In Nuova Zelanda il Super Fund dà il benservito alle banche israeliane che finanziano le colonie in Palestina

Roger Fowler

5 marzo 2021 The Palestine Chronicle

In Nuova Zelanda il fondo pensione statale multimiliardario NZ Super Fund ha finalmente disinvestito da cinque delle maggiori banche israeliane perché finanziano la costruzione di colonie illegali nei territori palestinesi occupati.

Il parlamentare del partito neozelandese dei Verdi Golriz Ghahraman ha affermato in una dichiarazione a Spinoff [rivista online neozelandese, ndtr] che il Partito dei Verdi ha accolto con entusiasmo la decisione:

“Da molto tempo i valori e gli obblighi morali della nostra nazione sono calpestati da investimenti che facilitano ciò che l’ONU ha ripetutamente definito un’occupazione illegale, che causa sofferenza al popolo palestinese e si traduce in ulteriori violazioni del diritto umanitario.”

Questa settimana il PSNA [Palestine Solidarity Network Aotearoa, rete neozelandese di associazioni nata nel 2013 per sostenere la causa palestinese, ndtr] ha dichiarato che i sostenitori della Palestina in Aotearoa/Nuova Zelanda [Aotearoa è la denominazione Maori del Paese, ndtr] hanno più volte denunciato queste banche al NZ Super Fund, specialmente dopo che un rapporto di Human Rights Watch del 2018 ha accertato che esse hanno contribuito attivamente alla costruzione delle colonie, in violazione della legge internazionale.

Nel 2012 NZ Super Fund aveva già messo fine per motivi etici ai suoi investimenti in tre compagnie israeliane che stavano costruendo colonie illegali su terre palestinesi.

Janfrie Wakim, portavoce di PSNA, ha dichiarato che Super Fund NZ ha finalmente condotto una indagine accurata arrivando alla conclusione definitiva che sarebbe stato immorale continuare ad investire con queste banche.

“Sia il grande numero di notizie certe sia la legge rendono insostenibile per Super Fund NZ la possibilità di continuare ad investire con queste banche. Nessuna istituzione neozelandese dovrebbe fornire alcun sostegno alla costante espropriazione del popolo palestinese nella sua stessa terra e alla brutale occupazione israeliana.”

“Il Fondo, che mantiene ancora investimenti in altre compagnie israeliane, sostiene che presterà la massima attenzione a tutti i futuri rapporti dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani che riguardino il coinvolgimento di altre compagnie israeliane nella costruzione di colonie illegali,” ha aggiunto Waakim.

Il governo neozelandese è “ancora in ritardo”

Janfrie Wakim ha inoltre affermato che la decisione di disinvestire da parte di NZ Super Fund – insieme con gli argomenti usati – ha evidenziato ciò che definisce un terribile ritardo del governo della Nuova Zelanda.

“Il primo disinvestimento di NZ Super Fund ha riguardato il produttore di armi Elbit Systems e risale ormai al 2012.”

“Eppure, il governo neozelandese ha ammesso che sta comprando forniture militari, collaudate sui palestinesi, da Elbit Systems, vale a dire dalla stessa compagnia che NZ Super Fund ha eliminato dal proprio portfolio di investimenti nel 2012,” ha proseguito Wakim.

Per leggere il documento di NZ Super Fund sulle banche israeliane fai click qui.

-Roger Fowler è uno storico attivista per la pace e rappresentante di comunità di Auckland, Aotearoa/New Zealand e coordina Kia Ora Gaza, che organizza il sostegno di convogli di solidarietà internazionale e di Freedom Flotilla per spezzare l’illegale blocco israeliano di Gaza. Roger è il direttore di kiaoragaza.net. Ha scritto questo articolo per The Palestine Chronicle.

(traduzione dall’inglese di Stefania Fusero)




Vittoria del BDS: un giudice respinge il tentativo sionista di reprimere la libertà di espressione

Yvonne Ridley

8 marzo 2021 – Monitor de Oriente

Una soldatessa israeliana che negli Stati Uniti ha intentato un’azione penale per diffamazione da 6 milioni di dollari contro una palestinese cristiana ha visto come la sua iniziativa giudiziaria sia diventata controproducente. Nonostante il suo avvocato abbia sollecitato il giudice statunitense ad applicare la legge israeliana sulla diffamazione, che condanna le critiche contro lo Stato sionista a una pena fino a un anno di carcere, Rebecca Rumshiskaya ha perso la causa.

Il giudice californiano Craig Griffin ha rigettato ed escluso la sua richiesta e il tentativo di far applicare le leggi israeliane in una corte dassise della contea di Orange. Nella sua sentenza il giudice ha anche accolto la mozione contro la SLAPP della palestinese Suhair Nafal ed ha stabilito che Rumshiskaya deve pagare le spese giudiziarie della persona denunciata. Le leggi contro la SLAPP sono state ideate per dissuadere le persone dall’utilizzare i tribunali degli USA e la possibile minaccia di una denuncia per intimidire chi sta esercitando i propri diritti in base al Primo Emendamento [della costituzione USA, ndtr.] sulla libertà di espressione. Una “domanda strategica contro la partecipazione pubblica” [“azione temeraria”, nel codice civile italiano, ndtr.] (SLAPP), che il querelante non si aspetta di vincere, intende impedire la libertà di espressione.

Il risultato di questa denuncia è un duro colpo, in particolare per i tentativi che Israele sta facendo in tutto il mondo per mettere a tacere il movimento di Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS), soprattutto sulle reti sociali. È anche una grande vittoria per Nafal e i suoi sostenitori. Tuttavia lei ha sottolineato che si è trattato di una vittoria per tutti gli attivisti filo-palestinesi, sia sulle reti sociali che sul territorio. “Abbiamo molto lavoro davanti a noi, ma siamo instancabili e non ci arrenderemo fino a quando non vedremo che si sta facendo giustizia.”

Nel 2012 la californiana Rumshiskaya, 26 anni, andò a vivere in Israele e si arruolò nelle Forze di Difesa Israeliane [IDF, l’esercito israeliano, ndtr.] come istruttrice del Corpo di Educazione Giovanile. Due anni dopo che nel 2018 l’attivista del BDS Nafal aveva pubblicato sulla sua pagina Facebook una sua fotografia con armi e uniforme, [Rebecca] ha chiesto assistenza agli specialisti di “lawfare” [guerra giudiziaria, ndtr.] di “Shurat HaDin”[ong israeliana legata al governo che si occupa di intentare azioni legali contro chi critica Israele, ndtr.]. La palestinese aveva scaricato l’immagine della ragazza dal manifesto delle IDF dalla stessa pagina Facebook ufficiale dell’esercito.

Il post di Nafal faceva riferimento all’eroica paramedica palestinese di 21 anni Razan Al-Najjar, assassinata da un cecchino israeliano mentre stava prestando servizio come volontaria per aiutare i feriti durante le manifestazioni pacifiche della Grande Marcia del Ritorno che si sono tenute nel 2018 nei pressi del confine fittizio della Striscia di Gaza. Per stabilire un confronto tra le due donne Nafal ha collocato la foto promozionale di Rumshiskaya a fianco di quella della giovane paramedica. Non c’era assolutamente nessuna intenzione di suggerire che proprio questa soldatessa israeliana fosse stata coinvolta nell’assassinio di Al-Najjar. Lei aveva lasciato le IDF tre anni prima. Tuttavia alcuni sostenitori di Israele hanno cercato di stravolgere la storia e di affermare che il post di Nafal suggeriva che Rumshiskaya fosse responsabile della morte dell’operatrice sanitaria.

Nafal si è messa in contatto con l’ Arab American Anti-Discrimination Committee [Comitato Arabo Americano contro la Discriminazione] (ADC) per chiedere aiuto nella causa ed è stata rappresentata dall’avvocato Haytham Faraj, membro del consiglio nazionale dell’ADC. Secondo Faraj il lavoro principale dell’ufficio che rappresentava la soldatessa israeliana nella denuncia é incentrato nel far tacere e minacciare gli attivisti del BDS, quelli che criticano le violazioni dei diritti umani e del diritto umanitario internazionale da parte di Israele.

Nel testo della denuncia presentata l’anno scorso da Shurat HaDin al tribunale californiano gli avvocati di Rumshiskaya hanno detto che l’“accusa”era chiaramente falsa, dato che durante il suo servizio militare lei non aveva mai combattuto nella Striscia di Gaza. Hanno aggiunto che la loro cliente lavorava per i diritti umani e partecipava a delegazioni congiunte di israeliani e arabi in Giordania e nella Cisgiordania occupata.

Con una dichiarazione drammatica che ha sfiorato l’isteria, l’avvocatessa israeliana Nitsana Darshan-Leitner ha affermato nella sua comunicazione: “Pare che stiamo tornando alla (infame falsificazione) dei “Protocolli dei Saggi di Sion” e ai sanguinari libelli antisemiti del passato. Rebecca e la sua famiglia hanno ricevuto minacce di morte solo perché lei ha deciso di unirsi alle IDF.”

Darshan-Leitner, fondatrice del centro giuridico israeliano Shurat HaDin, ha aggiunto: “La guerra contro l’antisemitismo si è estesa anche alla sfera giudiziaria e la richiesta di Rebecca è la punta di lancia della nostra lotta contro il movimento globale di boicottaggio contro Israele. Questo è un messaggio per tutti gli attivisti del BDS, che devono sapere che anche loro possono essere considerati responsabili della loro attività antisionista e potrebbero persino pagarne un prezzo alto.”

In un certo senso l’avvocatessa di Shurat HaDin ha avuto ragione. Questa causa giudiziaria ha sicuramente mandato un forte messaggio ai sostenitori del BDS, e cioè che devono continuare con il loro impegno fondamentale e totalmente pacifico per far sì che Israele paghi per le sue violazioni dei diritti umani.

L’avvocato statunitense Faraj ha affermato che la sentenza del giudice Griffin ha salvaguardato i diritti della comunità arabo-americana e palestinese alla libertà di espressione, compresa quella politica, stabiliti dal Primo Emendamento. Sottolineando che “gli Stati Uniti non sono Israele” ha aggiunto: “L’ex-soldatessa israeliana che ha denunciato la signora Nafal pretendeva che il tribunale applicasse la legge israeliana, che condanna chi critica Israele fino a un massimo di un anno di prigione. Il giudice ha rigettato la richiesta e il tentativo di applicare la legge israeliana.”

L’avvocato ha affermato che, concedendo a Nafal l’eccezione anti-SLAPP, il giudice ha inviato un chiaro messaggio secondo il quale gli Stati Uniti tollerano e attribuiscono importanza alla diversità di opinioni e punti di vista politici, e chi cerchi indebitamente di far tacere le critiche politiche dovrà pagarne il prezzo.

Non resta che sperare che il caso della California abbia un impatto qui in Gran Bretagna, dove i sionisti sono protagonisti di una caccia alle streghe per cercare di confondere le critiche a Israele con l’antisemitismo. La lobby filo-israeliana utilizza la screditata “definizione” di antisemitismo stilata dall’International Holocaust Remembrance Aliance [Alleanza Internazionale per il Ricordo dell’Olocausto, organismo intergovernativo cui aderiscono 34 Paesi, ndtr.] (IHRA) per cercare di bloccare qualunque discussione sullo Stato di Israele e sul suo disprezzo per le leggi e convenzioni internazionali. Alcuni degli esempi di “antisemitismo” citati nel documento dell’IHRA, che persino la persona che lo ha stilato ha affermato essere una “bozza di lavoro”, si riferiscono alle critiche contro Israele. Gli accademici hanno criticato la definizione, che è stata descritta come “non rispondente allo scopo”.

Il BDS deve affrontare molte sfide da parte degli alleati di Israele che gli permettono di agire impunito. Ironicamente alcuni di questi alleati sono veri antisemiti ai quali si lascia libertà di praticare il proprio peggior razzismo al mondo ogni volta che la lobby filo-israeliana fa dell’antisemitismo un’arma contro il popolo palestinese e i suoi sostenitori nella lotta per la pace e la giustizia. C’è gente che non impara mai.

Suhair Nafal ha detto: “Questa vittoria non è stata solo mia, è stata una vittoria di tutti gli attivisti filo-palestinesi, sia sulle reti sociali che sul territorio,” ha aggiunto. “Abbiamo davanti a noi molto lavoro da fare, ma siamo instancabili e non cederemo finché non sarà fatta giustizia.”

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autrice e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Monitor de Oriente.

Yvonne Ridley

La giornalista e scrittrice britannica Yvonne Ridley propone analisi politiche su questioni relative al Medio Oriente, all’Asia e alla guerra mondiale contro il terrorismo. Il suo lavoro è stato pubblicato in molti quotidiani e riviste in tutto il mondo, da oriente a occidente, da testate come il Washington Post fino al Tehran Times e il Tripoli Post, riscuotendo riconoscimenti e premi negli Stati Uniti e nel Regno Unito. Il lavoro di dieci anni per grandi testate in Fleet Street [via di Londra in cui si trovano le sedi dei principali quotidiani inglesi, ndtr.] ha esteso il suo ambito di azione ai media elettronici e radiofonici, ed ha prodotto una serie di documentari su temi palestinesi e internazionali, da Guantanamo alla Libia e alle Primavere Arabe.

(traduzione dallo spagnolo di Amedeo Rossi)




Gaza: cronaca della pandemia, tra voci e verità

Asmaa Rafiq Kuheil

4 marzo 2021 – Chronique de Palestine

Il 25 agosto era previsto il mio colloquio per il lavoro dei miei sogni: insegnare inglese all’UNRWA, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati [palestinesi].

Ho lavorato sodo in vista di questo colloquio. Per quasi un mese mi sono rifiutata di consultare le reti sociali, che spesso non sono altro che perdite di tempo! Ho aperto Facebook per non più di cinque minuti al giorno per vedere gli aggiornamenti di ‘We Are Not Numbers’ (Non Siamo Numeri, sito in cui palestinesi di Gaza raccontano le proprie esperienze, ndtr.) e verificare la posta importante su Messenger.

Il giorno prima del colloquio sono andata a dormire alle 22, per svegliarmi all’una del mattino per continuare la mia preparazione. L’elettricità era interrotta. Il mio ventilatore aveva la batteria quasi scarica in quella notte molto calda e tutta la mia famiglia nella nostra casa “al buio” dormiva. Mi sono fatta una tazza di caffè solubile, ho recitato due Rakaat [preghiere islamiche), poi ho acceso la torcia del mio cellulare ed ho cominciato a studiare nel nostro ampio soggiorno.

Come al solito ero sola, con il piccolo fascio di luce sul mio quaderno in mezzo all’oscurità. L’unico rumore era la voce dei grilli che arrivava dalla finestra.

Non so perché, alle 4,20 ho improvvisamente pensato che potevo dare uno sguardo a Facebook usando una scheda internet comprata da mio fratello. La connessione non era molto buona, ma volevo controllare qualche consiglio relativo al mio colloquio, dato che esiste un gruppo su Messenger a tale scopo.

Mi sono connessa e davvero vorrei non averlo fatto. Tutti si affrettavano a parlare delle ultime notizie: quattro persone a sud della Striscia di Gaza erano risultate positive al coronavirus, di cui abbiamo timore da tanto tempo. (Io pensavo davvero che noi lo avessimo scampato, “grazie” al rigido blocco cui siamo sottoposti.)

Sul momento non volevo credere a ciò che leggevo…finché non ho ricevuto un messaggio dell’UNRWA che diceva che tutti i colloqui, compreso il mio, erano stati annullati. Subito mi sono sentita molto male, ma poi mi è venuta voglia di saperne di più sul modo in cui il coronavirus era entrato a Gaza e ho rapidamente messo da parte i miei problemi personali.

Ho letto la storia di Heba Abu Nadi, una gazawi che aveva attraversato il valico di Erez per andare a Gerusalemme con la sua figlioletta ammalata, che doveva essere operata all’ospedale El-Makassed in quella città.

Inizialmente le autorità israeliane di occupazione le hanno rifiutato il permesso di transito da quel posto di controllo e lei ha finito per tornare a casa dopo aver trascorso quattro ore a tentare di accompagnare sua figlia.

Immaginate quanto abbia potuto sentirsi disperata…

Il giorno dopo ha tentato nuovamente di attraversare il blocco e questa volta ha avuto il permesso di uscire. In seguito ha fatto il test ed ha saputo di avere il coronavirus….

Questa sfortunata donna si è ritrovata ovunque sulle reti sociali. Alcuni la insultano per aver infettato i membri della sua famiglia mettendo in pericolo tutta Gaza. Altri pregano per lei. Altri ancora fanno sgradevoli battute!….

Quanto a me, mi metto al suo posto. Come sta ora sua figlia? Come si sente Heba, quando tutti la criticano come se lei fosse la causa della disastrosa situazione di Gaza? O come se si trattasse di un complotto israeliano per distruggere Gaza di cui quindi lei non sarebbe che una vittima?

Oh, gente di Gaza! Smettetela di prendervela con questa povera madre! Noi non sappiamo tutto ciò che è accaduto. Lei deve essere molto infelice, preoccupata per sua figlia e forse si rimprovera terribilmente per aver messo in pericolo quattro membri della sua famiglia.

Anche prima di quest’ultima catastrofe la vita era molto peggiorata a Gaza. Non abbiamo più di quattro ore di elettricità al giorno e adesso siamo tutti in quarantena, il che aggiunge al danno anche la beffa.

Un messaggio su Facebook è stato come il sale su una ferita aperta: una ragazza di fuori Gaza ci diceva che ormai il COVID-19 è una cosa normale e che non c’è motivo di preoccuparsi.

Ma Gaza non è simile a nessun altro luogo! Gaza, questo punto minuscolo sulla mappa con due milioni di persone, non ha che un solo grande ospedale, dove recentemente sono state identificate molte persone contagiate, costringendo ad evacuare un intero reparto.

Sapete che i nostri medici rischiano la vita per un salario mensile di 300 dollari? Sì, cari lettori, 300 dollari, non 3.000. E migliaia di altri in questo periodo non ricevono alcun salario.

Il giorno dopo mio padre ha detto al mio fratellino Hamza di andare a comprare dell’acqua in bottiglia, perché ne avevamo poca. (L’acqua del rubinetto non è potabile in sicurezza). Ma mio padre ha ordinato a Hamza di restare poi in casa, dicendogli che gli avrebbe vietato di uscire se glielo avesse di nuovo chiesto. Rendendoci conto che era la nostra ultima occasione per molto tempo, tutti noi avevamo scritto un lungo elenco di altri prodotti di cui avevamo bisogno e che si trovavano nell’unico supermercato aperto nella nostra zona.

Per strada Hamza ha visto solo poliziotti che controllavano per impedire spostamenti non urgenti.

Intanto mio padre ascoltava la sua radiolina portatile accesa, cercando le notizie sul COVID. Mia sorella Walaa’, che studia per il Tawjihi (diploma di scuola secondaria generale) e che continua a studiare per gli esami finali, ha paura del prossimo futuro. Non sa se deve studiare, sedersi insieme a noi o parlare con i suoi amici di come hanno trascorso la giornata.

I miei fratelli e sorelle più giovani sono contenti che la scuola sia chiusa. Sono ancora troppo giovani per capire che cosa sia il coprifuoco.

Quanto a mia madre, cucina del manakish (la nostra versione della pizza, condita con timo e olio d’oliva). Lo fa sempre durante le guerre ed altre situazioni di emergenza. (E scommetto che non è la sola…in ogni casa ci sono tonnellate di timo e il manakish non costa molto se se ne cucinano grandi quantità). Le due cose sono diventate sinonimi.

Mi viene in mente improvvisamente il tema – che aveva vinto il premio – che avevo scritto per il concorso di scrittura We are not Numbers COVID-19. In questo testo affermavo che Gaza si è rivelata essere il luogo più sicuro al mondo per quanto riguarda la pandemia. Quando l’ho scritto pensavo paradossalmente che l’orrendo blocco israeliano di Gaza, che impedisce la maggior parte degli spostamenti all’interno e all’estero, per una volta ci avrebbe tenuti “al sicuro”, mentre gli altri avrebbero dovuto subire l’epidemia.

Il mio articolo stava per essere pubblicato, ma adesso ne vale la pena? E in caso affermativo, verrà letto? Oppure io sarò presa in giro e ridicolizzata come la povera Heba?

In ogni caso io mi atterrò alla mia convinzione che questi miserabili giorni finiranno – non semplicemente per la speranza, ma piuttosto per la mia fede profonda nel nostro dio e che tutto ciò che lui “scrive” è per il nostro bene, per quanto miserevole possa apparire a prima vista!

Asmaa’ Rafiq Kuheil, palestinese di Gaza, da tre anni è professoressa di inglese. Lavora come assistente di progetto presso l’UNRWA, dove contribuisce a costruire la propria Nazione con tutti i mezzi a sua disposizione. La sua arma è la scrittura.

27 août 2021 – WeAreNotNumbers – Traduction : Chronique de Palestine

(Traduzione dal francese di Cristiana Cavagna)




Dopo l’accusa calunniosa di “antisemitismo” di Netanyahu l’UE sostiene la CPI

Ali Abunimah

4 marzo 2021 – The Electronic Intifada

L’Unione Europea sembra respingere le denunce di Benjamin Netanyahu contro la Corte Penale Internazionale dopo che mercoledì la procuratrice capo Fatou Bensouda ha confermato l’avvio di un’indagine formale sui crimini di guerra in Palestina.

Il primo ministro israeliano ha definito le indagini come “l’essenza dell’antisemitismo” e altri leader israeliani si sono scagliati contro con termini analoghi.

Alla domanda di The Electronic Intifada sulla reazione dell’UE ai commenti di Netanyahu, il portavoce dell’Unione Peter Stano non ha risposto in modo diretto riguardo al leader israeliano.

Tuttavia Stano ha affermato che “la CPI è un’istituzione giudiziaria indipendente e imparziale senza obiettivi politici da perseguire”.

Ha anche ribadito che l’UE “rispetta l’indipendenza e l’imparzialità della corte” – un rimprovero implicito alle stravaganti accuse di Israele di pregiudizi antiebraici.

Stano ha osservato che la Corte Penale Internazionale è “un tribunale di ultima istanza, una rete di sicurezza fondamentale per aiutare le vittime a ottenere giustizia laddove ciò non è possibile a livello nazionale, quindi quando lo Stato coinvolto è veramente riluttante o incapace di svolgere le indagini o l’azione penale. “

L’UE ha anche esortato “gli Stati aderenti allo Statuto di Roma e gli Stati non aderenti” – questi ultimi con un chiaro riferimento a Israele, che non ha firmato lo statuto istitutivo della corte – “a stabilire un dialogo” con la CPI che dovrebbe essere “non conflittuale, non politicizzato e basato sulla legge e sui fatti.”

Dato il lungo passato della UE di sostegno virtualmente incondizionato a Israele, è rimarchevole che essa abbia tenuto saldo il suo sostegno alla Corte Penale Internazionale nel momento in cui finalmente il tribunale ha preso in esame le impudenti violazioni dei diritti dei palestinesi da parte di Israele.

L’inchiesta della CPI riguarderà presunti crimini dal giugno 2014, un periodo che comprende la guerra di Israele del 2014 a Gaza e la costruzione di colonie in corso sui territori palestinesi occupati.

La posizione della UE rappresenta una rottura con alleati come Stati Uniti, Canada e Australia che si sono apertamente opposti ad indagini da parte del tribunale su presunti crimini di guerra nella Cisgiordania occupata e nella Striscia di Gaza.

Nonostante il sostegno della UE alla CPI, i lobbisti israeliani si stanno consolando per il fatto che alcuni singoli Stati membri della UE, in particolare la Germania, si oppongono a un’inchiesta sui crimini di guerra.

L’opposizione degli Stati Uniti alla giustizia

Mercoledì, il Segretario di Stato americano Antony Blinken ha ribadito che l’amministrazione Biden “si oppone fermamente” alla [ricerca di] giustizia e responsabilità nei confronti delle vittime palestinesi dei crimini di guerra israeliani.

Questa opposizione non sorprende dal momento che l’amministrazione Obama-Biden ha rifornito Israele di munizioni nel corso del bombardamento di Gaza dell’estate del 2014, che ha ucciso più di 2.200 palestinesi tra i quali più di 550 bambini.

La posizione di Biden allieterà Netanyahu e altri importanti leader israeliani tra cui il ministro della difesa Benny Gantz, che probabilmente saranno gli obiettivi delle indagini della Corte Penale Internazionale. Gantz era a capo dell’esercito israeliano al momento dell’attacco israeliano del 2014 a Gaza.

Tuttavia, dopo anni di ritardo e decenni di attesa per la giustizia, i palestinesi stanno finalmente osservando che il loro impegno affinché Israele sia ritenuto responsabile e i suoi crimini assodati sta recando i suoi frutti.

(tradotto dall’inglese da Aldo Lotta)




La CPI[Corte Penale Internazionale] avvia un’inchiesta per crimini di guerra in Palestina

Maureen Clare Murphy

3 marzo 2021 – Electronic Intifada

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, che probabilmente nell’ambito dell’inchiesta della CPI verrà inquisito, ha definito la Corte “antisemita”.

Mercoledì la procuratrice capo Fatou Bensouda ha confermato che la Corte Penale Internazionale ha aperto un’indagine formale sui crimini di guerra in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza.

L’annuncio di Bensouda è stato accolto dalle associazioni palestinesi per i diritti umani che hanno guidato questi tentativi come “una giornata storica nella pluridecennale campagna palestinese per la giustizia internazionale e la definizione delle responsabilità.”

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, che probabilmente verrà sottoposto a indagine dalla CPI, ha definito l’inchiesta come “l’essenza dell’antisemitismo”.

L’annuncio di un’indagine da parte della CPI è giunto meno di un mese dopo che un collegio giudicante ha confermato che la giurisdizione territoriale della Corte si estende ai territori palestinesi sotto occupazione militare da parte di Israele.

Nel dicembre 2019 Bensouda ha concluso una lunga indagine preliminare affermando che i criteri per un’inchiesta per crimini di guerra in Cisgiordania, compresa Gerusalemme est, e nella Striscia di Gaza erano stati rispettati.

L’indagine della Corte Penale Internazionale riguarderà crimini commessi dal giugno 2014, quando la situazione in Palestina è stata presentata al tribunale internazionale.

Obbligato ad agire”

Bensouda ha affermato che il suo ufficio “definirà delle priorità” per l’inchiesta “alla luce dei problemi operativi che dobbiamo affrontare a causa della pandemia, delle risorse limitate a nostra disposizione e del pesante carico di lavoro attuale.”

Ha aggiunto che in situazioni in cui il procuratore definisce la fondatezza di un’indagine, l’ufficio della procura “è obbligato ad agire”.

Il prossimo passo della Corte sarà la notifica a Israele e alle autorità palestinesi, che consente a ogni Stato firmatario di condurre importanti indagini “su propri cittadini o altri che ricadano sotto la sua giurisdizione” riguardo a crimini di competenza della CPI.

In base al principio della complementarietà, secondo cui “gli Stati hanno la responsabilità primaria e il diritto di perseguire crimini internazionali”, la CPI rinvia a indagini interne del Paese, ove queste esistano.

Israele ha un sistema di auto-indagine, anche se esso è descritto da B’Tselem, principale organizzazione per i diritti umani del Paese, come un meccanismo di insabbiamento che protegge la dirigenza militare e politica dal rendere conto delle proprie azioni.

Alla fine del 2019 Bensouda ha affermato che “in questa fase” il giudizio del suo ufficio “riguardo alla portata e all’affidabilità” dei procedimenti interni di Israele “è ancora in corso”.

Tuttavia “ha concluso che i casi potenziali riguardanti crimini che si presume siano stati commessi da membri di Hamas e dei GAP (Gruppi Armati Palestinesi) sarebbero al momento ammissibili.”

Nella sua dichiarazione di mercoledì Bensouda ha detto che il giudizio sulla complementarietà “continuerà” e ha suggerito che la materia venga definita da un collegio giudicante in una camera preliminare.

Dato che il processo di colonizzazione della Cisgiordania da parte di Israele è indubitabilmente una politica statale sostenuta dai governanti al più alto livello, ciò sarà probabilmente uno dei principali obiettivi dell’indagine della CPI.

Come la questione della giurisdizione territoriale, la complementarietà sarà probabilmente un punto critico fondamentale dell’inchiesta della Corte sulla Palestina.

Massima urgenza”

Mercoledì, accogliendo positivamente l’annuncio di Bensouda, le associazioni palestinesi per i diritti umani hanno raccomandato “che non ci siano indebiti ritardi e che si proceda con la massima urgenza.”

Ma Bensouda ha previsto un procedimento tutt’altro che rapido, affermando che “le indagini richiedono tempo e devono essere fondate in modo oggettivo su fatti e leggi.”

Ha invitato alla pazienza “le vittime palestinesi e israeliane e le comunità colpite,” aggiungendo che “la CPI non è una panacea.”

Alludendo a un’argomentazione da parte di alleati di Israele secondo cui un’inchiesta danneggerebbe futuri negoziati bilaterali, Bensouda ha affermato che “il perseguimento della pace e della giustizia dovrebbero essere visti come imperativi che si rafforzano a vicenda.”

Mercoledì Bensouda ha affermato che la Corte concentrerà “la sua attenzione sui presunti colpevoli più noti o su coloro che potrebbero essere i maggiori responsabili dei crimini.”

Nella sua richiesta alla camera preliminare sulla giurisdizione territoriale Bensouda ha citato la promessa di Netanyahu durante la campagna elettorale [del 2020] di annettere territori in Cisgiordania.

I media hanno informato che il governo israeliano ha una lista di centinaia di personalità che potrebbero essere indagate e perseguite dalla Corte, che giudica individui e non Stati.

Fonti ufficiali israeliane affermano che alcuni Stati membri della CPI “hanno concordato di avvertire in anticipo Israele di ogni eventuale mandato di cattura” contro suoi cittadini al momento dell’arrivo nei rispettivi Paesi.

Far filtrare informazioni che potrebbero consentire a sospetti di sfuggire alle indagini o all’arresto violerebbe probabilmente l’obbligo che hanno gli Stati membri in base allo Statuto di Roma che ha fondato la CPI di collaborare con il lavoro della Corte.

Pressioni politiche

Mercoledì Bensouda ha detto che “contiamo sull’appoggio e sulla cooperazione delle parti (Israele e i gruppi armati palestinesi), così come su tutti gli Stati membri dello Statuto di Roma.”

Tuttavia la CPI verrà sottoposta a terribili pressioni politiche in quanto potenze come gli USA, il Canada e l’Australia si oppongono a qualunque inchiesta contro il loro alleato Israele.

Lo scorso anno il Canada ha minacciato in modo appena velato di ritirare l’appoggio finanziario alla CPI se dovesse procedere con un’inchiesta.

A Washington l’amministrazione Trump ha imposto sanzioni economiche e restrizioni dei visti contro Bensouda e membri del suo staff.

Queste misure estreme pongono il personale della Corte accanto a “terroristi e narcotrafficanti” o a individui e gruppi che lavorano a favore di Paesi sottoposti a sanzioni da parte degli USA.

Mentre il presidente Joe Biden ha firmato una raffica di ordini esecutivi che annullano misure prese dal suo predecessore, il nuovo leader USA ha consentito che rimangano in vigore le sanzioni contro la CPI.

Di fronte a pressioni per togliere le sanzioni, la Casa Bianca ha solo promesso di “analizzarle attentamente.”

Durante la sua prima telefonata con il presidente Biden, Netanyahu lo ha esortato a lasciare in vigore le sanzioni.

Nel contempo Israele ha rivolto il proprio livore contro i difensori dei diritti umani dei palestinesi, in particolare contro quanti sono coinvolti nelle istituzioni della giustizia internazionale come la CPI.

Le sue tattiche hanno incluso “arresti arbitrari, divieti di spostamento e revoca della residenza, così come attacchi contro organizzazioni palestinesi per i diritti umani, comprese irruzioni [nelle loro sedi].”

Mercoledì Balkees Jarrah, direttore aggiunto di Human Rights Watch [importante Ong internazionale per i diritti umani con sede a New York, ndtr.], ha affermato che “gli Stati membri della CPI dovrebbero essere pronti a difendere tenacemente il lavoro della Corte da ogni pressione politica.”

Jarrah ha aggiunto che “tutti gli occhi saranno puntati sul prossimo procuratore, Karim Khan, perché prenda il testimone e proceda speditamente dimostrando una salda autonomia nel cercare di chiedere conto delle loro azioni anche ai più potenti.”

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Israele imprigiona i politici palestinesi prima delle elezioni nell’Autorità Nazionale Palestinese

Tamara Nassar 

2 marzo 2021, ElectronicIntifada

In vista delle elezioni legislative e presidenziali palestinesi che si terranno nei prossimi mesi Israele sta inasprendo il giro di vite su personalità della società civile e politica palestinese nella Cisgiordania occupata.

Lunedì Israele ha condannato la parlamentare palestinese Khalida Jarrar a due anni di carcere, a una multa di 1.200 dollari [1000 € ca, ndtr.] e una pena sospesa di un anno.

Il suo crimine? Essere un membro di un partito politico di sinistra, il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina.

Israele considera gruppi “terroristici” praticamente tutti i partiti palestinesi e le organizzazioni di resistenza, il che significa che qualsiasi persona politicamente attiva può essere arrestata.

“La scelta del momento non è casuale”, ha detto l’avvocato palestinese Yafa Jarrar della condanna di sua madre, riferendosi alle elezioni palestinesi.

Khalida Jarrar è stata arrestata con una imponente incursione militare notturna nella sua casa nell’ottobre 2019 e da allora è trattenuta senza accusa né processo.

La sua detenzione è avvenuta solo otto mesi dopo il suo rilascio da un precedente periodo di 20 mesi di detenzione amministrativa – senza accusa né processo.

È stata arrestata nell’ambito di quella che il gruppo per i diritti dei prigionieri palestinesi Addameer ha affermato essere una campagna israeliana iniziata nella seconda metà del 2019 contro attivisti politici e studenti.

Addameer ha aggiunto che Israele ha falsamente accusato Jarrar di essere coinvolta nell’uccisione dell’adolescente israeliana Rina Shnerb.

Shnerb è stata uccisa nell’agosto 2019 da quello che i militari israeliani hanno stabilito essere un ordigno esplosivo improvvisato vicino all’insediamento di Dolev in Cisgiordania.

Ma lunedì il procuratore militare israeliano ha cambiato l’accusa contro Jarrar includendo solo le sue attività politiche, e le accuse di coinvolgimento nell’omicidio di Shnerb sono cadute.

Jarrar ha già trascorso anni nelle carceri israeliane e le è stato proibito viaggiare a causa della sua appartenenza al FPLP.

Il primo voto in 15 anni

Le elezioni legislative e presidenziali palestinesi previste per maggio e luglio sarebbero le prime dalle elezioni legislative del 2006, quando Hamas vinse con una vittoria schiacciante battendo Fatah, fazione dell’Autorità Nazionale Palestinese al potere guidata da Mahmoud Abbas.

Tuttavia, il partito di Abbas, sostenuto da Israele, Stati Uniti, Unione Europea e alcuni stati arabi, non ha permesso ad Hamas di assumere il governo dell’Autorità Nazionale Palestinese.

Invece, le milizie allineate con Fatah a Gaza, in accordo con gli Stati Uniti, hanno cercato di rimuovere Hamas dal potere con la forza.

Ma nel giugno 2007 Hamas si è preventivamente mosso contro di loro, espellendo da Gaza le forze di Fatah sostenute dagli Stati Uniti.

Il tentativo di golpe contro Hamas dopo la sua vittoria alle elezioni ha portato all’attuale divisione per cui l’ANP di Abbas sostenuta dall’occidente ha mantenuto il controllo in Cisgiordania mentre Hamas, isolata a livello internazionale, ha governato all’interno della Striscia di Gaza assediata.

Non vi è alcuna garanzia che si svolgeranno le elezioni, poiché negli ultimi anni sono state programmate numerose votazioni poi rinviate a tempo indeterminato.

Le elezioni sono largamente viste come un modo per rafforzare la legittimità dei principali partiti politici palestinesi a 15 anni dall’ultima votazione e alla luce della nuova amministrazione statunitense.

Come ha scritto di recente Ali Abunimah di The Electronic Intifada, non è chiaro perché Hamas si fidi che lo stesso partito di Abbas e Fatah che ha guidato il colpo di stato contro Hamas nel 2007 rispetterà ora i risultati.

“Qualsiasi riconciliazione o ‘unità nazionale’ può basarsi solo sul fatto che Fatah di Abbas abbandoni la collaborazione con Israele e che Hamas abbandoni la resistenza”, ha scritto Abunimah.

L’arresto dei membri di Hamas

Israele ha regolarmente incarcerato funzionari palestinesi eletti solo perché non approva il loro punto di vista, e ora sta incrementando tali arresti in vista delle elezioni programmate. Questo fa “parte dello sforzo israeliano in corso per sopprimere l’esercizio della sovranità politica e dell’autodeterminazione dei palestinesi”, ha affermato Addameer. Nelle ultime settimane Israele ha operato molti arresti di personalità appartenenti ad Hamas nella Cisgiordania occupata.

A febbraio le forze israeliane hanno arrestato Adnan Asfour e Yasser Mansour di Hamas e hanno disposto che Asfour fosse tenuto in detenzione amministrativa per sei mesi.

Mansour è anche membro del Consiglio legislativo palestinese.

Hamas ha detto che l’arresto dei suoi politici in Cisgiordania “conferma il fatto che l’occupazione ha preso di mira il processo elettorale”.

Naif al-Rajoub, membro del Consiglio legislativo palestinese, ha detto che le forze di occupazione israeliane hanno fatto irruzione nella sua casa a febbraio e gli hanno intimato di non partecipare alle elezioni.

Al-Rajoub ha detto all’agenzia di stampa Shehab che le forze israeliane gli hanno detto di non candidarsi alle elezioni e di non partecipare alla campagna elettorale e che gli permetterebbero solo di andare alle urne.

Altre figure di Hamas arrestate da Israele nelle ultime settimane includono Khalid al-Haj, Abd al-Baset al-Haj, Omar al-Hanbali e Fazee al-Sawafta.

La scorsa settimana un tribunale militare israeliano ha prorogato di quattro mesi la detenzione amministrativa di Khitam Saafin, a capo dell’Unione dei Comitati delle Donne palestinesi. Saafin è stata arrestata insieme ad altri attivisti politici palestinesi a novembre e da allora è detenuta senza accusa né processo.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




I palestinesi condannano la mossa di Israele di inviare vaccini all’estero

Linah Alsaafin

25 febbraio 2021 – Al Jazeera

Il ministro degli esteri dell’Autorità Nazionale Palestinese denuncia l’invio di vaccini da parte di Israele agli alleati stranieri come “ricatto politico”.

L’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) ha condannato in quanto “iniziativa immorale” l’impegno da parte di Israele di inviare vaccini contro il coronavirus a Paesi lontani ignorando i cinque milioni di palestinesi che vivono a pochi chilometri di distanza sotto la sua occupazione militare.

Giovedì l’Honduras ha ricevuto da Israele la prima spedizione di vaccini contro il COVID-19, dopo che i media israeliani avevano riferito all’inizio di questa settimana l’intenzione del governo di inviare vaccini al Paese centroamericano, oltre che a Guatemala, Ungheria e Repubblica Ceca.

Il Guatemala ha seguito la discutibile decisione degli Stati Uniti di trasferire lo scorso anno la propria ambasciata a Gerusalemme, mentre l’Honduras ha promesso di fare lo stesso.

L’Ungheria ha aperto a Gerusalemme un ufficio per le missioni commerciali e anche la Repubblica Ceca si è impegnata ad aprire uffici diplomatici in quella città.

Il ministro degli Affari Esteri dell’ANP, Riyad al-Malki, ha detto che la decisione di Israele di fornire vaccini ad alcuni Paesi in cambio di concessioni politiche è una forma di “ricatto politico e un’iniziativa immorale”.

Giovedì in un’intervista all’emittente radio Voice of Palestine [stazione radio con sede a Ramallah, filiale della Palestinian Broadcasting Corporation sotto il controllo dell’ANP, ndtr.] al-Malki ha detto che la decisione “conferma l’assenza di principi morali e di valori” da parte di Israele.

Condurremo una campagna internazionale per combattere un tale sfruttamento dei bisogni umanitari di questi Paesi”, ha affermato.

I casi di coronavirus nella Gerusalemme Est occupata, in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza sono arrivati a più di 203.000. Almeno 2.261 persone sono morte a causa del virus e mercoledì la ministra della Salute dell’Autorità Nazionale Palestinese Mai al-Kaila ha affermato che il numero di casi di coronavirus è in forte aumento.

“Il numero di test positivi ha superato il 20% nella Cisgiordania occupata e il 9% nella Striscia di Gaza”, ha detto a una stazione radio locale.

Al-Kaila ha aggiunto che il tasso di ospedalizzazione nella Cisgiordania occupata è dell’80%, il più alto dall’inizio della pandemia.

Il potere persuasivo del vaccino

Yara Asi, una ricercatrice presso l’Università della Florida centrale, esperta di salute e sviluppo negli Stati colpiti da conflitti, ha denunciato il potere persuasivo del vaccino israeliano.

L’uso della promessa del farmaco salvavita per fare pressione sui Paesi in via di sviluppo perché spostino ambasciate o prendano altre complesse decisioni politiche è cinismo politico ad altissimo livello“, ha detto ad Al Jazeera.

“Queste operazioni consentono inoltre a Israele di fornire alcuni vaccini ai palestinesi sotto l’egida della ‘generosità‘, offuscando ulteriormente i loro doveri legali in qualità di potenza occupante e trattando la Palestina come se fosse solo un altro Paese povero che ha bisogno di aiuto, e non un territorio in cui Israele esercita un controllo economico e politico quasi totale”.

In base alla Quarta Convenzione di Ginevra Israele, in quanto potenza occupante, deve garantire “l’adozione e l’applicazione delle misure di profilassi e prevenzione necessarie per combattere la diffusione di malattie contagiose ed epidemie”.

Funzionari delle Nazioni Unite e organizzazioni a favore dei diritti umani hanno affermato che Israele è una potenza occupante responsabile del benessere dei palestinesi. Israele ha sostenuto di non avere tali obblighi sulla base degli accordi di pace ad interim degli anni ’90.

[Israele] in poco meno di due mesi ha già fornito dosi di vaccino a più della metà dei suoi 9,3 milioni di abitanti, divenendo leader mondiale nella campagna di vaccinazione delle popolazioni. Tuttavia, nonostante abbia annunciato il mese scorso che avrebbe consegnato 5.000 dosi di vaccino all’Autorità Nazionale Palestinese, finora ne sono state ricevute solo 2.000.

Inoltre, dopo che in un primo tempo Israele ha bloccato una spedizione del vaccino russo destinato alla Striscia di Gaza, l’enclave costiera sotto assedio ha ricevuto la scorsa settimana 1.000 vaccini Sputnik a doppia somministrazione.

[Gaza] ha ricevuto separatamente dagli Emirati Arabi Uniti 22.000 vaccini Sputnik, ma gli operatori sanitari di Gaza hanno affermato di aver bisogno di 2,6 milioni di dosi per vaccinare tutte le persone di età superiore ai 16 anni.

“La selezione da parte di Israele dei Paesi da aiutare se vi vede un vantaggio politico è qualcosa di completamente diverso”, dice Asi.

“Fare ciò mentre i palestinesi anziani e ad alto rischio che vivono letteralmente a qualche chilometro di distanza aspettano i vaccini che per la maggior parte dei palestinesi non arriveranno nè nell’arco dei prossimi mesi nè addirittura nel 2021 rappresenta un disprezzo palese per i cinque milioni di persone che vivono sotto l’occupazione israeliana da più di 50 anni.”

Il senatore americano Bernie Sanders ha condannato l’iniziativa di Israele di inviare vaccini ad altri Paesi politicamente allineati prima di distribuirli ai palestinesi.

“In quanto potenza occupante Israele è responsabile della salute di tutte le persone sotto il suo controllo”, ha twittato mercoledì Sanders. “È vergognoso che [il primo ministro israeliano] Netanyahu utilizzi vaccini di scorta per ricompensare i suoi alleati stranieri mentre tanti palestinesi nei territori occupati stanno ancora aspettando.

“Non politicamente vantaggioso”

Sono state sollevate obiezioni anche all’interno del governo israeliano, ma le questioni sono incentrate sugli aspetti tecnici piuttosto che sull’obbligo di dare la priorità alla vaccinazione dei palestinesi sotto l’occupazione israeliana.

Secondo il quotidiano israeliano Haaretz, il ministro della Difesa Benny Gantz avrebbe chiesto al primo ministro Benjamin Netanyahu di interrompere immediatamente il processo di invio di vaccini contro il coronavirus in Paesi stranieri e di consultare il consiglio di sicurezza prima di prendere tali decisioni.

“I vaccini sono di proprietà dello Stato di Israele e quando hai sostenuto che ‘sono state raccolte dosi di vaccino inutilizzate’, mentre la maggior parte della popolazione di Israele non è stata ancora vaccinata con la seconda dose, hai detto il falso”, ha sostenuto Gantz in una lettera a Netanyahu, al consigliere per la sicurezza nazionale e al procuratore generale.

Netanyahu, che il 23 marzo è in lizza per la rielezione, ha messo in gioco il suo successo politico sulla riuscita della campagna di vaccinazione in Israele.

Asi sottolinea che il programma COVAX sostenuto dalle Nazioni Unite – progettato per fornire i vaccini ai Paesi più poveri contemporaneamente ai Paesi ricchi – è fondamentale per porre fine a questa pandemia, ma agisce su un piano di “equità e di non discriminazione”.

“In sostanza il messaggio è che fornire vaccini ai palestinesi non è politicamente abbastanza vantaggioso da costituire una priorità“, spiega.

“E Netanyahu ha scommesso sul fatto che, a solo un mese di distanza da difficili elezioni, vale la pena resistere alla condanna internazionale che Israele sta ricevendo per aver ignorato i palestinesi a vantaggio dei propri interessi politici”.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Un tuffo nel passato visitando questo quartiere storico di Nablus

Taghreed Ali

20 febbraio 2021 – Al-Monitor

Una passeggiata per al-Yasmineh (il Gelsomino), quartiere della città vecchia di Nablus, ci porta attraverso le diverse civiltà che si sono susseguite in Palestina attraverso i secoli.

Il profumo di gelsomino accende i sensi, i vicoletti e gli edifici antichi nel quartiere al-Yasmineh, nel sudovest della città vecchia di Nablus, in Cisgiordania. La zona prende il nome dalla dolce fragranza del fiore di gelsomino qui diffuso ovunque ed è conosciuta localmente come la Piccola Damasco, a sottolineare le somiglianze con lo stile levantino e la sua architettura, prevalentemente di età mamalucca e ottomana.

Nascosta in uno degli angoli del quartiere, c’è la famosa erboristeria Breek, risalente a più di 400 anni fa. Da Breek si vendono prodotti a base di erbe, semi, spezie e autentico caffè arabo. In questo angolo di al-Yasmineh, così caro a visitatori e turisti, c’è anche un negozio di antiquariato che mette in mostra centinaia di pezzi da collezionista, come vecchie macchine da stampa e telefoni, tessuti ricamati e una varietà di collane, braccialetti e anelli palestinesi tradizionali.

Saleh Awad, direttore del Dipartimento delle Licenze e Ispezioni presso il ministero del Turismo e delle Antichità a Nablus, dice ad Al-Monitor: “Il quartiere di Al-Yasmineh è caratterizzato dalla diversità delle culture che si sono avvicendate, a partire dai romani agli imperi bizantini, dalle Crociate ai periodi mamalucco e ottomano presenti dalla metà del 17° al 18° secolo. Infatti dominano gli stili architettonici mamalucco e ottomano.”

Nella città vecchia di Nablus ci sono sette quartieri: al-Hableh, al-Yasmineh, al-Qaryoun, al-Gharb, al-Qaisariyya e al-Faqos. Essi ospitano vari monumenti archeologici e storici. Il settimo quartiere è al-Aqabeh dove si trova il più grande anfiteatro romano nei territori palestinesi. Ha un diametro di 100 metri e risale alla seconda metà del secondo secolo d.C.,” dice Awad.

Poi aggiunge: “Ci sono anche alcuni ahwash (cortili interni) e bagni pubblici, come l’Hammam al-Qadi e l’Hammam al-Hana, risalenti a più di 2000 anni fa. Quest’ultimo fu costruito nel cuore di al-Yasmineh dai samaritani. I bagni pubblici conservano il loro carattere antico e sono una delle mete più importanti per molti turisti locali, per gli arabi di Israele così come per i visitatori internazionali.”

Più di 30.000 persone vivono nella città vecchia di Nablus e occupano tutti i sette quartieri. È considerata un museo archeologico e storico a cielo aperto che ospita più di 550 monumenti e siti antichi che riflettono le culture che si sono avvicendate,” dice.

Awad spiega: “Il ministero del turismo e antichità, in cooperazione con il comune di Nablus e altre istituzioni come l’Associazione Taawon, stanno collaborando per preservare e rivitalizzarne la città vecchia, per riattarla e restaurarla, per promuovere il turismo. [I lavori ] includono la trasformazione di alcune vecchie fabbriche di sapone in ristoranti e un progetto del 2012 per restaurare numerose antiche case a Hosh al-Atout [parte del quartiere al-Yasmineh, ndtr.], in cooperazione con Taawon e con il sostegno del Fondo Arabo per lo sviluppo economico e sociale, con un costo totale di 1 milione e centomila dollari [poco meno di 1 milione di euro, ndtr.].”

Awad afferma che nel 2003 la municipalità di Nablus, in cooperazione con l’Agenzia italiana per la cooperazione e lo sviluppo, ha restaurato Khan al-Wakaleh, costruito nel 1630, luogo di sosta di pellegrini e carovane di viaggiatori. È stato trasformato in un hotel per visitatori e turisti.

Vari archeologi e Abdullah Kalbouneh, l’ex direttore del dipartimento per il restauro del ministero del Turismo e Antichità, dicono ad Al-Monitor: “Al-Yasmineh, nota come ‘Piccola Damasco’, fu fondata dai romani nel 72 d.C. È un quartiere che si estende su 1.000 metri ed è stato abitato da samaritani, musulmani e cristiani. Poi, negli anni ’60, i samaritani si sono trasferiti a Jabal et-Tur (Monte Gerizim).”

La moschea Satoun è il monumento più eminente della zona e una delle più antiche di Nablus. Fu costruita durante il regno di Umar ibn al-Khattab. (Sono importanti anche) la moschea al-Khadra, l’hammam turco al-Samra, altri palazzi come quello di Abd al-Hadi, e i palazzi delle famiglie al-Kilani e al-Shalbak,” aggiunge Kalbouneh.

Inoltre c’è Hosh al-Atout, che consiste di 26 case, noto per i suoi lunghi vicoli. È stato testimone della lotta dei palestinesi durante il governo dell’ex presidente Yasser Arafat che usava tenere qua i suoi incontri segreti negli anni ’60,” dice.

Alcune case e parti della moschea al-Khadra ad al-Yasmineh furono distrutte nel 2002 durante il bombardamento israeliano, nel corso dell’invasione israeliana della Cisgiordania [operazione “Scudo protettivo” durante la Seconda Intifada, ndtr.]. Alcuni degli abitanti della zona si sono trasferiti in altre parti del governatorato di Nablus, ma dopo il suo restauro e ristrutturazione il quartiere ha visto un vero boom. Anche se è un posto dove varrebbe la pena di vivere e risiedere, essi hanno deciso di lasciarlo per andare in appartamenti più spaziosi con un’architettura moderna, specialmente quando le famiglie sono diventate più numerose,” continua.

Ahmad Chkeir, 67 anni, un abitante di al-Yasmineh, crede che “la famiglia e le relazioni sociali siano ciò che rende speciale il quartiere. Qui c’è un diwan (una sala per ricevimenti) dove si tengono tutti gli eventi e occasioni festive delle famiglie, il che dimostra i rapporti amichevoli fra gli abitanti e l’amore che condividono.

Alcune consuetudini si sono conservate: per esempio, gli abitanti celebrano il Mawlid (il compleanno del profeta Maometto) e altre festività islamiche decorando le strade e vicoletti con luminarie e organizzando festival gastronomici. Gli abitanti celebrano anche Shaabouniyeh quando, durante il mese musulmano di Shaban che precede il mese sacro del Ramadan, la famiglia del sindaco invita tutti gli uomini, donne e bambini della tribù a un banchetto. Questi eventi si tengono solo nei quartieri della città vecchia di Nablus,” afferma.

Racconta che “dopo la distruzione di decine di case del quartiere in seguito al terremoto del 1927, molte famiglie sono state costrette ad abbandonare la città vecchia per andare in altre zone più inurbate del governatorato di Nablus, aree in cui è più facile spostarsi e che sono vicine ai centri e a tutte le istituzioni vitali.” 

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Israele: l’elezione del nuovo procuratore della CPI solleva interrogativi sull’inchiesta per crimini di guerra

Alex MacDonald

17 febbraio 2021 – Middle East Eye

Dirigenti israeliani hanno accolto con favore la nomina del britannico Karim Khan al vertice dell’istituzione

Questo articolo è stato modificato il 18 febbraio 2021 per eliminare una frase che affermava erroneamente che l’avvocato irlandese Fergal Gaynor compariva tra i firmatari di una lettera pubblicata su Irish Times nel 2009 che chiedeva l’espulsione dell’ambasciatore israeliano a causa del bombardamento di Gaza. In realtà la lettera fu firmata dal dr. Fergal Gaynor, un accademico del Collegio Universitario di Cork.

L’elezione dell’avvocato britannico Karim Khan a Procuratore capo della Corte Penale Internazionale (CPI) ha ancora una volta agitato lo spettro della “politicizzazione” dell’organizzazione e sollevato preoccupazioni riguardo a cosa potrà significare questa nomina per l’inchiesta sui presunti crimini di guerra di Israele e di Hamas.

L’avvocato cinquantenne, che precedentemente aveva condotto un’inchiesta dell’ONU su crimini dell’Isis in Iraq, è stato eletto venerdì a scrutinio segreto, dopo che gli Stati membri della CPI non sono arrivati ad un accordo sulla sostituzione del suo predecessore, Fatou Bensouda.

Il voto, senza precedenti nella storia di 23 anni dell’istituzione, ha visto Khan prevalere di poco sull’irlandese Fergal Gaynor.

Sulla stampa israeliana sono stati pubblicati articoli secondo cui dirigenti israeliani “hanno sostenuto dietro le quinte la candidatura di Khan” ed hanno accolto la sua elezione come una vittoria per Israele, benché il Paese non sia membro della CPI.

Probabilmente Khan si sente sotto pressione politica da parte di Israele dopo che a inizio febbraio la CPI ha annunciato di avere giurisdizione per investigare su presunti crimini di guerra da parte di israeliani e palestinesi nella Striscia di Gaza assediata e nella Cisgiordania e a Gerusalemme est occupate.

L’inchiesta della CPI è stata approvata da Bensouda e non è ancora chiaro quale sarà la posizione di Khan in merito.

Il nuovo Procuratore capo della CPI deve ignorare le inevitabili pressioni politiche perché rinunci ad ogni possibile inchiesta formale su presunti crimini di guerra commessi nei territori occupati nel 1967 da qualunque parte”, ha detto a Midlle East Eye Chris Doyle, direttore del ‘Council for Arab-British Understanding’ (Consiglio per l’intesa arabo-britannica, ndtr.).

La questione deve essere definita sulla base della legge e delle prove. Niente dimostra che Karim Khan farà qualcosa di diverso.”

Un’inchiesta ‘antisemita’?

L’avvio dell’inchiesta su crimini di guerra è stato accolto con rabbia dai dirigenti israeliani, che l’hanno denunciata come ‘antisemita’.

L’inchiesta indagherà sulle violazioni commesse durante la guerra di 50 giorni nel giugno 2014, che causò l’uccisione di 2.251 palestinesi – per la maggior parte civili – e di 74 israeliani, quasi tutti soldati.

Viene avviata dopo 5 anni di istruttoria preliminare della CPI.

In seguito all’annuncio di inizio febbraio, il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha denunciato che “una Corte creata per impedire atrocità come l’Olocausto nazista contro il popolo ebraico sta ora prendendo di mira l’unico Stato del popolo ebraico.”

Quando la CPI indaga Israele per falsi crimini di guerra, si tratta di puro antisemitismo”, ha detto.

Bensouda, che ha presieduto l’apertura dell’inchiesta su Gaza, è stata un bersaglio al vetriolo da parte di Israele. L’amministrazione Trump, in solidarietà con l’irritazione israeliana riguardo all’inchiesta della CPI, le ha imposto delle sanzioni.

Nel dicembre 2019 il quotidiano israeliano vicino a Netanyahu Yedioth Ahronot ha pubblicato un articolo intitolato “Il diavolo del Gambia e la Procuratrice dell’Aja”, in cui tentava di coinvolgere Bensouda in crimini commessi dall’ex presidente del Gambia Yahya Jammeh.

Israel Hayom, un altro quotidiano di destra, l’ha accusata di essere stata “consapevolmente irretita” dalla “strumentalizzazione del sistema giudiziario internazionale per realizzare l’obbiettivo diplomatico di distruggere lo Stato di Israele”.

Nel maggio 2010 il Ministro israeliano Yuval Steiniz ha detto che Bensouda aveva assunto una “tipica posizione anti-israeliana” relativamente alla CPI ed era determinata a “recare danno allo Stato di Israele e infangare il suo nome.” E a febbraio l’ex ambasciatore israeliano all’ONU Danny Danon l’ ha accusata di “ignorare Paesi che compiono terribili violazioni dei diritti umani.”

Se qualcuno deve stare sul banco degli imputati, questa è la Procuratrice capo della CPI Fatou Bensouda”, ha twittato.

Al momento, la nomina di Khan è stata accolta calorosamente da molti politici israeliani.

Il deputato Michal Cotler-Wunsh, un importante parlamentare israeliano che si occupa delle questioni della CPI, ha detto che Khan ha accolto “il potenziale della CPI di adempiere alla sua importante missione di sostenere, promuovere e proteggere i diritti di tutti coloro che hanno bisogno della sua esistenza in quanto tribunale di ultima istanza.”

Israel Hayom ha riferito che l’elezione di Khan potrebbe addirittura “portare dirigenti di Gerusalemme a riconsiderare il boicottaggio della CPI.”

Altri sono meno ottimisti. Funzionari che hanno parlato in forma anonima a Israel Hayom hanno detto che Khan dovrà ancora essere “giudicato in base alle sue azioni.”

Il fatto che altri si sono comportati male non significa che la sua scelta sia buona”, hanno detto.

Uno strumento politico’

Mentre Khan assumerà ufficialmente la carica di Bensouda a giugno, resta ancora da vedere se seguirà la strada di chi lo ha preceduto e continuerà l’inchiesta, o si piegherà alle pressioni politiche.

Da quando è nata nel 1998 la CPI ha sempre subito critiche perché è sembrato che si stesse concentrando eccessivamente sui Paesi in via di sviluppo africani, facendo invece poco per chiamare a rispondere delle proprie azioni Stati più potenti.

Il successo o il fallimento di un’inchiesta formale sulla guerra di Gaza potrebbe portare a dare o togliere credibilità all’istituzione.

Un’inchiesta formale dovrebbe essere annunciata e condotta con energia e giustizia. Mettere tutte le parti di fronte alle loro responsabilità per le proprie azioni è essenziale. È il modo più efficace per assicurare che simili crimini non saranno più consentiti in futuro”, ha detto Doyle.

Fallire in questo renderà la CPI agli occhi di molti un mero strumento politico delle grandi potenze piuttosto che il luogo della giustizia e della sanzione in difesa di quanti ne sono privati.”

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Vaccini anti Covid-19: Gaza riceverà il primo lotto del russo Sputnik V

MEE e agenzie

17 febbraio 2021 – Middle East Eye

Israele ha ammesso di aver ritardato la consegna di vaccino a Gaza per motivi politici

Mercoledì (17 febbraio) la striscia di Gaza assediata riceverà il suo primo lotto di vaccini anti Covid 19 la cui consegna era stata ritardata da Israele. 

Mille vaccini russi Sputnik V arriveranno dal valico di Betania fra la Cisgiordania occupata e Israele a Gaza al valico di Erez [tra Israele e Gaza, ndtr.].

I vaccini, donati dalla Russia, saranno somministrati al personale sanitario nel territorio assediato. 

All’inizio della settimana, Israele aveva ammesso di aver rallentato il trasferimento dei vaccini per motivi politici. 

Il Cogat, l’ente militare israeliano responsabile della gestione israeliana dei territori palestinesi occupati, ha detto all’agenzia AFP che l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) aveva richiesto il trasferimento a Gaza di 1000 dosi di vaccino, ma che “questa richiesta è in attesa di una decisione politica”.

Citando fonti israeliane, l’AFP afferma che permettere il trasferimento dalla Cisgiordania a Gaza non è una semplice misura amministrativa di competenza del Cogat, ma piuttosto una decisione politica probabilmente legata alle trattative fra Israele e Hamas, il gruppo politico che di fatto governa la Striscia di Gaza dal 2007.

L’ANP ha anche accusato Israele di bloccare la consegna del vaccino dalla Cisgiordania dopo la sua richiesta di trasferimento a Gaza. 

Mai al-Kaila, la Ministra della Salute palestinese, ha detto che Israele ha la “totale responsabilità” per il blocco dell’invio.

“Oggi, 2.000 dosi dello Sputnik V, il vaccino russo, sono state trasferite per entrare nella Striscia di Gaza, ma le autorità dell’occupazione impediscono il loro ingresso” ha detto Kaila nella sua dichiarazione di lunedì. 

“Queste dosi erano destinate al personale medico che lavora in reparti di terapia intensiva per pazienti Covid-19 e a coloro che operano in quelli di emergenza.”

A quel che si dice solo metà delle 2.000 dosi sono state trasferite mercoledì a Gaza.

Consegne ritardate

All’inizio del mese, l’ANP ha cominciato a somministrare le prime vaccinazioni al personale sanitario in prima linea, attingendo a un iniziale approvvigionamento di 10.000 dosi del vaccino Sputnik V e anche alle dosi di Moderna fornite da Israele.

Ma il lancio del vaccino in Cisgiordania è stato ritardato dall’intoppo delle consegne.  

Comunque, L’ANP, che ha un limitato autogoverno nella Cisgiordania occupata, ha detto che condividerà la sua limitata fornitura di vaccino con l’enclave costiera.

Dall’inizio della pandemia a Gaza ci sono stati più di 53.000 casi e almeno 537 morti.

Israele, che sta portando avanti una delle campagne vaccinali più veloci al mondo pro capite, sta facendo i conti con critiche internazionali perché non ha condiviso le forniture di vaccini con i palestinesi che vivono nella Cisgiordania occupata e a Gaza sotto blocco israeliano. 

All’inizio del mese, dopo le critiche, Israele ha inviato all’ANP 5.000 dosi da somministrare nella Cisgiordania occupata, dove risiedono circa 3 milioni di palestinesi. 

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)