Zoom cancella la tavola rotonda con Leila Khaled per le proteste di gruppi pro-Israele

Michael Arria

  23 settembre 2020 – Mondoweiss

Zoom ha annunciato che oggi non avrebbe fornito il servizio alla San Francisco State University per impedire che il suo software venisse usato durante la tavola rotonda online con Leila Khaled. Gruppi pro-israeliani, tra cui uno parzialmente finanziato dal governo israeliano, si sono presi il merito della cancellazione.

Zoom ha annunciato che oggi [23 settembre] non avrebbe fornito il servizio alla San Francisco State University (SFSU), impedendo così l’uso del suo software durante la tavola rotonda online con Leila Khaled, militante nel Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP) e coinvolta in due dirottamenti aerei nel 1969 e 1970.

L’evento intitolato “Quali narrazioni? Genere, giustizia & resistenza”, doveva essere promosso dal Programma di etnie arabe e musulmane e studi delle diaspore dell’università e dal Dipartimento di studi delle donne e di genere. 

In una dichiarazione della piattaforma si legge: “Zoom è impegnato a sostenere il confronto aperto di idee e dibattiti, ma con le limitazioni contenute nelle nostre Condizioni Generali di Utilizzo, incluse quelle relative al rispetto da parte dell’utente delle leggi in vigore negli USA sul controllo delle esportazioni, sulle sanzioni e sull’anti-terrorismo. Alla luce della segnalata affiliazione o appartenenza dell’oratrice a un’organizzazione straniera che negli USA è definita terrorista e dell’impossibilità della SFSU di smentire questa informazione, abbiamo deciso che l’incontro contravvenisse alle Condizioni Generali di Utilizzo di Zoom e comunicato all’università che non poteva usare Zoom per questo specifico evento.”

Contro l’evento avevano protestato vari gruppi di destra pro-israeliani, incluso il Lawfare Project [ong americana che professa un impegno contro l’antisemitismo attraverso il finanziamento di azioni legali, ndtr.]. L’app ‘Act.IL’ che prende di mira il movimento per il boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni (BDS) ed è in parte finanziata dal governo israeliano, si è presa il merito per aver contribuito a far cancellare l’evento. Michael Bueckert, dottorando in sociologia ed economia politica presso la Carleton University, che ha tracciato l’app online, ha fatto notare che i suoi utenti hanno mandato delle email al consiglio di facoltà dell’università per informarli che “fornendo sostegno a una terrorista avrebbero potuto violare la legge americana.”

Saree Makdisi, docente di inglese e letteratura comparata presso l’università della California, Los Angeles (UCLA), ha twittato: “Questo è ciò che succede quando subappaltiamo le nostre università a Zoom: loro decidono quali eventi sono accettabili e quali no. È uno scandalo.”

Questo è un pericoloso attacco alla libertà di parola e alla libertà accademica da parte di uno dei Big Tech: Zoom non può imporre il potere di veto sul contenuto di lezioni ed eventi pubblici nella nostra Nazione,” ha dichiarato Dima Khalidi, la direttrice di Legal Palestine: “La minaccia alla democrazia è aumentata dal fatto che la decisione di Zoom di reprimere la discussione sulla libertà palestinese arriva in risposta a una sistematica campagna di repressione guidata dal governo israeliano e dai suoi alleati.” 

Organizzatori e partecipanti legati all’evento hanno risposto alle critiche dal momento dell’annuncio dell’incontro. Dopo l’articolo di Lynn Mahoney, presidentessa della SFSU, in cui dichiara di accogliere la diversità, ma di condannare l’odio, Laura Whitehorn, ex prigioniera politica (e partecipante alla tavola rotonda), ha scritto una lettera a Mahoney a proposito del seminario online (webinar).

Leila Khaled è una leader del movimento per i diritti del popolo palestinese,” si legge nella lettera. “Ha combattuto in molti modi per il diritto al ritorno nella Palestina storica e avrebbe offerto lezioni e informazioni importanti sulla storia del coinvolgimento delle donne nel lavoro per i diritti del popolo palestinese sotto l’occupazione e in esilio. Penso che aver preso per buona la narrazione che la bolla come terrorista o odiatrice sia profondamente offensivo e in conflitto con ciò che credo un educatore debba dire, insegnare e promuovere.”

Chi si era registrato per l’evento ha ricevuto un’email dagli organizzatori dicendo che si aspettavano che l’università “avrebbe sostenuto la nostra libertà di parola e accademica e avrebbe fornito un’alternativa per tenere il seminario online su un’altra piattaforma.”

Aggiornamento: dalla pubblicazione di questo post, Facebook ha rimosso dal suo sito la pagina dell’evento e YouTube ha interrotto lo streaming a pochi minuti dall’inizio della conferenza.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Israele provoca la distruzione di 100.000 tamponi per il coronavirus destinati ai territori palestinesi

22 settembre 2020 – Palestine Chronicle

Oggi la ministra della Salute [dell’ANP, ndtr.] Mai Alkaila ha affermato che le autorità di occupazione israeliane hanno provocato la distruzione di 100.000 tamponi per il coronavirus destinati ai territori palestinesi occupati.

Parlando a Voice of Palestine [Voce della Palestina, radio pubblica dell’ANP con sede a Ramallah, ndtr.], Alkaila ha confermato che qualche giorno fa le autorità dell’occupazione israeliana hanno impedito l’ingresso dalla Giordania ai territori palestinesi occupati di 100.000 tamponi per il test del COVID-19, provocandone la distruzione.

Ha evidenziato che l’ingresso dei tamponi era stato coordinato con le Nazioni Unite.

In seguito a ciò, ha aggiunto, ora in Palestina c’è una carenza di tamponi, in quanto quelli disponibili per il ministero saranno sufficienti per eseguire i test solo per tre giorni, dopodiché la Palestina rimarrà a corto di tamponi.

Ha aggiunto che il ministero dovrà quindi razionare l’uso dei tamponi disponibili limitando i test ai contatti ravvicinati con pazienti positivi o probabilmente contagiati dal COVID-19.

Ha sottolineato che mercoledì è previsto che la Palestina riceva altri tamponi ed ha affermato che 20.000 tamponi sono stati consegnati ieri a Gaza dall’Organizzazione Mondiale della Salute.

Secondo il ministero della Salute [dell’ANP] in Palestina sono morte di coronavirus cinque persone e sono stati confermati 557 nuovi casi insieme a 1.142 guarigioni.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Una fuga di notizie dimostra che il proprietario del Chelsea Abramovich ha finanziato un’associazione di coloni israeliani

Oliver Holmes

lunedì 21 settembre 2020 – The Guardian

Imprese dell’oligarca russo hanno donato 85 milioni di euro a Elad, accusata di cercare di impossessarsi di quartieri palestinesi

Secondo documenti filtrati visionati da BBC News Arabic [canale pubblico di notizie in arabo che trasmette solo in Gran Bretagna, ndtr.], imprese controllate dal proprietario del Chelsea [importante squadra di calcio inglese, ndtr.] Roman Abramovich avrebbero donato decine di milioni di sterline a un’associazione di coloni israeliani molto controversa, accusata di espellere famiglie palestinesi da Gerusalemme. Il miliardario e oligarca russo, a cui nel 2018 è stata concessa la cittadinanza israeliana, è stato un grande filantropo in Israele, ha donato cospicue somme per progetti di ricerca e sviluppo ed ha investito in imprese locali.

Tuttavia, secondo BBC News Arabic, quattro aziende di cui è proprietario o che controlla nelle Isole Vergini britanniche hanno finanziato con più di 100 milioni di dollari (circa 85 milioni di euro) Elad, un’organizzazione che appoggia colonie nel quartiere palestinese chiamato Silwan, nella Gerusalemme est occupata.

Inoltre [BBC News Arabic] aggiunge che queste cifre indicano che negli ultimi 15 anni il proprietario del club calcistico britannico è stato il maggiore donatore individuale di Elad, una parola che in ebraico significa “eterna fede di dio”. Il gruppo, che riceve sostegno anche dal governo israeliano, ha cercato di rafforzare la presenza ebraica nel quartiere di Silwan a spese dei suoi abitanti arabi.

Elad gestisce a Silwan un sito archeologico noto come la Città di Davide, che è diventato un’importante attrazione turistica. Gli scavi sono stati criticati da diplomatici dell’Unione Europea in quanto intendono ignorare la storia diversificata della città antica a favore di “una narrazione esclusivamente ebraica, slegando il luogo dal suo contesto palestinese.”

Il sito web della Città di Davide afferma di essere “impegnato a continuare l’eredità di Re Davide così come a svelare e mettere in rapporto le persone con l’antico glorioso passato di Gerusalemme attraverso quattro attività fondamentali: scavi archeologici, sviluppo turistico, programmi educativi e rivitalizzazione abitativa.”

Elad, come altre organizzazioni dei coloni, si è allargata comprando case palestinesi e utilizzando controverse leggi israeliane che consentono allo Stato di impossessarsi di proprietà palestinesi. A Silwan circa 450 coloni vivono ora vicino a circa 10.000 palestinesi.

BBC News in arabo ha scoperto le donazioni di Abramovich cercando tra migliaia di documenti filtrati che dettagliano 2 trilioni di dollari di potenziali operazioni corruttive riciclate attraverso il sistema finanziario USA.

Più di 2.000 rapporti su attività sospette (SAR) archiviati presso la Financial Crimes Enforcement Network [Rete di Controllo dei Reati Finanziari] (FinCEN) del governo USA sono stati fatti filtrare a Buzzfeed News, che li ha condivisi con il Consorzio Internazionale dei Giornalisti Investigativi, di cui la BBC fa parte.

Banche e altre istituzioni finanziarie inviano SAR quando pensano che un cliente stia usando i loro servizi per attività potenzialmente delittuose. Mentre una SAR di per sé non obbliga una banca a smettere di operare con il cliente in questione, esse segnalano azioni discutibili nascoste nel mondo finanziario.

La fuga di notizie, denominate i Documenti FinCEN, ha già scosso il settore finanziario, con accuse riguardanti la libera circolazione di denaro sporco in tutto il mondo. Lunedì le azioni del settore bancario sono crollate. In una SAR sono state anche individuate altre figure di alto profilo, come l’ex-consigliere politico di Trump, Paul Manafort.

Il servizio della BBC non dice se le imprese di Abramovich o le donazioni siano incluse in una SAR, né accusa Abramovich o le aziende di aver violato la legge di un Paese. Abramovich è stato oggetto di una SAR nel 2016 riguardo a società fantasma riguardanti i suoi affari nel calcio.

Nel reportage, mandato in onda nel suo programma di punta Panorama, BBC News Arabic cita Elad, che ha dichiarato di attenersi a tutte le norme relative alle organizzazioni no profit israeliane, ma non ha confermato se Abramovich sia stato un donatore.

Il canale di notizie ha citato un portavoce di Abramovich, che ha affermato: “(Egli) è un convinto e generoso sostenitore di Israele e della società civile ebraica e nel corso degli ultimi 20 anni ha donato oltre cinquecento milioni di dollari per sostenere il servizio sanitario, la scienza, l’educazione e le comunità ebraiche in Israele e in tutto il mondo.”

In base alle leggi internazionali le attività di insediamento su terre occupate sono considerate illegali. Israele sostiene che tutta Gerusalemme è un territorio sotto la sua sovranità, benché questa affermazione sia ampiamente rifiutata.

Il riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele da parte di Donald Trump ha incoraggiato il governo israeliano e il potente movimento dei coloni. L’ambasciatore USA in Israele ed esplicito sostenitore delle colonie, David Friedman, ha partecipato ad un’inaugurazione presso la Città di Davide.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Il principale sindacato del Regno Unito approva una mozione anti-apartheid contro Israele

17 settembre 2020 – Palestine Chronicle

Il principale sindacato britannico, il Trades Union Congress [Congresso dei Sindacati] (TUC), ha approvato una mozione che riconosce Israele come Stato che pratica l’apartheid e fa appello di continuare ad appoggiare il popolo palestinese.

Martedì il TUC, che ha quasi sei milioni di iscritti, ha votato a favore di una mozione presentata da Unite the Union [Unire il Sindacato, il più grande sindacato generale del Regno Unito, ndtr.] che si oppone al piano dell’attuale governo israeliano di annettere oltre il 30% della Cisgiordania.

La mozione identifica l’annessione come “un ulteriore considerevole passo nella creazione di un sistema di apartheid” ed è stata accolta positivamente dai rappresentanti della società civile palestinese.

La mozione è giunta una settimana dopo una dichiarazione rilasciata da oltre 20 associazioni benefiche, sindacati, gruppi religiosi e organizzazioni della società civile che chiede agli enti pubblici di “assumersi le proprie responsabilità etiche e giuridiche per garantire che i diritti umani e le leggi internazionali vengano rispettati,” come risposta agli illegali progetti di annessione da parte di Israele.

“Il Congresso rimane unito nella sua totale opposizione all’intenzione dichiarata del governo israeliano di annettere vaste parti della Cisgiordania,” afferma la mozione del TUC, definendo l’iniziativa come “illegale in base alle leggi internazionali” che “afferma chiaramente che da parte di Israele non c’è alcun tentativo di porre fine all’occupazione e di riconoscere il diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione.”

Una simile iniziativa “sarebbe un’ulteriore significativo passo nella creazione di un sistema di apartheid,” afferma il TUC.

“Per troppo tempo la comunità internazionale è rimasta a guardare mentre allo Stato israeliano veniva consentito di perpetrare i propri crimini e ciò non può più essere tollerato o accettato,” prosegue la mozione. “È ora urgente e necessaria un’azione decisiva riguardo alle attività di Israele contro i palestinesi.”

Il congresso del TUC invita a “sostenere pienamente e a giocare un ruolo attivo nelle attività della Campagna di Solidarietà con la Palestina per costituire un’ampia coalizione contro la prevista annessione israeliana e per sollecitare ogni affiliato a fare altrettanto.”

Verrà inviata una lettera al primo ministro britannico “per chiedere che il Regno Unito prenda misure ferme e risolute, comprese sanzioni, per garantire che Israele smetta o receda dall’annessione illegale, ponga fine all’occupazione della Cisgiordania e al blocco di Gaza e rispetti il diritto al ritorno dei rifugiati palestinesi.”

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




I palestinesi indicono la “giornata della rivolta” contro l’accordo di normalizzazione tra Israele, Emirati Arabi Uniti e Bahrain

Shatha HammadMohammed al-Hajjar

15 settembre 2020 – Middle East Eye

Un nuovo gruppo della società civile palestinese costituito da diverse fazioni ha protestato martedì contro la firma dei controversi accordi.

I palestinesi della Striscia di Gaza e della Cisgiordania occupata sono scesi in piazza per denunciare gli accordi di normalizzazione firmati martedì a Washington tra Israele, Bahrain ed Emirati Arabi Uniti (EAU).

Sia l’Autorità Palestinese (ANP) che il movimento di Hamas, che governa la Striscia di Gaza, hanno condannato gli accordi mediati dagli Stati Uniti come una “pugnalata alle spalle” al loro popolo.

Dalla prima mattina di martedì si sono svolte manifestazioni nella Cisgiordania occupata a Ramallah, Tulkarem, Nablus, Gerico, Jenin, Betlemme e Hebron, in altre località più piccole nonché a Gaza.

I manifestanti hanno cantato ed esposto cartelli che denunciavano la normalizzazione e si appellavano all’unità araba contro l’occupazione israeliana. 

Martedì il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e gli alti diplomatici degli Emirati Arabi Uniti e del Bahrain hanno firmato gli accordi per normalizzare le loro relazioni, senza alcun progresso verso un accordo israelo-palestinese.

Ismail Haniyeh, leader di Hamas, che martedì era a Beirut per un incontro con i segretari delle fazioni palestinesi, ha detto al presidente Mahmoud Abbas al telefono che tutte le fazioni palestinesi erano unite contro l’accordo e “non permetteranno che la causa palestinese sia un ponte per il riconoscimento e la normalizzazione della potenza occupante a scapito dei nostri diritti nazionali, della nostra Gerusalemme e del diritto al ritorno”.

Lunedì, il primo ministro palestinese Mohammad Shtayyeh ha descritto gli accordi come un altro “giorno nero” per il mondo arabo.

“Un’altra data da aggiungere al calendario della disgrazia palestinese”, ha detto, aggiungendo che l’Autorità Nazionale Palestinese dovrebbe “rettificare” le proprie relazioni con la Lega Araba a causa del rifiuto di condannare i due accordi di normalizzazione conclusi nel mese scorso.

Il ministro degli Esteri del Bahrain Abdullatif al-Zayani e il ministro degli Affari Esteri degli Emirati Arabi Uniti Abdullah bin Zayed bin Sultan Al Nahyan sono arrivati a Washington domenica, mentre Netanyahu è arrivato lunedì nel pieno delle molte richieste in Israele di dimissioni per le indagini in corso sulla sua corruzione e la cattiva gestione del suo governo della pandemia di coronavirus.

Il Bahrain e gli Emirati Arabi Uniti non hanno combattuto guerre contro Israele, a differenza di Egitto e Giordania, che hanno firmato trattati di pace con Israele rispettivamente nel 1979 e nel 1994.

“Giornata di rivolta popolare”

Un nuovo gruppo della società civile, costituito da varie fazioni, ha chiamato martedì a una “giornata di rivolta popolare” in coincidenza con la firma dell’accordo.

Il gruppo, chiamato Leadership Palestinese Unita per la Resistenza Popolare (UPLPR), si è formato la scorsa settimana dall’incontro tra i leader di tutte le fazioni politiche palestinesi nella capitale libanese Beirut.

Nella sua prima dichiarazione, il gruppo ha lanciato un appello per manifestazioni nazionali –definite “il giorno nero” – in tutti i territori palestinesi per chiedere la cancellazione del cosiddetto “accordo del secolo” e dell’occupazione israeliana. 

Ha lanciato anche un altro giorno di protesta – denominato “giorno di lutto” – per venerdì, durante il quale dovranno essere issate bandiere nere per esprimere il rifiuto dell’accordo di normalizzazione.

Martedì, le proteste sono iniziate alle 11 in tutta la Cisgiordania occupata.

A Hebron, secondo un corrispondente di Middle East Eye, a Bab al-Zaweya, al termine di una manifestazione sono scoppiati piccoli scontri tra giovani palestinesi e forze israeliane.

Fahmy Shaheen, rappresentante delle forze nazionali e islamiche a Hebron, ha affermato che le proteste in città riflettono la rabbia per i conflitti praticamente quotidiani tra gli abitanti, i coloni israeliani e le forze dell’esercito a causa della continua espansione degli insediamenti nella città storica.

“Stiamo manifestando il nostro rifiuto alla normalizzazione perché avviene a scapito dei diritti e dei sacrifici del popolo palestinese”, ha detto Shaheen a MEE.

“È anche un omaggio gratuito a Stati Uniti e Israele, offerto a scapito delle aspirazioni arabe alla libertà. Non contiamo sui regimi arabi che stanno svendendo le aspirazioni dei loro popoli e la nostra causa palestinese. Contiamo piuttosto sul popolo arabo che è unito [nella sua convinzione] che la causa della Palestina sia fondamentale”.

Anche Jamal Zahalka, a capo del partito Assemblea Nazionale Democratica, che martedì stava prendendo parte a una protesta a Wadi Ara, ha descritto la firma dell’accordo di normalizzazione come “un regalo pericoloso dagli Emirati Arabi Uniti e dal Bahrein a Trump e Netanyahu, vittime di una soffocante crisi politica nei loro paesi”.

“Oggi, gli Emirati Arabi Uniti e il Bahrain dichiarano di sostenere l’occupazione israeliana contro il popolo palestinese. Ciò che si sta discutendo non è la normalizzazione, ma piuttosto un’alleanza strategica”, ha detto.

“Chiunque stringa alleanza con Israele non potrà mai stare con il popolo palestinese e con i suoi giusti diritti”.

Faisal Salameh, capo del comitato popolare di Tulkarem, ha detto a MEE che le manifestazioni hanno portato “un messaggio di amore e rispetto per tutti i popoli arabi”, nonostante le critiche ai governi degli Emirati Arabi Uniti e del Bahrain.

Razzi e proteste da Gaza

Appena firmati gli accordi a Washington, sono giunte notizie di diversi razzi lanciati verso Israele dalla Striscia di Gaza. Sebbene non sia chiaro quale fosse il gruppo responsabile del lancio di razzi, Israele ritiene il movimento di Hamas responsabile di tutti gli attacchi dall’enclave.

Si sono viste a Gaza anche manifestazioni per tutto il giorno, con centinaia di persone che marciavano contro l’accordo di normalizzazione.

I manifestanti si sono radunati davanti al palazzo dell’Unesco a Gaza per esprimere la loro disapprovazione all’accordo.

Abdel-Haq Shehadeh, membro della più alta leadership del movimento di Fatah a Gaza, ha criticato gli Emirati Arabi Uniti e il Bahrain per non aver rispettato l’Iniziativa di Pace araba del 2002, che delineava tutti i passi per porre fine al conflitto israelo-palestinese.

Shehadeh ha detto che vorrebbe chiedere a qualsiasi paese stia pensando di seguire le orme degli Emirati Arabi Uniti e del Bahrain di fermarsi e riconsiderare, sottolineando di non credere che la gente nel mondo arabo sia d’accordo con una scelta simile – messaggio rimbalzato martedì durante le proteste palestinesi.

Durante la manifestazione Ismail Radwan, alto funzionario di Hamas, ha definito l’iniziativa guidata dagli Stati Uniti “un pugnalata alle spalle del popolo palestinese” e ha assicurato che si stava organizzando “una strategia globale e unificata di tutte le fazioni palestinesi per contrastare Israele”.

“Ai governanti degli Emirati e del Bahrain: avete dismesso il sostegno al popolo palestinese ma le generazioni palestinesi non dimenticheranno le vostre scelte”, ha detto Radwan, lodando i cittadini che nei due paesi si erano espressi contro le decisioni dei loro governi.

A Washington, 50 ONG hanno lanciato una protesta davanti alla Casa Bianca durante la cerimonia della firma per esprimere la loro opposizione.

Martedì anche le fazioni palestinesi in Libano hanno organizzato proteste per condannare l’accordo.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




I palestinesi si uniscono mentre gli Stati arabi “normalizzano” le relazioni con Israele

Ali Adam

15 settembre 2020 Al Jazeera

Fatah, Hamas e le altre fazioni si riunificano dopo la “pugnalata alle spalle” degli Stati arabi negli accordi con Israele.

Gaza – Spinte dagli Stati arabi che vanno normalizzando le relazioni con Israele, le frammentate fazioni politiche palestinesi stanno lavorando scrupolosamente in colloqui multilaterali per ripristinare l’unità e ricucire la divisione tra la Striscia di Gaza e la Cisgiordania, in negoziati molto più promettenti rispetto agli sforzi precedenti.

I Ministri degli Esteri degli Emirati Arabi Uniti (EAU) e del Bahrain firmeranno martedì alla Casa Bianca un trattato con Israele che stabilisce pieni accordi in violazione all’Iniziativa Araba di Pace [iniziativa di pace per il conflitto arabo-israeliano proposta nel 2002 al vertice di Beirut della Lega Araba, ndtr.] La decisione è una minaccia per le richieste arabe di vecchia data, che Israele ponga fine alla decennale occupazione e concordi con i palestinesi una soluzione a due Stati.

Sabato i gruppi palestinesi di Hamas e Fatah hanno concordato una “leadership unificata sul campo” che comprenda tutte le fazioni per guidare “una resistenza popolare totale” contro l’occupazione israeliana, si legge in un comunicato.

Vi si fa appello affinché martedì – quando la cerimonia della firma si svolgerà a Washington – sia un giorno di “rifiuto popolare”. I palestinesi a Gaza e in Cisgiordania stanno pianificando dimostrazioni da “giorno della rabbia” e sono previste altre proteste davanti alle ambasciate di Israele, Stati Uniti, Emirati Arabi Uniti e Bahrain in tutto il mondo.

La formazione di un gruppo di leadership congiunto e il progresso nei colloqui per l’unità intra-palestinese sono arrivati dopo il tanto atteso incontro del 3 settembre tra il presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese Mahmoud Abbas, Ismail Haniya di Hamas, il capo della Jihad islamica Ziyad al-Nakhala e i leader di varie entità palestinesi. Le riunioni si sono svolte a Ramallah nella Cisgiordania occupata e a Beirut, in Libano.

Erano anni che Hamas e altri partiti palestinesi chiedevano che si tenesse un simile incontro, ma Abbas aveva sempre rifiutato, chiedendo che prima Hamas onorasse precedenti patti di unità.

Ma con le tante sfide che ultimamente sta affrontando la causa palestinese – la più grave delle quali è la normalizzazione tra i paesi arabi e Israele – Abbas ha accettato di intrattenere i colloqui

Un grande progresso”

Husam Badran, membro dell’ufficio politico di Hamas, ha elencato ad Al Jazeera i diversi fattori che stanno riunificando i palestinesi, tra cui “l’accordo del secolo” del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, i piani di annessione di Israele delle aree palestinesi e la normalizzazione da parte degli Stati arabi delle relazioni con “l’occupazione, e come questa rappresenti una sleale pugnalata alle spalle dei palestinesi “.

Badran ha definito l’incontro fra i dirigenti un “importante passo avanti”, che ha prodotto decisioni chiare su diverse questioni urgenti.

“La fretta di molti paesi arabi nel normalizzare le loro relazioni con lo Stato di occupazione ha spinto in cima all’agenda delle azioni palestinesi la questione della formazione di una leadership unificata per la resistenza popolare “, ha detto Badran.

Ha aggiunto che le decisioni di normalizzazione “richiedono che i palestinesi cooperino e rafforzino il fronte interno, e mettano da parte tutte le differenze per salvare la causa palestinese”.

“I leader palestinesi stanno trasformando il rifiuto di tutti i piani che vogliono liquidare la causa palestinese in realistiche azioni sul campo”, ha detto Badran.

Durante gli incontri sono stati formati tre comitati: il primo centrato sulla formazione di una leadership unitaria sul campo per sollevare la lotta popolare contro l’occupazione israeliana; il secondo responsabile del raggiungimento di una visione concordata per porre fine alla divisione tra Gaza e la Cisgiordania; un terzo incaricato di rilanciare l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP).

Ai comitati è stato fissato un termine di cinque settimane per presentare suggerimenti al presidente palestinese. Abbas ha promesso che accetterà qualunque suggerimento gli arriverà.

Riconciliazione tra Hamas e Fatah

Hamas e Fatah sono divise dal 2007, quando dopo mesi di tensione Hamas ha destituito le forze di sicurezza di Fatah a Gaza. Da allora sono stati fatti diversi tentativi per colmare il divario tra i due, ma senza successo.

Le relazioni tra Hamas e Fatah, tuttavia, hanno di recente registrato significativi miglioramenti.

Negli ultimi due mesi, i due principali movimenti palestinesi, a causa del piano di annessione israeliano, si sono impegnati in colloqui positivi centrati sulla presentazione di un rifiuto unitario ai piani israelo-americani.

“L’intento di unità dei palestinesi arriva in un momento molto delicato, in cui la causa palestinese è sottoposta a serie minacce e sfide strategiche, a cominciare dagli sforzi dell’amministrazione americana di imporre sul terreno realtà che legittimino l’occupazione israeliana, e ai piani israeliani di annessione della Cisgiordania “, ha detto ad Al Jazeera l’analista politico palestinese Husam al-Dajani.

“L’ultima di queste minacce è stata la decisione degli Emirati Arabi Uniti di normalizzare le relazioni con Israele senza riguardo per i diritti palestinesi o per la causa palestinese. La decisione di normalizzazione degli Emirati Arabi Uniti ha reso urgente e accelerato i colloqui intra-palestinesi e ha convinto tutte le parti a riunirsi”.

Al-Dajani ha detto che se la causa palestinese vuole sopravvivere la divisione deve finire per sempre.

“Si deve fare un lavoro tenace per ripristinare l’attenzione sul progetto nazionale palestinese. Questo lavoro inizia con la fine della divisione, per essere in grado di affrontare tutte le minacce e le sfide”, ha detto al-Dajani.

Iyad Nasser, alto funzionario e portavoce di Fatah, ha dichiarato ad Al Jazeera: “Le minacce e i pericoli che il popolo palestinese deve affrontare e la causa palestinese sono ciò che ha portato al successo nella formazione dei comitati e nella istituzione di una leadership nazionale sul campo per la resistenza popolare”.

Nasser ha detto che il suo partito è ottimista sul fatto che gli sforzi per ricucire le divisioni avranno esito positivo.

“In questa fase, è necessaria l’unità per contrastare tutti i progetti e i piani che mirano a liquidare la causa palestinese e i diritti dei palestinesi. In questo momento critico, dobbiamo mettere da parte le piccole controversie delle fazioni per una piena dedizione nel difendere e far avanzare il problema centrale, che è il problema Palestina “, ha aggiunto Nasser.

“Contrastare la normalizzazione richiede l’accelerazione nel raggiungimento dell’unità nazionale e l’intensificarsi della resistenza popolare nella terra palestinese occupata”.

Contrastare Israele”

Il successo negli sforzi di riconciliazione tra Hamas e Fatah è stato invano perseguito per più di un decennio, e dunque il popolo palestinese generalmente guarda ogni nuovo tentativo con scetticismo.

Al-Dajani ha osservato: “La ragione dei progressi tra Hamas e Fatah è che questa volta il punto di partenza per i colloqui tra i due movimenti è stato di contrastare Israele e proteggere la causa palestinese, in contrapposizione alla divisione del potere e alle ambizioni politiche di ciascuno.

“Se l’equazione si mantiene, e il progresso della causa palestinese rimane la ragione dei colloqui per l’unità palestinese, allora questa verrà e sarà naturalmente raggiunta”.

Il dialogo tra Hamas e Fatah negli ultimi due mesi si è concentrato sulla messa da parte dei disaccordi e la ricerca di un terreno comune. 

Oltre all’unanime rifiuto dei provvedimenti israeliani e americani contro i palestinesi, i due movimenti hanno concordato che la resistenza popolare non violenta è la migliore strategia.

La leadership congiunta, guidata da Hamas e Fatah, dovrebbe attivare la resistenza popolare in Cisgiordania questa settimana, anche se non è stato progettato un piano in dettaglio.

Jibril Rajoub, segretario generale del comitato centrale di Fatah – che ha proposto all’interno di Fatah l’idea di rilanciare i colloqui con Hamas a giugno – ha detto ai giornalisti che le fazioni palestinesi hanno concordato che ci sarà un cambiamento nelle regole di ingaggio con le forze di occupazione israeliane.

“Non permetteremo all’occupazione di sradicare un ulivo o di ferire un palestinese senza pagarne il prezzo”, ha detto Rajoub.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Il Bahrein segue gli EAU e normalizza i rapporti con Israele

Al-Jazeera e agenzie

12 settembre 2020 – Al-Jazeera

La Palestina richiama l’inviato in Bahrein, denunciando l’ultimo accordo come “un’altra coltellata a tradimento contro la causa palestinese.”

Il Bahrein si è unito agli Emirati Arabi Uniti accettando di normalizzare i rapporti con Israele, con un accordo mediato dagli USA che i dirigenti palestinesi hanno denunciato come “un’altra coltellata a tradimento contro la causa palestinese”.

Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha annunciato l’accordo venerdì su Twitter, dopo aver parlato per telefono con il re del Bahrain Hamad bin Isa Al Khalifa e il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu.

È veramente un giorno storico,” ha detto Trump ai giornalisti nello Studio Ovale, affermando di credere che altri Paesi faranno altrettanto.

Era impensabile che ciò potesse avvenire e così in fretta.”

Con un comunicato congiunto gli Stati Uniti, il Bahrein e Israele hanno detto che “aprire un dialogo e rapporti diretti tra queste due società dinamiche e le loro economie avanzate continuerà la trasformazione positiva del Medio Oriente e aumenterà la stabilità, la sicurezza e la prosperità nella regione.”

Un mese fa gli EAU hanno accettato di normalizzare i rapporti con Israele in base ad un accordo mediato dagli USA che dovrebbe essere firmato martedì durante una cerimonia alla Casa Bianca ospitata da Trump, che sta cercando di essere rieletto il 3 novembre.

Alla cerimonia parteciperanno Netanyahu e il ministro degli Esteri degli Emirati, lo sceicco Abdullah bin Zayed Al Nahyan. Il comunicato congiunto afferma che il ministro degli Esteri del Bahrein Abdullatif al-Zayani si aggiungerà a questa cerimonia e firmerà una “storica dichiarazione di pace” con Netanyahu.

La storia della normalizzazione tra arabi e israeliani

Come l’accordo degli EAU, quello di venerdì tra il Bahrain e Israele normalizzerà le relazioni diplomatiche, commerciali, per la sicurezza ed altro tra i due Paesi. Il Bahrein, insieme all’Arabia Saudita, ha già annullato il divieto di passaggio sul suo spazio aereo ai voli israeliani.

Il comunicato congiunto di venerdì menziona solo marginalmente i palestinesi, che temono che le iniziative del Bahrein e degli EAU indeboliscano la tradizionale posizione di tutti i Paesi arabi di chiedere il ritiro di Israele dai territori già illegalmente occupati e l’accettazione di uno Stato palestinese in cambio della normalizzazione dei rapporti con i Paesi arabi.

Il comunicato afferma che il Bahrain, Israele e gli USA continueranno nel tentativo di “raggiungere una soluzione giusta, esauriente e duratura del conflitto israelo-palestinese per consentire al popolo palestinese di realizzare appieno il suo potenziale.”

Grave danno”

Netanyahu ha accolto positivamente l’accordo ed ha ringraziato Trump.

Ci sono voluti 26 anni tra il secondo accordo di pace con un Paese arabo e il terzo, ma solo 29 giorni tra il terzo e il quarto, e ce ne saranno altri,” ha detto in riferimento al trattato di pace del 1994 con la Giordania e all’accordo più recente.

Secondo l’agenzia di stampa statale [del Bahrein] BNA, per parte sua il Bahrein ha affermato di appoggiare una pace “giusta ed esauriente” in Medio Oriente. Questa pace dovrebbe essere basata su una soluzione a due Stati per risolvere il conflitto israelo-palestinese, dice l’articolo citando re Hamad.

Il genero di Trump e importante consigliere alla Casa Bianca Jared Kushner ha salutato gli accordi come “il culmine di quattro anni di grande lavoro” da parte dell’amministrazione Trump.

Parlando al telefono con i giornalisti dalla Casa Bianca subito dopo l’annuncio di venerdì, Kushner ha detto che gli accordi degli EAU e del Bahrein “contribuiranno a ridurre le tensioni nel mondo musulmano e consentiranno al popolo di separare la questione palestinese dai propri interessi nazionali e dalla politica estera, che dovrebbe essere concentrata sulle priorità interne.”

Tuttavia la dirigenza palestinese ha condannato l’accordo come un tradimento della causa palestinese e ha richiamato per consultazioni l’ambasciatore palestinese in Bahrein.

In un comunicato l’Autorità Nazionale Palestinese ha dichiarato di “respingere la decisione presa dal regno del Bahrein e gli chiede di ritrattarlo immediatamente per il grave danno che causa agli inalienabili diritti nazionali del popolo palestinese e all’azione congiunta degli arabi.”

L’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), con sede a Ramallah, in Cisgiordania, ha definito la normalizzazione “un’altra coltellata a tradimento alla causa palestinese.” E a Gaza il portavoce di Hamas Hazem Qassem ha affermato che la decisione del Bahrein di normalizzare i rapporti con Israele “rappresenta un grave danno per la causa palestinese e appoggia l’occupazione.”

Una decisione puramente saudita”

Khalil Jahshan, direttore esecutivo dell’Arab Center [Centro Arabo] di Washington, ha detto che il consenso saudita è stato fondamentale per la decisione del Bahrain.

È una decisione puramente saudita. Non potendo rispondere positivamente a Trump a causa di contrasti interni, la dirigenza dell’Arabia Saudita gli ha dato il Bahrein su un piatto d’argento.”

Il Bahrein, un piccolo Stato insulare, è sede del quartier generale regionale della flotta USA. Nel 2011 l’Arabia Saudita ha inviato truppe in Bahrein per contribuire a reprimere una rivolta, e nel 2018, insieme al Kuwait e agli EAU, ha offerto al Bahrein un salvataggio finanziario di 10 miliardi di dollari.

Nida Ibrahim, inviata di Al Jazeera a Ramallah, nella Cisgiordania occupata, concorda, affermando che fonti ufficiali palestinesi credono che gli accordi di Bahrein e EAU non ci sarebbero stati “senza un sostegno regionale.”

Il timore tra i palestinesi è che questi accordi rappresentino la luce verde perché altri Stati arabi normalizzino i rapporti con Israele,” dice. “E molti palestinesi che dicono di aver per anni visto gli USA come avvocati o partner di Israele, ora li vedono come i rappresentanti di Israele. Perché è Trump che annuncia gli accordi di normalizzazione.”

Da quando ha assunto il potere, l’amministrazione Trump ha perseguito politiche risolutamente filo-israeliane, compreso lo spostamento dell’ambasciata USA da Tel Aviv a Gerusalemme, ordinando la chiusura dell’ufficio di rappresentanza dell’OLP a Washington e riconoscendo l’occupazione israeliana delle Alture del Golan siriane. Il presidente USA e i suoi consiglieri hanno promosso la proposta del cosiddetto “accordo del secolo” per risolvere il conflitto israelo-palestinese ed hanno corteggiato gli Stati arabi del Golfo per cercare di ottenere appoggio all’iniziativa.

Per esempio nel giugno 2019 il Bahrein ha ospitato la conferenza organizzata dagli USA per rivelare gli aspetti economici della proposta, e all’epoca dirigenti emiratini e sauditi hanno espresso il loro appoggio a qualunque accordo economico che beneficiasse i palestinesi. Tuttavia i dirigenti palestinesi hanno boicottato quel summit, affermando che l’amministrazione Trump non era un mediatore imparziale per qualunque futuro negoziato con Israele.

Riferendo da Washington, Kimberly Halkett di Al Jazeera afferma che, mentre gli accordi tra Israele, il Bahrein e gli EAU non sono tra le principali priorità per molti elettori USA, gran parte dei sostenitori di Trump sono cristiani evangelici, favorevoli alle sue posizioni a favore di Israele.

Halkett dice che Trump sta cercando di dimostrare loro prima delle elezioni del 3 novembre che può ottenere l’“accordo del secolo” durante il suo secondo mandato.

Sta agendo come se questo fosse il quadro che porterà al cosiddetto “accordo del secolo”, afferma Halkett, nonostante il fatto che “finora il presidente e i rappresentanti della sua amministrazione non abbiano neppure parlato con i palestinesi.”

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




La Lega Araba rifiuta di appoggiare i palestinesi nella critica dell’accordo Israele-EAU

Redazione di Al-Monitor

9 settembre 2020 – Al-Monitor

L’organo pan-arabo ha lasciato cadere una risoluzione che avrebbe condannato il recente accordo di normalizzazione tra Israele e gli Emirati Arabi Uniti.

La Lega Araba ha respinto una richiesta palestinese di condannare il recente patto, mediato da Washington, tra Israele e gli Emirati Arabi Uniti. 

Mercoledì in una videoconferenza i Ministri degli Esteri dei 23 membri della Lega hanno respinto una risoluzione di denuncia dell’accordo Israele – EAU. Il piano palestinese di condannare i due Paesi aveva poche probabilità di essere approvato nell’organo pan-arabo in cui Paesi come Egitto, Oman e Bahrein hanno ben accolto l’accordo e gli hanno offerto sostegno.

C’è stata molta discussione su questo punto. È stata esaustiva ed ha richiesto tempo. Ma alla fine non ha portato ad un accordo sulla bozza di comunicato proposta da parte palestinese”, ha affermato l’alto funzionario della Lega Araba Hussam Zaki.

Il rifiuto della Lega Araba di condannare l’accordo è l’ultimo colpo inferto ai palestinesi, la cui richiesta di una discussione d’urgenza sul patto Israele – EAU è stata respinta il mese scorso.

In quello che è stato chiamato “accordo di Abramo”, Israele ha accettato di sospendere l’annessione di vaste aree della Cisgiordania in cambio della normalizzazione dei rapporti con gli Emirati Arabi Uniti. La prossima settimana i dirigenti dei due Paesi si recheranno alla Casa Bianca per la firma ufficiale.

I dirigenti palestinesi affermano che l’accordo mediato dagli USA, che fa degli EAU il terzo Paese arabo a stabilire rapporti con Israele, è “una coltellata alla schiena”. In risposta, Ramallah ha richiamato il suo ambasciatore negli EAU.

Affermano inoltre che l’accordo di normalizzazione viola l’iniziativa di pace araba del 2002 guidata dall’Arabia Saudita, che chiede a Israele di ritirarsi dalle terre occupate dal 1967 prima di ottenere un riconoscimento da parte degli Stati Arabi.

Gli EAU hanno descritto l’accordo come favorevole alla causa palestinese, in quanto costringe Israele a rinunciare all’annessione di terre che i palestinesi considerano parte del loro futuro Stato.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Israele: processi segreti per mettere in carcere con accuse false e ingiudicato l’operatore di un’associazione benefica palestinese

Asa Winstanley

5 settembre 2020 – MiddleEastMonitor

Il rilascio un mese fa di Mahmoud Nawajaa, dirigente palestinese del BDS (Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni), è stato un gradito promemoria del fatto che il potere delle persone può essere efficace.

Quando alla fine di luglio Nawajaa è stato rapito da una banda di soldati israeliani nel cuore della notte, il Comitato Nazionale Palestinese per il Boicottaggio, il Disinvestimento e le Sanzioni ha mobilitato i suoi sostenitori in tutto il mondo.

L’appello è partito e in tutto il mondo le persone hanno risposto, chiedendo il suo rilascio. È stato liberato dopo 19 giorni di prigione senza accusa né processo.

“L’occupazione israeliana e il regime dell’apartheid coloniale e dei coloni mi hanno arrestato per ostacolare il movimento BDS, distorcerne l’immagine e intimidire gli attivisti”, ha affermato Nawajaa.

Le pressioni funzionano. Una forte pressione internazionale funziona ancora meglio. Sono profondamente grato a tutti coloro che hanno fatto pressione sull’apartheid Israele perché mi liberasse, la vostra solidarietà mi ha dato forza e ha mantenuto viva la speranza di riunirmi alla mia amata famiglia e alla più grande famiglia del BDS.”

Per quanto questo sia stato un risultato felice, Nawajaa è solo uno delle migliaia di prigionieri politici palestinesi detenuti in gravissime condizioni nelle prigioni israeliane.

L’associazione per i diritti dei prigionieri palestinesi Addameer afferma che attualmente i detenuti sono 4.500, tra cui 160 bambini, e 360 “detenuti amministrativi”, cioè prigionieri a tempo indeterminato senza accusa o processo.

Uno di loro era Daoud Talat Al-Khatib, morto mercoledì all’età di soli 45 anni per quello che pare sia stato un infarto.

Il Palestinian Prisoners Club ha accusato Israele di incuria sanitaria nei confronti di Al-Khatib. Mancavano solo pochi mesi alla fine della sua condanna a 18 anni.

La sua morte ha amaramente ricordato che i prigionieri politici palestinesi continuano a soffrire sotto l’occupazione, anno dopo anno, mese dopo mese. Il mondo fuori dimentica i loro nomi, ma il popolo palestinese ha la massima stima di chi venga fatto prigioniero nella lotta di liberazione.

Questa lotta assume molte forme.

Ricordate il nome di Mohammed El-Halabi?

Da quattro anni è chiuso nelle carceri israeliane per il “crimine” di aver operato nella beneficenza.

El-Halabi è il direttore di programma dell’associazione di beneficenza cristiana World Vision a Gaza. Secondo i suoi familiari, El-Halabi è stato torturato perché “confessasse” di aver finanziato il “terrorismo” a Gaza.

Suo padre, Khalil El-Halabi, è da lungo tempo un dipendente dell’UNRWA, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi. Aveva dichiarato a The Electronic Intifada di aver insistito perché nelle scuole dellagenzia fossero inclusi l’insegnamento dei diritti umani e gli studi sull’Olocausto.

“Educhiamo i nostri figli a rispettare le persone indipendentemente dalla razza o dalla religione”, ha spiegato. “Questo rispetto non è garantito a mio figlio, che è in prigione e viene torturato fisicamente e psicologicamente per qualcosa che non ha fatto. È questa la pace di cui parla Israele? “

Il giornalista palestinese Amjad Ayman Yaghi ha riferito da Gaza che “Khalil è convinto che Israele stia usando suo figlio per prendere di mira i programmi umanitari a Gaza”.

Sarebbe molto più facile per Israele bloccare i programmi di aiuto internazionale a Gaza se avesse la “confessione” di El-Halabi (non importa quanto forzata) di essersi appropriato indebitamente dei fondi di un importante ente di beneficenza internazionale.

Le accuse di Israele contro El-Halabi sono evidentemente false e non sono state provate in tribunale. Negli ultimi quattro anni è stato costretto a quasi 150 udienze in tribunale – per lo più segrete – e il suo avvocato è stato sottoposto a restrizioni senza precedenti. Gli è stato offerto un patteggiamento, ma ha rifiutato.

Amnesty International ha condannato il suo imprigionamento e ha detto: “I processi segreti sono la più flagrante violazione del diritto a un’udienza pubblica. Tenere procedimenti giudiziari a porte chiuse renderebbe infondate le condanne emanate “.

Le accuse contro El-Halabi sono state inventate senza nemmeno grande sforzo. Si vede chiaramente che sono fittizie e sono state costruite ad arte.

È stato accusato di aver stornato decine di milioni di dollari di aiuti finanziari a favore di Hamas, il partito politico palestinese al governo nella Striscia di Gaza che ha anche un’ala armata.

Ma c’è una grossa falla in questa storia: secondo World Vision, l’importo che è stato accusato di aver rubato sarebbe in realtà più del doppio dell’intero budget del programma di beneficenza a Gaza.

Non sarebbe stato possibile che una tale somma “scomparisse”.

Sia World Vision che il governo australiano (che ha fornito i fondi all’ente di beneficenza) hanno condotto approfondite indagini di polizia e hanno dichiarato infondate le accuse israeliane.

Nel 2017, il ministero degli Affari esteri australiano ha scagionato World Vision ed El-Halabi. “Il nostro costante monitoraggio legale non ha scoperto alcun denaro sottratto e secondo DFAT [il ministero] la loro indagine non è stata e non è fondata, e questa è un’ottima notizia”, ha rivelato il capo di World Vision Australia.

Che El-Halabi stia resistendo così a lungo alla pressione dei torturatori israeliani è un atto di resistenza al regime di occupazione israeliano non meno eroico della resistenza armata.

Le opinioni espresse in questo articolo sono all’autore e non riflettono necessariamente la politica redazionale di Middle East Monitor.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Negli USA un’associazione che ha contribuito a stilare leggi contro il BDS non ha dichiarato di aver ricevuto sovvenzioni da Israele…immaginate se la Russia avesse fatto qualcosa del genere.

Michael Arria

3 settembre 2020 – Mondoweiss

Ci sono state molte discussioni riguardo a governi stranieri che negli ultimi anni si sono intromessi nel nostro processo politico, ma alcune vicende sono di certo rimaste fuori dal discorso generale.

Un esempio emblematico è emerso questa settimana. The Forward [storico giornale della comunità ebraica USA, ndtr.] ha informato che lo scorso anno l’Israel Allies Foundation [Fondazione degli Alleati di Israele] (IAF) ha ricevuto una sovvenzione di più di 100.000 dollari [circa 85.000 €] dal governo israeliano. La IAF è un’organizzazione senza fini di lucro fondata nel 2007 per rafforzare la cooperazione tra forze filo-israeliane e governi in tutto il mondo. Nel 2014 l’associazione ha contribuito all’elaborazione della legge della Carolina del Sud contro il BDS, che vieta ad enti pubblici di firmare contratti con gruppi che boicottino Israele. L’IAF ha fatto pressioni su altri 25 Stati perché adottassero misure contro il BDS dopo che è stata approvata quella della Carolina del Sud.

L’IAF non ha dichiarato la sovvenzione (che probabilmente è illegale), ma non è sicuramente l’unica organizzazione del genere che riceve soldi da Israele. The Forward riferisce che dal 2018 11 gruppi filo-israeliani hanno ricevuto 6,6 milioni di dollari da quel governo. Ci sono regole pensate per cercare di evitare cose come il Foreign Agents Registration Act [egge per la registrazione di agenti stranieri] (FARA). Tuttavia Israele evidentemente utilizza società di facciata per aggirare questi fastidiosi dettagli. L’avvocato di Washington Amos Jones, che lavora su casi relativi al FARA, ha detto a The Forward: “Possono avere tutte le imprese fittizie che vogliono o comunque tu le voglia chiamare. Se si tratta di un’organizzazione o di un gruppo di persone stranieri, allora possono essere committenti stranieri, e dunque le persone che lavorino sotto la loro direzione all’interno degli Stati Uniti si devono registrare.”

Proviamo a fare un semplice esperimento mentale. Immaginate che un’associazione senza fini di lucro a favore della Russia accetti una sovvenzione dal governo di Putin, si schieri con dei politici USA e poi contribuisca a far approvare un certo numero di leggi che vietino, per esempio, di boicottare la vodka russa a favore dei diritti LGBTQ. Come reagirebbero i progressisti USA a un simile avvenimento? Quante ore di programmi dedicherebbe Rachel Maddow [nota conduttrice televisiva lesbica, ndtr.] a una storia simile?

Questo è ovviamente solo esempio del tutto inadeguato. Perché il confronto sia sensato, gli USA dovrebbero dare ogni anno 3,8 miliardi di dollari in aiuti militari alla Russia. La questione è già stata chiarita un sacco di volte, ma vale la pena di ripeterla in seguito a storie come questa: negli USA la gente può condannare le azioni di governi stranieri, ma non può in generale assumersene la responsabilità. Siamo tutti complici dell’apartheid israeliano.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)