Come Israele ha sabotato lo scambio di prigionieri ampliando la definizione di “prigionieri di sicurezza”

YOAV HAIFAWI

7 DICEMBRE 2023 – Mondoweiss

Israele ha sabotato lo scambio di prigionieri con Hamas ampliando la definizione di “prigionieri di sicurezza” per includere quelli detenuti per poco più che post sui social media.

Venerdì primo dicembre Israele ha ripreso il massiccio bombardamento di Gaza in una campagna che è già stata giudicata da esperti internazionali e organizzazioni per i diritti umani una delle peggiori e mortali della storia moderna. Israele ha accusato Hamas di aver violato i termini dello scambio di prigionieri. Eppure ho visto da vicino, seguendo i processi politici presso il tribunale di Haifa, come sia invece Israele che ha minato le basi stesse di ciò che significa uno scambio di prigionieri. Lo ha fatto attraverso arresti di massa di palestinesi prima dello scambio di prigionieri, trattenendoli come “prigionieri di sicurezza” secondo una definizione che è stata ampliata dopo il 7 ottobre, e poi rilasciandoli come parte dello scambio di prigionieri – anche se fin dall’inizio Israele non aveva motivo di trattenerli in prigione. Questo è stato un periodo in cui i palestinesi all’interno della Linea Verde [il confine tra Israele e la Cisgiordania, ndt.] sono diventati improvvisamente una parte significativa del conflitto più ampio.

Sono stati tempi frenetici per noi nella Palestina del ’48 [cioè in Israele, ndt.] e la gente qui è terrorizzata. A partire dal 7 ottobre, quando lo shock provocato dagli attacchi si è trasformato rapidamente in una rabbia indiscriminata, molti ebrei si sono attivati contro i loro colleghi e compagni di classe palestinesi per scoprire segni di slealtà e denunciarli alle autorità. Centinaia sono stati interrogati e arrestati per poco più che dei post sui social media. Quando ho chiesto a un amico apolitico del mio quartiere come stava, ha risposto: “Non vedo, non sento, non parlo!” Ciò è continuato fino ad oggi. Proprio di recente sono andato al supermercato all’angolo e la gente discuteva se saresti stato arrestato per un “mi piace” o solo per aver condiviso un post. Come ho detto, c’è paura ovunque.

I prigionieri politici sono una parte importante della vita palestinese, anche nella cultura popolare. Negli ultimi decenni si è verificato un cambiamento significativo nella terminologia relativa ai detenuti. Negli anni ’70 e ’80, gli attivisti politici nella Palestina del ’48 parlavano di “prigionieri” usando lo stesso termine usato per i criminali e le vittime innocenti del sistema capitalista. Anche la prima associazione che difese i palestinesi nelle carceri dell’occupazione si chiamava “Gli amici del prigioniero”. Negli anni Novanta la parola araba asir (plurale asra, femminile asirah), che indica i prigionieri di guerra, è diventata il termine comune per chiunque fosse stato arrestato nel contesto della lotta per la liberazione.

Alcuni degli asra erano feda’iyeen – guerriglieri che avevano deciso di portare armi e lottare contro l’espropriazione della popolazione palestinese. Altri erano asra siyasiyun, militanti politici irriducibili che il regime aveva deciso di mettere a tacere, come la leadership di Al-Ard [organizzazione che si occupa di aiutare i contadini palestinesi, ndt.], Abna’ al-Balad [movimento nazionalista degli arabo-israeliani, ndt.] e il movimento islamico. Essere un asir, nonostante tutte le sofferenze, significava in un certo senso far parte dell’élite politica. Quando parliamo dell’asra palestinese, includiamo tutti coloro che sono stati arrestati come parte della lotta, non importa se provengono dalla Cisgiordania, da Gaza, dalla Palestina del ’48 o dalla diaspora. Inoltre non distinguiamo se fossero affiliati all’OLP, ad altri movimenti di resistenza, a un’organizzazione locale o se non lo fossero affatto. Inoltre, il termine non distingue di cosa siano stati accusati quegli asra, poiché ciò significherebbe dare legittimità ai tribunali dell’occupazione, dove i palestinesi non si aspettano mai giustizia.

Ma il senso di essere prigioniero politico è cambiato dopo il 7 ottobre.

Prendiamo, ad esempio, il caso di Mariam (nome di fantasia), una studentessa di una famiglia palestinese conservatrice. Il 7 ottobre, alcuni studenti ebrei hanno trovato su una pagina Facebook un post politico moderato che portava il suo nome. L’hanno denunciata all’Università di Haifa. Mariam ha affermato che non era il suo account e ha mostrato un altro account Facebook con il suo nome, dove ha pubblicato le foto della sua famiglia e dei suoi parenti. La direzione dell’università, oltre ad adottare misure amministrative contro Mariam, ha denunciato il suo caso alla polizia.

La polizia ha arrestato Mariam e ha avviato un’indagine approfondita. La loro teoria era che avesse due pagine Facebook, una per la sua famiglia conservatrice e l’altra per i suoi amici universitari. Quando Mariam ha negato le accuse, hanno convocato i suoi amici e conoscenti per un interrogatorio. Anche se altri studenti che avevano postato cose simili sono stati rilasciati, la detenzione di Mariam è stata prolungata con la motivazione che, se fosse stata rilasciata, avrebbe potuto compromettere le indagini. Mentre era ancora in prigione come “prigioniera di sicurezza”, è stata rilasciata durante lo scambio di donne tra Israele e Hamas.

Secondo Yousef Taha, responsabile del Joint Body of Arab Student Blocs in Universities and Colleges, il fronte unito delle organizzazioni studentesche palestinesi del ’48, c’erano sette o otto studentesse che all’epoca erano detenute e rilasciate come parte dello scambio di prigionieri. Ognuna di loro è stata accusato per un singolo post sui social media; i loro casi non erano significativamente diversi da quelli di una dozzina di studenti rilasciati dai tribunali nello stesso periodo. Fino ad ora lo Stato non ha nemmeno annullato le accuse contro di loro, e in alcune udienze a cui ho assistito la pubblica accusa ha dichiarato che stava“studiando la situazione”, chiedendo che le udienze fossero rinviate.

Per fare un altro esempio, il caso di due giovani donne palestinesi di Haifa che sono state arrestate e incriminate per “minacce” e “disturbo dell’ordine pubblico” dimostra come accuse ridicole siano state sufficienti per trattare gli arrestati come “prigionieri di sicurezza”. Secondo l’accusa il 12 ottobre le due donne avrebbero insultato una poliziotta con un messaggio volgare su WhatsApp e, più tardi lo stesso giorno, avrebbero chiamato il numero per le emergenze della polizia di Haifa e avrebbero detto: “Vengo da Gaza, dalla Palestina, sono Hamas. Sono ad Haifa per uccidere subito tutti gli ebrei “. Quando sono state arrestate hanno detto che stavano solo scherzando, ma sono state trattenute in detenzione e successivamente incriminate.

Queste due giovani donne sono state classificate dalle autorità carcerarie israeliane come “prigioniere di sicurezza” e sono state incarcerate in dure condizioni nella prigione di Damon. Una di loro è stata rilasciata nell’ambito dello scambio di prigionieri. L’altra è stata condannata il 4 dicembre dal tribunale di Haifa e resterà in una prigione di sicurezza per il terzo mese fino alla sentenza formale.

Qui devo chiarire che nel sistema carcerario israeliano esiste un regime completamente diverso per gli oltre 7.000 “prigionieri di sicurezza” palestinesi, che sono privati della maggior parte dei diritti fondamentali dei prigionieri normali. Molti di loro provengono dalla Cisgiordania e da Gaza, ma ci sono anche molti palestinesi con cittadinanza israeliana.

Molti temono che i prigionieri rilasciati nello scambio saranno ora oggetto di vendetta, anche se la decisione di rilasciarli è stata del governo. Adalah e altre organizzazioni per i diritti umani hanno avvertito che Israele potrebbe provare a etichettarli tutti come “sostenitori di Hamas” e persino applicare nuove leggi per revocare loro la cittadinanza e i diritti sociali fondamentali.

Lunedì si è saputo che il comune sionista di Gerusalemme sta impedendo agli studenti delle scuole superiori rilasciati di frequentare la scuola. Il Technion ha annunciato che a una studentessa palestinese detenuta anche lei per un post su Facebook e successivamente rilasciata durante lo scambio di prigionieri “non” verrà “mai più” consentito di riprendere gli studi. L’università ha annunciato questa misura estrema ovviamente senza avviare alcun procedimento “disciplinare” rilevante, che renderebbe necessario verificare i fatti del caso.

Più in generale la detenzione arbitraria di palestinesi dei territori del ’48 per infrazioni minori e definirli “prigionieri di sicurezza” – molti dei quali sono poi stati rilasciati durante lo scambio di prigionieri – ha consentito a Israele di evitare il rilascio di altre donne palestinesi “vere” prigioniere di sicurezza che stanno scontando condanne molto più lunghe.

Mentre lo scambio di prigionieri andava avanti sotto la pressione della minaccia di una ripresa delle mortali operazioni militari, con nuovi elenchi di persone da rilasciare pubblicati ogni mattina, Israele ha sabotato il processo. A differenza di Hamas, che doveva riunire dai nascondigli con gravi rischi i prigionieri, Israele poteva facilmente preparare elenchi ordinati. Ma quello che ha fatto invece è stato pubblicare un elenco con centinaia di nomi, sostenendo che queste erano le persone che avrebbero potuto essere rilasciate. All’ultimo momento, dopo che Hamas aveva pubblicato l’elenco esatto della giornata, ha puntato a selezionare i prigionieri a cui rimaneva meno tempo da trascorrere in prigione o che non erano nemmeno stati condannati per alcun reato.

Resta da chiedersi se questo modo deliberatamente subdolo di gestire lo scambio di prigionieri sia uno dei motivi per cui l’intero processo è fallito.

(traduzione dall’’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Il mondo universitario israeliano si unisce alla repressione contro il dissenso

Mariam Farah 

3 dicembre 2023 – +972 magazine

Dal 7 ottobre nelle università israeliane gli studenti e i docenti palestinesi ed ebrei di sinistra sono stati sospesi, arrestati e intimiditi per le loro opinioni

L’8 ottobre, il giorno dopo che Hamas aveva lanciato un attacco di sorpresa su vasta scala nel sud di Israele, Bayan Khatib ha postato su Instagram un video in cui si vedeva una padella di shakshuka [uova al tegamino con pomodoro, ndt.] che aveva preparato. La ventitreenne palestinese con cittadinanza israeliana, studentessa dell’Istituto Technion di Haifa e per sua stessa ammissione pessima cuoca, ha orgogliosamente sottotitolato il post “Presto mangeremo shakshuka della vittoria,” insieme all’emoticon di una bandiera palestinese.

Interpretando l’uso della bandiera palestinese e la parola “vittoria” come un indicatore del sostegno ad Hamas, i compagni di università di Khatib hanno fatto circolare il post e chiesto che venisse punita sia dall’università che dalle autorità statali.

Le denunce sono state prese sul serio. Il 25 ottobre Khatib è stata arrestata per sospetto incitamento. Ha passato una notte in carcere, condividendo una cella per quattro persone con altre otto donne palestinesi, tutte arrestate dopo che colleghi ebrei israeliani le avevano denunciate alla polizia per sedizione. Il giorno dopo Khatib è stata inviata agli arresti domiciliari.

Una denuncia contro Khatib era stata presentata anche al Technion. La discussione sul suo caso si è tenuta il 9 novembre. Pur avendo chiesto assistenza a docenti dell’università via mail e telefonate, Khatib afferma di non aver ricevuto risposta. È stata sospesa dagli studi sebbene i procedimenti disciplinari nei suoi confronti siano in corso.

Khatid dice a +972 di non essersi mai sentita così a rischio come ora per la sua identità. “Solo essere palestinese e aver esibito simboli della mia origine è diventato causa di sospetto, facendomi sentire intrinsecamente colpevole,” afferma. “Le accuse contro di me sono assurde, solo in base a un video con la shakshuka.”

Studenti e professori palestinesi subiscono da molto tempo razzismo, discriminazioni e soprusi nelle università e nei college israeliani, ma le settimane successive al 7 ottobre hanno visto un significativo aumento dei casi. La repressione della libertà di espressione da parte delle autorità israeliane, che colpisce anche gli ebrei israeliani di sinistra, ha creato un’atmosfera di timore che intende far tacere ogni dissenso per i continui bombardamenti dell’esercito israeliano contro la Striscia di Gaza.

Secondo l’Unione degli Studenti Arabi, dal 7 ottobre circa 160 palestinesi che studiano nelle università e nei college israeliani hanno subito procedimenti disciplinari con l’accusa di sostenere il terrorismo, organizzazioni terroristiche o di incitare al terrorismo.

Nel contempo Adalah, centro legale palestinese con sede ad Haifa, informa di essere stato contattato in questo periodo da 113 studenti arabi e 33 diverse istituzioni accademiche israeliane per chiedere assistenza giuridica. Adalah inoltre nota che in circa metà dei casi di cui è a conoscenza alcuni studenti sono stati temporaneamente sospesi ancor prima che iniziassero i procedimenti disciplinari; in 8 casi gli studenti sono stati espulsi senza una discussione del caso.

L’Unione informa che studenti arabi sono stati arrestati semplicemente per aver scritto o “apprezzato” post innocui sulle reti sociali. Per esempio, secondo l’Unione l’arresto di quattro studenti al college della Galilea occidentale il 19 novembre è avvenuto in modo particolarmente “crudele”, con l’intenzione di umiliarli e perpetrare una politica di intimidazioni.

Forse ancora più allarmanti sono state le persecuzioni di studenti palestinesi da parte dei loro colleghi ebrei. Poco dopo l’inizio della guerra l’Unione Nazionale degli Studenti Israeliani ha chiesto l’immediata sospensione di chiunque abbia espresso adesione agli attacchi di Hamas e ha incoraggiato gli studenti a denunciare in modo anonimo i sospettati di appoggiare il terrorismo.

Questo invito ha aumentato terribilmente il rischio di violenza fisica. Il 28 ottobre una folla di ebrei israeliani estremisti si è riunita fuori dai dormitori degli studenti arabi nel college di Netanya gridando “morte agli arabi”. La polizia ha dovuto impedire alla folla di irrompere nell’edificio e alla fine gli studenti minacciati sono stati evacuati per la loro sicurezza.

Insieme ad Adalah l’Unione degli Studenti Arabi ha fatto pressioni per un’indagine sull’attacco al college di Netanya. Ha anche chiesto ai dirigenti delle università israeliane di fornire una maggiore protezione agli studenti palestinesi e di riaccogliere quelli che sono stati sospesi, incoraggiando docenti arabi ed ebrei progressisti a intervenire contro azioni punitive ingiustificate.

L’Unione ha anche preso un’iniziativa inconsueta per ottenere un intervento esterno, contattando università e donatori stranieri legati alle istituzioni israeliane sollecitandoli ad aiutare gli studenti palestinesi e anche chiedendo all’UE di riconsiderare la sua collaborazione con il ministero dell’Educazione israeliano.

Tossicità e persecuzione

La persecuzione dei palestinesi nelle università israeliane non si limita agli studenti. Anche il personale docente sta affrontando accuse simili. Il 9 ottobre 25 professori dell’università di Haifa, tra cui il vice-rettore, hanno inviato una lettera riservata al rettore, il professor Gur Alroey, manifestando preoccupazione riguardo alla sospensione di cinque studenti il giorno precedente. Hanno sostenuto che l’università non aveva seguito il suo regolamento amministrativo né spiegato le proprie decisioni.

In una lettera, che in seguito è stata resa pubblica, Alroey ha risposto ai docenti ammonendoli per il loro presunto sostegno agli studenti che ha accusato di appoggiare Hamas o il terrorismo. Il rettore ha persino chiesto le dimissioni del suo vice, ma in seguito ha ritirato la richiesta.

Ameed Saabneh, un importante studioso palestinese dell’università di Haifa e uno degli autori della lettera al rettore, dice a +972 che l’università non ha l’autorità di sospendere gli studenti dai loro corsi. “Solo le commissioni di controllo hanno il potere di prendere decisioni relative la sospensione degli studenti,” chiarisce.

Saabneh spiega che dopo che l’incidente è stato reso noto l’atmosfera all’università è diventata tesa. “I rapporti tra gli studenti si sono avvelenati, erodendo il tono in precedenza corretto delle discussioni,” afferma. “Sono stato informato dai miei studenti che si sentono perseguitati dai loro colleghi, dall’Unione degli Studenti e dall’amministrazione dell’università.”

La situazione ha creato una “crisi di fiducia” tra i professori e i loro studenti, continua Saabneh. “L’aspetto più preoccupante è che gli studenti hanno iniziato a mandare lettere al capo dipartimento minacciando di boicottare i docenti che hanno firmato la lettera al rettore,” afferma.

Secondo un recente rapporto dell’Accademia dell’Uguaglianza [associazione di base che promuove pari diritti tra le varie comunità nell’istruzione superiore israeliana, ndt.] dal 7 ottobre almeno sei professori e assistenti delle istituzioni accademiche israeliane hanno dovuto affrontare azioni disciplinari per presunto incitamento al terrorismo o appoggio a organizzazioni terroristiche. In seguito a ciò alcuni di loro sono stati licenziati.

Una degli accademici presi di mira è Nadera Shalhoub-Kevorkian, docente di criminologia alla facoltà di Legge dell’Università Ebraica e alla Queen Mary University di Londra. Il mese scorso, insieme ad altri 3.000 accademici e studenti di tutto il mondo specializzati nello studio dell’infanzia, ha firmato una petizione che critica l’aggressione israeliana contro i minori palestinesi, chiede un immediato cessate il fuoco e la fine del “genocidio” a Gaza.

Pochi giorni dopo ha ricevuto una lettera da Asher Cohen, il preside dell’Università Ebraica, che la accusa di “Incitamento contro lo Stato di Israele”, minacciandola di azioni legali e invitandola a dimettersi. Cohen ha condiviso la lettera con altri membri del personale dell’università ed è diventata popolare sulle reti sociali. Subito dopo Shalhoub-Kevorkian ha iniziato a ricevere minacce in rete.

Il suo avvocato, Alaa Mahajna, ha accusato Cohen di aver distorto i contenuti della petizione ed ha affermato che l’università avrebbe potuto essere perseguita per aver violato il diritto del lavoro e aver provocato minacce contro un membro del personale docente. Egli ritiene che l’università abbia chiesto le dimissioni di Shalhoub-Kevorkian solo sulla base delle sue opinioni politiche, cosa che ritiene una pericolosa fuga in avanti senza precedenti.

In risposta alla richiesta di un commento, il direttore delle comunicazioni internazionali dell’università ha affermato: “La lettera (del preside) parla da sé.” Finora Shalhoub-Kevorkian si è rifiutata di presentare le sue dimissioni.

Warda Sada, un’educatrice e pacifista, ha dovuto affrontare una persecuzione simile. È stata rimossa dal suo incarico presso il Kaye Academic College of Education a Be’er Sheva dopo che uno studente ha pubblicato alcuni dei suoi post sulle reti sociali prima e dopo la guerra. A quanto dice Sada, tutti questi post condannano la violenza da entrambe le parti e sono contro la guerra e l’uccisione di civili. Il Kaye College è generalmente noto per promuovere un contesto educativo multiculturale e multilinguistico e si vanta della diversità dei suoi studenti e docenti, che riflette la diversità etnica della regione del Naqb/Negev.

“Come educatrice con 30 anni di esperienza sul campo e 28 all’università non avrei mai pensato che la persecuzione accademica avrebbe raggiunto questi estremi,” dice Sada a +972. “La nostra responsabilità come docenti è promuovere il pensiero critico, incoraggiare la ricerca e mettere in pratica le teorie che insegniamo. Noi, come educatori, miriamo a trasmettere un messaggio al mondo, a sostenere i colleghi insegnanti ad esprimere liberamente le proprie idee.”

L’epurazione ha colpito anche gli accademici ebrei. Uri Horesh, docente di linguistica araba all’ Achva Academic College, nei pressi di Ashdod, dice a +972 che il 15 ottobre, mentre si trovava a New York, ha ricevuto una mail dal college con una contestazione riguardante un post di Facebook in cui compariva la frase “Liberare il ghetto di Gaza.” Horesh inizialmente aveva condiviso il post un mese prima, ma lo ha ripostato dopo l’inizio della guerra.

“Il college ha travisato il senso del mio post, affermando che ho apertamente appoggiato un’azione terroristica,” ha detto Horesh. “Mi hanno accusato di infangare la reputazione del college.”

Il 23 ottobre Horesh ha scoperto di non avere più accesso al collegamento in rete dell’università e che il suo nome era stato rimosso dal sito web del college. Non ha ricevuto alcuna comunicazione ufficiale di essere stato sospeso. Una settimana dopo gli è stato chiesto di assistere a un’audizione disciplinare. Si è rifiutato, affermando che il procedimento era illegittimo e che le sue opinioni politiche personali sono irrilevanti per il suo datore di lavoro. Qualche giorno dopo ha ricevuto una lettera dal college che confermava il suo licenziamento e che minacciava di trattenergli lo stipendio (anche se alla fine è stato pagato).

Horesh nota che molti dei suoi studenti sono cittadini palestinesi di Israele e che il suo licenziamento non è stato solo un colpo per lui ma anche per loro, un messaggio intimidatorio che scoraggia dal condividere le loro opinioni. Benché avesse previsto il ritorno in Israele il giorno in cui ha ricevuto la prima contestazione, Horesh teme di essere arrestato all’arrivo e quindi ha rimandato il suo ritorno a tempo indeterminato.

Accuse collettive contro tutti gli arabi”

L’anno accademico in Israele avrebbe dovuto iniziare l’8 ottobre, ma lo scoppio della guerra il giorno prima ha comportato che i corsi sono stati posticipati e ripetutamente rinviati. Secondo una recente dichiarazione dell’Associazione dei Presidi delle Università il prossimo obiettivo è iniziare il 24 dicembre, ma farlo richiede prima la smobilitazione dei riservisti dell’esercito.

Mentre questa data si avvicina, ci sono timori riguardo a come sarà l’atmosfera, soprattutto per gli studenti e i docenti palestinesi. Una recente inchiesta ha rilevato che il 17% degli studenti arabi interpellati ha espresso dubbi se iniziare l’anno o di non aver intenzione di farlo, principalmente per ragioni economiche e legate alla sicurezza.

Tra queste crescenti pressioni la Commissione di Monitoraggio dell’Educazione Araba [creata dagli enti locali dei comuni arabo-israeliani, ndt.] ha manifestato timori riguardo all’imminente anno accademico. Il 27 novembre l’istituzione ha inviato una lettera a Varda Ben Shaul, direttore generale del Consiglio per l’Educazione Superiore in Israele, evidenziando i pressanti problemi psicologici, sociali ed economici sollevati da questa nuova situazione e chiedendo un immediato programma specifico per sostenere gli studenti arabi e favorire il loro impegno nell’educazione superiore. La lettera sottolinea anche la necessità di collaborare con le istituzioni educative e con importanti ministeri per affrontare i problemi di soprusi e razzismo e chiede formalmente un incontro con Shaul per risolvere in modo attivo le questioni attuali e future.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Guerra Israele-Palestina: gli israeliani negano e sono impauriti mentre la loro società scivola verso il fascismo

Meron Rapoport da Tel Aviv, Israele

10 novembre 2023 – Middle East Eye

Studenti, accademici e medici palestinesi e dissidenti ebrei israeliani sono fra coloro che sono stati invischiati in una crescente ondata di repressione

Ci sono momenti in cui mi chiedo seriamente in che paese vivo. Ma soprattutto mi chiedo che tipo di Paese potrebbe diventare il giorno dopo la fine di questa guerra tremenda.

Lunedì mi sono collegato con un incontro su Zoom con l’Alto Comitato di Controllo per i Cittadini Arabi di Israele, un’organizzazione che rappresenta i cittadini palestinesi e che include fra i suoi membri politici, accademici e attivisti.

È stato un atto di tradimento? Potrebbe esserlo stato.

Giovedì è stato arrestato Mohammed Baraka, capo del comitato ed ex leader del partito di sinistra Hadash, deputato della Knesset per 16 anni.

Sono stati arrestati anche altri due alti esponenti politici, Sami Abu Shehadeh, leader ed ex parlamentare del partito Balad, e Haneen Zoabi, un altro ex deputato.

Il loro crimine: indire una piccola dimostrazione a Nazareth contro la guerra a Gaza.

Adesso guardare il canale di Hamas su Telegram è certamente un reato per il quale puoi passare un anno in prigione.

Si sta verificando un’epurazione di studenti e insegnanti palestinesi nelle università e nei college israeliani.

Adalah, il centro legale ed ente per i diritti umani guidato da palestinesi, segue già più di 100 casi di studenti e insegnanti sbrigativamente espulsi per ciò che avevano scritto a proposito di Gaza sui social media o persino in gruppi privati su WhatsApp.

Secondo Adalah alcuni di questi post citavano semplicemente dei versetti del Corano o pubblicavano liste di giornalisti presenti a Gaza.

Hasan Jabarin, il direttore generale di Adalah, ha raccontato al comitato di un‘insegnante convocata per aver postato che “non esiste altro dio all’infuori di Allah”, una frase pronunciata in occasione di un lutto.

Ha spiegato che la zia era morta e la scuola ha richiesto di vederne il certificato di morte e solo allora l’hanno “perdonata”.

La caccia alle streghe è cominciata all’Università di Haifa.

Lo stesso giorno dell’attacco di Hamas una studentessa ha ricevuto una lettera dal rettore che le comunicava che era stata sospesa dal corso e che il giorno dopo doveva liberare la sua stanza nella casa dello studente.

Era stata accusata di aver “sostenuto l’attacco terroristico contro gli insediamenti vicino a Gaza e l’uccisione di innocenti”, un’accusa che lei ha categoricamente negato.

C’è stata una protesta e una petizione firmata da 24 docenti che chiedevano un procedimento regolare e che il caso venisse esaminato da una commissione disciplinare.

Adalah si sta occupando del caso. L’espulsione della studentessa, ha affermato in una lettera all’università, è stata “arbitraria e irragionevole” e costituisce una “seria violazione dei diritti della studentessa a un procedimento equo, all’alloggio e alla libertà di espressione”.

Il caso è tuttora pendente.

E non sta succedendo solo ad Haifa. Una mia amica, Warda Saadeh, docente al Kaye College, un centro di formazione per insegnanti a Beersheba, ha postato che Gaza è stata sotto assedio per 16 anni, senza in alcun modo giustificare o lodare l’attacco di Hamas. Ha condannato chiaramente l’uccisione di civili. È stata licenziata dopo 30 anni di lavoro presso il college.

La stessa cosa sta avvenendo nel servizio sanitario israeliano dove i palestinesi costituiscono il 40% del personale in ospedali, centri medici e farmacie.

Nihaya Daoud, una studiosa di salute pubblica presso l’università Ben Gurion del Negev e direttrice della sotto-commissione per la salute del comitato di follow-up, ha raccontato di una campagna per espellere medici e operatori sanitari, talvolta anche per ciò che avevano scritto prima che iniziasse la guerra.

Abed Samarah, un cardiologo dell’ospedale Hasharon, è stato licenziato senza possibilità di difendersi perché aveva postato, un anno prima dell’attacco, la bandiera dell’Islam con una colomba che porta un ramo d’ulivo.

Daoud ha affermato che i palestinesi nel servizio sanitario sono vittime di molestie da parte di colleghi ebrei e che nessuna azione viene intrapresa dai sindacati o dalle associazioni mediche.

Gode di impunità anche la petizione firmata da centinaia di medici ebrei israeliani che hanno invocato il bombardamento dell’ospedale Shifa a Gaza City, una richiesta che, secondo Daoud, è senza precedenti sia in Israele che nel resto del mondo, sostenendo che è in diretta violazione sia delle Convenzioni di Ginevra che del giuramento di Ippocrate.

Psicopolizia’

Ancora più preoccupante è il fatto che molto di ciò non viene dall’alto, da un governo pieno di elementi di estrema destra.

Queste epurazioni da ‘psicopolizia’ sono fatte dall’università o dalle stesse autorità dell’ospedale.

Sono i colleghi ebrei di docenti e dottori palestinesi che sono in azione.

Cosa sta succedendo?

Primo, penso che sia una decisione consapevole e collettiva a livello ufficiale e non, per fuggire dalla realtà.

Lo scorso venerdì nessun canale televisivo israeliano ha trasmesso il discorso di Hasan Nasrallah, il leader di Hezbollah, con la motivazione che avrebbe aiutato il nemico.

Al Jazeera, al contrario, ha trasmesso dal vivo le quotidiane conferenze stampa dell’esercito israeliano.

Troppi ebrei israeliani vogliono estraniarsi dalla realtà, cioè che i due milioni di palestinesi che vivono in Israele sono solidali con la gente di Gaza. Ovviamente lo sono. Molti di loro, specialmente a Giaffa o Ramle, hanno famigliari a Gaza, rifugiati fuggiti da queste città nel 1948.

Ma Israele agisce come se il forte legame fra queste parti diverse del popolo palestinese scomparisse se nessuno ne parla.

Lo stesso mondo immaginario circonda il problema degli ostaggi. Due settimane fa, prima che cominciasse l’offensiva di terra, entrambe le parti erano vicine a un accordo per il rilascio di donne, minori e stranieri in cambio di donne e minori palestinesi in carceri israeliane.

Come riferito da Middle East Eye, c’erano dei problemi irrisolti sulla lunghezza del cessate il fuoco e su quali dei prigionieri israeliani dovessero essere rilasciati, ma le due parti erano state descritte dai negoziatori in Qatar come a “un centimetro” dall’accordo.

Accordo che è saltato quando è cominciata l’invasione di terra: allora la storia è cambiata.

Il portavoce dell’esercito israeliano e poi tutti i commentatori militari e corrispondenti hanno assunto la posizione secondo cui l’invasione di terra stava sottoponendo Hamas a una maggiore pressione per il rilascio degli ostaggi.

Alcune delle famiglie degli ostaggi sono chiaramente in disaccordo, ma non possono dirlo per timore di sembrare poco patriottici.

Nessuno pone mai la domanda: “Perché mai un’invasione di terra metterebbe una pressione maggiore su Hamas a favore del rilascio degli ostaggi? Come? Perché?”

Visione distorta

È solo un’altra domanda sepolta sotto le macerie di questa guerra. La stessa cosa vale per ciò che gli ebrei israeliani vedono e sentono di ciò che sta accadendo a Gaza. Non ci sono praticamente immagini delle atrocità.

Le imponenti dimostrazioni settimanali a Londra, Washington e altrove sono rappresentate come gente di sinistra in tutto il mondo che sostiene i massacri dei civili israeliani.

Il disgusto crescente in tutto il mondo per quello che Israele sta facendo a Gaza non viene riportato, e quando lo si fa è in un modo completamente distorto, come un enorme complotto antisemita contro gli ebrei e Israele.

L’epurazione non si limita ai palestinesi. Dissidenti ebrei stanno vivendo il controllo di massa.

Eran Rolnik, uno psichiatra che per anni ha scritto su Haaretz, è stato convocato mercoledì dalla Commissione dei dipendenti pubblici per gli articoli che aveva scritto contro Netanyahu.

Meir Baruchin, un insegnante di educazione civica che posta nomi e foto di civili palestinesi uccisi dall’esercito israeliano a Gaza o in Cisgiordania, è stato arrestato giovedì per “istigazione al tradimento”.

Israel Frey, un giornalista ultra-ortodosso di sinistra, che ha scritto che prega per i bambini vittime sia nei kibbutz che a Gaza, se ne sta ancora nascosto, dopo essere fuggito da casa quando una folla si è radunata lì davanti.

La domanda principale, e la mia maggiore paura, è: cosa succederà dopo?

Si può collocare questo attuale regno del terrore in un contesto di paura e vendetta, sentimento comprensibile anche se molto esagerato in seguito agli atroci attacchi di Hamas in conseguenza dei quali nessun ebreo israeliano si sente al sicuro a casa propria.

Ma questo regime viscerale di zittire e intimidire svanirà a guerra finita? O siamo sulla soglia di una vera e propria repressione contro i dissidenti palestinesi e israeliani?

Israele sta precipitando verso l’abisso del fascismo? Sfortunatamente non posso dare una risposta rassicurante.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Le azioni efferate di Israele in nome degli ebrei li rendono insicuri

A lungo intellettuali ebrei hanno messo in guardia che la dipendenza di Israele dall’appoggio politico degli ebrei dell’Occidente per garantirsi l’impunità per le violazioni dei diritti umani potrebbero contribuire all’antisemitismo negli Stati Uniti.

Philip Weiss 

10 novembre 2023 – Mondoweiss

La scorsa settimana il direttore dell’FBI ha affermato che le ostilità in Medio Oriente potrebbero estendersi agli Stati Uniti con attacchi contro musulmani ed ebrei, e la senatrice del Nevada Jacky Rosen, che ha subito minacce di morte di natura antisemita, ha detto: “Sto provando quello che provano gli ebrei in ogni parte del mondo, sotto attacco e minacciati.”

Anche se dovremmo essere scettici riguardo alle organizzazioni e agli individui filoisraeliani che confondono manifestazioni di antisemitismo con l’antisionismo, riconosco che il direttore dell’FBI ha ragione e che alcuni di questi episodi sono effettivamente antisemiti.

Il professore della Columbia [University] Rashid Khalidi [di origine palestinese, ndt.] “ha prontamente riconosciuto l’esistenza di un’ondata di recenti episodi di antisemitismo nei campus universitari,” ha scritto Michelle Goldberg sul Times. In un caso uno studente della Cornell [importante università statunitense, ndt.] è stato accusato di aver minacciato di attaccare una mensa kosher [cioè che offre cibi che rispettano le norme alimentari ebraiche, ndt.]. E vedo in rete e altrove molti ebrei che manifestano timore e vulnerabilità, e non metterei mai in dubbio tali affermazioni.

È tuttavia necessario affermare una questione, come ho già fatto molte volte in precedenza: a lungo intellettuali ebrei hanno avvertito che la dipendenza di Israele dall’appoggio politico degli ebrei statunitensi per garantirsi l’impunità per le violazioni dei diritti umani che molti nel mondo condannano – pulizia etnica, massacri e ora azioni genocide a Gaza – rappresentano un pericolo per quelle comunità. Quando le organizzazioni ebraiche statunitensi esibiscono un sostegno incondizionato a tali azioni e inoltre insistono sul fatto che essere ebrei significa appoggiare Israele in quanto “Stato ebraico” mentre uccide civili, questa dichiarazione di unanimità è di fatto pericolosa per gli ebrei.

E quindi rischia di fomentare l’antisemitismo, quando i leader ebraici come Ted Deutch, dell’American Jewish Committee [Commissione Ebraica Americana, storica organizzazione ebraica, ndt.] pubblica una lunga difesa delle azioni di Israele a Gaza in cui cita ripetutamente l’attacco di Hamas del 7 ottobre e non fa alcun cenno ai morti palestinesi. È così, non menziona neppure quelli che allora erano 9.000 morti, più di 3.000 dei quali minorenni. Tale indifferenza da parte di un leader ebraico ufficiale di fronte ai massacri da parte dello “Stato ebraico” provocherà risentimento verso gli ebrei.

“L’uccisione di migliaia di palestinesi a Gaza mette in pericolo gli ebrei sia in Israele che altrove,” ha scritto questa settimana lo studioso antisionista Yakov Rabkin. “Quando Israele afferma di essere lo Stato di tutti gli ebrei li trasforma in ostaggi delle sue azioni e politiche. Quando le organizzazioni della comunità ebraica dichiarano ‘Stiamo dalla parte di Israele!’ agiscono come rappresentanti di Israele invece che degli ebrei.”

All’inizio dell’anno ho citato vari intellettuali ebrei che hanno sostenuto posizioni simili. Ecco alcuni estratti di quelle affermazioni.

  • Ken Roth, ex-direttore di Human Right Watch, nel luglio 2021, dopo un massacro israeliano a Gaza:

“L’antisemitismo è sempre sbagliato e precede di molto la creazione di Israele, ma l’ondata di episodi antisemiti nel Regno Unito durante il recente conflitto a Gaza smentisce quanti sostengono che la condotta del governo israeliano non incide sull’antisemitismo.”

Roth ha spiegato che è vietato sostenere questo discorso perché suggerisce che il governo israeliano, che afferma di proteggere il popolo ebraico, stia in realtà danneggiando la sicurezza degli ebrei.

  • Nel 1944 Hannah Arendt, anticipando la creazione di Israele con l’appoggio degli ebrei americani, avvertì dei rischi di tale appoggio:

“Se nel prossimo futuro verrà costituita una Nazione ebraica, con o senza partizione [della Palestina], ciò sarà grazie all’influenza politica degli ebrei americani … Se la Nazione ebraica verrà proclamata contro la volontà degli arabi e senza l’appoggio dei popoli del Mediterraneo, per molto tempo saranno necessari non solo un aiuto finanziario, ma anche un sostegno politico. E ciò potrebbe rivelarsi veramente molto problematico per gli ebrei di questo Paese.”

  • Il sociologo di Harvard Nathan Glazer nel 1976 mise in guardia che gli americani sarebberopotuti diventare “ostili” agli ebrei americani per le loro pressioni a favore di Israele.

“Gli ebrei americani hanno potere solo perché i loro concittadini sono disponibili nei confronti del fatto che esercitano questo potere. Potrebbero diventarlo meno. Potrebbero anzi diventare ostili ad esso… Gli ebrei americani fanno spudoratamente pressione sul Congresso per misure a favore di Israele, e rendono politicamente scomodo essere contro Israele e persino prendere una posizione ‘imparziale’. Il personaggio politico che lo fa viene sottoposto a maggiori pressioni ed epiteti, alcuni dei quali decisamente ingiustificati. Ma, come ho detto, il potere deve essere visto nel contesto. Il contesto è che è stato consentito agli ebrei americani di fare quello che fanno.”

Il consiglio di Glazer era che la comunità ebraica statunitense dovesse fare pressione per la creazione di uno Stato palestinese, un consiglio che la comunità rifiutò.

  • Lo scrittore Eric Alterman ha avvertito ripetutamente che l’appoggio a Israele ha “svuotato” la vita ebraica negli USA. E ha affermato che ciò ha contribuito all’antisemitismo. Nel novembre 2022 ha detto ad Americans for Peace Now [organizzazione statunitense impegnata a favorire la soluzione del conflitto israelo-palestinese, ndt.]:

“Ad essere onesti, mentre è in corso un’impennata di antisemitismo negli Stati Uniti, di cui per inciso sono in gran parte responsabili persone adirate con Israele, non c’è davvero nessun problema ad essere ebreo in America come era una volta.”

  • Nel 2015, in un discorso a J Street [organizzazione statunitense moderatamente contraria all’occupazione della Cisgiordania, ndt.], l’ebreo britannico esperto di Medio Oriente Tony Klug affermò che la dipendenza di Israele dagli ebrei statunitensi per difendere l’indifendibile avrebbe contribuito a esiti “sinistri”, e a un’”ondata di antisemitismo”, rendendo forse “precaria” la vita degli ebrei.

“Se Israele non pone drasticamente fine all’occupazione e se la posizione delle organizzazioni ebraiche in altri Paesi sembra appoggiarla apertamente, ci sarà sicuramente  un’ondata di sentimenti antiebraici, scatenando potenzialmente impulsi più sinistri… Ovviamente non lo dico per giustificare tali tetri sviluppi futuri… Temo… che l’occupazione israeliana senza fine della terra e delle vite di un altro popolo non sia solo seriamente dannosa per Israele, per non parlare dell’aggravamento della disperazione dei palestinesi, ma che stia rendendo sempre più precaria anche la situazione degli ebrei in tutto il mondo.”

Questo problema è intrinseco nel sionismo. I suoi coloni ebrei erano dipendenti dal sostegno occidentale, soprattutto delle principali potenze (prima la Gran Bretagna e poi gli USA), e così le comunità ebraiche di quei Paesi vennero chiamate ad esercitare la loro influenza sui governi occidentali in appoggio a Israele. Di fatto nel 1900 molti ebrei inglesi si allontanarono da Herzl [il fondatore del sionismo politico, ndt.] perché si resero conto che l’appoggio a uno Stato ebraico stava minacciando la loro posizione in Gran Bretagna.

Una delle sorgenti storiche di antisionismo ebraico era la scelta di vivere in società diversificate, in cui i diritti di tutti venivano rispettati. Il sionismo ha corrotto questi principi. Ha fondato un’etnocrazia dipendente dall’influenza politica degli ebrei in Occidente.

Oggi ci sono molte buone ragioni per essere antisionisti. Ti preoccupi della vita dei palestinesi tanto quanto di quella degli altri. Ti opponi all’apartheid, alla pulizia etnica e al bombardamento di ospedali e campi di rifugiati. Ma un’altra ragione è che, quando la brutalità di Israele viene esibita al mondo come lo è oggi, il sionismo è un pericolo per gli ebrei in Occidente.

Sono preoccupato del futuro della vita degli ebrei. Non vedo come l’ebraismo che appoggia il genocidio possa sopravvivere spiritualmente. C’è bisogno di una crisi all’interno di quella comunità riguardo a quell’atteggiamento.

Oggi la “presa emotiva” del sionismo sulla comunità ebraica si sta spezzando, afferma Rabkin, in quanto in tutto il mondo giovani ebrei condannano il sionismo.

Oggi è più che mai importante che fiorisca l’antisionismo ebraico. Cosa ancor più importante, per il bene del popolo che viene massacrato da Israele una notte dopo l’altra, e anche per il bene della sicurezza degli ebrei qui.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Israele approva una legge per ampliare la segregazione  razziale

Redazione di MEE

26 luglio 2023 – Middle East Monitor

 

Ieri la Knesset ha approvato l’ampliamento della discriminatoria legge riguardante i Comitati di ammissione consentendo a un numero maggiore di comunità esclusivamente ebraiche di selezionare candidati e respingere quanti sono giudicati inadatti. Lo scorso mese era stata presentata una proposta di legge per estendere la segregazione razziale in Israele tramite comitati discriminatori.

I Comitati di ammissione, introdotti nel 2011, sono presenti in centinaia di cittadine sorte su territori demaniali nel Naqab (Negev) e in Galilea. La legge concede ai comitati una quasi totale discrezionalità riguardante il consenso o il rifiuto che individui vivano nelle città sotto il loro controllo. I comitati includono un rappresentante dell’Agenzia ebraica o dell’Organizzazione sionista mondiale, enti quasi-governativi. In pratica vengono esclusi i candidati arabo-palestinesi.

La legge originaria che concedeva poteri ai Comitati di ammissione fu approvata per aggirare la decisione della Corte Suprema che vietava alle comunità israeliane la prassi razzista di vendere i terreni solo agli ebrei. Si applicava solo alle comunità con un massimo di 400 famiglie e solo nel Negev e in Galilea.

La disposizione di legge discriminatoria è stata approvata dalla Knesset con una maggioranza di 42 a 11. L’approvazione rimuove le restrizioni sul numero di città a cui è permesso avere i “Comitati di ammissione”. L’estensione geografica della nuova legge include, oltre a Naqab e Galilea, tutte le cittadine designate come Aree di Priorità Nazionale (NPAs). Si applicherà anche alle comunità con 400-700 famiglie.

Infine la legge stabilisce che dopo cinque anni dall’entrata in vigore, il ministero dell’economia potrà estenderla a comunità con oltre 700 famiglie.

Adalah, il centro legale [per i diritti della minoranza araba in Israele], ha evidenziato che durante il dibattito alla Knesset e negli accordi di coalizione i promotori e i sostenitori della proposta di legge hanno dichiarato inequivocabilmente il loro scopo chiaramente razzista. I parlamentari hanno persino invitato a partecipare al dibattito un rappresentante del servizio di sicurezza interna di Israele, lo Shin Bet (“Shabak”). Il funzionario israeliano ha sottolineato l’importanza di espandere le colonie esclusivamente ebraiche in Galilea in tema di sicurezza.

Adalah ha affermato: ’Nessuno sta cercando di nascondere lo scopo razzista della legge che mira a continuare e promuovere valori ancorati alla Legge dello Stato-Nazione Ebraico per insediare ed espandere colonie ebraiche. Ad ogni stadio della procedura legislativa, inclusa la presentazione di opinioni del personale dello Shin Bet, i parlamentari della Knesset hanno rimarcato la loro intenzione di promuovere gli stessi valori nazionalisti. Usando il termine ‘comunitario,’ intendono politiche di segregazione razziale e apartheid contro i cittadini palestinesi in Israele. Perciò Adalah presenterà un ricorso contro questa legge alla Corte Suprema.”

Prima della decisione del governo israeliano di ampliare  i Comitati di ammissione, il ministro della Giustizia Yariv Levin ha spiegato che nominare giudici che capiscono che gli ebrei “non vogliono vivere con gli arabi” è uno dei motivi del controversa riforma giudiziaria.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Proposta di legge israeliana per impedire ai cittadini palestinesi di vivere in ‘zone ebraiche’

Elis Gjievori

6 giugno 2023 – Middle East Eye

Associazioni per i diritti umani si sono impegnate a combattere contro la proposta di legge che vedrebbe molte altre città israeliane impedire ai palestinesi di comprare o affittare appartamenti

Il governo israeliano propone una legge per “ebraizzare” la Galilea, una regione nel nord di Israele con una considerevole popolazione palestinese. 

La mossa fa parte di un accordo concluso lo scorso anno per formare il nuovo governo israeliano con i politici di estrema destra Bezalel Smotrich e Itamar Ben-Gvir, che vogliono espandere la colonizzazione ebraica nella regione.

In quanto parte del piano per “salvare la colonizzazione ebraica in Galilea,” il primo ministro Benjamin Netanyahu progetta di rafforzare significativamente la controversa legge del 2011 che darebbe a piccole comunità il potere di esaminare (e scartare) i potenziali nuovi arrivati.

Quando la legge fu approvata lo scopo era di aggirare una sentenza della Corte Suprema che proibisce alle comunità residenziali di affittare le terre solo ad ebrei.

Suhad Bishara di Adalah, il Centro legale per i diritti della minoranza araba in Israele, sostiene che le leggi danno “una discrezionalità quasi completa” a queste piccole comunità di scegliere chi ci vive.

“In pratica questa disposizione è principalmente un mezzo per scartare i cittadini palestinesi e impedire loro di risiedere in queste comunità e costituisce un meccanismo giuridico per la segregazione residenziale in molte località dello Stato di Israele,” ha detto Bishara a Middle East Eye.

All’inizio di questo mese il ministro della Giustizia Yariv Levin [del partito di Netanyahu, il Likud, ndt.] ha detto che in Israele l’acquisto di case da parte di palestinesi in paesi e cittadine sta spingendo gli ebrei a andarsene da queste zone.

“Gli arabi comprono appartamenti in comunità ebraiche in Galilea e ciò costringe gli ebrei ad abbandonare queste città perché non sono disposti a vivere con gli arabi,” dice Levin.

Ora il governo israeliano “vuole espandere e rafforzare questo sistema,” dice Bishara.

Il governo si è impegnato ad aumentare il numero di città che possono selezionare i nuovi arrivati estendendolo da quelle con 400 nuclei familiari a quelle con un massimo di 1000.

L’estensione della legge è sostenuta anche da alcuni parlamentari dell’opposizione. La prima versione della legge, che avrebbe permesso a cittadine con un massimo di 600 case di esaminare chi vi si trasferisce è stata approvata dal governo precedente.

Ufficialmente la legge non permette ai comitati di accettazione di respingere candidati alla residenza per motivi di razza, religione, genere, nazionalità, disabilità, classe, età, parentela, orientamento sessuale, Paese di origine, opinioni o affiliazione a un partito politico.

Tuttavia il testo della legge del 2011 permette ai comitati di respingere candidati che essi ritengono “inadatti al tessuto sociale e culturale” della comunità.

Sfacciata violazione della legge per i diritti umani’

All’inizio di questo mese il governo israeliano ha anche discusso una nuova proposta per imporre “valori sionisti ” in politiche governative che i critici sostengono potrebbero permettere agli ebrei israeliani di ricevere un trattamento preferenziale nella definizione dei piani regolatori e nella costruzione di case.

Cittadini palestinesi di Israele che vivono nella regione del Negev (Naqab) hanno da tempo accusato il governo israeliano di tentare con varie tattiche di sradicarli.

Queste includono la confisca di terre ai palestinesi trasformando i proprietari in affittuari. Inoltre il governo israeliano è stato accusato di impedire l’espansione dei villaggi palestinesi circondandoli con nuove colonie ebraiche.

Si intende espandere la nuova legge anche alla Cisgiordania occupata in zone dove Israele ha annesso territori in cui vivono anche palestinesi.

Bishara ha aggiunto che, se la proposta di legge passasse così com’è, potrebbe “essere soggetta a una verifica di costituzionalità in relazione alla sua applicabilità in Israele.”

“Questa è una sfacciata violazione del diritto internazionale umanitario e delle leggi per i diritti umani che si applicano alla Cisgiordania in quanto territorio occupato,” ha segnalato Bishara.

“Se approvata rafforzerebbe il meccanismo dell’annessione de facto di territori occupati e potrebbe essere considerato parte di un processo di annessione de jure, in totale violazione delle leggi relative a territori occupati,” aggiunge.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Le giustificazioni di Israele per la fucilazione – che l’Occidente si beve

Maureen Clare Murphy

The Electronic Intifada 14 Aprile 2023

Yusif Abu Jaber è stato seppellito martedì e la sua famiglia chiede risposte sulle circostanze della sua morte.

Le autorità israeliane affermano che venerdì scorso il cittadino palestinese dello Stato (di Israele) ha diretto intenzionalmente l’auto contro un gruppo di turisti sulla passeggiata a mare di Jaffa, uccidendo un italiano, prima di essere ucciso dal fuoco della polizia.

La polizia dice che, dopo che la sua auto si è ribaltata, è sembrato che Abu Jaber afferrasse un “oggetto simile a un fucile”, che in seguito ha ammesso essere una pistola giocattolo.

I famigliari di Abu Jaber vogliono che Israele consegni le riprese della videocamera registrate dagli agenti che hanno ucciso il padre di sei ragazze. Segnalano che Israele non ha pubblicato foto della pistola giocattolo che Abu Jaber avrebbe afferrato.

Una prima autopsia eseguita dall’Istituto di Israele di Medicina Legale ha stabilito che il quarantacinquenne ha avuto un ictus. I media israeliani, rimettendosi alla polizia segreta dello Shin Bet israeliano (servizi segreti interni, ndtr.), hanno riferito che questi risultati preliminari rafforzano “i sospetti che si trattasse di un attacco terroristico”, anche se dovrebbe essere necessario un esame ulteriore per accertare altre cause della possibile perdita di controllo del veicolo da parte di Abu Jaber.

L’Istituto di Medicina Legale avrebbe concluso che Alessandro Parini, il turista italiano, è stato ucciso dalla violenza dell’impatto e non ha riscontrato che sia stato ferito da arma da fuoco.

La polizia israeliana ha concluso che Abu Jaber ha investito intenzionalmente le persone con la sua auto.

E’entrato ad alta velocità nell’area della passeggiata ed ha guidato tra i blocchi di cemento per raggiungere la pista ciclabile e colpire più persone possibile”, ha detto al giornale Haaretz di Tel Aviv un alto funzionario. Dopo aver investito un primo gruppo di persone Abu Jaber “ha continuato ad accelerare investendo un altro gruppo.”

Il funzionario ha detto che dopo che l’auto di Abu Jaber si è ribaltata lui è uscito dal veicolo impugnando una pistola giocattolo. Dopo che gli hanno sparato e l’oggetto gli è caduto di mano, “ha cercato di afferrare nuovamente la pistola giocattolo, dimostrando di voler morire”, riferisce Haaretz.

La polizia israeliana ha confermato quella conclusione. In un video degli spari a Abu Jaber fatto da un passante si sente qualcuno ordinare in ebraico di dare conferma dell’uccisione.

Riecheggiando ciò che le associazioni per i diritti umani sostengono da anni, Omar Abu Jaber, fratello del guidatore ucciso, ha detto: “Il poliziotto che gli ha sparato uccidendolo ha assunto il ruolo di accusatore e giudice e lo ha condannato direttamente sul campo.”

Omar Abu Jaber ha detto che suo fratello avrebbe potuto essere arrestato da vivo ed ha sottolineato che la polizia e il Servizio nazionale di pronto soccorso israeliano Magen David Adom hanno modificato più volte la loro versione dei fatti.

Problema di credibilità della polizia israeliana

Sami Abou Shahadeh, un deputato palestinese del parlamento israeliano, ha richiesto un’indagine indipendente.

Tuttavia media internazionali, diplomatici e persino funzionari ONU hanno velocemente accettato le affermazioni della polizia israeliana sull’episodio dell’evidente esecuzione sommaria di un palestinese.

In una dichiarazione rilasciata giovedì, esperti indipendenti di diritti umani dell’ONU hanno riportato l’incidente di Jaffa con dei giri di parole. Gli esperti fanno riferimento a “attacchi mortali contro israeliani e civili internazionali”, chiedendo un’azione internazionale per bloccare il trasferimento forzato da parte di Israele dei palestinesi di Gerusalemme.

Le affermazioni della polizia israeliana dovrebbero invece essere trattate con scetticismo, data la lunga consuetudine di dare copertura a morti ingiustificate per mano dei suoi agenti.

Giovedì il procuratore di Stato di Israele ha chiuso una indagine di routine sulla sparatoria mortale della polizia contro un cittadino palestinese di Israele sulla spianata della moschea di al-Aqsa nella Città Vecchia di Gerusalemme all’inizio di aprile.

La polizia sostiene che Muhammad al-Asibi, uno studente di medicina, aveva afferrato il fucile di un poliziotto e sparato due volte, prima di essere ucciso.

Testimoni oculari hanno confutato la versione della polizia e persino degli ex poliziotti hanno espresso dei dubbi sull’affermazione che l’incidente non fosse stato ripreso da una videocamera in un’area altamente sorvegliata.

Un sorvegliante della moschea di al-Aqsa che è stato testimone degli spari ad al-Asibi ha detto che la polizia aveva sequestrato il suo cellulare e che era stato interrogato dallo Shin Bet a scopo di intimidazione.

Gideon Levy, un giornalista di Haaretz, nota che “in una registrazione audio della scena si sentono sparare 12 colpi in rapida successione in circa tre secondi”, nonostante la polizia affermi che ci fosse stata una lotta prima dei colpi iniziali presumibilmente sparati da al-Asibi e di quelli che lo hanno ucciso.

Oltre all’assenza di pause tra i colpi uditi nella registrazione, secondo Levy “è anche sconcertante il fatto che 12 pallottole abbiano colpito Mohammed, la maggior parte delle quali sparate da un secondo poliziotto, senza che nessuna di esse abbia colpito il poliziotto che avrebbe lottato con al-Asibi.”

Ahmad Tibi, un deputato palestinese nel parlamento israeliano, ha sottolineato che la polizia israeliana è pronta a diffondere filmati quando sostiene che qualcuno ha attaccato un agente.

Conosco bene la zona, ci sono cinque videocamere di registrazione ed ogni poliziotto ha una videocamera”, ha detto Tibi.

Sospettiamo che la polizia abbia coordinato i suoi testimoni. Dicono esattamente le stesse cose e questo desta veramente dei sospetti.”

Insabbiamenti e diffamazioni della polizia

Tibi ha paragonato l’uccisione di Abu Jaber a quella di Yaqoub Abu al-Qiyan e Iyad Hallaq.

In entrambi quei casi la polizia sostenne di aver ucciso qualcuno che stava compiendo o intendeva compiere un attacco, con il capo della polizia e l’allora Ministro della Pubblica Sicurezza che arrivarono a calunniare Abu al-Qiyan come terrorista dello Stato Islamico.

Anni dopo un’inchiesta indipendente rivelò una massiccia copertura dell’uccisione nel 2017 di Abu al-Qiyan durante un’azione di demolizione, anche se lo Shin Bet concluse due giorni dopo il fatto che “non vi era prova o indicazione di un attacco terroristico”, come riportato da Haaretz.

Il procuratore di Stato di Israele nel 2018 archiviò l’inchiesta sulla sua uccisione e nessuno venne indicato responsabile della morte dell’insegnante di matematica.

Un ex agente di polizia ammise in un’intervista televisiva lo scorso anno che il dipartimento investigativo ricevette pressioni dai livelli superiori per chiudere l’indagine sull’uccisione di Abu al-Qiyan.

Adalah, un’associazione che difende i diritti dei palestinesi in Israele, ha detto che quell’ammissione dimostra che gli apparati dello Stato “applicano una consolidata politica di completa immunità quando dei palestinesi vengono uccisi o feriti dalla polizia o dall’esercito di Israele.”

L’agente che ha ucciso Iyad Hallaq, un palestinese affetto da autismo ammazzato mentre andava a scuola a Gerusalemme nel 2020, è attualmente sotto processo per omicidio colposo.

Nonostante l’apparente attribuzione di responsabilità, l’agente, il cui nome non è stato reso noto, gode dell’appoggio del capo della polizia israeliana Kobi Shabtai. E nonostante sia sotto processo ha ricevuto di fatto una promozione.

Come al-Asibi e Abu Jaber, Hallaq è stato ucciso durante il Ramadan, quando l’esercito e la polizia israeliana sono in massima allerta.

E similmente al caso di al-Asibi, Israele sostiene che tutte le 10 videocamere della zona erano in qualche modo non funzionanti nel periodo in cui Hallaq venne ucciso dalla polizia mentre il suo accompagnatore li implorava di fermarsi.

I genitori di Hallaq dissero che il loro figlio spesso registrava le sue camminate verso e dalla scuola con il suo cellulare, che fu restituito alla famiglia con il contenuto cancellato, secondo Haaretz.

Ci sono forti motivi per credere che le autorità israeliane stiano occultando le prove, ha detto il legale della famiglia Hallaq.

Gli agenti “sospettarono che Hallaq fosse un terrorista perché si era fermato diverse volte guardandosi indietro mentre camminava”, ha riferito Haaretz.

Quanto al poliziotto che uccise Hallaq, “quando mi hanno detto che era affetto da problemi sono rimasto scioccato”, disse in tribunale. “Sul momento ciò che sapevo era che lui era un terrorista.”

Il processo al killer di Hallaq è un’eccezione alla “totale impunità di Israele nei confronti delle sue forze militari e di polizia, come anche dei vigilanti civili ebrei israeliani, quando dei palestinesi vengono uccisi e feriti”, secondo quanto detto da Adalah.

L’organizzazione nota che Israele non ha attribuito la responsabilità alle sue forze per l’uccisione di 13 palestinesi – tutti cittadini di Israele tranne uno – durante le proteste nell’ottobre 2000, mentre “i capi politici e delle forze dell’ordine … incitavano insistentemente contro i palestinesi cittadini dello Stato.”

Il governo di estrema destra di Benjamin Netanyahu intende ristrutturare le forze di polizia e allentare ulteriormente le regole d’ingaggio, codificando al contempo la politica di quasi totale impunità.

I campioni di verità e giustizia dovrebbero pensarci due volte prima di ripetere a pappagallo le asserzioni di Israele riguardo a palestinesi uccisi dalle sue forze.

Maureen Clare Murphy è caporedattrice di The Electronic Intifada.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Facciamo chiarezza: Israele estende la facoltà di privare i palestinesi di cittadinanza e residenza

Adalah

 20 febbraio 2023 – +972 Magazine

Una nuova legge, approvata da una schiacciante maggioranza della Knesset, fa parte di un processo in corso di consolidamento di sistemi giuridici diversi per ebrei e palestinesi.

Il 15 febbraio la Knesset ha approvato un nuovo disegno di legge intitolato “Legge per la revoca della cittadinanza o dello stato di residenza a un terrorista che riceva fondi per aver commesso un atto di terrorismo, 2023”.

Secondo la legge, approvata con una netta maggioranza di 94 membri della Knesset sia della coalizione di governo che del blocco di opposizione e solo 10 voti contrari, il ministero dell’Interno israeliano sarà autorizzato a revocare la cittadinanza o la residenza a una persona se condannata o detenuta per aver commesso un’ ” azione terroristica”, a condizione che abbia percepito fondi, o che qualcun altro li abbia percepiti per suo conto, dall’Autorità Palestinese (AP). La legge consente inoltre l’espulsione di queste persone nella Cisgiordania occupata o nella Striscia di Gaza se soddisfano i criteri di cui sopra.

Nello stesso giorno il plenum della Knesset ha approvato in lettura preliminare un altro disegno di legge volto a deportare le famiglie dei “terroristi”, che il Comitato giuridico ministeriale aveva promosso all’inizio di quella settimana. È difficile stabilire se questo disegno di legge, a cui il procuratore generale si è opposto, possa andare avanti o meno; tuttavia, proprio come per l’altra legge, hanno votato a favore parlamentari sia della coalizione di governo che dell’opposizione.

È impossibile negare la portata delle violazioni di diritti fondamentali contenuti nella nuova legge, in particolare quelli dei cittadini palestinesi di Israele e dei residenti palestinesi di Gerusalemme est. Il diritto alla cittadinanza è noto come “diritto ad avere diritti”, da cui derivano i diritti civili più basilari.

La negazione di questo diritto fondamentale è una misura gravissima e renderà apolidi le persone, in violazione della Convenzione delle Nazioni Unite del 1961 sulla riduzione dell’apolidia. La revoca della residenza dei palestinesi a Gerusalemme Est contravviene anche alla Quarta Convenzione di Ginevra in quanto, secondo il diritto internazionale, Gerusalemme Est è un territorio occupato che è stato annesso illegalmente da Israele.

Oltre a queste violazioni la nuova legge amplia enormemente i motivi in base ai quali si potrà usare la misura. Ciò costituirà una punizione addizionale oltre a ogni condanna che un individuo riceverà dal sistema legale penale israeliano, costituendo quindi una doppia punizione che contravviene ai principi più basilari dello stato di diritto, inclusa la finalità dei procedimenti giudiziari.

Israele ha già un meccanismo legale che in sé è problematico e che è stato recentemente confermato dalla Corte Suprema, per cui lo Stato può revocare la cittadinanza dei palestinesi in Israele così come meccanismi legali aggiuntivi per revocare la residenza dei palestinesi di Gerusalemme est. Ma si pensa che la nuova legge approvata la scorsa settimana amplierà in modo significativo l’ambito di tali meccanismi e nel far ciò consoliderà ulteriormente due sistemi legali separati per ebrei e palestinesi su entrambi i lati della Linea Verde  [il confine tra Israele e Cisgiordania prima dell’occupazione nel 1967, ndtr.] .

Qual è stato finora il metodo di revoca della cittadinanza e residenza secondo la legge israeliana?

Secondo l’emendamento alla legge sulla cittadinanza del 2008 il ministero degli Interni israeliano è autorizzato, su raccomandazione del Procuratore Generale e con l’approvazione di un tribunale distrettuale, a revocare la cittadinanza a individui che abbiano commesso un atto che costituisce “una violazione della lealtà verso lo Stato di Israele.”

Questo emendamento era stato esaminato dalla Corte Suprema per la prima volta con una sentenza emanata nel luglio 2022 nel caso di Alaa Zayoud, in cui si concludeva che l’emendamento soddisfa i principi costituzionali israeliani anche se la revoca comporta apolidia di qualcuno, sempre che il ministero degli Interni gli conceda la residenza permanente in Israele. Sebbene lo Stato alla fine di quel caso non abbia privato Zayoud della cittadinanza, la sentenza della corte ha affermato e legittimato la disposizione razzista della legge che viola gravemente i diritti umani e contravviene al diritto internazionale, basandosi solo su norme giuridiche israeliane.

Un emendamento del 2018 alla Legge sull’ingresso in Israele ha portato a una disposizione simile riguardo alla revoca della residenza ai palestinesi di Gerusalemme est, dopo che la Corte Suprema aveva accettato un ricorso da parte di membri del Consiglio Legislativo palestinese, il parlamento dell’Autorità Palestinese a cui i permessi di residenza erano stati negati; piuttosto che emanare una decisione finale sul caso, la corte diede alla Knesset l’opportunità di creare una nuova legislazione che avrebbe soddisfatto i criteri costituzionali. La Knesset ha quindi approvato una legge che deve essere ancora rivista dalla Corte Suprema, ma che è già in vigore e che permette al ministero degli Interni di revocare la residenza di una persona dopo essersi consultato con un comitato creato dal ministero.

Ci sono ulteriori strade che consentono a Israele di revocare la residenza ai palestinesi di Gerusalemme est. Nel 1988 una commissione di giudici della Corte Suprema, presieduta da Aharon Barak, confermò la revoca della residenza di Mubarak Awad, un accademico e fondatore del Centro Palestinese per lo Studio della Nonviolenza, sulla base del fatto che aveva spostato il “centro della sua vita” lontano da Gerusalemme. Sulla scia di questa sentenza seguirono molte centinaia di casi simili.

Cosa costituisce “terrorismo” o altri reati che potrebbero essere motivo di revoca? 

Sia la Legge sulla Cittadinanza che la Legge sull’ingresso in Israele contengono tipologie di reati che costituiscono una “violazione della lealtà,” e una condanna per queste tipologie offre al ministero degli Interni la possibilità di approvare la revoca di cittadinanza o residenza. La prima è commettere un “atto di terrorismo,” come definito dalla Legge sul Controterrorismo del 2016; istigare o aiutare un tale atto; avere un ruolo attivo in un’organizzazione “terroristica” o in una organizzazione definita “terroristica”. La seconda categoria si riferisce ad atti che costituiscano “tradimento” o “spionaggio grave” ai sensi del codice penale. In casi di revoca della cittadinanza c’è anche una terza categoria: acquisire la cittadinanza di uno “Stato nemico” (la lista degli “Stati nemici” è la stessa usata per proibire la riunificazione familiare per i palestinesi).

L’uso frequente del termine “terrorista” nel contesto israeliano, sia nella revoca di cittadinanza e residenza che nel contesto di misure punitive aggiuntive contro i palestinesi, richiede ulteriori spiegazioni di come la legge israeliana definisca un “atto di terrorismo.” Non c’è una lista precisa di reati che sono definiti come inclusi nell’ambito della Legge sul controterrorismo, ma piuttosto una sorta di filtro che etichetta certi reati come “terrorismo” se soddisfano una combinazione di criteri: avere un motivo e commettere o minacciare di commettere un atto. Secondo questi criteri molto ampi un atto come lanciare pietre a una manifestazione può essere considerato “terrorismo.”

Considerare “atto terroristico” un reato, espone le persone accusate a trattamenti più severi nel processo giudiziario e nella pena e può anche essere applicato retroattivamente a precedenti condanne penali. Dopo l’emanazione della Legge sul controterrorismo Adalah [ong israeliana che difende i diritti dei palestinesi con cittadinanza israeliana, ndt.] ha messo in guardia che la definizione di “atto di terrorismo” previsto dalla legge era troppo ampia e vaga. Il documento sostiene che in base a questa definizione la Legge sul controterrorismo potrebbe includere atti commessi da palestinesi durante proteste politiche legittime, contro l’occupazione, la discriminazione, il razzismo, lo spossessamento e l’oppressione che affrontano.

Ci sono parecchi segnali che questa definizione è stata ideata per applicare sanzioni discriminatorie contro i palestinesi. Per esempio dati ufficiali del pubblico ministero relativi agli eventi del maggio 2021 confermano che la proporzione di imputati palestinesi accusati di aver commesso un “atto di terrorismo” era significativamente più elevata di quella degli imputati ebrei in circostanze simili.

Inoltre la clausola di revoca nella Legge sulla Cittadinanza chiaramente prende di mira i palestinesi. Come parte del procedimento nel caso di Zayoud il ministero dell’interno aveva passato dati alla Corte Suprema che mostravano che, dei 31 casi in cui lo Stato aveva preso in considerazione la revoca della cittadinanza, nessuno di essi riguardava un cittadino ebreo. Nonostante ciò, il presidente della Corte Suprema, Esther Hayut, dichiarò nella sentenza che, dato che solo tre richieste di revoca della cittadinanza erano state sottoposte dal ministero degli Interni all’approvazione della corte, non c’erano motivi sufficienti per provare la discriminazione.

Come la nuova legge cambia l’attuale quadro giuridico?

La legge approvata la scorsa settimana aggiungerà un ulteriore meccanismo per la revoca della cittadinanza e della residenza oltre a consentire l’espulsione in Cisgiordania o a Gaza. Con il nuovo meccanismo le persone che potranno essere soggette alla revoca includeranno individui condannati e incarcerati per aver commesso un atto di “terrorismo” o un atto di “tradimento,” e, ove sia “comprovato in modo soddisfacente per il ministero dell’Interno”, quanti vengano accusati di aver ricevuto fondi dall’Autorità Palestinese “per violare la lealtà [allo Stato di Israele, ndt.]”.

La legge include anche il presupopsto che chiunque riceva pagamenti dall’ANP non sia da considerare apolide perché avrebbe uno status nell’ANP. Questo è un chiaro tentativo di aggirare gli obblighi imposti dalla Corte Suprema sul ministero degli Interni nella sentenza Zayoud per assicurare che la persona la cui cittadinanza sia revocata mantenga uno status permanente in modo da non renderla apolide.

La legge inoltre non prevederà l’approvazione del procuratore generale, ma piuttosto quella del ministero della Giustizia e richiederà che la corte risponda entro 30 giorni alla richiesta del ministero dell’Interno per la revoca, a meno che la corte sia convinta che la richiesta sia ingiustificata. Nei casi in cui la residenza permanente sia revocata, l’individuo avrà solo sette giorni di tempo per opporsi alla condanna. Secondo la legge coloro che hanno seguito la procedura descritta saranno deportati quando la loro condanna al carcere sarà scontata.

Perché questa legge è razzista?

Questi reati di “violazione della lealtà” sono basati sulla definizione di un “atto di terrorismo” che in se stesso è un modo di prendere di mira in modo differenziato i palestinesi. Le condizioni che devono essere soddisfatte per dare come risultato l’espulsione sono dirette in modo evidente contro i palestinesi in virtù del requisito che abbiano ricevuto fondi specificatamente dall’AP.

I sostenitori della legge hanno dichiarato che essa intende impedire ai palestinesi condannati di un atto di terrorismo o ai membri delle loro famiglie di essere “ricompensati” per il loro atto. Tuttavia, ai sensi della legge esistente, il ministero della Difesa ha già la possibilità, che è frequentemente utilizzata, di confiscare tali fondi trasferiti dall’ANP, quindi è difficile non concludere che le disposizioni di questa legge vogliono ottenere uno scopo diverso.

Solo recentemente un’inchiesta ha rivelato la rete di raccolta fondi di un’organizzazione israeliana che sostiene finanziariamente gli assassini dell’ex primo ministro Yitzhak Rabin, della famiglia Dawabshe, di Shira Banki e altri ebrei condannati per crimini nazionalisti (l’organizzazione, inizialmente registrata con il nome Hanamel Dorfman, attuale capo del personale del ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben Gvir,). Questi prigionieri ebrei-israeliani e altri come loro non saranno colpiti dalle condanne imposte dalla nuova legge.

Distinzioni razziste di questo tipo sono già state sostenute in una sentenza del giudice Noam Sohlberg in risposta a un ricorso riguardante la demolizione della casa di cinque palestinesi. Sohlberg ha respinto le affermazioni secondo cui sarebbe stata applicata una politica discriminatoria e ha sostenuto che le ragioni per cui le case degli ebrei che hanno ucciso palestinesi non sarebbero state distrutte “è perché nel settore ebraico non c’è la stessa necessità di deterrenza generale che è la base delle demolizioni delle case.” Circa le uccisioni della famiglia Dawabshe e di Muhammed Abu Khdeir il giudice ha sostenuto che quando esse sono avvenute c’è stata una “potente e decisiva condanna da parte degli ebrei che non c’è dalla parte opposta (palestinese).”

Nelle prime discussioni dei comitati della Knesset lo scopo della legge appena approvata è stato apertamente dichiarato. Per esempio, il parlamentare del Likud Hanoch Milwidsky ha detto: “Non penso di dovermi giustificare sul fatto di essere nello Stato degli ebrei che preferiscono gli ebrei” e ha ulteriormente chiarito cosa intendesse dire nella risposta ad Ahmad Tibi, parlamentare di Ta’al [“Movimento arabo per il rinnovamento”, uno dei componenti della Lista Unita, ndtr.]: “Io preferisco i killer ebrei ai killer arabi.”

Durante la stessa discussione, Limor Son Har-Melech, parlamentare di Otzma Yehudit [Potere Ebraico, partito di estrema destra, N.d.T.] che era fra i promotori della legge, ha criticato persino l’idea che ricevere denaro dall’ANP sarebbe una condizione per l’espulsione. Secondo lei la cittadinanza dovrebbe essere revocata “a ogni terrorista che uccide un ebreo perché è un ebreo,” aggiungendo che la condanna appropriata per un tale delitto dovrebbe essere la condanna a morte.

L’accordo di coalizione di Otzma Yehudit con il Likud include una legge per la pena di morte ai “terroristi,” anch’essa intesa a colpire esclusivamente i palestinesi: l’accordo chiarisce che sarà applicata solo agli “atti di terrorismo mirati a danneggiare lo Stato di Israele come Stato del popolo ebraico.”

Conclusioni

La nuova legge dovrebbe essere vista come nient’altro che parte di un processo in corso per rafforzare sistemi legali separati per ebrei e palestinesi sotto il controllo israeliano. Questa tendenza è stata ulteriormente evidenziata dai principi guida dell’attuale governo e dall’accordo di coalizione firmato in occasione del suo insediamento, che include una lunga lista di misure aggiuntive per espandere ulteriormente sistemi separati di applicazione delle leggi ed esecuzione delle pene.

In uno studio pubblicato da Adalah che analizza i documenti fondanti della coalizione è chiaro che questi documenti vedono la supremazia ebraica e la separazione razziale come principi fondamentali del regime israeliano. Queste caratteristiche dell’apartheid sono chiaramene visibili nella nuova legge sulla revoca [della cittadinanza o della residenza, ndt.].

Uno degli iniziatori della legge, Yinon Azoulai, parlamentare di Shas [partito politico di ebrei ortodossi ashkenaziti, ndt.] spiegando il suo scopo ha detto alla Knesset: “Che tutti quelli che si ribellano contro di noi capiscano questo: in questo Stato noi, gli ebrei, siamo i signori della terra.” E, come ha detto il primo ministro Benjamin Netanyahu all’inizio di un incontro governativo la scorsa settimana, la nuova legge serve “ad affondare più profondamente le nostre radici nella nostra terra.” Ma è importante ricordare che il sostegno a questa legge, come a molte altre leggi razziste, in Israele arriva da ogni fazione sionista della Knesset, sia dalla coalizione di governo che dall’opposizione.

Adalah – Il centro legale per i diritti della minoranza araba in Israele è un’organizzazione indipendente per i diritti umani e un centro legale. Adalah lavora nei tribunali israeliani e presso gli organi decisionali internazionali per promuovere e difendere i diritti umani di tutti i palestinesi sottoposti alla giurisdizione dello Stato di Israele.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




La Corte israeliana sentenzia a favore di un’ampia impunità

Maureen Clare Murphy

11 luglio 2022 – The Electrèonic Intifada

La settimana scorsa l’Alta Corte di Israele ha emesso una sentenza in favore di un’ampia immunità per lo Stato per i crimini di guerra perpetrati a Gaza.

Le associazioni palestinesi per i diritti umani affermano che la sentenza sottolinea l’urgente necessità di un’immediata inchiesta della Corte Penale Internazionale.

Adalah, un’associazione palestinese per i diritti umani, ha dichiarato che “la sentenza significa che tutti gli abitanti di Gaza sono esclusi da qualunque risarcimento e ricorso in Israele, a prescindere dalle circostanze, nel corso di ‘azioni di guerra’ o di altro genere”.

La sentenza dell’Alta Corte è una risposta ad una richiesta di risarcimento da parte di Israele per le gravi ferite riportate da Attiya Nabaheen, che aveva appena compiuto 15 anni quando fu colpito dal fuoco delle forze israeliane nel cortile davanti a casa sua mentre rientrava da scuola a Gaza nel novembre 2014.

Nabaheen è rimasto paralizzato in seguito alle ferite.

Adalah e Al Mezan, un’altra associazione per i diritti umani, avevano fatto ricorso presso la Corte per contestare una legge entrata in vigore nel 2012, che prevede che gli abitanti della Striscia di Gaza non possano ricevere risarcimenti da parte di Israele in quanto nel 2007 essa è stata dichiarata ‘territorio nemico.’

Un tribunale di prima istanza ha utilizzato quella legge per respingere il tentativo di Nabaheen di ricevere un risarcimento da Israele per le sue ferite.

L’Alta Corte ha affermato che la legge è conforme al diritto internazionale e che in ogni caso il parlamento israeliano “ha il potere di scavalcare le norme del diritto internazionale.”

Adalah e Al Mezan hanno replicato che la sentenza dell’Alta Corte “giustifica l’avvio immediato di un’inchiesta [della Corte Penale Internazionale], in quanto essa nega alle vittime civili palestinesi di crimini di guerra compiuti da Israele la possibilità di ogni ricorso giuridico.”

Le associazioni aggiungono che “non c’è prova più evidente del fatto che il sistema giuridico israeliano è determinato a legittimare i crimini di guerra e a cooperare con l’esercito nei suoi sforzi di negare alle vittime ogni rimedio legale.”

Un’inchiesta indipendente dell’ONU sull’utilizzo da parte di Israele di forza letale contro i manifestanti della Grande Marcia del Ritorno nel 2018 ha preso in esame il caso di Nabaheen e le sue implicazioni per altri abitanti di Gaza.

La sentenza preclude “la via principale per far valere il loro diritto ad ‘un efficace risarcimento legale’ da parte di Israele, che è loro garantito dalla legislazione internazionale”, hanno dichiarato gli inquirenti dell’ONU.  “E’ quindi difficile sopravvalutare il peso di questa sentenza.”

Nel tentativo di giustificare l’uso della forza letale contro manifestanti disarmati, Israele ha inventato un nuovo infondato paradigma del diritto internazionale, che etichettava la Grande Marcia del Ritorno come parte del suo conflitto armato con Hamas, l’organizzazione politica e di resistenza palestinese che controlla gli affari interni di Gaza.

Le direttive dell’esercito israeliano stabiliscono che deve essere avviata un’inchiesta penale immediatamente dopo la morte di un palestinese al di fuori di attività di combattimento.

Classificando la Grande Marcia del Ritorno come parte del conflitto armato con Hamas, anche se i manifestanti erano disarmati, Israele ha creato un quadro giuridico separato per gestire le denunce relative alle proteste.

Una scappatoia legale

Questa importante scappatoia legale viene anche impiegata riguardo ai palestinesi uccisi dalle forze di occupazione israeliana in Cisgiordania.

Il procuratore generale dell’esercito israeliano ha dichiarato che l’uccisione della corrispondente di Al Jazeera Shireen Abu Akleh mentre documentava un’incursione dell’esercito a Jenin in maggio era “un evento bellico” e pertanto nessun soldato dovrebbe subire denunce penali.

Israele ha praticamente ammesso che uno dei suoi soldati ha ucciso Abu Akleh e la scorsa settimana il Dipartimento di Stato USA ha comunicato che la giornalista è stata “probabilmente” uccisa da un’arma da fuoco delle truppe israeliane.

Sia Israele che gli USA sembrano trattare l’uccisione di Abu Akleh come un errore operativo piuttosto che come una sospetta esecuzione extragiudiziale.

Diverse indagini indipendenti condotte da associazioni per i diritti umani e da organi di informazione internazionali hanno altresì concluso che Abu Akleh molto probabilmente è stata uccisa da fuoco israeliano.

L’indagine forense della CNN, citando l’esperto di armi esplosive Chris Cobb-Smith, nota che “Abu Akleh è stata uccisa da diversi spari”.

Cobb-Smith ha affermato che “il numero di tracce dei colpi sull’albero dove si trovava Abu Akleh prova che non si è trattato di uno sparo casuale, lei è stata presa di mira.”

Venerdì scorso la famiglia di Abu Akleh ha inviato una lettera al Presidente USA Joe Biden, di cui è prevista una visita in Israele e Cisgiordania la prossima settimana, ed ha accusato la sua amministrazione di “muoversi verso la cancellazione di qualunque misfatto delle forze israeliane.”

Gli USA non sembrano far pressione su Israele per un’inchiesta penale: il portavoce del Dipartimento di Stato Ned Price ha detto durante una conferenza stampa martedì scorso che “non stiamo cercando di essere prescrittivi riguardo a ciò.”

Sembra che per l’amministrazione Biden responsabilizzazione significhi incoraggiare “passi verso la protezione dei civili e dei non combattenti in una zona di conflitto.”

Price ha aggiunto che l’esercito israeliano “è nella condizione di prendere in considerazione dei passi perché non possa più accadere niente di simile.”

Venerdì la famiglia di Abu Akleh ha detto che “non possiamo credere che una tale aspettativa sia il massimo della risposta della vostra amministrazione.”

La famiglia ha sottolineato l’aiuto militare incondizionato degli USA a Israele e “il quasi assoluto appoggio diplomatico per evitare ai dirigenti israeliani di assumersi le responsabilità.”

I famigliari di Abu Akleh hanno fatto richiesta a Biden di incontrarli durante la sua imminente visita e di fornire loro le informazioni raccolte dalla sua amministrazione riguardo all’uccisione della giornalista.

La famiglia ha parlato al presidente del proprio “dolore, sdegno e sensazione di tradimento” di fronte ai suoi determinati tentativi di assicurare “la cancellazione di ogni misfatto compiuto dalle forze israeliane.”

“Ci aspettiamo che l’amministrazione Biden sostenga i nostri sforzi per ottenere responsabilizzazione e giustizia…dovunque ciò possa condurci”, ha affermato la famiglia.

Corte Penale Internazionale

Una di tali sedi processuali è la Corte Penale Internazionale, che è stata adita relativamente all’uccisione di Abu Akleh sia dall’Autorità Nazionale Palestinese che da Al Jazeera. Gli USA si sono affiancati a Israele nel cercare di boicottare l’inchiesta dell’Aja in Palestina.

La CPI privilegia le indagini interne ad un Paese, dove esse sussistano.

La recente sentenza della corte israeliana che ha rifiutato il risarcimento per Attiya Nabaheen e la copertura della responsabilità per l’uccisione di Shireen Abu Akleh dovrebbero dissolvere ogni restante dubbio su ciò a cui si prevede che serva il sistema giuridico di Israele.

Ma resta in dubbio se la CPI funzionerà come un tribunale di ultima istanza per i palestinesi con qualche carattere di urgenza.

Mentre raccoglie risorse per una tempestiva inchiesta in Ukraina, con il rischio per la presunta indipendenza della Corte proveniente dalle contribuzioni volontarie all’indagine, l’inchiesta sulla Palestina sembra essere lasciata morire sul nascere.

Il silenzio sulla Palestina e su altre inchieste che non hanno l’appoggio di potenti Stati “può aver indebolito l’effetto di deterrenza della Corte ed ha lasciato un vuoto che è stato riempito da attacchi politici all’operato della Corte, e anche da attacchi nei confronti di difensori dei diritti umani”, ha recentemente dichiarato Amnesty International.

Senza una risposta ugualmente forte alle crisi in Palestina e in Afghanistan, come in altri luoghi, l’ufficio del procuratore della CPI potrebbe essere considerato “semplicemente il braccio legale della NATO”, come ha detto recentemente l’avvocato per i diritti umani Reed Brody.

Mureen Clare Murphy è caporedattrice di The Electronic Intifada

(traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Un video mostra che politici israeliani hanno fatto pressioni sulla polizia per chiudere il caso dell’uccisione di Hassouna

Redazione Middle East Eye

1 maggio 2022 – Middel East Eye

Un centro legale fa appello contro il fatto che non si sia intrapreso nessun provvedimento contro i cinque ebrei israeliani sospettati a causa di un’indagine “inadeguata”.

Nel suo appello contro la decisione di archiviare il caso contro cinque sospettati ebrei, il centro legale Adalah ha affermato che sono state esercitate pressioni sulla polizia israeliana che ha svolto una “lacunosa” indagine relativa all’uccisione lo scorso anno di Moussa Hassouna, un cittadino palestinese di Israele.

Adalah, il Centro Legale per i Diritti della Minoranza Araba in Israele, ha presentato ricorso per conto della famiglia Hassouna dopo che un procuratore distrettuale ha archiviato la causa contro cinque ebrei israeliani sospettati per l’omicidio nell’ottobre 2021.

Hassouna, un cittadino palestinese di Israele di 31 anni, è stato ucciso nella città mista di Lod, conosciuta anche come Lydd, durante scontri tra palestinesi e attivisti israeliani di estrema destra, occorsi il 10 maggio dello scorso anno. Le violenze sono scoppiate quando si sono create tensioni in Israele e nei territori palestinesi occupati in seguito ad attacchi israeliani alla Moschea di Al-Aqsa e nel quartiere Sheikh Jarrah a Gerusalemme est.

Nell’appello inoltrato al Procuratore di Stato Amit Isman, Adalah ha sostenuto che, in base a prove investigative, la polizia ha condotto un’indagine “negligente” e “carente” con l’intento di chiudere il caso contro i sospettati di destra.

Il centro legale ha anche reperito nella documentazione dell’inchiesta un filmato che segnalava che sono state esercitate pressioni sull’indagine.

Il video ed altri materiali ritrovati nella documentazione investigativa da Adalah suggeriscono anche che nel corso dell’indagine importanti dirigenti politici hanno fatto pressioni illecite sulla polizia”, ha affermato Adalah in un comunicato stampa pubblicato sabato.

Adalah ha detto di aver anche inviato una lettera al procuratore generale Gali Baharav-Miara in cui si chiede che venga avviata una rapida indagine sulle interferenze da parte di personaggi politici.

L’ultima delle mie priorità’

Nel video del 12 maggio 2021 pubblicato da Adalah un inquirente dice che il capo di un laboratorio di armamenti si è rifiutato di analizzare le armi usate dai sospettati e avrebbe detto: “l Le analisi in questo caso sono l’ultima delle mie priorità”.

Un altro inquirente gli risponde: “Davvero? Che lo dica al ministro che telefona ogni 10 minuti per controllare a che punto sono le indagini.”

In un tweet dello stesso giorno l’allora ministro della Pubblica Sicurezza, Amir Ohana, ha chiesto il rilascio dei sospettati, affermando che erano cittadini rispettosi della legge che avevano agito per autodifesa.

Il legale di Adalah, Nareman Shehadeh-Zoabi, ha detto che “il comportamento delle autorità responsabili di applicare la legge e dei dirigenti politici, in questo caso, dimostra che questi gruppi di vigilanti avevano il loro pieno appoggio e venivano addirittura considerati come ‘forze aggiuntive’ per le autorità.”

Nel suo appello Adalah ha richiesto che il procuratore di Stato riapra l’indagine che, afferma, è stata condotta in modo inadeguato.

Sostiene che la polizia non ha adottato misure investigative indispensabili relativamente all’interrogatorio dei sospettati, all’analisi balistica, alla raccolta e all’esame delle prove, all’analisi della scena del crimine e alla raccolta delle testimonianze.

Nell’ottobre dello scorso anno l’ufficio del procuratore distrettuale centrale di Israele ha detto che stava per archiviare l’indagine sull’uccisione di Hassouna a causa della mancanza di prove e delle affermazioni dei sospettati che sostenevano di aver sparato per “autodifesa”.

Secondo Adalah la polizia si è basata esclusivamente sulle affermazioni di ebrei israeliani per stabilire la sequenza degli eventi e non ha acquisito le deposizioni di nessuno dei testimoni palestinesi.

Questa ingiusta decisione conferisce legittimità ai crimini delle milizie terroriste ebraiche e le incoraggia ad uccidere e far violenza agli arabi sotto la protezione degli apparati dello Stato”, ha affermato un comitato popolare palestinese di Lod in una dichiarazione in seguito alla chiusura dell’indagine.

Khaled Zabarqa, un avvocato membro del comitato, al momento ha detto a Middle East Eye che la decisione di archiviare il caso ha sconvolto la famiglia di Hassouna e l’ha fatta sentire “come se il loro figlio fosse stato ucciso un’altra volta”.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)