Le forze israeliane uccidono tre persone mentre i giovani invitano ad unirsi alle proteste della “Grande Marcia del Ritorno”

Redazione di MEE

venerdì 27 aprile 2018 Middle East Eye

Gli organizzatori dedicano la manifestazione del venerdì alla “gioventù rivoluzionaria” mentre le forze israeliane feriscono almeno sette giornalisti che stavano informando sulle proteste.

Almeno tre palestinesi sono stati uccisi dalle forze israeliane mentre migliaia di palestinesi hanno partecipato al quinto venerdì di proteste nella Striscia di Gaza assediata come parte della “Grande Marcia del Ritorno”.

Le proteste continuano e il responsabile per i diritti umani dell’ONU ha attaccato l’esercito israeliano per la “deplorabile” uccisione di almeno 43 palestinesi durante le manifestazioni nelle ultime quattro settimane.

Venerdì il ministero della Sanità di Gaza ha parlato di due palestinesi uccisi, compreso un uomo colpito alla testa a est di Gaza City. Per il momento il ministero non ha potuto identificare i due.

Un terzo palestinese ucciso è stato identificato dal ministero come il ventinovenne Abd al-Salam Bakr, colpito a est di Khuzaa, nella parte meridionale della Striscia.

Il ministero ha anche detto che più di 600 persone sono state ferite, comprese 37 persone colpite dal fuoco israeliano.

Un inviato di MEE ha informato che durante tutto il giorno in tutta la Striscia di Gaza le forze israeliane hanno sparato proiettili veri e una grande quantità di gas lacrimogeni contro i dimostranti.

Secondo fonti sul campo, in diversi incidenti almeno sette giornalisti sono stati feriti dalle forze israeliane mentre stavano informando sulle proteste.

Secondo l’inviato di MEE, il fotoreporter Nabil Derbeih è stato colpito alla testa a est di Jabaliya, nel nord di Gaza, il fotografo Hashem Hamada è stato raggiunto alla testa da un candelotto lacrimogeno a est di Gaza City, mentre nella stessa zona Abd al-Rahman al-Kahlout è stato colpito a un piede.

Il fotografo Mohammed al-Masri ha sofferto le conseguenze dell’eccessiva inalazione di gas lacrimogeno nella zona di Jabaliya, mentre anche i giornalisti Iyad Abu Ghaza e Hassan Youssef sarebbero stati feriti dopo essere stati presi direttamente di mira con candelotti lacrimogeni a est del campo di rifugiati di al-Bureij. Inoltre l’inviata del canale di notizie Al Mayadeen Lana Shaheen sarebbe svenuta dopo aver inalato gas lacrimogeni a est di Gaza City.

Anche una troupe di “Palestine TV” è stata direttamente bersagliata da candelotti lacrimogeni, provocando ai giornalisti conseguenze per l’eccessiva inalazione di gas lacrimogeni.

Testimoni affermano che almeno due minori sono stati colpiti da armi da fuoco a nord di Gaza, compresa una ragazzina ferita a un piede.

Il ministero della Sanità di Gaza ha anche informato che un ambulatorio da campo a est di al-Bureij è stato preso di mira con gas lacrimogeni, colpendo gravemente quattro infermieri.

Secondo il ministero, fino alle 18 ora locale almeno 349 palestinesi erano stati feriti, compresi 19 minorenni, e almeno otto medici e tre giornalisti.

A est di Gaza City e nella cittadina di Jabaliya, nel nord di Gaza, i manifestanti avrebbero rimosso parti del filo spinato sistemato dalle forze israeliane per evitare che i dimostranti arrivassero troppo vicino al confine con Israele.

Un venerdì per la “gioventù rivoluzionaria”

Per quasi un mese manifestanti si sono riuniti ogni giorno ad alcune centinaia di metri dalla barriera che separa Israele da Gaza, dove almeno 1.3 milioni dei due milioni di abitanti del piccolo territorio sono dei rifugiati, per chiedere il diritto al ritornare a quelle che erano le loro case prima del 1948.

Le proteste, programmate per sei settimane, dovrebbero terminare il 15 maggio – il settantesimo anniversario della Nakba (la Catastrofe), in cui più di 750.000 palestinesi sono stati obbligati dalle forze israeliane a lasciare le loro case durante la Guerra arabo-israeliana del 1948.

A Gaza gruppi giovanili hanno risposto all’appello degli organizzatori per dedicare le proteste del venerdì alla “gioventù rivoluzionaria” e hanno incoraggiato i giovani palestinesi a parteciparvi.

Il portavoce in arabo dell’esercito israeliano, Avichay Adraee, ha chiesto ai giovani palestinesi di rimanere a casa venerdì, una richiesta che i dimostranti hanno respinto.

Traduzione: cercano di incantarvi con l’illusione di virilità! No cari, questo non è il venerdì della gioventù rivoluzionaria, questo è il venerdì della gioventù perduta. Non date ad Hamas l’opportunità di rubarvi il futuro. Passate il vostro giorno santo con attività che siano utili al vostro futuro.

Di quale futuro sta parlando Adraee? Hanno distrutto Gaza nel 2014, e privano migliaia di giovani della possibilità di viaggiare per ricevere educazione e cure mediche,” ha detto Bashar Abu Ras, 25 anni, a MEE, ridendo.

Più del 60% della popolazione di Gaza ha meno di 24 anni, mentre il 56% degli abitanti di Gaza tra i 15 e i 29 anni è disoccupato, secondo l’ONU la più alta percentuale di disoccupazione giovanile al mondo.

I palestinesi credono che il blocco di Gaza da parte di Israele – e appoggiato anche dall’Egitto -, durato quasi 11 anni abbia portato al deterioramento delle condizioni economiche e sociali dello stretto territorio costiero.

Siamo assediati, non possiamo viaggiare per completare i nostri studi all’estero a causa del fatto che il valico di Rafah (con l’Egitto) apre solo per casi umanitari e non possiamo attraversare il posto di controllo di Eretz a causa delle misure di sicurezza di Israele,” ha detto a Middle East Eye Youssef Abu Hashish, 25 anni, aggiungendo che, nonostante tutti i tentativi fatti, né lui né due suoi amici che manifestano con lui hanno trovato lavoro da quando si sono laureati all’università due anni fa.

È per questo che io e miei amici abbiamo deciso di protestare,” ha spiegato. “Questo è il modo che abbiamo per parlare apertamente all’occupazione.”

Anwar al-Salhi, 29 anni, ha detto di vivere tra un lavoro precario e l’altro, a volte solo per 7 dollari al giorno, e di essere la principale fonte di reddito della famiglia, in quanto i suoi due fratelli sono disoccupati.

Al-Salhi ha affermato di aver avuto una proposta di lavoro nella città di Hebron, nel sud della Cisgiordania, ma l’ha perso quando Israele gli ha negato il permesso di entrata.

I partiti palestinesi ci hanno delusi perché non sono riusciti a riconciliarsi. Dobbiamo opporci insieme all’occupazione israeliana che ha rubato la nostra terra 70 anni fa, ci assedia, viola i nostri diritti, uccide i nostri figli e ci impedisce di vedere le nostre famiglie in Cisgiordania,” dice al-Salhi a MEE.

L’occupazione è la principale ragione per cui abbiamo perso la speranza. Abbiamo solo le nostre voci per essere ascoltati e per rompere il silenzio del mondo sulle violazioni commesse contro di noi. Ci opponiamo tutti insieme disarmati con una protesta pacifica per il nostro legittimo diritto al ritorno.”

Venerdì l’ufficio di coordinamento per gli affari umanitari dell’ONU ha detto che almeno quattro minori sono stati uccisi e 454 feriti dalle forze israeliano fino al 23 aprile.

Ma l’ambasciatrice USA all’ONU Nikki Haley giovedì ha ripetuto la posizione del governo israeliano che incolpa Hamas, il partito che governa Gaza, di “utilizzare minori come carne da macello”.

Accusa il gruppo – che è uno dei vari partiti politici che appoggiano la marcia – di utilizzare nelle proteste i civili come scudi umani.

Gli organizzatori della marcia hanno ripetutamente negato che Hamas stia coordinando le proteste e hanno sottolineato che le decine di migliaia di manifestanti sono state prevalentemente pacifiche.

Israele criticato per “violenze e massacri”

Secondo il ministero della Sanità di Gaza 43 palestinesi sono stati uccisi dalle forze israeliane dall’inizio della marcia il 30 marzo, e più di 5.500 sono stati feriti. L’ONU ha contato 42 palestinesi morti, che non includono le vittime di venerdì ma comprendono persone non coinvolte nelle manifestazioni.

Non risulta alcuna vittima israeliana.

Gli inviati di MEE hanno ripetutamente testimoniato che durante le manifestazioni le forze israeliane hanno preso di mira infermieri e giornalisti.

Dal 30 marzo due giornalisti palestinesi – Yasser Murtaja e Ahmad Abu Hussein – sono stati colpiti e uccisi, nonostante portassero giubbotti che indicavano chiaramente “Stampa”.

Il segretario generale dell’associazione della stampa democratica a Gaza, Rami al-Sharafi, ha detto che Israele sta mandando il messaggio che “ogni giornalista che documenti la verità lungo il confine (tra Gaza e Israele) per Israele è un bersaglio.”

L’esercito israeliano ha respinto ripetute richieste da parte della comunità internazionale di usare moderazione e condurre un’inchiesta indipendente sulle morti, continuando con la sua politica di aprire il fuoco indiscriminatamente.

Nel contempo Amnesty International ha chiesto un embargo globale della vendita di armi a Israele, accusando le sue forze di “condurre violenze e massacri” contro i palestinesi nella Striscia di Gaza.

Giovedì il portavoce del sistema sanitario di Gaza, Ashraf al-Qidra, in una dichiarazione ha affermato che a 21 palestinesi feriti sono stati amputati gli arti inferiori.

Il gruppo per i diritti umani “Adalah” ha sostenuto che un certo numero di palestinesi ha subito imputazioni dopo che le autorità israeliane hanno negato loro il permesso di viaggiare nella Cisgiordania occupata per essere curati, in quanto gli ospedali di Gaza assediata lo scorso mese hanno dovuto far fronte al grande numero di feriti.

Nel frattempo l’alto commissario ONU per i diritti umani ha detto che Israele deve interrompere l’eccessivo uso della forza e chiedere ai responsabili delle morti nelle manifestazioni di renderne conto.

Zeid Raad al-Hussein ha affermato: “La perdita di vite è deplorevole, e il numero sconcertante di ferite provocate dalle pallottole vere confermano solo la sensazione che sia stata usata una forza eccessiva contro manifestanti – non una volta, non due, ma ripetutamente.

È difficile vedere come ragazzini, anche quelli che lanciano pietre, possano rappresentare un pericolo immediate di vita o di gravi ferite al personale pesantemente protetto delle forze di sicurezza [israeliane].”

(traduzione di Amedeo Rossi)




Le forze israeliane uccidono 16 persone a Gaza mentre i palestinesi manifestano nel “Giorno della Terra”

MEE ed agenzie


Venerdì 30 marzo 2018, Middle East Eye

Più di 1.000 manifestanti feriti mentre i palestinesi rivendicano il diritto al ritorno e la fine del furto di terra.

Secondo le autorità venerdì le forze israeliane hanno ucciso almeno 16 palestinesi nella Striscia di Gaza assediata, mentre decine di migliaia manifestavano nei territori occupati e in Israele nel “Giorno della Terra”.

Il giorno della Terra” nasce nel 30 marzo 1976, quando forze israeliane uccisero sei palestinesi con cittadinanza israeliana durante una protesta contro la confisca di terre. I palestinesi hanno celebrato questo giorno negli scorsi 42 anni per denunciare le politiche israeliane di appropriazione della terra palestinese.

Quest’anno ciò è avvenuto sulla scia di mesi di rabbia contro la decisione del presidente USA Donald Trump di spostare l’ambasciata americana a Gerusalemme, generalmente percepita come il rifiuto da parte degli Stati Uniti delle rivendicazioni palestinesi su Gerusalemme est come loro capitale nel contesto della soluzione dei due Stati.

Nella Striscia di Gaza, dove 1.3 dei 2 milioni di abitanti del piccolo territorio sono rifugiati, gli organizzatori della protesta hanno promosso sei settimane di manifestazioni chiamate la “Grande Marcia del Ritorno” lungo il confine tra l’enclave palestinese assediata e Israele, che iniziano con il “Giorno della Terra” e culmineranno il 15 maggio con il “Giorno della Nakba”, che segna l’espulsione dei palestinesi da Israele nel 1948.

Mentre il discorso politico israeliano con il primo ministro Benjamin Netanyahu si sposta ulteriormente a destra, i palestinesi sono diventati sempre più scettici riguardo alla possibilità di negoziati o di un miglioramento delle loro condizioni di vita a Gaza, in Cisgiordania, a Gerusalemme est e nello stesso Israele.

Il ministero [della Salute di Gaza, ndt.] ha aggiunto che, alla fine del pomeriggio, più di 1.000 manifestanti sono stati feriti. Un portavoce della Mezzaluna Rossa palestinese ha detto a MEE di stimare che circa 800 manifestanti di Gaza siano stati colpiti da proiettili veri.

Secondo il ministero della Salute, ore prima delle proteste un carrarmato israeliano ha ucciso un contadino gazawi e ne ha ferito un altro.

Omar Samour, 27 anni, è stato ucciso da martire e un altro abitante è stato ferito a est del villaggio di Qarara in seguito al fatto che i contadini sono presi di mira,” ha detto un portavoce del ministero della Salute di Gaza. Abitanti del villaggio a sud della Striscia di Gaza hanno detto che Samour era andato a raccogliere erbe.

Un portavoce dell’esercito israeliano ha confermato l’incidente: “Durante la notte due sospetti si sono avvicinati alla barriera di sicurezza, hanno iniziato a muoversi in modo sospetto e il carrarmato ha sparato verso di loro,” ha affermato il portavoce.

Il portavoce di Antonio Guterres ha affermato in un comunicato che il segretario generale delle Nazioni Unite ha chiesto un’inchiesta indipendente e trasparente sulle morti e feriti venerdì a Gaza.

Ha anche fatto appello a quanti sono coinvolti per evitare ogni atto che possa portare ad ulteriori vittime, e in particolare ogni misura che possa mettere in pericolo i civili,” ha detto il portavoce ONU Farhan Haq.

Brutale violazione”

Il ministero della Salute di Gaza ha confermato che almeno 16 manifestanti palestinesi sono stati uccisi dalle forze israeliane sul confine con Israele, ed ha identificato alcune delle vittime: Mohammad Kamel Najjar, 29 anni, ucciso nei pressi di Jabalia, a nord di Gaza; Mahmoud Abu Muammar, 38 anni, nei pressi di Rafah, a sud; Mohammad Abu Amro, noto artista della Striscia di Gaza; il sedicenne Ahmad Odeh, a nord di Gaza City; Jihad Farina, 33 anni, a est di Gaza City; Mahmoud Rahmi, 33 anni; Ibrahim Abu Shaer 22 anni, nei pressi di Rafah; Abd al-Fattah Bahjat Abd al-Nabi, 18 anni; Abd al-Qader al-Hawajra, 42 anni, ucciso nella zona centrale di Gaza; Sari Abu Odeh; Hamdan Abu Amsha, nei pressi di Beit Hanoun, nel nord di Gaza.

L’ong per i diritti umani “Adalah” ha denunciato l’uso da parte dell’esercito israeliano di proiettili letali come una “brutale violazione degli obblighi legali internazionali nella distinzione tra civili e combattenti,” ed ha chiesto un’inchiesta sulle uccisioni. In un comunicato l’esercito israeliano ha annunciato di aver dichiarato l’area di confine della Striscia di Gaza una zona militare chiusa – intendendo che ogni palestinese che si trovi vicino alla recinzione di confine può rischiare di essere colpito.

La marcia ha raggiunto i suoi obiettivi, ha scosso i pilastri dell’entità (Israele), ed ha posto il primo mattone sulla via del ritorno,” ha detto a MEE Ismail Haniyeh, uno dei principali dirigenti politici di Hamas mentre visitava un campo della protesta a Gaza.

Secondo il mezzo di informazione israeliano di sinistra “+972 Magazine”, un gruppo israeliano noto come la “Coalizione delle Donne per la Pace”, pensa di unirsi alla protesta sul lato israeliano.

La distanza tra quello che stiamo sentendo sugli eventi dall’interno di Gaza e l’istigazione [alla violenza] che stiamo sentendo nei media israeliani è enorme e non lascia dubbi sulle intenzioni violente delle autorità israeliane. Speriamo che i nostri timori di una risposta militare violenta si dimostrino sbagliati, ma indipendentemente da ciò sabato saremo presenti in appoggio ai manifestanti, che hanno il diritto di chiedere i propri diritti e la propria libertà,” ha detto Tania Rubinstein, una coordinatrice del gruppo.

A settecento metri da quei soldati c’è il mio diritto e il diritto del popolo palestinese a tornare a casa dopo 70 anni di espulsione. Non aspetteremo altri 70 anni,” ha detto a MEE Alaa Shahin, un giovane uomo palestinese che stava festeggiando il suo matrimonio in un campo di protesta nei pressi di Jabaliya.

Conservo ancora i documenti originali della nostra terra a Nilya, che ho ereditato da mio padre,” ha detto Yousef al-Kahlout, un insegnante di storia in pensione che venerdì ha partecipato ad una delle manifestazioni di Gaza insieme a cinque dei suoi nipoti. “Oggi spiego ai miei nipoti che loro hanno il diritto di riprenderne possesso se io non fossi più vivo per realizzare il mio sogno di tornare.”

Mentre gli organizzatori di Gaza hanno insistito che le manifestazioni sarebbero state pacifiche, vari incidenti di gazawi arrestati dopo essere entrati in Israele negli scorsi giorni – compresi tre palestinesi che stavano portando armi – hanno visto le forze israeliane ansiose di dimostrare il proprio controllo della situazione.

In un comunicato l’esercito israeliano ha confermato che stava usando “mezzi per disperdere disordini” – un termine regolarmente utilizzato in riferimento a gas lacrimogeni e a bombe assordanti – così come sparando ai “principali istigatori” della protesta.

La “Grande Marcia del Ritorno” ha anche visto le forze israeliane utilizzare droni per lanciare gas lacrimogeni sui manifestanti – una tecnologia che è stata usata solo poche volte a Gaza dalle forze israeliane.

Mercoledì il capo dell’esercito israeliano ha detto che più di 100 cecchini sono stati schierati sul confine di Gaza in vista delle previste manifestazioni di massa nei pressi della frontiera. Pesanti pale meccaniche hanno costruito cumuli di terra sul lato israeliano del confine ed è stato collocato filo spinato come ulteriore ostacolo contro qualunque tentativo dei dimostranti di violare il confine nel territorio israeliano.

Proteste del “Giorno della Terra” in Israele e in Cisgiordania

Nel contempo venerdì i palestinesi hanno manifestato anche in Israele e in Cisgiordania per commemorare il “Giorno della Terra”. Nella città a maggioranza palestinese di Arraba, nella regione della Galilea, nel nord di Israele, migliaia di persone, compresi parlamentari palestinesi della Knesset israeliana, sindaci e personalità religiose, sono scesi in strada.

Prima del corteo membri dell’”Alta Commissione di Verifica per i Cittadini Arabi di Israele” della Knesset si sono recati alle tombe dei sei palestinesi cittadini di Israele che vennero uccisi durante la prima marcia del “Giorno della Terra” nel 1976, nei cimiteri di Arraba, Sakhnin e Deir Hanna.

Israele sta ancora rubando e confiscando le nostre terre, e l’oppressione continua contro il nostro popolo all’interno del ’48, nella diaspora e a Gaza,” ha detto in un discorso il sindaco di Arraba Ali Asleh, utilizzando una perifrasi per riferirsi alle terre su cui è stato dichiarato lo Stato di Israele nel 1948.

Secondo mezzi d’informazione palestinesi ci sono stati scontri in alcune città della Cisgiordania, comprese

Un portavoce della Mezzaluna Rossa palestinese ha detto a MEE che l’organizzazione ha curato almeno 63 manifestanti in Cisgiordania, la maggior parte per aver inalato gas lacrimogeno, mentre almeno 10 sono stati feriti da proiettili di metallo rivestito di gomma.

(traduzione di Amedeo Rossi)

 




La Corte Suprema israeliana: bastione progressista o responsabile di ingiustizie?

Ben White

Venerdì 23 marzo 2018, Middle East Eye

Invece di arginare le sistematiche violazioni dei diritti contro i palestinesi, il sistema giudiziario rafforza lo status quo discriminatorio

È abitualmente acclamata come l’ultima trincea israeliana contro le leggi ultra-nazionaliste. Ma la Corte Suprema del Paese merita la sua reputazione di difensore dei valori liberali?

Casi recenti hanno evidenziato come la Corte, invece di contrastare le sistematiche violazioni dei diritti subite dai palestinesi, di fatto lubrifica la macchina dell’occupazione.

All’inizio di questo mese la Knesset [il parlamento israeliano, ndt.] ha approvato una legge che concede al ministero degli Interni il potere di revocare lo status di residenti permanenti nella Gerusalemme occupata ai palestinesi se sono “sleali” nei confronti dello Stato di Israele. In base alla legge “lo Stato può deportare chiunque abbia perso lo status di residente”.

La legge è stata approvata in seguito ad una sentenza della Corte Suprema dell’anno scorso che, apparentemente, ha rappresentato una vittoria per quattro palestinesi a cui era stata annullata la residenza per le loro attività politiche.

Complici dell’oppressione

Mentre annullava quella revoca, la Corte ha nel contempo “congelato la sentenza per 6 mesi per dare la possibilità alla Knesset di approvare una legge che consentisse di togliere loro lo status di residenti.”

In altre parole, lo Stato e la Corte Suprema sono di fatto complici di una legge estremamente repressiva che rappresenta uno schiaffo agli impegni internazionali e ai diritti umani dei palestinesi.

Oppure prendiamo un altro esempio: quello della prassi israeliana di trattenere i corpi dei palestinesi uccisi dalle forze israeliane mentre compiono attacchi, veri o presunti, impedendo alle famiglie di seppellire i propri cari.

Lo scorso mese la Corte Suprema ha accettato una richiesta dello Stato di tenere un’ulteriore udienza su questa prassi “rimandando la prevista restituzione dei corpi alle loro famiglie.”

In un primo tempo la Corte aveva sentenziato che “lo Stato non ha l’autorità di trattenere i corpi di palestinesi come merce di scambio, e deve trasferire i cadaveri alle famiglie dei defunti per la sepoltura,” come riassunto dal centro per la certezza del diritto Adalah.

Eppure qualche settimana dopo la stessa Corte ha accettato il ricorso dello Stato di Israele per tenere un’ulteriore udienza in cui impugnare questa sentenza, che avrà luogo in giugno – ed ha anche accolto la richiesta dello Stato di rimandare la restituzione dei corpi finché non verrà presa una decisione definitiva.

Adalah, insieme al Jerusalem Legal Aid and Human Rights Center [Centro di Assistenza Legale e per i Diritti Umani di Gerusalemme] e alla Commission of Detainees and Ex-Detainees Affairs [Commissione per le Questioni dei Detenuti ed Ex Detenuti], si è comprensibilmente infuriato, sottolineando in un comunicato: “La Corte Suprema ha pronunciato una decisione che rende possibili le continue violazioni delle leggi umanitarie internazionali da parte di Israele.”

Licenza di torturare”

Gli esempi abbondano: lo scorso dicembre i giudici della Corte Suprema israeliana hanno respinto un ricorso per salvare una scuola elementare palestinese nella Cisgiordania occupata minacciata di demolizione. La scuola, ha affermato la Corte, era un tentativo illecito “di creare fatti sul terreno.”

Quello stesso mese fu emessa una decisione persino più preoccupante, quando la Corte Suprema ha respinto una richiesta presentata a favore di un prigioniero palestinese che era stato torturato durante un interrogatorio – come, stranamente, persino lo Stato aveva riconosciuto.

Con una sentenza che ha visto la Corte prendere “le parti dello Stato su tutte le questioni fondamentali che le sono state sottoposte”, la Corte Suprema ha in effetti ridefinito la tortura in modo da consentirla. “La definizione di certi metodi di interrogatorio come ‘tortura’ dipende dalle circostanze concrete,” ha affermato il giudice Uri Shoham, “persino quando ci sono metodi esplicitamente riconosciuti dalle leggi internazionali come ‘tortura’”

Il relatore speciale dell’ONU sulla tortura, Nils Melzer, ha ribattuto: “Questa sentenza crea un pericoloso precedente, minando gravemente il divieto universale di tortura…La Corte Suprema ha essenzialmente fornito loro (agli agenti dello Shin Bet [servizio di intelligence israeliano, ndt.]) una ‘licenza di torturare’ statuita dal punto di vista giuridico.”

Abbassare l’asticella

La Corte Suprema israeliana ha ripetutamente apposto il proprio sigillo di approvazione a leggi e a prassi dello Stato che violano le leggi internazionali e le convenzioni sui diritti umani. L’agghiacciante legge antidemocratica contro il boicottaggio del 2011? La confisca di terre palestinesi a Gerusalemme est occupata?

In effetti è raro che la Corte sentenzi contro lo Stato: i dati presentati nel maggio 2017 mostrano che la Corte Suprema ha rigettato l’87% degli oltre 9.000 ricorsi presentati contro decisioni del governo tra il 1995 e il 2016.

Tuttavia la mitologia abbonda. In un tipico esempio, un rapporto di AP [Associated Press, agenzia di stampa USA, ndt.] dell’ottobre 2017 ha descritto la Corte come “universalmente vista nel ruolo di guardiano dei principi democratici fondativi del Paese”, sottoposta a “pesanti pressioni da politici estremisti” contrari a “quello che vedono come la prevaricazione e la tendenza progressista della Corte.”

È vero che le fazioni politiche israeliane di estrema destra sono state a lungo insoddisfatte della Corte Suprema. Recentemente il ministro della Giustizia Ayelet Shaked ha supervisionato la nomina di due nuovi giudici, con un’iniziativa generalmente indicata come [l’intenzione di] dare alla Corte un aspetto “più conservatore”.

Ma esaminare l’andamento della Corte in base alle percezioni di sostenitori dei coloni ultranazionalisti vuol dire, a dir poco, sistemare l’asticella un po’ troppo in basso. Oltretutto i “progressisti” della magistratura e i loro avversari di destra hanno più cose in comune di quanto entrambi vogliano ammettere.

Vittorie occasionali

La scorsa settimana una commissione della Knesset ha presentato la versione finale di una legge “per lo Stato-Nazione ebraico” che, secondo Haaretz, ha l’intenzione di porre le basi perché la Corte Suprema “dia la prevalenza al carattere ebraico di Israele sui suoi valori democratici, se questi dovessero entrare in conflitto nei tribunali.”

Solo che è una cosa che la Corte Suprema può già fare, ed ha fatto, interpretando una clausola importantissima della Legge Fondamentale [che in Israele fa le veci della costituzione, ndt]: la dignità e la libertà umane vanno intese per dare “un’importanza significativa alla natura di Israele come Stato ebraico e ai suoi obiettivi, a spese dei…diritti fondamentali.”

Quindi il rapporto mostra che, lungi dal rappresentare una protezione per i palestinesi, o persino per gli ebrei israeliani sostenitori dei diritti umani, la Corte Suprema agevola, piuttosto che rigettare, le violazioni. Vittorie sporadiche sono esattamente questo: la Corte è una parte centrale dello status quo discriminatorio, e lo rafforza.

Ben White è autore di Apartheid israeliano: una guida per principianti e di Palestinesi in Israele: segregazione, discriminazione e democrazia.. Scrive articoli per Middle East Monitor e i suoi articoli sono stati pubblicati da Al Jazeera, al-Araby, Huffington Post, the Electronic Intifada, [nella rubrica] “Il commento è libero” del Guardian [giornale progressista inglese, ndt.] ed altri.

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

(traduzione di Amedeo Rossi)

 




La “Legge sull’Espulsione”: ecco com’è la democrazia israeliana

La Nakba continua

di Jonathan Cook

Washington Report on Middle East Affairs, ottobre 2016

E’ stato difficile conciliare le azioni e parole del primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu.

Egli è stato uno dei principali promotori di una nuova legge – approvata il 19 luglio – che assegna al parlamento israeliano, la Knesset, nuovi poteri draconiani: una maggioranza di tre quarti dei suoi membri può espellere un parlamentare eletto se non ne condivide le opinioni.

Nota come la “Legge sull’Espulsione”, la misura è universalmente vista come un modo per i partiti ebraici della Knesset di espellere parlamentari che rappresentano la numerosa minoranza palestinese. Un israeliano su cinque è palestinese.

Eppure, meno di una settimana dopo Netanyahu ha postato sulle reti sociali un video in ebraico e inglese in cui chiedeva scusa ai cittadini palestinesi per i suoi commenti, molto criticati, fatti l’anno scorso durante le elezioni politiche israeliane.

Allora aveva sollecitato i suoi sostenitori ad andare a votare, mettendo in guardia che “gli arabi” – cioè il milione e settecentomila cittadini palestinesi di Israele – “stanno andando a votare in massa.”

Ha detto che i suoi commenti sono stati fraintesi. Al contrario, egli ha invitato “i cittadini arabi di Israele a far parte della nostra società – in massa. Lavorate in massa, studiate in massa, prosperate in massa…Sono orgoglioso del ruolo che gli arabi giocano nei successi di Israele. Voglio che svolgiate un ruolo ancora più importante.”

Tuttavia la “Legge sull’Espulsione” minaccia di limitare gravemente il ruolo dei palestinesi nella Knesset, l’unica istituzione pubblica di Israele di maggiore visibilità.

Secondo “Adalah”, il centro giuridico che rappresenta la minoranza palestinese, la “Legge sull’Espulsione” non ha eguali in nessuno Stato democratico. L’associazione nota che si tratta dell’ultima di una serie di leggi miranti a limitare rigidamente i diritti della minoranza palestinese in Israele e a contrastare il dissenso.

Altri temono che questa misura in sostanza svuoterà la Knesset dei suoi partiti palestinesi.

“Questa legge viola ogni norma democratica e il principio in base al quale le minoranze devono essere rappresentate, ” ha affermato Mohammed Zeidan, direttore dell'”Associazione per i Diritti Umani” di Nazareth. “Manda all’opinione pubblica il messaggio secondo cui è possibile, persino auspicabile, avere una Knesset solo ebrea.”

I quattro partiti palestinesi presenti in parlamento, in una coalizione denominata “Lista Unitaria”, il 22 luglio hanno mandato una lettera aperta mettendo in guardia che Netanyahu e il suo governo “vogliono una Knesset senza arabi.”

Zeidan ha sottolineato come ciò potrebbe rapidamente avvenire: “Basterebbe che un parlamentare palestinese venga espulso e ci sarebbero enormi pressioni sugli altri perché diano le dimissioni per protesta.”

Yousef Jabareen, un membro palestinese della Knesset per la “Lista Unitaria”, ha detto che la legge ha creato “parlamentari in libertà vigilata”, minacciati perché stiano zitti o perché “si comportino bene”. I suoi effetti, ha aggiunto, potrebbero privare decine di migliaia di votanti del diritto di essere rappresentati.

“La minaccia di espulsione servirà come una tattica per metterci a tacere,” ha detto Jabareen, “impedendo inoltre la possibilità per i membri della Knesset di adempiere fedelmente al programma che hanno promesso ai propri elettori.”

Chi ha proposto questa legge ha fatto poco per mascherare l’intenzione di utilizzare questa misura solo contro i parlamentari palestinesi. Con 13 seggi, la “Lista Unitaria” è attualmente il terzo maggior gruppo sul totale dei 120 seggi della Knesset.

Il primo bersaglio di questa legge è Haneen Zoabi, un’esponente del partito Balad [partito che sostiene che Israele dovrebbe essere uno Stato per tutti i cittadini e che i palestinesi con cittadinanza israeliana debbano essere riconosciuti come minoranza nazionale. Ndtr. ]che è stata aggredita da molti parlamentari ebrei della Knesset (vedi giugno/luglio 2015 su Washington Report, p. 13). La misura era originariamente stata chiamata “Legge Zoabi”.

Alla fine di giugno, in un drammatico preludio all’approvazione della legge, più di una dozzina di parlamentari ebrei hanno scatenato violente proteste in parlamento nei confronti di Zoabi mentre lei stava facendo un discorso riguardante il patto di riconciliazione del governo israeliano con la Turchia. Ha dovuto essere difesa dalle guardie della Knesset.

Aveva scandalizzato i parlamentari riferendosi all’ “assassinio” di 10 attivisti umanitari da parte del commando israeliano nel 2010 [la strage sulla nave turca Mavi Marmara. Ndtr.]. La marina israeliana aveva attaccato una flottiglia di solidarietà, a cui Zoabi aveva partecipato, mentre stava navigando in acque internazionali dalla Turchia verso Gaza. L’incidente aveva portato alla rottura con Ankara.

Invece di criticare i parlamentari ebrei, Netanyahu aveva detto che Zoabi aveva “passato ogni limite” con i suoi commenti contro i commando e che non c’era “posto per lei nella Knesset”.

Allo stesso modo il leader dell’opposizione Isaac Herzog aveva chiesto di censurare tutti i discorsi di Zoabi dal canale TV della Knesset.

Festeggiando l’approvazione della legge, Netanyahu ha postato sulle reti sociali: “Quelli che appoggiano il terrorismo contro Israele e i suoi cittadini non faranno parte della Knesset israeliana.”

Zeidan ha affermato che la nuova legge rappresenta “una pericolosa escalation” nella più generale tendenza ad eliminare il dissenso e ad incitare all’odio.” Stiamo entrando in una nuova epoca. Prima c’erano leggi e politiche razziste, ma ora siamo andando rapidamente verso il vero e proprio fascismo.”

“I continui incitamenti contro la minoranza palestinese, dal primo ministro in giù, si spingono fin nelle piazze, dove ci saranno più violenze e più attacchi contro i cittadini palestinesi da parte della popolazione israeliana.”

Secondo la polizia israeliana, in luglio Zoabi avrebbe rifiutato una guardia del corpo della Knesset, nonostante il livello di minacce contro di lei lo richiedesse.

Procedimenti contro politici possono essere intrapresi con l’appoggio di 70 parlamentari. Un’espulsione può essere portata a termine se 90 parlamentari ritengono che il politico abbia incitato al razzismo o abbia appoggiato la lotta armata contro Israele. Nella legge non c’è una definizione su cosa costituisca un “appoggio”.

“Adalah” ha sottolineato che la Knesset potrà prendere in considerazione le affermazioni del parlamentare – e l’interpretazione di queste data dalla maggioranza – e non solo azioni o obiettivi manifesti.

Finora un politico avrebbe potuto essere destituito dalla Knesset solo se coinvolto in un grave crimine.

Netanyahu ha presentato la proposta di legge in febbraio, dopo che Zoabi e due suoi colleghi di Balad alla Knesset, Jamal Zahalka e Basel Ghattas, hanno incontrato una dozzina di famiglie palestinesi di Gerusalemme est occupata i cui figli erano stati uccisi durante attacchi solitari o in scontri con le forze di sicurezza. I tre parlamentari avevano promesso di aiutare a fare pressione sul governo perché restituisse i corpi per il funerale.

Autorità israeliane hanno sostenuto che la visita equivaleva ad un appoggio al “terrorismo”. I tre sono stati sospesi dalla Knesset per parecchi mesi. In base alla nuova legge, potrebbero essere espulsi per sempre.

Zahalka, leader del partito Balad, ha detto che i parlamentari palestinesi dovrebbero affrontare un “tribunale illegale, in cui parlamentari ostili fungerebbero da giudice e giuria. “

Ha detto che la “Lista Unitaria” si stava preparando a mandare una lettera all’Unione Interparlamentare, un’ istituzione che rappresenta 170 parlamenti di tutto il mondo, sollecitandola ad espellere la Knesset.

Data l’ampia maggioranza necessaria per ottenere l’espulsione di un parlamentare, alcuni hanno sostenuto che la nuova legge sarà praticamente impossibile da mettere in pratica.

Zahalka non è d’accordo. Egli dice: “Se durante il primo atto vedi un fucile, sai che nell’ultimo verrà usato. Ed è così con questa legge. Quando ci sarà la prossima “emergenza” o la prossima guerra, i parlamentari ebrei – anche quelli che ora criticano la legge – si uniranno per espellere chi dissente.”

Zoabi si è ritrovata ripetutamente aggredita praticamente da tutti i partiti ebrei della Knesset.

Nell’estate 2014, durante un massiccio attacco israeliano contro Gaza noto come “Margine Protettivo”, la commissione etica della Knesset l’ha sospesa per un tempo record di sei mesi – il più lungo periodo allora permesso.

Durante un’intervista ad una radio israeliana, aveva criticato i palestinesi responsabili del rapimento di tre giovani israeliani nella Cisgiordania occupata, ma si era rifiutata di chiamarli “terroristi”. Gli israeliani erano in seguito stati trovati morti.

Zahalka ha detto che i parlamentari palestinesi ora affrontano una situazione “straordinaria”. “In ogni Paese, l’immunità parlamentare conferisce agli eletti diritti più ampi di quelli dei comuni cittadini per permettere loro di svolgere i propri compiti in parlamento,” ha affermato. “Solo in Israele i rappresentanti eletti avranno maggiori restrizioni alla libertà di parola e di azione dei comuni cittadini.”

La “Lista Unitaria” ha detto che intende presentare appello alla Corte Suprema contro la legge.

La “Legge sull’Espulsione” fa seguito alla messa fuorilegge lo scorso anno del Movimento Islamico del nord, il movimento extra-parlamentare più seguito tra la minoranza palestinese in Israele (vedi Washington Report, Gen/febbr. 2016, p.24). Il suo capo, lo sceicco Raed Salah, è considerato un leader spirituale per una grande parte della comunità.

All’epoca, Netanyahu ha insinuato che il Movimento Islamico fosse legato ad attività “terroristiche”. Tuttavia indiscrezioni al giornale Haaretz provenienti da ambienti ministeriali hanno rivelato che i servizi di sicurezza israeliani non avevano trovato tali legami.

Zeinad aveva osservato che da qualche tempo la destra israeliana stava conducendo una battaglia per liberare la Knesset dei partiti palestinesi.

Negli ultimi 15 anni la Commissione Elettorale Centrale, che è dominata dai partiti ebrei, ha ripetutamente tentato di escludere parlamentari palestinesi dalla partecipazione alle elezioni. Tuttavia la Corte Suprema israeliana ha ribaltato queste decisioni in appello.

Nel 2014 il governo ha tentato una strada diversa. Ha approvato una “Legge Soglia”, alzando il quorum necessario per ottenere un seggio alla Knesset. Il quorum è stato fissato troppo in alto per i quattro piccoli partiti palestinesi.

Tuttavia la mossa ha avuto l’effetto contrario. I partiti hanno risposto formando la “Lista Unitaria”, ed è diventata una delle maggiori formazioni alla Knesset dopo le elezioni politiche dello scorso anno.

E’ stato in quel contesto, ha affermato Zeidan, che, alla vigilia delle elezioni, Netanyahu ha fatto il suo commento molto criticato, mettendo in guardia sul fatto che “gli arabi stanno andando a votare in massa.”

Asad Ghanem, un professore di politica dell’università di Haifa, ha sostenuto che la “Legge sull’Espulsione” può realizzare l’ obiettivo dichiarato di Netanyahu di scoraggiare la partecipazione dell’elettorato palestinese. L’astensionismo dei votanti della minoranza è sceso a poco meno della metà dopo la creazione della “Lista Unitaria” in tempo utile per le elezioni del 2015.

“Se si vede che questi attacchi alla rappresentanza politica degli arabi alla Knesset continuano,” ha detto Ghanem, “allora i votanti potrebbero concluderne che quando è troppo è troppo e che è arrivato il momento di rinunciare alla partecipazione politica.”

Jonathan Cook è un giornalista che vive a Nazareth e vincitore del premio speciale di giornalismo Martha Gellhorn. E’ autore di “Sangue e religione” e di “Israele e lo scontro di civiltà”.

(Traduzione di Amedeo Rossi)