Barghouti: l’Autorità Palestinese non ha autorità

28 settembre 2021 – Middle East Monitor

Ieri l’agenzia di stampa Sama [agenzia di notizie siriana, ndtr.] ha riferito che Marwan Barghout, membro del Comitato Centrale di Fatah, ha detto dal carcere: “ L’Autorità Palestinese (ANP) non ha autorità” e ha aggiunto che la battaglia per Gerusalemme “ha rivelato l’inettitudine e la fragilità” del sistema politico palestinese.

Barghouti ha anche detto che l’ANP “ha permesso all’occupazione israeliana di non spendere nulla,” facendo notare che l’occupazione “pratica la pulizia etnica ed è responsabile di molti atti di aggressione contro i palestinesi.”

Ha spiegato che la frazione principale dell’Olp ” ha accettato condizioni inferiori al minimo” necessario per raggiungere la pace con l’occupazione israeliana.

Immigrazione, colonie, rafforzamento dell’esercito e potenti alleanze internazionali “sono il pilastro dell’occupazione israeliana,” ha spiegato Barghouti, osservando che gli ebrei immigrati in Israele sono 32.000 all’anno e che il numero dei coloni ebrei israeliani nella Cisgiordania occupata è salito negli ultimi dieci anni a 200.000.

Nel frattempo Israele ha accresciuto la sua potenza militare e sta stringendo alleanze con Russia, Cina e India, oltre agli USA. Questo Stato occupante sta cercando al contempo di diventare una nazione centrale nella regione con cui i Paesi vicini stanno cercando di stringere alleanze, ha spiegato.

La recente battaglia per Gerusalemme avvenuta a maggio nei territori occupati e in Israele, “è la prova che, nonostante sofferenze e dolori, i palestinesi non smetteranno di combattere per i propri diritti,” ha concluso Barghouti.

Ciò ha anche “evidenziato l’inettitudine e la fragilità del sistema politico palestinese e dimostrato che dobbiamo produrre una nuova leadership alternativa tramite elezioni generali.”

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Coloni mascherati lanciano pietre contro palestinesi ferendone 12, tra cui un bambino di 3 anni

Hagar Shezaf

28 settembre 2021 – Haaretz

Secondo gli abitanti decine di coloni sono arrivati nel villaggio cisgiordano di Khirbat al-Mufkara, dove gli israeliani hanno distrutto auto, danneggiato cisterne per l’acqua e colpito la gente del posto con pietre. Tre coloni sono rimasti lievemente feriti

Martedì decine di coloni mascherati hanno lanciato pietre contro palestinesi ferendone 12, mentre sulle colline a sud di Hebron la violenza dei coloni continua ad inasprirsi.

L’incidente è avvenuto nei pressi del villaggio cisgiordano di Khirbat al-Mufkara, dove i coloni hanno anche danneggiato circa 10 vetture e cisterne per l’acqua di palestinesi. Tra i 12 feriti c’è un bambino di 3 anni colpito alla testa che è stato portato al centro medico Soroka di Be’er Sheva in condizioni serie.

Come reazione i palestinesi hanno lanciato pietre contro i coloni, ferendone lievemente 3. I soldati israeliani arrivati sul posto hanno lanciato lacrimogeni e granate assordanti. La polizia afferma che un palestinese e un colono sono stati arrestati.

Gli abitanti palestinesi sostengono che l’incidente è iniziato quando un pastore palestinese ha detto alle persone del posto che i coloni avevano accoltellato le sue pecore. Alcuni palestinesi sono arrivati sul posto per aiutare a disperdere i coloni. Secondo i palestinesi circa mezz’ora dopo, verso le 14, da 80 a 100 coloni a volto coperto sono arrivati nel villaggio.

“Rispetto al passato questo è stato il peggior attacco che abbia visto,” afferma Basel al-Adra, un attivista del vicino villaggio di al-Tuwani. “Hanno raggiunto praticamente tutte le case e le auto del villaggio,” aggiunge.

“Hanno distrutto automobili, bucato le gomme dei trattori e danneggiato la mia cisterna. Sono entrati anche in casa mia ed hanno rotto i piatti,” dice Mahmoud Hussein, il nonno del bimbo ferito.

Secondo Hussein suo nipote è stato ferito quando un colono ha lanciato dall’ingresso della casa una pietra contro il bambino che stava dormendo. Hussein afferma che i coloni hanno tirato pietre anche contro le finestre e che un altro bimbo di 2 anni è stato ferito dai vetri rotti. “Non hanno lasciato nessuna finestra [intatta] in casa,” sostiene.

Un altro attivista palestinese dice che la scorsa settimana i coloni hanno costruito un nuovo allevamento di pecore nei pressi dell’avamposto illegale di Avigayil. “Da allora la situazione si è surriscaldata. Hanno iniziato a pascolare in terreni privati proprio davanti alle case della gente,” afferma.

Secondo i palestinesi, i soldati arrivati sul posto hanno sparato lacrimogeni contro le case del villaggio. L’esercito sostiene che un soldato è rimasto lievemente ferito da una pietra. In un video dell’incidente si vede il vice comandante del battaglione, Maor Moshe, strattonare un palestinese, benché una settimana fa il comandante sia stato redarguito per aver spinto un attivista di sinistra durante una protesta nella zona.

Dopo l’incidente il deputato del Meretz [partito della sinistra sionista, ndtr.] Mossi Raz ha scritto al ministro della Difesa Benny Gantz. “La violenza dei coloni è diventata un’epidemia,” ha detto Raz. “È giunto il tempo di smettere di essere clementi e ignorare questo fenomeno. Mi aspetto che gli aggressori siano immediatamente portati davanti alla giustizia.”

Il capo del consiglio regionale del Monte Hebron Yochai Damari ha reagito all’incidente dicendo: “L’immagine che emerge è complessa.” Ha affermato che i coloni israeliani non vivono nella regione e che hanno dichiarato di essere stati attaccati con lanci di pietre. “Non siamo violenti né contro i soldati né contro gli arabi,” ha detto.

Ha aggiunto che il veicolo di una guardia di sicurezza dell’avamposto di coloni Havat Maon è stato danneggiato da pietre e di essere in contatto con l’esercito, il servizio di sicurezza [interna] Shin Bet e la polizia per “avere i risultati dell’inchiesta.”

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Le forze armate israeliane hanno ucciso cinque palestinesi durante incursioni nei pressi di Jenin e Gerusalemme.

Shatha Hammad ,Lubna Masarwa

26 Settembre 2021,Middle East Eye

Secondo le notizie Israele trattiene i corpi di quattro dei palestinesi uccisi dopo l’operazione nel corso della quale due soldati israeliani sono stati gravemente feriti.

Domenica le forze armate israeliane hanno ucciso almeno cinque palestinesi durante raid militari nella Cisgiordania occupata vicino alla città di Jenin e a nord-ovest di Gerusalemme

Il quotidiano israeliano Haaretz ha scritto che durante i raid sono rimasti gravemente feriti due soldati israeliani un ufficiale e un soldato dell’unità Dovdovan [reparto che agisce sotto copertura in abiti civili travestendosi da palestinesi ndt].

Secondo quanto riferito, raid israeliani con scontri a fuoco hanno avuto luogo a Burqin, Qabatiya, Kafr Dan, Biddu e Beit Anan.

Tre dei cinque palestinesi, tutti di Biddu, sono stati uccisi nel villaggio di Beit Anan.

Gli uomini sono stati identificati dalle loro famiglie come Ahmad Zahran, Mahmoud Hmaidan e Zakariya Badwan.

Uno sciopero generale di un giorno è stato dichiarato domenica a Beit Anan e Biddu per protestare contro queste morti.

Le forze armate israeliane hanno anche ucciso almeno due palestinesi vicino a Jenin.

Dalle notizie raccolte si apprende che Israele trattiene quattro corpi dei palestinesi uccisi, i tre di Beit Anan e uno di quelli vicino a Jenin.

Appello per l’unità

Funzionari locali hanno detto che una delle persone uccise vicino a Jenin era un palestinese di 22 anni chiamato Osama Sobh del villaggio di Burqin, a sud-ovest della città di Jenin.

Muhammad al-Sabah, il sindaco di Burqin, ha detto a MEE che Sobh è deceduto per le ferite riportate dopo essere stato portato all’ospedale di Jenin. È stato sepolto a Burqin più tardi domenica.  

Sabah ha anche dichiarato che l’esercito israeliano ha ferito altri sei palestinesi che sono stati portati all’ospedale

Il gruppo armato Jihad Islamica ha dichiarato che Sobh era un membro dell’ala militare del gruppo, le Brigate al-Quds.

“Chiediamo a tutte le fazioni di agire insieme e in cooperazione con le Brigate al-Quds per combattere il nemico sionista”, si legge in seguito nella dichiarazione. 

Immagini pubblicate online mostrano soldati israeliani che portano via un cadavere da Beit Anan.

“Inseguito da settimane”

Il portavoce dell’esercito israeliano Amnon Scheffler ha affermato che tutte le vittime erano combattenti di Hamas.

Il primo ministro israeliano Naftali Bennett, in viaggio verso le Nazioni Unite a New York, ha affermato che le truppe israeliane hanno agito in Cisgiordania contro i combattenti di Hamas “che stavano per sferrare attacchi nell’immediato”.

Il presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) Mahmoud Abbas ha condannato le uccisioni e ha affermato che “l’uccisione di cinque palestinesi nell’area di Gerusalemme e Jenin è un efferato crimine commesso da Israele”.

Ma, secondo Quds.net, la famiglia di Zahran ha accusato l’ANP di aver aiutato l’operazione dell’esercito israeliano che ha ucciso il loro parente. 

“L’Autorità Palestinese è quella che ci ha mandato gli israeliani”, ha detto la madre di Zahran, che ha sottolineato che le forze israeliane lo stavano inseguendo da settimane e hanno interrogato e arrestato membri della famiglia prima di ucciderlo.

Incursioni alle prime ore del mattino.

Il sindaco di Beit Anan, Muhammad Ragheb Rabie, ha detto a MEE che le truppe dell’unità mobile dell’esercito israeliano hanno preso d’assalto il villaggio intorno alle 3 del mattino e si sono poi dirette verso l’area di Ein Ajab, nel nord-ovest di Gerusalemme.

“Potevamo sentire i suoni dei combattimenti da quest’area, che è una zona industriale che contiene allevamenti di pollame e frantoi”, ha detto Rabie.

Ha detto che l’esercito israeliano è stato visto trasportare le vittime durante il suo ritiro.

Ha aggiunto che nell’area si potevano vedere sangue e residui del raid dell’esercito israeliano e ha sottolineato che gli israeliani avevano impedito ai residenti di entrare e uscire dal villaggio.

Sabah [il sindaco di Burqin, vedi sopra ndt] ha detto che le forze dell’esercito israeliano hanno preso d’assalto anche Burqin alle 3 del mattino e hanno circondato la casa di Muhammad al-Zareini, un abitante del villaggio.

“Le forze israeliane hanno sparato all’impazzata sulla casa di Muhammad al-Zareini, dove vivevano sua moglie e i suoi figli, prima di ritirarsi alle 7 del mattino dopo averlo arrestato”, ha detto Sabah.

“Le forze di occupazione irrompono continuamente con violenza nel mio villaggio e, quando lo fanno, gli israeliani spesso sparano proiettili veri contro le case e i civili della zona”.

Il mese scorso, l’esercito israeliano ha ucciso quattro palestinesi nel campo profughi di Jenin durante un’operazione che ha portato a scontri armati.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




La parlamentare palestinese Khalida Jarrar è stata rilasciata dal carcere israeliano

Redazione di Al Jazeera

26 settembre 2021, Al Jazeera

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La leader politica e della società civile Khalida Jarrar, 58 anni, è stata rilasciata dopo quasi due anni trascorsi nelle carceri israeliane.

Nel pomeriggio di domenica le autorità israeliane hanno rilasciato Jarrar, figura della sinistra e membro dell’ormai estinto Consiglio Legislativo Palestinese (PLC), al posto di blocco di Salem ad ovest della città di Jenin.

L’esercito israeliano ha arrestato Jarrar nella sua casa a Ramallah il 31 ottobre 2019, otto mesi dopo che era stata rilasciata dopo 20 mesi di detenzione amministrativa senza processo né accuse.

A luglio una delle due figlie di Jarrar, la 31enne Suha, è morta a Ramallah in seguito a complicazioni di salute, cosa che ha provocato appelli di massa ad Israele per il rilascio della donna politica in tempo per assistere al funerale di sua figlia, appelli respinti da Israele.

Domenica dopo il suo rilascio Jarrar si è recata al cimitero di Ramallah, dove è sepolta Suha.

Quando Jarrar è arrivata, erano presenti al cimitero decine di membri di spicco, sostenitori e leader del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (PFLP), il capo dell’Associazione per i Prigionieri Politici, Qadura Faris, la governatrice delle città di Ramallah e al-Bireh, Leila Ghannam, e decine di giornalisti palestinesi.

Mi hanno vietato di partecipare al funerale della mia amatissima figlia e di darle un bacio sulla fronte”, ha detto Jarrar al cimitero.

Mi hanno impedito di dirle addio”, ha aggiunto prima di scoppiare in lacrime. “L’ultima volta che l’ho abbracciata è stata nella notte del mio arresto nel 2019.”

Un alto dirigente del PFLP ha detto che mentre “è veramente un momento doloroso e le parole non possono esprimere il sentimento di profonda tristezza, noi siamo felici che Jarrar sia libera dalla prigione dell’occupazione.”

Jarrar è stata trattenuta in detenzione amministrativa ancora fino a marzo di quest’anno, quando un tribunale militare israeliano la ha incriminata di “appartenenza ad un’organizzazione illegale”, a causa della sua affiliazione al PFLP, un’accusa in base alla quale era stata precedentemente incarcerata.

L’associazione per i diritti dei prigionieri Addameer, con sede a Ramallah, ha dichiarato all’epoca che “tutte queste sue incarcerazioni ed arresti costituiscono una flagrante violazione del diritto internazionale e contraddicono il principio giuridico sancito a livello internazionale e il divieto di processare una persona due volte per la stessa azione.”

Israele dichiara illegali oltre 400 organizzazioni, compresi tutti i partiti politici palestinesi – inclusi il partito Fatah al governo e l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) – in quanto “gruppi terroristi”.

Condanna regolarmente molti palestinesi col pretesto di “partecipazione ad un’organizzazione illegale” o di “fornire servizi ad una di esse” per via della loro affiliazione politica o di ogni tipo di attività pacifica.”

Jarrar è stata a lungo nel mirino dell’occupazione israeliana a causa del suo carattere schietto e del suo attivismo politico.

Ha trascorso molta parte degli ultimi sei anni entrando ed uscendo dalle carceri israeliane, compresi i periodi tra luglio 2017 e febbraio 2019 in detenzione amministrativa, una politica israeliana che consente l’incarcerazione dei palestinesi a tempo indeterminato, sulla base di “informazioni segrete”, senza presentare accuse formali contro di loro o consentire che siano sottoposti ad un processo.

Nel 2015 è stata condannata a 15 mesi con la stessa accusa – “appartenenza ad un’organizzazione illegale”.

Le autorità israeliane le hanno vietato di viaggiare dal 1988, tranne per un viaggio di tre settimane ad Amman in Giordania, per cure mediche.

Jarrar è stata eletta membro del PLC nella lista del PFLP nel 2006. E’ anche stata nominata nella Commissione Nazionale Palestinese per il monitoraggio rispetto alla Corte Penale Internazionale.

Relazione supplementare di Mohammed Najib a Ramallah

Fonte: Al Jazeera

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Il congresso del Partito Laburista vota il sostegno a sanzioni contro Israele per il “crimine di apartheid”

Joe Gill

27 settembre 2021 Middle East Eye

La mozione sfida la leadership di Keir Starmer riconoscendo che Israele ha messo in atto un sistema di apartheid e chiedendo la cessazione del commercio di armi con Israele.

 

Lunedì è stata una giornata disastrosa per Keir Starmer: durante il congresso del partito i delegati hanno fatto approvare una provocatoria mozione sulla Palestina e un membro del governo ombra si è dimesso con una durissima dichiarazione che stigmatizza la leadership di Starmer.

Il congresso del partito laburista ha sostenuto una mozione che sollecita il partito a sostenere sanzioni contro Israele per le sue azioni illegali ai sensi del diritto internazionale, a bloccare il commercio di armi del Regno Unito con Israele e a cessare gli scambi commerciali con le colonie illegali sui territori palestinesi occupati.

Il voto imbarazza Starmer, che ha trascurato la questione palestinese da quando è subentrato a Jeremy Corbyn, da sempre sostenitore delle richieste palestinesi di porre fine all’occupazione militare e agli abusi israeliani.

Subito dopo l’approvazione della mozione, la ministra ombra laburista degli Esteri, Lisa Nandy, l’ha disconosciuta dichiarando a Jewish News [quotidiano gratuito ebraico che ha sede a Londra, ndtr]: “Non possiamo sostenere questa mozione.”

Ha condannato la posizione pro-palestinese del congresso dicendo: “E’ nostro dovere nei confronti dei popoli di Israele e Palestina adottare un approccio equo ed equilibrato che riconosca che la pace è possibile solo se viene garantita la sicurezza di Israele accanto ad uno Stato palestinese sovrano ed autosufficiente.”

In seguito, con il grave gesto delle proprie dimissioni nel corso del congresso, il ministro ombra per l’impiego Andy McDonald ha dichiarato che Starmer ha tradito l’impegno di unire il partito sulla base di politiche socialiste preso al momento della sua elezione alla guida del partito.

McDonald ha spiegato che si dimetteva perché aveva ricevuto istruzioni da parte dell’ufficio di Starmer di opporsi ad un salario minimo nazionale di 20 dollari (15 sterline) e un’indennità di malattia obbligatoria pari al salario di sussistenza.

Nella lettera di dimissioni McDonald, che aveva già occupato posizioni di rilievo nel gruppo parlamentare del partito a guida Corbyn, scrive: “Dopo 18 mesi sotto la tua guida il nostro movimento è sempre più diviso e i giuramenti che avevi fatto agli iscritti non vengono onorati.”

Parlando poi in serata ad una riunione collaterale del partito , dove è stato accolto con entusiasmo, McDonald ha dichiarato che il partito deve “dire la verità su ciò che non ha funzionato [nella società] e avere coraggio su come porvi rimedio, ”ma che Starmer si è rifiutato di farlo in qualità di leader.

Ha quindi aggiunto: “Avevo detto con chiarezza a Keir che anche se non lo avevo votato né sostenuto, visto che pensavo che avrebbe vinto, lo avrei aiutato a portare avanti i dieci impegni che aveva assunto.” Ma gli impegni politici presi da Starmer sono stati annacquati.

La mozione sulla Palestina

La mozione sulla Palestina fa riferimento a recenti rapporti sui diritti umani che evidenziano “in modo inequivocabile” che Israele si è macchiata di apartheid, riconosciuto come crimine dall’ONU, come dimostrato dall’organizzazione israeliana per i diritti B’tselem e da Human Rights Watch.

La mozione sostiene la società civile palestinese nella sua richiesta di “misure efficaci” contro la costruzione delle colonie, rivendica la fine dell’occupazione della Cisgiordania e del blocco di Gaza, e sostiene il diritto dei palestinesi a ritornare alle proprie case.

La mozione, proposta dalla sezione giovanile del partito laburista, è passata senza difficoltà dopo una breve discussione presto interrotta dagli organizzatori del congresso e non trasmessa in diretta ai delegati.

Parlando contro la mozione, il parlamentare Steve McCabe, presidente di Labour Friends of Israel [gruppo parlamentare che cerca di rafforzare i legami tra il partito laburista britannico e quello israeliano,ndtr], ha dichiarato “questa mozione eterogenea è troppo gridata, troppo arrabbiata, troppo faziosa e non si concentra per niente sulla ricerca della pace.”

Il voto non è vincolante per la dirigenza laburista, ma dimostra che la base del partito è tuttora orientata a sostenere i diritti dei palestinesi e a porre fine alla complicità britannica nell’occupazione israeliana dei territori palestinesi.

La UK Palestine Solidarity Campaign [Campagna di solidarietà con la Palestina, ndtr] ha avuto parole di plauso: “approvata storica mozione sulla Palestina al congresso del 2021 del partito laburista che prende atto che Israele pratica l’apartheid e richiede severe sanzioni.”

Le azioni militari di Israele di maggio contro Gaza, con centinaia di morti, hanno provocato grandi proteste nel Regno Unito, portando 200.000 persone in piazza per la più grande dimostrazione a sostegno della Palestina mai vista in Gran Bretagna.

Da quando è stato eletto alla guida del partito lo scorso anno, il leader laburista Keir Starmer ha decisamente abbandonato la posizione del suo predecessore Jeremy Corbyn, da sempre a sostegno della causa palestinese, dichiarando di “sostenere incondizionatamente il sionismo”.

I membri palestinesi del partito laburista hanno denunciato che la dirigenza non li ha sostenuti e ha trasformato il partito in un ambiente ostile per chi difende i diritti umani dei palestinesi.

Un gruppo di autorevoli palestinesi ha scritto diverse volte a Starmer senza ricevere alcuna risposta dal capo del partito laburista.

Atallah Said, ex presidente dell’Associazione Arabo-britannica e fondatore di Arab Labour [l’associazione promuove la causa laburista fra le comunità arabe in Gran Bretagna, ndtr] ha dichiarato all’Independent lo scorso maggio: “ignorare le molte lettere di autorevoli membri della comunità palestinese britannica significa che questa comunità è sgradita all’interno del partito.

Il leader sta praticamente trattando l’intera comunità come reietti e si rifiuta non solo di incontrarci, ma persino di risponderci. Questo va di pari passo con l’allarmante cambio di rotta del partito laburista nel suo approccio alla questione del razzismo e con il suo dietrofront nei confronti della Palestina.”

Martedì scorso, nel corso di un collegamento video con un evento collaterale del partito laburista, l’attivista di Hebron Issa Amro ha sostenuto che la mozione sulla Palestina è stata una grande vittoria.

Che cosa è accaduto nel partito laburista? Che cosa non si è fatto per distruggere il punto di vista palestinese all’interno del partito laburista – [ma] ieri abbiamo vinto. Amiamo Jeremy Corbyn, ma ce l’abbiamo fatta senza di lui, con i nostri sostenitori all’interno del partito laburista.”

traduzione dall’inglese di Stefania Fusero

Testo della mozione approvata dal Partito Laburista britannico nella Conferenza Annuale di Brighton 2021

27/09/2021

La Conferenza condanna la Nakba in corso in Palestina, la violenza militarizzata di Israele che attacca la moschea di Al Aqsa, gli sfollamenti forzati da Sheikh Jarrah e l’assalto mortale a Gaza.

Insieme all’annessione de facto della terra palestinese mediante la costruzione accelerata di insediamenti e alle dichiarazioni dell’intenzione di Israele di procedere con l’annessione, è sempre più chiaro che Israele è intenzionato a eliminare qualsiasi prospettiva di autodeterminazione palestinese.

La Conferenza prende atto della mozione del Congresso TUC 2020 che descrive la costruzione e l’annessione di tali insediamenti come “un altro passo significativo” verso il crimine di apartheid delle Nazioni Unite e invita il movimento sindacale europeo e internazionale a unirsi alla campagna internazionale per fermare l’annessione e porre fine all’apartheid.

La Conferenza prende atto anche degli inequivocabili rapporti del 2021 di B’Tselem e Human Rights Watch che concludono che Israele sta praticando il crimine di apartheid come definito dalle Nazioni Unite.

La Conferenza accoglie con favore la decisione della Corte penale internazionale di avviare un’inchiesta sugli abusi commessi nei Territori palestinesi occupati dal 2014.

La Conferenza decide che è necessaria un’azione ora a causa delle continue azioni illegali di Israele e che i laburisti dovrebbero aderire a una politica etica su tutto il commercio del Regno Unito con Israele, compreso il blocco a qualsiasi commercio di armi utilizzato per violare i diritti umani palestinesi e il commercio con insediamenti israeliani illegali.

La Conferenza decide di sostenere “misure efficaci” comprese sanzioni, come richiesto dalla società civile palestinese, contro le azioni del governo israeliano che sono illegali secondo il diritto internazionale; in particolare per garantire che Israele fermi la costruzione di insediamenti, annulli qualsiasi annessione, ponga fine all’occupazione della Cisgiordania, al blocco di Gaza, faccia cadere il Muro e rispetti il ​​diritto del popolo palestinese, sancito dal diritto internazionale, al ritorno alle loro case.

La Conferenza decide che il Partito Laburista deve stare dalla parte giusta della storia e rispettare queste risoluzioni nella sua politica, comunicazione e strategia politica.

Traduzione di Angelo Stefanini

 




Dopo che i cecchini israeliani hanno ucciso 40 palestinesi in 3 mesi, il capo dell’esercito ha detto: ‘così non va, rilassatevi’

Dopo che i cecchini israeliani hanno ucciso 40 palestinesi in 3 mesi, il capo dell’esercito ha detto: ‘così non va, rilassatevi’

Dopo che i soldati israeliani hanno ucciso “come se nulla fosse” più di 40 palestinesi in 2 mesi, il capo di stato maggiore dell’esercito ha detto: “Così non va bene” ed ha ordinato ai cecchini di “rilassarsi”. Ma quando il giornalista Ohad Hemo ha riportato l’accaduto al Forum della Politica Israeliana, la presidentessa Susie Gelman ha subito espresso le sue preoccupazioni riguardo all’evasione dei prigionieri palestinesi da un carcere israeliano.

 Philip Weiss

17 settembre 2021 – Mondoweiss

 

Tre giorni fa un’associazione filoisraeliana ha tenuto un dibattito che ha rivelato la sua totale indifferenza nei confronti delle vite dei palestinesi. Il giornalista israeliano Ohad Hemo ha detto al Forum della Politica Israeliana, un’organizzazione lobbistica israelo-americana, che, dopo che i soldati israeliani hanno ucciso “come se nulla fosse” più di 40 palestinesi in Cisgiordania in due mesi, il capo dell’esercito ha detto: “Questo non va bene” ed ha ordinato ai cecchini di “rilassarsi”.

Susie Gelman, la presidentessa del Forum della Politica Israeliana, non ha risposto alla scioccante notizia, ma ha riportato la discussione sui suoi “motivi di preoccupazione” – l’evasione dei prigionieri palestinesi da un carcere israeliano.

Ecco la descrizione secondo Hemo di questa furia omicida:

Nelle ultime settimane è successo qualcosa in Cisgiordania. Posso dirvi che negli ultimi due mesi ci sono stati più di 40 palestinesi uccisi con armi da fuoco da Israele. E siamo arrivati al punto che il capo dell’esercito ha convocato tutti i comandanti impegnati in Cisgiordania e ha detto loro: ‘Aspettate un momento, così non va bene. Voglio dire che vengono uccise facilmente persone in incursioni, manifestazioni o altro. Perciò per favore parlate ai vostri cecchini. Parlate alla vostra gente nell’esercito. Solo questo, perché si rilassino’.

Hemo, il giornalista che si occupa della questione palestinese per il Canale 12 israeliano, ha preso spunto da un notiziario del 10 agosto. Dopo che i soldati israeliani avevano ucciso più di 40 palestinesi in tre mesi, compresi “civili…uccisi per errore”, Aviv Kochavi, capo di stato maggiore dell’esercito israeliano, ha richiesto dei cambiamenti.

Il Forum della Politica Israeliana palesemente non si preoccupa di queste uccisioni. Si stava svolgendo una discussione sull’evasione del 6 settembre in cui sei palestinesi sono fuggiti attraverso un tunnel dal carcere di Gilboa, e Gelman, che stava intervistando Hemo, ha ripetutamente espresso preoccupazione riguardo alle “conseguenze” di questa grave violazione della sicurezza”.

“Parlaci di questi sei prigionieri”, ha detto Gelman. “Voglio dire, questo genere di cose non dovrebbero proprio accadere. Vi sono ovviamente moltissime domande e sicuramente ci sarà un’indagine su che cosa sia andato storto…Come è mai possibile? …. Probabilmente alcune persone a causa di questo fatto perderanno il lavoro.”

Hemo ha detto: “Quattro di loro sono condannati all’ergastolo per aver ucciso degli israeliani o aver preso parte ad attacchi terroristici …. Mahmoud al-Arda è un killer, credetemi, è un vero terrorista della Jihad islamica.”

Hemo ha ripetutamente definito i palestinesi dei terroristi. Nessuno dei 4.500 palestinesi prigionieri di Israele sono prigionieri politici, ha detto Hemo, sono tutti “terroristi.”

“Stiamo parlando di circa 4.500 prigionieri attualmente detenuti nelle carceri israeliane. Non parlo di prigionieri politici, parlo di terroristi.”

Gelman e Hemo non si sono mai posti l’ovvia domanda: ci sono state delle conseguenze per gli assassini israeliani degli oltre 40 palestinesi? La risposta è sicuramente ‘no’. L’associazione (israeliana) per i diritti umani B’Tselem ha documentato che solo “in casi molto rari” i soldati israeliani sono accusati di reato per aver ucciso o ferito dei palestinesi. E quando lo sono, raramente vengono condannati. Al contrario i palestinesi in Cisgiordania vengono condannati ad un tasso di quasi il 100% nei tribunali militari – che è uno dei motivi per cui Human Rights Watch lo scorso aprile ha affermato che Israele pratica l’apartheid.

Hemo si presenterà il mese prossimo ad un’altra associazione filoisraeliana.

Philip Weiss

Philip Weiss è caporedattore di Mondoweiss.net ed ha fondato il sito nel 2005-06.

 

      (Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Israele cattura gli ultimi due palestinesi fuggiti

Israele cattura gli ultimi due palestinesi fuggiti

Tamara Nassar

20 settembre 2021-The Electronic Intifada

 

Nella notte di domenica, le forze di occupazione israeliane hanno catturato i due palestinesi ancora in fuga dall’inizio di questo mese da una delle prigioni più fortificate del paese.

Ayham Kamamji e Munadel Infiat sono stati arrestati nella città di Jenin, nel nord della Cisgiordania occupata.

Secondo il quotidiano di Tel Aviv Haaretz, l’agenzia di spionaggio e tortura nazionale israeliana Shin Bet ha ricevuto informazioni sulla posizione dei due uomini poche ore prima dell’arresto.

La polizia e i soldati israeliani hanno circondato la casa in cui alloggiavano.

Gli israeliani sapevano, secondo quanto da loro affermato, che i due erano a Jenin da diversi giorni. Il capo della polizia Kobi Shabtai ha detto che Israele stava preparando una “operazione complessa” per catturare gli uomini.

Ma entrambi gli uomini, disarmati, si sono arresi senza opporre resistenza.

In un’intervista con i media locali, il padre di Kamamji ha detto che suo figlio lo ha chiamato nelle prime ore di domenica e ha spiegato che aveva deciso di costituirsi per proteggere i residenti dell’edificio.

Ciò è credibile, dato che Israele ha regolarmente utilizzato la cosiddetta “procedura della pentola a pressione” per costringere i palestinesi ricercati ad arrendersi uscendo da un edificio in cui si nascondono, oppure a essere uccisi in una esecuzione extragiudiziale.

Le forze israeliane usano macchine edili come armi, insieme ad armi da fuoco ed esplosivi, per distruggere gradualmente l’edificio sopra quelli che si nascondono all’interno se si rifiutano di arrendersi.

Altri si sono chiesti perché i due uomini non siano andati al campo profughi di Jenin, che è vicino alla città e un’area che Israele evita a causa della forte resistenza.

Tuttavia, la loro capacità di evitare la cattura per quasi due settimane, pur entrando nella Cisgiordania occupata nel mezzo di una massiccia caccia all’uomo, è stata un grande imbarazzo e umiliazione per Israele.

Nonostante la loro cattura, la fuga dei sei uomini è vista come una vittoria che solleva il morale dei palestinesi di tutto il mondo, che vedono la loro impresa come un colpo devastante per il cosiddetto apparato di sicurezza di Israele.

Non è chiaro se l’Autorità Nazionale Palestinese o altri informatori abbiano avuto un ruolo nella cattura degli uomini, dato il cosiddetto coordinamento della sicurezza – collaborazione – dell’A.N.P. con Israele.

I sei uomini erano fuggiti dalla prigione di Gilboa nel nord di Israele il 6 settembre attraverso un tunnel sotterraneo dal bagno della loro cella.

Il tunnel sbucava appena fuori le mura della prigione direttamente sotto una torre di guardia.

Mahmoud Arda e Yacoub Qadri sono stati catturati nella città di Nazareth, nel nord di Israele, il 10 settembre, mentre Muhammad Arda e Zakaria Zubeidi sono stati arrestati all’inizio del giorno successivo a Shibli Umm al-Ghanam, una città palestinese nel nord di Israele.

L’intelligence israeliana e le autorità carcerarie hanno interrogato i quattro uomini che devono affrontare nuove accuse relative alla loro fuga.

 

(Traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Nel cuore di Tel Aviv un quartiere operaio abitato da mizrahi combatte contro il trasferimento forzato

 

Nel cuore di Tel Aviv un quartiere operaio abitato da mizrahi combatte contro il trasferimento forzato

Le autorità israeliane e i magnati dell’immobiliare per decenni hanno trasferito gli abitanti di Givat Amal che vi erano stati mandati negli anni ‘50 per impedire ai rifugiati palestinesi di far ritorno alle proprie terre. Ora gli ultimi ancora rimasti lottano per la sola casa che abbiano mai avuto.

Oren Ziv

19 settembre 2021 – +972 magazine

 

Per gran parte degli ultimi dieci anni gli abitanti di Givat Amal, un piccolo quartiere operaio nella zona benestante di Tel Aviv nord abitato da mizrahi [ebrei di Paesi arabi o musulmani che vivono in Israele, ndtr.], sono vissuti nell’ansia per il proprio destino. Nel 2014, la polizia aveva sfrattato con violenza 80 famiglie di Givat Ama per far posto a lussuosi condomini sparsi su 20 lotti. Oggi 45 delle famiglie rimaste nel rione non sanno quando le autorità li verranno a cacciare.

Nel 2020 il tribunale distrettuale di Tel Aviv Court aveva emesso altri ordini di sfratto, ordinando a tutti gli abitanti di Givat Amal di lasciare le proprie case in cambio di risarcimenti per un totale di 42 milioni di (nuovi) shekel (circa 11 milioni €) provenienti dalla El-Ad Group, una società immobiliare americana con sede in Israele (separata dal gruppo di coloni che opera a Gerusalemme Est).

Ma il 9 agosto, appena 24 ore prima che 20 di quegli ordini diventassero operativi, gli abitanti hanno ricevuto comunicazione da parte delle autorità israeliane che gli sfratti erano stati rimandati a data da destinarsi. Il rinvio è arrivato dopo settimane di una fortissima opposizione da parte di attivisti e una diffusa protesta che ha bloccato le principali strade della città in aggiunta alle pressioni esercitate da membri della Knesset e ministri.

Sembrava che la sospensione volesse dire che gli abitanti avrebbero finalmente potuto tirare un sospiro di sollievo. Ma il mese scorso le autorità hanno emesso un’altra serie di ordini di sfratto per novembre quando, è opinione diffusa, la polizia cercherà di sfrattare gli ultimi abitanti di Givat Amal.

Punire gli ‘invasori’ mizrahi

La storia di Givat Amal racchiude la storia dello Stato di Israele: la fuga dei palestinesi dai loro villaggi e la loro trasformazione in eterni rifugiati, il razzismo e la discriminazione strutturale subita dagli immigrati mizrahi e la svolta di Israele verso una forma di ipercapitalismo che privilegia il profitto dei miliardari rispetto alle vite del ceto medio e della classe operaia.

Oggi, Givat Amal è un quartiere ebraico situato vicino a Bavli, una zona agiata a Tel Aviv nord. Era sorto sulle rovine del villaggio palestinese di al-Jammasin al-Gharbi, i cui abitanti musulmani vi avevano abitato almeno fino dal diciottesimo secolo; nel 1948 aveva una popolazione di 1.250 persone sparsa su circa 136 ettari di terreno. I bambini del villaggio studiavano nella vicina scuola di Sheikh Muwannis e gli abitanti si guadagnavano da vivere con i bufali (che danno il nome al villaggio) e coltivando agrumi, banane e cereali. Metà della terra del villaggio era già stata acquistata dagli ebrei prima della fondazione dello Stato di Israele.

Nel marzo 1948, mentre vigeva ancora il mandato britannico, tutti gli abitanti di al-Jammasin al-Gharbi fuggirono. Come a quasi tutti i palestinesi che furono espulsi o fuggirono durante la guerra del 1948, agli abitanti del villaggio fu impedito dalle nuove autorità israeliane insediatesi dopo la fondazione dello Stato di ritornare alle proprie case.

Negli anni immediatamente successivi, 130 famiglie, quasi tutte mizrahi, furono spostate ad al-Jammasin al-Gharbi per rimpiazzare i palestinesi. Sono vissute qui fino a ora. Le autorità promisero agli abitanti che avrebbero potuto risiedere in ogni edificio che sarebbe sorto in futuro sui terreni, ma lo Stato non fornì mai al quartiere nessuna infrastruttura basilare.

Fin dall’inizio i mizrahi che abitavano ad al-Jammasin al-Gharbi, ora Givat Amal, furono visti come invasori dall’élite ashkenazita, il gruppo etnico europeo che aveva fondato lo Stato di Israele e che ne ha dominato il gotha politico, culturale ed economico per quasi tutta la sua storia. Il primo a etichettarli così fu nel 1953 Chaim Levanon, sindaco di Tel Aviv, quando il Comune condusse il primo di vari tentativi falliti di espellere con la forza gli abitanti dal quartiere.

Nel 1960 il vicesindaco Yehoshua Rabinowitz disse che gli abitanti di Givat Amal erano fatti “di un materiale umano diverso” da quelli che vivevano a Nordia, un tempo un quartiere nel centro di Tel Aviv abitato prevalentemente dal ceto medio ashkenazita. Documenti storici hanno rivelato che, fin dal primo momento in cui i nuovi residenti misero piede nel rione, il Comune li considerò una seccatura perché abbassavano il valore dei terreni.

Quindi, mentre agli ebrei ashkenaziti che vivevano nei villaggi vicini a Givat Amal fu data la possibilità di risolvere le loro dispute sulle terre o di comprare le proprietà a un prezzo simbolico, queste stesse opportunità non furono estese a quelli di Givat Amal e ad altri nuovi quartieri mizrahi. Lo Stato trascurò questi quartieri, almeno fino a quando il valore degli immobili non ha cominciato a salire nel resto del Paese e particolarmente a Tel Aviv nord, dove l’area stava diventando uno dei posti ideali per la speculazione edilizia.

Negli anni ‘60, i terreni di Givat Amal furono venduti dallo Stato a privati. I diritti dei terreni passarono di mano fra i tycoon magnati dell’immobiliare, fino a quando non sono stati divisi tra il Comune di Tel Aviv e due investitori privati: la famiglia Kozahinof e Yitzhak Tshuva, miliardario israeliano e magnate dell’immobiliare, che progettavano di costruirci grattacieli di lusso. Tshuva acquistò i diritti nel 1987 a condizione che gli abitanti fossero risarciti per aver dovuto abbandonare le proprie case. Da allora Tshuva ha sostenuto che i termini dell’accordo dovrebbero essere cambiati, dato che gli abitanti non sono mai stati i proprietari legali della terra.

Durante gli sfratti di massa del 2014 la squadra antisommossa fece irruzione nelle case di Givat Amal e allontanò con la forza abitanti e attivisti che si erano barricati dentro, lasciando molti di loro traumatizzati. Ad alcuni abitanti furono dati risarcimenti ridotti o addirittura niente, costringendoli ad andare ad abitare presso familiari o ad affittare appartamenti lontani dal posto dove erano vissuti tutta la loro vita. In seguito agli sfratti la El-Ad Group, la società di Tshuva, iniziò la costruzione di grattacieli di lusso sulle rovine delle case.

Nel 2016, Tshuva presentò al tribunale una richiesta di sfratto, sostenendo che il resto degli abitanti occupava abusivamente la sua terra. Chiese anche 2,5 milioni di shekel (circa 667.000 euro) d’affitto per il lotto. L’anno scorso il tribunale distrettuale di Tel Aviv ha deliberato che gli abitanti non dovevano essere costretti a pagare l’affitto e che tutti avevano diritto ai terreni. Il tribunale ha inoltre deciso che gli immobiliaristi avevano violato il loro accordo con lo Stato e non avevano tenuto fede alla loro responsabilità riguardo allo sfratto come all’accordo di rimborsare gli abitanti di Givat Amal nel corso degli anni.

Nonostante la sentenza, il problema dello sfratto non è scomparso. Il tribunale ha deciso che ogni lotto di terra, su cui insiste una media di tre famiglie, i figli e i nipoti degli abitanti originari che furono portati a vivere a Givat Amal negli anni 1950, avrebbe avuto diritto a un indennizzo di circa 3 milioni di shekel (801.000 euro circa). Questa cifra non basta alle famiglie per trovare alloggi alternativi e certamente non per tre famiglie che sono costrette a dividersi l’ammontare.

Gli abitanti hanno quindi fatto ricorso alla Corte Suprema per cercare di bloccare gli sfratti. La Corte ha respinto l’istanza nel 2020.

Nel corso degli anni, membri della Knesset, sia di sinistra che di destra, dai deputati Ofer Cassif e Dov Khenin di Hadash [partito israeliano di sinistra, ndtr.], all’estrema destra di Ayelet Shaked [della Nuova Destra, ultranazionalista, ndtr.], che al momento è ministra degli Interni, hanno espresso il loro forte sostegno agli abitanti di Givat Amal. Nel 2018, la Knesset ha approvato in prima lettura la “Legge di Givat Amal”, secondo la quale gli abitanti del quartiere che non erano mai stati risarciti avrebbero ricevuto alloggi alternativi. Ma a causa della crisi politica che allora affliggeva Israele, quattro elezioni in due anni, la procedura legislativa non si è mai conclusa e la legge non è mai stata approvata.

 ‘Dove possiamo andare?’

Gli abitanti di Givat Amal non vedono il rinvio come una vittoria o la fine della loro lotta. Sono determinati a continuare la battaglia fino a quando le loro richieste non saranno accolte: una casa in cambio di una casa o indennizzi per i 70 anni durante i quali sono vissuti nel quartiere nel quale le autorità li avevano trasferiti agli inizi degli anni ‘50.

“C’è felicità velata dalla tristezza perché lo sfratto non è stato annullato, ma solo rimandato,” dice Yossi Cohen, 67 anni, nato a Givat Amal, dove è vissuto fino a oggi. Nei primi tempi dello Stato di Israele le autorità avevano trasferito la famiglia Cohen a Givat Amal da Neve Tzedek, un quartiere di mizrahi, uno slum che col tempo è diventato una delle zone più ricche di Tel Aviv. Suo padre è di origini siriane ed è stato uno dei primi ebrei ad  arrivare a Givat Amal. “Faceva parte dell’Haganah [una delle forze paramilitari sioniste pre-Stato ebraico] e lui e circa altri 15 uomini furono portati qui a guardia del villaggio. Mia madre arrivò solo alcuni mesi dopo perché le condizioni erano dure. Quando arrivarono, andarono ad abitare nelle case dei palestinesi.”

Cohen dice che gli sfratti che avrebbero dovuto aver luogo due settimane fa sono stati rinviati dopo l’ispezione delle autorità nel quartiere in preparazione per il trasferimento forzato. “Sono arrivati e si sono accorti che lo sfratto sarebbe stato pericoloso e che per il momento non erano pronti a eseguirlo,” spiega. “Se c’è lo sfratto, potrebbe costare vite umane. Ne hanno tenuto conto, ma, prima o poi, la polizia dovrà eseguirlo. Ci hanno dato del tempo sperando in una soluzione a causa della pressione da parte della polizia e dei membri della Knesset che ci sostengono. Gli imprenditori hanno i soldi e non avrebbero problemi a indennizzarci, una casa in cambio di una casa.”

Cohen non vede altra scelta se non continuare a lottare contro gli sfratti. “Il Comune di Tel Aviv e lo Stato sono responsabili della situazione in cui siamo oggi,” dice. “Hanno venduto la terra a condizione che ci avrebbero dato alloggio negli edifici che sarebbero stati costruiti su questi terreni. Dato che ciò non è stato concesso, possono riprendersi le terre degli imprenditori.”

“Prima devono risarcirci e poi possono fare tutto quello che vogliono con i terreni,” dice Levana Ratzabi, 75 anni, che è vissuta nel quartiere da quando aveva due anni. La sua famiglia fu sfrattata da Neve Tzedek prima di arrivare a Givat Amal. “Portarono qui mia mamma con la forza e ora vogliono buttarci fuori. Dove dovremmo andare?”

Ratzabi e gli altri abitanti dicono che furono portati nel quartiere per impedire ai palestinesi di al-Jammasin al-Gharbi di farvi ritorno. “Siamo vissuti nelle case dei palestinesi, senza servizi, acqua o luce. Questa è la terra che Ben-Gurion (primo premier di Israele) e il Comune di Tel Aviv hanno dato a noi invece che ai palestinesi,” spiega Ratzabi.

“In tutti questi anni non hanno piantato un fiore o [messo] una panchina, neppure un lampione o una strada, niente,” dice Cohen. “Noi abbiamo pagato le tasse comunali proprio come in tutti gli altri quartieri di Tel Aviv nord, eppure qui non c’è neppure la rete fognaria.”

“Nel corso degli anni non hanno offerto alle famiglie l’opzione di comprare i terreni,” dice Ronit Aldouby che abita a Givat Amal ed è uno degli organizzatori della lotta contro gli sfratti.

“Negli anni ’50 il governo emise un’ordinanza che permetteva agli abitanti del posto di comprare la terra su cui vivevano prima che fosse venduta ad altri, ma lo Stato non informò la gente di qui che chiese di comprare i terreni, ma questi non gli sono mai stati venduti.”

Secondo Aldouby questa decisione contro gli ebrei mizrahi fu implementata in diversi quartieri e villaggi nel Paese. “Volevano espropriare dei diritti gli abitanti mizrahi, molte proprietà [palestinesi] abbandonate furono vendute a membri dell’establishment, ma non solo a loro. [Gli accordi] erano basati sul razzismo e le proprietà furono vendute principalmente a ebrei ashkenaziti che ottennero le chiavi di ville vuote. Ma negli slum e nei posti dove erano stati collocati gli ebrei mizrahi nessuno si preoccupò di mettere in regola le terre.”

Aldouby aggiunge che negli anni ’50, agli ebrei ashkenaziti che vivevano appena oltre la strada da Givat Amal, in maggioranza impiegati governativi o comunali, fu dato alloggio nel quartiere di Shikun Tzameret, anche là su terreni che appartenevano ad al-Jammasin al-Gharbiand anch’essi considerati “proprietà di assenti.” (Secondo una legge israeliana del 1950 le proprietà i cui i proprietari se ne erano andati dopo il 29 novembre 1947 potevano essere requisite dallo Stato, ma in effetti si applica esclusivamente a proprietà palestinesi.) Oggi Shikun Tzameret è considerato uno dei quartieri più ricchi di tutto il Paese.

Tracce dei villaggi palestinesi erano ancora visibili fino agli sfratti del 2014. Oggi si possono trovare strutture palestinesi adibite a sinagoga, alcune case palestinesi ristrutturate e un cimitero musulmano.

Le famiglie che sono rimaste nel quartiere ora vivono in mezzo a un vasto cantiere edilizio, circondate da recinzioni, blocchi stradali, rumori industriali e polvere. Uno degli edifici a 50 piani dove gli appartamenti si vendono a 6 -8 milioni di shekel (1.600.000-2.130.000 euro), è finito mentre altri due sono in costruzione. Quando gli edifici saranno terminati, l’El-Ad Group e la famiglia Kozahinof avranno eretto sette grattacieli per un totale di oltre 1.400 appartamenti.

Secondo Cohen, i tribunali e le autorità stanno resistendo a raggiungere un accordo di risarcimento per paura di creare un precedente: lotte simili sono in atto in altri quartieri di Tel Aviv, come Kfar Shalem e Abu Kabir, entrambi villaggi palestinesi dove ebrei mizrahi furono collocati negli anni che seguirono la fondazione di Israele e stanno lottando contro i tentativi di sfratto. “Ostacolano la giustizia per paura delle conseguenze legali in altri casi, in modo che neanche in altri luoghi ottengano ciò a cui hanno diritto,” dice Cohen che spera che un possibile successo a Givat Amal abbia un effetto positivo sulle lotte in altri quartieri.

‘Questo è un vero inferno’

Ho incontrato alcuni degli abitanti di Givat Amal ad agosto davanti alla casa della famiglia Alfasy-Fihamin all’ingresso del quartiere. La nonna, Amalia Fihamin, di origini iraniane, è mancata questo mese all’età di 82 anni. Quattro giorni prima che se ne andasse, le autorità israeliane sono arrivate a casa e hanno consegnato ai membri della famiglia un ordine di sfratto mentre Fihamin era sul letto di morte.

Le proteste agli inizi di agosto si sono svolte durante la shiva per Fihamin, la settimana di lutto nell’ebraismo. I manifestanti si sono radunati vicino alla tenda della shiva che era stata montata vicino alla casa da dove si irradiava il blocco delle strade nella zona e da cui è partita la marcia.

Questo è un vero inferno,” dice Mali Alfasy-Fihamin, figlia di Amalia, mentre impacchetta le cose della mamma. “Non ho provato nulla durante la shiva. Ho ricevuto telefonate tutto il giorno e ho dovuto trattare con la polizia, ma non avevo nessun posto dove andare. In tutta onestà, dopo la morte della mamma mi sono arresa. Ho detto a tutti: non voglio niente, ma alcuni attivisti che ci hanno supportato per molti anni sono venuti e mi hanno detto: ‘Siamo con te.’ Mi rende più forte, non posso fare tutto da sola, ma con il loro sostegno questo sfratto non filerà liscio.”

Nell’aprile 2021, il Comune di Tel Aviv ha venduto i restanti diritti di 120 appartamenti in due grattacieli di lusso a tre imprese immobiliari per 365 milioni di shekel (oltre 97 milioni di euro). Nonostante il cambio di proprietà, gli accordi firmati nel 2014 tra gli abitanti e la città obbligano l’El-Ad Group ad attuare gli sfratti.

Quello stesso mese, il tribunale distrettuale di Tel Aviv ha deciso con un’altra sentenza che lo Stato è venuto meno alle proprie responsabilità verso gli abitanti di Givat Amal. Nella sentenza, la giudice Michal Agmon-Gonen ha scritto che il risarcimento offerto agli abitanti era insufficiente, disorganizzato e concesso solo in casi in cui gli investitori avessero presentato denuncia contro le famiglie che chiedevano di restare nelle proprie case. “Gli abitanti, i loro genitori e nonni hanno sempre avuto ragione nel sostenere di essere stati portati nel quartiere dalle autorità del nascente Stato di Israele e che le promesse che avevano ricevuto non erano state adempiute” ha scritto Agmon-Gonen nella sua sentenza.

“I nostri genitori sono morti e noi abbiamo un piede nella tomba,” dice Cohen. “La gente che vive qui ha 70 o 80 anni.  Quando lo Stato ci darà i nostri risarcimenti?”

 

Oren Ziv è un fotoreporter, membro fondatore del collettivo di fotografia Activestills [gruppo di fotoreporter israeliani, palestinesi e internazionali impegnati contro oppressione, razzismo e discriminazione, ndtr.] e giornalista della redazione di Local Call [sito internet di informazione in lingua ebraica che fa capo alla redazione di +972, ndtr.]. Dal 2003 ha documentato una serie di tematiche sociali e politiche in Israele e nei territori palestinesi occupati, con particolare attenzione alle comunità di attivisti e alle loro lotte. Il suo reportage si è concentrato sulle proteste popolari contro il muro e gli insediamenti, sugli alloggi a prezzi accessibili e altre questioni socioeconomiche, sulle lotte contro il razzismo e la discriminazione e sulle battaglie animaliste.

 

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)

 




L’avvocato: “Un prigioniero palestinese riarrestato è stato torturato”

 Zena Al Tahhan

15 settembre 2021 – Al Jazeera

L’avvocato di Mohammad al-Ardah afferma che è stato privato di cibo, sonno, cure mediche ed ha subito “una durissima sessione di torture”.

Cisgiordania occupata – Durante il primo incontro con il suo avvocato da quando è stato fermato la scorsa settimana, almeno uno dei quattro prigionieri politici palestinesi riarrestati ha detto di essere stato sottoposto a violenze e torture fisiche e psicologiche dagli investigatori israeliani.

Dopo che l’intelligence israeliana ha tolto il divieto di colloquio degli avvocati con i prigionieri a cinque giorni da quando sono stati riarrestati, mercoledì l’avvocato Khaled Mahajneh, del collegio di difesa della Commissione per la Questione dei Detenuti dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) ha incontrato il suo cliente Mohammed al-Ardah.

Dopo essere uscito dal centro di detenzione e aver visto il suo cliente, che a quanto ha detto è stato privato di cibo, sonno e cure mediche mentre subiva una serie di interrogatori intensivi, Khaled Mahajneh ha rilasciato una commovente intervista a Palestine TV [televisione ufficiale dell’ANP, ndtr.]

“Mohammed è stato sottoposto, e lo è ancora, a una pesante serie di torture,” ha detto Khaled. “Dopo il suo arresto Mohammed è stato portato nel centro di interrogatori di Nazareth, dove è stato interrogato in modo molto violento.

In una stanza piccolissima c’erano circa 20 investigatori dell’intelligence che gli hanno strappato tutti i vestiti, comprese le mutande, e lo hanno obbligato a rimanere nudo per molte ore. Poi gli hanno dato uno scialle per coprirsi i genitali e in seguito lo hanno trasferito nel centro per gli interrogatori di Jalama.”

Tagli ed escoriazioni”

L’avvocato ha detto che durante l’arresto le forze israeliane hanno picchiato Mohammed: “La sua testa è stata sbattuta per terra ed ora è ferito sopra l’occhio destro. Finora non ha ricevuto le cure mediche di cui ha bisogno. A seguito del tentativo di fuga e della caccia all’uomo da parte delle forze israeliane contro di lui e Zakaria Zubaidi, presenta tagli ed escoriazioni su tutto il corpo.”

Venerdì notte le autorità israeliane hanno annunciato il riarresto di Mahmoud Abdullah al-Ardah e Yaqoub Mahmoud Qadri, rispettivamente di 46 e 49 anni, nella periferia meridionale di Nazareth. Zakaria Zubeidi, 46 anni, e Mohammed al-Ardah, 39, sono stati arrestati sabato mattina nel villaggio palestinese di Shibli-Umm al-Ghanam. I quattro sono stati portati a Jalama per essere interrogati.

Erano tra i sei uomini, insieme a Ayham Nayef Kamanji, 35, e Munadel Infaat, 26, dei quali non si sa ancora dove si trovino, che sono scappati dalla prigione israeliana di Gilboa all’alba del 6 settembre.

Interrogatori giorno e notte”

Khaled Mahajneh ha detto che durante il loro incontro sei investigatori sono rimasti dietro Mohammed al-Ardah, incatenato mani e piedi. L’avvocato ha affermato di aver ripetutamente chiesto che venissero tolte le catene almeno dalle braccia di Mohammed, ma gli agenti hanno rifiutato di farlo.

Secondo Khaled, da quando è stato riarrestato a Mohammed per quattro giorni non è stato dato cibo e non ha dormito più di 10 ore a causa delle continue sessioni di interrogatorio.

“Da sabato è stato sottoposto a interrogatori giorno e notte… È stato interrogato a tarda notte e alle prime ore del mattino,” ha affermato Khaled. “Non vede il sole, o la luce, o il vento. Quando l’ho incontrato mi ha chiesto se fosse pomeriggio, non sapeva che era mezzanotte.”

L’avvocato ha detto che Mohammed è tenuto in una cella “non più grande di 2 metri per 1,” vive “sotto sorveglianza 24 ore su 24,” e “ogni giorno è stato interrogato da dieci poliziotti”.

In un’altra intervista postata su Facebook l’avvocato Ruslan Mahajneh, che la stessa notte ha incontrato Mahmoud al-Ardah, ha detto che il detenuto gli ha raccontato di essere stato interrogato varie volte dopo l’arresto.

“Sono stati arrestati venerdì notte. Gli interrogatori sono durati dal venerdì – sono arrivati a Jalama tra mezzanotte e l’una, e l’interrogatorio è continuato fino alle 8 del mattino,” ha detto.

“Dopodiché sono andati a dormire. L’interrogatorio varia, viene interrogato ogni giorno tra le 7 e le 8 ore. Ma di notte dorme. Dice che non sono stati torturati,” ha affermato Mahajneh.

Secondo un comunicato della commissione dell’ANP, l’avvocato Avigdor Feldman ha incontrato Zakaria Zubaidi a mezzanotte di mercoledì.

“È risultato che, durante il suo arresto con il prigioniero Mohammed al-Ardah, il detenuto Zubaidi è stato picchiato e maltrattato, provocando la rottura della mandibola e di due costole,” ha affermato la commissione.

Zubaidi, continua il comunicato, “è stato trasferito in un ospedale israeliano e dopo il suo arresto gli sono stati somministrati antidolorifici” e “in seguito alle percosse e ai maltrattamenti tutto il suo corpo è coperto di lividi ed escoriazioni.”

Benché nel 1999 la Corte Suprema israeliana abbia vietato l’uso della tortura, gli investigatori, in particolare dei servizi di intelligence, hanno continuato ad usare violenza contro i detenuti palestinesi, che i tribunali hanno retroattivamente approvato. I quattro prigionieri sono sottoposti, da parte dei servizi di intelligence in collaborazione con l’unità 443 Lahav della polizia, a interrogatori che secondo gli avvocati possono durare fino a 45 giorni.

Sabato i prigionieri sono comparsi separatamente davanti al tribunale di Nazareth, che ha deciso di estendere la loro detenzione fino al 19 settembre per “completare l’indagine”.

Processi giudiziari

Secondo la commissione dell’ANP, durante l’udienza di sabato contro i quattro sono state presentate molte accuse indiziarie: “Evasione, favoreggiamento in una evasione, complotto per commettere un’aggressione, partecipazione a un’organizzazione ostile e fornitura di servizi ad essa.”

Dopo l’udienza Khaled Mahajneh ha detto ad Al Jazeera che le autorità si sono rifiutate di fornire informazioni riguardo al “complotto per commettere un’aggressione”, sostenendo che la documentazione è segreta.

Nella sua intervista con Palestine TV Khaled ha affermato che Mohammed al-Ardah “respinge totalmente le accuse che la sicurezza sta cercando di imputargli.” Mohammed avrebbe detto a Khaled che “avrebbe potuto fare qualunque cosa nei cinque giorni” di libertà, ma “voleva essere libero e camminare per le strade della Palestina occupata nel 1948.”

In base alle leggi internazionali un prigioniero di guerra che scappa dalla prigione “è passibile solo di una punizione disciplinare,” cioè non possono essere comminati altri anni di carcere in aggiunta alla sentenza iniziale, anche se si tratta di una fuga recidiva.

Secondo gli avvocati in precedenti episodi in cui carcerati palestinesi sono scappati da prigioni israeliane e sono stati riarrestati molti hanno dovuto affrontare misure punitive, come lunghi periodi in isolamento, ma non hanno subito un allungamento della pena.

La maggioranza dei palestinesi vede i detenuti nelle carceri israeliane, che sono 4.650 palestinesi, compresi 200 minorenni e 520 sottoposti a detenzione amministrativa, cioè senza processo o accuse specifiche, come prigionieri politici che sono incarcerati a causa dell’occupazione militare israeliana o per la loro resistenza ad essa.

Prima di evadere dalla prigione quattro dei sei detenuti sono stati condannati all’ergastolo, mentre due erano detenuti in attesa di un processo militare.

I condannati sono stati arrestati tra il 1996 e il 2006 e sono stati incarcerati per aver compiuto attacchi contro militari o civili israeliani. Cinque di loro sono affiliati all’organizzazione palestinese Jihad Islamica, mentre uno è un importante membro dell’ala militare di Fatah, il gruppo palestinese che controlla l’ANP.

Dopo che i detenuti sono scappati attraverso un tunnel che sbucava a pochi metri dal muro della prigione, le forze israeliane hanno lanciato un’enorme caccia all’uomo per cercarli ed hanno arrestato membri delle rispettive famiglie.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Azienda israeliana presenta droni armati da combattimento per pattugliare i confini

Al Jazeera

13 settembre 2021 – Al Jazeera

Israel Aerospace Industries, azienda statale israeliana e principale contractor nel settore della difesa, ha presentato un robot armato controllato da remoto in grado di pattugliare le zone di combattimento, inseguire infiltrati e far fuoco.

Il veicolo senza pilota che si è visto lunedì è l’ultima novità nel mondo della tecnologia dei droni che sta rapidamente cambiando i moderni campi di battaglia.

I fautori sostengono che tali mezzi semi-autonomi permettono agli eserciti di proteggere i propri soldati mentre i critici temono che queste siano un altro pericoloso passo verso le decisioni di vita o morte prese da robot.

Il robot a quattro ruote motrici è stato sviluppato dall’azienda statale israeliana Israel Aerospace Industries’ “REX MKII”.

È manovrato da un tablet elettronico e può essere equipaggiato da due mitragliatrici, telecamere e sensori, ha comunicato Rani Avni, vicepresidente divisione sistemi autonomi dell’azienda. Il robot può raccogliere informazioni per le truppe di terra, trasportare soldati feriti e rifornimenti dal e sul luogo degli scontri e colpire bersagli nei dintorni.

È il più avanzato tra una decina di veicoli senza equipaggio sviluppati negli ultimi 15 anni da ELTA Systems, una sussidiaria di Aerospace Industries.

Per pattugliare il confine con la Striscia di Gaza e contribuire a rafforzare il blocco che Israele ha imposto nel 2007 quando Hamas ha preso il potere, l’esercito israeliano ora usa il “Jaguar”, un veicolo simile, ma più piccolo.

A Gaza abitano 2 milioni di palestinesi, quasi tutti imprigionati dal blocco che è sostenuto in parte anche dall’Egitto. La zona del confine è luogo di frequenti proteste e occasionali tentativi di entrare in Israele da parte di combattenti palestinesi o lavoratori disperati.

Stando al sito web dell’esercito israeliano il semi-autonomo Jaguar, equipaggiato con una mitragliatrice, è stato progettato per ridurre l’esposizione dei soldati ai pericoli del pattugliamento lungo l’instabile confine Gaza-Israele. È uno dei molti strumenti, come i droni armati con missili guidati, che hanno dato all’esercito israeliano un’enorme superiorità tecnologica su Hamas.

I veicoli senza equipaggio sono sempre più in uso in altri eserciti, tra cui quelli di Stati Uniti, Regno Unito e Russia. I loro compiti includono il supporto logistico, la rimozione di mine e l’azionamento di armi.

Il tablet può controllare manualmente il veicolo, ma molte delle sue funzioni, come il movimento e il sistema di sorveglianza, possono anche operare autonomamente.

A ogni missione il dispositivo raccoglie nuovi dati che può memorizzare per quelle future,” ha detto Yonni Gedj, un esperto della divisione di robotica della compagnia.

I critici hanno sollevato preoccupazioni concernenti le armi robotiche che potrebbero decidere da sole, magari sbagliando, di colpire bersagli. L’azienda ha affermato che tali funzioni esistono, ma non sono offerte ai clienti.

È possibile rendere l’arma in sé anche indipendente, tuttavia oggi si tratta di una decisione dell’utilizzatore,” ha precisato Avni. “Non si è ancora raggiunta la maturità del sistema o dell’utilizzatore.”

Bonnie Docherty, ricercatrice di alto livello presso la divisione bellica di Human Rights Watch, sostiene che tali armi sono preoccupanti perché non si può confidare che distinguano tra combattenti e civili o lancino i dovuti avvertimenti riguardo ai danni che gli attacchi potrebbero arrecare ai civili che si trovano nelle vicinanze.

Le macchine non possono comprendere il valore della vita, cosa che, in sostanza, minaccia la dignità umana e viola le leggi sui diritti umani,” ha affermato. In un rapporto del 2012, Docherty, docente presso la Scuola di Diritto di Harvard, ha invocato la messa al bando di armamenti totalmente automi da parte del diritto internazionale.

Jane’s, la rivista che si occupa di tecnologie militari, ha affermato che lo sviluppo di veicoli di terra autonomi è arretrato rispetto a quello di velivoli e navi perché spostarsi sul terreno è molto più complesso che navigare in acqua o in aria. Diversamente dall’oceano, i veicoli devono affrontare “buche” e sapere esattamente quanta forza applicare per superare un ostacolo fisico, afferma l’articolo.

Anche la tecnologia dei veicoli senza conducenti solleva preoccupazioni. Il produttore dell’auto elettrica Tesla, tra le altre imprese, è stato collegato con una serie di incidenti mortali, incluso uno in Arizona nel 2018 quando una donna è stata investita da una macchina con pilota automatico.

Il drone israeliano è stato presentato alla fiera internazionale delle tecnologie per la difesa e sicurezza che si svolge a Londra questa settimana.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)