ai camion. Tuttavia, oltre alle testimonianze, i filmati mostrano chiaramente che durante l’incidente sono stati esplosi pesanti colpi d’arma da fuoco.

Fonti israeliane hanno riferito all’Agenzia France Press che le truppe hanno sparato contro i palestinesi, e una di esse ha detto che i soldati ritenevano che la folla “rappresentasse una minaccia”. Kamel Abu Nahel, il cui piede è stato travolto da uno dei camion, ha detto: ” Se volete mandare gli aiuti in questa maniera, non inviateli.” “Stiamo morendo per avere la farina per i nostri figli”, ha aggiunto. L’attacco arriva mentre il bilancio dei morti palestinesi nella guerra ha superato i 30.000, secondo il Ministero della Sanità palestinese. Reagendo all’attacco, da Oxfam hanno detto di essere “sconvolti” dalle notizie. “Israele prende deliberatamente di mira i civili dopo averli affamati [ed] è una grave violazione delle leggi umanitarie internazionali e della nostra umanità”, ha detto il gruppo di aiuto internazionale. “Il rischio di genocidio è reale.”

Ammar Helo, un palestinese di 30 anni sopravvissuto all’attacco, ha dichiarato a MEE che continuerà a scendere in strada ogni volta che arriveranno i camion degli aiuti, nonostante rischi la sua vita: “Non abbiamo pane, non abbiamo farina, abbiamo mangiato cibo per gli animali”, ha detto. I sopravvissuti hanno raccontato a MEE che anche il cibo per animali si sta esaurendo nel nord. “Giuro che tutta Gaza è distrutta, giuro che un terremoto divino sarebbe stato meglio”.

(Traduzione dall’inglese di Carlo Tagliacozzo)




Israele ha facilitato la crescita di Hamas, dichiara Borrell dell’Unione Europea

Redazione di Middle East Monitor

27 febbraio 2024 – Middle East Monitor

Lunedì il responsabile degli Affari Esteri dell’Unione Europea [UE] Josep Borrell ha affermato che negli anni 80 con le sue politiche Israele ha agevolato la crescita di Hamas. Egli ha criticato Israele in un discorso tenuto ad un forum organizzato presso una università a Madrid.

Io non direi che [Israele] ha finanziato [Hamas] inviando un assegno,” ha spiegato Borrell, “ma ha consentito la crescita di Hamas” come rivale del partito egemone palestinese Fatah. Egli ha ripetuto la sua dichiarazione, fatta nelle ultime settimane secondo cui “Israele ha creato e finanziato Hamas.”

È una “realtà incontestabile”, ha aggiunto il funzionario della UE, che Israele ha scommesso sulla divisione dei palestinesi, creando una forza da opporre a Fatah. Egli ha affermato che si stava riferendo alla ben nota dichiarazione che il primo ministro Benjamin Netanyahu ha reso pubblicamente davanti alla sua coalizione parlamentare, in cui ha affermato che chiunque si opponga alla soluzione a due Stati deve agevolare il finanziamento di Hamas.

Borrell ha ripetuto il suo supporto per la soluzione a due Stati in base alla quale lo Stato palestinese sarebbe riconosciuto e ha criticato Israele perché si oppone a questa soluzione, ma non ha proposto alcuna alternativa. Ha fatto presente che tutti sembrano essere d’accordo sulla soluzione a due Stati, tranne che il governo Netanyahu, che ha cercato di impedire la realizzazione di questa soluzione per 30 anni.

Descrivendo la risposta militare israeliana a Gaza come “sproporzionata” perché sta causando un eccessivo numero di vittime civili, Borrell ha insistito sul fatto che la sua dichiarazione non è “anti-ebraica”.

Da ottobre Israele sta combattendo una devastante guerra genocida contro la Striscia di Gaza. Ha ucciso e ferito più di 100.000 palestinesi, la maggior parte dei quali minori e donne, e ha creato una catastrofe umanitaria senza precedenti e una estesa distruzione delle infrastrutture civili, portando lo stato di occupazione ad affrontare la Corte Internazionale di Giustizia per accuse di genocidio.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




L’aviatore USA che ha gridato “Palestina libera” prima di darsi fuoco

Redazione di MEE

26 febbraio 2024 – Middle East Eye

L’azione di protesta contro la guerra a Gaza ha portato a una valanga di critiche contro il modo in cui i principali mezzi di comunicazione hanno dato la notizia dell’incidente.

Aaron Bushnell, militare in servizio attivo dell’aviazione militare USA, è morto domenica dopo essersi dato fuoco davanti all’ambasciata israeliana a Washington per protesta contro il genocidio a Gaza.

Le sue ultime parole sono state “Palestina libera”.

“Non voglio più essere complice del genocidio. Sto per compiere un atto estremo di protesta, ma rispetto a quello che sta provando la gente in Palestina per mano dei suoi colonizzatori non è affatto estremo. È ciò che la nostra classe dirigente ha deciso sia normale. Palestina libera,” ha detto in un video girato mentre camminava davanti all’ambasciata.

Lunedì il Pentagono ha affermato che la sua morte è stata un “evento tragico”.

Il portavoce del Pentagono generale Patrick Ryder ha detto che il segretario alla Difesa USA Lloyd Austin sta seguendo la situazione.

Bhusnell, 25 anni, era in divisa ed ha utilizzato un accendino per darsi fuoco dopo essersi cosparso di un liquido. Ha ripreso tutto l’avvenimento su Twitch, una piattaforma in streaming molto diffusa, che ha cancellato il video.

Nelle immagini due poliziotti gli si avvicinano mentre sta bruciando. Uno di loro gli punta contro un’arma. L’altro dice: “Non c’è bisogno di un’arma, ci vuole un estintore!” Pare che Bushnell sia rimasto avvolto dalle fiamme per circa un minuto prima che gli agenti spegnessero le fiamme.

Lunedì è stato ampiamente condiviso su Twitter un post su Facebook attribuito a Bushnell con il seguente contenuto: “Molti di noi amano chiedersi: ‘Cosa avrei fatto durante lo schiavismo? O nel Sud di Jim Crow [durante la segregazione razziale, ndt.]? O l’apartheid? Cosa avrei fatto se il mio Paese stesse commettendo un genocidio?’ La risposta è: quello che stai facendo, proprio ora.”

Bushnell viveva a San Antonio, Texas, e stava frequentando un corso di laurea di ingegneria informatica.

Nella sua pagina LinkedIn afferma: “Durante il periodo passato nell’esercito sia nei ruoli di comandante che di sottoposto, così come in una precedente esperienza di lavoro svolgendo una serie di ruoli civili mi sono arricchito in contesti di squadra ed ho sviluppato ottime capacità comunicative.”

Non è la prima volta che incidenti come questo avvengono nelle proteste USA contro le guerre ed è il secondo di questi atti di auto-immolazione dall’inizio della guerra a Gaza in ottobre.

A dicembre una contestatrice si è immolata fuori dall’edificio del consolato israeliano ad Atlanta, in quello che la polizia statunitense ha descritto come “un atto estremo di protesta politica.” Ha subito ustioni di terzo grado sul corpo. Sul posto è stata trovata una bandiera palestinese. Il suo nome o età non sono mai stati resi noti dalle autorità.

Il 2 novembre 1965 Norman Morrison, un attivista contro la guerra, si cosparse di cherosene e si diede fuoco davanti all’ufficio del segretario alla Difesa Robert McNamara al Pentagono per protestare contro la partecipazione degli Stati Uniti alla guerra del Vietnam.

Nel 1993 Graham Bamford si versò addosso benzina e si diede fuoco davanti alla Camera Bassa del parlamento britannico nelle ore centrali della giornata per evidenziare le sofferenze di quanti stavano morendo in Bosnia in seguito al genocidio.

Critiche ai mezzi di comunicazione 

Dopo l’evento i principali mezzi di comunicazione sono stati messi in discussione per la scelta dei loro titoli. Quello del New York Times dice “La polizia afferma che un uomo è morto dopo essersi dato fuoco fuori dall’ambasciata israeliana a Washington”.

La CNN: Aviatore USA muore dopo essersi dato fuoco fuori dall’ambasciata israeliana a Washignton.”

La BBC: “Aaron Bushnell: aviatore USA muore dopo essersi dato fuoco davanti all’ambasciata israeliana a Washington.”

Il Washington Post: “Aviatore muore dopo essersi dato fuoco davanti all’ambasciata israeliana nel Distretto Federale.

“Perché lo ha fatto?” ha scritto Assal Rad, utente di X. “Nessuno dei titoli cita le parole ‘Gaza’ o ‘genocidio’, la ragione della protesta di Aaron o la parola ‘Palestina’, l’ultima che ha detto.”

Reazioni

Membri dello staff di Ceasefire, un gruppo di collaboratori dell’amministrazione Biden che stanno facendo pressione sull’amministrazione per un cessate il fuoco, hanno pianto la perdita di Bushnell e chiesto un immediato e permanente cessate il fuoco a Gaza.

“Il Presidente Biden, nostro comandante in capo, continua a ignorare il dissenso dei collaboratori sulle sofferenze di massa provocate dalla complicità dei nostri dirigenti,” afferma il comunicato.

“Solo il presidente Biden, non attraverso inutili conversazioni dietro le quinte, ma attraverso processi definiti dalle leggi internazionali e una forte attività diplomatica, ha il potere di ridurre i danni che vengono fatti. Può scegliere di cambiare il nostro attuale percorso di distruzioni inutili.”

In un post su Instagram il Movimento Giovanile Palestinese ha affermato: “Mentre i media statunitensi stanno già spacciando la storia come se si trattasse di un malato di mente, un giovane disturbato, il messaggio stesso di Aaron nei secondi prima del suo atto dimostra la limpidezza e lungimiranza morale con cui ha meditato e alla fine deciso il suo atto.”

Aggiunge che la “parola per martire in arabo, ‘shaheed’, si traduce con ‘testimone’, o una persona i cui ultimi istanti di vita sono una testimonianza dell’ingiustizia.

Aaron Bushnell è un martire, il cui ultimo momento è stato speso nel fuoco di una nuda, incontrovertibile verità: la coscienza morale di ogni essere umano, dal ventre della bestia agli angoli più remoti del pianeta, chiede immediata attenzione e azione per porre fine agli orrori che abbiamo davanti a noi,” afferma il comunicato.

Il Forum del Popolo, un centro comunitario che opera per comunità di lavoratori e marginalizzate di New York, sta contribuendo a guidare una veglia per Bushnell il 27 febbraio insieme al Movimento della Gioventù Palestinese.

In un post su Instagram scrive che Bushnell “ha compiuto l’estremo sacrificio per porre fine a un genocidio perpetrato, appoggiato e finanziato dall’amministrazione Biden.

Il sistema è colpevole di crimini contro l’umanità a Gaza e Aaron Bushnell ha preso una posizione eroica. Onoriamo lui e il suo sacrificio.”

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Oltre 2/3 degli ebrei israeliani si oppongono agli aiuti umanitari ai palestinesi che muoiono di fame a Gaza

Jonathan Ofir

23 Febbraio 2024-Mondoweiss

Un nuovo sondaggio dell’Israeli Democracy Institute mostra che il 68% degli ebrei israeliani si oppone “al trasferimento di aiuti umanitari ai residenti di Gaza”.

È un dato scioccante. L’Israeli Democracy Institute ha pubblicato questa settimana un sondaggio che dimostra che oltre i 2/3 degli ebrei israeliani – cioè il 68% – si oppongono “in questo momento al trasferimento di aiuti umanitari ai residenti di Gaza

La situazione è anche peggiore: il sondaggio ha cercato di escludere qualsiasi possibile opposizione all’UNRWA (contro cui Israele si sta scagliando) o alle autorità di Hamas (che Israele considera terroristi). Inutilmente. Oltre due terzi si oppongono comunque agli aiuti umanitari “tramite organismi internazionali che non siano collegati ad Hamas o all’UNRWA… La maggioranza degli intervistati ebrei (68%) si oppone al trasferimento di aiuti umanitari anche in queste condizioni”, rileva il sondaggio.

I numeri sono peggio quando si tratta degli ebrei israeliani di destra, dove l’opposizione è all’80% – quattro su cinque. E si consideri che circa 2/3 degli elettori israeliani sono considerati di destra.

Qui bisogna davvero fermarsi. Ci troviamo in una situazione in cui i palestinesi di Gaza muoiono di fame, le persone disperate consumano mangimi per animali. Questa settimana il Programma Alimentare Mondiale delle Nazioni Unite ha riferito che le persone a Gaza stanno “già morendo per cause legate alla fame” e uno screening nutrizionale dell’UNICEF nel nord di Gaza ha rilevato che 1 bambino su 6 sotto i due anni è gravemente malnutrito. Gli israeliani non ignorano affatto questi dati. Stanno sostenendo il genocidio a stragrande maggioranza.

È ormai prassi comune nella società israeliana discutere a partire da quale età sia accettabile che i bambini muoiano di fame. Una recente discussione sul programma di notizie dell’emittente pubblica più popolare ha raggiunto un consenso tra un ex funzionario del Mossad e la conduttrice veterana sul fatto che è legittimo che i bambini di età superiore ai 4 anni muoiano di fame.

Gran parte del mondo, compresi gli Stati Uniti, sembra negare quanto sia omicida ed esplicitamente genocida la società israeliana. Nancy Pelosi continua a parlare di Israele come “l’unica democrazia nella regione” mentre gli stessi israeliani sostengono la morte per fame dei bambini. La gente semplicemente non sembra capirlo.

L’aiuto umanitario è stato uno dei punti principali dell’ordinanza della Corte Internazionale di Giustizia del 26 gennaio, emessa quando la corte ha ritenuto plausibile che Israele stesse commettendo un genocidio, secondo l’accusa del Sud Africa. Era il punto 4 dei 6, che afferma:

Lo Stato di Israele adotterà misure immediate ed efficaci per consentire la fornitura dei servizi di base e dell’assistenza umanitaria urgentemente necessari per affrontare le condizioni di vita avverse affrontate dai palestinesi nella Striscia di Gaza”.

Anche il giudice israeliano aggiunto appositamente alla Corte, Aharon Barak, che ha votato contro 4 delle 6 misure urgenti, ha votato a favore di questa (è stata approvata 16 a 1, con l’eccezione della giudice ugandese Julia Sabutinde che ha votato recisamente contro tutte le misure).

È una cosa così basilare, un bisogno così fondamentale – anche in guerra, quando ci si oppone a una questione così fondamentale diventa qualcosa di diverso dalla guerra: diventa un genocidio. Come stiamo assistendo.

Questo sondaggio sembra solo confermare ciò che abbiamo già visto. I manifestanti israeliani hanno bloccato i camion degli aiuti al confine meridionale vicino a Rafah. Si sarebbe forse tentati di inquadrarli come estremisti marginali, ma il sondaggio mostra che sono la maggioranza. Il sondaggio afferma anche che i leader israeliani come il ministro della Difesa Yoav Galant, che all’inizio del genocidio disse: “Ho ordinato un assedio totale sulla Striscia di Gaza – niente elettricità, niente cibo, niente gas, tutto è chiuso – stiamo combattendo animali umani e noi agiamo di conseguenza”, rappresentano la maggioranza della popolazione.

Questo è il peggior livello di disumanizzazione nella società israeliana che posso ricordare da quando vi sono nato 52 anni fa. Naturalmente, questa disumanizzazione non è iniziata il 7 ottobre, esisteva molto prima che io nascessi e anche prima che esistesse lo Stato. Ma ora sembra essere giunto al culmine. Agli israeliani non sembra importare più nemmeno di mantenere una parvenza di tolleranza: sono entrati in una vera e propria modalità di genocidio. E quando dico disumanizzazione, non sono solo i palestinesi ad essere disumanizzati in questo processo. Gli israeliani si stanno riducendo a un livello di barbarie. È qualcosa che abbiamo fatto a noi stessi mentre ci convincevamo che uccidere decine di migliaia di palestinesi ci avrebbe salvato in qualche modo da questo abisso. Non è così.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Secondo un articolo l’intelligence statunitense mette in dubbio le affermazioni israeliane riguardo ai rapporti tra l’UNRWA e Hamas.

Redazione di The Guardian

22 febbraio 2024 – The Guardian

Un rapporto dell’intelligence afferma che alcune accuse secondo cui collaboratori umanitari avrebbero partecipato agli attacchi di Hamas sono credibili ma non potrebbero essere verificate in modo indipendente.

Una verifica da parte dell’intelligence USA delle affermazioni di Israele secondo cui membri del personale di un’agenzia umanitaria dell’ONU avrebbero partecipato il 7 ottobre all’attacco di Hamas afferma che alcune delle accuse sono credibili, benché non potrebbero essere verificate in modo indipendente, mettendo nel contempo in dubbio denunce di rapporti più ampi con gruppi di miliziani.

L’attacco ha provocato un’invasione su vasta scala di Gaza che ha ucciso fino a 30.000 palestinesi. All’inizio dell’anno Israele ha accusato 12 dipendenti della United Nations Reliefs and Works Agency [agenzia ONU che si occupa dei profughi palestinesi, ndt.] (UNRWA) di aver partecipato agli attacchi del 7 ottobre insieme ad Hamas. Ha anche sostenuto che il 10% di tutti i lavoratori dell’UNRWA è affiliato ad Hamas.

La clamorosa accusa ha portato molti Paesi, tra cui gli USA, a tagliare i finanziamenti all’agenzia, che è stato un mezzo fondamentale per inviare aiuti a Gaza in quella che è stata ampiamente descritta come una crisi umanitaria.

Secondo il Wall Street Journal [importante quotidiano statunitense, ndt.] il rapporto dell’intelligence reso noto la scorsa settimana afferma con “scarsa fiducia” che un pugno di impiegati hanno partecipato agli attacchi, indicando di considerare le accuse credibili, pur non potendo confermare in modo indipendente la loro veridicità.

Tuttavia solleva dubbi sulle accuse secondo cui l’agenzia dell’ONU ha collaborato con Hamas in modo più complessivo. Secondo il Journal il rapporto sostiene che, benché l’UNRWA si coordini con Hamas per consegnare aiuti e operare nella zona, mancano prove che suggeriscano una collaborazione con il gruppo.

Aggiunge che Israele non ha “condiviso con gli USA i documenti di intelligence che stanno dietro le sue affermazioni.”

Inoltre il rapporto nota l’avversione di Israele nei confronti dell’UNRWA, hanno affermato al Journal due fonti informate: “C’è un paragrafo specifico che menziona come la tendenziosità israeliana sia funzionale a travisare molte delle affermazioni sull’UNRWA e dice che ciò ha dato come risultato delle distorsioni,” avrebbe affermato una fonte.

Secondo il Journal la scorsa settimana il rapporto di quattro pagine del National Intelligence Council ha circolato tra i funzionari del governo USA. Fondato nel 1979, il NIC include importanti analisti ed esperti dell’intelligence che lavorano insieme a parlamentari USA sulla politica statunitense.

A gennaio il segretario di stato Antony Blinken aveva affermato che le accuse di Israele sono “molto, molto credibili”. Nove dei dipendenti accusati sono stati licenziati dal capo dell’agenzia, che ha affermato di aver seguito così facendo “il contrario di un giusto processo”. In una conferenza stampa a Gerusalemme il commissario generale dell’UNRWA Philippe Lazzarini all’inizio di febbraio ha detto di non aver verificato le prove prima del licenziamento.

“Avrei potuto sospenderli, ma li ho licenziati. E ora ho avviato un’indagine e se l’inchiesta ci dirà che è stato un errore, in quel caso all’ONU prenderemo una decisione su come compensarli correttamente,” ha affermato.

Mercoledì Lazzarini ha detto ad Haaretz [quotidiano israeliano di centro-sinistra, ndt.] che l’agenzia sta chiedendo a Israele la “massima collaborazione per fornire le prove agli inquirenti.”

Riguardo alle affermazioni israeliane secondo cui circa il 10% dei lavoratori dell’UNRWA sarebbe affiliato ad Hamas, Lazzarini ha detto al giornale: “Ho letto sul giornale di 190 o 1.200 (dipendenti), ma non siamo stati informati (al riguardo) … Non abbiamo queste informazioni, non sappiamo da dove vengano queste informazioni, non sappiamo se si tratta di una stima. Non sappiamo se si tratta solo di una congettura.”

Con circa 2 milioni di palestinesi sfollati con la forza dagli attacchi di Israele contro Gaza dal 7 ottobre, la maggioranza dei sopravvissuti ha cercato rifugio a Rafah. Mentre i palestinesi devono fare i conti con gravi carenze di cibo, acqua, carburante e servizi medici, l’ONU ha avvertito di un incombente disastro della sanità pubblica.

Solo quattro degli ambulatori e centri medici dell’UNRWA nella Striscia sono ancora in funzione.

“Ci siamo totalmente riorientati da quelli che chiamerei i tradizionali servizi di tipo pubblico forniti ai rifugiati palestinesi e dalle attività per lo sviluppo umano verso un tipo di risposta emergenziale che è prioritariamente salvavita, come aiutare la gente a trovare un rifugio,” ha detto Lazzarini ad Haaretz.

“Stiamo cercando di tenere in piedi per quanto possibile il nostro sistema sanitario di base in modo che la gente non sovraffolli gli ospedali, che sono travolti da quella che definirei chirurgia di guerra di base.”

Nel contempo un rapporto separato dell’ONU di un gruppo di esperti dell’ONU reso pubblico lunedì ha manifestato allarme riguardo a “denunce credibili” di donne e ragazze sottoposte a “molteplici forme di aggressioni sessuali … da parte di soldati maschi dell’esercito israeliano.”

Le denunce includono stupri e detenzioni di donne palestinesi in gabbie, oltre a “foto di donne detenute in condizioni degradanti… che sarebbero state prese dall’esercito israeliano e pubblicate in rete.”

“Ricordiamo al governo israeliano i suoi obblighi di tutelare il diritto alla vita, alla sicurezza, alla salute e alla dignità delle donne e ragazze palestinesi e di garantire che nessuna sia sottoposta a violenza, tortura, sevizie o trattamenti degradanti, comprese violenze sessuali,” affermano gli esperti dell’ONU.

(traduzione dall’inglese Amedeo Rossi)




L’economia israeliana si è ridotta di quasi il 20% nell’ultimo trimestre del 2023 a causa della guerra a Gaza

20 febbraio 2024 – Middle East Monitor

L’economia israeliana si è ridotta di quasi il 20% nell’ultimo trimestre del 2023 in seguito all’offensiva e al bombardamento in corso della Striscia di Gaza da parte delle forze israeliane.

Secondo l’ufficio centrale di statistica israeliano, cifre preliminari mostrano che il prodotto interno lordo (PIL) della nazione si è contratto del 19,4% annualizzato nei tre mesi finali dello scorso anno, contrazione che è quasi il doppio di quella attesa dal mercato.

Nel primo trimestre del 2023, il tasso di crescita del PIL è stato del 3,1%, diminuito al 2,8% nel secondo trimestre, seguito dal 2,7% nel terzo trimestre. Per l’intero 2023, l’economia israeliana è cresciuta per un totale solo del 2%, una significativa riduzione rispetto al 6,5% del 2022.

La contrazione dell’economia nel quarto trimestre del 2023 è stata direttamente influenzata dall’inizio della guerra ‘Spade di Ferro’ il 7 ottobre”, ha affermato l’ufficio di statistica, riferendosi all’inizio da parte di Tel Aviv dei suoi bombardamenti e dell’invasione di Gaza, seguiti all’operazione nel territorio israeliano da parte del gruppo di resistenza palestinese Hamas.

Le ragioni per la contrazione dell’economia israeliana probabilmente vanno dal boicottaggio dei prodotti israeliani in tutto il mondo, al rallentamento degli investimenti internazionali nella nazione, alla riduzione delle importazioni ed esportazioni nello/dallo Stato di occupazione a causa della interruzione delle rotte di navigazione.

Presumibilmente tutte quelle motivazioni hanno provocato una caduta della domanda, costi crescenti, scarsità di lavoro nella nazione e si prevede che la guerra di Israele a Gaza costerà 48 miliardi di dollari allo Stato di occupazione.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)