Israele confisca barrette di cioccolata palestinese, sostenendo che finanzierebbero Hamas.

Rayhan Uddin

17 agosto 2021 Middle East Eye

Le autorità israeliane collegano le vendite di dolciumi al terrorismo, e sui social media si prendono in giro “i cattivi dei cartoni che rubano dolcetti”

La decisione israeliana di confiscare 23 tonnellate di tavolette di cioccolato destinate a Gaza con la motivazione che sarebbero state usate per finanziare le operazioni militari di Hamas ha scatenato un’ondata di scherno online.

Secondo quanto segnalato da Times of Israel lunedì, le forze di sicurezza hanno intercettato un carico di dolciumi in transito dall’Egitto verso Israele al valico di confine di Nitzana.

Dopo un’indagine congiunta dell’intelligence militare israeliana, l’ufficio nazionale per il finanziamento dell’antiterrorismo e il centro nazionale dell’autorità fiscale per il controllo merci, la conclusione è stata che i prodotti erano destinati a Gaza e Hamas li avrebbe presumibilmente venduti per trarne profitto.

L’indagine ha collegato le tavolette di cioccolato a due ditte di Gaza, la al-Mutahidun Currency Exchange e Arab al-Sin, che Israele ha classificato come organizzazioni terroristiche sulla base di presunti finanziamenti ad Hamas.

I funzionari israeliani hanno dichiarato alla stampa che il sequestro delle tavolette di cioccolato faceva seguito ad un ordine di confisca firmato dal ministro della difesa Benny Gantz.

Israele continuerà ad agire per impedire il rafforzamento di Hamas, che pensa solo ad aumentare la propria capacità militare anziché occuparsi della popolazione della Striscia [di Gaza] che sta crollando sotto il peso delle difficoltà economiche,” dice Gantz.

Continueremo a dare la caccia alle reti che finanziano il terrorismo, qualsiasi siano i metodi da loro impiegati.”

Cattivi dei cartoni che rubano i dolcetti”

Sui social media molti hanno schernito l’accusa che Hamas si finanziasse con la vendita di cioccolatini.

Ah già, la famigerata fonte di finanziamento di Hamas, la stessa dei gruppi scolastici e delle squadrette di baseball di periferia,” ha scherzato un utente in rete.

Un altro si è limitato a postare la bandiera bianca e verde di Hamas accanto al logo ufficiale delle ragazze scout USA, che utilizza gli stessi colori.

James Zogby, fondatore dell’Arab American Institute [associazione con sede a Washington DC che si concentra sulle questioni e sugli interessi degli arabi-americani, ndtr], ha dichiarato che la confisca è la prova che Israele controlla Gaza “come la polizia penitenziaria controlla una prigione”, per quanto Israele neghi di occupare l’enclave.

Israele ha sequestrato la cioccolata dicendo che serviva a finanziare Hamas e che, poiché Hamas è un gruppo terroristico, ha tutto il diritto di tagliarne i finanziamenti,” scrive [Zogby].

Ma anche Israele è colpevole di crimini di guerra contro i civili palestinesi – ne ha uccisi impunemente a migliaia nel corso degli anni.”

Israele fa il diavolo a quattro accusando di antisemitismo chiunque lo boicotti e gli USA hanno leggi che penalizzano chiunque lo faccia. Contemporaneamente Israele impone ogni tipo di sanzione e di boicottaggio sui palestinesi e per questo viene premiato dal Congresso a suon di miliardi. Dove sta la giustizia in tutto questo?”

Negli ultimi mesi i due milioni di palestinesi che vivono a Gaza sono stati sottoposti ad un inasprimento delle restrizioni israeliane sulle merci in ingresso nell’enclave assediata, il che ha causato una grave recessione economica.

Si pensa che le restrizioni abbiano a che vedere con le pressioni esercitate da Israele su Hamas perché restituisca quattro cittadini israeliani, due dei quali morti, che sembra siano detenuti a Gaza.

La scorsa settimana alcuni imprenditori palestinesi hanno dichiarato a Middle East Eye che si trovavano costretti a licenziare dei lavoratori per potere rimanere a galla, dopo le distruzioni causate dagli ultimi attacchi israeliani di maggio.

Si stima che circa 1.500 imprese economiche di Gaza siano state distrutte o danneggiate durante la campagna di bombardamenti israeliani, e alcuni funzionari dichiarano che le perdite ammonterebbero a 479 milioni di dollari.

Questo articolo è disponibile in francese sull’edizione francese di Middle East Eye.

(traduzione dall’inglese di Stefania Fusero)




Quattro palestinesi colpiti e uccisi da armi da fuoco in un’incursione dell’esercito israeliano a Jenin

Al Jazeera – agenzie di stampa

16 Agosto 2021 – Al Jazeera

Lunedì mattina sono scoppiati scontri quando l’esercito israeliano ha fatto irruzione nel campo profughi di Jenin nel nord della Cisgiordania occupata.

Almeno quattro uomini palestinesi sono stati colpiti a morte durante gli scontri con l’esercito israeliano nel campo profughi di Jenin, nel nord della Cisgiordania occupata.

Saleh Mohammed Ammar, di 19 anni, e Raed Ziad Abu Seif, di 21, sono stati colpiti da armi da fuoco lunedì e sono morti per le ferite poco dopo l’arrivo all’ospedale cittadino di Jenin, secondo una fonte della struttura sanitaria.

Due cittadini sono arrivati al pronto soccorso, colpiti dall’esercito israeliano, e sono morti poco dopo, in seguito alle ferite”, ha detto una fonte interna all’ospedale, secondo i media locali.

Alcune fonti hanno riferito che i corpi dei due altri uomini, uno dei quali identificato come Noor Jarrar e l’altro come Amjad Iyad Azmi, sono stati portati via dalle forze israeliane.

Il governatore di Jenin ha confermato i decessi.

Almeno due altri palestinesi sono stati arrestati. Uno è stato colpito ad una mano e l’altro, identificato come Mohammed Abu Zina, è stato portato via da casa sua durante l’incursione.

Nel frattempo nel campo profughi di Jenin sono iniziati i cortei funebri per le vittime.

Testimoni hanno detto che un gruppo di palestinesi è stato coinvolto in scontri con i membri della Musta’ribeen della polizia israeliana – un’unità di infiltrati composta da israeliani travestiti da palestinesi.

Gli agenti di questa unità normalmente si infiltrano in zone palestinesi con l’intenzione di arrestare delle persone. La Maan (agenzia di informazione palestinese, ndtr.) ha riferito che gli agenti si trovavano dentro il campo ore prima che le forze israeliane irrompessero nella zona.

Secondo Maan, gli agenti della Musta’ribeen hanno aperto il fuoco “direttamente su un numeroso gruppo di giovani” appena le truppe israeliane sono entrate nel campo.

Testimoni hanno riferito che sono stati lanciati contro i palestinesi anche granate assordanti e candelotti lacrimogeni.

La polizia israeliana ha affermato in una dichiarazione che i soldati hanno sparato contro “aggressori” dopo che i palestinesi hanno aperto il fuoco contro le “forze in borghese” dell’esercito.

Nessuno tra le forze israeliane è stato ferito nell’incidente. Esse sarebbero state in missione per arrestare una persona, ha detto la polizia.

L’alto dirigente palestinese Hussein Al Sheikh ha accusato Israele di “un crimine odioso” ed ha twittato: “La comunità internazionale dovrebbe vergognarsi del suo silenzio su fatti come questi e della propria incapacità di dare protezione al popolo palestinese da questa oppressione”.

Nelle scorse settimane vi sono stati numerosi scontri tra israeliani e palestinesi nel nord della Cisgiordania occupata, soprattutto a Jenin e Beita.

Beita è teatro di ricorrrenti manifestazioni contro l’occupazione illegale israeliana e l’espansione delle colonie, che spesso si risolvono in scontri.

La lotta contro le forze israeliane è costata la vita a molti palestinesi ed ha provocato centinaia di feriti.

Colonie illegali

Circa mezzo milione di persone vivono in colonie illegali israeliane nella Cisgiordania occupata, accanto a 2 milioni e 800mila palestinesi.

A partire da maggio i palestinesi hanno organizzato proteste quasi quotidiane a Beita per gridare la loro rabbia contro un vicino avamposto illegale di coloni israeliani.

La colonia è stata evacuata all’inizio di luglio, ma le truppe dell’esercito israeliano rimangono posizionate là, mentre le autorità decidono sul loro destino. Se la colonia verrà autorizzata, i suoi fondatori potranno prendervi la residenza in modo permanente.

Gli abitanti di Beita hanno giurato che proseguiranno la loro campagna finché anche l’esercito non abbandonerà l’avamposto.

La Cisgiordania occupata è parte del territorio in cui è previsto uno Stato palestinese in base alla soluzione di due Stati.

Israele ha occupato la Cisgiordania durante la guerra del 1967 e tutti gli insediamenti al suo interno sono considerati illegali dalla maggior parte della comunità internazionale.

Le forze israeliane effettuano sovente incursioni in diverse zone in tutta la Cisgiordania, in cui arrestano e spesso uccidono dei palestinesi.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)

 




I pescatori di Gaza presi tra l’incudine e il martello 

Motasem A Dalloul

9 agosto 2021 middleeastmonitor

“La vita del pescatore è sempre dura, ovunque, ma sotto l’occupazione militare israeliana lo è ancora di più.”

Samya e Omayya Abu Watfa hanno perso il padre undici anni fa. Si stanno preparando per il nuovo semestre all’università, dove Samya studia chimica e Omayya studia sicurezza alimentare. Ognuno ha bisogno di circa 1.100 – 1.200 dollari per le tasse scolastiche, ma dipendono dal fratello Mohammad, 33 anni, che è un pescatore. Ciò significa che il denaro scarseggia.

“Lavora giorno e notte per provvedere a noi, a nostra madre e ai tre fratelli”, mi ha detto Samya. Mohammad è per noi fratello, padre, tutto.” Ha anche la sua famiglia a cui pensare, una moglie e quattro figli.

A 22 anni Mohammad Abu Watfa ha ereditato la barca da suo padre. Ha lasciato l’università per lavorare e provvedere alla famiglia. “Lavoravo con mio padre quando era vivo, anche durante gli studi. Voleva che diventassi ingegnere, ma non potevo lavorare e continuare a studiare”.

Come tutti gli altri pescatori di Gaza, Abu Watfa sarebbe contento del suo lavoro, anche se è molto duro, se non fosse per le restrizioni imposte da Israele e per le quotidiane violenze esercitate dalla marina israeliana.

Il capo del Sindacato dei Pescatori di Gaza ha ribadito come l’occupazione israeliana abbia imposto un rigoroso blocco terrestre, aereo e marittimo sulla Striscia di Gaza dal 2006. “Questo rende insopportabile la vita di oltre 2 milioni di persone a Gaza”, ha affermato Nizar Ayyash. “La pesca è uno dei settori più colpiti dal blocco. Più di 4.500 pescatori, che hanno complessivamente a carico circa 50.000 persone, vivono e lavorano sotto un’estrema pressione e stress a causa delle misure israeliane connesse al blocco”.

Secondo gli Accordi di Pace di Oslo firmati nel 1993 tra Israele e l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, i palestinesi dovrebbero avere accesso alla pesca senza restrizioni fino a 20 miglia nautiche al largo della costa di Gaza. Tuttavia, non sono mai stati autorizzati ad avventurarsi oltre le 16 miglia. Normalmente, sono bloccati entro le 12 miglia; spesso molto meno.

La scorsa settimana, ad esempio, la marina di occupazione israeliana ha ridotto la zona di pesca a sei miglia nautiche in risposta a ciò che Israele ha affermato essere il lancio di palloni incendiari da Gaza verso Israele. È stato poi esteso di nuovo a 12 miglia nautiche. Questo è il gioco israeliano con i pescatori palestinesi dal 2005. Ci sono momenti in cui lo Stato di occupazione vieta del tutto la pesca per giorni o settimane con il più debole dei pretesti.

“Dal 2007”, ha affermato l’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari ( OCHA) in un recente rapporto, “Israele ha mantenuto incerta la zona di pesca come parte della sua politica di ‘zone cuscinetto’ marittime, ovvero limposizione unilaterale da parte di Israele di inaccessibili zone militari nelle acque palestinesi, spesso vietando completamente la pesca ai palestinesi”.

La pesca è sempre stata un lavoro pericoloso per uomini come Abu Watfa, che mette in gioco la propria vita per portare il cibo in tavola. “A volte ci sono branchi di pesci a circa 15 miglia al largo. Se vogliamo catturarli, dobbiamo andare più in là e spingerli a riva. Quando lo facciamo, la marina israeliana ci insegue, ci spara e poi ci vieta di pescare”.

L’ OCHA ha sottolineato che “Nel corso degli anni, gli attacchi illegali e ingiustificati di Israele – comprese forme di forza letale e altri eccessi, arresti arbitrari, confisca e distruzione di barche e altri materiali da pesca – e restrizioni punitive contro i pescatori palestinesi hanno reso la pesca al largo della costa di Gaza un rischio per la vita e la sicurezza e ridotto la comunità dei pescatori in povertà estrema”.

Queste pratiche, ha aggiunto l’ONU, fanno parte della attuale politica di Israele di interdizioni nella Striscia di Gaza. “Equivalgono a una punizione collettiva illegale degli oltre due milioni di residenti palestinesi, e sono tra le pratiche, leggi e politiche che costituiscono il regime di apartheid di Israele contro il popolo palestinese”.

Bilal Bashir, 42 anni, lavora insieme ad altri dieci pescatori sulla stessa barca. Si è lamentato delle ripetute aggressioni israeliane contro di loro. “A volte, Israele decide di ridurre la zona di pesca proprio mentre siamo in mare. Apprendiamo della restrizione solo quando la marina apre il fuoco contro di noi o i marinai ci urlano contro con gli altoparlanti”.

La sua barca è stata colpita più volte dal fuoco israeliano. Nel marzo 2015, ricorda con amarezza, il suo collega Tawfiq Abu Riala, 32 anni, è stato ucciso. “Quando Tawfiq è stato colpito siamo rimasti scioccati e abbiamo chiesto aiuto. Invece di aiutarci, la marina ha arrestato altri due uomini”.

L’ultimo incidente del genere è accaduto nel febbraio 2018. Le forze di occupazione hanno spiegato cosa è successo: “Una nave sospetta [sic] ha lasciato la zona di pesca al largo della Striscia di Gaza settentrionale, con a bordo tre sospetti [per cui i marinai israeliani hanno iniziato] il protocollo di arresto, che include richiami [di stop], spari di avvertimento in aria e spari alla barca stessa… A seguito degli spari, uno dei sospetti è stato gravemente ferito e in seguito è morto per le ferite riportate”.

La pesca è un affare costoso. Un giorno in mare di una barca con dieci pescatori a bordo può costare fino a 1.500 dollari. “Quando navighiamo entro le 15 miglia nautiche, difficilmente il pescato può coprire le spese”, ha osservato Kinan Baker, 27 anni. “Quando la zona di pesca viene ridotta a sei miglia nautiche è una perdita enorme perché il pescato non copre le spese .”

Ayyash ha descritto l’industria della pesca come il settore più vulnerabile sotto l’assedio imposto a Gaza dall’occupazione israeliana. “Israele sfrutta tutto per mettere sotto pressione la resistenza palestinese. Questa [punizione collettiva] è una chiara violazione del diritto internazionale”. Il capo del sindacato ha chiesto al mondo di esercitare pressioni su Israele affinché smetta di mettere in pericolo la vita e il sostentamento dei pescatori per motivi politici o di sicurezza.

Le punizioni collettive equivalgono a crimini di guerra, e se parte di una politica diffusa o sistematica sono crimini contro l’umanità e sono i fattori principali del deterioramento della situazione umanitaria a Gaza”, ha aggiunto il Center Al Mezan for Human Rights [organizzazione non governativa con sede nel campo profughi palestinese di Jabalia nella Striscia di Gaza, ndtr.]

Nel giugno dello scorso anno la Banca Mondiale ha affermato che “la pesca è una fonte vitale di occupazione, con più di 100.000 persone che beneficiano del settore”. Oltre ai pescatori e alle loro famiglie, ha indicato come beneficiari del settore i commercianti al dettaglio, i proprietari di ristoranti, gli operatori di vivai e i trasportatori del pesce. “Tuttavia, il mare non è più generoso come una volta. La gente di Gaza non può far conto sul proprio pesce, e a volte nemmeno permetterselo. La maggior parte delle famiglie di pescatori sono povere e il loro reddito sta diventando sempre più precario man mano che gli ecosistemi marini continuano a degradare.”

La vita del pescatore è sempre dura, ovunque, ma sotto l’occupazione militare israeliana lo è ancora di più. I pescatori di Gaza sono presi tra l’incudine dell’occupazione e il martello delle difficoltà economiche.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Consigli (comunali) israeliani vietano “illegalmente” ai palestinesi l’accesso alle spiagge, adducendo le norme sul Covid-19

Redazione di Middle East Eye

8 agosto 2021 – Middle East Eye

L’associazione per i diritti Adalah afferma che le misure hanno lo scopo di bloccare l’ingresso dei palestinesi ‘col pretesto della salute pubblica’

Le municipalità israeliane hanno illegalmente vietato l’accesso dei palestinesi alle spiagge in tre città, con misure denunciate da un’associazione locale per i diritti come “iniziative di apartheid”.

Domenica il Centro Legale per i Diritti della Minoranza Araba in Israele (Adalah) ha dichiarato che le autorità comunali di Netanya, Akka e Hadera hanno imposto nuove restrizioni ai non residenti con il pretesto di misure di sicurezza contro il Covid-19.

L’associazione per i diritti ha inviato una lettera al procuratore generale di Israele sostenendo che tali misure sono illegali.

Il consiglio comunale di Akka (Acri) il 4 agosto ha deciso di costruire una barriera intorno alla spiaggia di Argaman, consentendovi l’accesso solo a coloro che esibiscono un certificato di vaccinazione.

Adalah ha affermato che la decisione contravviene alle norme del governo sul Covid-19, che non impediscono la circolazione in spazi pubblici all’aperto. L’Ufficio per il Coronavirus di Israele è l’unica autorità che ha competenza per applicare qualunque misura relativa alla pandemia, ha affermato l’associazione per i diritti, sostenendo che il consiglio comunale ha quindi violato la legge.

Il Comune di Akka ha anche vietato agli autobus privati l’ingresso alle strade che portano alla spiaggia.

Adalah ha aggiunto che le misure “hanno lo scopo di impedire ai visitatori palestinesi provenienti dalla Cisgiordania l’accesso alle spiagge di Akka con il pretesto della salute pubblica”

Le immagini viste a Akka non lasciano spazio all’immaginazione: gli ispettori comunali hanno cacciato con la forza i palestinesi fuori dal perimetro cittadino per il solo fatto di essere palestinesi”, ha detto l’avvocato di Adalah, Rabea Eghbariah.

L’utilizzo di giustificazioni connesse all’aumento dei casi di Covid-19 per imporre misure illegali di restrizioni alla libertà di movimento e di divieto di accesso a spazi pubblici con motivazioni razziste è un fenomeno che sta emergendo.

Per ironia, queste iniziative locali di apartheid che hanno lo scopo di ottenere una segregazione razziale potrebbero probabilmente violare anche i diritti di altre collettività.”

Secondo un video postato su Facebook dal giornalista Rafat Aker, ispettori del Comune di Akka il 5 agosto hanno costretto dei palestinesi della città di Jenin in Cisgiordania a lasciare la città nonostante il fatto che alcuni di loro avessero spiegato di essere vaccinati e fossero in possesso di permessi legali di ingresso e soggiorno.

Adalah ha detto che simili restrizioni sono state imposte in seguito a Hadera, mentre il Comune di Netanya aveva preso misure analoghe a luglio durante la festa di Eid al-Adha.

In quell’occasione Netanya ha installato posti di blocco agli ingressi della città e impedito l’accesso ai palestinesi.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Aggiornamento sullo sciopero della fame: continua la lotta contro la detenzione amministrativa

 

5 Agosto 2021 Samidoun

 

 

Alla data del 5 agosto 2021 quindici palestinesi continuano lo sciopero della fame nelle zone occupate da Israele, quattordici dei quali per protesta contro la detenzione amministrativa – reclusione senza capi di accusa o processo – ed uno, Mohammed Nuwarra, per protesta contro la protratta incarcerazione in isolamento. Altri due detenuti hanno iniziato lo sciopero della fame giovedì 5 agosto: Akram al-Fasfous ha seguito l’esempio del fratello, Kayed al-Fasfous, da 22 giorni in sciopero della fame.

Sempre giovedì l’altro fratello, Mahmoud al-Fasfous, in carcere anche lui senza capi di accusa né processo, ha sospeso lo sciopero della fame a causa di un grave peggioramento del suo stato di salute. Amjad Nammoura, di Dura, nei pressi di al-Khalil [nome arabo di Hebron, ndtr], ha iniziato anche lui lo sciopero della fame giovedì per protestare contro la sua detenzione amministrativa.

Altri tre prigionieri palestinesi avevano intanto sospeso lo sciopero della fame: Alaa el-Din Ali e Maher Dalaysheh, entrambi profughi del campo di Jalazone, vicino a Ramallah, e Guevara Nammoura, il calciatore professionista che ha fatto parte della squadra nazionale palestinese. Ali e Dalaysheh hanno sospeso lo sciopero della fame dopo avere ottenuto l’intesa di fissare una data di scadenza della loro detenzione amministrativa. Anche Nammoura ha sospeso lo sciopero in seguito a un accordo per porre termine alla sua detenzione amministrativa raggiunto davanti al tribunale militare israeliano il 5 agosto.

Anche se il 5 agosto il tribunale dell’ occupazione militare ne ha confermato la detenzione, portandola da quattro a tre mesi, esso non ha però chiarito se questa è un’ordinanza definitiva, il che lascia aperta la possibilità di un rinnovo dell’ordine di detenzione.

Gli ordini di detenzione amministrativa sono emessi per periodi massimi di sei mesi alla volta, ma sono rinnovabili senza limiti. Di conseguenza accade frequentemente che i palestinesi passino anni di seguito nelle prigioni dell’occupazione israeliana senza capi di imputazione né processo, sulla base di cosiddette “prove segrete” a cui non possono accedere né i detenuti né i loro avvocati. La detenzione amministrativa, originariamente introdotta nella Palestina occupata dal mandato coloniale britannico [il mandato della Società delle Nazioni permise al Regno Unito di governare la Palestina tra il 1920 e il 1948, dopo la sconfitta dell’Impero ottomano nella prima guerra mondiale, ndtr], fu in seguito adottata dagli occupanti sionisti per reprimere la resistenza palestinese.

Altri detenuti palestinesi hanno partecipato a proteste all’interno delle prigioni dell’occupazione israeliana in sostegno dei prigionieri in sciopero della fame. Si annuncia una serie di vasti scioperi di solidarietà e le prime adesioni vengono da Bara’a Issa di Anata [cittadina nei pressi di] Gerusalemme, Taha al-Tarwa di Taffouh [villaggio nei pressi di] al-Khalil, Malik al-Sa’ada di Halhoul e Qasim Masalmeh di Beit Awwa [cittadine nei pressi di al-Khalil, ndtr], tutti detenuti nella prigione di Ramon [nel nord di Israele, ndtr].

Le forze di occupazione israeliane hanno intensificato la repressione prendendo di mira i detenuti in sciopero della fame, mettendoli in isolamento, facendo irruzione e perquisizioni nelle celle e trasferendoli ripetutamente da una prigione all’altra, procedura fisicamente e mentalmente gravosa ed estenuante, specialmente perché i detenuti cominciano a soffrire di gravi problemi di salute. Il sistema penitenziario israeliano ha anche rallentato il rilascio delle autorizzazioni ai legali per visitare i detenuti in sciopero della fame, cercando di privarli di comunicazione e rappresentanza.

Samidoun, rete di solidarietà con i prigionieri palestinesi, fa appello a tutti i sostenitori della Palestina ad attivarsi per sostenere questi palestinesi in sciopero della fame e tutti i prigionieri palestinesi che lottano per la libertà, per la propria vita e per il popolo palestinese. Essi sono in prima linea nella lotta contro il sistema dell’oppressione israeliana e mettono a rischio i loro corpi e le loro vite per porre fine al sistema della detenzione amministrativa. Potete adottare queste diverse azioni per sostenere chi è in sciopero della fame e per lottare per la liberazione della Palestina, dal fiume [Giordano, ndtr] al mare [Mediterraneo,ndtr]!

ATTIVATI:

Firma la petizione!

Attivisti internazionali di base hanno lanciato una petizione in sostegno agli scioperi della fame e per porre fine alla detenzione amministrativa. Sostieni con la tua firma – e agisci di persona! 

Firma qui: change.org/NoChargeNoTrialNoJail

Protesta con l’ambasciata o il consolato nel tuo Paese!

Unisciti alle proteste in corso in tutto il mondo – affronta, isola e prendi d’assedio l’ambasciata o il consolato nella tua città o Stato di residenza. Fai capire che il popolo sta con la Palestina! Comunica gli eventi che organizzi a samidoun@samidoun.net.

Scendi in piazza: organizza una protesta in solidarietà con la Palestina!

Scendi in piazza e unisciti alle manifestazioni elencate nella nostra lista degli eventi, che viene costantemente aggiornata mano a mano che se ne annunciano altre! Organizzane una tu se non ve ne sono nella tua zona, e comunicala a  samidoun@samidoun.net.

Boicotta Israele!

Le campagne internazionali, arabe e palestinesi di boicottaggio di Israele possono giocare un ruolo importante in questo momento critico. I gruppi di boicottaggio locali possono protestare ed etichettare i prodotti agricoli ed alimentari. Durante il ramadan, i datteri israeliani prodotti nelle terre rubate ai palestinesi vengono distribuite per il mondo, mentre Israele tenta di scacciare i palestinesi da Gerusalemme, demolisce le loro case e ne imprigiona altre migliaia. Partecipando al boicottaggio di Israele, puoi aiutare a mettere un bastone fra le ruote dell’economia del colonialismo dell’occupazione.

Chiedi al tuo governo di sanzionare Israele!

Lo Stato razzista e coloniale di occupazione israeliano e i suoi crimini di guerra contro il popolo palestinese sono resi possibili e sostenuti massicciamente dagli oltre 3,8 miliardi di dollari forniti ogni anno dagli USA ad Israele – destinati direttamente al sostegno dell’occupazione militare israeliana che uccide bambini, donne, uomini e anziani nella Palestina occupata. Che siano il Canada, l’Australia o l’Unione Europea, i governi occidentali e le potenze imperialiste non solo continuano a fornire sostegno diplomatico, politico ed economico ad Israele, ma vendono anche miliardi di dollari di armi allo Stato dell’occupazione coloniale.

Nel contempo comprano anche miliardi di dollari di armamenti dallo Stato di Israele. Anche governi in combutta con le potenze imperialiste, come quelli delle Filippine, Brasile, India e altri, comprano armi e servizi di “sicurezza” – tutti “testati sul campo” sulla popolazione palestinese. Chiama i tuoi rappresentanti, i parlamentari, i politici e chiedi che il tuo governo sanzioni subito Israele, tagli tutti gli aiuti, ne espella gli ambasciatori e smetta di comprare e vendere armi!

(traduzione dall’inglese di Stefania Fusero)

 




Colono israeliano in Cisgiordania spara a dei palestinesi usando il fucile di un soldato

2 agosto 2021 – Middle East Monitor

Nel video, ripreso nel villaggio di Al-Tuwani, si vede anche che i coloni attaccano proprietà palestinesi, spezzano rami degli ulivi, lanciano pietre contro i palestinesi e danno fuoco alle loro proprietà, tutto in presenza delle forze di occupazione.

Un colono israeliano ha sparato a dei palestinesi nella Cisgiordania occupata usando l’arma di un soldato israeliano, come si vede in un video diffuso dall’organizzazione B’Tselem [ONG israeliana che si autodefinisce “Centro di informazione israeliano per i diritti umani nei territori occupati”, ndtr].

Come riferito da Haaretz, i palestinesi che hanno assistito all’episodio, avvenuto il 26 giugno scorso, dicono che il soldato ha dato l’arma al colono, mentre i militari israeliani sostengono che il colono “ha preso l’arma dal soldato per sparare poi in aria”.

“Sul tetto con me c’erano dieci bambini e tremavamo tutti, non ha sparato in aria, ha sparato nella nostra direzione,” dice un palestinese del posto. Anche un altro testimone oculare, che si trovava sullo stesso tetto, dice di aver visto il soldato dare il fucile al colono, aggiunge Haaretz. 

Nel video, ripreso nel villaggio di Al-Tuwani, si vede anche che i coloni attaccano proprietà palestinesi, spezzano rami degli ulivi, lanciano pietre contro i palestinesi e danno fuoco alle loro proprietà, tutto in presenza delle forze di occupazione.

Il portavoce dell’esercito israeliano afferma: “Si è verificato uno scontro violento fra coloni e palestinesi,” in cui “si sono scagliati pietre a vicenda e [i palestinesi] hanno lanciato petardi contro i coloni. Un soldato dell’IDF [l’esercito] ha caricato su un veicolo militare un abitante che gli aveva chiesto un passaggio, e quando sono arrivati sul posto sono state lanciate delle pietre contro il veicolo. Come reazione, il civile ha preso l’arma dal soldato e ha sparato in aria. Non ci sono stati feriti. Considerata la gravità dell’incidente, il soldato è stato immediatamente convocato dal comandante di brigata per indagini e approfondimenti, e c’è stato un chiarimento sulle regole di ingaggio.”

Secondo il sito palestinese di informazione Safa questo incidente non è che l’ulteriore dimostrazione della cooperazione congiunta fra coloni ed esercito israeliani nell’aggressione contro i palestinesi.

Safa afferma che nel maggio scorso undici palestinesi sono rimasti uccisi nella Cisgiordania occupata nel corso di aggressioni da parte dell’esercito israeliano e dei coloni.

traduzione dall’inglese di Stefania Fusero




La Corte israeliana rinvia l’appello contro le espulsioni di Sheikh Jarrah

2 Agosto 2021 – Al Jazeera

Le famiglie palestinesi respingono la proposta della Corte di rimanere nelle loro case come “inquilini protetti”, se riconoscono la proprietà israeliana

La Corte Suprema di Israele ha rinviato la decisione su un appello da parte di quattro famiglie palestinesi contro l’espulsione forzata dal quartiere di Sheikh Jarrah nella Gerusalemme est occupata, in quanto le famiglie affermano di aver respinto una proposta della Corte di rimanere nelle case come “inquilini protetti”, riconoscendo però la proprietà israeliana.

Il caso esaminato lunedì riguardava quattro famiglie palestinesi, per un totale di circa 70 persone.

I tribunali israeliani di prima istanza hanno approvato le espulsioni delle quattro famiglie per far posto a coloni israeliani. Hanno sentenziato che le loro case sono state costruite su terreni di proprietà di ebrei prima della fondazione di Israele nel 1948.

Ma, tenendo conto del ricorso di ultima istanza da parte dei residenti, la Corte ha proposto un accordo che concederebbe loro lo status di “inquilini protetti”, che riconoscerebbero la proprietà israeliana delle case e pagherebbero un affitto annuale simbolico, ma le famiglie lo hanno rifiutato.

Il giudice Isaac Amit ha richiesto ulteriore documentazione e ha detto: “Renderemo nota una decisione più avanti”, ma non ha fissato una data.

Hoda Abdel-Hamid di Al Jazeera, riferendo dal tribunale di Gerusalemme ovest, ha detto che il giudice ha offerto alle famiglie palestinesi l’opzione di firmare un documento che attesta che la terra appartiene ai coloni israeliani.

In cambio avrebbero una locazione garantita nella casa per le prossime tre generazioni”, ha detto Abdel-Hamid.

Ci hanno fatto forti pressioni per raggiungere un accordo con i coloni israeliani, in cui noi saremmo affittuari delle organizzazioni di coloni”, ha detto Muhammad al-Kurd, membro di una delle quattro famiglie al centro della disputa.

Ovviamente questo accordo è stato respinto”, ha detto.

Anche Sami Ershied, un avvocato che rappresenta le famiglie palestinesi, ha detto a Al Jazeera che la proposta era inaccettabile.

Finora non abbiamo ricevuto un’offerta che fosse abbastanza equa e tutelasse i diritti dei residenti. Perciò non abbiamo aderito ad alcun compromesso”, ha affermato Ershied.

Però ha detto che l’udienza è stata “un buon passo avanti”.

I giudici hanno detto che ci convocheranno ad una seconda udienza. Non hanno ancora respinto il nostro appello: questo è un buon segno”, ha detto.

Speriamo che i giudici continuino ad ascoltare le nostre argomentazioni e prendano in considerazione tutti i nuovi dettagli che abbiamo fornito loro e alla fine prendano una decisione favorevole ai residenti di Sheikh Jarrah”, ha affermato.

Ershied ha aggiunto che la Corte deciderà quando fissare la prossima udienza e che essa si potrebbe svolgere in un arco di settimane o mesi.

Lunga battaglia legale

Era previsto che la Corte Suprema emettesse una sentenza a maggio, ma ha rinviato la decisione dopo che il procuratore generale ha richiesto più tempo per esaminare i casi.

La minaccia delle espulsioni ha scatenato proteste che hanno subito una dura repressione da parte delle forze di sicurezza israeliane in aprile e maggio ed hanno messo alla prova la nuova coalizione di governo israeliana, che comprende tre partiti favorevoli alle colonie ed un piccolo partito che rappresenta i palestinesi cittadini di Israele. Per amor di unità, il governo ha cercato di accantonare le questioni palestinesi per evitare divisioni interne.

Settimane di disordini –caratterizzati dalle violente tattiche della polizia israeliana contro gli abitanti e i dimostranti che li sostenevano – hanno attirato l’attenzione internazionale prima degli 11 giorni di bombardamenti israeliani sulla striscia di Gaza assediata a maggio.

Il 21 maggio è entrato in vigore un cessate il fuoco, ma la campagna di lunga durata dei coloni israeliani per cacciare decine di famiglie palestinesi è continuata.

I coloni hanno condotto una campagna di decenni per espellere le famiglie dai quartieri palestinesi densamente popolati appena fuori dalle mura della Città Vecchia, in una delle aree più sensibili della Gerusalemme est occupata.

I coloni hanno sostenuto che le case erano costruite su terreni di proprietà di ebrei prima della guerra del 1948, quando fu creato Israele. La legge israeliana consente agli ebrei di reclamare tale proprietà, diritto negato ai palestinesi che hanno perso terra e case nello stesso conflitto.

La Giordania ha avuto il controllo su Gerusalemme est dal 1948 al 1967. Le famiglie divenute rifugiate durante la guerra del 1948 hanno detto che le autorità della Giordania hanno offerto loro le case in cambio della rinuncia allo status di rifugiati.

Israele ha occupato Gerusalemme est, insieme alla Cisgiordania e Gaza, nel 1967 e la ha annessa con un’iniziativa non riconosciuta a livello internazionale. La soluzione di due Stati concepita dagli Accordi di Oslo del 1993 considerava le tre aree parte di uno Stato palestinese.

Nel 1972 gruppi di coloni dissero alle famiglie che stavano sconfinando su terra di proprietà di ebrei. Fu l’inizio di una lunga battaglia legale che negli ultimi mesi è culminata in ordini di espulsione contro 36 famiglie di Sheikh Jarrah e altri due quartieri di Gerusalemme est occupata.

Associazioni per i diritti hanno affermato che anche altre famiglie sono a rischio, stimando che più di 1.000 palestinesi rischiano di essere espulsi.

Qualunque sarà la sentenza del giudice sia per i coloni che per le famiglie palestinesi, essa darà il segnale di ciò che avverrà in seguito”, ha detto Abdel-Hamid.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)

 




Israele combatte contro i suoi figli migliori: gli ex soldati che hanno il coraggio di parlare

Zehava Galon

1 agosto 2021 – Haaretz

L’Agenzia delle Entrate si è arresa alla pressione da parte delle organizzazioni di destra e ha chiesto che venissero tolti dal proprio edificio i cartelli messi da Breaking the Silence [‘Rompere il silenzio’ – organizzazione non governativa israeliana fondata nel 2004 da militari contrari all’occupazione, ndtr.] per una campagna con cui chiedeva al ministro della Difesa e al ministro della Pubblica Sicurezza di agire in modo deciso contro la violenza dei coloni. Tale violenza è un evento quotidiano e il suo obiettivo è il terrore, in modo da espellere i palestinesi dalle proprie terre con la forza combinata dei coloni e dell’esercito e convincerli che non c’è motivo di ritornarvi. Se i palestinesi non coltivano la terra per parecchi anni, il governo la passerà ai coloni. E ora un altro ramo del governo si è unito ai teppisti mascherati di Yesha [l’alleanza dei comuni delle colonie illegali israeliane nella Cisgiordania occupata, che funge da guida informale per il movimento dei coloni. ndtr.] (Giudea e Samaria).

Qualche parola sui soliti sospetti: il rapper Yoav Eliasi, alias The Shadow [l’Ombra], è un noto teppista, coinvolto nel 2014 nell’organizzazione di attacchi contro attivisti di sinistra durante l’operazione “Margine Protettivo” contro Gaza. Arieh King, vicesindaco di Gerusalemme, diventò famoso nel 2014 quando, dopo l’assassinio di tre giovani studenti della yeshiva [scuola religiosa ortodossa ebraica, ndtr.], aveva invocato “i nostri Fineas” [un’allusione al personaggio biblico noto per il suo fanatismo, ndtr.] per punire i palestinesi, poche ore prima che tre persone autoproclamatesi fineasisti’ rapissero e uccidessero dandogli fuoco un quindicenne, Mohammed Abu Khdeir. C’è poi un attivista di destra, Shai Glick, che orgogliosamente si fa chiamare “una specie di terrorista.” Queste tre perle sono oggi la faccia dello Stato di Israele.

La decisione gli si è ritorta contro: l’Agenzia delle Entrate non aveva alcuna autorità legale di rimuovere i cartelli. E così sono stati tolti l’ultimo giorno della campagna e l’organizzazione Breaking the Silence è stata rimborsata dell’intera somma spesa per la campagna che continuerà. È comunque una giornata funesta quella in cui un’autorità ufficiale in Israele dichiara che la battaglia contro il crimine ideologico è un “atto politico”.

Lo Stato di Israele sta combattendo in modo determinato contro i suoi figli migliori, i soldati che hanno prestato servizio nei territori, ma che, diversamente dalla maggioranza dei loro colleghi, sono rimasti così scioccati da quello che hanno visto e che sono stati costretti a fare che hanno deciso che nessuno avrebbe più dovuto farlo. Hanno denunciato il regime quotidiano di orrori della dittatura militare nei territori, non tanto gli omicidi, che sono relativamente rari, ma piuttosto la sistematica, silenziosa, tacita violenza. Fino a quando non hanno rotto il silenzio.

E a causa di questo sono perseguitati. Attivisti dell’organizzazione sono stati attaccati ripetutamente. Il regime di occupazione israeliano protesta e sostiene che stanno raccontando al mondo quello che hanno visto, come se non fosse il mondo che finanzia le Forze di Difesa Israeliane [l’esercito israeliano, ndtr.] e sostiene il regime di occupazione. Contro di loro è stata approvata una legge con lo scopo di impedire loro di parlare agli studenti.

Anche questa, come la battaglia per la rimozione dei cartelli, gli si è rivoltata contro. Eppure, appellandosi a questa legge, la galleria Barbur [centro culturale e artistico indipendente, ndtr.] a Gerusalemme che ospitava Breaking the Silence, è stata chiusa dal Comune. Shai Glick si è vantato di aver messo in guardia la polizia sulla violenza prevista agli eventi dell’organizzazione, il che ha offerto alla polizia la scusa per annullarli.

Gli ebrei sono sempre stati in prima linea nelle lotte per i diritti umani, ovunque e contro ogni regime oppressivo. I rabbini hanno marciato accanto a Martin Luther King quando era molto pericoloso farlo perché i suoi sostenitori finivano ammazzati. E qui, proprio nello Stato degli ebrei, si butta nel cestino questa straordinaria tradizione. Lo Stato ebraico vuole così disperatamente la terra dell’Area C in Cisgiordania che si mette alla testa di chi cerca di far arretrare la rivoluzione dei diritti umani cominciata dopo la Seconda Guerra Mondiale.

Come se non avessimo imparato nulla dal periodo in cui i regimi potevano trattare i propri cittadini come pareva loro. Verrà il giorno in cui quelli di Breaking the Silence saranno degli eroi e tutta la comunità che incoraggiava attacchi contro di loro abbasserà lo sguardo. Ma come ci libereremo dalla vergogna?

(traduzione dall’inglese Mirella Alessio)




Le forze israeliane uccidono un giovane palestinese durante il funerale di un ragazzino di 12 anni

Akram al-Waara

30 luglio 2021 – Middle East Eye

Shawkat Awad, 20 anni, è stato ucciso in un attacco armato al funerale di Mohammed al-Alami, ucciso a colpi di arma da fuoco dalle forze israeliane a Beit Ummar il giorno precedente

Le forze armate israeliane hanno sparato e ucciso un giovane palestinese durante gli scontri nella città di Beit Ummar, nel sud della Cisgiordania occupata, giovedì, meno di 24 ore dopo che i soldati avevano ucciso un ragazzo di 12 anni della stessa città: un caso che ha provocato grande indignazione.

Shawkat Awad, 20 anni, è stato ucciso dalle forze israeliane durante gli scontri scoppiati a Beit Ummar quando elementi della polizia di frontiera israeliana hanno attaccato il corteo funebre di Mohammed al-Alami, un dodicenne palestinese ucciso dai soldati che hanno sparato all’auto della famiglia mercoledì mentre tornavano a casa dopo aver fatto la spesa.

Giovedì pomeriggio, mentre migliaia di palestinesi che partecipavano al corteo funebre di Alami si dirigevano verso il cimitero di Beit Ummar, vicino al quale si trova una base militare israeliana, le forze israeliane hanno iniziato a sparare contro la folla bombe assordanti, gas lacrimogeni e proiettili di acciaio ricoperti di gomma.

Youssef Abu Maria, residente a Beit Ummar e membro dei Comitati di resistenza popolare della parte meridionale della Cisgiordania, ha detto a Middle East Eye: “Eravamo sotto shock in quel momento. La gente correva in tutte le direzioni, cercando di allontanarsi dai gas lacrimogeni ma anche cercando di raggiungere il cimitero in modo da poter seppellire Mohammed”.

L’attacco israeliano al corteo funebre ha scatenato “duri scontri” tra soldati armati e giovani palestinesi a Beit Ummar, ha detto Abu Maria, aggiungendo che i residenti della città hanno lanciato pietre contro i soldati, che hanno iniziato a sparare proiettili veri e skunk water [liquido puzzolente che provoca vomito ndt.] contro i manifestanti.

Secondo il Ministero della Salute dell’Autorità Palestinese, almeno 12 palestinesi, incluso Awad, sono stati feriti con proiettili veri durante gli scontri. Awad è stato colpito due volte: una alla testa e una al petto.

“I soldati gli hanno sparato a bruciapelo”, ha detto Abu Maria. “Era chiaro che volevano uccidere qualcuno”.

In una dichiarazione rilasciata giovedì, l’esercito israeliano ha accusato “centinaia di rivoltosi” di violenza e ha affermato di “essere al corrente della diceria” secondo cui un palestinese era stato ucciso e di aver avviato un’indagine sulla questione.

“Non abbiamo alcun modo per difenderci e nessuno che ci protegga”, ha detto Abu Maria. “Abbiamo solo pietre per difenderci da uno degli eserciti più forti del mondo. E quando lanciamo sassi contro di loro ci chiamano terroristi”.

Nel primo pomeriggio di venerdì, Abu Maria ha descritto la situazione a Beit Ummar come “deprimente” e “tesa” mentre i residenti si preparavano a partecipare al funerale di Awad.

Siamo riusciti a malapena a seppellire Mohammed e a piangere la sua morte, poi l’occupazione ha ucciso un altro dei nostri figli. È devastante”, ha detto.

Abu Maria ha detto a MEE che dozzine di soldati israeliani si stavano radunando all’ingresso della città venerdì mattina; i residenti temevano che il funerale di Awad potesse finire come il funerale di Alami il giorno prima.

“Abbiamo paura che i soldati ci attacchino di nuovo”, ha dichiarato. “A Beit Ummar non possiamo seppellire in pace i nostri morti perché il cimitero è vicino alla base militare. Speriamo solo che non ci sia un altro martire oggi”.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Rapporto OCHA del periodo 13 -26 luglio 2021

Durante il periodo di riferimento sono morti due palestinesi, tra cui un ragazzo, colpiti dalle forze israeliane [seguono dettagli]

Forze israeliane sono entrate in An Nabi Salih (Ramallah) per eseguire un’operazione di arresto e, quando i residenti palestinesi hanno lanciato loro pietre, i soldati hanno sparato proiettili veri e lacrimogeni. Durante questo scontro a fuoco, le forze israeliane hanno ucciso un ragazzo di 17 anni che, secondo i militari, stava lanciando pietre mettendo in pericolo la vita dei soldati. Secondo fonti palestinesi, gli hanno sparato alla schiena. Il 26 luglio, un palestinese è morto per le ferite riportate il 14 maggio a Sinjil (Ramallah), quando venne colpito dalle forze israeliane durante scontri tra palestinesi e forze israeliane.

In Cisgiordania, complessivamente le forze israeliane hanno ferito 615 palestinesi, inclusi 24 minori, il più piccolo dei quali ha tre mesi [seguono dettagli]. 588 [dei 615] sono rimasti feriti a Beita (Nablus), durante proteste contro gli insediamenti [colonici israeliani]. Durante tali proteste anche due soldati israeliani sono stati colpiti e feriti da pietre, a quanto riferito, lanciate da palestinesi. Tredici minori palestinesi sono rimasti feriti A Ein al Hilwa, nella Valle del Giordano; in questo caso, coloni israeliani avevano cercato di sottrarre una serbatoio d’acqua, innescando scontri tra residenti palestinesi e forze israeliane. I rimanenti [dei 615] sono stati feriti in altre località. Del totale di feriti palestinesi, 44 sono stati colpiti con proiettili veri, 140 con proiettili di gomma; i rimanenti sono stati curati principalmente per inalazione di gas lacrimogeni o per lesioni conseguenti ad aggressioni fisiche. Oltre ai 615 [palestinesi] feriti direttamente dalle forze israeliane, 69 sono rimasti feriti a Beita e Osarin mentre scappavano dalle forze israeliane, o in circostanze non verificabili.

In Cisgiordania le forze israeliane hanno effettuato 91 operazioni di ricerca-arresto ed hanno arrestato 158 palestinesi [seguono dettagli]. Circa 45 studenti universitari sono stati arrestati a Turmus’ayya (Ramallah) durante una protesta contro le “demolizioni punitive”; altri 20 sono stati arrestati nella Città Vecchia di Gerusalemme, durante scontri con le forze israeliane, conseguenti all’ingresso di oltre 1.600 israeliani nel complesso di Haram Al Sharif / Monte del Tempio; i restanti sono stati arrestati in Cisgiordania in circostanze diverse.

Il 25 luglio, da Gaza, gruppi armati palestinesi hanno lanciato palloni incendiari, innescando incendi in Israele. In risposta, l’aviazione israeliana ha effettuato attacchi aerei su Gaza, a quanto riferito prendendo di mira basi militari. Secondo i media israeliani, durante tali attacchi aerei, raffiche di mitragliatrice provenienti da Gaza avrebbero preso di mira gli aerei militari, colpendo e danneggiando leggermente una struttura nel sud di Israele. In conseguenza di ciò, le autorità israeliane hanno ridotto, da 12 a 6 miglia nautiche, la zona di pesca consentita [ai palestinesi] lungo la costa meridionale di Gaza.

Il 22 luglio, nella città di Gaza, un palestinese è morto e altri 14, tra cui sei minori, sono rimasti feriti a seguito dell’esplosione verificatasi in un edificio. La struttura a tre piani è crollata e diverse case e negozi vicini hanno subito danni. Alcune fonti hanno ipotizzato che l’esplosione sia stata causata da esplosivi immagazzinati nell’edificio.

Sempre a Gaza, vicino alla recinzione perimetrale e al largo della costa, in almeno nove occasioni, le forze israeliane hanno aperto il fuoco di avvertimento, verosimilmente per far rispettare le restrizioni di accesso [imposte ai palestinesi]. Almeno due volte [le forze israeliane] hanno anche svolto operazioni di spianatura del terreno all’interno di Gaza, a ridosso della recinzione perimetrale.

In Cisgiordania, per mancanza di permessi di costruzione rilasciati da Israele, le autorità israeliane hanno demolito, sequestrato o hanno costretto i proprietari ad autodemolire un totale di 59 strutture di proprietà palestinese, sfollando 96 persone e creando ripercussioni su 550 [seguono dettagli]. La maggior parte delle strutture (49) e degli sfollati (84) erano in Area C, nella Comunità beduina di Ras al Tin (Ramallah); in particolare, a Furush Beit Dajan (Nablus), la demolizione di un serbatoio idrico agricolo (oggetto di una donazione) ha compromesso l’accesso all’acqua di oltre 500 persone.

Nel governatorato di Hebron, in episodi separati, coloni israeliani hanno fisicamente aggredito e ferito tre palestinesi. Inoltre, in Cisgiordania, coloni israeliani noti, o ritenuti tali, hanno danneggiato almeno 200 alberi o alberelli e altre proprietà palestinesi.

Palestinesi, lanciando pietre, hanno ferito almeno quattro coloni israeliani in transito a Gerusalemme Est, tra cui un bambino di un anno. Secondo fonti israeliane, sono state danneggiate almeno 16 auto israeliane.

¡

Ultimi sviluppi (successivi al periodo di riferimento)

Il 28 luglio, all’ingresso di Beit Ummar (Hebron), le forze israeliane hanno sparato, uccidendo un ragazzo palestinese 11enne che si trovava in auto con suo padre. Secondo l’esercito israeliano, i soldati avevano ordinato all’autista di fermarsi e, non avendo questi fermato il veicolo, hanno sparato contro l’auto, mirando alle ruote. Il 29 luglio, al funerale del ragazzo, durante il quale i palestinesi hanno lanciato pietre in segno di protesta, i soldati delle forze israeliane hanno sparato proiettili veri, proiettili di gomma e lacrimogeni, colpendo ed uccidendo un palestinese.

Il 27 luglio, all’ingresso di Beita (Nablus), le forze israeliane hanno ucciso un palestinese di 41 anni. Secondo i militari, l’uomo stava procedendo in direzione dei soldati impugnando una spranga di ferro e, nonostante gli spari di avvertimento, ha continuato ad avanzare. In quel momento non erano in corso scontri.