Cresce la violenza sulle donne a Gaza

Mai Abu Hasaneen

25 giugno 2021 Al Monitor

Le donne vengono uccise a un ritmo allarmante nella Striscia di Gaza, dove un sistema politico tradizionalista dà ancora priorità alle questioni politiche rispetto alla giustizia e alla protezione della vita delle donne.

Ho pianto per così tanto tempo, sentendomi sola e senza speranza, chiedendomi perché non ho un fratello che mi tenga tra le sue braccia e mi faccia sentire al sicuro; un fratello al quale raccontare l’ingiustizia, l’oppressione e le percosse prolungate con manganelli e bastoni che ho sopportato, come se non fossi un essere umano. Gli direi come sono diventata un’anima vecchia in un corpo giovane”, ha scritto Istabrak Baraka, 17 anni, le sue ultime parole prima di essere picchiata a morte dal marito il 16 giugno nella Striscia di Gaza.

Baraka, incinta di tre mesi, si stava preparando a sostenere gli esami finali delle superiori quando suo marito l’ha uccisa.

Il giorno della sua morte, la polizia ha anche annunciato che una donna sulla quarantina era stata uccisa dai suoi fratelli in una disputa sull’eredità. Il 23 maggio, gli agenti di polizia hanno trovato il corpo di una ragazza di 16 anni sepolta vicino a una strada laterale a Jabalia, 15 giorni dopo la sua scomparsa. Un’indagine ha rivelato che era stata uccisa dal padre.

Secondo il Palestinian Center for Policy Research and Strategic Studies,sono morte in media 22 donne l’anno dal 2012 al 2019 in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza vittime della violenza domestica. A detta del Women’s Center for Legal Aid and Counseling il numero è salito a 38 nel 2020, quando la pandemia di COVID-19 ha costretto le persone a rimanere a casa. Per il Palestinian Center for Human Rights sei donne sono morte finora per violenza domestica quest’anno, di cui una in Cisgiordania e cinque nella Striscia di Gaza.

I dati mostrano che le vittime provenivano da diverse classi sociali e sono state uccise in molti differenti modi. Il denominatore comune è che sono state tutte soggette ad abusi fisici e psicologici.

Le donne palestinesi vivono sotto leggi obsolete risalenti all’epoca ottomana, britannica, giordana ed egiziana che molti sostengono non siano più adeguate nel 2021. La Palestina ha aderito a diversi accordi internazionali sui diritti delle donne nell’ultimo decennio, inclusa la Convenzione delle Nazioni Unite sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne nel 2014.

La legge giordana sui diritti della persona è in vigore in Cisgiordania e la legge sulla protezione della famiglia è valida nella Striscia di Gaza. I critici affermano che alcune clausole sono discriminatorie nei confronti delle donne nonostante degli emendamenti che promuovono l’uguaglianza. Nel frattempo la magistratura di Gaza continua a comminare pene lievi o ridotte contro gli aggressori.

Nadia Abu Nahla, direttrice della sezione di Gaza del Comitato Women’s Affairs Technical Committee, ha parlato con Al-Monitor delle ragioni principali che stanno dietro all’aumento delle uccisioni di donne nei territori palestinesi. Ha detto che la mentalità sessista in casa, nella comunità e nel sistema politico è una delle ragioni principali dietro le molteplici forme di violenza contro le donne. Ha aggiunto che le uccisioni di donne negli ultimi anni non costituiscono “crimini d’onore”; piuttosto, ha affermato, sono legate a conflitti in materia di eredità, libertà individuali delle donne o litigi familiari dovuti alle dure condizioni di vita.

Abu Nahla ha aggiunto che il sistema politico palestinese, dominato da forze arretrate come tribù, gruppi religiosi e fazioni radicali, non ha saputo approvare leggi e adottare politiche per combattere la violenza contro le donne.

Ha spiegato: “Noi, come movimento femminista, stiamo premendo da anni per una legge che protegga le famiglie dalla violenza. Abbiamo preparato un disegno di legge al riguardo che è stato presentato al Consiglio dei Ministri [nel 2012]. Quest’ultimo ha aggiunto emendamenti che non garantivano la protezione delle donne dalla violenza di genere e, nonostante le nostre riserve, ha approvato la bozza nel 2018. Ma il Presidente palestinese non ha approvato la legge a causa dell’opposizione dei leader tribali”.

Stiamo conducendo campagne di sensibilizzazione sulla violenza contro le donne attraverso uffici legali a Gaza che forniscono sostegno psicologico e sociale e rappresentanza e supporto legale”. Ha aggiunto che la sua organizzazione ha ricevuto 750 segnalazioni durante il lockdown nel 2020 e circa 400 segnalazioni al mese sono pervenute ai numeri telefonici di emergenza dall’inizio di quest’anno.

Tahani Qasem, coordinatrice del progetto Hayat per la protezione e l’emancipazione delle donne e delle famiglie legato al Center for Women’s Legal Research, Counseling and Protection di Gaza, ha dichiarato ad Al-Monitor che il centro ha ricevuto 500 denunce di violenza contro le donne l’anno scorso e ha risposto con sostegno psicologico, sociale ed economico. Ha poi aggiunto che sono stati dati rifugio e assistenza in 52 casi a donne costrette a sopportare le violenze a causa delle loro pessime condizioni economiche.

Qasem ha spiegato che tra i servizi forniti dal gruppo ci sono il sostegno psicologico, sociale ed economico alle donne maltrattate affinché escano da situazioni di violenza.

L’autrice femminista di Gaza Hedaya Chamoun ha detto ad Al-Monitor che le vittime non dovrebbero essere ridotte a numeri. Ogni donna che è stata uccisa ha una storia e la sua vita contava.

Ha affermato che l’assassinio delle donne dovrebbe diventare una causa sociale e morale non limitata alle istituzioni che si occupano dei diritti delle donne, poiché minaccia il tessuto sociale palestinese che già soffre di devastanti crisi economiche, politiche e sociali dovute all’occupazione israeliana.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Comunità palestinese in Cisgiordania distrutta per la sesta volta

Al Jazeera e agenzie di stampa

7 luglio 2021 – Al Jazeera

Le forze israeliane hanno distrutto case e attrezzature agricole a Humsa al-Baqai’a nella Valle del Giordano occupata.

Le forze israeliane hanno distrutto la comunità palestinese beduina di Humsa al-Baqai’a, nella Valle del Giordano, comprese strutture che sono state fornite dalla comunità internazionale.

Sono state sfollate almeno 65 persone, compresi 35 minori, ha detto Christopher Holt del Consorzio di Tutela della Cisgiordania, un gruppo di organizzazioni umanitarie internazionali sostenuto dall’Unione Europea, che dà assistenza agli abitanti.

La demolizione ha lasciato ancora una volta senza casa gli abitanti del villaggio, che si guadagnano da vivere essenzialmente allevando circa 4.000 pecore. In passato l’UE ha aiutato gli abitanti nella ricostruzione dopo precedenti demolizioni.

In base agli Accordi di Oslo la Valle del Giordano, che costituisce il 60% della Cisgiordania occupata, è classificata come area C – che significa sotto il pieno controllo militare e civile israeliano.

È la sesta volta che il villaggio viene distrutto dal novembre 2020, quando – secondo il Consiglio dei Rifugiati Norvegese (NRC) – sono state demolite 83 strutture nella più vasta azione di demolizione registrata negli ultimi anni.

Alcune delle case e fattorie provvisorie sono state fornite dall’Unione Europea. Humsa al-Baqai’a ha ricevuto assistenza materiale dal Consorzio di Tutela della Cisgiordania, creato per impedire il trasferimento forzato di palestinesi nella Cisgiordania occupata.

Holt ha detto che le famiglie si sono rifiutate di abbandonare la zona.

Sappiamo che ciò che è successo stamattina è che l’esercito israeliano è entrato nella comunità verso le 9 e vi ha distrutto tutto, comprese otto strutture abitative e agricole e stalle per animali, ha detto ad Al Jazeera.

Le forze israeliane hanno cercato di trasferire con la forza le famiglie, cosa illegale in quanto questo è un territorio occupato, e che le famiglie hanno rifiutato di andarsene…È un’escalation molto grave.”

Un funzionario della sicurezza israeliano ha detto che per mesi il governo ha condotto incontri con gli abitanti ed ha offerto una località alternativa nelle vicinanze. Il funzionario, che non era autorizzato a rilasciare dichiarazioni pubbliche, ha detto alla Associated Press [agenzia di stampa USA, ndtr.] che l’offerta della nuova sistemazione resta valida.

In base al diritto internazionale, ad una potenza occupante è rigorosamente vietato trasferire membri della popolazione occupata dalle proprie comunità contro la loro volontà.

Lo scorso febbraio, dopo aver eseguito demolizioni in due precedenti occasioni nello stesso mese, le forze israeliane hanno anche confiscato i serbatoi d’acqua del villaggio, lasciando la comunità senza acqua potabile e per il bestiame.

Attualmente le famiglie di Humsa al-Baqai’a non hanno riparo dai torridi 39 gradi di calore nella Valle del Giordano.

Le forze israeliane hanno nuovamente distrutto la vita delle famiglie di Humsa e adesso le stanno scacciando dalle loro case,” ha detto Caroline Ort, direttrice per la Palestina del Consiglio dei Rifugiati Norvegese.

La comunità internazionale deve condannare fermamente questa espropriazione e dimostrare che non tollererà queste sfrontate violazioni del diritto internazionale. Le autorità israeliane devono garantire immediatamente l’accesso umanitario alla comunità per soddisfare le necessità urgenti.”

Ort ha affermato che le demolizioni sono l’ultima di una “incessante serie di dimostrazioni di forza da parte delle autorità israeliane, che solo nei primi sei mesi del 2021 hanno distrutto almeno 421 strutture appartenenti a palestinesi.”

Ciò rappresenta un incremento del 30% delle demolizioni rispetto allo stesso periodo del 2020”, ha affermato Ort.

Aree di tiro’

Il villaggio è una delle 38 aree beduine parzialmente o totalmente collocate all’interno di un’area che Israele ha dichiarato zona militare di prove di tiro.

Secondo l’Ufficio ONU per il Coordinamento delle Questioni Umanitarie (OCHA) le “aree di tiro” indicate costituiscono circa il 30% dell’area C, dove vivono 6.200 beduini.

Queste comunità sono alcune delle più vulnerabili nella Cisgiordania occupata, con accesso limitato ai servizi basilari quali acqua, igiene, elettricità, educazione e servizi per la salute.

Le case palestinesi nella Valle del Giordano sono soggette a demolizioni da parte delle autorità israeliane, che sostengono che sono state costruite senza permessi.

L’area della Valle del Giordano palestinese copre circa 160.000 ettari con circa 13.000 coloni israeliani che vivono in 38 insediamenti. Nel contempo, circa 65.000 palestinesi vivono in 34 comunità.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Soldati israeliani fanno irruzione in un centro per l’infanzia nel campo profughi di Jenin e distruggono libri, giocattoli e l’impianto idraulico

Tony Greenstein

5 luglio 2021- Mondoweiss

Il Brighton Trust, l’ente caritatevole di cui io sono un amministratore, insieme agli attivisti dell’inglese National Education Union, (sindacato personale scolastico) raccoglie fondi da tre anni per il centro per l’infanzia Al-Tafawk nel campo profughi di Jenin, nella Palestina occupata.

Il centro, gestito da volontari del posto e l’unico nel suo genere nel campo, ospita 14.000 profughi palestinesi che hanno perso la casa dopo la fondazione di Israele nel 1948. Offre giochi, istruzione, cibo e un’affettuosa accoglienza a circa 120 minori, fra i 3 e i 16 anni.

È l’unica occasione di divertimento nella cupa atmosfera del campo, che durante la Seconda Intifada nel 2002 ha perso decine di abitanti nel massacro dell’esercito israeliano e oltre 400 abitazioni in seguito a una brutale campagna di demolizioni, uno dei molti atti di punizione collettiva condotti dagli israeliani contro civili palestinesi. Da allora il campo ha subito regolari incursioni militari.

Il centro Al-Tafawk, sorto nel 2010, era riuscito a sfuggire all’attenzione dei militari, almeno fino a poco tempo fa. I primi segnali che l’esercito l’aveva preso di mira sono arrivati a gennaio, quando il manager è stato incarcerato per 24 ore e gravemente traumatizzato.

Sulla scia delle proteste nella Gerusalemme occupata dopo gli attacchi israeliani contro i fedeli della moschea Al-Aqsa e i sanguinari bombardamenti di Gaza, le forze israeliane hanno intensificato il loro regime di terrore su tutta la Palestina storica, estendendolo anche alla Cisgiordania occupata, dove alla fine di maggio sono stati uccisi oltre 25 palestinesi. A Jenin, come in altre città palestinesi, ci sono state dimostrazioni contro la violenza israeliana.

La sera del 15 maggio l’esercito israeliano ha compiuto un raid contro il centro per l’infanzia Al-Tafawk di Jenin distruggendolo completamente. La loro scusa era che stavano cercando delle armi, ma naturalmente non le hanno trovate.

Un testimone ha dichiarato:

Hanno fatto irruzione nel centro ieri sera. Hanno cominciato a sparare dall’esterno. Poi hanno abbattuto la porta d’ingresso e sono entrati. Hanno messo tutto a soqquadro e danneggiato ogni cosa di valore.”

Oltre ad arredi e attrezzature, i soldati hanno intenzionalmente distrutto le infrastrutture, rendendo l’edificio insicuro e inutilizzabile. Hanno demolito le tubature dell’acqua e i rubinetti, sfasciato il quadro elettrico, tagliando la luce e interrompendo l’erogazione dell’acqua, hanno danneggiato scale e porte, divelto maniglie. Il danno ammonta in totale a migliaia di dollari.

Non hanno neppure risparmiato i libri dei bambini. Secondo un altro testimone, un soldato intento a far proprio questo, ha urlato che i bambini palestinesi non hanno bisogno di leggere libri, dato che sarebbero cresciuti per diventare assassini ed essere uccisi.

Da ebreo, questo atteggiamento di totale disprezzo razzista per i bambini palestinesi, la convinzione che non abbiano bisogno di istruzione dato che comunque moriranno presto, mi ricorda l’atteggiamento dei nazisti verso i bambini ebrei.

Al regime di occupazione israeliano è chiaro che il centro Al-Tafawk, o qualsiasi altra organizzazione della società civile palestinese di questo genere, rappresenta una minaccia. Questo è il motivo per cui il centro, e iniziative simili, cerca di offrire ai palestinesi la possibilità di un minimo di normalità nelle loro vite.

Ma a una popolazione sfollata e traumatizzata, condannata a una totale pulizia etnica, non può essere permesso di mettere radici e vivere la normalità. Deve essere sempre tenuta in una condizione di precarietà, ripetutamente spossessata e oppressa affinché cessi di reclamare la propria terra.

Ecco perché Israele demolisce periodicamente case palestinesi, con bulldozer o bombe, distruggendo infrastrutture, che siano gli impianti di trattamento delle acque a Gaza o pannelli solari nella Cisgiordania occupata, e tormenta e attacca i fedeli palestinesi mussulmani e cristiani a Gerusalemme.

La distruzione del centro Al-Tafawk, come quella di molti altri edifici civili, smentisce l’affermazione che gli israeliani agiscano per legittima difesa. È una bugia che sempre meno persone in Occidente sono disposte a credere, dato che l’intento genocida di Israele è così chiaro.

Abbiamo cominciato a raccogliere fondi per riparare il centro e riaprirlo ai bambini, ma ho deciso di scrivere a Tzipi Hotovely, personalità di estrema destra e ambasciatrice di Israele nel Regno Unito, per chiedere che Israele paghi i danni e risarcisca i bambini che sono stati traumatizzati da ciò che è successo. Non ho ricevuto risposta.

Se voi lettori voleste contribuire lo potete fare qui. Potete anche aiutarci diffondendo la notizia e facendo pressione sui politici del vostro Paese affinché agiscano e smettano di ignorare i crimini israeliani contro i palestinesi. È ora che Israele sia considerato responsabile per la miriade di violazioni del diritto internazionale, inclusi l’uccisione, l’imprigionamento e la persecuzione di minori palestinesi e gli attacchi contro case e infrastrutture civili.

Tony Greenstein

Tony Greenstein, inglese di Brighton, veterano attivista anti-sionista e anti-fascista ebreo. Nel 1982 ha co-fondato in Gran Bretagna la Palestine Solidarity Campaign [Campagna di Solidarietà con la Palestina]. Nel 2016 è stato sospeso dal partito Laburista e nel 2018, in seguito a una caccia alle streghe sull’antisemitismo [all’interno del partito, ndtr.], è stato il primo ebreo a esserne espulso. È l’autore di The Fight Against Fascism in Brighton and the South Coast. [Lotta contro il fascismo a Brighton e nella Costa Meridionale]. Ha scritto molto sulla Palestina e il sionismo per varie pubblicazioni, fra cui il Guardian nella rubrica Comment is Free, Journal of Holy Land and Palestine Studies, Tribune e Weekly Worker. È figlio di un rabbino ortodosso e da giovane è stato membro del movimento religioso sionista Bnei Akiva, ora parte del movimento per il Greater Israel (Grande Israele).

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Una sconfitta per Bennett: la Knesset vota contro l’estensione della legge sulla cittadinanza

Michael Hauser Tov

5 luglio 2021 – Haaretz

Nonostante il compromesso raggiunto nella coalizione, scade la legge che vieta il ricongiungimento familiare tra palestinesi sposati con cittadini israeliani. La ministra degli Interni Shaked mette in guardia contro “15.000 domande di cittadinanza” e afferma che vedere i legislatori di estrema destra del Likud che applaudono assieme a quelli della Lista Unita è “follia”

Martedì mattina, dopo una sessione notturna, la Knesset [il parlamento israeliano, ndtr.] ha votato contro un’estensione dell’emendamento sulla legge sulla cittadinanza, nonostante un compromesso sulla controversa norma raggiunto dalla coalizione di governo. Cinquantanove deputati hanno votato a favore e cinquantanove contro, mentre due membri della Lista Araba Unita [partito arabo islamista che fa parte della maggioranza governativa, ndt.] si sono astenuti.

In risposta, il primo ministro Naftali Bennett ha accusato l’opposizione di danneggiare deliberatamente la sicurezza dello Stato per “amarezza e frustrazione”.

“Chiunque abbia votato contro la legge sulla cittadinanza, da Bibi a Tibi e Chikli, ha preferito la politica politicante al bene dei cittadini israeliani e dovrà renderne conto per molto tempo”, ha detto Bennett, che ha promesso di trovare una nuova soluzione alla questione.

Pochi minuti prima del voto, è stato annunciato che il primo ministro Naftali Bennett aveva dichiarato che il voto era anche un voto di fiducia al governo. Nonostante l’emendamento sia stato respinto, la coalizione è sopravvissuta al voto dato che ci sono state alcune astensioni e non una maggioranza di voti contrari. Amichai Chikli di Yamina [ndtr: alleanza di partiti politici israeliani di estrema destra che fa parte della coalizione di governo] ha votato contro la legge, mentre Mansour Abbas e Walid Taha della Lista Araba Unita hanno votato a favore.

L’emendamento alla legge sulla cittadinanza impedisce ai palestinesi che vivono in Cisgiordania o a Gaza e che sposano cittadini israeliani di vivere permanentemente in Israele con i loro coniugi e nega loro un percorso verso la cittadinanza. La modifica temporanea della legge è stata rinnovata ogni anno dal 2003.

Durante il dibattito sulla proroga della legge, la ministra dell’Interno Ayelet Shaked ha annunciato dal podio che il governo aveva approvato un compromesso. Il suo annuncio ha provocato un prolungamento della sessione per discutere la nuova proposta che si è protratta per tutta la notte.

Dopo il voto, Shaked ha twittato che la vista dei membri del Likud e del sionismo religioso che esultavano accanto ai membri della Lista Unita [coalizione di partiti arabo-israeilani di sinistra, all’opposizione, ndtr.] era “follia” e che il fallimento del provvedimento era una “grande vittoria per il post-sionismo”.

“La condotta sconsiderata di Likud e Smotrich [leader della formazione di estrema destra Partito Religioso Sionista, all’opposizione, ndtr.] ha causato la fine della legge sulla cittadinanza e porterà a 15.000 domande di cittadinanza”, ha detto Shaked, aggiungendo che “nemmeno una virgola” era cambiata dalla versione originale della legge, in risposta alle affermazioni contrarie dell’opposizione.

Se la Knesset avesse approvato il compromesso, la proroga sarebbe stata di sei mesi (anziché un anno) e a diverse centinaia di palestinesi sposati con israeliani e che vivono in Israele da molto tempo sarebbe stato offerto lo status di residente non cittadino. Shaked ha detto che i visti A5, che garantiscono i diritti di residenza, sarebbero stati offerti a 1.600 palestinesi, spiegando che questo era il numero approvato dal suo predecessore, Arye Dery [del partito religioso Shas, attualmente all’opposizione, ndtr.]

La Lista Araba Unita in precedenza aveva rifiutato il compromesso e Shaked aveva successivamente avuto colloqui sulla questione con il presidente di quest’ultima, Abbas, poiché era necessario almeno un voto a favore della legislazione da parte del suo partito. Abbas e il suo collega Walid Taha, tuttavia, quando Bennett [primo ministro in carica e leader del partito di estrema destra Yamina, ndtr.] lo ha definito un voto di fiducia al governo, hanno finito per votare a favore dell’emendamento.

Il presidente della Lista Araba Unita ha affermato che “la proposta di compromesso aveva lo scopo di favorire migliaia di famiglie”.

“Ora tutto è nelle mani del ministro dell’Interno e del ministro della Difesa”, ha detto, invitandoli a “prendere decisioni e fornire una soluzione”.

In una successiva intervista con la radio pubblica Kan Bet, Abbas ha affermato che avrebbero votato “all’unisono” su un bilancio statale che garantirà un “piano quinquennale per affrontare i problemi relativi alla criminalità e alla violenza”.

Il Likud ha festeggiato il risultato del voto, affermando che la proposta di emendamento alla legge era un “accordo marcio, rappezzato nel buio della notte tra Bennett, Lapid, Shaked , LAU e Meretz [partito della sinistra sionista, ndtr.]” che è stato “schiacciato grazie allo sforzo determinato dell’ opposizione guidata da Netanyahu”.

Il parlamentare di Yamina, Amichai Chikli, che ha votato contro l’emendamento, ha chiesto un “governo sionista che funzioni come tale”.

Ha inoltre affermato che “stasera abbiamo avuto la prova delle difficoltà di un governo senza una chiara maggioranza. Un governo che inizia la notte con una proroga di un anno di una legge e la finisce con una proroga di sei mesi, che inizia con 1.500 permessi e finisce con oltre 3.000″.

Secondo le voci precedenti la votazione sui dettagli del compromesso, si sarebbe istituito un comitato per esaminare come rimuovere gli ostacoli burocratici per le rimanenti famiglie a cui non fossero stati concessi i diritti di residenza. Ciò avrebbe riguardato le condizioni per l’Assicurazione Nazionale, le domande per la patente di guida, l’uscita dal Paese e altro ancora. Il comitato avrebbe iniziato immediatamente i suoi lavori al fine di garantire lo stato di avanzamento sufficiente per un compromesso venisse accettato entro i termini di scadenza della proroga di sei mesi.

In vista del voto, il deputato della Lista Unita Ahmed Tibi ha ammonito il suo ex compagno di partito Abbas e lo ha invitato a respingere l’accordo: “Qualsiasi arabo che accetti di approvare la legge in realtà sputa in faccia alle famiglie, ai bambini e ai suoi compatrioti,” aggiungendo che acconsentire al disegno di legge sarebbe stata una “pugnalata alle spalle”.

(Traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Iniziano le demolizioni a Silwan, nella Gerusalemme est occupata

Al Jazeera e agenzie di stampa

29 giugno 2021 – Al Jazeera

Le forze israeliane demoliscono il negozio di un macellaio ed usano gas lacrimogeni per respingere abitanti ed attivisti.

Dopo la demolizione di un negozio palestinese da parte delle forze israeliane, iniziata martedì nella zona di Bustan del quartiere di Silwan, nella Gerusalemme est occupata, è scoppiata la violenza.

Le forze israeliane accompagnate da bulldozer sono entrate nel quartiere palestinese ed hanno distrutto una macelleria a Silwan. I soldati hanno utilizzato gas lacrimogeni e manganelli per respingere gli abitanti e gli attivisti palestinesi mentre si svolgeva la demolizione.

Secondo la Mezzaluna Rossa palestinese almeno quattro palestinesi sono stati feriti negli scontri.

Harry Fawcett di Al Jazeera, corrispondente da Silwan, ha detto che martedì mattina i soldati israeliani sono arrivati in gran numero e che si sono verificati “gravi scontri”.

Abbiamo parlato con i membri della famiglia (titolare della macelleria) e ci hanno detto che le forze israeliane sono arrivate e li hanno attaccati con gas lacrimogeni ed altri mezzi – un inizio violento di queste demolizioni. Ma non si tratta solo di un negozio. In questo quartiere ci sono altri 20 edifici nella stessa situazione”, ha detto.

Il 7 giugno il Comune di Gerusalemme ha emesso una serie di ordini di demolizione nei confronti degli abitanti della zona di al-Bustan a Silwan.

Le 13 famiglie coinvolte, circa 130 persone, hanno avuto 21 giorni di tempo per andarsene e demolire loro stesse le proprie case. Non farlo significherebbe che le demolirà il Comune e le famiglie dovranno coprire i costi di demolizione – stimati in 6.000 dollari.

Ecco come funziona nella Gerusalemme est occupata”, ha affermato Fawcett. “Alle famiglie viene consegnato un ordine di 21 giorni che impone loro di demolire loro stessi la propria casa entro la scadenza dell’ordinanza, oppure lo faranno loro e poi alle famiglie verrà comminata una multa per il disturbo di dover demolire la loro casa.”

Ha aggiunto che una legge israeliana ha reso difficile per le famiglie palestinesi appellarsi contro gli ordini di demolizione davanti ai tribunali.

Dal 2005 gli abitanti di al-Bustan hanno ricevuto avvisi di demolizione per circa 90 case col pretesto di aver costruito senza permesso, allo scopo di favorire un’organizzazione di coloni israeliani che cerca di trasformare quella terra in un parco nazionale e collegarlo all’area archeologica della Città di David.

Secondo ‘Grassroots Jerusalem’ [Gerusalemme dal Basso], una Ong palestinese, sia le demolizioni di case sia gli sfratti forzosi per ordine del tribunale sono tattiche utilizzate per espellere gli abitanti palestinesi.

In una dichiarazione all’inizio di questo mese l’organizzazione palestinese per i diritti Al-Haq ha detto che i palestinesi a Gerusalemme est sono la maggioranza della popolazione, ma “le leggi urbanistiche israeliane hanno assegnato il 35% del terreno dell’area alla costruzione di colonie illegali da parte di coloni israeliani.”

Un altro 52% dell’area è stato “allocato come ‘aree verdi’ e ‘aree non previste dal piano’, in cui è proibito costruire”, ha affermato.

Chiara discriminazione’

Silwan si trova a sud della Città Vecchia di Gerusalemme, adiacente alle sue mura.

Almeno 33.000 palestinesi vivono nel quartiere, che per anni è stato nelle mire delle organizzazioni di coloni israeliani. In alcuni casi gli abitanti palestinesi sono stati costretti a condividere la casa con i coloni.

Alcune di queste famiglie palestinesi vivono a Silwan da più di 50 anni, da quando furono espulse dalla Città Vecchia negli anni ’60.

Nel 2001 Ateret Cohanim, un’organizzazione di coloni israeliani che ha l’obiettivo di acquisire terreni ed accrescere la presenza ebraica a Gerusalemme est, ha preso il controllo di una storica società fiduciaria ebrea.

Creata nel XIX secolo, all’epoca la società ha acquistato terreni nell’area per insediarvi ebrei yemeniti. L’organizzazione di coloni ha sostenuto in tribunale che la società che controlla è proprietaria della terra.

Rifugiati per la seconda volta’

Secondo la legge israeliana, se degli ebrei possono provare che le loro famiglie vivevano a Gerusalemme est prima della fondazione di Israele nel 1948, possono chiedere la “restituzione” della loro proprietà, anche se per decenni vi hanno abitato famiglie palestinesi.

La legge ha validità solo per gli [ebrei] israeliani e in base ad essa i palestinesi non hanno gli stessi diritti.

Mohammed Dahleh, un avvocato che rappresenta alcune famiglie di Silwan, ha detto ad Al Jazeera: “Vi è qui una chiara discriminazione, dal momento che gli ebrei possono rivendicare ogni proprietà che sostengono di aver posseduto nel passato prima del 1948, mentre i palestinesi che hanno perso la loro terra in 500 villaggi all’interno di Israele, compresa Gerusalemme ovest, non possono rivendicare la loro proprietà.”

Quelle famiglie non possono richiedere la restituzione delle loro proprietà, nonostante siano in possesso di carte di identità israeliane e siano considerate residenti dello Stato di Israele in base alla legge israeliana,”, ha proseguito.

Ciò significa che, se i tribunali israeliani alla fine approveranno questo genere di espulsione forzata, i membri di questa comunità diventeranno rifugiati per la seconda volta.”

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Gruppi palestinesi rivali si scontrano durante le proteste contro la morte di un attivista

Al Jazeera e agenzie

27 giugno 2021 – Al Jazeera

Nel quarto giorno di proteste per la morte di Nizar Banat, arrestato dall’Autorità Nazionale Palestinese a Ramallah, sono scoppiati scontri.

Sabato, durante il quarto giorno di proteste per la morte di Nizar Banat, un esplicito oppositore dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP), morto mentre era detenuto dall’ANP, gruppi rivali di palestinesi si sono scontrati nella città di Ramallah, nella Cisgiordania occupata.

Nizar Banat, quarantatreenne attivista di Hebron noto per i video sulle reti sociali in cui denunciava la presunta corruzione all’interno dell’ANP, è morto giovedì dopo che le forze di sicurezza hanno fatto irruzione nella sua casa e lo hanno arrestato con l’uso della violenza.

Stefanie Dekker, inviata di Al Jazeera a Ramallah, afferma che domenica sono scoppiati scontri tra manifestanti che chiedevano le dimissioni del presidente dell’ANP Mahmoud Abbas e un gruppo contrario che manifestava a favore dell’ANP e di Fatah, il partito di Abbas che controlla l’Autorità Nazionale Palestinese.

Dekker ha detto: “C’era una piccola folla di circa 100 persone che gridavano slogan contro l’Autorità Nazionale Palestinese.”

C’era un’altra folla che era in fondo alla strada…che era a favore di Fatah, il partito del gruppo dirigente, arrivata per unirsi a loro e poi sono seguiti scontri,” afferma Dekker. Dekker di Al Jazeera sostiene che domenica c’è stata “una campagna concertata” contro i media che informano sulle proteste.

Siamo stati circondati da sei (persone), non posso che chiamarli teppisti, che hanno chiesto di vedere le nostre telecamere. In quel momento non stavamo filmando. Di fatto ci hanno obbligati a smontare il riflettore del nostro camion SMG,” afferma.

A un altro collega e amico sono state spaccate le telecamere. Ciò è successo durante gli ultimi due giorni.”

Nuove proteste contro la morte di Banat hanno avuto luogo domenica anche nella sua città natale di Hebron e a Betlemme, entrambe nella Cisgiordania occupata.

A Betlemme forze di sicurezza palestinesi in tenuta antisommossa hanno sparato lacrimogeni e granate stordenti contro i manifestanti, obbligandone molti a mettersi al riparo.

Il medico legale Samir Abu Zarzour ha affermato che, secondo l’autopsia preliminare, le ferite indicano che Banat è stato picchiato alla testa, al petto, al collo, alle gambe e alle mani, e che è passata meno di un’ora tra il suo arresto e la morte.

La famiglia di Banat ha detto che le forze di sicurezza gli hanno spruzzato uno spray al peperoncino, lo hanno picchiato e trascinato via in auto.

L’ANP ha annunciato l’apertura di un’indagine sulla morte di Banat, ma ha fatto ben poco per placare la rabbia nelle strade.

In seguito alle notizie sulla sua morte giovedì a Ramallah i manifestanti hanno provocato incendi, bloccato le strade del centro città e si sono scontrati con la polizia antisommossa. Venerdì, al funerale di Banat a Hebron e dopo la preghiera del venerdì nella moschea di Al-Aqsa a Gerusalemme, i palestinesi hanno anche scandito slogan contro l’ANP.

Sabato a Ramallah i dimostranti si sono scontrati con forze di sicurezza palestinesi e avversari favorevoli all’ANP, mentre in centinaia hanno cercato di sfilare in corteo fino al complesso degli uffici di Abbas. Banat si era candidato alle elezioni parlamentari palestinesi, che erano previste per maggio finché Abbas non le ha rinviate a tempo indeterminato.

Mkhaimar Abusada, docente associato in scienze politiche all’università Al Azhar di Gaza, ha detto ad Al Jazeera che Abbas e l’ANP, sostenuta dalla comunità internazionale, stanno affrontando una crescente reazione da parte dei palestinesi per la percezione di corruzione e autoritarismo.

Non si erano mai viste queste masse di manifestanti palestinesi che protestano contro l’Autorità Nazionale Palestinese, scandendo slogan direttamente contro il presidente Abbas perché venga rimosso e cacciato [dal potere].”

Una vergogna”

Shawan Jabareen, direttore dell’associazione per i diritti Al Haq, ha affermato che gli scontri di domenica tra gruppi rivali di palestinesi nelle strade sono stati una “vergogna”, soprattutto dopo che a maggio molti palestinesi avevano messo da parte le differenze per unirsi nelle proteste contro i bombardamenti israeliani della Striscia di Gaza durati 11 giorni e contro le espulsioni forzate di palestinesi nella Gerusalemme est occupata.

In questo momento si vedono di nuovo i palestinesi divisi,” ha detto ad Al Jazeera.

Ad essere onesti, sono preoccupato per la gente qui.”

Jabareen ha affermato che molti degli uomini in borghese che domenica hanno aggredito i giornalisti erano membri delle forze di sicurezza.

Non sono civili. Sono membri della sicurezza,” ha detto Jabareen.

Fadi Quran, uno storico attivista di Avaaz [ong che promuove cause ambientali e a favore dei diritti umani, ndtr.], era presente alle proteste di domenica e anche lui afferma che “teppisti” dell’ANP hanno aggredito manifestanti e giornalisti e molestato sessualmente donne che partecipavano al corteo.

Quello che è successo è estremamente pericoloso e doloroso, tutto perché essi temono la mobilitazione popolare contro Mahmoud Abbas e l’ANP, che continuano a collaborare con l’occupazione e a opprimere il popolo palestinese,” ha affermato.

L’ANP si coordina con Israele sulla sicurezza e su questioni civili.

La gente non dovrebbe vedere Israele e l’ANP come entità separate, l’ANP come entità è un subappaltante dell’occupazione,” ha detto Quran.

Nel contempo, ha affermato un iscritto al suo partito, Nasri Abu Jaish, ministro del Lavoro e rappresentante del Partito del Popolo nel governo, domenica ha dato le dimissioni.

Il Partito del Popolo Palestinese, di sinistra, si è ritirato dal governo dell’ANP guidato da Fatah a causa della sua “mancanza di rispetto per le leggi e le libertà pubbliche,” ha affermato Issam Abu Bakr, membro del partito.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Tre giovani donne arabe aggredite da una folla violenta ad Haifa. La polizia ‘guardava e non faceva nulla’

Judith Sudilovsky

| 27 giugno 2021 – Haaretz

Gli agenti sono passati senza fermarsi vicino alle giovani donne, le figlie del console onorario spagnolo nel nord di Israele. Ci sono volute tre telefonate e parecchie ore prima che un’auto della polizia arrivasse sul posto.

La notte del 12 maggio una banda di 30 uomini ha aggredito tre giovani donne e vandalizzato la loro auto di fronte alla loro casa nella German Colony [quartiere costruito nel XIX secolo per accogliere i pellegrini tedeschi in Terra Santa, ndtr.] di Haifa. L’aggressione è avvenuta durante un’ondata di rivolte che nelle città miste è seguita all’attacco missilistico di Hamas contro Israele ed alla controffensiva israeliana nella Striscia di Gaza.

Alcune delle 16 videocamere che la loro famiglia ha installato intorno alla proprietà hanno filmato l’aggressione. Un video del cellulare di un vicino mostra le giovani donne gridare ed affrontare gli uomini che le spintonano, che scagliano sassi contro la loro auto e ne frantumano il parabrezza con dei bastoni.

Le donne – Sama Abunassar, 23, e le sue sorelle Nardine, 20, e Hala, 16 – sono le figlie di Reem e Wadie Abunassar. Wadie è il portavoce dei vescovi cattolici della Terrasanta e console onorario della Spagna nel nord di Israele.

Secondo il resoconto delle sorelle e dei loro vicini, alcuni agenti di polizia dell’unità speciale Yasam [reparto antisommossa, ndtr.] stazionavano a circa 50 metri di distanza lungo la strada, sullo stesso lato della loro casa, ma non sono intervenuti. Un agente ha perfino spinto via Sama, dicendole “vattene da qui” mentre lei lo pregava di aiutarla.

Ero scioccata che stesse accadendo una cosa del genere. Mi aspettavo che qualcuno venisse a difendermi. Non è accorso nessuno, né polizia, né vicini. Eravamo solo le mie sorelle ed io contro 30 uomini,” ricorda Sama, a poco più di un mese dall’aggressione. “Non sapevo cosa fare. Pensavo

Il giorno dopo, la polizia ha preso le riprese delle videocamere di sicurezza della famiglia. Wadie e Nardine hanno riferito alla polizia della notte dell’attacco, ma gli investigatori non hanno raccolto le testimonianze di Sama o Hala.

Nessun sospetto è stato interrogato per aver preso parte all’attacco, che ha anche causato danni ad altre proprietà di arabi lungo la strada.

Il 14 giugno la famiglia Abunassar è stata informata della chiusura del caso per mancanza di prove.

Ma più che mettere in discussione il mancato arresto di qualcuno tra i sospetti aggressori, la famiglia chiede perché gli agenti –che si trovavano a poche decine di metri dal luogo dell’attacco e sono stati testimoni dell’aggressione – non facessero nulla per fermare i facinorosi, permettendo alla violenza di continuare.

Stavo gridando per chiedere aiuto”

Quella stessa mattina circolavano sui social media e di bocca in bocca voci su possibili dimostrazioni in altri quartieri di Haifa, ma non si faceva menzione della German Colony, situata sotto i giardini Baha’i e normalmente frequentata dai turisti per i suoi bar e ristoranti alla moda.

Verso le nove di sera Sama stava tornando a casa dal lavoro all’ Haifa Mall, quando un reparto di agenti di polizia della Yasam l’ha fermata a pochi metri dalla propria casa. Lei ha chiesto il permesso di percorrere la breve distanza fino a casa. L’hanno lasciata passare ed ha parcheggiato nello spazio privato di fronte alla sua abitazione, interrompendo per un momento la chiacchierata in arabo con un vicino, che stava fuori [di casa].

Apparentemente dal nulla, una ressa si è formata intorno a loro; gli uomini provenivano dalla parte orientale della strada, proprio dove si trovava un altro gruppo di agenti di polizia, e alcuni portavano il viso coperto da magliette, altri imbracciavano bandiere d’Israele o ne erano avvolti, molti avevano il volto in piena vista. Gli agenti non hanno impedito loro di invadere la strada.

Il vicino è sparito in casa propria e Sama è stata lasciata sola mentre il gruppo di persone violente l’ha circondata ed ha iniziato a inveire contro di lei, scandendo “Morte agli Arabi” e giurando di non lasciare nemmeno un arabo in città. Hanno spinto Sama ed hanno colpito la sua macchina nuova con bastoni e pietre, frantumando il parabrezza e rompendo le maniglie delle portiere. Quando hanno finito la scorta delle proprie pietre, si sono muniti di sassi trovati nel giardino di famiglia e li hanno gettati contro la macchina, racconta Sama.

Ho chiesto ancora e ancora perché stessero facendo questo. Cosa volevano ottenere in quel modo? Qualcuno mi ha presa e spintonata, ha detto che non sarebbero rimasti più arabi e mi ha spruzzato addosso uno spray urticante. Mi sono coperta il volto con le braccia e il mio braccio ne è rimasto ustionato,” dice Sama. “Hanno usato le aste delle bandiere per spaccare il parabrezza.”

Alle grida di Sama, le sue due sorelle sono accorse fuori dalla casa e l’hanno vista circondata dalla folla violenta.

Terrorizzata, Nardine ha chiamato i suoi genitori, che avevano portato in viaggio verso Tiberiade la sorella minore Eman, di tredici anni, e un amico, poco prima della festa cattolica dell’Ascensione del 13 maggio, la prima uscita serale dopo i lunghi lockdown e le restrizioni causate dal coronavirus.

Ho gridato ai miei genitori di tornare a proteggerci perché non c’era nessun’altro a farlo, né i nostri vicini, né la nostra famiglia, né la polizia.,” dice Nardine. “Ricordo che uno fascinoroso mi ha insultata con un sacco di parolacce volgari e pesanti.”

 È troppo imbarazzante ripetere gli insulti.

Abbiamo preso un aereo verso casa, dovevamo tornare,” afferma Reem. A circa 65 kilometri di distanza, a Tiberiade, lei aveva già visto l’inizio dell’attacco, mentre controllava le telecamere di sorveglianza tramite un’app sul suo cellulare. Dopo due rapine senza arresti in casa propria, ha preso l’abitudine di controllarle regolarmente. “Ho visto le persone arrivare e non ho smesso di urlare a Wadie che dovevamo assolutamente rincasare,” racconta.

Wadie ha immediatamente chiamato il dipartimento di polizia di Haifa e chiesto che mandassero una pattuglia a proteggere le sue figlie. Hanno chiamato altre due volte precipitandosi verso casa, chiedendo che mandassero un’auto, ma inutilmente. Non ne è stata mandata nessuna prima che gli Abunassar arrivassero a casa loro. Solo circa tre ore dopo, intorno all’una di notte, si è presentata una pattuglia.

Ho visto la polizia stare da entrambi i lati [della strada] e non fare niente,” afferma Hala, raccontando l’aggressione. “Ho visto vari uomini gridare ‘Morte agli Arabi’, circondando mia sorella. Volevo aiutarla. Avevo paura che mia sorella morisse. Sono davvero furiosa con la polizia. Stavo urlando per ricevere aiuto”

Nemmeno un sospettato

Durante l’intervista, Hala è stata forte, dicendo di non essere spaventata, ma Reem confida che ora sua figlia non dorme bene e non è riuscita a svegliarsi in tempo per le ultime lezioni dell’anno. Nessuno dorme molto bene, ammette, e lei e le sue figlie cominceranno presto una terapia per il trauma subito. Reem stessa si rifiuta di andare fuori casa durante la notte, per paura di non essere lì nel caso le sue figlie avessero bisogno di lei. Sa di essere diventata troppo protettiva quando loro escono, le chiama e scrive loro messaggini in continuazione, dice.

Laila Sharif, 57 anni, una vicina sedeva con ospiti nel suo giardino, festeggiando l’Eid al-Fitr [festa della fine del Ramadan, ndtr.], quando ha sentito le donne gridare. Lei, il suo figlio diciassettenne Adam e sua nipote sono usciti per provare ad aiutare le sorelle.

Ho sentito le voci delle ragazze urlare. Le conosco. Siamo vicine. Non volevo lasciarle sole. Ho pensato di poter essere in grado di aiutare,” dice Sharif, un’insegnante di chimica delle superiori.

Ma la folla violenta l’ha spinta indietro e ha distrutto l’entrata della sua casa. Un uomo ha estratto una pistola dalla tasca e le ha intimato di rincasare. Afferma che hanno spruzzato contro suo figlio e sua nipote uno spray urticante, poi hanno cominciato a rincorrerla, ma lei è riuscita a scappare nel giardino sul retro attraverso un passaggio nascosto. Quando la maggior parte degli uomini se n’era andata, è uscita di nuovo fuori.

[Nei pressi] c’era la polizia e … non ha fatto un bel niente, Ho la sensazione che li stesse proteggendo [i rivoltosi],” dice Sharif.

Quando è riuscita a raggiungere le sorelle Abunassar, loro erano già collassate a terra, sul ciglio della strada, e piangevano istericamente.

È stato difficile per le ragazze. Erano in stato di shock. Stavano in strada a piangere e urlare. La minore, Hala, … non smetteva di gridare. Era isterica. Sono stata là con loro finché non sono arrivati i genitori,” afferma Sharif.

Sharif ha anche presentato una denuncia alla polizia sull’aggressione, ma non ha ricevuto alcun riscontro.

Descrive un uomo armato di fucile, sulla trentina, poco più alto di lei, con la pelle chiara e i capelli castani coperti da una kippah [zuccotto usato dagli ebrei osservanti, ndtr.]. “Se mi mostrassero una foto, sarei in grado di identificarlo,” dice. “Da allora non mi sento più al sicuro, Ad Haifa non ci sono scontri tra arabi ed ebrei. Bus di rivoltosi sono arrivati in autobus da tutto il Paese.”

Degli agenti di polizia le hanno sorpassate senza soccorrerle senza nemmeno fermarsi a verificare se le sorelle fossero ferite, sostiene Sama. I vicini hanno iniziato a scendere alla spicciolata in strada e qualcuno ha prestato un primo soccorso a Nardine, che aveva una gamba sanguinante.

Quando Wadie e Reem sono arrivati hanno trovato le loro figlie sul ciglio della strada, sconvolte, e qualche vicino attorno a loro. Tuttavia né la polizia né un’ambulanza erano sul posto. Le donne sono finalmente state portate al Rambam Health Care Campus per ulteriori cure, trasportate da un ex-vicino, un autista di ambulanza ebreo che per caso passava lì vicino di ritorno a casa da lavoro.

Non ci immaginavamo che ci fosse da preoccuparsi e credevamo che la polizia sarebbe stata in giro e capace di impedire che succedesse qualunque incidente,” dice Wadie. “Abbiamo voluto credere che le cose fossero sotto controllo. Ho voluto credere che niente sarebbe successo perché le autorità avrebbero svolto il loro lavoro. Conosciamo Haifa come una città tollerante.”

Wadie si aspettava che la pattuglia già appostata nei dintorni della sua casa sarebbe accorsa in aiuto delle sue figlie, così come la polizia era stata in grado di entrare ad Umm al-Fahm e soccorrere una famiglia ebrea, che era entrata per sbaglio nella città araba il giorno dopo gli attacchi alle sue figlie, afferma.

Avevo visto come la polizia aveva reagito contro i rivoltosi arabi la notte precedente,” aggiunge. “Perché tra le decine di aggressori la polizia non è riuscita a trovare neppure una persona?”

La famiglia ha presentato un esposto contro la polizia per il mancato intervento durante l’aggressione e inoltre si è opposta alla decisione di chiudere il caso.

Con tutta la tecnologia a disposizione della polizia e delle forze di sicurezza, con tutte le registrazioni video prese dalle telecamere degli Abunassar, sembra che la polizia non abbia mosso un dito per identificare gli aggressori, afferma l’avvocato della famiglia, Hani Khoury.

Supponiamo pure che quella notte ci fosse una grande quantità di eventi e forte tensione, lo comprendiamo,” sostiene Khoury. “Non c’è comunque alcuna giustificazione per il loro mancato intervento, dato che stazionavano a 50 metri dalla casa, e che la risposta alla richiesta di aiuto delle figlie sia stata: ‘Andatevene di qui’.”

Nonostante il trauma rispetto all’accaduto, nonostante la delusione per come la polizia ha gestito la situazione, loro continuano a credere nella buona volontà della gente e nella tolleranza e coesistenza tipici di Haifa, afferma Wadie. Sanno che ci sono delinquenti ovunque nel mondo e in ogni società, dice. Si aspettano solo che la polizia sia lì per proteggere le persone dalla violenza degli estremisti.

Non abbiamo un altro Paese a cui siamo legati,” dice Reem. “Amo questo e desidero vivere qui, in pace.”

In risposta all’inchiesta su questo caso, la polizia ha dichiarato: “In seguito all’acquisizione dei reclami rispetto al caso è stata aperta e condotta in maniera equa ed imparziale un’indagine ufficiale, a prescindere dalle identità dei sospetti o delle vittime; l’indagine è stata condotta in maniera professionale ed approfondita, con lo scopo di ricostruire la verità e rendere giustizia alle parti coinvolte. Come parte dell’inchiesta ufficiale, è stata presa in considerazione una serie di iniziative, come la raccolta di prove, la visione dei video di sicurezza ed altro. Nonostante gli sforzi investigativi e l’espletamento di tutte le azioni richieste, nessun sospetto è stato identificato in flagranza. Se riceveremo altri dettagli dalla polizia o emergeranno altre notizie, che potrebbero portare a sviluppi nell’indagine, queste saranno controllate come da procedura.”

(traduzione dall’inglese di Andriano Parrotta)




In migliaia manifestano in Cisgiordania dopo la morte di un dissidente in custodia dell’Autorità Nazionale Palestinese.

Amira Hass, Jack Khoury

24 giugno 2021 – Haaretz

Un palestinese, critico implacabile dell’Autorità Nazionale Palestinese e dei suoi leader, è morto giovedì mattina dopo essere stato arrestato nella sua casa prima dell’alba dalle forze di sicurezza palestinesi. Migliaia di persone sono scese in strada per protestare nelle aree di Hebron e Ramallah.

La famiglia di Nizar Banat, originario della città di Dura, nel sud della Cisgiordania, sostiene che egli è stato picchiato duramente dalle forze di sicurezza palestinesi durante il suo arresto. Nella prima mattinata di giovedì sono emerse voci secondo cui sarebbe stato trasferito in un ospedale e poco dopo l’ufficio distrettuale di Hebron ha annunciato la morte di Banat. Sui social media palestinesi viene dichiarato uno “shahid”, o martire.

I manifestanti a Hebron e Ramallah accusano l’Autorità Nazionale Palestinese di aver commesso un omicidio politico, mentre alcuni gruppi si sono scontrati con la polizia palestinese a Ramallah. I manifestanti hanno anche chiesto che il presidente Abbas e l’Autorità Nazionale Palestinese siano deposti.

Banat, un ex membro del movimento Fatah, è stato più volte arrestato dall’Autorità Nazionale Palestinese per le sue aspre critiche alla leadership nei post e nei video di Facebook. Ha accusato i leader dell’ANP di corruzione e anche di aver tratto vantaggi dall’abbandono degli interessi nazionali palestinesi in cambio di benefici personali e ricchezza.

I gruppi per i diritti umani e la famiglia di Banat hanno dichiarato che l’autopsia ha mostrato che egli è deceduto soffocato dal sangue nei polmoni dopo essere stato picchiato dalle forze di sicurezza. Uno dei medici che hanno preso parte all’autopsia ha anche rivelato che Banat ha subito lesioni a tutte le parti del corpo, comprese testa, braccia e gambe. Il medico ha detto che le circostanze sollevano il forte sospetto di comportamenti criminali

Il primo ministro Mohammad Shtayyeh ha annunciato che l’Autorità Nazionale Palestinese avvierà una commissione d’inchiesta sulle circostanze della morte di Banat, ma a Hebron e nell’area di Ramallah si continua a manifestare. I commenti che circolano sui social media paragonano Banat al dissidente saudita Jamal Khashoggi, ucciso nel 2018 in Turchia nel consolato dell’Arabia saudita.

Da parte sua, Hamas ha risposto all’incidente incoraggiando la partecipazione di massa ai funerali di Banat e invitando i palestinesi a “cambiare le condizioni pericolose volute dall’Autorità Nazionale Palestinese e dal coordinamento della sicurezza in Cisgiordania”.

Secondo gli attivisti palestinesi, la casa di Banat si trova nell’area della città di Hebron che è sotto il controllo di sicurezza israeliano, quindi le forze palestinesi devono ricevere il permesso da Israele per entrare nell’area ed eseguire gli arresti.

Banat aveva anche contestato ferocemente Mohammed Dahlan – un rivale del presidente palestinese Mahmoud Abbas – e i suoi sostenitori, molti dei quali sono ex membri dell’establishment della sicurezza palestinese.

Uno degli ultimi video che ha pubblicato su Facebook riguardava l’accordo sui vaccini Israele-ANP, secondo il quale Israele avrebbe dovuto fornire ai palestinesi vaccini Pfizer contro il coronavirus vicini alla scadenza in cambio di nuove dosi che Pfizer invierà a Israele il prossimo anno. Molti cittadini palestinesi, che sono già fortemente scettici nei confronti dei vaccini, erano convinti che l’ANP stesse intenzionalmente nascondendo i dettagli dell’accordo.

Banat ha affermato nel suo video che se dei palestinesi fossero morti per aver ricevuto dosi di vaccino scadute, Israele sarebbe stato accusato di sterminio di massa – “un’accusa che non avrebbe potuto tollerare”, motivo per cui l’accordo è stato fatto trapelare.

Banat era un membro del partito Liberazione e Dignità e prevedeva di candidarsi alle elezioni parlamentari palestinesi, originariamente previste per il 22 maggio, ma annullate da Abbas.

Gli attivisti palestinesi che criticano l’ANP riferiscono che i suoi apparati di sicurezza stanno esercitando pressioni crescenti contro di loro nel tentativo di metterli a tacere e che nelle scorse settimane molti sono stati arrestati o convocati per essere diffidati. All’inizio di questa settimana anche Issa Amro, un attivista residente a Hebron, è stato arrestato dall’Autorità Nazionale Palestinese dopo aver scritto un post critico sui social media; è stato rilasciato il giorno successivo.

La commissione d’inchiesta annunciata dall’Autorità Nazionale Palestinese sarà guidata dal ministro della Giustizia Mohammed al-Shalaldeh, insieme a una personalità indipendente che si occupa a livello professionale di diritti umani, a un medico in rappresentanza della famiglia e a un membro dell’intelligence palestinese. Il primo ministro Shtayyeh ha affermato che la commmissione d’inchiesta avrà accesso ai reperti autoptici, alle testimonianze della famiglia e di altre parti interessate e a tutte le informazioni rilevanti.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Diventa virale il cortometraggio su Sheikh Jarrah girato da un regista palestinese

Aziza Nofal

22 giugno 2021 – Al Monitor

Il giovane regista palestinese Omar Rammal continua a raccogliere commenti positivi per “The Place,” [Il Posto], il corto che ha prodotto e postato sui social durante i recenti eventi nel quartiere di Sheikh Jarrah a Gerusalemme.

RAMALLAH, Cisgiordania — Il 15 maggio, quando il regista palestinese Omar Rammal, 23 anni, ha postato il corto “The Place,” [Il posto] sul suo canale YouTube, non si aspettava che diventasse virale. “Credevo che avrebbe ricevuto vari apprezzamenti, ma non così tanti,” ha detto Rammal ad Al-Monitor.

Il video apparso il 15 maggio sul suo account Instagram ha totalizzato più di 6 milioni di visualizzazioni e parecchi altri canali l’hanno condiviso. Rammal l’ha postato senza copyright in modo che fosse disponibile a chiunque volesse ripostarlo, per fare conoscere in tutto il mondo la realtà della Palestina, e di Sheikh Jarrah in particolare.

In “The Place”, che dura solo un minuto e mezzo, Rammal sintetizza l’espulsione di 28 famiglie palestinesi nel quartiere di Sheikh Jarrah a Gerusalemme Est, dove gruppi di coloni israeliani stanno tentando di espandersi.

Rammal ha deciso deliberatamente di postare il suo video proprio il giorno dell’anniversario della Nakba [la Catastrofe, la pulizia etnica operata dai sionisti nel ’47-’48, ndtr.] per dire che il furto delle case palestinesi continua da allora e che il quartiere di Sheikh Jarrah non sarà l’ultimo, perché ogni “posto” in Palestina è preso di mira in vista della continua occupazione.

Nel suo film si concentra sulla storia di una famiglia palestinese che parla della propria casa: c’è la mamma che dice che la sua cucina è “condita con amore”, la ragazzina che ama la sua cameretta e i suoi giocattoli, il ragazzo che rappresenta i giovani palestinesi e il padre che l’ha ereditata insieme a un albero nel giardino piantato dal nonno, la cosa che ama di più della casa.

Alle spalle di queste immagini “normali”, si vedono i coloni che stanno portando via i ricordi della famiglia a cui stanno rubando la casa.

Rammal ha voluto mettere i sottotitoli in inglese con un commento semplice alla fine che riassumesse il messaggio del film: “Il posto siamo noi … la nostra esistenza … i nostri ricordi e il nostro futuro.”

Quando a Rammal è venuta l’idea per “The Place,” ne ha parlato con il suo amico sceneggiatore Suleiman Tadros che l’ha aiutato a trasformarla in un copione. Il produttore Abdel Rahman Abu Jaafar e l’intera troupe, inclusi gli attori, sono tutti volontari che hanno contribuito, ognuno nel proprio ruolo, per sostenere la lotta palestinese.

Le riprese sono durate tre giorni, ma Rammal non ha pensato che il film fosse abbastanza potente fino a quando non hanno girato la scena della mamma, interpretata dall’attrice giordana Hind Hamed. “Riguardandola dopo le riprese mi sono venuti i brividi. È stato in quel momento che mi sono detto che avrebbe avuto un enorme impatto,” ha concluso Said.

Rammal crede che, oltre ad aver postato il film sui social in un momento in cui il mondo stava mostrando grande solidarietà alla causa palestinese e al quartiere di Sheikh Jarrah, il segreto del suo successo stia nel modo in cui ne ha trasmesso il messaggio umanitario.

Rammal osserva che il cinema palestinese e arabo, nonostante la carenza di risorse, se usato in modo intelligente e sensibile, può comunicare i temi palestinesi in tutto il mondo.

Lui paragona il successo di “The Place” a quello del suo primo film del 2019, “Hajez” (“Checkpoint”), che parla delle sofferenze quotidiane dei palestinesi ai checkpoint israeliani. Sebbene entrambi illustrino una realtà palestinese, il primo non era stato accolto molto bene a causa dell’esplicito messaggio politico.

Il successo di questo film pone Rammal davanti a una scelta: lui non vuole essere visto come un regista palestinese che fa solo vedere la lotta palestinese, dato che invece crede che si debba mostrare l’altro lato della vita dei palestinesi che non è diversa da quella di qualsiasi altra persona in qualunque altro posto. “È vero che la vita dei palestinesi è complicata dall’occupazione, ma noi viviamo la nostra quotidianità come chiunque altro.”

Lui sostiene che i registi palestinesi non dovrebbero solo presentare tematiche palestinesi o mostrare i palestinesi solo sotto una luce negativa o in modo superficiale, ma piuttosto dovrebbero concentrarsi nel rispecchiarne il lato umano e la vita quotidiana.

Rammal viene da Salfit, nella Cisgiordania settentrionale, e ha completato i suoi studi in cinematografia nella capitale giordana, Amman. Nel 2018 ha diretto: “Fatimah,” un breve documentario su una ragazza siriana sfollata in Giordania e ha partecipato a vari festival arabi e internazionali, come il film festival franco-arabo, l’Elia film festival di corti e il Winter Film Awards a New York.

“The Place” non ha solo trasmesso un messaggio palestinese in tutto il mondo. Ha anche dimostrato che il cinema palestinese può comunicare un’autentica storia palestinese usando in modo intelligente gli strumenti disponibili e i social per contrastare la narrazione israeliana che falsa l’immagine dei palestinesi.

(tradotto dall’inglese da Mirella Alessio)




Sheikh Jarrah: le forze israeliane feriscono più di 20 palestinesi nella Gerusalemme est occupata

A cura della redazione di MEE

22 giugno 2021 – Middle East Eye

Le forze israeliane hanno riferito di aver usato nel quartiere granate stordenti, spray al peperoncino e proiettili ricoperti di gomma

Lunedì sera nella Gerusalemme est occupata più di 20 palestinesi sono stati feriti nel corso di un raid delle forze israeliane nel quartiere di Sheikh Jarrah.

Gli abitanti palestinesi di Sheikh Jarrah stanno affrontando delle espulsioni forzate finalizzate a consentire ai coloni israeliani la presa di possesso delle loro case.

L’area è diventata un fulcro di proteste e sit-in di solidarietà che raccolgono palestinesi e israeliani contrari all’occupazione e attivisti internazionali che sostengono gli abitanti di Sheikh Jarrah.

Lunedì la Mezzaluna Rossa Palestinese ha riferito che nella zona 21 persone avrebbero subito dei danni, 13 per aver inalato gas lacrimogeni, tre a causa dello spray al peperoncino e due per essere state colpite da proiettili di metallo ricoperti di gomma sparati dalle forze di polizia israeliane.

L’organizzazione ha aggiunto che due persone avrebbero riportato ferite a causa delle percosse, mentre un anziano sarebbe stato ricoverato in ospedale in seguito a un trauma cranico.

La Mezzaluna Rossa Palestinese ha affermato che i coloni di Sheikh Jarrah avrebbero lanciato pietre contro una delle loro ambulanze, mentre su un’altra le forze israeliane avrebbero spruzzato dell’acqua puzzolente.

Secondo Haaretz la polizia israeliana ha riferito che un colono avrebbe subito una ferita alla schiena in seguito al lancio di una pietra.

Saleh Diab, un attivista palestinese, ha detto all’agenzia di stampa ufficiale palestinese Wafa che a Sheikh Jarrah le forze di polizia israeliane, mentre sparavano granate stordenti e proiettili ricoperti di gomma, avrebbero arrestato due palestinesi e, nell’assalire le case delle famiglie al-Kurd e al-Qasem, alle prese con un’imminente un’espulsione, avrebbero aggredito gli abitanti con manganelli.

Arresti in Cisgiordania

Nel corso dei raid di lunedì sera e martedì mattina nella Cisgiordania occupata la polizia israeliana ha arrestato 35 palestinesi. Tali raid notturni in città e villaggi palestinesi vengono effettuati dalle forze israeliane e da unità sotto copertura quasi quotidianamente.

Secondo Wafa nel villaggio di Qarawat Bani Hassan, nel nord della Cisgiordania, sono stati arrestati 14 palestinesi, 12 dei quali appartenenti alla famiglia Marei.

Altri sette palestinesi sono stati arrestati a Jenin e due a Tulkarm, mentre nel quartiere di Silwan, a sud della moschea di al-Aqsa a Gerusalemme est, ne sono stati arrestati 10.

Gli arresti sono stati effettuati ​​lunedì quando i coloni israeliani hanno fatto irruzione nella moschea di al-Aqsa, affiancati dalla polizia israeliana.

I coloni sono entrati nel sito dalla Porta Marocchina, a est della Moschea di Al-Aqsa, che conduce alla piazza del Muro Occidentale, dove gli israeliani recitano le preghiere.

Il Jerusalem Islamic Waqf, l’istituzione religiosa palestinese che amministra il sito, ha affermato che i coloni avrebbero svolto le preghiere ebraiche di fronte alla porta di al-Rahmeh e alla moschea della Cupola della Roccia, e avrebbero ascoltato un sermone sul Terzo Tempio ebraico [detto anche Tempio di Ezechiele, descritto e profetizzato nel Libro di Ezechiele, ndtr.].

Nonostante il divieto di pregare lì, i coloni entrano regolarmente nella moschea di Al-Aqsa, con l’obiettivo di rafforzare la presenza ebraica sul sito, tanto che alcuni chiedono la distruzione della moschea della Cupola della Roccia per costruire un tempio ebraico al suo posto.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)