L’esercito israeliano è contrario all’annessione della valle del Giordano sostenuta dai suoi dirigenti politici

Adnan Abu Amer

28 aprile 2020 – Middle East Monitor

I generali israeliani hanno rivelato che l’annuncio dell’annessione della valle del Giordano e di colonie in Cisgiordania porterà al collasso dei servizi di sicurezza palestinesi, perché essi perderanno il controllo della popolazione e verranno visti come collusi con l’occupazione. Inoltre il piano di annessione darà come risultato il collasso della stessa ANP [Autorità Nazionale Palestinese, ndtr.] perché dimostrerà ai palestinesi il suo fallimento nel processo politico, anche se questo dovesse significare che l’opinione pubblica palestinese si rivolga ad Hamas, che sta cercando di trarre vantaggio dall’eventuale caos relativo alla sicurezza in Cisgiordania.

Stanno emergendo sempre più voci di un certo numero di ex- importanti generali e dirigenti dell’esercito e dei sistemi di sicurezza israeliani secondo i quali ogni decisione di annettere la Cisgiordania costituisce una minaccia per il destino degli israeliani e Israele potrebbe non essere in grado di affrontare le conseguenze di una simile iniziativa. Tuttavia ai sostenitori del piano di annessione non interessa quello che potrebbe succedere il giorno dopo, intendono semplicemente soddisfare i propri desideri, benché ci siano ancora molte questioni irrisolte.

Molti generali israeliani credono che i risultati di un qualunque processo di annessione, totale o parziale, provocheranno reazioni che Israele non sarà in grado di affrontare o gestire, soprattutto perché il danno provocato dall’annessione avrà un effetto domino. Porrà una minaccia alla sicurezza dello Stato, alla sua economia e ai suoi rapporti con i vicini arabi.

Oltretutto il fatto che i decisori politici israeliani non ascoltino le raccomandazioni di chi ha l’esperienza nel prevedere le conseguenze del piano di annessione suggerisce una mancanza di responsabilità, perché questi esperti stanno dicendo che riprendere il controllo israeliano sui palestinesi costerà al bilancio israeliano circa 14, 8 miliardi di dollari.

L’attuale capo di stato maggiore dell’esercito israeliano, Aviv Kochavi, ha manifestato la propria irritazione nei confronti del suo ministro della Difesa, Naftali Bennett [della coalizione di estrema destra dei coloni “Nuova Destra”, ndtr.] per aver posto le basi dell’annessione senza averlo coinvolto in questi sforzi. Ciò ha implicato radunare importanti ufficiali di vari settori dell’esercito, dell’amministrazione civile e del coordinatore israeliano delle attività di governo nei territori occupati [enti israeliani che gestiscono i territori palestinesi, ndtr.] ed esperti di diritto e chiedere loro di preparare una serie di scenari per annettere la valle del Giordano e alcune colonie.

Sul terreno la decisione di annettere la valle del Giordano e altre zone porterà a proteste di massa da parte dei palestinesi e indebolirà la Giordania a causa della diffusione di caos e disordini che potrebbero avvenire sul suo territorio. Ciò potrebbe consentire l’ingresso nel Paese dell’influenza iraniana, lasciando Israele senza confini sicuri mentre sulla sua porta di casa si insedierebbero milizie filo-iraniane.

Ci sono stime secondo cui l’annuncio da parte di Israele di un piano per l’annessione della valle del Giordano sia una finzione da sbandierare e serva come messaggio all’opinione pubblica israeliana secondo cui la valle del Giordano è ancora presente nell’agenda politica del partito. Pertanto l’idea dell’annessione di un terzo della Cisgiordania riappare quando si inizia a parlare di elezioni e poi viene subito accantonata e ritirata dopo il voto.

L’appello israeliano ad annettere la valle del Giordano è un’implicita manifestazione della mancanza di volontà di raggiungere un accordo politico con i palestinesi, in quanto tale annessione danneggia l’accordo di pace con la Giordania e l’Egitto, oltre alle minacce che i palestinesi interrompano il coordinamento per la sicurezza con Israele.

Si prevede che annettere la Cisgiordania senza un accordo con l’ANP danneggerà seriamente il progetto sionista. Non c’è modo di ottenere un’annessione, ridotta o estesa, o di dire che l’annessione includerà solo la “Zona A” della Cisgiordania o le colonie ebraiche al suo interno.

Il danno diretto risultante dall’annessione è la cessazione del coordinamento per la sicurezza con l’ANP, che non sarà in grado di sopravvivere, obbligando l’esercito israeliano a schierarsi in tutta la Cisgiordania. A quel punto è difficile immaginare gli scenari previsti. Si potrebbe assistere alla fine del sogno sionista perché la comunità internazionale considererebbe Israele una nuova versione del regime di apartheid sudafricano.

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Il presidente israeliano chiede al parlamento di scegliere il primo ministro

16 aprile 2020 Al-Jazeera

Netanyahu e Gantz, rispettivamente leader dei partiti Likud e Blu e Bianco, dicono che continueranno i negoziati per formare un governo di unità nazionale di “emergenza”.

Il presidente di Israele ha chiesto alla Knesset di scegliere un nuovo primo ministro e ha concesso al parlamento tre settimane per giungere a un’intesa su un leader o, fatto senza precedenti, costringere il Paese alla quarta elezione consecutiva in poco più di un anno.

Reuven Rivlin ha preso questa decisione dopo che Benny Gantz e Benjamin Netanyahu non sono riusciti a raggiungere un accordo entro la scadenza della mezzanotte. 

Ciò nonostante Netanyahu e Gantz hanno detto che continueranno i loro negoziati per formare un governo unitario d’ “emergenza” e guidare il Paese durante la crisi da coronavirus.

Ora le due parti hanno ufficialmente tre settimane per trovare un accordo, altrimenti la Knesset verrà sciolta e si andrà a ulteriori elezioni.

Concludere un accordo?

Lunedì Reuven Rivlin il presidente che sovrintende ai colloqui, ha detto che gli sviluppi giustificavano la sua decisione di concedere a Gantz altri due giorni per trovare un compromesso.

Ma il mandato di Gantz è scaduto a mezzanotte di mercoledì dopo un tentativo dell’ultima ora compiuto dagli inviati dei due leader. Ciò complicherà i piani per la ripresa economica, quando la pandemia sarà sotto controllo e si allenterà il rigido lockdown imposto al Paese.

Giovedì mattina Netanyahu e Gantz hanno rilasciato una dichiarazione congiunta dicendo che avrebbero continuato i negoziati più tardi in giornata. Tecnicamente i colloqui potrebbero continuare fino allo scioglimento formale del parlamento.

Gantz aveva detto in precedenza che non avrebbe fatto parte di un governo guidato da Netanyahu che, pur respingendo ogni accusa, deve affrontare un’imputazione di corruzione. L’inizio del processo è previsto per il prossimo mese.

Ma l’enormità della crisi da coronavirus ha spinto Gantz a infrangere la promessa fatta durante la sua campagna e a prendere in considerazione un accordo, decisione che ha irritato molti dei suoi sostenitori anti Netanyahu.

Il risultato sembra aver indebolito Gantz e rafforzato Netanyahu, il cui governo provvisorio sta gestendo la risposta alla crisi.

Dato che Gantz non ha più il “mandato” conferitogli dal presidente Netanyahu potrebbe andare in cerca di altre opzioni. 

In totale 59 parlamentari su 120 hanno appoggiato Netanyahu, a cui mancano pochi voti per ottenere la maggioranza. Continuando a dialogare con Gantz potrebbe anche cercare di convincere altri due membri dell’opposizione nella speranza di mettere insieme un governo con una maggioranza risicata.

Lunedì un sondaggio trasmesso dal canale israeliano Channel 12 ha rivelato che se ci fosse un’elezione adesso, il Likud guadagnerebbe 4 seggi e arriverebbe a 40 sui 120 che compongono la Knesset, mentre l’indebolita alleanza Blu e Bianco di Gantz ne otterrebbe solo 19.

Secondo il sondaggio circa il 64% dei cittadini è soddisfatto del modo in cui Netanyahu sta gestendo la pandemia.

Israele ha registrato più di 12.500 casi di COVID-19 e almeno 130 decessi. Le restrizioni hanno confinato la maggioranza degli israeliani nelle loro case, costretto le aziende alla chiusura e fatto salire il tasso di disoccupazione a oltre il 25%.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Un viaggio nella storia di Vittorio Arrigoni

Chiara Cruciati

15 aprile 2020 Nena News

Quel «ritratto di un utopista» nel libro di Anna Maria Selini per Castelvecchi

A nove anni dalla sua uccisione Vittorio Arrigoni non smette di suggestionare. Con il suo fisico dirompente, le passioni partigiane che lo consumavano, la pipa, la kefiah al collo, il cappello da marinaio, tutto in Vittorio trasudava (trasuda) mito. Un mito mai fasullo né costruito, ma genuino, tangibile.

Il giorno in cui venne battuta la notizia del suo rapimento a Gaza, tanti pensarono fosse un errore. O almeno ci sperarono non era possibile altrimenti. Poi la notizia dell’uccisione, un pugno in faccia che non poneva fine all’incredulità. Sembrava sgretolarsi quel «Restiamo umani» che lo aveva reso celebre, che aveva permesso di segnare (e sognare) un percorso, lento e graduale, verso la fine di ogni ingiustizia.

NOVE ANNI dopo quel «Restiamo umani» è fortissimo, necessario. Per chi non lo ha conosciuto, bussola dentro la sua anima è il libro di Anna Maria Selini, Vittorio Arrigoni. Ritratto di un utopista, edito da Castelvecchi (pp.199, euro 18,50). La giornalista aveva intervistato Vik nel 2009, a lei il giovane di Bulgiaco aveva affidato alcune tra le sue parole più belle.

Il testo è un viaggio nella storia di Vittorio e affatto di riflesso dei luoghi che lo hanno visto camminare. La Palestina su tutti, Gaza è il cuore del racconto, il suo mare in barca con i pescatori e i suoi campi a fianco dei contadini. Ne esce un ritratto che rende Arrigoni ancora più vicino, non solo a chi ha percorso gli stessi spazi e trascorso del tempo con le persone che conosceva: un uomo timido, che scavava, che sentiva letteralmente il peso di ogni ingiustizia sul proprio corpo. Selini ne descrive i travagli, le gioie dopo ogni sbarco nella Striscia, il ruolo imprescindibile che ebbe in quegli anni nel raccontare Gaza e le offensive israeliane e l’assedio che la dilaniavano.

I suoi articoli per il manifesto furono specchio fedele di quel travaglio, pagine scritte con dolore, per nulla scontate né mai mera cronaca. Come scrive sua madre, Egidia Beretta, in Il Viaggio di Vittorio«nei precedenti viaggi aveva incontrato la povertà materiale o morale. In Palestina incontrò l’aspirazione alla libertà».

Selini racconta Vik nelle parole che lui stesso le aveva lasciato in precedenza, per arricchirle con numerose interviste a Egidia, ad amiche e amici palestinesi, italiani, spagnoli, a ex compagne, a giornalisti e attivisti. Completa la figura dell’utopista, ne traccia i lineamenti e la presenza di Vik, scorrendo le pagine, si fa palpabile, quasi leggendaria.

FINO AL RAPIMENTO e all’uccisione: la seconda parte del libro è dedicata alle ore terribili tra il 14 e il 15 aprile 2011 e poi al processo farsa che ne seguì. Del gruppo di salafiti – così vennero definiti vista la richiesta di liberazione di jihadisti detenuti da Hamas – che lo rapì e ammazzò, due furono uccisi pochi giorni dopo dalle forze di sicurezza di Hamas, gli altri vennero messi alla sbarra e condannati, per poi evadere da Gaza o vedersi dimezzata la pena.

Un colpo di spugna, su cui pesa come un macigno l’indifferenza delle istituzioni italiane (eccezione, la Procura di Roma che tentò di indagare nell’assenza totale di aiuto) che mai hanno assistito a un’udienza. Non avevano, dopotutto, nemmeno accolto il feretro all’arrivo in Italia né tantomeno partecipato ai funerali di un uomo che aveva fatto del proprio corpo la sua arma contro l’ingiustizia, la violenza sulla libertà, la negazione dell’umanità di un popolo.

Oggi, scrive Selini, Arrigoni si spenderebbe per i migranti in fuga, sempre dalla parte giusta della storia. A noi ha lasciato un motto che è molto di più di un semplice slogan, «Restiamo umani», un atto di introspezione che deve farsi battaglia collettiva.




Gli israeliani Netanyahu e Gantz “vicini ad un accordo” per porre fine allo stallo politico

14 aprile 2020 – Al Jazeera

I due rivali informano di progressi nei colloqui dopo che il presidente ha esteso di altre 48 ore il termine ultimo di Benny Gantz per formare un governo

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e il suo principale rivale, Benny Gantz, hanno affermato di aver raggiunto “significativi progressi” nella formazione di un governo d’emergenza per affrontare la crisi del coronavirus e porre fine allo stallo politico senza precedenti del Paese.

Il mandato di 28 giorni a Gantz per mettere insieme una coalizione di governo dopo le inconcludenti elezioni dello scorso mese avrebbe dovuto terminare alla mezzanotte di martedì [14 aprile], ma il presidente Reuven Rivlin, che sta supervisionando i colloqui per la coalizione, li ha estesi di due giorni.

Secondo il suo ufficio, Rivlin lo ha fatto “nella consapevolezza che si è molto vicini a raggiungere un accordo.”

Gantz e Netanyahu si sono incontrati durante la notte in un ultimo disperato tentativo di ricomporre le loro divergenze. Poi hanno fatto una dichiarazione congiunta affermando di aver fatto “significativi progressi”. Entrambi hanno stabilito di incontrarsi di nuovo con le rispettive equipe di negoziatori più tardi martedì mattina.

Dalle elezioni del 2 marzo, le terze di Israele in meno di un anno, sono state ripetutamente fatte dichiarazioni riguardo al progresso nei colloqui per una coalizione, ma un accordo è rimasto irraggiungibile. Il blocco ha prospettato la possibilità di una quarta tornata elettorale, complicando ogni piano di rilancio economico una volta che l’epidemia di coronavirus si riduca di intensità.

Nella corsa verso la fine del mandato, Gantz ha sollecitato Netanyahu a siglare un accordo o a rischiare di trascinare il Paese verso elezioni non augurabili in un momento di crisi nazionale.

“Netanyahu, questo è il momento della verità. O un governo nazionale d’emergenza o, dio non voglia, quarte elezioni costose ed inutili durante una crisi. La storia non perdonerà nessuno di noi se fuggiamo dalle nostre responsabilità,” ha detto in un discorso diffuso a livello nazionale dalla televisione.

Poi Netanyahu ha invitato Gantz nella sua residenza ufficiale per colloqui che sono andati oltre la mezzanotte di ieri. Mentre le elezioni dello scorso mese sono finite senza un chiaro vincitore, Gantz è stato appoggiato da una ridottissima maggioranza di parlamentari, portando Rivlin a dargli l’incarico di formare un governo.

Con la sua maggioranza parlamentare, Gantz ha iniziato a portare avanti una legge che avrebbe escluso Netanyahu, imputato di corruzione, dalla possibilità di essere nominato primo ministro in futuro.

In carica dal 2009, Netanyahu è il capo del governo più a lungo in carica nella storia di Israele e il primo ad essere imputato durante il suo mandato. Nega le imputazioni per corruzione, frode e abuso di potere presentate contro di lui in gennaio.

Durante tre durissime campagne elettorali Gantz ha affermato che non avrebbe mai fatto parte di un governo guidato da Netanyahu finché questi avesse dovuto affrontare accuse di corruzione. Ma Gantz ha affermato che la gravità della crisi di coronavirus lo ha convinto a cambiare la sua posizione – una decisione che ha attirato pesanti critiche da parte dei suoi sostenitori e provocato lo sgretolamento della sua alleanza, “Blu e Bianco”.

Se fallissero i negoziati prolungati, la Knesset, o parlamento israeliano, avrà tre settimane per scegliere un candidato a primo ministro tra le sue file. Se fallisse anche questo, ci dovranno essere le elezioni. Ciò significherebbe una lunga crisi politica in un momento in cui il Paese sta affrontando l’epidemia di coronavirus.

Israele ha registrato più di 11.500 casi e almeno 116 morti dovuti alla malattia, che ha paralizzato l’economia e portato la disoccupazione a un livello record.

Lunedì, per contrastare la diffusione del coronavirus, Netanyahu ha disposto un bando sugli spostamenti tra le città per gli ultimi giorni delle feste pasquali di questa settimana.

Le restrizioni già in vigore hanno confinato la maggior parte degli israeliani nelle loro case per settimane, obbligando molte attività economiche a chiudere e portando il tasso di disoccupazione a oltre il 25%.

Netanyahu ha affermato che il suo governo potrebbe formulare una “strategia d’uscita” entro questo fine settimana, ma ha avvertito che le limitazioni all’economia e all’educazione saranno ridotte gradualmente e che non ci sarà un ritorno totale alla normalità prima che venga scoperto un vaccino contro il coronavirus.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Hamas rifiuta le condizioni israeliane per gli aiuti a Gaza contro il coronavirus

Adnan Abu Amer

10 aprile 2020 Middle East Monitor

Nei giorni scorsi, Hamas e Israele hanno avuto un evidente scontro sulla fornitura di assistenza medica alla Striscia di Gaza per contrastare il coronavirus, poiché come condizione dell’assistenza medica Israele ha posto il ritorno dei suoi soldati catturati nella guerra del 2014. I media israeliani hanno chiesto a Hamas di liberare i soldati in cambio degli aiuti per combattere il coronavirus.

Da parte sua, Hamas ha annunciato tramite il suo leader a Gaza, Yahya Al-Sinwar, che otterrà quanto serve alle necessità umanitarie con la forza, minacciando che “sei milioni di israeliani potrebbero smettere di respirare” se Israele non sarà disposto a rifornire la Striscia di Gaza dei respiratori necessari ai pazienti con coronavirus.

Al-Sinwar ha lasciato anche intendere che Hamas potrebbe fare una concessione in merito all’accordo di scambio se sarà permesso l’ingresso di forniture per migliorare le condizioni di vita e l’assistenza medica a Gaza nonché il rilascio dei prigionieri palestinesi anziani, malati, minori e donne. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha risposto incaricando Yaron Bloom, coordinatore israeliano dei prigionieri di guerra e prigionieri israeliani MIA [missing in action, dispersi durante una azione, ndtr], di avviare i colloqui necessari per riprendere il negoziato di scambio di prigionieri con Hamas.

Questo tira e molla significa che sarà possibile un incremento di violenza tra Hamas e Israele, perché le fazioni palestinesi cercheranno di fare pressione su Israele affinché conceda l’ingresso di forniture mediche e assistenza sanitaria a Gaza per combattere il coronavirus. Alcuni giorni fa sono stati lanciati dei missili da Gaza contro Israele e questo solleva degli interrogativi, se entrambe le parti si indirizzeranno ad un’escalation militare o se raggiungeranno un accordo di scambio. Assisteremo a uno scontro militare non voluto durante questa disastrosa situazione sanitaria a Gaza e in Israele, o alla fine avranno luogo negoziati per raggiungere un nuovo accordo di scambio di prigionieri tra le parti?

Alcuni giorni fa l’esercito israeliano ha annunciato di aver bombardato le postazioni di Hamas nella Striscia di Gaza, in risposta a un missile sparato contro gli insediamenti intorno a Gaza. Migliaia di israeliani si sono precipitati nei rifugi, anche se era la prima aggressione dall’inizio dell’emergenza coronavirus a febbraio, con palestinesi e israeliani chiusi nelle loro case per fermarne la diffusione.

Nessuna delle fazioni palestinesi ha rivendicato il lancio di missili, ma il bombardamento israeliano delle postazioni di Hamas è per via del controllo di Hamas su Gaza. Le fazioni palestinesi hanno affermato che Israele stesse approfittando della preoccupazione del mondo nella lotta al coronavirus per intensificare il blocco su Gaza.

L’atmosfera nella Striscia di Gaza segnala che la crisi sanitaria, dopo l’individuazione di numerosi casi di coronavirus, potrebbe spingere Hamas a fare pressione su Israele perché allenti il blocco su Gaza. Alcuni gruppi israeliani hanno profilato un cupo scenario simile al Giorno del Giudizio, con Gaza che esplode in faccia a Israele un diffuso contagio di coronavirus.

Hamas ha ripetutamente affermato che sotto il blocco israeliano Gaza vive in condizioni catastrofiche e che solo Israele è responsabile del suo prolungamento. Hamas è in contatto con dei mediatori per costringere Israele a revocare il blocco su Gaza, alla luce della pandemia di coronavirus che aggrava la situazione – segnalando che il lungo blocco di Gaza non favorisce il mantenimento della calma nei sistemi di vigilanza. Hamas non ha esplicitamente ammesso la sua responsabilità nel lancio di missili contro Israele, ma non ha negato, ammantando la questione di mistero e ambiguità.

La Commissione di Monitoraggio del governo guidato da Hamas nella Striscia di Gaza ha dichiarato che le autorità governative di Gaza hanno bisogno di supporto dall’interno e dall’esterno per affrontare il virus. Ha annunciato la distribuzione di un milione di dollari in fondi di emergenza urgenti a 10.000 famiglie a basso reddito colpite dai provvedimenti, e l’assunzione di 300 nuovi membri del personale per il Ministero della Sanità di Gaza. Il leader di Hamas Ismail Haniyeh ha discusso con alcuni partiti palestinesi, regionali e internazionali, gli effetti della diffusione del coronavirus in Palestina.

La posizione palestinese ammette che Hamas e Israele non hanno interesse a un’escalation militare sotto il coronavirus, e il lancio del missile da Gaza potrebbe far parte del caos nella sicurezza creato dai militanti armati che Hamas sta cercando di controllare. Inoltre, Israele teme la diffusione del virus a Gaza per paura che la comunità internazionale lo ritenga responsabile di Gaza; potrebbe quindi concedere alcune agevolazioni, come consentire l’ingresso di attrezzature sanitarie e forniture mediche di prevenzione, nonché mobilitarsi per un sostegno finanziario alla paralisi economica di Gaza a seguito allo scoppio della pandemia.

Le principali richieste di Gaza per affrontare il coronavirus sono forniture mediche: respiratori, kit per testare il virus, provviste alimentari e aiuti per gli abitanti di Gaza che soffrono i provvedimenti presi per combattere la pandemia.

Vale la pena notare che Gaza è in grado di gestire solo 100-150 casi di coronavirus, perché il suo sistema sanitario è fragile e non può prendere in carico grandi numeri. Ha uno scarso numero di ventilatori e letti per terapia intensiva, nonché una carenza di farmaci del 39%.

Anche se la recente escalation a Gaza potrebbe non essere collegata a una specifica organizzazione palestinese, potrebbe essere un messaggio che segnala che Israele ha la responsabilità di affrontare esaustivamente la situazione sanitaria a Gaza, dove ci sarebbe una grande catastrofe se il coronavirus si diffondesse tra la gente. Chiunque abbia lanciato i missili, sembra aver chiesto a Israele di revocare il blocco su Gaza. Israele è interessato a soddisfare il bisogno di salute e di vita di Gaza, perché se la pandemia si diffonde tra i palestinesi, li spingerà a lanciare e far scoppiare decine, se non centinaia, di missili. Potrebbero anche affollarsi al confine Israele-Gaza per salvarsi dalla pandemia.

Con il mantenimento delle prescrizioni per affrontare il coronavirus a Gaza, le autorità governative di Gaza affiliate ad Hamas stanno, tra le altre misure, sottoponendo i viaggiatori che ritornano a Gaza attraverso il valico di Rafah con l’Egitto e il valico di Beit Hanoun con Israele ad una quarantena obbligatoria di 21 giorni. Hanno anche chiuso tutte le moschee, università, scuole, mercati, sale per matrimoni e ristoranti fino a nuovo avviso. Stanno anche studiando la possibilità di imporre un coprifuoco completo, oltre a chiedere ai palestinesi di rimanere sempre in casa.

Tutte queste misure hanno contribuito alla crescente sofferenza di gruppi vulnerabili come autisti, impiegati di sale per matrimoni, ristoranti e bar. Forse la sovvenzione mensile del Qatar di 100 dollari distribuita a 100.000 famiglie bisognose a Gaza riduce relativamente l’effetto dell’assedio israeliano e allevia il deterioramento della situazione economica di Gaza; la sovvenzione del Qatar faceva parte degli accordi umanitari concordati tra Hamas e Israele nell’ottobre 2018.

In questi giorni, il Qatar ha annunciato che avrebbe fornito 150 milioni di dollari in sostegno finanziario alla Striscia di Gaza per un periodo di sei mesi, per alleviare le sofferenze dei palestinesi e per aiutare a combattere il coronavirus, senza chiarire la natura della distribuzione della sovvenzione né i beneficiari.

Nel frattempo, il Ministero dello Sviluppo Sociale di Gaza ha fornito tutti i pasti a coloro che sono stati messi in quarantena nei centri sanitari, per un totale di 6.000 pasti al giorno. Il Ministero fornisce anche le risorse necessarie ai soggetti in quarantena, come frigoriferi, elettrodomestici e utensili per la casa. Il Ministero ha anche registrato il numero di famiglie colpite dallo stato di emergenza imposto dal coronavirus; queste famiglie saranno raggiunte e aiutate.

Tutto ciò conferma peraltro che le condizioni sanitarie ed economiche a Gaza sono disastrose, le necessità fondamentali dei palestinesi non sono coperte e ciò che le agenzie internazionali e l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) forniscono è solo una piccola parte del necessario. Le agenzie governative di Gaza forniscono cibo e bevande a 1.600 palestinesi in centri di quarantena; queste agenzie soffrono da tempo di un grave deficit economico, che richiede un’urgente iniezione di finanze.

Il lancio di un missile da Gaza verso Israele potrebbe essere il messaggio palestinese a Israele che le condizioni a Gaza non sono accettabili e che qualsiasi tentativo israeliano di esimersi dal provvedere alle richieste umanitarie e sanitarie di Gaza potrebbe significare che nel prossimo futuro i missili aumenteranno. Tuttavia, è improbabile che si arrivi ad uno scontro a pieno titolo tra Hamas e Israele, piuttosto ad un processo di progressiva intensità, per diversi giorni, se il virus si diffondesse tragicamente a Gaza.

Middle East Monitor ha appreso da fonti palestinesi che Hamas ha inviato un messaggio a Israele attraverso dei mediatori regionali e internazionali: “Hamas considera Israele direttamente responsabile del deterioramento delle condizioni di vita e salute a Gaza e non rimarrà inerte di fronte alla diffusione del coronavirus, perché Hamas crede che Israele sia tenuto a agire per impedire il collasso del sistema sanitario, con aiuti diretti o attraverso l’ANP o le agenzie internazionali “.

Hamas non ha rivendicato il lancio di missili contro Israele e potrebbe non essere nel suo interesse impegnarsi in un esteso confronto militare. Tuttavia, l’attuale peggioramento delle condizioni nella Striscia di Gaza, l’aumento dei casi di coronavirus, la mancanza di attrezzature mediche sufficienti per esaminare i pazienti e la mancanza di supporto finanziario necessario per aiutare coloro che non possono lavorare in quanto costretti a rimanere a casa, possono intensificare l’effetto a catena. Hamas potrebbe decidere un incremento di violenza contro Israele per costringerlo a fornire le scorte insufficienti a Gaza. Hamas pensa che Israele corrisponderà alle sue richieste, per essere libero di affrontare la diffusione su larga scala del coronavirus tra gli israeliani.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor.

(traduzione dallinglese di Luciana Galliano)




Un gruppo di pressione democratico filo-israeliano si attribuisce i meriti del ritiro di Sanders e della raccolta fondi per mantenere la piattaforma democratica favorevole a Israele

Michael Arria 

9 aprile, 2020 – Mondoweiss

Il gruppo di pressione Democratic Majority for Israel [Maggioranza Democratica Per Israele] (DMFI) stamattina ha inviato un’email in cui festeggia il ritiro di Bernie Sanders dalla corsa per le presidenziali e prepara i propri sostenitori alla battaglia per mantenere la piattaforma dei Democratici su posizioni pro-israeliane.

L’email, scritta da Mark Mellman, il presidente DMFI, si attribuisce in parte il merito per il ritiro di Sanders. “Bernie Sanders ha sospeso la sua campagna per la presidenza” ha scritto Mellman. “Questa è una grande vittoria a cui voi avete contribuito.”

Prima del caucus in Iowa a gennaio, il DMFI aveva condotto nello Stato una campagna pubblicitaria anti-Sanders, ma il senatore del Vermont aveva comunque vinto nel voto popolare. Il gruppo aveva speso più di 800.000 dollari in annunci pubblicitari e con ciò aveva aiutato Sanders a raccogliere 1,3 milioni di dollari in un solo giorno.

Mellman dichiara che la prossima battaglia della lobby riguarderà le linee programmatiche dei Democratici. “Gruppi estremisti allineati con Sanders, così come alcuni dei suoi principali surrogati, comprese le congressiste Rashida Tlaib e Ilhan Omar, hanno dichiarato pubblicamente il loro tentativo di spostare la piattaforma su posizioni anti-Israele” scrive. Mellman fa notare che, mentre alcuni sminuiscono l’importanza delle linee programmatiche di partito, il GOP (Grand Old Party = partito repubblicano) è diventato effettivamente un partito anti-aborto dopo la modifica della sua piattaforma nel 1976. “Da politico di carriera vi dico che se quest’anno i Democratici adottano una piattaforma anti-israeliana, il vocabolario, i punti di vista e i voti dei politici si sposteranno drammaticamente contro di noi” scrive Mellman. “Semplicemente non possiamo permetterci di perdere questa battaglia.”

Nel 2016, i membri della campagna a favore di Sanders hanno insistito perché si menzionasse la richiesta di porre fine all’occupazione e all’espansione degli insediamenti. Tale tentativo venne alla fine respinto dal comitato incaricato di redigere la piattaforma con un voto di 8 a 5. Comunque, la piattaforma ha incluso espressioni relative allo Stato palestinese.

Il DMFI è stato fondato nel 2019 con donazioni di Democratici e insider per contrastare una crescente simpatia dentro il partito verso i palestinesi. Il luglio scorso hanno mandato una lista di punti di discussione a favore di Israele per i candidati Democratici da usare se, durante le tappe della campagna, avessero dovuto affrontare attivisti anti-occupazione. Il gruppo ha più volte affermato che senatori come Sanders e Omar sono estranei alle opinioni più diffuse sull’argomento, ma ci sono molti sondaggi che indicano che i votanti democratici sono più a sinistra del proprio partito sul tema Israele/Palestina. Infatti un recente sondaggio dell’Università del Maryland mostra che quasi la metà dei votanti democratici a conoscenza del movimento del BDS [Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni contro Israele] lo sostiene.

Michael Arria

Michael Arria è il corrispondente di Mondoweiss dagli Stati Uniti.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Israele trasforma in propaganda il plauso dell’ONU

Tamara Nassar

2 aprile 2020 – Electronic Intifada

Alcuni funzionari dell’ONU stanno elogiando Israele nonostante il modo in cui tiene i palestinesi in condizioni di scarsità di servizi sanitari basilari mentre affrontano la pandemia di COVID 19. António Guterres, segretario generale dell’ONU, si è persino rallegrato della cooperazione tra l’occupazione israeliana e l’Autorità Nazionale Palestinese nell’arginare la minaccia del nuovo coronavirus.

Come prevedibile, Il suo elogio è stato sfruttato per scopi propagandistici dal ministero degli Esteri israeliano.

Nikolay Mladenov, l’inviato ONU per il Medio Oriente, ha descritto il coordinamento come “eccellente”.

Il coordinatore per gli aiuti umanitari dell’ONU Jamie McGoldrick ha fatto eco alle lodi del suo collega.

Foglia di fico

Non solo l’ONU plaude al cosiddetto coordinamento per la sicurezza tra l’esercito israeliano e l’ANP, ma fornisce anche una foglia di fico a Israele per nascondere i suoi continui attacchi contro il diritto alla salute dei palestinesi.

Israele ha il dovere giuridico di garantire questo diritto. In quanto potenza occupante, in base al diritto internazionale Israele è obbligato a garantire ai palestinesi in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza le infrastrutture necessarie.

Invece per più di un decennio Israele ha ripetutamente compromesso e danneggiato il sistema sanitario di Gaza, riducendo sistematicamente la fornitura di cibo, carburante, medicinali e materiale da costruzione alla Striscia al punto da calcolare persino il numero minimo di calorie che ogni persona potrebbe consumare per non morire di fame.

Oltre ad imporre un assedio devastante, Israele ha scatenato tre gravi attacchi, spianando interi quartieri e uccidendo migliaia di palestinesi. Dopo ogni invasione ha gravemente intralciato la ricostruzione.

“Le restrizioni al movimento e all’accesso, e ora uno stato d’emergenza imposto a livello mondiale dalla pandemia, sono stati la situazione quotidiana per i palestinesi di Gaza da circa 13 anni,” ha affermato questa settimana Al Mezan, un’associazione per i diritti umani di Gaza.

In Cisgiordania Israele ha continuato ad aggredire le comunità palestinesi, ha sequestrato attrezzature per la costruzione di ospedali da campo, ha confiscato pacchi di alimenti per famiglie in quarantena, ha fatto incursioni in casa nel cuore della notte ed ha continuato con gli arresti arbitrari di minorenni.

Tutte queste attività espongono le comunità palestinesi a un maggior rischio di contrarre il virus.

Hanan Ashrawi, membro del comitato esecutivo dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, ha commentato uno di questi raid nella città della Cisgiordania occupata di Ramallah, sede dell’Autorità Nazionale Palestinese, paragonando le forze israeliane ad “alieni ostili senza alcun rapporto con l’umanità.”

Tuttavia Ashrawi non ha fatto alcuna menzione a come normalmente l’Autorità Nazionale Palestinese collabora con l’occupazione militare israeliana.

L’apparato statale di polizia dell’ANP gioca un ruolo molto importante nel reprimere il dissenso palestinese per conto dell’esercito israeliano, arrestando frequentemente attivisti e condividendo informazioni con gli investigatori israeliani.

Ora Israele si congratula con se stesso in quanto si è guadagnato le lodi delle Nazioni Unite per aver fornito il minimo indispensabile alle persone che sottopone all’occupazione e all’assedio.

La propaganda dell’occupazione

Il COGAT, l’organo burocratico dell’occupazione militare israeliana che sovrintende alla punizione collettiva dei due milioni di abitanti di Gaza, spesso usa Twitter per vantarsi di aver inviato alla Striscia kit di analisi ed altre apparecchiature. Questi invii vengono presentati come gesti di buona volontà.

Tuttavia consentire a qualche prodotto di arrivare ai palestinesi non è molto, dato che il COGAT controlla tutto il movimento dei beni dentro e fuori la Striscia di Gaza.

Anche l’OCHA, agenzia di monitoraggio dell’ONU, ha rilevato la “stretta collaborazione senza precedenti” tra le autorità palestinesi ed israeliana dall’inizio dell’attuale crisi sanitaria.

L’organizzazione ha riconsociuto ad Israele di aver agevolato l’Autorità Nazionale Palestinese nell’ importazione di 10.000 kit di analisi e di aver tenuto una formazione per equipe mediche nell’ospedale al-Makassed della Gerusalemme est occupata.

Questi presunti esempi di generosità hanno fornito materiale bell’e pronto al COGAT da sfruttare a fini di propaganda.

Il COGAT ha anche limitato gli spostamenti di milioni di palestinesi nella Cisgiordania occupata con posti di controllo militari.

I checkpoint provocano quotidiane sofferenze ai palestinesi. Eppure il COGAT ha esaltato come il loro incremento “migliorerà la qualità di vita della popolazione della regione.”

Nel contempo un rapporto stilato da associazioni per i diritti umani ha evidenziato l’“impunità cronica” di Israele riguardo all’uccisione e alla mutilazione di personale medico palestinese.

Il rapporto è stato firmato da Al Mezan di Gaza e dalle associazioni benefiche con sede nel Regno Unito “Medical Aid for Palestinians” [Soccorso Medico per i Palestinesi] e “Lawyers for Palestinian Human Rights” [Avvocati per i Diritti Umani dei Palestinesi].

Vi si afferma che l’impunità cronica “rende più probabile che ciò si ripeta.”

Israele ha anche metodicamente negato o ritardato la concessione di permessi di viaggio per i palestinesi che necessitano di cure mediche fuori da Gaza.

Quindi perché le Nazioni Unite stanno lodando Israele perché fa il minimo possibile per la popolazione che aggredisce ed opprime?

Come scrisse il famoso scrittore palestinese Ghassan Kanafani: “Ci rubano il pane, ce ne danno una briciola, poi ci chiedono di ringraziarli della loro generosità…Che sfacciataggine!”

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Nel pieno dell’epidemia da coronavirus i soldati israeliani gettano immondizia e sputano sui veicoli palestinesi in Cisgiordania

6 aprile 2020 – Palestine Chronicle

Secondo l’agenzia di stampa palestinese WAFA, mentre i palestinesi cercano di combattere la diffusione della letale pandemia da coronavirus, oggi nella città della Cisgiordania meridionale di Beit Ummar soldati israeliani hanno scaricato rifiuti contaminati ed hanno sputato sulle portiere di veicoli e sulle porte delle case.

L’attivista locale Muhammad Awad ha detto alla WAFA che un folto gruppo di soldati israeliani ha fatto irruzione in una zona di Beit Ummar – situata vicino al blocco di colonie illegali di Gush Etzion – ed ha gettato in mezzo alle case del villaggio vetri contaminati con una sostanza sconosciuta, nonché rifiuti, siringhe e guanti usati.

I soldati israeliani hanno anche sputato sulle macchine e sulle porte delle case ed insultato gli abitanti con termini razzisti, ha detto Awad, sollevando il sospetto che i soldati vogliano intenzionalmente diffondere il coronavirus tra i civili palestinesi di quella zona.

Dopo che i soldati se ne sono andati dalla città, i volontari locali del Comitato di Emergenza di Beit Ummar hanno sterilizzato le due zone e distrutto e bruciato tutto ciò che i soldati avevano gettato.

Il 31 marzo l’Euro-Med Monitor [organizzazione indipendente per la protezione dei diritti umani, ndtr.] con sede a Ginevra ha chiesto alla comunità internazionale di proteggere i palestinesi e costringere i soldati israeliani a porre fine alle incursioni nelle città e cittadine, che mettono a rischio le misure preventive messe in atto dall’Autorità Nazionale Palestinese per controllare l’epidemia da coronavirus.

Ha chiesto inoltre di indagare sul comportamento sospetto di molti soldati e coloni israeliani, che sembra essere un tentativo di diffondere il contagio, e di far sì che quanti ne sono stati responsabili rispondano dei loro atti.

Secondo il Ministero della Sanità palestinese stamattina sono stati confermati 15 nuovi casi di coronavirus in Cisgiordania, che hanno portato il totale in Palestina a 252.

(Palestine Chronicle, WAFA, reti sociali)




In Cisgiordania i coloni approfittano del confinamento dovuto al coronavirus per annettere terre palestinesi

Akram Al-WaaraBetlemme, Cisgiordania occupata

1 aprile 2020Middle East Eye

Mentre gli attacchi dei coloni sono moneta corrente, è stato constatato un netto aumento delle violenze dopo la proclamazione dello stato d’emergenza sanitaria.

Nella Cisgiordania occupata i coloni sfruttano l’isolamento imposto allo scopo di rallentare la propagazione del nuovo coronavirus per annettere terre palestinesi e condurre attacchi contro i civili e le loro case.

Negli ultimi giorni sono stati riferiti almeno tre episodi durante i quali dei coloni israeliani hanno spianato dei terreni palestinesi e pavimentato delle strade nei distretti di Nablus, Gerusalemme e Betlemme.

È stato anche osservato un picco di aggressioni contro i palestinesi e i loro beni. Middle East Eye ha documentato violenze nei villaggi di Madama, Burqa e Burin.

Normalmente subiamo attacchi da parte di coloni diverse volte al mese,” spiega a MEE Ghassan al-Najjar, un attivista di Burin, villaggio situato a 5 km. a sud di Nablus.

Ma dopo che siamo stati posti in isolamento a causa del coronavirus essi sono decuplicati”, dice il trentenne, aggiungendo che i coloni, sotto la protezione dei soldati israeliani, ormai fanno quotidianamente delle incursioni nel villaggio.

Aggiunge che degli abitanti della colonia di Har Brakha hanno cercato di impadronirsi di terre palestinesi nella periferia del villaggio.

I coloni sanno che le persone restano in casa per via del coronavirus, quindi cercano di approfittarne per attaccarci e prendere ancor più terre”, lamenta l’attivista.

Un netto aumento delle aggressioni

Mentre gli attacchi di coloni in Cisgiordania sono moneta corrente, alcuni attivisti di tutto il territorio occupato hanno segnalato un netto incremento di violenze dopo la proclamazione dello stato d’emergenza sanitaria a causa della pandemia di coronavirus all’inizio di marzo.

A sud della Cisgiordania, nel distretto di Betlemme, centro dell’epidemia del coronavirus in Palestina, l’attivista quarantottenne Mahmoud Zawahreh riferisce a MEE che in questi ultimi giorni i coloni hanno adottato tattiche simili nel comune di Khallet al-Nahleh.

I coloni cercano di impadronirsi di una collina di questo villaggio fin dal 2013. Nel corso degli anni, racconta Zawahreh, i coloni della vicina mega-colonia di Efrat hanno tentato di ricostruire l’“avamposto” che vi si trovava, dopo il suo smantellamento da parte delle forze israeliane.

Una sentenza ha stabilito che le terre appartengono a palestinesi e le tende dei coloni sono state smantellate”, ricorda Zawahreh. “Fino a poco tempo fa non avevano tentato di tornare qui.”

Negli ultimi giorni in effetti i coloni sono tornati, questa volta con più tende, serbatoi d’acqua e generatori elettrici. Lunedì scorso hanno iniziato a tracciare una strada sterrata per creare un più facile accesso all’avamposto.

La crisi del coronavirus limita gli spostamenti dei palestinesi, soprattutto intorno a Betlemme, a causa della quarantena e del coprifuoco imposti dal governo”, spiega Mahmoud Zawahreh.

I coloni lo sanno e ne approfittano. Sanno che le persone avranno troppa paura di venire in gran numero e protestare contro questi tentativi, come si faceva prima. Quindi è una situazione ideale per prendere il controllo del territorio”.

«Tra il martello dell’occupazione e l’incudine del coronavirus »

Mentre la pandemia non mostra alcun segnale di rallentamento, i palestinesi dicono di essere costretti a scegliere tra proteggere la loro salute e proteggere le loro terre.

A causa dei coloni e dell’occupazione noi non possiamo seguire le direttive fissate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità o dal nostro governo per proteggerci dal coronavirus”, afferma Ghassan al-Najjar.

Se restiamo a casa ci proteggiamo dal virus, ma finiamo per perdere le nostre terre”.

Cercando di difendere il villaggio riducendo al minimo l’esposizione degli abitanti tra di loro e coi coloni, l’attivista e altri giovani della regione di Burin hanno creato un piccolo gruppo incaricato di proteggere le terre durante l’isolamento.

Normalmente tutto il villaggio viene a difendere le terre, ma ora lavoriamo in piccoli gruppi e facciamo dei turni per ridurre al minimo l’esposizione potenziale”, spiega. “È quello che possiamo fare per il momento.”

Da Khallet al-Nahleh, Mahmoud Zawahreh esorta la comunità internazionale a fare pressione sul governo israeliano perché metta fine ai “crimini dei coloni” in Cisgiordania.

È triste e frustrante per noi palestinesi vedere che durante questa epidemia l’umanità dovunque si unisce per difendersi e proteggersi reciprocamente da questo virus, mentre qui i coloni fanno il contrario. Sfruttano il virus a loro vantaggio, per nuocere all’umanità degli altri e rubare la terra altrui”, denuncia.

In Palestina siamo schiacciati tra il martello dell’occupazione e l’incudine del coronavirus”

(Traduzione dal francese di Cristiana Cavagna)




‘Una grandissima e tempestiva vittoria per il BDS: Microsoft disinveste da AnyVision, l’azienda israeliana di riconoscimento facciale

Michael Arria 

30 marzo 2020  Mondoweiss

Microsoft ha annunciato che sta disinvestendo la propria quota in AnyVision, la società israeliana di riconoscimento facciale. La decisione fa seguito a un controllo imposto da una campagna del BDS [Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni, ndtr.] che l‘aveva presa di mira. Gli attivisti dicono che la tecnologia di riconoscimento facciale di AnyVisionè usata per sorvegliare i palestinesi in Cisgiordania.

Dopo che il giugno scorso Microsoft aveva investito nell’azienda, NBC News [canale televisivo USA di notizie, ndtr.] aveva riferito che AnyVision “gestiva un progetto segreto di sorveglianza militare” in Palestina. “Il riconoscimento facciale è probabilmente il mezzo migliore per un completo controllo governativo degli spazi pubblici e quindi dobbiamo trattarlo con estrema cautela” aveva detto all’epoca Shankar Narayan di ACLU [American Civil Liberties Union, Ong per la difesa dei diritti civili e delle libertà individuali negli Stati Uniti, ndtr.]. Quando NBC ha contattato Eylon Etshtein, l’AD di AnyVision, per il servizio, ha negato di essere a conoscenza del progetto, sottolineando che la Cisgiordania non è occupata e insinuando che il reportage fosse finanziato da un gruppo di attivisti palestinesi.

Durante l’estate del 2019, Jewish Voice for Peace [Voce Ebraica per la Pace, associazione ebraica USA contraria antisionista, ndtr.] ha lanciato la campagna #DropAnyVision, chiedendo a Microsoft di abbandonare l’azienda. Quest’anno si sono uniti i gruppi MPower Change [organizzazione in rete di musulmani statunitensi, ndtr.] e SumofUs [Ong USA che promuove campagne di sensibilizzazione e responsabilizzazione su vari temi, ndtr.] per lanciare una petizione. Oltre 75.000 persone l’hanno firmata ed è stata consegnata nella sede dell’azienda da militanti e dipendenti della Microsoft.

A novembre 2019, Microsoft aveva assunto Eric Holder, l’ex Procuratore Generale degli Stati Uniti (e il suo team dello studio legale internazionale Covington & Burling) per condurre un’indagine indipendente sulla AnyVision per determinare se le pratiche della ditta fossero in linea con i principi etici di Microsoft. Si era concluso che la tecnologia era usata nei posti di blocco dei varchi di frontiera, ma che la compagnia “al momento non gestiva quel programma di sorveglianza di massa in Cisgiordania di cui si parlava nei reportage dei media.”

Ciononostante, Microsoft ha deciso di separarsi da AnyVision. “Dopo un’attenta analisi, Microsoft e AnyVision hanno deciso che è nell’interesse di entrambe che Microsoft disinvesta la propria quota in AnyVision”, ha affermato in un comunicato. “L’audit ha confermato la difficoltà per Microsoft di essere un investitore di minoranza in una ditta che vende tecnologia sensibile, dato che tali investimenti generalmente non permettono il livello di supervisione o controllo che Microsoft esercita sull’uso delle proprie tecnologie.”

La decisione di Microsoft di lasciare AnyVision è un bruttissimo colpo per questa startup israeliana profondamente implicata [nella repressione israeliana] e un successo per la grandiosa campagna del BDS guidata da Jewish Voice for Peace” ha detto in un comunicato Omar Barghouti, il co-fondatore di BDS. “Grazie alla complicità di molte corporazioni come AnyVision e nonostante la minaccia del coronavirus, i crimini di guerra di Israele contro i palestinesi continuano e quindi non possono che continuare anche la nostra resistenza e la nostra lotta per libertà, giustizia e uguaglianza.”

La decisione di Microsoft di accogliere la richiesta della campagna e abbandonare AnyVision, l’azienda israeliana di sorveglianza, è una grandissima e tempestiva vittoria per il BDS” ha twittato l’account ufficiale del Comitato Nazionale del BDS palestinese (BNC).

La decisione di Microsoft di disinvestire da AnyVision è una vittoria importante dei militanti per la giustizia tecnologica e per la comunità internazionale solidale con i palestinesi.”, ha detto Lau Barrios, manager della campagna MPower Change. Questa decisione di Microsoft, leader globale del settore del software, rafforza la nostra convinzione che non ci si possa fidare di governo, polizia e forze armate e del loro uso della sorveglianza tecnologica come quella del riconoscimento facciale che è sempre di più utilizzata negli USA e in tutto il mondo per monitorare, sorvegliare e criminalizzare ulteriormente neri, immigrati, palestinesi e comunità musulmane.”

Michael Arria

Michael Arria è il corrispondente di Mondoweiss dagli Stati Uniti.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)