Senza il via libera USA, Netanyahu rinvia l’annessione ma non rinuncia

Michele Giorgio

1 luglio 2020, Nena News  da Il Manifesto

Oggi avrebbe dovuto essere il giorno previsto dal governo israeliano per l’avvio della cosiddetta estensione di sovranità al 30% della Cisgiordania. Ma in assenza dell’ok definitivo da Washington, scrive la stampa locale, il premier congela il piano. Previste per oggi manifestazioni di protesta nei Territori Occupati, mentre cresce la contrarietà al piano dei democratici statunitensi

Non sarà il primo luglio la data di inizio dell’annessione unilaterale a Israele del 30% della Cisgiordania, ma nei Territori occupati si svolgeranno ugualmente le previste manifestazioni di protesta del «Giorno della rabbia» palestinese.

«Stiamo lavorando (all’annessione) e continueremo a lavorarci nei prossimi giorni», ha detto ieri il premier israeliano Netanyahu dopo aver incontrato l’ambasciatore Usa Friedman e l’inviato speciale americano Berkowitz. Oggi perciò non accadrà nulla. E sarà così per il resto della settimana, scriveva ieri il Jerusalem Post citando fonti americane.

In più di una occasione Netanyahu aveva indicato il primo giorno di luglio come quello dell’avvio dell’iter legislativo per «l’estensione della sovranità israeliana» su larghe porzioni di Cisgiordania, territorio palestinese che Israele ha occupato nel 1967 al termine della Guerra dei sei giorni. Ora frena ma non rinuncia. Non lo preoccupano più di tanto le critiche dell’Onu e gli ammonimenti dell’Ue. E neppure le esitazioni del suo principale partner di governo Gantz.

Gli occorre però il via libera definitivo degli Usa all’annessione che con ogni probabilità sarà limitata nella sua prima fase – quindi senza la Valle del Giordano – e completata nei prossimi mesi, prima delle presidenziali Usa di novembre quando il suo alleato Trump rischierà di lasciare la Casa Bianca al suo rivale democratico Biden. Il premier israeliano vede crescere nel Partito democratico il dissenso verso le politiche di Israele.

Ieri anche il senatore democratico Sanders, il rappresentante più noto e autorevole della corrente socialista nel suo partito, ha aggiunto il suo nome a una lettera, «Apartheid», contro il piano di Israele di annettere parti della Cisgiordania. Fatta circolare dalla deputata Alexandria Ocasio-Cortez, la lettera chiede di bloccare gli aiuti militari statunitensi a Israele se Netanyahu attuerà il piano di annessione che, si legge, creerebbe una realtà di apartheid in Cisgiordania.

Il testo di Ocasio-Cortez è diverso per contenuto e tono da una lettera anti-annessione più moderata diffusa all’inizio di giugno e firmata da oltre 190 deputati democratici della Camera dei rappresentanti, tra i quali persino storici alleati di Israele come Ted Deutch e Steny Hoyer. L’iniziativa non pare destinata a raccogliere un alto numero di firme. Tuttavia, assieme alla lettera diffusa all’inizio del mese scorso, conferma che tra i democratici il dibattito su Israele e palestinesi è più vivo che mai e si sta intensificando. E Joe Biden, pur rappresentando l’establishment tradizionale del partito, non potrà non tenerne conto.




L’inviato dell’ONU incolpa i palestinesi della morte di un bambino di Gaza

Maureen Clare Murphy

25 Giugno 2020 – Electronic Intifada

Durante il suo discorso al Consiglio di sicurezza di mercoledì l’inviato delle Nazioni Unite per il processo di pace in Medio Oriente ha incolpato implicitamente i palestinesi della morte di un bambino di 8 mesi a Gaza.

“I palestinesi di Gaza, avendo vissuto assediati e sotto il controllo di Hamas per più di un decennio, sono particolarmente vulnerabili”, ha dichiarato l’inviato Nickolay Mladenov, omettendo di menzionare Israele in quanto responsabile dell’assedio.

“La fine del coordinamento civile non permetterà loro di ricevere cure salvavita”, ha aggiunto Mladenov, in riferimento al fatto che l’Autorità Nazionale Palestinese sta riducendo i suoi rapporti con Israele in segno di protesta per il piano di quest’ultima di formalizzare l’annessione delle terre occupate della Cisgiordania.

“Un bambino di 8 mesi ha già perso la vita a causa di questa situazione”, ha detto Mladenov.

L’inviato dell’ONU si riferiva al caso di Omar Yaghi, un bambino con problemi cardiaci.

É morto il 18 giugno mentre la sua famiglia attendeva un permesso israeliano per recarsi fuori da Gaza per un intervento chirurgico.

“Ci deve assolutamente essere un limite quando si tratta della vita dei bambini!” ha detto l’indignato Mladenov, aggiungendo che l’ONU non può sostituire l’ANP nel suo ruolo di coordinamento con Israele.

Scaricando le colpe sui palestinesi, Mladenov esime Israele dai suoi obblighi legali.

Il diritto internazionale sostiene che Israele, in quanto potenza occupante, e non l’Autorità Nazionale Palestinese, è in ultima analisi responsabile del diritto alla salute dei palestinesi.

Paradigma fallito

L’errore nell’individuare i colpevoli compiuto da Mladenov non è sorprendente. Il suo ruolo di inviato delle Nazioni Unite è quello di applicare il paradigma fallito di una soluzione negoziata per due Stati invece di sostenere i diritti dei palestinesi.

Le sue osservazioni al Consiglio di sicurezza dell’ONU sull’annessione israeliana sono rivelatrici.

Invece di condannare l’annessione perché violerebbe i diritti dei palestinesi, Mladenov ha sottolineato che essa altererebbe potenzialmente “la natura delle relazioni israelo-palestinesi”. Ha anche detto che metterebbe a repentaglio “più di un quarto di secolo di sforzi internazionali a sostegno della possibilità di un futuro Stato palestinese”.

In altre parole, l’annessione israeliana sarebbe negativa perché minaccerebbe il paradigma dei due Stati, non perché allontanerebbe i palestinesi dalla loro terra e li sottoporrebbe a violazioni ancora più estreme dei loro diritti.

Nel frattempo, Mladenov non ha chiesto in maniera ferma la cessazione dell’assedio israeliano a Gaza.

Al contrario ha trattato i diritti più elementari dei palestinesi come oggetto di scambio all’interno della mediazione dei colloqui indiretti tra Israele e le autorità di Hamas a Gaza.

Invece di difendere i diritti umani dei palestinesi e sostenere il diritto internazionale, Mladenov ha dato la priorità alla conservazione dello status quo e alla ragion d’essere dell’Autorità Nazionale Palestinese, fungendo da braccio esecutivo dell’occupazione israeliana.

Nonostante la formulazione di Mladenov, è del tutto chiaro che quando si tratta di salute a Gaza la responsabilità ricada su Israele.

La scorsa settimana diverse organizzazioni per i diritti umani sono intervenute presso il Ministero della Difesa israeliano, invitandolo a consentire il trasferimento da Gaza “indipendentemente dal coordinamento con l’Autorità Nazionale Palestinese”.

Israele controlla i valichi lungo il suo confine con Gaza, hanno affermato le associazioni, e quindi la libertà di movimento dei palestinesi che vivono nel territorio.

“Quindi – hanno aggiunto – il diritto umanitario internazionale, le leggi sui diritti umani e il diritto israeliano assegnano ad Israele degli obblighi nei confronti di questa popolazione”.

Questa settimana iI Centro Palestinese per i Diritti Umani con sede a Gaza ha sottolineato che Israele è legalmente responsabile della protezione dei malati della Striscia di Gaza.

L’organizzazione ha invitato “la comunità internazionale a fare pressione sulle autorità israeliane … per garantire procedure adeguate e sicure” a favore dei pazienti di Gaza.

Il PCHR ha affermato che almeno 8.300 pazienti affetti da cancro sono danneggiati dalla sospensione del coordinamento sui viaggi.

Altre centinaia di pazienti “hanno bisogno di un intervento chirurgico urgente” che non è disponibile negli ospedali di Gaza, la cui efficacia è stata notevolmente ridotta dai 13 anni di assedio israeliano e dai successivi reati militari.

I medicinali e le forniture mediche sono cronicamente carenti, mentre negli ospedali mancano “le apparecchiature utilizzate per la radioterapia per i malati di cancro che le autorità israeliane hanno smesso di fornire alla Striscia di Gaza”.

“Israele è responsabile per i palestinesi”

Gli esperti sanitari hanno avvertito che il sistema medico di Gaza non sarebbe in grado di far fronte a un focolaio di COVID-19 nel territorio densamente popolato e impoverito.

“Le autorità israeliane [sono responsabili di] questo territorio anche per quanto concerne il diritto internazionale, quindi devono tenerlo sotto osservazione con grande cura”, ha detto recentemente a un giornale israeliano Yves Daccord, ex responsabile del Comitato Internazionale della Croce Rossa.

“Israele è responsabile dei palestinesi”, ha sottolineato in relazione all’impatto economico delle restrizioni dovute alla pandemia.

Oltre al piccolo Omar a giugno, dopo soli due mesi di vita, è morta Joud al-Najjar mentre la sua famiglia attendeva il permesso da Israele per accedere al trattamento dell’epilessia.

Così come per un altro bambino di Gaza, Anwar Harb, affetto da una malattia cardiaca.

Sono le vittime di un’insistenza miope su un processo di pace inesistente e del voler privilegiare un’ipotetica soluzione dei due Stati rispetto ai diritti delle persone in carne ed ossa, vive e in pericolo di vita.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Le forze israeliane uccidono un giovane palestinese mentre va al matrimonio di sua sorella

Akram Al-Waara

Abu Dis, Cisgiordania occupata

23 giugno 2020 – Middle East Eye

Ahmad Erekat stava andando a prendere sua madre, sua sorella e dei fiori quando gli hanno sparato a morte, dice la famiglia.

Era appena prima del suo matrimonio, e Eman Erekat stava ricevendo gli ultimi ritocchi ai capelli e al trucco nel salone di bellezza di Betlemme, quando il telefono di sua madre è squillato.

Sua madre ha risposto pensando di sentire suo figlio che diceva di essere là fuori pronto a portarle a casa. Invece ha sentito una voce dall’altra parte che le comunicava la tremenda notizia: suo figlio era stato ucciso.

Mentre stava andando a prendere sua madre e sua sorella, Ahmad, di 27 anni, era stato colpito e ucciso dalle forze israeliane al checkpoint militare ‘Container’, tra Betlemme e la casa della famiglia Erekat nella città di Abu Dis, fuori Gerusalemme est.

In una dichiarazione la polizia israeliana ha sostenuto che, quando è stato colpito, Ahmad aveva tentato di investire dei poliziotti israeliani che presidiavano il checkpoint. Sembra che una soldatessa sia rimasta lievemente ferita e sia stata trasferita in un ospedale di Gerusalemme.

Ma la sua famiglia ha detto di non poter assolutamente immaginare che Ahmad possa aver compiuto un simile attacco, ancor meno nel giorno delle nozze di sua sorella.

Quando abbiamo saputo la notizia non ci potevamo credere. Siamo ancora sotto shock”, ha detto a Middle East Eye Emad Erekat, cugina di Ahmad. “Ahmad non avrebbe mai potuto progettare di attaccare i soldati, come loro sostengono.”

La spiegazione più logica dello sbandamento fuori strada dell’auto di Ahmad, ha detto la famiglia, è che Ahmad aveva sicuramente fretta, e potrebbe aver avuto un lieve guasto o aver perso il controllo dell’auto, cosa che i soldati hanno scambiato per un attacco.

Aveva tempi stretti per prendere sua sorella, i fiori e tante altre cose da Betlemme”, ha detto Emad, aggiungendo che Ahmad guidava un’auto a noleggio con targa palestinese, che ha affittato apposta per fare acquisti nel giorno del matrimonio.

Siamo certi al cento per cento che non avrebbe mai fatto ciò. Perché avrebbe dovuto farlo nel giorno delle nozze di sua sorella?”, si chiede Emad.

Gli hanno sparato senza nemmeno pensarci’

Ad Abu Dis centinaia di familiari ed amici si sono radunati presso la casa degli Erekat per piangere la morte di Ahmad che, secondo la sua famiglia, era fidanzato e aveva programmato di sposarsi proprio il mese prossimo.

Nessuno qui riesce a crederci, la gente è sconvolta”, dice Emad. “Sua sorella Eman è svenuta quando ha saputo la notizia. Non riesce nemmeno a parlare, è in totale stato di shock”.

Doveva essere il giorno più felice della sua vita, ma ora è diventato il giorno del funerale di suo fratello”, afferma.

La cugina di Ahmad Noura Erekat, avvocatessa per i diritti umani e docente associata presso la Rutgers University del New Jersey, nel tardo pomeriggio di martedì ha condiviso i suoi pensieri con una serie di commossi post su Twitter.

Mentite. Uccidete. Mentite. Questo è il mio cuginetto”, ha detto.

Gli unici terroristi sono i vigliacchi che hanno sparato per uccidere un bellissimo giovane e lo hanno accusato di questo”.

E’ stato riferito che testimoni oculari della scena hanno detto all’agenzia [palestinese] M’an News che “ciò che è accaduto al [posto di controllo] ‘Container’ non è stato un tentativo di investire (i soldati), bensì l’auto ha sbattuto sul bordo dello spartitraffico dove si trovavano i soldati, facendo sì che le forze d’occupazione israeliane sparassero all’automobile.

Noi non abbiamo visto l’accaduto, ma pensiamo che Ahmad abbia perso il controllo dell’auto per un secondo, e quindi i soldati gli hanno subito sparato senza pensarci due volte”, ha detto Emad.

Organi di informazione locali palestinesi hanno riferito che Ahmad è stato lasciato steso in terra per molto tempo e non ha ricevuto cure mediche dai soldati. Quando le ambulanze israeliane sono arrivate, riportano le notizie, Ahmad era già morto.

Lo hanno lasciato morire’

Un video diffuso sui social media, presumibilmente ripreso da un testimone oculare dell’incidente, mostra Ahmad ferito che giace a terra, curvo in posizione fetale, con una scia di sangue che gli esce dal corpo.

Si vede una soldatessa che cammina avanti e indietro dinanzi a Ahmad con il fucile puntato, mentre dietro la sua auto si forma una fila di auto palestinesi in attesa di attraversare il checkpoint.

Si sente l’uomo che sta filmando dire: “Sono le 15,50 al ‘Container’, un giovane uomo è stato appena fatto diventare un martire. Gli hanno sparato proprio qui davanti a noi. Che riposi in pace.”

L’uomo continua dicendo: “lo hanno lasciato steso in terra finché è morto”.

L’uccisione di Ahmad non è certo la prima di questo genere. Negli scorsi anni in tutta la Cisgiordania e a Gerusalemme est centinaia di palestinesi sono stati uccisi nel corso di presunti attacchi col coltello e con le auto ai checkpoint.

In parecchi casi le famiglie delle vittime palestinesi e i testimoni hanno sostenuto che i presunti “aggressori” sono stati colpiti dopo che incidenti stradali di poco conto sono stati scambiati per attacchi a soldati e coloni israeliani.

Tante persone sono state uccise a questo checkpoint”, dice a MEE Khuthifa Jamus, un’amica di Erekat. “Se sei palestinese, qualunque movimento sbagliato ad un checkpoint può farti uccidere”.

Ci ammazzano a sangue freddo e poi dicono che stavano solo difendendosi”, ha aggiunto Jamus.

Uccisi a sangue freddo’

Da molto tempo i soldati israeliani sono accusati da attivisti e associazioni per i diritti di uso eccessivo della forza contro palestinesi che nel momento in cui sono stati uccisi non costituivano un’immediata minaccia alla vita dei soldati.

Recentemente a Gerusalemme est la polizia israeliana ha sparato e ucciso Eyad al-Halak, un uomo palestinese autistico, mentre stava scappando dai poliziotti. Al-Halak era disarmato e la sua uccisione ha sollevato una diffusa indignazione in tutta la Palestina e all’estero, molti hanno paragonato la sua morte all’uccisione da parte della polizia di George Floyd negli Stati Uniti.

Quest’uomo è stato ucciso a sangue freddo. Stasera c’era il matrimonio di sua sorella”, ha detto martedì il segretario generale dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina in una dichiarazione.

Quel che sostiene l’esercito di occupazione (l’esercito israeliano), cioè che tentava di investire qualcuno, è falso”, ha detto Erekat, un parente di Ahmad.

L’uccisione di Ahmad avviene in un contesto di accresciuta presenza dei soldati israeliani nei territori occupati in quanto Israele si prepara all’annessione [di parti della Cisgiordania, ndtr].

Mentre i generali dell’esercito israeliano prevedono una fiammata di violenza a causa delle politiche israeliane, molti soldati hanno elevato il livello di allerta per presunti attacchi da parte di palestinesi.

Anche se Ahmad avesse compiuto un attacco, cosa che non era, il problema è che i soldati e questi checkpoint prima di tutto non dovrebbero essere qui”, ha detto una commossa Jamus. “Questa è la colpa dell’occupazione, stare qui e ucciderci senza ragione, continuamente.”

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Il Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ammonisce Israele a rinunciare ai piani di annessione

23 giu 2020 – Al Jazeera

L’alto rappresentante dell’ONU afferma che una simile mossa sarebbe “devastante” per le speranze di nuovi colloqui e sull’eventuale soluzione dei due Stati.

Il Segretario Generale delle Nazioni Unite António Guterres ha invitato Israele ad abbandonare il piano di annessione di parti della Cisgiordania occupata, affermando che tale mossa sarebbe una “grave violazione del diritto internazionale”.

L’alto rappresentante dell’ONU ha formulato queste affermazioni martedì nel corso di una relazione al Consiglio di sicurezza, un giorno prima che la commissione, composta da 15 membri, si riunisse per l’incontro semestrale sul conflitto israelo-palestinese.

Il governo del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha dichiarato che il processo di annessione potrebbe avere inizio dal 1° luglio.

Nel documento, Guterres ha affermato che un’annessione israeliana sarebbe “devastante” per le speranze di nuovi negoziati e sull’eventuale soluzione dei due stati.

“Ciò sarebbe disastroso per palestinesi, israeliani e per la regione”, ha detto, aggiungendo che il piano è una minaccia contro “i tentativi di far progredire la pace nella regione”.

Le affermazioni di Guterres sono giunte il giorno dopo la protesta di migliaia di palestinesi a Gerico contro il piano israeliano, con una manifestazione alla quale hanno partecipato anche decine di diplomatici stranieri.

La scorsa settimana la leadership palestinese ha proposto un piano che mira a creare uno “Stato palestinese sovrano, indipendente e smilitarizzato”, con Gerusalemme est come capitale. Lascia inoltre la porta aperta a modifiche dei confini tra lo Stato proposto e Israele, così come a scambi di territori di uguale “dimensione, volume e valore – alla pari”.

La proposta palestinese è arrivata in risposta al controverso piano del presidente degli Stati Uniti Donald Trump che ha dato il via libera a Israele sull’annessione di ampie zone della Cisgiordania occupata, comprese le colonie considerate illegali ai sensi del diritto internazionale, e della Valle del Giordano.

Presentato alla fine di gennaio, il piano di Trump propone l’istituzione, sul restante mosaico di parti frammentate dei territori palestinesi, di uno Stato palestinese smilitarizzato, con l’esclusione di Gerusalemme est occupata. Il piano è stato respinto nella sua interezza dai palestinesi.

La riunione del Consiglio di sicurezza, che si terrà in videoconferenza, sarà l’ultima grande riunione internazionale sulla questione prima della scadenza del 1 luglio.

“Qualsiasi decisione sulla sovranità sarà presa solo dal governo israeliano”, ha detto martedì nel corso di una dichiarazione l’inviato israeliano alle Nazioni Unite Danny Danon.

I diplomatici si aspettano che mercoledì la stragrande maggioranza dei membri delle Nazioni Unite si opponga nuovamente al piano israeliano.

“Dobbiamo inviare un messaggio chiaro”, ha detto un inviato all’agenzia di stampa AFP [l’agenzia di stampa France Presse, ndtr.], aggiungendo che “non è sufficiente” limitarsi a condannare la politica israeliana, e ha prospettato la possibilità di portare il caso dinanzi alla Corte internazionale di giustizia.

Per decenni Israele ha goduto del sostegno bipartisan [sia dei democratici che dei repubblicani, ndtr.] degli Stati Uniti che gli ha permesso di ignorare le critiche internazionali e le numerose risoluzioni delle Nazioni Unite sulla sua occupazione dei territori palestinesi.

Quando Trump alla fine del 2017 ha cambiato la politica degli Stati Uniti riconoscendo Gerusalemme come capitale di Israele, 14 dei 15 membri del Consiglio di sicurezza hanno adottato una risoluzione di condanna dell’iniziativa, ma gli Stati Uniti hanno posto il veto.

Una risoluzione simile è stata quindi presentata all’Assemblea generale delle Nazioni Unite (UNGA), dove nessuna nazione ha il potere di veto: è stata approvata con 128 voti a favore, 9 contrari e 35 astensioni.

I diplomatici, tuttavia, sembrerebbero escludere la possibilità che per la prevista annessione Israele possa subire sanzioni, quali quelle imposte da alcuni Paesi dopo l’annessione della Crimea da parte della Russia.

“Qualsiasi annessione avrebbe conseguenze piuttosto gravi per la soluzione dei due Stati contenuta nel processo di pace”, ha detto un altro ambasciatore in forma anonima all’AFP.

Ma l’inviato ha affermato che non è un'”operazione semplice” mettere a confronto la Cisgiordania con la Crimea.

All’inizio di questo mese, centinaia di docenti e studiosi di diritto internazionale hanno firmato una lettera aperta che condanna il piano israeliano di annessione dei territori della Cisgiordania, definendolo una “flagrante violazione delle regole fondamentali del diritto internazionale e costituirebbe anche una grave minaccia alla stabilità internazionale in una regione instabile”.

Kevin Jon Heller, docente di diritto internazionale, ha dichiarato ad Al Jazeera che l’annessione prevista da Israele è “una chiara e sostanziale violazione del diritto internazionale, che vieta l’annessione dei territori presi con la forza”.

“L’annessione da parte di Israele delle alture del Golan e di Gerusalemme,” ha affermato Heller, “e il contemporaneo silenzio internazionale e arabo, l’hanno incoraggiato a intraprendere ulteriori azioni in quella direzione, come sta ora pianificando”.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Gli ebrei britannici esigono che la nuova ambasciatrice israeliana di destra non possa assumere l’incarico

22 giugno 2020 – Middle East Monitor

Circa 1.500 ebrei britannici hanno firmato una petizione in cui si chiede al governo di Boris Johnson di non accettare la nomina della ministra per le Questioni delle Colonie Israeliane, Tzipi Hotovely, come ambasciatrice di Tel Aviv a Londra perché “ha orribili precedenti di comportamenti razzisti e provocatori.”

Na’amod, un’organizzazione che dice di “cercare di porre fine all’appoggio della nostra comunità [ebraica] all’occupazione”, ha stilato la petizione che afferma: “I valori e la politica di Tzipi Hotovely non hanno posto nel Regno Unito. È fondamentale che il governo britannico invii il messaggio che le sue opinioni sono inaccettabili e rifiuti la sua nomina come ambasciatrice.”

Aggiunge che in passato Hotovely si è opposta pubblicamente ai rapporti tra ebrei ed arabi, ha definito “criminali di guerra” gli attivisti israeliani per i diritti umani ed ha accusato i palestinesi di essere “ladri di storia” che non hanno alcun patrimonio né legame con Israele-Palestina.

La settimana scorsa Israele ha nominato Hotovely nuova ambasciatrice nel Regno Unito, e alla fine della prossima estate sostituirà Mark Regev.

Nel 2015 Hotovely è stata nominata viceministro degli Esteri di Israele. In una conferenza a Gerusalemme si è vantata di aver trasformato, da quando ha assunto l’incarico, il ministero degli Esteri israeliano in un bastione dei diritti dei coloni, fatto che sta portando Israele verso l’annessione [del 30% della Cisgiordania, ndtr.].

Tutto il territorio che si trova a ovest del fiume Giordano può essere solo [proprietà] di una Nazione: il popolo ebraico,” ha affermato.

(traduzione dallo spagnolo di Amedeo Rossi)




Un’israeliana ricercata per crimini di guerra riceve un premio tedesco per la pace

Ali Abunimah

17 giugno 2020 – Electronic Intifada

I difensori dei diritti umani stanno invitando il Brückepreis tedesco a ritirare l’assegnazione del premio del 2020 a Tzipi Livni, politica israeliana che si è vantata del suo ruolo in crimini di guerra contro i palestinesi.

La motivazione del Bridge Prize [premio Ponte], com’è conosciuto in inglese, afferma che Livni viene premiata per aver promosso “la libertà di pensiero, la democrazia, l’apertura e l’umanità” e per “la sua politica di pace orientata alla libertà”.

Il premio viene assegnato a personaggi che abbiano dedicato il proprio operato alla democrazia e a una comprensione pacifica tra i popoli ed è accompagnato da un premio in denaro pari a 2.800 dollari [circa 2.500 euro].

Ma, lungi dal promuovere la pace, Livni è accusata di essere coinvolta in “crimini di guerra e crimini contro l’umanità commessi nella Striscia di Gaza assediata” quando era ministra degli Esteri di Israele durante l’attacco del 2008-09 contro Gaza, come ha scritto martedì l’associazione per i diritti umani Euro-Med Monitor in una lettera al presidente del Brückepreis Willi Xylander.

Livni “durante l’operazione, condannata a livello internazionale, operò incessantemente per mascherare l’aggressione di Israele contro la popolazione civile di Gaza,” aggiunge la lettera, sottolineando che l’attacco israeliano costò la vita a 1.400 palestinesi, in grande maggioranza civili.

Vero teppismo”

Livni non si è neppure mai vergognata del suo ruolo e del suo appoggio al massacro di Gaza. Nel gennaio 2009 dichiarò ai media israeliani: “Come auspicavo, nel corso delle recenti operazioni Israele ha dimostrato un vero teppismo.”

Anche il rapporto Goldstone, la commissione d’inchiesta indipendente dell’ONU sull’attacco, cita le affermazioni di Livni: “Israele non è un Paese su cui puoi sparare missili senza che reagisca. È un Paese che, quando spari ai suoi cittadini, risponde scatenandosi, e ciò è positivo.”

E invece di promuovere la democrazia, Livni ha appoggiato la pulizia etnica dei cittadini palestinesi di Israele per rendere la popolazione di Israele ancor più esclusivamente ebraica. Ex-ministra della Giustizia, Livni ha anche detto ai negoziatori palestinesi: “Io sono contraria alle leggi – in particolare a quelle internazionali. Contro le leggi in generale.”

Non pare proprio che queste siano le credenziali di una persona che meriti riconoscimenti per aver contribuito alla pace e la comprensione a livello internazionale.

Perseguita per crimini di guerra

In parecchie occasioni Livni ha dovuto sfuggire all’arresto o agli interrogatori da parte di autorità giudiziarie che cercavano di inquisirla per crimini di guerra nel Regno Unito, in Svizzera e in Belgio.

Assegnare il Brückepreis a una politica israeliana accusata di crimini di guerra “contribuirebbe a ripulire l’immagine dei crimini dell’occupazione israeliana a danno dei palestinesi e incentiverebbe ulteriormente i politici israeliani ad accentuare le atrocità contro i palestinesi, sapendo che tali brutalità non danneggerebbero la loro posizione internazionale,” aggiunge Euro-Med Monitor.

Eppure tristemente in Germania la classe dirigente continua a credere che offrire un appoggio incondizionato a Israele indipendentemente da quali crimini commetta ed elogiare i criminali di guerra israeliani sia un modo per espiare l’uccisione da parte del governo tedesco di milioni di ebrei europei. La vera lezione da trarre dai crimini della Germania dovrebbe essere che nessuno possa sfuggire al dover rendere conto dei crimini di guerra, compresa Tzipi Livni.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Docenti di studi ebraici: “Rifiutiamo l’apartheid, l’annessione e l’occupazione”

Oren Ziv

16 giugno 2020 – +972

Oltre 500 docenti di studi ebraici firmano una petizione contro i piani di annessione di Israele che, affermano, consolideranno la “situazione di apartheid” nei territori occupati.

Oltre 500 docenti di studi ebraici di tutto il mondo hanno firmato una petizione contro i piani del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu di annettere una buona parte della Cisgiordania occupata.

Secondo la petizione, che è stata pubblicata in inglese, ebraico e arabo, “la prosecuzione del l’occupazione e l’intenzione dichiarata dell’attuale governo israeliano di annettere parti della Cisgiordania, determineranno formalmente (de jure) la creazione di condizioni di apartheid in Israele e Palestina “.

“In questo momento storico di svolta, ancora incerto e pericoloso”, afferma la petizione, “rifiutiamo l’annessione e l’apartheid, il razzismo e l’odio, l’occupazione e la discriminazione. Ci impegniamo per una cultura aperta di studio, cooperazione e critica sulla questione israelo-palestinese. “

Non è chiaro quanto della Cisgiordania occupata, se non di tutta, Netanyahu annuncerà formalmente l’annessione. Il primo ministro ha ripetutamente dichiarato la sua intenzione di annettere almeno il 30 % del territorio a partire dal 1 ° luglio.

Tra i firmatari vi sono importanti accademici del settore degli studi ebraici negli Stati Uniti, tra cui il rabbino Chaim Seidler-Feller dell’UCLA [Università della California di Los Angeles, ndtr.], il professore di Yale Samuel Moyn e Chana Kronfeld dell’UC Berkeley.

La petizione afferma inoltre che il governo israeliano ha chiarito che i palestinesi della Cisgiordania che sarà annessa a Israele non riceveranno la cittadinanza e che “i risultati più probabili … saranno un’ulteriore disparità di distribuzione delle risorse territoriali e idriche a vantaggio delle illegali colonie israeliane, una più estesa violenza di stato e [l’esistenza di] enclavi palestinesi parcellizzate sotto il completo controllo israeliano.”

In tali circostanze, prosegue la petizione, l’annessione “consoliderà un sistema antidemocratico giuridico separato e diseguale e una discriminazione sistematica contro la popolazione palestinese”, che secondo i firmatari equivarrà a una “situazione di apartheid”. Un tale passo, avvertono, porterà a un “inevitabile picco di antisemitismo e islamofobia, con una polarizzazione tra comunità minoritarie”.

Secondo Mira Sucharov, docente associata di Scienze politiche alla Carleton University di Ottawa, in Canada, i passi di Israele verso l’annessione segnalano una “ulteriore pericolosa tendenza verso l’ apartheid totale. I diritti territoriali e umani dei palestinesi sono a rischio. La democrazia in Israele sta subendo un ulteriore degrado.”

“L’annessione è la prosecuzione di processi di lungo periodo, ma rappresenta comunque una svolta molto pericolosa”, afferma il prof. Nitzan Lebovic della Lehigh University in Pennsylvania, uno degli accademici autori la petizione. “Siamo rimasti sorpresi dalla risposta immediata di molti firmatari”, afferma. “Non ci sono state obiezioni sulla parola ‘apartheid’. Questa è stata una risposta alla svolta a destra di Israele negli ultimi anni”.

“La questione non è solo la dichiarazione di annessione di Netanyahu, ma ciò che sta succedendo dal 1948, e in particolare dal 1967, con l’annessione di 64 km2 intorno a Gerusalemme insieme a decine di migliaia di palestinesi. L’annessione creerà due regimi politici e civili – uno per gli ebrei e uno per gli arabi. In termini di diritto internazionale, questo è stato definito come una prosecuzione del concetto di apartheid “.

Secondo Lebovic, l’annessione contribuirà a un incremento dell’antisemitismo, nonché dell’islamofobia e del razzismo contro altri gruppi minoritari. “L’annessione è vista come un passo unilaterale da parte dello Stato di Israele, ma avrà implicazioni per ogni ebreo nel mondo. Come docenti universitari, siamo ripetutamente chiamati a spiegare le azioni di Israele. L’annessione ci metterà in una posizione in cui non saremo in grado di spiegare perché Israele abbia deciso di istituzionalizzare il suo attacco al diritto internazionale. La comunità ebraica si trova nella posizione di dover dichiarare [di essere] un’identità distinta da Israele. Israele deve decidere se questo sarebbe un risultato desiderabile “.

Nel frattempo, 240 giuristi di tutto il mondo, incluso Israele, hanno firmato una petizione diversa contro l’annessione, affermando che costituirebbe una “flagrante violazione delle regole fondamentali del diritto internazionale e determinerebbe anche una grave minaccia alla stabilità internazionale in una regione instabile “.

Oren Ziv è fotoreporter, membro fondatore del collettivo di fotografia Activestills [collettivo di fotografi impegnato nel sostegno dei diritti dei popoli oppressi con particolare riguardo ai palestinesi, ndtr.] e redattore dello staff di Local Call [versione in lingua ebraica di +972 , ndtr.]. Dal 2003 ha documentato una serie di questioni sociali e politiche in Israele e nei territori palestinesi occupati, con particolare attenzione alle comunità di attivisti e alle loro lotte. I suoi reportage si sono concentrati sulle proteste popolari contro il muro e le colonie, sulle case popolari e altre questioni socio-economiche, sulle lotte contro il razzismo e la discriminazione e sulla battaglia a favore della libertà degli animali.

(traduzione dall’inglese di Aldo lotta)




La Francia condannata dalla CEDU per il caso degli appelli al boicottaggio dei prodotti israeliani

Jean-Baptiste Jacquin

11 giugno – Le Monde

Alcuni militanti erano stati condannati dopo aver partecipato a due azioni nei pressi di Mulhouse. Ma la giustizia europea ritiene che rientrassero nell’ambito della libertà d’espressione, violata in questo caso dalla Francia.

Giovedì 11 giugno la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha condannato la Francia nel caso degli appelli al boicottaggio dei prodotti israeliani. Alcuni militanti erano stati condannati per incitamento alla discriminazione economica contro persone per la loro appartenenza a una Nazione. Questa decisione molto attesa contraddice la sentenza della Corte di Cassazione.

La Corte di Strasburgo ha giudicato all’unanimità che la Francia ha violato l’articolo 10 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo sulla libertà d’espressione. Ricorda che questo articolo “non consente in nessun modo limitazioni alla libertà d’espressione nel campo del dibattito politico o di questioni d’interesse generale. Per sua natura il dibattito politico spesso è virulento e fonte di polemiche. Ciò non toglie che sia d’interesse pubblico, salvo che degeneri in un appello alla violenza, all’odio o all’intolleranza.”

I fatti risalgono al 26 settembre 2009 e al 22 maggio 2010, quando alcuni militanti avevano partecipato a un’azione organizzata dal collettivo “Palestine 68” nell’ipermercato Carrefour di Illzach, nella periferia di Mulhouse (Alto Reno). Indossando magliette con lo slogan “La Palestina vivrà, Boicotta Israele”, avevano distribuito ai clienti dei volantini sui quali c’era scritto: “Acquistare i prodotti importati da Israele vuol dire legittimare i crimini a Gaza, approvare la politica condotta dal governo israeliano.”

Affermazioni che “si inseriscono in un dibattito contemporaneo”

Nella sua decisione la Corte Europea sottolinea che “le azioni e le affermazioni contestate ai ricorrenti riguardavano un argomento di interesse generale, quello del rispetto delle leggi internazionali pubbliche da parte dello Stato d’Israele e della situazione dei diritti dell’uomo nei territori palestinesi occupati, e si inseriscono nel dibattito contemporaneo, in corso in Francia come in tutta la comunità internazionale.” E aggiunge che “riguardavano l’espressione politica e militante.”

I giudici di Strasburgo si sono premurati di citare a questo proposito il relatore speciale delle Nazioni Unite sulla libertà di religione e di espressione. Durante l’Assemblea Generale dell’ONU del settembre 2019 egli ha ricordato che “nel diritto internazionale il boicottaggio è considerato come una forma legittima d’espressione politica e che le manifestazioni non violente di sostegno ai boicottaggi riguardano, in linea generale, la legittima libertà d’espressione che è necessario proteggere.”

I tribunali francesi hanno dato interpretazioni divergenti riguardo alle azioni condotte nel quadro della campagna internazionale lanciata dal movimento per il Boicottaggio, il Disinvestimento e le Sanzioni (BDS), alcuni con sentenze di condanna ed altri, come in questa causa il tribunale distrettuale di Mulhouse nel novembre 2011, di assoluzione. Carrefour non aveva presentato nessuna denuncia e durante le manifestazioni di Illzach non erano state rilevate affermazioni antisemite né violenze. Ma nel novembre 2013 la Corte d’Appello di Colmar aveva deciso in modo diverso condannando dodici militanti che avevano partecipato a quelle due azioni.

Una svolta” per l’avvocato del BDS

La Corte di Cassazione aveva chiuso la discussione nell’ottobre 2015 confermando questa condanna. Il supremo organo giurisdizionale francese aveva sentenziato che queste iniziative costituivano un reato di “incitamento alla discriminazione, all’odio o alla violenza contro una persona o un gruppo di persone a causa dello loro origine o della loro appartenenza a una determinata etnia, Nazione, razza o religione (articolo 24 della legge sulla libertà di stampa).

La sua motivazione era che discriminare dei prodotti provenienti da un Paese corrispondeva a discriminare delle persone, i produttori, in base alla loro origine. Per la Corte Europa tale interpretazione equivaleva a dire che “il diritto francese vieta ogni invito al boicottaggio di prodotti a causa della loro origine geografica, indipendentemente dal tenore di questo invito, dalle sue motivazioni e dalle circostanze nelle quali si inserisce.”

Secondo Antoine Comte, l’avvocato del BDS e di sei delle undici persone che si sono rivolte alla CEDU, “questa decisione della Corte Europea segna una svolta in un periodo in cui in Francia è stato introdotto un certo numero di limitazioni alla libertà d’espressione. Ciò restituisce ai cittadini la possibilità di discutere di questioni nazionali o internazionali e, se è il caso, di trarne appelli al boicottaggio.”

Dalla circolare del 2010 emanata da Michèle Alliot-Marie [di un partito politico gollista di destra, molto attiva nel difendere alcuni dittatori nei Paesi arabi, ndtr.], allora ministra della Giustizia del governo di François Filllon, rivolta all’insieme delle procure generali. La ministra chiese di perseguire sistematicamente e specificamente gli appelli al boicottaggio dei prodotti israeliani: “È imperativo assicurare da parte del pubblico ministero una risposta coerente e ferma a queste iniziative,” scrisse. Quando la campagna internazionale lanciata nel 2005 dal movimento ha riscosso una vasta risonanza in molti Paesi, la Francia è stato l’unico a voler condannare queste iniziative di boicottaggio in quanto tali.

Paradossalmente dopo la sentenza della Corte di Cassazione del 2015, che avrebbe dovuto fare giurisprudenza, le procure non hanno più avviato procedimenti giudiziari per istigazione alla discriminazione in seguito a nuove azioni della stessa natura. “Un po’ come se i pubblici ministeri stessero aspettando la decisione di Strasburgo,” ritiene Bertrand Heilbronn, presidente dell’associazione “France Palestine Solidarité”. Il tribunale di Alençon ha comunque emesso delle condanne, ma per il reato di intralcio all’esercizio di attività commerciali, in quel caso quelle di un supermercato.

La Federazione Internazionale dei Diritti dell’Uomo e la Lega dei Diritti dell’Uomo, che si erano associate al processo, in un comunicato si sono rallegrate che la decisione della CEDU “metta in evidenza che la critica alle autorità israeliane e l’uso di mezzi pacifici per opporsi alla loro politica non possono essere confuse con una manifestazione di antisemitismo”. Nel caso in cui queste manifestazioni diano luogo a violenze o a delle affermazioni antisemite, ciò continua ovviamente ad essere un reato penale.

(traduzione dal francese di Amedeo Rossi)




La Corte Penale Internazionale (CPI) continuerà a investigare i crimini di guerra israeliani nonostante gli accordi di Oslo

9 giugno 2020 – Palestine Chronicle

Il pubblico ministero Fatou Bensouda della Corte Penale Internazionale (CPI) ha annunciato ieri che continuerà le sue indagini sulle politiche di Israele relative ai palestinesi, nonostante l’ininterrotta applicazione degli accordi di Oslo del 1993, 

Questa dichiarazione è la risposta alla richiesta, presentata il 27 maggio, della Camera per il processo preliminare del CPI di chiarire l’attuale situazione degli accordi di Oslo e del loro impatto sull’inchiesta sui crimini di guerra israeliani.

Alcuni hanno messo in dubbio se la Corte internazionale possa investigare tali crimini dato che gli accordi di Oslo prevedono che Israele abbia la giurisdizione in materia penale nella Cisgiordania occupata, dimostrando così che non esiste lo Stato di Palestina e che quindi essa non possa presentare il caso alla CPI, come spiega il Jerusalem Post.

L’ANP ha detto che non sarebbe più legata dagli accordi di Oslo nel caso Israele procedesse il mese prossimo con la pianificata annessione della Cisgiordania occupata.

Bensouda ha espresso un’ulteriore preoccupazione circa l’impatto dell’annessione israeliana e ha affermato che una tale mossa da parte di Israele non avrebbe valore legale.

Se Israele procede con l’annessione, una violazione sostanziale degli accordi fra le due parti, si annullerebbero di conseguenza ciò che resta degli accordi di Oslo e tutti gli altri patti,” ha detto Riyad Al-Maliki, il ministro degli esteri palestinese.

Lo Stato di Palestina continuerà a cooperare con le istituzioni di diritto internazionale, inclusa la CPI, per combattere i crimini e punire chi commette gravi delitti contro i palestinesi per ottenere giustizia,” ha aggiunto Maliki.

Israele ha tempo fino al 24 giugno per rispondere alle osservazioni del pubblico ministero, ma, secondo il Jerusalem Post, potrebbe scegliere di non farlo per non dare legittimità alla CPI.

In dicembre l’ufficio del procuratore della CPI ha terminato un’inchiesta preliminare durata cinque anni sulla “situazione nello Stato di Palestina”, concludendo che ci sono fondati motivi per credere che nella Cisgiordania occupata siano stati o siano ancora commessi crimini di guerra.

Il 30 aprile, Fatou Bensouda, procuratrice capo della CPI, ha ripetuto che la Palestina è uno Stato e perciò la Corte ha giurisdizione legale per pronunciarsi su presunti crimini di guerra là commessi.

La dichiarazione è stata una risposta decisa all’intensa pressione esercitata da Israele e dai suoi sostenitori, specialmente la Germania, per delegittimare del tutto il procedimento nel suo complesso.

Comunque, la palla è ora alla Camera per il processo preliminare della CPI, da cui nelle prossime settimane si attende una risposta sui dubbi circa la giurisdizione.

(traduzione di Mirella Alessio)




La Corte Suprema israeliana: non si possono legalizzare colonie su terra palestinese rubata

9 giugno 2020 – Middle East Monitor

La [agenzia di notizie britannica] Reuter informa che martedì la Corte Suprema israeliana ha bocciato una legge che aveva legalizzato retrospettivamente circa 4.000 case di coloni costruite su terreni di proprietà privata palestinese nella Cisgiordania occupata.

Una giuria composta da nove giudici ha votato l’abrogazione della misura del 2017 in base alla quale i coloni potrebbero rimanere sulla terra se vi hanno costruito senza sapere in precedenza che era di proprietà di un palestinese o se le case sono state costruite su indicazione dello Stato. Otto giudici hanno votato a favore [della bocciatura] e uno contro.

Le associazioni per i diritti umani affermano che la misura, che è stata sospesa poco dopo l’approvazione in attesa che la Corte esaminasse i ricorsi contro di essa, aveva legalizzato più di 50 avamposti dei coloni costruiti senza l’approvazione del governo.

Nella sentenza del tribunale la presidentessa della Corte Suprema Esther Hayut ha scritto che la legge: “…indubbiamente viola i diritti di proprietà degli abitanti palestinesi dando la prevalenza agli interessi di proprietà dei coloni israeliani.”

Il partito Likud del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha affermato che è “deplorevole” che la Corte sia intervenuta su “una legge importante per le attività di colonizzazione e sul loro futuro” e che si attiverà per reintrodurla.

Ma il partner della nuova coalizione, Blu e Bianco, ha affermato che la legge “nella sua formulazione è in contrasto con il contesto istituzionale di Israele e al momento della sua approvazione i suoi problemi di carattere giuridico erano noti.”

Blu e Bianco ha detto: “Noi rispettiamo la sentenza dell’Alta Corte e garantiremo che venga applicata.”

Sotto Netanyahu il governo si è impegnato ad estendere la sovranità alle colonie ebraiche e alla Valle del Giordano in Cisgiordania, territori che Israele ha conquistato nella guerra mediorientale del 1967 e su cui i palestinesi intendono fondare il proprio Stato.

È previsto che il governo inizi a discutere l’annessione di fatto il 1 luglio, ma non è chiaro se il principale alleato di Israele, gli Stati Uniti, darà il via libera all’iniziativa. Lunedì Netanyahu ha affermato che gli USA non hanno ancora dato il loro consenso.

Le parole di Netanyahu sembrano contraddire quelle di importanti politici USA, compreso il segretario di Stato Mike Pompeo, che lo scorso mese, dopo un viaggio di un giorno in Israele, ha detto: “Il governo israeliano deciderà in merito a quando e come esattamente farlo.”

Ciò è avvenuto poche settimane dopo che l’ambasciatore USA in Israele David Friedman ha affermato: “Non stiamo dichiarando noi la sovranità, lo deve fare il governo israeliano. E poi noi siamo pronti a riconoscerla…Quindi dovete cominciare voi.”

I palestinesi hanno rifiutato la bozza di accordo per la pace del presidente USA Donald Trump in base al quale la maggior parte delle colonie israeliane verrebbe incorporata nel “territorio israeliano contiguo.”

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)